Riviera n° 25 del 18/06/2017

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CONTROCOPERTINA

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DOMENICA 18 GIUGNO

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Il look perfetto per il sindaco neo eletto

NELLUNGOMESEDICAMPAGNAELETTOALEABBIAMOOSSERVATOCONATTENZIONEGLIASPIRANTISINDACIDELLA LOCRIDE. OGGICHEI PRIMICITTADINISONOINCARICACISIAMODATIAICONSIGLIDISTILE, CERCANDODIIMMAGINAREQUALESIADATTEREBBEDIPIÙAINEOELETTI. PERL’ANALISI (SERIA) DELVOTO, INVECE, VIRIMANDIAMOAPAGINA 10.

VINCENZO MAESANO BOVALINO Il sorriso un po’ furbetto ci fa pensare a Ryan Gosling. Maesano sembra trattenersi dal raccontare una barzelletta e scoppiare a ridere. Assolutamente da ringiovanire il look, soprattutto un cambio di montatura più aggiornata.

DOMENICO PIZZI FERRUZZANO Lo stile da “dottore medico” c’è tutto, ma bisogna aggiornarlo e rinfrescarlo. Così un po’ “immobile” il nostro Pizzi assomiglia a Mel Gibson prima di Scientology. Consigliato cambio di cravatte e giacche meno ordinarie, con un look fantasioso ma sempre “a posto” come quello di Martin Freeman.

VINCENZO LOIERO GROTTERIA

GIOVANNA PELLICANÒ STAITI

Di difficile interpretazione il look di Loiero, da tipo che non vuole farsi notare, un po’ come Matt Damon nel “Talento di Mr. Ripley”. Un insolito cappello, come fedora, panama o Borsalino, indossati da Matt Damon nel film “I guardiani del destino”, decisamente di ispirazione per un rinnovo immagine.

Volto serio ma sorridente, Pellicanò è da taglio classico. Le proponiamo un abito a giacca, severo ma dinamico e adattabile, come quello di Meryl Streep alla cerimonia degli Oscar nel 2006. Naturalmente ci raccomandiamo un’adeguata scelta di scarpe.

LUCIANO PELLE ANTONIMINA Un’espressione alla Pasolini ci fa pensare a look esistenzialisti, ma ahimè, passati di moda. A togliersi la cravatta e tenere la giacca si corre il rischio di sortire un “effetto Renzi”. Perciò consigliamo di imitare grandi divi che hanno saputo fare a meno della cravatta, come Cumberbatch e Matt Smith (undicesimo Doctor Who).

GIUSY CARUSO CIMINÀ Possiamo dire ben poco, per la sua elezione Caruso ha indovinato un outfit classico e moderno, ravvivandolo con degli orecchini. La vedremmo bene con una mise tipica di Halle Berry (magari non quella di “007 –die another day”), ma un graffiante abito nero, da arricchire di colore con gli accessori.

CATERINA BELCASTRO CAULONIA

FELICE VALENTI BIVONGI

Con il taglio biondo, corto e liscio, i colori così chiari, riscaldati da un rosso intenso, Caterina Belcastro non può che ricordare la celebre Rachel di “Friends”. A Jennifer Aniston sta bene qualsiasi abito, ma a Caterina consigliamo di imitarne la mise in occasione della sua vittoria al “Critic Choise”.

Aria sciupata e ribelle, capelli a effetto ricordano il Russel Crowe di “Un’Ottima Annata”. Per lui indicato completo dai colori neutri e cravatte che osano.

ANTONIO CONDEMI PLACANICA Con quell’espressione pacifica e “low profile” a Condemi proponiamo una difficile sfida: imitare lo stile di Harvey Keitel, un attore che ha dimostrato sempre il massimo aplomb anche in scene d’azione. Film consigliato “Pulp Fiction”, ma solo per l’abito!

ROCCO LUGLIO PORTIGLIOLA Con quel capello mosso dal vento, brizzolato come piace alle signore in su con l’età, per Rocco Luglio un outfit à la Richard Gere, con completo Armani, esattamente come in “The Dinner”, in cui Gere tenta la scalata verso la presidenza. Sarà anche il caso di Rocco Luglio?

STEFANO MARRAPODI CARAFFA DEL BIANCO Allungato e secco come Tom Hanks in “C’è posta per te”, gli raccomandiamo un look sportivo chic, da amante dello shopping, con scarpe firmate.


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ATTUALITÀ

Il sidernese Andrea Archinà eletto sindaco di Avigliana Sarà Andrea Archinà, sidernese, originario di Vennarello, a guidare il Comune di Avigliana, nel torinese. Avvocato e assessore uscente, Archinà ha ottenuto 2023 preferenze (32,89%) con la lista civica “Avigliana città aperta”, sbaragliando i suoi quattro sfidanti: Antonio Spanò (Lista civica “Adesso Avigliana” 1.767 voti pari al 28,73%), Mario Picciotto (Lista Civica “Comitato Progetto” 804 voti pari al 13,07%) Tatjana Callegari (Movimento 5 stelle.it 802 preferenze pari al 13,04%) e Angelo Roccotelli (Lista Civica

“Avigliana Viva” 754 voti pari al 12,26%). Andrea Archinà, 32 anni compiuti a maggio, è cugino del consigliere comunale di Siderno, Vincenzo Meleca, e nipote dello storico dirigente comunista, Michele Archinà, figura di spicco della politica del territorio, il quale sarebbe stato fiero di vederlo indossare la fascia di primo cittadino a una così giovane età. Senz’altro fiera del proprio concittadino l’intera comunità di Vennarello che ha accolto con emozione la notizia della sua elezione.

