CONTROCOPERTINA
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DOMENICA 23 APRILE
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La Calabria se ne fotte dell’arte
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L’unica politica da cui trarre ispirazione è quella che mette in campo gli uomini di pensiero che ben sanno agire. Ecco perché imploriamo l’opera dell’arguto e sottile intellettuale.
Dove siete, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Gioacchino da Fiore, che col vostro Spirito speraste di formare le menti e di comporre i valori dei governanti?
Un giorno potrò dire, ed essere pienamente orgoglioso di farlo, che un artista del calibro di Nik Spatari ha festeggiato il suo 88° compleanno nella mia città” - ha esordito così l’assessore alla Cultura di Siderno Ercole Macrì, invitato dal nostro settimanale a prendere parte alla sorpresa che, lo scorso 16 aprile, abbiamo voluto organizzare per Nik, in piazza Vittorio Veneto a Siderno. Nessuno ha pensato di rendergli omaggio, nè il sindaco di Mammola, paese in cui sorge il Musaba di Nik Spatari e Hiske Maas, nè il consigliere metropolitano con delega alla cultura e al turismo, nè tanto meno il sindaco della Città Metropolitana. Nel resto d’Italia funziona un
po’ diversamente: Venezia ha festeggiato i 90 anni del pittore Giuseppe Zigaina, Bologna i 90 dello scultore Arnaldo Pomodoro, Ragusa i 70 anni di Arturo Di Modica, autore del toro di Wall Street, Udine ha celebrato i 55 anni di attività del pittore naturalista Gianni Borta... e mi fermo. La Calabria in 50 anni di vita del Musaba, invece, si è sempre girata dall’altra parte. La Calabria non è in grado di riconoscere l’arte, non è in grado di riconoscere la perfezione. Non ha avuto la sensibilità di omaggiare un uomo che non ha un modo di vivere e un modo di fare arte: lui ne ha uno solo. Sono d’accordo con chi sostiene che se tutto è arte, l’arte non esiste. Ma se niente è arte, a non esistere sarà la Calabria. mgc
o i nostri palati dolcemente deliziat er av r pe h ot To t sticceria Swee Si ringrazia il bar pa
Lo scorso 16 aprile, Riviera ha organizzato a Siderno una sorpresa all’artista Nik Spatari, per festeggiare insieme il suo 88° compleanno
Poeti e letterati, accorrete... ché l’incultura ha preso in trappola la Calabria Col progressivo solidificarsi della “crisi” della politica, si accresce, nell’ossatura della nostra Calabria, un fenomeno che potremmo definire curioso se non avesse le sue logiche spiegazioni. Anziché aumentare il numero dei componenti e degli uomini dotati di facoltà spiccate e di salda cultura, il “sistema” assorbe un certo numero di ciarlatani, di oneste mediocrità e di individui che a scuola sedevano sempre all’ultimo banco. Ah, se avessimo poggiato le mani e gli occhi sulle scritture di Cassiodoro e di Barlaam, di Leonzio Pilato e di Galeazzo di Tarsia, che incisero l’immagine universale della Calabria; avremmo di certo messo un’intera “classe dirigente” faccia al muro, oppure in castigo dietro la lavagna. E me per primo, che m’accingo a protestare, e invece non ho saputo disegnare neanche il ritratto di mia madre. Ora, se chi agita nell’aria non più di 20 o 30 vocaboli può persuadere una folla, se la mediocrità onesta può avere un contrappeso considerevole, questo fenomeno può essere, tuttavia, l’indizio rivelatore di una pericolosa mentalità che tende a contrapporre l’imbonitore al saggio, l’innocuo mediocre all’autonomo intellettuale. Ecco a cosa bisogna stare attenti: al culto dell’incompetenza quale valore espressivo di onestà. Null’altro abbiamo da dire, se non che degli illustri Padri del Pensiero e delle Azioni che sono patrimonio culturale dell’intera umanità di Calabria si dovrebbe tornare a parlare. Poiché è dalla portata di tali principi e di tali valori, dalle opere loro, dall’ordinamento di quelli che noi abbiamo tratto forza ed elevazione nella storia. Accorrete intellettuali calabresi, scrittori e poeti d’ogni contrada. Veniteci in soccorso, ché la carta vegetale chiama le vostre penne, come la terra l’aratro. Voi avete il dovere di compiere l’azione spirituale della storia di questa Calabria e di questa Città; e senza misurare lo sforzo, senza sosta e appello, dovete sostenere il processo di elevazione dall’ombra dell’oblio, dall’immotivato ed inesistente vuoto culturale, che ha nel tempo giustificato e consentito la tessitura di un silenzio tramato convenientemente per annullare e soggiogare la forza e la dignità del nostro popolo calabrese e reggino. Poiché l’unica politica da cui trarre ispirazione è, oggi, quella che mette in campo gli uomini di pensiero che ben sanno agire. Ecco perché imploriamo l’opera dell’arguto e sottile intellettuale, dello studioso abile e appassionato, di colui che componeva e costruiva il dibattito culturale. Ci faccia sentire la sua voce, il pensatore, la sua ansia mentale, la sua passione, la sua saggezza e conoscenza; scuota i torpori e scardini i blocchi imposti al grandioso movimento culturale che sottende la formazione della Calabria e della Città Stato Reggio, rallentata e deturpata dall’inganno. Dove siete, allora, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Gioacchino da Fiore, che col vostro Spirito speraste di formare le menti e di comporre i
valori dei governanti. Nelle ariose biblioteche mai entrarono molti dei nostri mediocri politici a cercare i vostri edifici d’inchiostro, ché se l’avessero veduti avrebbero almeno messo dopo il punto la lettera maiuscola. Del fascino della vostra oratoria che conquista e pesantemente condiziona, attendiamo il verbo della lectio, nella consapevolezza di essere noi stessi discendenza di quell’alto magistero che seppe guardare oltre. Voi, d’altronde, anticipaste la storia e i suoi fenomeni, mentre noi confidiamo ancora nella ricerca di qualcuno che indovini cosa c’è dietro l’angolo. A Corrado Alvaro, Mario La Cava e Saverio Strati, a Domenico Giampaolo e Fortunato Seminara, chiediamo di mostrarci ancora quella luce che ha spostato il peso delle epoche, che ha rimosso l’ingombro delle opache polveri del tempo e dissolto le ambiguità di quelle convenienze storiografiche che hanno gettato nell’oscurità il processo di crescita e di affermazione di un intero popolo e della Calabria. A loro noi domandiamo di darci da quel tempo il nostro tempo; viaggino da soli nelle singole meditazioni, nelle individuali considerazioni; ma terminata la loro creativa e intima elaborazione siano guida, amici e pungenti interpreti della quotidiana impresa umana. A voi tutti, scrittori nati e non ancora venuti al mondo, noi vi chiediamo quante mani e quanti occhi di governanti calabresi sentiste scorrere sulle copertine dei vostri libri e, tra questi, quanti di coloro che prima di pretendere di guidarci avrebbero bisogno di imparare a leggere. Con quegli uomini di razza e d’ingegno, che con taglio epigrafico e sentenzioso elaborarono i mali e le preghiere della nostra Calabria, noi vorremmo contrastare l’imperante rigurgito che di continuo sbava sulla storia, la nostra, che per la vastità dei suoi contenuti e dei suoi personaggi, attende di offuscare quella ufficiale e di spostare il baricentro della sua narrazione. Con loro vorremmo comprendere quali mirabili visioni e quali salvifiche proiezioni siano state concepite per la Calabria e per la Città Metropolitana di Reggio nella prospettiva del Mezzogiorno, dell’Italia, del Mediterraneo e dell’Europa. Forse i nostri campioni di cultura ci hanno parlato e mostrato la linea di un camminamento … ma noi non abbiamo ancora compreso. Senza di loro la Calabria non può essere capita; senza di loro la Calabria, nelle mani di tanti scadenti dirigenti, sarà solo una “conseguenza fisiologica e ambientale”, presa in trappola dalla retorica e dall’improvvisazione. Per adesso “si recita a soggetto”. È il teatro che entra nel teatro, e quando gli attori non sanno recitare il copione, il regista spera che dal pubblico qualcuno abbia imparato la sua parte. Giuseppe Bombino Presidente Parco Nazionale Aspromonte
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ATTUALITÀ
DOMENICA 23 APRILE
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POLITICHE DELL’ACCOGLIENZA
Europa e realtà locali a confronto
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Venerdì 28 aprile, alle ore 10, presso il Teatro di Gioiosa Jonica, in Piazza Vittorio Veneto 12, si terrà l’incontro L’Italia e i migranti: le politiche europee e le proposte delle realtà locali, che metterà a confronto le esperienze e le buone pratiche di accoglienza e di integrazione della Calabria. L’incontro avrà un triplice obiettivo: illustrare le attività dell’Unione Europea e delle istituzioni nazionali, regionali e locali in tema di migrazione, condividere le buone pratiche
di accoglienza e integrazione dei migranti in Calabria e raccogliere le testimonianze degli operatori coinvolti nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti per poi trasmetterle al Primo Vicepresidente della Commissione europea, Fans Timmermans. L’incontro sarà strutturato in due sessioni, la prima dedicata ai rappresentati istituzionali e la seconda ai rappresentanti del terzo settore e agli amministratori locali. Dopo i saluti del sindaco di Gioiosa Ionica Salvatore Fuda
e del Presidente dell’Assocomuni della Locride Rosario Rocca aprirà i lavori il Presidente della Giunta Regionale calabrese Mario Oliverio prima che prendano la parola la rappresentate della Commissione europea in Italia Beatrice Covassi, i Prefetti di Catanzaro e Reggio Calabria Luisa Latella e Michele Dibari, il Questore e il Sindaco di Reggio Calabria Raffaele Grassi e Giuseppe Falcomatà e il Consigliere ANCI e Sindaco di Stignano
Francesco Candia. Dopo i workshop della tarda mattinata, le conclusioni saranno affidate al Ministro degli interni Marco Minniti. L’incontro è organizzato dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea in collaborazione con i Centri d’Informazione Europe Direct di Gioiosa Jonica, Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro e sarà moderato dalla giornalista Alessandra Tuzza.
Non sarebbe il caso che la Locride venisse annessa alTG3 Sicilia? Un turbinio di notizie spesso non adeguatamente verificate e troppo concentrate in una ristrettissima area della Calabria rendono l’edizione regionale del TG3 non all’altezza dell’informazione di livello che dovrebbe fornire la TV di Stato. Ecco come la Rai si trasforma in TeleCosenza
Assistiamo con sempre maggiore sconcerto agli scivoloni di cui si rende sovente protagonista la nostra edizione regionale del TG3. La finestra dell’informazione nazionale sulla regione Calabria, infatti, è troppo spesso approssimativa e troppo populista, soprattutto quando è doveroso riportare notizie relative al nostro comprensorio. Della nostra Siderno, ad esempio, se ne parla solo di striscio e sempre per casi di cronaca (ricorderete che uno degli ultimi servizi registrati nella nostra città aveva visto uno degli inviati andare a chiedere ai cittadini cosa ne pensassero delle voci relative a un matrimonio combinato tra famiglie di ‘ndrangheta solo per lasciare intendere che in paese si respirava grande omertà quando le persone avevano affermato di non saperne nulla), con buona pace degli eventi sociali, culturali o politici che si registrano ogni giorno dalle nostre parti. Nel trattare il recente caso delle scritte di Locri, invece, si è urlato un po’ troppo in fretta “alla ‘ndrangheta, alla ‘ndrangheta” quando, ancora oggi, non è che si sia fatta opportuna chiarezza sull’evento. Che dire, poi, di com’è stata trattata San Luca nelle ultime settimane? Per annunciare l’even-
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I dato rea e
to di venerdì scorso, tre settimane fa, Buongiorno Regione ha intervistato telefonicamente il commissario Salvatore Gullì senza rendersi conto di aver mandato in onda la foto dell’ex prefetto Claudio Sammartino e, dopo aver trattato la partita tra Nazionale Cantanti e Nazionale Magistrati en passant nell’edizione delle 14 di giovedì 20, un ampio servizio è stato invece dedicato alla città per parlare ancora una volta delle riunioni tra i capibastone locali in occasione delle processioni di Polsi, giusto per ricordare in quale “fogna” Cantanti e Magistrati stavano per calarsi senza che ci fossero novità di cronaca di rilievo che giustificassero di trattare la vicenda proprio giovedì. A questo punto vogliamo fare una richiesta provocatoria ai vertici della TV di Stato: siccome pare un grosso incomodo, per il TG3 Calabria, parlare di argomenti distanti da Crotone e Cosenza, perché non ammettere il reggino, Locride in primis, nel TG3 Sicilia? Toglieremmo al TG della nostra Regione un peso e magari avremmo finalmente la possibilità di essere trattati con maggiore equità dall’informazione locale! Vladimir
di Franco Crinò
Gli anziani che hanno 65 anni o più in Italia nel 2016 sono il 22,30% (12,276 milioni) della popolazione (che é di 60,580 milioni), 55,551 milioni sono italiani e 5,029 milioni sono stranieri legalmente residenti da noi. Il numero di anziani di una regione del nord è superiore del 10% rispetto a una del sud: contano i servizi che vengono offerti. Al sud si vive 3 anni in meno, perché il sistema sanitario nazionale, per esempio, è migliore al nord. L’aspettativa di vita è di 80,3 per gli uomini e di 85 per le donne. Gli anziani non garantiscono solo l’esperienza, ma hanno anche voglia di apprendere, aiutano figli e nipoti, sono una risorsa economica e culturale. Nel 2014 i pensionati erano 16 milioni, 12 milioni over 64, 3,4 milioni compresi tra i 40 e i 64 anni, 600 mila i pensionati con meno di 40 anni che, considerata l’aspettativa di vita (abbiamo detto intorno agli 80 anni), usufruiranno dell’assegno pensionistico per altri 40 anni e qui inizierebbe il discorso sull’equilibrio dei conti. Sul mondo degli anziani, Giampaolo Pansa, compiuti gli 80, ha scritto “Vecchi, folli e ribelli”. Hanno voglia di gustare la vita, dicono la loro (“nel voto per la Brexit sono stati decisivi”), pensano ad andare in gita, vivono le “distrazioni” per “passione o per soldi”. Un libro da leggere, per non pensare agli anziani che stanno sempre e solo in ansia perché debbono prendere a orari giusti le medicine giuste (non tutti hanno la possibilità di acquistarle), per assicurarsi se c’è il pulmann per le Terme, se il sindaco va per le lunghe con i lavori di manutenzione dei giardinetti o se il governo può fare una trattenuta sulle pensioni, ansiosi per la fila lunga che li aspetta alla Posta, per le indicazioni “difficili” stampate sulle buste dei prodotti alimentari, per le mandate della chiave della porta di casa (forse erano cinque e non quattro), per gli occhi che si spalancano già alle primissime ore del nuovo giorno. Gli anziani non devono essere visti come superati, “ormai sconfitti” e i giovani di oggi debbono giocarsi la loro partita, non sentirsi già “sconfitti” in partenza.