Oliverio mantiene la promessa: martedì è iniziato l’ammodernamento della Ferrovia Jonica Martedì mattina sono ufficialmente partiti i lavori di ammodernamento della Ferrovia Jonica. “Oggi per la Calabria è una giornata storica, indimenticabile”, ha affermato il Presidente della Regione, Mario Oliverio, nel corso di un incontro con la stampa a Cirò Marina, subito dopo l'apertura del primo cantiere tra Catanzaro Lido e Sibari. “Quindici giorni fa –ha proseguito Oliverio- abbiamo presentato con il ministro Delrio il cronoprogramma. Lo abbiamo fatto alla vigilia dell'inizio dei lavori e non é un caso, perché riteniamo che anche sul piano del metodo bisogna cambiare registro. La Calabria ha una storia ricca di annunci non mantenuti e di programmi rimasti sulla carta. Ecco perchè oggi noi inauguriamo anche un metodo nuovo di fare le cose, che è quello di dire quando si parte e quando si arriva. Oggi inauguriamo una grande opera che giunge dopo 150 anni e che, da quando è stata realizzata, erano i tempi di Cavour, non ha mai avuto alcun intervento di ammodernamento. Per realizzare questa importante infrastruttura investiamo 530 milioni di euro. Una ferrovia che consentirà di velocizzare il trasporto, di avere una mobilità sicura, di eliminare i passaggi a livello. Sarà un nuovo binario, che consentirà a treni veloci e moderni di attraversarla in tempi rapidi. Avremo una mobilità da Reggio Calabria sino a Sibari compatibile con i tempi moderni e non, invece, una ferrovia lenta come quella che abbiamo avuto finora, assai simile alle tratte del vecchio Far West. Per andare da Reggio Calabria a Taranto oggi si impiegano sei ore: è un fatto assurdo”.

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I dato rea e

di Franco Crinò

In un comune al voto : quattro donne elette nella compagine vincente (otto di lista), supervotate e superinesperte. Anche le quattro postazioni della minoranza tutte appannaggio del gentil sesso: nuove anche loro. La preferenza di genere "sconvolge" le graduatorie, ma legittimamente le donne la abbinano a quella dei colleghi maschi, la sommano a quella propria (ma anche la circostanza contraria è del tutto agibile) e vanno molto più avanti dei candidati favoriti. L'auspicio per loro e per tutti è che si meritino il consenso. Nessuno può lamentarsi se le donne elette risultano molte di più di quante erano pronosticate, visto che "sono più sensibili degli uomini, più profonde, pragmatiche, aperte…" Come si dice, è molto difficile stabilire dove finisce la cortesia e dove comincia l'adulazione. Tanto più che dobbiamo rendere merito alle donne in politica che ispirano fiducia. Il prestigioso ateneo britannico di Oxford ha stabilito prove differenziate per maschi e femmine, quest'ultime giudicate troppo emotive per affrontare i test, una scorciatoia insomma, loro possono sostituire una prova scritta con una tesina da preparare a casa. Mario Giordano scrive "Qualche tempo fa in Svezia, patria del politicamente corretto, hanno sollevato uno scandalo perché la lunghezza media della via dedicate alle donne era inferiore di 70 metri alla lunghezza media delle vie dedicate agli uomini. I giornali s'indignarono e chiesero di intervenire. S'intervenne. Poco dopo s'intervenne anche sugli spazzaneve, accusati di essere maschilisti perché ripulivano prima le carreggiate delle auto, amate dagli uomini, e dopo quelle delle bici, preferite dalle donne. Gli spazzaneve maschilisti!" Abbiamo ascoltato in un convegno una donna dire "Io vado controcorrente, mi sento di essere maschilista, altro che femminista… faccio sempre quello che mi dice mio marito, adesso mi ha fatto segno di correre a casa a cucinare… Vado, ma cosa cucino lo decido io". E vai… Non si dimentica nemmeno di strizzare d'occhio.

POLITICAMENTE (S)CORRETTO

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GIUDIZIARIA

Locride, Cosa Nostra e i "cartelli" della droga colombiani. Il tesoro dei clan della Locride, che proviene dal narcotraffico internazionale, sarebbe iniziato a formarsi quanto meno dalla metà degli anni Novanta in poi. Finita la stagione dei sequestri di persona i clan investono il denaro nel traffico di droga. Uno dei contesti che emerge in varie indagini coordinate dalla Procura antimafia reggina, che si è avvalsa anche di indagini provenienti dalla Sicilia e da altri territori del Nord Italia, riporta l’attenzione ai rapporti tra platiesi, sidernesi e Cosa Nostra. Si legga, tra le altre, la sentenza della VI sezione penale della Cassazione (ud. 18-03-2004) 28-04-2004, n. 19613: «..Secondo la prospettazione accusatoria, l'O. S. N. è indiziato di far parte di un sodalizio criminoso, avente una struttura articolata modulare, fondato sulla convergenza di interessi di tre gruppi malavitosi: il primo facente capo a P. R., calabrese, latitante, personaggio munito di solidi canali con narcotrafficanti colombiani; il secondo al gruppo "ndranghetistico" gravitante intorno alle famiglie della Locride Marando-Trimboli, il cui leader riconosciuto si identificava in M. P.; il terzo al gruppo siciliano, il cui rappresentante di spicco era M. S.». Molto importante la precisazione del Giudice: «gruppo "ndranghetistico" gravitante intorno alle famiglie della Locride Marando- Trimboli, il cui leader riconosciuto si identificava in M.P. », presente in altra pronuncia per la stessa vicenda, in particolare Cass. pen. Sez. VI, (ud. 28-05-2004) 15-07-2004, n. 31058: T.A.: «L'indagato era indiziato di far parte di un temibile sodalizio criminoso, avente una struttura articolata, di tipo modulare, fondata sulla convergenza di interessi di tre gruppi malavitosi, facenti capo, il primo a P. R., calabrese, latitante, personaggio munito di solidi canali con narcotrafficanti colombiani, il secondo al gruppo "ndranghetistico", gravitante intorno alla famiglie della Locride Marando-Trimboli, il cui leader riconosciuto si identificava in M.P., il terzo al gruppo siciliano, il cui rappresentante di spicco era M. S.. Tale sodalizio, che si avvaleva anche del contributo determinante di altro calabrese S. P., il quale svolgeva un ruolo di mediazione e di raccordo tra il gruppo dei P., principale motore operativo e il gruppo dei Marando, principale finanziatore negli acquisti di stupefacenti, funzionava come una vera e propria holding del traffico di stupefacenti ed aveva a disposizione ingenti quantitativi di danaro, di provenienza certamente illecita, ed era alla ricerca continua di nuovi affari di importazione di droga, che non mancavano ad arrivare, quali: l'operazione Mirage 2, gli affari olandesi e l'affare "del compare", tutti … non andati a segno». L'accusa ipotizza dei summit, tenutisi in Palermo, per curare i rapporti con la componente siciliana del sodalizio, facente capo al M., e per seguire da vicino un’operazione, che prevedeva lo sbarco in Sicilia di una nave, che trasportava dalla Colombia ingenti quantitativi di cocaina.



POLITICA

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Quando la 'ndrangheta era comunista ILARIO AMMENDOLIA

“Per il vecchio ordine, comunisti o 'ndranghetisti sono quasi la stessa cosa e infatti tanto gli uni che gli altri venivano associati nelle patrie galere”.

Nel febbraio del 1945 Roccaforte del Greco è indicata come la Stalingrado della Calabria per l’altissima percentuale di militanti comunisti. Molti di loro, o quasi tutti, erano anche 'ndranghetisti. Per il vecchio ordine, comunisti o 'ndranghetisti sono quasi la stessa cosa e infatti tanto gli uni che gli altri venivano associati nelle patrie galere. Sindaco del paese è un calzolaio Orlando Cassini, comunista e, probabilmente, 'ndranghetista. Un sindaco calzolaio è già una rivoluzione. Una notte qualcuno spara contro la caserma dei carabinieri. Qualche ora dopo una “ronda” di carabinieri e “volontari” armati escono alla ricerca dei probabili responsabili. Viene ingaggiato un conflitto a fuoco e uno dei “volontari” viene ucciso. Gli esponenti dell’antico ordine sociale indicano nel sindaco Cassisi il responsabile e l'ispiratore dell’agguato contro i carabinieri. Un gruppo di facinorosi circonda la casa del sindaco che si barrica dentro con la moglie, la suocera, un fratello e quattro figlioletti tremanti. Gli assedianti riescono a penetrare all’interno dell’abitazione.

Cassisi è armato. Spara e uccide uno degli assedianti e mettendo in fuga gli altri. Verrà arrestato e destituito da sindaco ma resterà comunista. Solo un mese dopo i fatti di Roccaforte la rivolta esplode a Caulonia. I rivoltosi di Caulonia “arrestano” i carabinieri e le guardie forestali, istituiscono il “tribunale del popolo”, sequestrano la famiglia del pretore, minano i ponti di collegamento al paese, armano un esercito di contadini scalzi, malvestiti, spesso analfabeti, proclamano la Repubblica. Processano e condannano, spesso arbitrariamente, (sulla scia di quanto avveniva nei tribunali dello Stato), i presunti “nemici della popolo”. I grandi giornali nazionali bollano “la Repubblica di Caulonia” come una rivolta di 'ndrangheta, utilizzando soprattutto i precedenti penali del sindaco comunista, Pasquale Cavallaro. “[...]Il parroco Amato è stato barbaramente ucciso nella sua dimora di campagna. Egli non aveva che un nemico, il delinquente sindaco Cavallaro [...]. Costui, che non avrebbe potuto essere elettore, da 18 mesi era a capo dell’amministrazione comunale. Nella Locride, purtroppo, tutta la malavita e tutta la mafia trova ricetto nelle fila del Partito Comunista” (da Il Popolo, organo della Democrazia Cristiana). Palmiro Togliatti da una lettura dei fatti decisamente diversa: “Musolino ci ha descritto in termini commoventi la situazione reazionaria di quella provincia e ampiamente illustrato gli ultimi incidenti che vi si sono prodotti. Noi siamo solidali con quei contadini e quei lavoratori della Calabria i quali lottano in condizioni così difficili per la loro libertà. Non c’è bisogno che io dica qui che siamo pienamente solidali col compagno Cavallaro per l’azione che egli ha condotto a Caulonia in difesa delle libertà elementari di quella popolazione e per riuscire a opporre una barriera all’avanzata delle forze reazionarie”. Un anno più tardi ad Africo (vecchia) i “comunisti” andranno all’assalto della stazione dei carabinieri, utilizzando finanche bombe a mano. Protestano perché un militante del partito era stato fermato, portato in caserma e picchiato al solo scopo di rubargli un paio di scarpe nuove. I rivoltosi sono capeggiati da un ex ergastolano: Santoro Maviglia. Un uomo, entrato nel carcere come criminale comune, dove però ha colto l’occasione del riscatto. Nel

suo peregrinare nelle patrie galere ha avuto modo di incontrare molti detenuti politici tra cui Gramsci. Uscirà dalle galere fortemente politicizzato, quasi un anarchico che si adatta al partito comunista. Potrei citare altre mille episodi simili a quelli di Caulonia, Africo, Roccaforte. Molti anche successivi agli anni della guerra, tra cui l’appoggio incondizionato dato dal PCI al sindaco di Canolo Nicola D’Agostino quando venne mandato al confino. D’Agostino era ritenuto e giustamente - il capo della locale 'ndrangheta. Il PCI contesta il provvedimento sul piano teorico con uno scritto di Rosario Villari su “Nuovi Argomenti”; sul piano politico con un vibrante intervento di Mario Alicata contro il confino di polizia. Ci sono documenti inoppugnabili che dimostrano il legame tra il PCI e la 'ndrangheta. Nel 1944 Adalino Bigotti, dirigente nazionale del PCI, annota nei suoi verbali, redatti nella federazione di Reggio Calabria, l’esistenza di squadre d’azione composte “esclusivamente di elementi di malavita", da usare, secondo l’intenzione dei compagni, per “azioni di difesa” all’interno delle quali “il caposquadra è per lo più un maffioso come pure il vice caposquadra. Mentre il commissario è sempre elemento politico con funzioni di controllo e propagandistiche, e diritto di veto. I compagni garantiscono della bontà del sistema” (Piero Bevilacqua). Secondo Bilotti, Eugenio Musolino, futuro deputato alla Costituente e autorevole esponente del partito (per il quale aveva scontato una decina di anni di carcere), afferma: “Nella provincia di Reggio quelli che hanno dieci in condotta sono elementi passivi, quelli che hanno zero in condotta sono elementi combattivi di fronte ai padroni”. La storia corrente scritta dai professionisti dell’antimafia, spesso in perfetta malafede, tende ad associare la 'ndrangheta calabrese alla mafia siciliana. Si tratta di un palese falso storico che tende a coprire le responsabilità delle classi dirigenti e, contemporaneamente, a nascondere i motivi veri dell’insuccesso di una lotta trentennale alla 'ndrangheta più apparente che reale. Per esercitare il dominio sulla società calabrese sino alla seconda metà del secolo scorso, i dominatori non avevano alcun bisogno della 'ndrangheta, disponendo già delle caserme dei carabinieri, dei commissariati di polizia, dei tribunali, delle preture.