gli anziani, una risorsa
GIUDIZIARIA
La competenza distrettuale L'attribuzione delle funzioni inquirenti per taluni reati all'ufficio del p.m. presso il tribunale del capoluogo del distretto, nel cui ambito ha sede il giudice competente, comporta una deroga assoluta ed esclusiva alle regole sulla competenza per territorio, anche fuori dagli ambiti distrettuali, perché stabilisce la "vis attractiva" del reato ricompreso nelle attribuzioni di quell'ufficio inquirente nei confronti dei reati connessi anche se di maggiore gravità, con la conseguenza che, ai fini della determinazione della competenza, occorre avere riguardo unicamente al luogo di consumazione del reato associativo e, data la sua natura di reato permanente, al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, potendosi in via residuale fare riferimento, ove detto criterio risulti inapplicabile, ai criteri sussidiari di cui all'art. 9 cod. proc. pen. (così Cass. pen., sez. II, sentenza n. 6783 del 13/11/2008, rv. 243300; conf., con specifico riferimento all’associazione di cui all’art. 74, Cass. pen., sez. 1, sentenza n. 40012 del 05/10/2005, rv. 232949; conf., Cass. pen., sez. II, sentenza n. 19831 del 11/04/2006, rv. 234664). «Ciò posto – si legge in una recente ordinanza del gip distrettuale - dovendo trovare applicazione in via principale il criterio di cui all’art. 8, comma 3, c.p.p. secondo cui è competente per territorio il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato, e tenuto conto che tale luogo coincide con quello in cui si è costituita l’associazione o quello in cui ha sede la base dove si svolgono le attività di programmazione e di ideazione (cfr. per tutte, Cass. pen., sez. I 2/2/1996 n. 6648, Dilandro; conf. Cass. pen., sez. VI 1/8/2000 n. 2324, Lorizzo), non pare possa dubitarsi del fatto che nella provincia reggina si sia costituita l’associazione, o quantomeno che, in termini gravemente indizianti, in questa provincia sia siano svolte le attività di programmazione e di ideazione dei delitti riguardanti l’associazione mafiosa». Questo vale anche per l’associazione semplice. «Invero – ritiene il giudice - l’attività di indagine consente di ritenere la provincia di Reggio Calabria come il luogo ove si svolge la principale attività di programmazione della associazione, con conseguente radicamento della competenza territoriale della procura distrettuale di Reggio Calabria e quindi del tribunale di Reggio Calabria, tanto per il cartello imprenditoriale quanto per il sodalizio mafioso che ad esso corre parallelamente». D’altro canto, è proprio nel reggino che si consumavano la quasi totalità degli episodi oggetto di questa indagine. «Né a diversa conclusione si giunge ove si ritenga non provato il luogo di inizio della consumazione, con il conseguente riferimento ai criteri suppletivi (cfr. Cass. pen., sez. I 19/12/1996 n. 6171), con la precisazione che: a) non appare percorribile il criterio di cui al comma I (relativo all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione), essendo evidente l’incertezza anche in ordine alla individuazione di tale luogo, che non può certo farsi coincidere con quello di consumazione dell’ultimo reato (comunque riferibili al comprensorio reggino), che non coincide sul piano logico con la fine dell’associazione, che anzi le intercettazioni dimostrano, sul piano concreto, abbia proseguito oltre; b) inapplicabile deve ritenersi anche il criterio di cui al comma II, attesa la pluralità degli indagati con differente residenza, dimora o domicilio». «Residua il criterio di cui all’ultimo comma dell’art. 9 c.p.p., con radicamento della competenza di questa procura distrettuale e conseguentemente di questo tribunale, avuto riguardo alla primitiva iscrizione del procedimento». Nella specie, dunque, come evidenziato dai gip “rimettenti”, nei provvedimenti resi ex art. 27 cod. proc. pen., correttamente la competenza deve reputarsi radicata in capo all’autorità distrettuale: «in quanto, in considerazione degli elementi emergenti dagli atti (e tenuto conto dei reati contestati), è proprio nell’ambito del distretto reggino che i reati in questione risultano essere stati commessi».
RIVIERA
ATTUALITÀ
ILARIO AMMMENDOLIA Pochi sanno che durante i giorni della Passione antecedenti la “Settimana Santa”, i giudici hanno condannato Ilario Primerano, un giovane di 26 anni, a 12 anni di carcere per tentato omicidio e ne hanno aggiunto altri due anni a sei mesi perché responsabile di danneggiamento. Abitava in uno dei nostri “centri storici” e in calda notte dell’ottobre del 2015 ha pensato di dar fuoco ad alcune vetture in sosta. Solidarietà massima ai proprietari delle macchine, ma dietro quei fuochi non c’era nessuna estorsione, nessuna intimidazione! C’era altro! Infatti, quando i carabinieri sono andati a prenderlo è uscito di casa brandendo un coltello da cucina ed agitandolo in aria ha gridato “ti uccido” ma neanche una goccia di sangue è caduta per terra, non un solo graffio è stato prodotto a persona umana. Credo sia stato difeso da un avvocato di ufficio e che nessuno abbia mai chiesto una perizia per stabilire se avesse avuto realmente l’intenzione e la possibilità di uccidere qualcuno. Probabilmente nessuno chiederà mai di metterlo in regime di libertà provvisoria e del resto Lui non saprebbe proprio dove andare fuori dal carcere, e della “libertà” non saprebbe cosa farsene. Affrontare i carabinieri armati, brandendo un coltello da cucina può significare tre cose: pura “follia”; una implicita invocazione di farla finita ricevendo un colpo di pistola al petto; una implorazione di essere riaccompagnato in carcere per poter poi esclamare “finalmente a casa”! Quest’ultima mi sembra la risposta più credibile. Un solo giornale regionale ne ha riportato la notizia della sua condanna in un trafiletto di qualche rigo relegato all’ultima pagina. L’ho scoperto per caso! In fondo, perché parlarne? Certamente il suo nome non è importante… ma la sua storia sì! Alle sue spalle non c’è una famiglia con la griffe di ndrangheta ma l’emarginazione e la sofferenza che si tramanda da generazioni. Un’infanzia negata, un’adolescenza drammaticamente travagliata, una vita bruciata! Il carcere è la sua vera, unica casa, sicuramente fuori dalla galera Lui soffre ancora di più di quanto non soffra dentro. Perché è terribilmente emarginato fin da quando era bambino, perché è solo, perché ha sempre abitato in una stamberga pericolante, perché figlio di genitori “diversamente abili”, perché non ha avuto giocattoli, perché parla un’altra “lingua” e ha una diversa “gestualità”. Solo ed indifeso come lo sono stati i suoi nonni, suo padre e sua madre finché non sono morti. Il comandante generale dell’Arma facen-
Un solo giornale regionale ha riportato, in un trafiletto di qualche rigo relegato all’ultima pagina, la notizia della condanna di Ilario Primerano, giovane di 26 anni. In fondo, perché parlarne? Certamente il suo nome non è importante... ma la sua storia sì! Alle sue spalle non c’è una famiglia con la griffe di‘ndrangheta ma l’emarginazione e la sofferenza che si tramanda da generazioni.
Ilario avremmo potuto salvarlo A soli 26 anni ha alle sue spalle una decina di mandati di cattura. Se avessimo speso in prevenzione un decimo di quanto abbiamo speso, o spenderemo in futuro, per tenerlo in carcere, processarlo, arrestarlo e trasportarlo come un animale da zoo nelle varie carceri d’Italia, probabilmente lo avremmo salvato.
do rapporto al suo ministro lo conteggerà fra gli “assicurati alla giustizia” ed il procuratore generale della Cassazione tra coloro che hanno avuto più di una condanna. Il carcere è il luogo in cui lo Stato - nella sua attuale espressione storica - scarica la propria cattiva coscienza, la nasconde per non farla emergere dall’oscuro pozzo in cui l’ha relegata. In questo caso la “giustizia”(?) è stata celere come lo sa essere in Italia quando alla sbarra vi sono gli “scarti” della società o gli “eretici”. Primerano ha solo 26 anni ma alle sue spalle vi sono una decina di mandati di cattura. Se avessimo speso in prevenzione un decimo di quanto abbiamo speso, o spenderemo in futuro, per tenerlo in carcere, processarlo, arrestarlo e trasportarlo come un animale da zoo nelle varie carceri d’Italia, probabilmente lo avremmo salvato. Anzi ci saremmo salvati dall’essere associati a una condanna pronunciata in nostro nome, nel nome del Popolo Italiano. Ilario Primerano è simbolo di un dramma! Espressione autentica e genuina di uomini, senza volto e senza storia, che la Calabria produce col ritmo di una catena di montaggio e che vivono come pulviscolo atmosferico intorno e accanto a noi e di cui quasi mai ce ne accorgiamo. Forse, un giorno qualcuno, in carcere o fuori, insegnerà a questo “condannato recidivo” come usare una pistola e lui potrebbe anche prenderlo sul serio. Finora non l’ha mai fatto! Qualche giorno, qualcuno dirà che mancano le forze dell’ordine, i cancellieri, i
giudici, i processi in video conferenza... Chiacchiere a tabacchiere! La verità è una e una sola: manca la “Politica” in tutta la sua bellezza, con tutta la sua passione, con tutta la splendida e composta “rabbia”. La “politica” oggi celebra la religione dei sazi e non si occupa più della “plebaglia pezzente” ma da essa si tiene a debita distanza o ne nega finanche l’esistenza. I “criminali”, come Primerano, vengono processati in silenzio dai tribunali e affidati al “ braccio secolare” senza alcuna speranza di redenzione. Eppure la “Sinistra” era nata per occuparsi soprattutto di loro, del “Quarto Stato” ormai ricacciato indietro senza
neanche “l’onore delle armi”! Invece, oggi i suoi più autorevoli esponenti fanno la gara per esser invitati, sia pur nelle ultime file, a Cernobbio, oppure ad ascoltare i discorsi ufficiali per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, a sentire la relazione del governatore della Banca d’Italia, a partecipare a un incontro con Marchionne. In queste occasioni “eccellenze” di varia caratura, toghe ed ermellini, sfolgoranti divise stellate di medaglie e nastrini, impeccabili gessati, onorevoli e banchieri si danno appuntamento. Sono costoro l’alfa e l’omega dello “Stato”, i protagonisti veri della vita politica e sociale d’Italia. Tutto il potere è nelle mani del “partito”, degli iper garantiti, dei novelli “Pierino” dotati di doppi cromosomi. Quanta tristezza se potessimo volgerci indietro, quando - forse per una moda del momento - abbiamo considerato i “Primerano” “nostri” proprio perché non avevano nessuno, perché non avevano coscienza di classe, perché non conoscevano il “galateo”, perché gli “intellettuali organici” scrivevano libri collocandosi dalla parte dei “Franti” (il cattivo del libro Cuore)! Ripetevamo, riferendoci a costoro, che si erano seduti dalla parte sbagliata perché tutti gli altri posti erano stati occupati. Tracciavamo una naturale alleanza tra il “mondo del lavoro” e il “sottosuolo” di Dostoevskij, i miserabili di Hugo, gli ultimi di Fra Cristofaro, i ribelli di Spartaco. Insieme per costruire una società più giusta. Che grande bugia! Che storica impostura!
SETTIMANALE
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DOMENICA 23 APRILE
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È ancora vivo il ricordo della criminalizzazione di un'intera cittadinanza in seguito alla notizia della violenza subita dalla ragazzina di Melito. La Calabria, chissà perché, non poteva non sapere: era indubbiamente complice della furia del branco. Oggi la violenza colpisce Alatri eVigevano ma lì il crimine è solo roba di schegge impazzite.
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In Calabria il crimine di uno diventa di tutti GIUSEPPE GIARMOLEO futuro della Calabria passa anche dal superamento dei pregiudizi. Non sappiamo quanto tempo dovrà ancora trascorrere, ma è un passaggio necessario non solo per una questione di giustizia, ma anche per le prospettive di sviluppo economico. Occorre fare ancora molto strada anche se non siamo all'anno zero. Basta un confronto tra fatti di cronaca avvenuti di recente per rendersi conto che ancora c'è molto da fare. Ricordiamo i fatti di Melito Porto Salvo: la ragazzina violentata da tempo dal "branco". È ancora vivo il ricordo della criminalizzazione di un'intera cittadinanza che, chissà perché, non poteva non sapere e, pertanto era complice di una violenza, secondo una mentalità omertosa e criminale che, si sa, caratterizza la gente
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in Calabria. Per giorni Melito è stata oggetto di attenzione dei media nazionali: il mea culpa è stata la risposta delle realtà associative e istituzionali. Il sindaco della città ha detto che "abbiamo sbagliato tutti, che tutti siamo stati assenti: famiglia, scuola, chiesa, comune...". Oltre alle parole di ammissione di colpa (obbligatoria) vi sono state due manifestazioni: una a Melito, non molto partecipata e pertanto non abbastanza catartica, e l'altra a Reggio, meglio organizzata con impiego di studenti protestanti e trasportati a spese della Regione. Spenti i riflettori, esaurita l'emozione generata dalle comunicazioni istituzionali, attendiamo che inizi il processo nella speranza che si faccia chiarezza poiché, non dimentichiamolo, per ora nulla è stato definito da sentenza anche se le reazioni mediatiche hanno dato per scontato le tesi accusatorie, con buona pace della giustizia. Ma se consideriamo il giovane ammazzato ad Alatri e il caso di bullismo
verificatosi a Vigevano, ma l'elenco potrebbe continuare all'infinito, è possibile valutare la diversa narrazione che i media hanno fatto delle terribili vicende. A Vigevano "ragazzi normali" si sono trasformati in veri aguzzini di un loro coetaneo, leggiamo da un giornale locale: "La gravità delle violenze e della persecuzione nei confronti del 15enne, hanno raggiunto il loro apice nei mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017, quando i bulli, in una circostanza, secondo le accuse, dopo averlo braccato per strada, lo hanno costretto a ubriacarsi per poi trascinarlo in giro per la città legato con una catena come fosse un cane al guinzaglio. In un'altra occasione il branco lo ha denudato e tenuto appeso per le gambe da un ponte. Qui veniva costretto a subire atti sessuali. Anche in questa occasione la vittima è stata fotografata e le immagini poi diffuse". E che dire di Alatri? Il locale "controllato" da albanesi (da mafiosi albanesi?), una rissa, l'inter-
vento di due fratelli, "già noti alle forze dell'ordine", uno dei quali arrestato per droga e subito rimesso in libertà a termini di "Legge", che intercettano il ragazzo espulso dal locale e lo uccidono a bastonate. Per le modalità e per il contesto in entrambi i casi si poteva montare la questione dell'omertà, delle connivenze, della presenza di subculture criminali. Ma così non è stato fatto: il bullismo dei giovani di Vigevano, che pure era stato prolungato e pubblico e nulla aveva da invidiare al caso di Melito, non ha dato adito ad accuse di omertà anche se a sapere delle violenze erano in molti. Non si è parlato di connivenze diffuse e di responsabilità di scuola, chiesa, comune... non ci sono state manifestazioni o riflessioni sulla possibile subcultura che imperversa da quelle parti e che genera giovani capaci di questi delitti. I riflettori su Vigevano sono stati spenti subito e il caso archiviato dai media come una sbandata di qualche gio-
vane annoiato nel contesto del benessere nordico. Ad Alatri il sindaco si è affrettato a dire che la sua città non si identifica né con le bande che controllano i locali né con gli assassini del povero giovane: la responsabilità non è stata estesa, trattandosi di schegge impazzite in un contesto sano, anche se, volendo, non mancano elementi per affermare l'esatto contrario! Fuori dalla Calabria si può! Due pesi e due misure! Forse vogliamo che il "metodo Calabria" venga esteso alle altre regioni? No, perché è un modo sbagliato e infamante di fare informazioni. Vogliamo che si metta fine ai pregiudizi! La Calabria non è diversa dalle altre regioni: vogliamo essere raccontati con lo stesso metodo utilizzato nel resto d'Italia. Non vogliamo nascondere i problemi, ma alimentare pregiudizi è il modo migliore per non fare un solo passo avanti. I media calabresi diano l'esempio!