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La 'ndrangheta per oltre la metà del Novecento è stata una presenza decisamente minoritaria e marginale nella società calabrese. Un fenomeno sociale legato, quasi ovunque, alle classi subalterne. L’aggregazione iniziale della 'ndrangheta nasce come uno strumento primitivo delle classi subalterne finalizzato alla reciproca difesa. Un’organizzazione tesa, tra l’altro, a difendere “l’onore” delle donne costantemente insidiato degli antichi padroni. Come facilmente prevedibile dall’autodifesa si passò ai furti , soprattutto di bestiame, alle estorsione, all’uso sistematico della violenza. A quei tempi il Partito comunista aveva raffinati strumenti di analisi che consentivano di comprendere i fenomeni sociali. In questa ottica, la ndrangheta venne decifrata una risposta sicuramente sbagliata, alla violenza secolare delle classi dominanti. Una risposta al sacrificio di migliaia di ragazzi uccisi in guerra senza un perché. Una violenza assurda che aveva seminato ovunque sentimenti di barbarie e di violenza. La “Sinistra” aveva tutti gli strumenti culturali e politici per comprendere che la violenza massiccia e di classe contro i deboli era esercitata solo marginalmente della ‘ndrangheta e massicciamente invece nei tribunali, nelle preture, nei commissariati, sui luoghi di lavoro, nei municipi, nella stessa Chiesa cattolica. Secondo tale analisi, la ndrangheta si sarebbe naturalmente estinta nel momento in cui sarebbero cambiati i rapporti di forza nella società. Una società più giusta e più uguale sarebbe stato il naturale antidoto alla criminalità organizzata. Sono passati tanti anni dagli avvenimenti che abbiamo narrato e abbiamo a che fare con un’altra ndrangheta e un’altra “Sinistra”. Entrambe parte integrante del blocco di potere e contro il popolo, soprattutto contro i calabresi. In sintesi ci troviamo dinanzi ad un duplice “tradimento”. La ‘ndrangheta, come vedremo , diventerà strumento di governo nelle mani delle classi dominanti. Gli ‘ndranghetisti d’alto bordo faranno propri gli atteggiamenti delle classi dirigenti come la rapacità, lo sfruttamento sugli altri uomini, la prepotenza, l’ipocrisia, lo scarso valore dato alla vita umana. Rimuoveranno l’onore ed esalteranno il valore della ricchezza e del potere. Diventeranno “padroni” tra i padroni. La ‘ndrangheta di oggi arruola la manovalanza a San Luca ma ha lo stesso disprezzo della vita umana e della giustizia che si avverte a “Piazza affari” o a Wall Strett”. È figlia di quel mondo più che espressione dei paesi della Calabria. Nello stesso tempo gran parte della “Sinistra”, ha progressivamente abbandonato al proprio destino i ceti subalterni, gli emarginati del Sud e della Calabria. Tende ad assimilarsi sempre di più alle antiche classi dominanti. Venderà tonnellate di parole sulla lotta alla ‘ndrangheta ma rimuoverà dalla propria strategia ogni progetto di cambiamento della società, marcando la propria siderale distanza delle classi lavoratrici. Infine, individuerà nella ndrangheta un comodo “nemico”, per nascondere i propri cedimenti, le proprie rinunce, la lontananza abissale tra eletti e popolo. Un comodo gioco delle parti: le ingiustizie, l’ignoranza, l’abbandono, producono la manovalanza arruolata a poco prezzo dagli impresari del crimine. La ‘ndrangheta legittima le classi dirigenti. In mezzo un popolo rassegnato, e oggi, senza più speranza.



ATTUALITÀ

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Seppi… Ex BP, incubo senza fine: spuntano nuovi fusti Nemmeno il tempo di programmare la bonifica dei fusti noti nell’area della ex BP che ne spuntano di nuovi. Durante un recente sopralluogo del Comitato per la Difesa della Salute dei cittadini, infatti, la fabbrica in disuso ha mostrato di avere nascosti (peraltro sotto decine di metri di eternit) centinaia di altri fusti contenenti prodotti chimici che costituiscono un ulteriore potenziale pericolo per la cittadinanza sidernese.

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Immediata l’attivazione dei cittadini che, nella persona di Franco Martino hanno contattato tempestivamente il sindaco Pietro Fuda per aggiornarlo sulla situazione e discutere con lui dei provvedimenti da prendere in seguito a questi nuovi sviluppi.

ni. In attesa del processo d’appello Siclari non era incandidabile ma essendo stato eletto è scattata per lui la sospensione per 18 mesi. Candidato di Alternativa popolare, era stato eletto con il 33,16%, percentuale che gli ha permesso di tenere dietro gli avversari Antonio Ciccone, Domenico Aragona, Milena Gioè e Silvia Lottero.

Non era incandidabile, ma non ha potuto fare il sindaco: la strana storia di Giovanni Siclari

Marina di Gioiosa, la maggioranza perde pezzi: Isidoro Napoli lascia il consiglio comunale

È durato appena quarantott'ore il mandato del neoeletto sindaco di Villa San Giovanni Giovanni Siclari. Mercoledì mattina, infatti, è stato emesso dal prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari un provvedimento sospensivo in base alla legge Severino e dopo una comunicazione giunta dall'autorità giudiziaria. Siclari, vicesindaco nella passata consiliatura, sarebbe stato condannato in primo grado per abuso d'ufficio insieme all'ex sindaco Antonio Messina. Alla sospensione erano seguite le dimissioni dei 16 consiglieri che avevano portato allo scioglimento dell'Ente e a nuove elezio-

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Roccisano e Mogol si impegnano per il futuro dei giovani Calabresi

La settimana è cominciata con una notizia shock, per Marina di Gioiosa Jonica: l’Assessore all'Urbanistica e all'Unione dei Comuni Isidoro Napoli ha rassegnato le dimissioni da Consigliere Comunale. Nonostante sia stata annunciata una conferenza durante la quale sarebbero state spiegate le motivazioni di questa decisione improvvisa, durante la settimana non sono stati

CALABRESE PER CASO * di Giuseppe Romeo

Amministrare o commissariare? Finite le amministrative ognuno di noi cerca di capire i risultati, si esercita nel leggere tra le righe delle dichiarazioni degli eletti come dei non eletti cosa cambierà, quali saranno le iniziative che ognuno intenderà prendere dalla posizione conquistata di amministratore. O come, e in che termini, coloro che non hanno raggiunto la maggioranza potranno esercitare un ruolo efficace che non li emargini o non li faccia cadere nella tentazione di una facile opposizione. Per comprendere questo, però, credo sia necessario essere convinti di due cose che emergono chiaramente dalle ultime consultazioni amministrative, al di là delle vicende di qualche comune. La prima, è la risposta civile al commissariamento. Ovvero, il coraggio di voler amministrare, di voler dimostrare che vi è ancora voglia di impegno, desiderio di reagire con dignità come comunità volendo assumere la responsabilità di amministrare senza surrogati democratici o vere e proprie sospensioni della partecipazione popolare. La seconda, meno immediata ma forse più importante, è che in queste elezioni amministrative alla fine, di fronte alle piogge di commissariamenti, hanno vinto tutti coloro che si sono impegnati a volersi assumere questa responsabilità. Va, cioè, riconosciuta la capacità di reagire in termini di impegno civile a quelle persone che, a vario titolo e con i propri programmi od idee, non si sono fatte intimorire dalle difficoltà o conquistare dalla rassegnazione o dalla semplice e comoda arrendevolezza che garantisce una apparente tranquillità, ma che esclude poi ognuno di noi dal poter essere protagonista del proprio quotidiano. Credo che oggi non vi siano né vinti né vincitori, ma solo persone a cui va riconosciuto il coraggio di essersi comunque voluti impegnare in una terra difficile, dove ammi-

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nistrare non è certo una cosa semplice, dove anche l’impegno civile non è certo una strada senza intralci. In questa sfida verso il domani, a cui si accompagna un certo dinamismo che vede i giovani ricostruire la partecipazione alla vita politica delle loro comunità, si può intravedere il desiderio di riappropriarsi del proprio futuro senza paure. Tuttavia, in questa prospettiva, il successo di ogni nuova amministrazione dipenderà dall’imporsi di due parole chiave a cui ricondurre ogni azione, ogni esercizio di quella che sarà la governance locale esprimibile: dialogo e condivisione. Dialogo con la gente e con le opposizioni per far prevalere l’interesse della comunità su quello delle logiche di lista, dal momento che non vi è successo se non si distribuisce il merito, se non si riconoscono i valori di una proposta, se non si comprende la necessità delle critiche se costruttive e finalizzate a giungere a sintesi percorribili nelle scelte. Condivisione, quale esatta conseguenza del dialogo perché ciò permette di creare una unità dove l’interesse della comunità va oltre l’orizzonte del vincitore quanto quello del non vincitore. Questo perché, l’interesse della comunità è l’unica via da seguire aprendo le porte al confronto, ricorrendo all’umiltà quale dote che di certo per chi amministra dev’essere un valore fondamentale. Se la consapevolezza è che questa reazione civile - che si perfeziona nel coraggio di voler amministrare – è un momento di riscatto, allora non si può procedere senza unità, senza dialogo e condivisione. Senza un confronto leale, sincero e diretto con chiunque abbia qualcosa da dire anche, pur da vincitori, facendo un passo indietro se si riconosce la ragionevolezza delle opinioni di chi non fa parte della maggioranza. Ecco, credo che la scommessa per una nuova vita civile diversa e partecipativa, serena e, perché no?, sorridente delle nostre comunità passi proprio da queste intenzioni.

Giovedì scorso, alla Cittadella Regionale di Catanzaro è stato presento il progetto Mogol, che coinvolge 30 scuole calabresi. Coinvolgendo in prima persona ragazzi desiderosi di mettersi in gioco in campo musicale dando l’oro l’opportunità di seguire corsi altamente professionalizzanti, il corso è ormai giunto alla sua fase finale ed è stato presentato dall’Assessore Regionale Federica Roccisano e dal maestro Mogol in persona. Una dimostrazione di attenzione per i giovani della nostra terra che ci lascia ben sperare per il futuro.

Falcomatà e il mistero della gita in elicottero

Venerdì pomeriggio il sindaco Metropolitano Giuseppe Falcomatà ha partecipato a un convegno europeo sulle politiche dell’accoglienza tenutosi a Gioiosa Jonica. A destare scalpore, più che la partecipazione in sei del primo cittadino di Reggio, il fatto che sia arrivato il loco nientemeno che in elicottero. Nella giornata successiva, attraverso un reportage dei colleghi di “Gazzetta del Sud”, è stato spiegato che la gita aerea di Falcomatà si è resa necessaria per effettuare un sopralluogo del territorio reggino assieme al capo della Protezione Civile Carlo Tansi ma ciò che ci domandiamo, a questo punto è: Falcomatà avrà parcheggiato Tansi per partecipare al convegno di Gioiosa o, resosi conto che si era fatto tardi, gli ha “scippato” l’elicottero?

Lo Sporting Lokri organizza il primo convegno sul Futsal di Calabria

Puntare fortemente sul settore giovanile; è questo ciò che è emerso dal Primo Convegno sul Futsal Femminile in Calabria, organizzato dallo Sporting Lokri, e che ha chiamato in causa tutte le parti nello sviluppo e nell’organizzazione dello sport. L’incontro, che ha visto la partecipazione del presidente della sezione AIA Roberto Rispoli e del presidente regionale AIAC Raffaele Pilato, ha rappresentato un punto di partenza importante per pianificare coesi lo sviluppo del futsal femminile, un momento di incontro tra società, federazioni e addetti ai lavori che in modo concreto hanno dimostrato di voler gettare le basi per lo sviluppo concreto di questo sport.