IN BREVE CALABRESE PER CASO * di Giuseppe Romeo
Se l’Antimafia non riconosce se stessa La crisi dell’Antimafia non è altro che la nemesi di una deriva giustizialista che ha ottenuto quale risultato quello di giustiziare se stessa. Un pò come Robespierre e il suo fatale rapporto con la sua crudele creatura: il Direttorio. La crisi dell’Antimafia, così come descritta da Forgione nel suo Libro I Tragediatori. La fine dell’Antimafia e il crollo dei suoi miti (Rubbettino, 2016) non è solo il risultato di indagini dissoltesi in assoluzioni, o nella strumentale associazione criminale di azioni politiche o di comportamenti penalmente non rilevanti. È il risultato dall’avere nel tempo, per speculazioni politiche e mediatiche, fatto nient’altro e in molte occasioni di tutta un’erba un fascio ricorrendo, e snaturandolo, a quel vincolo associativo che pur di configurarlo - in virtù dell’essere una fattispecie ritenuta di pericolo e a difesa preventiva - si riteneva di poter fare a meno di individuare all’inizio di un’indagine anche il reato fine. In questo non senso investigativo di un reato re-interpretato da forma libera in forma anarchica, l’ Antimafia sembra aver dimenticato negli anni, se non ignorato, il dettato costituzionale affermando nei termini, nei modi e nei fatti la prevalenza di un principio non legale di colpevolezza in luogo di un principio legale di innocenza sacrificando, quest’ultimo, a vanesie mediatiche per costruire veri e propri protagonismi personali al cui fascino in pochi hanno resistito. Eppure tornando al titolo del libro di Forgione, in Calabria, e nella Locride, la parola tragediatori ricorda uno scrittore puntuale, fine e sarcasticamente pungente. Un giornalista dotato di un non comune amore per la Calabria: Antonio Delfino. Delfino voleva dimostrare quanto fosse necessario rimettere in discussione un certo modo di interpretare i fenomeni criminali, di restituire dignità al gioco politico per evitare di giungere a due risultati emblematici a cui si è arrivati. Da una parte la criminalizzazione di un territorio e di uomini e donne responsabili solo per vincolo di parentela e per rendita di cognome di tutti i mali di una terra. Dall’altra, la sospensione preventiva della democrazia rappresentativa attraverso un ricorso diffuso al commissariamento dei comuni per ipotesi che spesso non si sono rivelate congrue, ma hanno giustificato, con esborsi non da poco, le
diarie dei commissari e assicurato prime pagine di giornali o servizi televisivi facendo allontanare dall’impegno civile gran parte dei cittadini calabresi. Per Delfino, l’esperiena storica dell’Antimafia ha trascinato con sè valori e speranze sulle quali pretendeva di costruire la sua credibilità per poi negarla con i fatti. Con le onlus che iniziavano a proliferare quasi in termini di monopolio sulle rendite o i beni sequestrati dallo Stato, con il trascinare in un vulnus di marchiatura per nascita giovani che invece chiedevano e chiedono di poter vivere in una società nella quale alle morse della criminalità non si aggiungesse uno Stato miopisticamente solo repressivo. Si è intervenuti, in molti casi, gettando nel calderone mediatico-criminale chiunque per il solo fatto di essere calabrese, o per aver conosciuto persone di cui non poteva non sapere, per un caffè piuttosto che per essere della locride. Si sono processati riti religiosi visti come una novità con la gente che si chiedeva dove fossero prima proprio coloro che hanno gridato allo scandalo. Si sono sospese amministrazioni comunali o si sono conquistati laicamente, come successo recentemente, pulpiti vari, come quelli di una chiesa per ricordare ai ragazzi che non è stata pronunciata la parola ‘ndrangheta durante la funzione come se ciò fosse da leggere come un’intenzione, senza pensare che il parroco e i ragazzi, magari, volessero andare oltre. Magari esorcizzare con la celebrazione della vita il senso del sacrificio piuttosto che il ricordo di un dramma vissuto già, drammaticamente, ogni giorno. Magari l’aspettarsi qualcosa di più dallo Stato nelle sue diverse espressioni. Magari il loro voler andare avanti senza essere costretti ogni volta a doversi volgere indietro per vergognarsi di qualcosa, confidando che chi ha il dovere di curare la malattia lo faccia e che questa non si trasformi in un alibi per altri fini, quasi ad emulare una multinazionale che spera nel ritardo della cura definitiva del male per moltiplicare le vendite del farmaco. La lezione di Delfino come di Forgione, di cui il primo apprezzerebbe oggi le posizioni del secondo superando le riserve del tempo, è che il rischio da evitare è che si possano presentare nuovi tragediatori. Ovvero, coloro che assumendo in sé un potere, alla fine inducono alla paura e al timore sconfinando, così, paradossalmente nello stesso strumento a cui ricorre la criminalità per dominare le coscienze.
Bivongi: martedì scorso presentata la lista a sostegno di Franco Carnovale Nel pomeriggio di martedì scorso, a Bivongi, è stata presentata la lista Alternativa Democratica, che sosterrà la candidatura a sindaco di Franco Carnovale per le prossime elezioni amministrative, in programma per l’11 giugno.
Minniti consegna 67 beni confiscati al comune di Reggio Calabria Martedì mattina il Ministro dell’Interno Marco Minniti è stato ricevuto nei locali della Prefettura di Reggio Calabria per la Conferenza regionale dell’autorità di pubblica sicurezza, durante la quale ha “consegnato” 92 beni confiscati alla ‘ndrangheta alle varie istituzioni presenti. «L’obiettivo non è quello di contenere la 'ndrangheta, ma quello di sconfiggerla» avrebbe affermato Minniti ribadendo un concetto già espresso in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. La cerimonia è stata ripresa anche dal
sindaco Metropolitano Giuseppe Falcomatà sul proprio profilo Instagram, sul quale ha pubblicato la foto del momento in cui Minniti consegnava al comune di Reggio Calabria 67 dei beni confiscati scrivendo che gli stessi verranno utilizzati per finalità sociali ed esigenze abitative. “La nostra Città sempre di più esempio virtuoso di contrasto concreto alla criminalità organizzata” ha concluso Falcomatà a commento della foto pubblicata, utilizzando, tra gli altri, l’hashtag #legalità.
DIVERSI SEGNALI FANNO SPERARE IN UNA LOCRIDE CAPACE DI CAMBIARE IL CORSECOM È SEMPRE PIÚ CONVINTO CHE DEBBA ESSERE IL COMITATO DEI SINDACI A GUIDARE QUESTO CAMBIAMENTO. Nel corso della sua visita nella Locride, il sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà ha lanciato un messaggio tranquillizzante sottolineando che il suo impegno nel contesto della Città Metropolitana si svilupperà con la stessa attenzione, con lo stesso interesse in tutta l'aria dell'ex Provincia, a prescindere che i territori siano vicini o distanti dalla città di Reggio Calabria. Falcomatà si è soffermato sulla struttura organizzativa che intende rendere operativa per cercare di risolvere problemi vecchi e nuovi che caratterizzano la precaria realtà del territorio locrideo. Molto dipenderà, ha sottolineato, dalla capacità che si dimostrerà nell'organizzarsi, nel fare rete e riuscire a parlare un unico linguaggio. Con que-
sto obiettivo ha assicurato la Sua presenza periodica sul territorio per seguire da vicino i progetti e le iniziative programmate. A seguito dell'incontro con Falcomatà, si sono tenute nel territorio iniziative molto apprezzate all'interno del direttivo del Corsecom che le ha interpretate come segnali di speranza per un cambiamento di rotta. L'arrivo di Artemis, piccola nave da crociera al Porto Delle Grazie, che ha consentito di fare giungere un primo gruppo di turisti americani alla scoperta della Riviera dei Gelsomini, nonchè i contatti in corso con altri armatori sono un chiaro segno che il Porto della Locride e dell'Area Metropolitana di Reggio Calabria sta crescendo. Inoltre, la recente Borsa Internazionale del turismo (BIT 2017)
che si è svolta a Milano nei giorni passati ha visto protagonista allo stand della Calabria il territorio della Riviera dei Gelsomini che ha mostrato le eccellenze di cui il territorio dispone. Ma quello che maggiormente ha incoraggiato la dirigenza del Corsecom è stato l'incontro con il Comitato Esecutivo dei sindaci, durante il quale il neo Presidente Rocca ha evidenziato le varie e più significative problematiche locali dimostrando volontà e determinazione nel volerle affrontare. Naturalmente, ha puntualizzato Rocca, per ottenere risultati, a essere decisi e determinati non devono essere solo i Sindaci ma è fondamentale una partecipazione attiva di tutte le forze sociali, culturali e produttive presenti sul territorio.
Siderno: Giunge alla XIII Edizione il Premio "Civiltà e Lavoro" Torna anche quest'anno il premio "Civiltà e Lavoro" istituito dal Comune di Siderno, giunto alla sua XIII edizione. Il premio sarà concesso a dieci cittadini residenti a Siderno che hanno compiuto sessanta anni di età, che hanno documentato una lunga attività nel rispetto della legge e hanno dimostrato di possedere alte qualità morali e grande attaccamento verso la Città di Siderno. Il premio sarà consegnato il I° maggio, in occasione della Festa del Lavoro.
REDAZIONALE
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DOMENICA 23 APRILE
Il Papero,la garanzia nel piatto Al Papero di Maurizio, Sonia e Maka è possibile scatenare i palati scegliendo tra un succulento menù che spazia dalla braceria alla pizzeria fino alla paninoteca, con una selezione di birre rigorosamente tedesche. Il percorso del Papero nasce da una passione e da una tradizione: quella della storica panetteria di famiglia, dove si accorreva per gustare il pane più "speciale" di Roccella. È lì che Maurizio ha appreso l'arte della panificazione, preziosa esperienza che gli è tornata utile quando ha deciso di lanciarsi nella fortunata avventura dei cornetti venduti alla dogana, con cui ci si poteva deliziare già a mezzanotte. Il nome di Maurizio ritorna in voga qualche anno dopo al porto di Roccella, dove ha iniziato a gestire, durante la stagione estiva, un'ottima pizzeria che presto ha potuto contare su una clientela affezionata e crescente. Oggi, forte di 43 anni di esperienza e di instancabile lavoro, Maurizio, insieme alla moglie Sonia e all'amica di una vita Maka, ha deciso di avventurarsi in una nuova promessa di bontà. Il 4 gennaio scorso, esattamente il giorno del compleanno di Maurizio, nasce "Il Papero", il cui logo è stato realizzato da Sonia per riconoscere l'impegno senza sosta del marito. Al Papero di Maurizio, Sonia e Maka è possibile scatenare i palati scegliendo tra un succulento menù che spazia dalla bra-
ceria alla pizzeria fino alla paninoteca, con una selezione di birre rigorosamente tedesche. Tra le carni cotte alla brace, il raffinato filetto di angus argentino, le irresitibili costine in salsa barbecue, il morbido e succoso galletto amburghese e poi largo spazio alle tanto amate grigliate miste. Ricca offerta anche per quanto riguarda la pizzeria con abbinamenti di alta classe e una selezione di materie prime di rispetto. Ma il vero fulcro del Papero è il panino: tra una fetta e l'altra c'è una bontà tutta da scoprire. Ogni sapore racconta una storia, quella di ogni ingrediente scelto e prodotto con cura e dedizione. I panini sono resi unici, oltre che dalle materie prime, dal pane realizzato personalmente da Maurizio secondo l'antica ricetta di famiglia: un letto soffice di gusto, buono anche da solo. Il re di questa ricca corte di panini è senz'altro "Il Papero", una seducente torre di bontà. All'interno ci trovi un mega hamburger di carne macinata al momento, bacon croccante, formaggio insuperabile, deliziosi cetriolini, squisita cipolla caramellata e insalata freschissima, il tutto arricchito da gustosissime salse. Un piacere incontenibile per fauci da spalancare
fino allo stiramento dei muscoli! Altro pezzo forte del Papero sono i primi: spaghetti alla Corte d'Assise, all'Amatriciana, Cacio e Pepe e alle vongole e pomodorini. Una trionfale goduria dei sensi: la gioia degli occhi, quindi del naso per il mix dei profumi e, in ultimo, l'euforia massima del palato. Solo dal Papero trovi il mega wurstel da 450 grammi, un piacere superbo che non ha nulla a che vedere con i classici wurstel commerciali. Altra specialità del Papero sono le stuzzicanti tortillas, simbolo della cucina messicana; i brezel, tipico pane tedesco intrecciato; gli originali antipasti di mare serviti in invitanti barattoli di vetro e gli adorabili Poldobuns e Squiddibuns, ottimo pollo e maiale sfilacciato. Dal Papero puoi anche prenotare il tuo menù su richiesta, ordinandolo solo 24ore prima. Una carta davvero interessante quella proposta da Maurizio, Sonia e Maka e a prezzi accessibilissimi. Qui ogni piatto è un microcosmo di bontà. Maria Giovanna Cogliandro
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POLITICA
LA PUNTUALIZZAZIONE
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DOMENICA 23 APRILE 10
Torna l’appuntamento con la politica che ci piace: la querelle scaturita in seguito alla campagna di tesseramento del Partito Democratico ha già prodotto le riflessioni del vicesindaco di Roccella Jonica, Vittorio Zito, e del dirigente scolastico Vito Pirruccio. Per approfondire meglio quanto raccontato nelle precedenti“puntate”, ospitiamo questa settimana la risposta di un altro esponete della politica locale,Vincenzo Bombardieri, che invoca uno sforzo per costruire insieme un futuro migliore.