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L’ANALISI DEL VOTO

JACOPO GIUCA a tornata elettorale della scorsa domenica si è conclusa con il rinnovo di undici consigli comunali della Locride. Nel nostro comprensorio, dei 27.231 elettori chiamati alle urne, hanno risposto presente in 15.389, ovvero il 56,1% degli aventi diritto, che hanno deciso in quattro casi di rinnovare la fiducia ai sindaci uscenti, in due di affidarsi a candidati ripresentatisi a diversi anni di distanza dal loro precedente mandato, in tre di eleggere concittadini che non avevano mai ricoperto la carica di sindaco e in altri due giovani che non avevano mai rivestito alcun ruolo partitico. All’esito delle votazioni il panorama politico della Locride risulta assai variegato ma, come già accaduto nelle ultime tornate elettorali che hanno riguardato il nostro comprensorio, viene confermata praticamente dappertutto la sfiducia nei partiti. Non è un caso, infatti, se l’unica lista “politica” presentatasi sul territorio in queste elezioni, ci riferiamo al PCI schieratosi a sostegno del candidato Domenico Romeo a Ferruzzano, a discapito del programma elettorale curato e lungimirante, sia stata sonoramente sconfitta dalla civica Spighe di Grano capitanata da Domenico Silvio Pizzi. Anche a Caulonia, paese in cui la civica Città Futura nascondeva nemmeno troppo velatamente l’ispirazione politica del PD a sostegno di Caterina Belcastro, l’odore di lista partitica ha fatto sudare freddo fino all’ultimo la consigliera metropolitana, che ha vinto di misura su un Francesco Cagliuso di fatto sconfitto dalla mancanza in lista di uno scopellitiano di razza come Domenico Campisi, che ha racimolato senza fatica mezzo migliaio di voti che lo rendono il vero vincitore della tornata elettorale cauloniese. Non si può che accogliere con favore il rinnovo delle cariche di Stefano Marrapodi a Caraffa del Bianco e di Rocco Luglio a Portigliola. I due sindaci uscenti, infatti, hanno dimostrato di avere molta più contezza delle condizioni dei propri paesi rispetto a quella dimostrata dai rispettivi avversari, concentratisi spesso solo su problemi di facciata senza che venissero avanzate proposte concrete dalle quali ripartire come pure si pretendeva di dimostrare durante la campagna elettorale. Discorso differente, invece, per il rinnovo della cariche di sindaco di Felice Valenti a Bivongi e Antonio Condemi a Placanica. Nel primo caso, infatti, l’impegno di piazza messo in campo da Franco Carnovale avrebbe meritato molta più considerazione da parte dei cittadini, che pure hanno preferito affidarsi nuovamente al comunque buon programma di un Felice Valenti chiuso nelle “quiete stanze” durante tutto il periodo elettorale. A Placanica, invece, benché la lista con la quale si è ripresentato il primo cittadino uscente dimostrasse di avere grande polso della situazione, l’avversario Gerardo Clemeno, nonostante la giovane età ha presentato, assieme alla lista Riattiviamo Placanica, un programma che andava direttamente al nocciolo dei problemi del paese. Visto il valore pressoché equivalente dei due candidati, dunque, potremmo dire che a Placanica hanno vinto i conservatori, considerato che i cittadini hanno preferito dare la vittoria all’usato sicuro Clemeno piuttosto che tentare l’azzardo di un candidato giovane che ci auguriamo si possa rifare tra cinque anni. Anche a Ciminà entrambi i candidati avevano dimostrato di essere pienamente consapevoli di che cosa servisse al borgo nel prossimo futuro, ma la stanchezza malcelata del vicesindaco uscente Nicola Polifroni è stata determinante per la vittoria della compagine guidata dalla giovane Giusy Caruso, che ha dimostrato di avere grande lungimiranza nell’affermare di voler ripartire da quanto di buono è stato fatto dal suo predecessore Domenico Polifroni. Visto l’insolito clima elettorale disteso, l’auspicio è che il collaborazionismo delineatosi in queste settimane possa permanere invariato, garantendo alla Caruso di trovare nell’opposizione, spesso composta da membri con maggiore esperienza, dei mentori in grado di agevolare la sua azione amministrativa. Anche la sfida di Antonimina, conclusasi con la vittoria di Luciano Pelle sul sindaco uscente Antonio Condelli non può che essere accolta con favore. Scriviamo insieme nuove pagine ha infatti dimostrato di voler cambiare il volto del paese “avvicinandolo” al resto del comprensorio. A differenza di quanto annunciato dal sindaco Condelli, che contava di amministrare durante i prossimi cinque anni proprio come aveva fatto durante gli scorsi cinque e si sentiva forte del fatto di aver già sconfitto il suo avversario nel 2012, Pelle ha dimostrato di aver pensato a lungo a un programma elettorale che rendesse Antonimina nuovamente importante agli occhi della Locride, facendosi promotore di un progetto di messa in rete delle eccellenze comprensoriali che gli (e ci) auguriamo di vedere realizzato.

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L’ondata di rinnovamento innescata dalle elezioni di domenica scorsa cambia il volto amministrativo di undici comuni della Locride. Abbiamo ripreso in mano le dichiarazioni e i programmi elettorali dei candidati per cercare di immaginare che futuro riserveranno i nuovi sindaci ai paesi che amministreranno nei prossimi cinque anni, provando al contempo a comprendere se la scelta dei cittadini sia stata davvero la migliore possibile.

Vergini, vecchie volpi e ritorni di fiamma Nel nostro comprensorio ha votato il 56% degli aventi diritto, con picchi vicini (o superiori) al 70% nei casi eccezionali di Bovalino e Portigliola. Maglia nera Ciminà, con poco più del 30%.

Sono state rinnovate quattro cariche, in due casi si è data fiducia a due sindaci di molti anni fa, in tre a concittadini che non sono mai stati sindaco e in due a giovani al primo incarico politico. L’ascolto dei giovani, i servizi all’avanguardia e il recupero della storia del borgo sono solo alcuni degli aspetti promossi dal nuovo sindaco che, più di ogni altro si distingue, piuttosto, per una visione programmatica del futuro che preghiamo i vertici dell’Assocomuni di ascoltare con grandissima attenzione. Particolarmente significativa è stata la tornata elettorale di Bovalino: dopo un periodo di commissariamento all’apparenza interminabile, la sfida a tre tra Alessandra Polimeno, Vincenzo Maesano e Francesco Gangemi ha attirato il 67,8% degli elettori, che hanno dimostrato grande oculatezza nello scegliere il programma stilato dal candidato del Movimento PoliticoCulturale Agave. L’onnipresenza in piazza del gruppo a sostegno di Maesano, che negli ultimi anni si è confrontato ciclicamente con i cittadini, ha garantito una visione di insieme sulla quale poggia un programma curato in ogni dettaglio, differentemente da quanto fatto dagli avversari. Considerato il legame che intercorre tra la Polimeno e Franco Crinò, consigliere (nemmeno troppo) occulto della campagna elettorale priva di frutti della candidata di Nuova Calabria, consiglieremmo al senatore, che potrebbe essere indicato come il vero sconfitto dell’elezione bovalinese, di prendere a esempio gli avversari durante i prossimi impegni elettorali. Staiti, paese nel quale si è candidato più del 10% della popolazione (28 candidati in tre liste per 275 abitanti), è stato teatro di una situazione davvero singolare: ci riferiamo non tanto alla vittoria di Giovanna Pellicanò sulla compagine guidata dal sindaco uscente Antonio Principato, quanto al fatto che la lista a sostegno di Fortunata Fosso non solo ne esce sconfitta, ma senza nemmeno un voto! Quanto mai saranno odiosi i candidati di Unità per Staiti per non avere ottenuto il voto nemmeno delle proprie famiglie e, addirittura, per non essersi votati tra loro?! Chiudiamo con Grotteria: il paese fino alla scorsa settimana guidato da Salvatore Leoncini si garantisce continuità amministrativa grazie all’elezione di Vincenzo Loiero che, a discapito della sua natura di politico di razza, non ha dimostrato, a nostro parere, alcuna visione prospettica per la propria città d’origine. A differenza di entrambi i suoi avversari, in particolare Raffaele Lupis, che aveva ammesso con molta franchezza che il centro verserebbe in condizioni così disperate da fargli ritenere la sua eventuale gestione una semplice parentesi verso una rinascita troppo lontana, durante la campagna elettorale Loiero ha dato l’impressione di essere un estraneo in casa propria e di ritenere sufficiente proseguire la politica del suo predecessore per barcamenarsi fino alla fine del mandato. Siamo certi che questa impressione verrà smentita con il tempo e che la scelta di Grotteria non sia stata esclusivamente di “pancia”, ma dubitiamo che i primi 100 giorni possano imprimere al borgo quella svolta auspicata dagli altri candidati e dal resto della popolazione. Forse Lupis e Arena avrebbero dovuto pensare a una “larga intesa”…