Noinonaccettammolavisione del partito come“Ditta” eggo su “Riviera” un intervento di Vito Pirruccio che riprende una precedente riflessione di Vittorio Zito, in ordine al modo di essere del Partito Democratico e ad alcune obiettive distorsioni cui, a livello locale, nel nostro caso nella Sezione di Roccella, siamo costretti ad assistere. Una parte della riflessione di Pirruccio mi pare condivisibile, ancorché tardiva. Mi pare, però, che ci sia qualcosa da aggiustare in ordine alla ricostruzione storica dei processi politici che si sono determinati a Roccella nella fatidica consultazione del 2009. Ringrazio, ovviamente, Pirruccio per avermi definito “fidato” di Sisinio Zito. Non so se il nostro abbia usato la definizione nella sua accezione malevola, in questo caso me ne spiacerebbe un poco. Io comunque la accolgo con orgoglio. È vero, lo confesso, Sisinio Zito si fidava di me, e io mi fidavo di Lui. Mi sono fidato del Senatore quando, 10 anni prima, ero Segretario provinciale del Partito Popolare Italiano e, assieme a una nuova generazione di amministratori di Roccella, prendemmo atto del fallimento della precedente politica del PDS e “costringemmo”, con la condivisione della segreteria provinciale di quel Partito, la sezione di Roccella a costruire “obtorto collo”, una nuovissima proposta di centro sinistra per il paese. In quella occasione fui io, assieme ad altri, a invitare Sisinio Zito, che da tempo aveva deciso di dedicarsi esclusivamente al Festival Jazz “Rumori Mediterranei”, a tornare all’impegno politico e al lavoro, come Sindaco, per il suo paese. E fu una stagione straordinaria, che ha preparato la strada ai successi che ancora oggi l’Amministrazione di Roccella raccoglie. Quello del 2009 fu un passaggio molto delicato. Sisinio Zito, che aveva guidato il paese per due legislature, non poteva ricandidarsi per la terza volta e, allo scadere della legislatura nacque, per la prima volta a Roccella, il Partito Democratico. Aderimmo a quella esperienza in perfetta buona fede, ritenendo che una tale adesione non impedisse, ma anzi fosse coerente, con il riconoscimento dello straordinario lavoro svolto dall’amministrazione, e con la volontà di proseguire quel percorso. Un percorso nel quale l’amministrazione aveva sempre dimostrato, per volontà del Sindaco e di tutti quelli che ne facevano parte, di mirare alla promozione dell’interesse esclusivo di Roccella, senza che l’appartenenza a un partito potesse minarne il lavoro quotidiano. Con questo spirito aderimmo al PD. Trovammo però, è inutile negarlo, ostilità e, in definitiva, un disegno già preconfezionato, cui, mi spiace dirlo, si prestò anche il segretario che unitariamente avevamo contribuito a eleggere. Mentre noi ci sforzavamo, nel partito, di giungere a una candidatura a Sindaco condivisa da tutti, e ovviamente diversa da quella che dal livello provinciale si voleva a tutti i costi imporre, il candidato “in pectore” raccoglieva le adesioni dei suoi iscritti per presentare la sua candidatura alla primarie. Quella che allora non accettammo era, e ancora oggi è, una visione del partito come “Ditta”, che pretende di imporre dall’alto le proprie scelte, preferendo la battaglia del tesseramento a quella nella società civile, che ha l’unico obiettivo di vincere nel partito contro i propri avversari interni, e non quello, credo più importante, di vincere nel paese, nel rapporto con i cittadini. Se ci si pensa bene questo è, in larga parte, ancora oggi il vizio del Partito Democratico, ove, purtroppo ,anche a prescindere dalla figura di Matteo Renzi, resistono, in numerose realtà locali, le logiche della “Ditta”. Mi spiace che Pirruccio non abbia saputo resistere a questo riflesso condizionato, rischiando, non prendendo atto di ciò che successe allora, di svilire la sua pur onesta riflessione sul modo di essere oggi del partito di Roccella.
L
“La politica è futuro, ma il nostro tempo personale è limitato. Io credo che si debba fare uno sforzo per guardare a un tempo che solo in parte ci appartiene e alla nuove generazioni che, ritengo, siano interessate a lavorare per costruire le sorti della loro cittadina negli anni che verranno”.
“Roccella Prima di tutto”, se ci si pensa, ha anticipato, nel 2009, la riflessione che ha poi condotto, nel 2003, alla vittoria di Matteo Renzi. Non a caso, insieme agli amici e compagni del movimento “Roccella Prima di tutto”, fummo i primi a sostenerlo, anche quando i compagni della “Ditta” propendevano per la candidatura di Bersani. Tornando al 2009, è bene ricordare che la politica non è solo una questione di tecnicismi. L’avere partecipato alla redazione di un regolamento per le primarie non impediva, in quel momento, a me e al movimento cui appartengo, di effettuare in perfetta trasparenza la scelta politica di non partecipare a quelle primarie. Come forse Pirruccio saprà, le scelte politiche vengono prima dei tecnicismi, e immaginare come lui ha fatto all’epoca, di inscatolare un’esperienza amministrativa nei tecnicismi, per poi tentare di liquidarla politicamente, era, ed è, una ipotesi francamente ingenua e irrealizzabile. Ma di questo si è discettato, e abbondantemente, in quella campagna elettorale del 2009, e i fatti dimostrarono quale fosse la scelta giusta. Il candidato imposto dal PD perse le primarie, e quel partito non ebbe alcuna rappresentanza nel Consiglio Comunale. In sostanza, il tentativo di liquidare politicamente l’esperienza amministrativa della Giunta di Sisinio Zito fallì, perché contrario al sentimento dei cittadini. “Roccella prima di tutto” vinse le elezioni e, nella legislatura successiva, realizzò, tra le altre cose, la rivoluzionaria iniziativa dell’avvio della Raccolta differenziata, un percorso corale, voluto da tutto il Paese, che credo abbia rappresentato una delle punte più alte di empatia tra un’amministrazione civica e la propria cittadina. Detto questo non intendo sottrarmi alla riflessione che Vittorio Zito ha avviato, la quale, partendo dal caso di Roccella, mi sembra ci stimoli, più in generale, a riflettere sulle forme nuove della partecipazione alla vita politica. Viviamo in un tempo in cui la funzione dei partiti, intesi come tradizionale organizzazione intermedia del tessuto sociale, è nei fatti superata. In Italia e nei più grandi paesi del mondo si affermano iniziative che vincono, proprio in quanto scavalcano un modo di essere della politica antico, rissoso e inconcludente. In questo senso, discutere della possibilità o meno di aderire a un partito, legata alla volontà di un capo locale, mi pare una prospettiva di retroguardia, su cui non val la pena di attardarsi. Un partito, a maggior ragione quello Democratico, o è aperto, disponibile al dialogo, vivo dentro le vene aperte della società, oppure, ovviamente, non è. E se è aperto, come sembra proporci oggi Matteo Renzi, esso, hanno ragione Vittorio Zito e Vito Pirruccio, apparterrà a tutti coloro che ne condividono i valori, che ne abbracciano le battaglie, che ne inverano, nell’impegno civile e nell’attività amministrativa, gli ideali ispiratori, a prescindere dal possesso di una tessera o dal posto in un direttivo. In questa prospettiva, lo dico con affetto a Pirruccio, non credo si tratti, oggi, di decidere chi debba avviare un dialogo “tra” noi. Occorre, invece, capire se si voglia avviare un dialogo “con” tutti quelli che ci stanno intorno, cogliendo dal passato solo le ragioni di una crescita. Perché, lo dico prima di tutto a me stesso, la politica è futuro. E il nostro tempo personale è limitato. Io credo che si debba fare uno sforzo per guardare al futuro, un tempo che solo in parte ci appartiene e guardare alla nuove generazioni che, ritengo, non siano interessate alle battaglie interne di un partito, ma a concorrere, a lavorare per costruire le sorti della loro cittadina negli anni che verranno. È questa la chiave di volta per un dialogo nuovo e costruttivo: guardare lontano. Sisinio Zito si fidava di me, e io continuo a fidarmi di questo suo insegnamento. Vincenzo Bombardieri
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Silenzio,
DOMENICA 23 APRILE 12
Viviamo nell’epoca del ruomore, e non mi riferisco soltanto al rumore che possiamo percepire con il nostro orecchio, ma anche a quello che possiamo vedere, nato dalla volontà di accentuare qualsiasi cosa pur di farla notare.
per favore In architettura, sollecitato dalla concorrenza contro la quale si vuole imporre, il progetto assume un atteggiamento sempre più chiassoso e , non essendo in genere supportato da migliorie di contenuto, falso. Il risultato è un crescendo assordante (o, per essere più esatti: accecante) che incremente l’aspetto più volgarmente esteriorme del progetto.
PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO
L’italiano "silenzio" è la continuazione del latino silentium che deriva a sua volta da sileo, ”tacere, mettersi in silenzio”, legato semanticamente a taceo che fornisce l’aggettivo tacitus. Di probabile ascendenza indoeuropea, silentium si contrappone da semore al chiasso, al rumore e alle ciarle, ed è lodato dagli antichi e dai moderni come circostanza e condizione rara e preziosa e come virtù ineffabile. Il predicatore medioevale Pelbardus de Temesva’r nel ricostruire le fattezze e carattere della Madonna dice: "Era bella e amava soprattutto il silenzio". La caratteristica forse più atroce della nostra epoca è il rumore. Più crudele ancora di quello reale delle automobili e degli aerei, delle discoteche e delle fabbriche, delle feste e delle guerre è il rumore metaforico: quello delle opinioni spesso modeste proclamate a gran voce, dei punti di vista ovvi inutilmente urlati, delle dichiarazioni non di rado triviali strillate in tono assordante. Sembra, a volte, che chiunque abbia qualcosa da dire, (o creda di averlo) si senta in dovere di gridare il più forte possibile. Ciò che vale per i suoni è vero anche per le immagini. Non soltanto le nostre orecchie, anche i nostri occhi vengono costantemente bombardati da una massa strabordante di stimoli sovraecci-
tati. Qualsiasi caratteristica di qualsiasi cosa viene esageratamente accentuata per rendere la cosa stessa in qualche modo notevole. Ne deriva un gigantesco schiamazzo visivo, una cacofonia ottica fastidiosa e accecante. L’urbanistica, l’architettura, il disegno artigianale e quello industriale non si astengono da questa triste gara. Di fronte ai committenti, nei concorsi, sulle pagine delle riviste, negli stand dei saloni e delle fiere, nei negozi e nei cataloghi bisogna farsi notare. E per farsi notare è indispensabile, così si crede, apparire inconfondibili, strabilianti, fuori del comune. È indispensabile, insomma, far rumore. Si viene così a creare un perfido circolo vizioso. Sollecitato dalla concorrenza contro la quale si vuole imporre, il progetto assume un atteggiamento sempre più chiassoso e, non essendo in genere supportato da migliorie di contenuto, falso. D’altro canto, anche i progetti concorrenti perseguono la medesima strategia e non cessano di rafforzare il loro impatto visivo. Il risultato è un crescendo assordante (o, per essere più esatti: accecante) che incrementa soltanto l’aspetto più volgarmente esteriore del progetto a discapito della sua sostanza, una spirale assurda nella quale ogni vincitore del momento viene subito sorpassato da un altro e tutti si ritrovano, alla fine, dalla parte dei perdenti. Anche e soprattutto gli utenti, sempre più rintronati e infastiditi dai martellanti bombardamenti di sollecitazioni sempre più forti. Pochi mesi orsono un amico, guidandomi attraverso il labirinto urbano di New York, mi portò a vedere un grattacielo. Non l’ave-
vo mai visto dal vero, ma ricordavo bene la sua immagine, non a caso apparsa nel 1977 sulla copertina del libro The Language of Postmodern Architecture di Charles Jencks: era, allora, l’edificio più curioso che si potesse immaginare. Giunti che fummo in un crocicchio affollatissimo nel cuore di Manhattan, l’amico mi disse: Eccolo. Guardai. L’edificio naturalmente era lì, dove l’amico mi indicava, niente affatto modificato, eppure stentai a riconoscerlo. Perché attorno a esso erano sorti a dozzine edifici ancora più curiosi che lo facevano apparire, al confronto, quasi normale. Il baccano non si vince alzando la voce, la confusione non si combatte gridando sempre più forte. Nè l’uno né l’altra sono mali effimeri, incidenti di percorso: sono parte della condizione del nostro tempo. Più precisamente: sono parte del Moderno. Contro di loro i palliativi sono inutili. Occorrono ben altre, ben più vaste strategie culturali. Già nella lettera di Lord Chandos del 1902 Hugo von Hofmannsthal aveva dichiarato: "Invero la lingua in cui mi sarebbe forse dato non solo scrivere ma anche pensare non è la latina, né l’inglese, né l’italiana o la spagnola, ma una lingua in cui mi parlano le cose mute e in cui io forse un giorno nella tomba mi discolperò davanti a un giudice ignoto". Per lui la parola era indecente. Analogicamente il suo grande antagonista, Karl Kraus, scriverà nel 1914: In quest’epoca rumorosa che rimbomba dell’orribile sinfonia dei fatti che producono notizie e delle notizie che sono colpevoli dei fatti: in quest’epoca non si attendano da me nessuna parola particolare, nessuna fuor
che questa, che serve appena a preservare il silenzio del fraintendimento... Né potrei dire una nuova parola, poiché nella stanza dove uno scrive il rumore è così forte, e se provenga da animali, da bambini o solo da mortai, non è cosa da decidere ora. Chi aggiunge parole ai fatti deturpa la parola e il fatto ed è doppiamente spregevole. Questa professione non si è estinta. Quelli che ora non hanno nulla da dire, poiché il fatto, ha la parola, continuano a parlare. Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia. Kraus, come anche Hofmannsthal, si riferiva alla grande epoca nella quale viveva, quella che preludeva al primo conflitto mondiale; ma ambedue prefigurano la crisi della cultura europea che doveva turbare tutto il Ventesimo secolo. La loro intuizione di un nuovo Ordine senza ornamenti, di un’epoca fatta di giorni freddi e sobri troverà conferma nell’ascesi di Adolf Loos, nel rigorismo di Heinrich Tessenow, nell’essenzialità di Ludwig Mies van der Rohe. E noi? Noi, non altrimenti dei nostri maestri e predecessori, non possiamo combattere il rumore con il rumore, il caos con il caos. Non ci è consentito alzare la voce sopra il blaterare dilagante; non ci è dato contrapporre alla grandine di immagini che ci affligge un’immagine altra, più vera e forte. Sarebbe inutile: nessuno ci sentirebbe. Nessuno, soprattutto, ci ascolterebbe. Nel mezzo del clangore delle ultime esasperazioni di moda, nel baricentro del terremoto di stimoli che sta dilaniando il mestiere del progettare, dobbiamo, se davvero abbiamo qualcosa da dire, farci avanti e tacere.
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Ernesto ha finito di scrivere poesie
Il cuore di Ernesto Panetta ha cessato di battere all'una e trenta di giovedì 2’ aprile, dopo un calvario di operazioni chirurgiche e continue sofferenze durato oltre dieci anni negli ospedali di tutta Italia... I funerali del poeta dialettale, la cui camera ardente è stata allestita nell'Ospedale di Locri, dove era in coma da oltre dieci giorni, si sono svolti venerdì 21 aprile nella Chiesa situata sul corso principale di Locri.. Franco Blefari
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Solo pochi giorni fa l'amico Carlo Ernesto Panetta scriveva queste poche righe su un mio articolo apparso su la riviera dopo le apparizioni delle scritte sui Muri di Locri..Grazie caro amico dai vecchi trascorsi alla prima Radio libera della Locride..Tele Radio Locri .col tuo pseudonimo di Attila..tvb.. ciao.R.I.P. " Grande Antonio Tallura che ha reso visibile uno spaccato dell'era dei nostri avi della nostra Umile Terra, travolta da innocenti "barbarie" naturali costanti che hanno segnato la esigua perizia e cultura di chi, inconsapevolmete, incoscientemente, ha dato, nel tempo, valenza del detto "dassa ca poi"! Siamo all'odierno molto sentito "Eu fu...." Grande la storia...ma senza contenuti. "EU FU..." MA CHI FU E CU' FU ? Antonio Tallura
DOMENICA 23 APRILE 14
L’11 maggio 2017 il pellegrinaggio alla Madonna dello Scoglio
Lettera a Dio: Camminare pregando per la vita - il prosieguo... Carissimi lettori, definito che vogliamo ripristinato il Nostro Ospedale, trovata la via da seguire per risvegliare i cuori, chiedo a voi tutti la collaborazione per unificare a gran voce le nostre richieste! Diciamo che: “Na nuci ntà nu saccu no scrusci…” Ma tantissime noci, battendo fra di loro, faranno rumore. Più siamo e più il fragore sarà forte da farci sentire a chi di competenza che, commosso dalla nostra unione, non potrà fare a meno di ascoltare le nostre richieste. Chiediamo forse troppo? NO. Chiediamo solo di salvaguardare la vita umana! Penso che sia un nostro diritto! Quindi, cittadini della locride, uniamoci in questa marcia verso Maria e a gran voce facciamo la nostra preghiera. “L’Unione fa la forza” si diceva tanto tempo fa… La vita di oggi ha portato la gente a chiudersi in se stessa, dentro le proprie case di cemento, stanche degli impegni giornalieri, dimenticando che la vita è bella se ti doni all’altro. Insieme segniamo questo primo solco dal quale, con tempo e con perseveranza, nascerà una piantagione rigogliosa. Il Signore benedice l’uomo perseverante le cui azioni sono rivolte al bene! Queste sono opere di carità che ci rendono forti e felici di fare qualcosa per il prossimo e per noi stessi. Nei prossimi giorni verrò nei vostri
paesi, partendo da Siderno, Locri, Gerace ecc… fino a Placanica, e porterò l’invito ai vostri parroci e a tutti i cittadini della Locride. Cercherò di potermi incontrare con i medici dei vari reparti ospedalieri che sceglieranno liberamente se unirsi a noi. Troverete i miei manifestini con il programma del pellegrinaggio nelle chiese e nei negozi. IL PELLEGRINAGGIO ALLA MADONNA DELLO SCOGLIO, che verrà fatto l’11 maggio 2017, si svolgerà in due fasi: 1°) partenza con autobus di linea cominciando da Locri, Siderno e cosi via, raccogliendo per strada tutti i partecipanti; 2°) arrivati al bivio di Placanica si continuerà verso il Santuario a piedi o con l’autobus, a scelta, secondo le proprie condizioni di salute. A marciare con noi ci saranno,
oltre i medici, i ministri di Dio (parroci delle varie parrocchie della Locride), gruppi di preghiera, catechisti, ma anche tanta gente sportiva che porta nel cuore il grande AMORE per MARIA! Continuerò, in un secondo momento, una raccolta fondi per il reparto di pediatria dell’ospedale di Locri, organizzando la PRIMA EDIZIONE DELLA FESTA DELLA MAMMA il 14 maggio 2017 in piazza Portosalvo, a Siderno. Vorrei avervi tutti con me, sarebbe il coronamento del mio grande sogno! Vi ringrazio anticipatamente per la vostra disponibilità, perché credo che i vostri cuori vogliano chiedere questo miracolo a Dio, come pure io mi sento di fare. Maria Macrì
LA POESIA
L’ANNIVERSARIO DI MATRIMONIO
Tempi nuovi
Siete l’incarnazione dell’Amore vero
Di tanto in tanto, e meno male, accade che nell’andamento naturale della vita avvengano delle sorprese. Come è bizzarra la natura, nel praticello davanti casa, può far, sorprendentemente, spuntare un fiore bianco. Non si fa in tempo ad ammirarlo a guardarlo, che subito i rovi, le sterpaglie, gli crescono accanto e fanno a gara per nasconderlo, soffocarlo! Altri tempi verranno e il futuro, in quel praticello, mostrerà fiori, con colori smaglianti, e con profumi inebrianti! Gli sterpi, i rovi, i rifiuti delle stalle, verranno bruciati, e il loro ricordo si dileguerà con il fumo delle ceneri. B.G.
Salvatore Fazzolari, il fotografo dei momenti più belli Armato della sua inseparabile macchina fotografica ha catturato momenti di pura felicità. Ha accompagnato sposi all'altare e neonati alla fonte battesimale. Ha immortalato migliaia di torte di compleanno e anniversari, gioendo di fronte a baci e applausi. Un collezionista di immagini e di ricordi lieti, Salvatore Fazzolari, scomparso la notte di Pasqua, all'età di 58 anni, stroncato da infarto. La redazione di Riviera si unisce con affetto al dolore dei familiari, esprimendo sentite condoglianze.
Auguri! Auguri! Auguri! Quante volte offriamo i nostri auguri agli altri. C'è chi lo fa quotidianamente con la propria umanità, con il proprio “... amore negli altri”. Chi li offre sporadicamente e chi non si ricorda. Di auguri a una coppia di sposini, che oggi festeggiano il loro 51° anno di matrimonio, di auguri dovrebbero essere fatti a quintali, tonnellate, chilometri di inchiostro e ore di parole per dire: auguri di buon anniversario per il vostro amore, che da 51 anni è la dimostrazione di quanto oggi l'Amore, quello con la A maiuscola, sia forte e duraturo, che non ha niente a che fare con quello delle nuove generazioni. Dimostrazione di come sia diverso. È vero, l'amore del recente
passato, a confronto con il significato di amore di oggi, è cambiato nel suo contenuto, nei suoi valori. Oggi non si riesce a salvarsi e a salvare in nome dell'amore. È molto raro che questo accada. Un amore vero, sentito, quello di Domenico Congiusta e Concetta (Rita) Sansalone, che hanno cementato immediatamente dal primo incontro. Un amore nato come un colpo di fulmine, una saetta divina che Eros ha scagliato riconoscendo in loro l'amore eterno. È da quel giorno di 51 anni fa che Mimmo, al mattino, si sveglia prima di Rita. Prepara il caffè, lo versa nelle due tazzine del più bello tête à tête e lo degusta assieme alla moglie sul bordo del letto. Un gesto
che credo oggi nessuno, o pochissimi uomini fanno, se non quelli che hanno un amore infinito nei confronti della propria moglie. Un amore che ha fatto nascere Giuseppe. Figlio devoto, che sposando Silvana ha riempito d’orgoglio l’animo dei genitori che, diventati nonni di Domenico, prossimo alla maturità, e di Francesco (un piccolo birbante), sono sempre di più innamorati e dediti alla crescita della famiglia. Oggi, come tutti i giorni, nella dedizione al lavoro e all’umiltà, l’amore di Rita e di Mimmo si rinnova nella gioia di tutti i parenti. Auguri! Auguri! Auguri per altri 51 anni d’amore! Pasquale Muià
Il letale e anacronistico ossimoro del palazzo - 11 Un parlamentare interdetto dai pubblici uffici? “Decade dal suo mandato ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”. Chi dispone della sua decadenza? La Camera d’appartenenza, “salvo violare le regole della Costituzione e della legge”, che sono “chiare e stringenti”. E in caso contrario? “Significherebbe che un parlamentare, qualunque fosse il reato da lui commesso, sarebbe comunque inamovibile, conclusione infondata ma anche aberrante”. Pensate al commento di un parlamentare dopo che il Senato ha salvato Minzolini, per il quale la giunta per le autorizzazioni aveva deliberato la revoca del mandato parlamentare? Vi sbagliate, era il 31 luglio del 2007 e Montecitorio doveva votare la decadenza da parlamentare di Cesare Previti,
condannato in via definitiva nel processo Imi – Sir e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. “Quello che oggi in questa aula celebriamo non è un giudizio nel merito delle accuse formulate nei processi all’onorevole Previti. Non ci compete. Siamo chiamati a prendere atto di una decisione formulata dalla magistratura in tre gradi di giudizio e passata in giudicato con la pronunzia della corte di Cassazione. Ne dobbiamo prendere atto e assumerci la responsabilità delle conseguenti decisioni che competono soltanto a questa Camera”. All’epoca, ovviamente, non esisteva la legge Severino. Però, il Parlamento doveva esprimersi sulla decadenza di Previti da parlamentare, perché dopo la condanna in via definitiva e l’interdizione dai pubblici
uffici aveva perso i diritti elettorali attivi e passivi. “Non è possibile in alcun modo, con nessun argomento, complicare la realtà dei fatti che è, al contrario, estremamente semplice. Un cittadino interdetto in perpetuo dai pubblici uffici non è più titolare dei diritti elettorali, non può più votare e di conseguenza non può più essere eletto, e se è già stato eletto ed è parlamentare decade dal suo mandato ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione” (secondo voi di chi si tratta? -continua)… Il 15 aprile del 1967 moriva Totò. Nel cinquantenario della morte, purtroppo, dobbiamo constatare l'amara attualità della classificazione fra Uomini e caporali che, in maniera apparentemente scherzosa ma profondamente riflessiva il Nostro Grande poneva come
domanda. Non desidero, per il momento, parlare de “A livella”, sarebbe lungo. Mi piace ricordare “A cunzegna”. «A sera quanno ‘o sole se nne trase e dà ‘a cunzegna a luna p’ ‘a nuttata, lle dice dinto ‘a recchia: “L’ vaco a casa: t’arraccumanno tutt’ ‘e nnammurate”». Ecco, col dolce sorriso dell’intelligenza, il Grande Totò ci immette nelle verdi praterie dell’Armonia universale dove non ci sono più nobili e netturbini, ma Uomini cementati dall'Amore nel reciproco rispetto della dignità e della libertà. Per dirla con un altro Grande, Dante Alighieri “L'Amor che muove il sole e le altre stelle”. Mi sento più buono, sarà l'effetto catartico della resurrezione della Pasqua? Tonino Carneri
FESTIVITÀ A CURA DI JACOPO GIUCA
Cartolina dall’antica San Luca Se è vero che il giorno di Pasqua Gesù è resuscitato in tutto il suo fulgore, è anche vero che in alcuni paesi la sua Mamma se l’è vista piuttosto brutta: a Pizzoni, durante la rituale corsa ha perso il busto e la testa, in un altro paesino sì è rotta la schiena ed in un altro, se è vero ciò che mi hanno riferito, un prete voleva per forza farle indossare il reggiseno: un accessorio abbastanza inutile visto che, secondo le tradizioni, le Madonne sono effigiate piatte come un’autostrada. E sinceramente me ne dispiace perché per me, cresciuto in una famiglia cattolicissima, la Vergine Santa è una di famiglia. Comunque, il clou del giorno di Pasqua è “a cunfrunta, come diciamo a San Luca o “L’affruntata” come si chiama in altri paesi. Ma gira volta sempre di una corsa di santi si tratta con talora funeste conseguenze per qualcuno dei protagonisti. Io adesso non vado più a vedere queste manifestazioni perché il san Giovanni Evangelista che caracolla fra la Madonna e suo Figlio non è più quello della mia San Luca di bambino. Questo è asettico, efebico, timidino tanto da sembrare un santo perbene Invece quello mio di bambino era tutta un’altra cosa: prima di tutto non era un San Giovanni autentico ma un san Francesco Saverio riciclato in san Giovanni per l’occasione. E poi, poveraccio, era tanto scalcagnato da far pensare che il suo intagliatore doveva avere più di un conto da regolare con lui. Diversamente non si capisce come gli fosse venuto fuori quello sgorbio con i pochi capelli appiccicati sul cranio, un’oscena tonsura ed un occhio strabico che sembrava fissare insistentemente qualcosa, senza però riuscire a focalizzarla. Come non bastasse, la parte inferiore era costituita da un tronco di cono in legno. Per cui quando gli infilavano la cotta e la stola con su un sontuoso “Resurrexit” vergato con magnifica calligrafia dal vecchio prete e cominciava a correre pareva avere addosso una veste a campana. Eppure, con quell’aspetto più da vecchio pirata incarognito che non da santo, era lui e non il Cristo e la sua Mamma il protagonista della “cunfrunta” Era lui il più seguito dai bambini che gli correvano dietro e che inconsapevolmente sacrileghi gli ritmavano “Gianni, Gianni tu fazzu tantu” E ritenevano inutile precisare cosa. Forse non era un santo, diciamo così, regolamentare, ma siccome alla fin fine si mostrava goliardico, gagliardo e tosto, dispiaceva vederlo quando qualche giorno dopo lo spogliavano dei paramenti, lo privavano della parte inferiore, lo riponevano nello stipo della sacrestia vecchia dove marcivano i santi di terza o quarta mano e per un intero anno tornava ad essere un san Francesco Saverio qualunque. Mario Nirta
Pasqua
Metropolitana
Archiviate anche quest’anno le festività pasquali è il momento di fare un breve bilancio dei temi portanti di questa festa nel nostro territorio. Come sempre, grandissima attenzione alla tradizione ma, tra turismo in crescita e controlli straordinari, i ricordi indelebili di Pasqua 2017 molto probabilmente resteranno l’Affruntata rovinata a Pizzoni e il ritorno in grande stile della Sguta a Siderno.