Oh che bel Ăˆ stato inaugurato ieri il Castello di Roccella finalmente restituito all'antico splendore. Un intervento di restauro ha riconsegnato alla cittĂ il simbolo della propria identitĂ storica, che oggi è pronto a irradiare la sua valenza culturale in un piano di programmazione turistica nazionale.


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castello... MARIA GIOVANNA COGLIANDRO

Il cuore della Roccella antica torna a pulsare. Il castello inespugnabile che polverizzò la fama di irriducibili saccheggiatori è finalmente pronto a darsi in spettacolo. Da ora in poi l'aura del suo respiro su Roccella sarà ancora più magica. "Si tratta di un momento storico per Roccella. Quella di ieri non è stata un'inaugurazione ma una cerimonia di consegna alla comunità del maestoso palazzo Carafa, ricostruito nelle parti crollate, recuperato e consolidato nelle parti originarie. Si è provveduto a dotare l'ala est di nuova copertura, pavimentazione, infissi e impianti tecnologici - dichiara l'assessore alla Cultura Bruna Falcone. - Dopo anni di abbandono il castello, che sembra vegliare su Roccella e sull'intera costa dei Gelsomini, riprende a vivere. La notizia della sua inaugurazione è stata accolta da un misto di sentimenti: dalla commozione all'orgoglio fino alla nostalgia per i ricordi dell'infanzia legati al castello. Questo edificio storico ha rappresentato la materializzazione del potere e del prestigio della famiglia principesca dei Carafa e un baluardo che ha fatto sì che Roccella acquistasse la peculiarità che la connota tra tutti i paesi della fascia ionica". Fondato nel XV secolo, in periodo angioino il castello fu eretto con funzione difensiva. Nei secoli fu adibito a rocca feudale per poi assumere nel '700 i caratteri di residenza signorile, rimaneggiamento avvenuto sotto i Carafa, feudatari di Roccella dal 1480 al 1806. Il palazzo a pianta quadrangolare si sviluppa su tre piani, costituiti da 66 astanze, e si snoda intorno a una corte centrale da cui si aveva l'accesso diretto ai locali adibiti a servizi (cucine, stalle, magazzini). Dal cortile, tramite una scala in pietra calcarea, si accedeva ai piani superiori che ospitavano gli appartamenti dei principi. Per la servitù, invece, era prevista una scala a chiocciola in pietra calcarea, tuttora in buono stato di conservazione. Nella stessa parete un pozzo incassato nella muratura. Attigua all’edificio è l'ex Chiesa Matrice di San Nicola di Bari, in stile jonico barocco, completamente restaurata e inaugurata un anno e mezzo fa, e adibita a sala polifunzionale. La chiesa era stata chiusa al culto dopo il terremoto del 1905, e in sua sostituzione fu eretta nella marina la nuova cattedrale. Qui furono trasfe-

riti i pregevoli altari in marmo policromo, due dei quali sono stati dichiarati monumenti nazionali. Per accedere alla vecchia chiesetta, alla principessa era riservato una sorta di corridoio privilegiato che collegava esternamente il palazzo all'edificio sacro: la principessa poteva così assistere alle funzioni religiose da un coretto, uno spazio sopraelevato, che le consentiva di non mescolarsi agli altri fedeli. Di rilevante importanza è, inoltre, la torre di guardia, detta di Pizzofalcone, costruita su uno sperone roccioso, poco lontano dal castello con cui comunicava a vista. La torre è raggiungibile attraverso la suggestiva passeggiata inaugurata nel giugno 2o05 grazie alla caparbietà del compianto Sisinio Zito. Dopo la torre e la ex chiesa matrice, ieri è stata la volta del castello, consegnato alla città dopo averne recuperato l'antico splendore. Questo grazie a un intervento di restauro che ha visto all'opera un team di esperti guidati da Lorenzo Surace, responsabile unico del procedimento, e da Marilisa Morrone, responsabile delle indagini archeologiche in fase progettuale. "Lastre marmoree, cornici, capitelli, basamenti recuperati durante i lavori di restauro andranno ad arricchire l'esposizione archeologica permanente che si snoderà a partire dagli spazi un tempo adibiti a stalle, cucine e magazzini fino al secondo piano del castello - specifica il sindaco di Roccella, Giuseppe Certomà - Un percorso suggestivo che andrà dal paleolitico all'età contemporanea, con un'attenzione particolare al nostro Festival Jazz. L'ultimo piano, invece, sarà riservato alle cerimonie istituzionali e private ma anche a concerti ed eventi culturali". "Nella vita non dobbiamo mai perdere di vista la capacità di fare cose impossibili - prosegue l'assessore Bruna Falcone ricordando il monito che il senatore Sisinio Zito ha lasciato in eredità alla città di Roccella. - Zito è il padre spirituale di questa riuscita, colui che ci ha insegnato a essere comunità e a spenderci con spirito di abnegazione affinchè i sogni divengano realtà". Tra le 66 stanze del castello è tornata a dondolare la storia ed è già in sella, pronta a galoppare, la cultura. La rupe maestosa, liberata da quell'antiestetica gru che ne deturpava la vista, è finalmente libera di accogliere nuove albe e sorridere alle notti di luna piena che la renderanno ancora più spettacolare.