Fiesta aSiderno Fiesta, siderno@festival, la sagra pasquale svoltasi lo scorso week end per le vie della nostra città, verrà probabilmente ricordato come il primo evento il cui successo è stato frutto esclusivo del lavoro sinergico tra l’Amministrazione Comunale e le associazioni territoriali. La tre giorni, infatti, nata dalla collaborazione tra Comune, Consorzio Bridge Erasmus +, Pro Loco, Consulta Cittadina e Consulta Giovanile, cui si sono unite le associazioni Pasticcieri e Cuochi reggini, è infatti riuscita nell’intento di attirare un numeroso pubblico proveniente da tutto il comprensorio, soddisfando le aspettative sia di chi cercava di trascorrere semplici giornate di svago, sia di chi voleva invece assistere a sapienti approfondimenti culturali. L’appuntamento inaugurale, infatti, è stata la presentazione del libro concerto Del sangue e del vino di Ettore Castagna, un confronto con l’autore organizzato dall’Associazione Amici del Libro e della Biblioteca, che ha fatto conoscere al pubblico sidernese il thriller d’esordio dello scrittore e musicista. Come da tradizione, poi, la Pasqua è stata attesa presso la chiesa di SS. Maria di Portosalvo, dove la veglia, officiata a partire dalle 22, ha accompagnato i fedeli fino alla mezzanotte. Ancora all’insegna della tradizione la prima parte
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Anche quest’anno è andata in archivio la Pasqua, come sempre contrassegnata dalle funzioni religiose, dalle cerimonie della tradizione e dalle prime gite fuori porta. Ma, al di là degli eventi ciclici, che cosa ricorderemo davvero della Pasqua 2017? La prima Pasqua della Città Metropolitana di Reggio Calabria è stata indubbiamente segnata dalla cronaca. Le notizie di punta dei giornali provinciali, infatti, nei giorni di Pasqua e Pasquetta, sono state quelle relative dalla protesta dei lavoratori di Gioia Tauro che, coadiuvati dalla presenza di Klaus Davi, hanno cercato di avviare un dialogo costruttivo con il Governo culminato nell’incontro a Roma di mercoledì scorso. Anche di Locride si è parlato solo in relazione ai controlli straordinari che le forze dell’ordine hanno condotto nei nostri 42 comuni in nome della sicurezza e, sempre a proposito di legalità, la visita del Ministro dell’Interno Marco Minniti a Reggio e i preparativi della partita tra cantanti e magistrati di venerdì mattina a San Luca rimarranno certamente impresse nella nostra memoria per lungo tempo. Quella del 2017 sarà ricordata anche come la Pasqua della distensione dei consumi e dell’aumento delle presenze turistiche in tutta la regione. Malgrado le condizioni atmosferiche incerte e nonostante il sempre più denunciato “turismo di ritorno”, che ha visto come sempre un gran numero di persone originarie della nostra terra tornare a fare visita a parenti e amici, ristoratori e albergatori si sono detti soddisfatti per i risultati conseguiti. L’apertura straordinaria di musei e centri archeologici è
stata un ottimo stimolo per moltissimi viaggiatori, come testimoniano i biglietti staccati nel fine settimana, mentre nei paesini, a farla da padrone, sono stati come sempre gli appuntamenti con la tradizione. È il caso di Caulonia e Stilo, dove sono risultate come sempre molto partecipate, rispettivamente, la “Svelata” e la “Cunfrunta”. Sono stati moltissimi, infatti, gli spettatori, provenienti anche dai paesi limitrofi, che si sono riuniti domenica mattina ai piedi delle statue. In entrambi i casi, la suggestiva rappresentazione, che ha moltissimi punti di contatto con la “Svelata” che si svolge a Siderno e numerose altre processioni simili, ha luogo subito dopo la conclusione della Messa pasquale e celebra il primo incontro tra la Madonna e Gesù Cristo dopo la sua resurrezione per mediazione di San Giovanni, che ne dà annuncio all’Addolorata felice di dismettere il velo del lutto per vestirsi nuovamente a festa dopo aver incontrato il figlio risorto nella commozione dei fedeli. A contribuire alla riuscita dell’ormai tradizionale rito, già di per sé suggestivo, la bellezza dei centri storici, sede, come in diversi altri paesi della Locride di numerose altre celebrazioni durante la Settimana Santa. Ma i due eventi di punta per cui la Pasqua 2017 verrà da noi ricordata sono sicuramente il dolore dei fedeli di Pizzoni, che hanno visto la loro festa letteralmente sgretolarsi dinanzi agli occhi e la ben più felice Fiesta di Siderno, una tre giorni di celebrazioni che hanno visto anche il gradito ritorno di una tradizione abbandonata ormai 18 anni fa…
DOMENICA 23 APRILE
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e v e r b n I
Il cattivo presagio di Pasqua Pasqua rovinata a Pizzoni, nelle Preserre vibonesi, dove, durante la tradizionale “Affruntata”, la statua della Vergine Maria, portata a spalla dai fedeli, si è spezzata all’altezza del busto nel corso della rappresentazione dell’incontro con il Cristo risorto. Forte l’emozione tra i fedeli presenti, che hanno interpretato l’evento come un cattivo presagio.
della giornata di Pasqua, inaugurata dalla sempre partecipatissima manifestazione della “Svelata”. La festa “profana”, invece, è iniziata al pomeriggio con lo spettacolo dei Musicisti di strada, che hanno traghettato le persone presenti sul corso fino allo spettacolo serale di Piazza Vittorio Veneto, durante il quale, a intrattenere il pubblico, ci ha pensato lo spettacolo Sold Out. Dopo il “Volo della Colombella” dunque, lo scatenato Party 70/80 live music di piazza Risorgimento, pensato per i più giovani. Lunedì di Pasquetta all’insegna del folclore con l’arrivo a Siderno di Mata e Grifone, i tradizionali “Giganti Calabresi” la cui sfilata, a partire dalle ore 16, è stata il cuore pulsante della Fiesta sidernese. Ma il piatto forte, è proprio il caso di dirlo, è stato servito solo alle 16:30, quando i nostri migliori artigiani del dolce hanno presentato la sguta più lunga del mondo, abbattendo ancora una volta il record che era stato per la prima volta fissato ormai 23 anni fa. Erano circa 20mila le presenze sotto il palco allestito in piazza Portosalvo quando il notaio Franca Ieraci ha ripercorso la storia di questa manifestazione, attestando che il dolce servito lunedì pomeriggio aveva raggiunto i 528,14 metri, un record del mondo per il quale il sindaco Pietro Fuda e l’assessore Ercole Macrì non hanno potuto che ringraziare tutti coloro
che hanno collaborato alla buona riuscita di questo evento. «Innanzitutto ringrazio i pasticcieri che hanno fortemente voluto riprendere questa tradizione - ha esordito il primo cittadino - La presenza di tante persone sottolinea l’importanza che si dà a questa manifestazione ed è stata l’occasione per scambiarci gli auguri e socializzare. Uno dei pasticcieri sottolineava come con la collaborazione si sia potuto realizzare tutto questo e come amministrazione vogliamo ricordare quanto Siderno si possa rilanciare proprio attraverso la collaborazione, perché i cittadini sono il motore della nostra rinascita e continuando a percorrere questa strada siamo intimamente convinti che questa rinascita si registrerà presto. A tale proposito, ritengo doveroso sottolineare che una parte della sguta prodotta non è nel novero del metraggio, ma è stata devoluta al banco alimentare, altrimenti il dolce sarebbe arrivato fino a Sbarre» ha concluso Fuda con un sorriso. «Rispetto alle sgute degli anni scorsi questa è al bergamotto - ha invece esordito un emozionantissimo Ercole Macrì - un prodotto della nostra zona di grande qualità, qualità sulla quale vogliamo puntare sempre di più. Ringrazio le forze dell’ordine, la protezione civile e l’associazionismo, che ci ha dato grande impulso a realizzare questa manifestazione.
Sottolineo inoltre che, essendo molti pasticcieri figli di altri professionisti del settore, mi piace pensare che se i Calabresi avessero raccolto l’eredità professionale dei padri probabilmente oggi non saremmo così indietro. Per una settimana si è lavorato in grande sinergia, ci siamo divertiti e c’è stato un grande spirito di collaborazione. Se questo spirito rimarrà anche dopo di noi, questa città riuscirà a tornare leader in tanti settori. Ultimo ringraziamento, ma non per importanza, va agli operai di questo comune, che hanno lavorato tutti i giorni con grande impegno, anche se c’erano le famiglie che venivano da fuori per le festività. Grazie anche i consiglieri comunali e agli assessori che, senza badare al vessillo politico, hanno lavorato in modo disinteressato per la buona riuscita di questa giornata». Il successo della manifestazione è arrivato anche a Barcelos, paese portoghese gemellato con Siderno da alcuni mesi, presso il quale una delegazione della nostra città ha portato il nostro dolce tipico per farlo conoscere anche alla penisola iberica. Tornando a Siderno, invece, dopo gli assaggi di sguta, il gran finale della giornata di Pasquaetta è stato registrato in piazza Risorgimento con il concerto degli Etno Sound, che hanno animato per l’ultima volta la città in attesa che, martedì mattina, si tornasse tutti alla normalità.
CULTURA
La poesia DI GAETANO CATALANI
U pacciu
Màmmita, povareglia, era squagghjàta, si cunsigghjàvanu tutti m’abortisci, “Nc’é na simènza ch’esti ereditata ed igliu è pacciu prima pemmu nesci”. Ciangìvi sempi toccandut’i gudèglia pecchì ndaviv’i vermi dint’a panza, ma u medicu cantav’a canzuneglia “E’ pacciu, non avi cchjù speranza”. Quand’u gagliu carcarijàva ti jarzàvi, guardavi u suli chi nascìa du mari, cu tutti gli culùri ti ‘mbonàvi e u cori non potìvi cchjù frenàri. “Maricchjègliu, guarda semp’i pisci! Chi faci tuttu sulu a fraja i mari?” Non c’era nu cristian’u ti capisci e mprescia ti ncignàvi ad arraggiari. Non eri pacciu, no, eri un poeta cull’anima rinchjùta i sensaziuni, campàvi sulu sulu comu n’asceta c’u cori sempi gurdu d’emoziùni Morìsti cumbogghjàtu d’acquazzìna e non dassasti mancu na poisìa, u sacciu, i scrivivi sup’arrina, luntanu du repartu i psichiatria. Stasìra mi cunsul’u guard’i stigli e ti penzu ngiaciàtu nta cocchjùna, immagginu ca senti pur’i grigli, nto silenziu, sutta stu chjar’i luna.
Il pazzo
Tua madre, poveretta, era fuori di testa, le consigliavano tutti di abortire, “C’è un gene che è ereditato è lui è pazzo prima ancora di nascere”. Piangevi sempre toccandoti le budella perché avevi i vermi nella pancia, ma il medico cantava la canzonella “E’ pazzo, non ha più speranza”. Quando il gallo cantava ti alzavi, guardavi il sole che nasceva dal mare, con tutti quei colori ti riempivi e il cuore non potevi più frenare. “Poverino, guarda sempre i pesci! Cosa fa tutto solo sulla spiaggia?” Non c’era una persona che ti capisse e subito cominciavi ad arrabbiarti. Non eri pazzo, no, eri un poeta con l’anima riempita di sensazioni, campavi solo solo come un asceta col cuore sempre sazio di emozioni. Sei morto coperto di rugiada e non lasciasti nemmeno una poesia, lo so, le scrivevi sulla sabbia, lontano dal reparto di psichiatria. Stasera mi consolo a guardar le stelle e ti penso accovacciato su qualcuna, immagino che senti pure i grilli, nel silenzio, sotto questo chiar di luna.
DRAMMA TELEFONICO IN UN SOLO ATTO
House sharing con nonna - Pronto, salve, chiamo per quell’annuncio sul giornale per l’house sharing… - Aus scell? Ma che vuol dire, quale annuncio? È uno scherzo? Che c’entra il dottor Aus? Sta male qualcuno? - No, signora, “house sharing”, ho letto un annuncio su un giornale, c’era questo numero… - E ma questo è il numero di casa mia! - Certamente, ho capito, però… - Aspetta, giovanotto (pausa). Filiiiippooooo, qui c’è uno che sicuramente sta cercando a te! Che hai combinato, stavolta? Questo vuole sapere del dottor Aus. - (entra Filippo con aria flemmatica) Ma no nonna, è l’house sharing, lo scambio di casa! - Oddio a nonna, te ne vai di casa? - Ma no! (prende la cornetta) Pronto? Sì, l’ho messo io. Sì, sì. Quattro stanze da letto, living e zona pranzo separate, piano terra, luminosissima, cucina e servizi condivisi. Quattro e cinquanta mensili con pasti preparati da mia nonna. - Da tua nonna un corno! - (poggia la mano sulla cornetta) Eddai, nonna, sto chiudendo un affare! Dall’altro capo del telefono la voce chiede: “Io credevo che l’house sharing fosse gratuito: tu ospiti me, io ospito te. Perché mi chiedi quattrocentocinquanta euro?” - Ma scusa, io ospito te e tu ospiti me, e d’accordo. Ma tu vivi in Svezia, e chi vuole venire in Svezia, che pare che il sole è un fanalino di bicicletta? Tu vieni qua, stai con mia
nonna, lei ti cucina e tu mangi sano e calabrese per una settimana senza dover lavare un piatto. Dove la trovi una settimana così a minor prezzo? Su Tripadvisor? Stai fresco! Qui ti prendi una settimana di sole pieno, da lunedì a domenica, sei giorni sette notti!
- Scusa Filippo, bello di nonna, non vorrei intromettermi nel tuo affare, ma hai per caso detto a quello lì che può stare a casa mia, spaparanzato bello bello sul divano del nonno buonanima, guardare la tivvù, il dottor Aus, che io gli cucino e gli lavo i piatti, e pure, se vuole, che gli rim-
Detenuti bravi attori con la regia di Pino Carella: “Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo”
Mani Magiche espone a I Portici, a Siderno
Torna l’ottimo artigianato della Locride grazie al punto d’esposizione di Mani Magiche, presente tutti i giorni, dalle 9 alle 20, presso il Centro Commerciale I Portici di Siderno, dove i nostri artisti vi aspettano con lavoretti originali e tante idee regalo per tutte le tasche! Venite a trovarci numerosi!
bocco le lenzuola come si corica? - (Mette la mano sulla cornetta) Ma nonna, tu sei sola, hai bisogno di compagnia, ti ricordi l’altr’anno quando sei caduta? Lui potrebbe darti un’occhiata, farti la spesa e zappettare un po’ l’orto, no? - E se invece si alza la mattina e mi chiede il menu, come al ristorante? - Be’, che problema c’è, se vuole un po’ di pesce… al massimo mandi lui a comprarselo. - E per servirlo mi devo mettere il grembiule e la cuffietta? - Ma dai nonna! (riprende a parlare al telefono) Scusa, sto prendendo accordi con i residenti nell’abitazione… - Residenti nell’abitazione? Questa è casa mia! - (Filippo continua a parlare al telefono, a voce alta) I pasti devono essere concordati prima e per pietanze particolari le spese vanno divise. Due porzioni di pesce e due di carne sono comprese nella tariffa. Lavanderia e servizio camere inclus… ehm non inclusi (la nonna abbassa il mattarello). Uhm… uhm… ora chiedo (mette la mano sulla cornetta). Nonna! Ma saresti disposta a spostarti di stanza? Cioè, lui e la sua ragazza prenderebbero quella tua e del nonno, e tu staresti in quella di zia Evelina. - Lui E LA SUA RAGAZZAAA??? - Eh… e che problema c’è? Gli serve una matrimoniale, no? La nonna di Filippo sta nel 49 per cento che non vogliono perdere la propria privacy. Filippo ora ha un dente in meno. Lidia Zitara
Ancora una volta è la Locride sana, la Locride colta, la Locride che lavora, la Locride migliore, insomma, che torna a farsi viva col volto rassicurante ed abbastanza noto del regista teatrale ed autore di splendidi programmi televisivi Pino Carella. Stavolta la sua dedizione al volontariato l’ha realizzata con un progetto iniziato nel mese di gennaio nel quale ha impegnato 28 detenuti della casa circondariale di Locri trasformandoli in attori veramente bravi, attraverso un laboratorio teatrale molto impegnativo perché il testo affrontato non era dei più semplici. Ed in fondo è un bene perché tanto più il testo è difficile e tanto più Pino l’affronta come una sfida, impegnandosi a fondo e diventando nel suo lavoro uno spettacolo nello spettacolo. Con voce a volte imperiosa ed altre suadente, per trarre il meglio da ogni attore si cala in tutti i ruoli, tanto da far pensare che se avesse le tette interpreterebbe persino la Madonna, la
Maddalena e le pie donne e tutte in una volta. Ma alla fine il gioco vale non solo la fatidica candela, ma addirittura tutto un candelabro. Stavolta l’impegno era davvero arduo perché si trattava, nientemeno, che de “Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo” di Filippo Orioles, un palermitano di chiara origine spagnola ed autore di numerose opere, che con questo dramma, totalmente aderente ai Vangeli, si guadagnò la simpatia della Chiesa e del pubblico siciliano al punto che la sua opera è ancora recitata in vari paesi durante la Settimana Santa. Riadattato da Pino, nel dramma riecheggiano spesso i medioevali temi di Jacopone da Todi, e predomina il tono lugubre tipico degli spagnoli che si esalta nella Passione del Cristo. Ed è soprattutto nella mentalità dell’ “hidalgo” – della quale l’Orioles sembra impregnato sino al midollo pronto sempre all’estremo sacrificio per
le cause buone, che ritroviamo la figura del Cristo talmente buono da voler riscattare con la sua morte tutta l’umanità, Adamo in testa, dal peccato originale. Il coinvolgente dramma, che comincia con l’ultimo incontro prima della morte tra il Cristo e la madre passando per l’ultima cena, l’orto del Getzemani, il giudizio di Pilato, la crocefissione, la deposizione e il pianto di Maria, è arrivato a Roccella Jonica, in italiano antico, attraverso un manoscritto denominato Opera Sacra del 1877, ed è noto a molti roccellesi. E se è di per sé valido già all’origine, si sublima addirittura quando ad interpretare il ruolo di Maria madre del Cristo, Pino chiama sua sorella Elisa talentuosa attrice ATRJ che ha interagito con gli attori detenuti. Ho avuto il privilegio di ascoltare questa straordinaria attrice teatrale nell’interpretazione del pianto della Madonna di Jacopone da Todi aggiunto da Pino Carella al copione. Ed è da brivido. Con una voce angosciata che pare uscire non dalla bocca ma dai recessi più profondi di un cuore straziato, il pianto di Elisa travalica i tempi ed i luoghi e ci porta laggiù, mentre imperversa il più furioso dei temporali, ai piedi del Golgota. Si sbiadiscono i contorni, spariscono i vari personaggi, pie donne comprese, che fanno corona alla Passione, e in un fandango di lampi e tuoni restano solo il Cristo ed Elisa nel ruolo della Vergine ed i suoi singulti a rendere ancora più grande, ancora più atroce il già immenso e terrificante crimine dell’umanità. Notevole anche la colonna sonora realizzata con i testi della tradizione popolare siciliana tradotti in calabrese dallo stesso Carella e cantati da Manuela Cricelli e da Cosimo Papandrea che è anche l’autore delle musiche. Al termine della riuscitissima, e per molti aspetti, commovente rappresentazione, i bravi attori detenuti hanno voluto regalare a Pino Carella un crocefisso in ferro battuto forgiato da loro stessi. Non potevano fare un regalo migliore a Pino che commosso l’ha fatto benedire subito da un sacerdote del suo paese. E che Dio, oltre al Crocefisso e Pino, una volta che si trova benedicendo, benedica anche noi. Marionirta@alice.it
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BIBLIOTECA
DOMENICA 23 APRILE 19
ASidernotornalaBiblioteca! L’ASSOCIAZIONE“AMICI DEL LIBRO E DELLA BIBLIOTECA”SI È SEMPRE BATTUTA AFFINCHÉ SIDERNO AVESSE LA SUA BIBLIOTECA. A DISTANZA DI QUASI QUATTRO ANNI, È FINALMENTE RIUSCITA NEL SUO NOBILE INTENTO E QUESTO POMERIGGIO ALLE 18:00, SARÀ INAUGURATA LA BIBLIOTECA COMUNALE "ARMANDO LA TORRE", CHE HA TROVATO CASA IN VIA REGGIO N.1, A SIDERNO. Il cuore pulsante della cultura di un territorio è la biblioteca e quella di Siderno, negli anni scorsi, è stata, in maniera irriverente e sfrontata, trasferita nei locali della scuola elementare “Carlo Lorenzini” di Siderno Superiore. Qui, per troppo tempo, i libri sono stati condannati a languire tra l’umidità e la polvere e a dover fare a meno di quel silenzio mistico che avvolge ogni biblioteca. È per questo che l’Associazione “Amici del Libro e della Biblioteca” sin dall'epoca dei commissari si è battuta affinché la biblioteca tornasse a essere un salotto vivace e pieno di spunti, fermamente convinta che la
sapienza sia infeconda se non si estrinseca nella progettazione di strutture per la sua diffusione e per la fruizione collettiva. A distanza di quasi quattro anni dalla sua costituzione, l'Alb è finalmente riuscita nel suo nobile intento e questo pomeriggio alle 18:00, in occasione della Giornata Mondiale del Libro, sarà inaugurata la biblioteca comunale "Armando la Torre", che ha trovato casa in via Reggio n.1, a Siderno. "È un punto di partenza e non di arrivo – dichiara il presidente Cosimo Pellegrino. – Di partenza verso una nuova consapevolezza e una maggio-
re coesione sociale. Il mio augurio è che la biblioteca possa allargare la base della condivisione, poichè sono convinto che la differenza la si fa creando una coscienza sociale, che, a sua volta, viene generata dalla conoscenza e dalla cultura". Nel coronare questo sogno l'associazione ha dato prova di grande perseveranza e clemenza, tenendo sempre bene a mente che un’esistenza tenuta troppo a lungo lontana da quel mondo fantastico che è la cultura è un’esistenza che rischia di impoverirsi piano piano, fino a svuotarsi completamente. "Se ci sono meriti - prosegue Pellegrino - li condividiamo con tutti
gli attori del territorio. Se ci sono demeriti, prendiamo atto solo dei nostri. Non saremo di certo noi a indicare le mancanze altrui. Ciò che importa adesso è che tutti focalizzino con attenzione e lungimiranza quello che c'è da fare". L'Associazione intende riprendere a pieno ritmo i suoi appuntamenti culturali, primo tra tutti i "Viaggi di Alb". "Siamo ricchi di storia ma purtroppo, ora come ora, ricoperti da una coltre di ignoranza che non ci consente di godere dei frutti e dei benefici di questa storia. Sono diversi i luoghi che meritano di essere visitati. Tra quelli già visti, riproporremo gli scavi
archeologici di Locri, Badolato Superiore, la Villa di Casignana, il Musaba, Vibo. Quest'ultima è capofila regionale del sistema bibliotecario e ogni anno organizza un ricco calendario di eventi legati al mondo della cultura e dell'editoria. Noi crediamo che Siderno possa aspirare a divenire quello che Vibo è per l'area tirrenica: un interessante centro di aggregazione culturale per la Calabria Ionica, in cui la sete di conoscenza e di condivisione della stessa sia veicolo di trasformazione e di accompagnamento alla crescita sociale". mgc
Bovalino: il macello diventa un luogo di integrazione sociale grazie ai commissari Poco più di due anni e il vecchio macello - i cui lavori sono stati avviati dalla gestione commissariale straordinaria nel 2015 - è diventato un modernissimo Centro Polifunzionale per gli immigrati regolari “Accoglienza attiva”. L’Autorità di Gestione con Decreto dell’11.10.2012 del Dipartimento della P.S. Ministero dell’Interno aveva ammesso a finanziamento il progetto presentato dall’Amministrazione Comunale guidata da Tommaso Mittiga per la ristrutturazione dei 135 mq di struttura, completa di arredamenti per un ammontare di 460mila euro. È stata l’attuale Commissione straordinaria diretta dal viceprefetto Salvatore Caccamo, coadiuvato dalla viceprefetto Valeria Pastorelli e Dirigente contabile Claudia Poletti a motivare sia lo staff tecnico: Domenico Marfia e Pelle i quali hanno controllato tutti i lavori sia la responsabile dell’U.O. Amministrativa AA.GG. Giuseppina Varbaro, che ha perfezionato il bando di gara per l’affidamento in comodato d’uso del-
l’immobile. L’Unla (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo) Ente Morale con DPR n. 181 dell’11.2.1951, con il suo Centro di Cultura per l’Educazione Permanente di Bovalino dove opera dal 1950, si è aggiudicato la gara il cui esito è stato pubblicato sull’albo pretorio con Determina del 13.04.2017 n. 72 (reg. Gen. N. 148 del 19.4.2017). Il Centro polifunzionale è ubicato in via degli Oleandri ed è luogo di integrazione sociale e di dialogo interculturale nonché snodo informativo su temi dell’orientamento al lavoro e, più in generale, dell’inserimento degli immigrati nella comunità locale. Il C.C.E.P.-UNLA di Bovalino a seguito dello sbarco di immigrati curdi a Bianco avvenuto il 10 settembre del 1998, su sollecitazione della Caritas parrocchiale di Bianco e di suor Paola Calciari che era coadiuvata da suor Annunziatina Schipilliti e suor Anna Di Candia ha iniziato un lungo e benemerito servizio di alfabetizzazione, socializzazione e
integrazione degli immigrati sia a Bianco che a Locri e soprattutto nella sede che la Comunità Montana e dal 2007 l’Amministrazione Comunale ha messo a disposizione dell’Ente che nel tempo è diventato Biblioteca di interesse locale, luogo di incontri culturali e formazione professionale. “Nel nostro archivio (il Centro di Bovalino è stato costituito nel marzo del 1950), ci racconta il Dirigente dell’UNLA Domenico Agostini, operatore culturale con 40 anni di attività nella Regione Calabria: Assessorato alla P.I., oggi in pensione e giornalista, ho trovato il primo numero di un giornalino intitolato “La voce dell’immigrato” stampato il 1 marzo 1999, dove con grande emozione ho riletto la storia di un curdo (era una mia intervista a Kenan Akgul) che mi raccontava della lunga odissea dalla spiaggia di Antalya il 3 settembre del 1998, su un barcone di 22 metri per sei, con 184 persone tra cui 12 bambini, spinto da 24 braccia. Giungeranno tutti a Bianco alle ore 8.00 del 10 settembre, stremati e
intirizziti dal freddo, dalla fame e della sete dopo sette lunghi e interminabili giorni”. “Sai, mi dice Mimmo Agostini, avevo insegnato a tanti analfabeti della frazione “Pozzo” negli anni ’60, ma erano anziani e giovani che conoscevo e con i quali mi confrontavo giornalmente. Quella degli immigrati è stata e continua a essere una esperienza carica di umanità. Come vedi continuo, assieme ai collaboratori volontari dell’Unla, a interessarmi di loro insegnando la lingua italiana, a far conoscere la nostra Costituzione e arricchirci della loro cultura e della loro storia. Ospitarli nel nuovo Centro che ha due aule per la formazione linguistica, l’educazione alla cittadinanza, la formazione al lavoro, la socializzazione e il tempo libero e sportelli per l’orientamento al lavoro e al segretariato sociale, sarà un “incontro” quotidiano, per confrontarsi tra persone, nella riaffermazione che: «Non molesterai il forestiero, né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto (Es 22,20)»”.
CULTURA E SOCIETÀ
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I FRUTTI DIMENTICATI
A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI
Vitis vinifera L.
Medulla i gattu di Cardeto Tempo fa era stato dato appuntamento da un ferroviere a Paolo Martino, glottologo della Lumsa di Roma, e a noi in un bar sui piani di Bagaladi, da dove si proseguì in seguito su un fuoristrada attraverso una pista in discesa verso Cola Checco, frazione di Cardeto. In quel posto Martino avrebbe registrato le voci dei più vecchi, invitandoli a conversare sul loro passato trascorso in quel luogo isolato per scoprire gli elementi più conservativi della loro lingua. Il ferroviere, essendo originario del posto, ci lasciò andando da solo a dare un’occhiata a un piccolo podere che possedeva poco distante e promise che sarebbe ritornato entro poche ore. Era la fine di Agosto del 2003 e in quelle località, a quota elevata per le vigne, l’uva era appena invaiata, osservata da me, che parimenti cercavo d’individuare antiche strutture di mulini ad acqua ed eventuali cani da pastore calabresi presenti nell’area fino a qualche decennio precedente, prima che i pastori stessi, conservativi su tanto, non avessero introdotto sul territorio i maremmani e i pastori del Caucaso; a un certo punto sentii un frastuono di campanacci e andai incontro a un vecchio pastore a cui chiesi notizie dei cani ed egli replicò malinconicamente che le cinque varietà che arricchivano l’Aspromonte si erano ormai estinte. Guidava le sue capre invece un minuscolo Yorkshire affidatagli dalla nipote che viveva a Milano, ma che non aveva modo di tenerlo più in città e ad esso era tanto affezionata che nella Pasqua passata era venuta espressamente a visitare ambedue: cagnolino e nonno. Andando alla ricerca di abitanti da contattare, Paolo Martino vide, a ridosso della destra idrografica di una fiumara, nell’orto davanti la casa, un signore sulla novantina, Diego Doldo, che quasi a carponi curava le sue piante, raccontando che egli viveva da solo nonostante i suoi figli volessero portarlo con loro a Reggio, dove ora abitavano. Non se la sentiva però di abbandonare la sua casettina, in cui aveva trascorso tutta la sua esistenza con la moglie defunta e dove ogni oggetto gliela ricordava. Infatti lì continuava a parlarle toccando gli oggetti che ella aveva toccato, carezzando il ciliegio da cui ella aveva colto i frutti, sedendo sulla stessa pietra da cui ella osservava le acque del fiume, quando si riposava dalla fatica. Sarebbe stato un delitto non curare più i ricordi e lasciarli morire assieme alle cose da lei tanto curate. No, egli sarebbe rimasto lì, fino all’ultimo respiro, attendendo con trepidazione la morte che l’avrebbe ricongiunto a lei. Il professore gli chiese quali delle tante case fossero abitate ed egli indicò oltre il fiume una sola, persa tra la vegetazione, e allora essa divenne l’obiettivo di Paolo Martino. Attraversammo il letto del piccolo corso d’acqua, quasi inaridito, passando davanti a un agglomerato di case vuote, con gli orti infestati dai rovi, con una sorgente inutilmente zampillante.
A un certo punto comparve, lungo un ruscello, un filare di pioppi tremuli, dalla corteccia argentea, su cui erano inerpicate delle viti e dai loro rami più bassi pendevano numerosissimi grappoli d’uva dagli acini non fitti che stavano virando verso il blu e allora li osservammo attentamente assieme alle foglie, che erano pentalobate, dal seno peziolare a lira aperta e con le pagine inferiori glabre. Paolo Martino con un piccolo registratore in mano s’indirizzò verso la casettina indicata da Doldo e si avvicinò verso una donna anziana, vestita di nero, dai capelli candidi e dagli occhi cerulei velati di tristezza, seduta davanti a una casettina tenendo in grembo un gatto grigio. All’arrivo di due estranei la donna si alzò dalla sedia, lasciando scivolare a terra il gatto e attese all’impiedi le persone in arrivo. Domandai notizie sulle viti e seppi che si chiamavano Medulla di Gatto e questo perché i loro acini aperti erano incolori, ma nonostante ciò davano un vino color granato che il suo defunto marito usava mescolare con i grappoli di una pergola di Minna di Vacca che sorgeva dietro la casettina e dava un’uva buona e leggermente aromatica. Domandai se al tempo della potatura potessi ritornare per avere i tralci delle due varietà ed ella promise che mi avrebbe dato quanto desideravo. Paolo Martino cominciò a farle delle domande ed ella raccontò che viveva da sola in quanto il marito le era morto da molti anni, ma che lei non era in completa solitudine perché, a qualche chilometro di distanza, viveva sua figlia con la famiglia, ma lei non se la sentiva di abbandonare la casa dove aveva vissuto in serenità buona parte della sua vita assieme ai suoi cari. Attorno alle quattordici il ferroviere ritornò e, strada facendo, cominciò a dare notizie sulle persone incontrate e apprendemmo che l’uomo si chiamava Diego Doldo, mentre la donna, Margherita Fortugno, era stata particolarmente sfortunata, in quanto aveva avuto due bei ragazzi che le erano morti a poco più di vent’anni d’età. Ella, per onorare il loro ricordo, assolutamente non intendeva allontanarsi dal posto dove era vissuta felicemente anni prima. Già dopo cinque anni, in una successiva visita, con tristezza avevo constatato che i roveti stavano insidiando le due casettine e i pioppi tremuli erano stati tagliati, mentre le viti di Medulla di Gatto di Margherita Fortugno non esistevano più, ma fortunatamente esse erano state salvate nel campo di salvataggio di Ferruzzano, dove nell’estate scorsa il ricercatore del Centro Sperimentale di Turi (Bari) Angelo Caputo prelevò le cime apicali di 253 accessioni della mia raccolta e anche quella della Medulla di Gatto di Cardeto; dall’estrazione del DNA è emerso che essa corrisponde al S. Giovese, un’altra prova che il vitigno più diffuso d’Italia è originario dall’area calabro-lucana.
RIVIERA
Elementare, Tassone! La coppia forense più inseparabile di Locri brinda a una collaborazione professionale da molti anni sfociata in sincera amicizia. È proprio vero: in Pino Mammoliti e Massimiliano Tassone Locri ha trovato i suoi Sherlock Holmes e John Watson!
Viaggiatori per dovere Rocco Femia e Francesco “Ciccio” Ruso siedono con grande pazienza in un agenzia di viaggio. Loro speravano in qualche offerta speciale, ma il lavoro non li ha portati lì per prenotare una vacanza!
A grande richiesta… Torna sulle nostre pagine (per la terza volta in un mese, è record!) Alfredo Vitale DJ che, assieme a Carlo “Krosta” Scordo, ci viene a trovare per ricordarci che è sempre più imminente l’inaugurazione di Radio Street Dance, in via Foggia, a Siderno!
Pasquetta scatenata I ragazzi del Solo Cose Belle non si fermano nemmeno durante la bassa stagione. Stanchi o meno, “stampellati” o in ottima forma, la loro Pasquetta è stata un irrefrenabile susseguirsi di musica e danza. Eccoli durante il balletto improvvisato sulle note di Maldito Alcohol, la nuova hit di Pitbull!
Graditi ritorni Pasqualino pasquale Oltre alla sguta a Siderno è tornato Lo chef Cosimo Pasqualino, in primo anche Don Massimo Nesci, ormai piano, posa con la sua classe dell’albergioiosano d’adozione dopo il suo ghiero durante un’esibizione culinaria trasferimento nella vicina parrocchia nella quale questi ragazzi hanno mostradi Gioiosa Marina. to con orgoglio tutte le proprie doti!
Un anno indimenticabile Mancano pochissimi giorni al compleanno del piccolo Gabriele, che il 26 aprile dello scorso anno, con la sua nascita, ha riempito i cuori di mamma, papà e nonni. Un grandissimo augurio da tutta la tua famiglia, Gabriele!
Torna, Giovanni! Nonostante il complicato periodo vissuto dalla giunta comunale di Locri, speriamo di ridare motivazione a Giovanni Calabrese con questa bella foto B/N che lo ritrae attorniato dai suoi fedelissimi, Raffaele Sainato, Giuseppe Fontana e Gabriele Polito!
Phone Spost Andrea Scordo ci saluta pur mantenendo la sua professionale compostezza oltre la vetrina dei nuovi locali di Phone Store, recentemente trasferitosi in corso della Repubblica, a Siderno.
Felicità Festiva “Che cos’è la felicità? Una casa con dentro le persone che ami! Grazie per aver trascorso con noi questa Pasqua 2017! I vostri nipoti”
Conto alla rovescia Mancano appena quattro giorni alle nozze di Luigi e Daria che, con questo meraviglioso sorriso, dimostrano di voler affrontare con la massima leggerezza questo nuovo capitolo della loro vita! Auguri!
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Liberazione vera o presunta? Ma i chi parramu, signore e signori, i pruppetti? No, puru pecchì jeu non mangiu carni. Parramu i liberazioni "fantascientifica". Ma i cui? Du' regimi nazi-fascista. Ah… ok. E quandu fu? 'Nto 1945. Ma Napoli non si liberau (sula!) 'nto 1943? Sì, ma chisti ennu dettagli… a cui 'ncì interessa? È megghiu diciri ca furu i partigiani ca sarvaru a situazioni. Pe' tutti è cchiù interessanti parrari i liberazioni NAZIUNALI, cioè i l'ItaGlia intera, l'unica nazioni chi 'ndavi nu populu chi non esisti. Ma chisti ennu attri dettagli. Cocchiùnu potarrìa penzari ca chiglia non fu na vera e propria liberazioni, ma 'na consegna 'nte mani di 'mericani. Praticamenti si potarrìa supponìri ca l'itaGlietta passau, 'nta u giru i pochi misi, dì mani tedeschi 'nta chigli i l'alleati. È sulu 'na supposizioni… però si penzu nu pocu, l'apru l'occhi e viju na colonia americana. E però chista è doppietta! Sud colonia interna du nord e itaGlia colonia americana: 'nto sud, si vai o' supermercatu poi 'ccattari o' 90% sulu prodotti du' nord; 'nta l'itaGlia 'ndavi oltre 100 basi militari 'mericani e puru 90 bombe atomiche. Comu mi sentu liberata 'nta stu momentu! Propriu comu 'nto 1945 'ndi sentimma liberati di' nazisti. Aspè… ma Napoli era libera già 'nto 1943… ti scordasti? Furu "i 4 jornati i Napoli”… e cu' si' ricorda? Megghiu u penzamu e' pruppetti, chigli frischi 'mericani. O forzi volarrìanu nommu penzamu propriu. Buona liberazioni. Brigantessa Serena Iannopollo
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Rubrica di enologia a cura di Sonia Cogliandro
Terroir di mostri marini e sirene:“Scilla IGT” mentre Cariddi inghiotte e rigetta tre volte al giorno l'acqua del mare creando dei vortici monumentali, Scilla attenta alla vita dei naviganti con le sue sei teste cercando di ghermirli, caratteristici vigneti a terrazzo dominano gli scogli delle Sirene e dell'antico castello dei Ruffo. Così pittoresca e affascinante, la cittadina dei vini ad IGT “Scilla” rossi e rosati, come un'aquila, discende dal promontorio verso le baie Chianalea e Marina Grande formando declivi intrisi di bellezza e plasmati per dar spazio a questi suggestivi vigneti incastonati tra il mare e le montagne. Anche in questo caso, non è fuori luogo parlare di viticoltura eroica compiuta in un paesaggio sagomato da filari di Prunesta, Malvasia N e r a , Nerello, Gaglioppo e Nocera, che si affacciano sullo Stretto e dai quali si ricavano vini con una marcata identità territoriale. Servito preferibilmente fresco, il rosso, profondamente rubicondo, si esibisce nel calice in maniera decisa e vigorosa sfoggiando provocanti riflessi violacei. Un attacco determinato, pungente, vinoso e alcolico al naso, con
E
sottofondo di note salmastre. Si apre poi su intensi sentori di confettura di ciliegie con punte speziate e un bouquet fine e intenso di aromi floreali, viola e rosa. Sorso morbido, al limite dell'abboccato, dalla trama gustativa rotonda, tannini sferici e ritorni coerenti con la via diretta. Privo di armonia e complessità, lunghezza e profondità, si fa apprezzare per la particolarità di alcune suggestioni "marine", per la freschezza e la dinamicità della beva e per i fragranti aromi fruttati. Un sapiente prodotto che porta scritto nel suo patrimonio genetico una profonda vocazione vitivinicola. Un vino saporito e unico, dove la potenza del Gaglioppo gareggia con l'eleganza e la frutta del Nerello, conducendoci nell'incanto ammaliante e dolce dei canti delle omeriche sirene.
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The social network Nel 2010 David Fincher partorì un’opera molto interessante, il cui punto forte era il tentativo di attrarre l’attenzione su due fronti: quello del grande pubblico per via del “main theme" - la creazione del primo social network, il colosso Facebook - e quello della critica per via del progetto proposto - il ritorno del maestro David Fincher -. The Social Network è un’analisi attenta ma non oggettiva (Fincher infatti deforma alcuni aspetti ambigui della vicenda) dei primi anni di vita del social network più usato al mondo, Facebook. La storia è un flashback, ovvero le deposizioni di Mark Zuckerberg ed Edoardo Saverin (i due cofondatori di Facebook) durante un processo intentato dal secondo al primo. Tutto inizia nel 2004, quando Mark Zuckenberg, uno squattrinato studente di Harvard, appena lasciato dalla sua ragazza, Erika Albright, programma un sito internet che permette ai suoi compagni di ateneo di valutare la bellezza di alcune ragazze della scuola. Il sito è un successo e attira su Mark l’attenzione di due studenti dell’ultimo anno che avevano intenzione di creare un sito che connettesse tutti gli studenti di Harvard. Mark accetta l’incarico ma poi fa perdere le sue tracce e crea “The Facebook” facendosi finanziare da un suo amico, Saverin, che sarebbe così diventato socio di Mark. Il sito ha un’utenza tale che Mark ed Edoardo decidono di espanderlo prima a tutte le scuole e poi a tutta la costa. Mark viene accusato dai ragazzi dell’ultimo anno che lo avevano contattato in precedenza di avergli rubato l’idea, ma riesce in un primo momento a respingere le accuse. Nel frattempo entra in scena un terzo socio, Sean Parker, noto per aver creato una piattaforma di musica pirata, che esercita un forte ascendente su Mark e lo convince ad abbreviare il nome del sito in “Facebook”. Per permettere al sito di crescere,
Saverin continua a finanziarlo fino a che non scopre che con l’ingresso di Parker la sua quota è passata dal 30% allo 0,3%, mentre quella di Mark è rimasta invariata. E allora Saverin intenta un processo contro Mark, supportato dai due studenti dell’ultimo anno fino a che Mark non sarà costretto a pagare 65 milioni di dollari alle parti lese e ad includere il nome di Saverin tra quello dei fondatori di Facebook. Il film termina con Mark che invia alla sua ex ragazza, Erika Albright, una richiesta d’amicizia e ne aspetta con ansia una risposta. Dal punto di vista dei contenuti The Social Network è un film che ha molti significati: identifica per la prima volta Facebook come lo strumento di misura del valore dell’individuo nella società; dimostra con quanta facilità possano essere sconvolti gli equilibri del mercato mondiale; sintetizza quanto possa essere spietata l’imprenditoria globale nella frase “non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico”, anche se “farti qualche nemico” significa macchiarsi di plagio e truffare il migliore amico. Dal punto di vista tecnico la pellicola scorre molto velocemente e passa silenziosamente, per via della maestria di Fincher nel dare un ritmo veloce e uno stile scarno che permettono allo spettatore di non avere distrazioni dalla fitta trama, sintetizzata in uno spaccato relativamente breve (121 minuti rappresentano una sintesi quando si tratta di sviluppare una trama così piena di avvenimenti). Qualche mese fa ho definito La Haine l’anatomia di una caduta, oggi definisco The Social Network l’anatomia di un’ascesa storica, che ha portato un uomo dal punto più basso a quello più alto della montagna. E non ha importanza se per rincorrere questo obiettivo ha dovuto “farsi qualche nemico”. Domenico Giorgi