SOCIETÀ

Franco Mammoliti

GERENZA

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un uomo al servizio della libertà Questa settimana è venuto a mancare Franco Mammoliti, sono andato a trovarlo subito negli uffici dell’Ascoa. Volevo bene a Franco, ricordo le sue telefonate su di giri, i discorsi in quello stesso ufficio. Sono tornato a casa, volevo scrivere un mio ricordo e ho riletto un suo vecchio libro pubblicato da noi, nel leggere la prefazione di Nicola Zitara ho rivisto Franco. Quante vite vive un uomo? Quanti Franco Mammoliti ho conosciuto nel percorso di una vita che, rispetto alla sua, è cominciata con una decina e più anni prima? Era il ragazzino timido (o schivo?, o intimorito?), il figlio di papà, che il padre si trascina dietro in quell’ufficio, in quel negozio, in quella banca, di qua e di là per Siderno, andando a sbrigare i suoi affari? Oppure era il ventenne polemico, quasi accidioso con noi socialisti, che comandavamo in paese? Ovvero il giovane viveur dalla fama non gloriosa, al quale sicuramente non avresti affidato tua sorella? O anche il cinquantenne che ha fatto strada, economicamente solido, socialmente ben ancorato, l'ex operatore commerciale di successo e adesso leader sindacale che ha già ottenuto positive conquiste per la sua categoria; un uomo con le idee chiare che per giunta le realizza, cosa direi straordinaria in un ambiente sociale dove di parole se ne dicono tante, ma difatti se ne fanno pochi o niente? La vita - per i fortunati che arrivano in fondo - è una lunga rappresentazione, in cui si può capitare di scegliere può capitare di essere costretti a recitare molte parti, come un qualunque attore di professione. Se, seduto in un banco della quarta elementare, l'indimenticabile maestro Velonà mi avesse chiesto - a mo’ di prova scolastica - d’indovinare la futura

professione e di prefigurare l'avvenire dei miei compagni, non avrei azzeccato una risposta. Chi sembrava nato per fare il carabiniere è finito ladro, chi era timido come una fanciulla è risultato un grosso penalista, chi disegnava come Toulouse-Lautrec ha fatto il cancelliere, chi era sempre in dubbio se formaggio si scrivesse con una o gi, è finito giornalista, chi era magro è cresciuto grasso e chi era grasso è venuto su magro, chi era povero adesso è ricco e chi era ricco adesso è povero. Con ciò ho voluto dire soltanto che il destino pratico, lavorativo, sociale dei singoli il più delle volte è determinato da cause esterne. Non cambia, o difficilmente cambia, invece, il temperamento, il carattere umorale di un individuo. E l'osservazione valeva sicuramente per Franco Mammoliti,

che si è esibito in più prove e ha fatto molti mestieri, ma è tuttavia rimasto qual era a vent’anni: uno che scommette con sé stesso, e se ha scommesso, si impegna, e, quando si impegna, vince. D'altra parte, chi scrive non è uno psicologo né un sociologo me un filosofo morale, E quanto fin qui detto potrebbe benissimo essere interamente sbagliato. Il problema è politico. Si badi politico, e non partitico. Politico nel senso della costruzione della società in cui viviamo, della nostra società; quella che abbiamo trovato venendo al mondo e che lasceremo ai nostri continuatori naturali andandocene dal mondo. Gli uomini sono miracolosi eventi della natura. L’incidenza del potere umano arriva - oggi - a non volere un figlio: di più, la volontà non può fare. Le società invece sono costruzioni dell’uomo (chi crede, può tranquillamente aggiungere: ispirato dallo spirito divino). Sono, pertanto, costruzioni imperfette. Si potrebbe dire persino illogiche o irrazionali. Ma sono perfettibili, logicizzabili, razionalizzabili, perché l’uomo, diversamente dagli altri esseri viventi, è un costruttore; usa la natura viva o morta per vivere, costruire oggetti e modificare l’ambiente in cui trascorre la vita. Nella fase matura della sua vita, Franco Mammoliti era un politico. Era tale nel senso corrente, ma tale era maggiormente nel senso di agente inconsapevole di una società che ha inconsapevolmente un suo progetto. Secondo l'insegnamento di Benedetto croce potrei dire che il progetto consiste nella libertà, che quando si raggiunge, diventa più grande. Ma non volendo mistificare le mie idee, dico che per adesso il progetto è la liberazione. Non vi è mondo più intricato di pastoie che

l'operare economico. Le pastoie si trasformano in spinosi e laceranti gineprai quando, ad attraversare quel mondo, è il piccolo operatore economico della più povera e arretrata regione d’Italia. Parlo dei piccoli commercianti e bottegai, degli artigiani, dei minuti industriali calabresi. Scoperti a monte, presso le vere classi capitalistiche, fornitrici primarie di merci, le quali inclinano a riversare su dette categorie i carichi che giustizia vorrebbe fossero loro, premuti da un sistema bancario fin troppo subalterno ai potentati industriali, il quale si rifà con i deboli di ciò che deve cedere ai potenti; e invisi anche alle classi subalterne e venditrici di lavoro - verso le quali gli operatori autonomi appaiono come l'ultimo anello, quello più diretto e violento del violento potere del mercato, su cui, chi ha, è, e chi non ha, non è - queste classi non avevano mai avuto qui da noi una difesa sindacale. L’ASCOA è la prima trincea associativa che la minuscola azienda scava per difendersi a monte, mentre, con grande civiltà, non intende recuperare a valle nessuno dei discorsi corporativi che pure sarebbero nella tradizione.Difesa nei confronti della banca, della burocrazia, del fisco, dei fornitori. E con il successo del crescente numero dei soci a testa. Ma non basta. All’ASCOA si conosce un altro nemico: la debolezza economica generale, che fa più debole ciascuno di noi. Tu, Franco, hai provato a vincere anche questa scommessa, ma solo il tempo ci dirà se ci sei riuscito davvero cambiando così le sorti di questa terra. Ad majora, e non solo per te, principalmente per gli altri. Per tutti noi. Un abbraccio Nicola Zitara

La politica come scienza del possibile Qualche piccola considerazione sul caso Grotteria Nella nota tripartizione dei saperi ( teoretici, pratici e poietici) Aristotele relega la politica, unitamente all’etica, tra i saperi pratici il cui oggetto è il possibile , ossia il fatto che in questi due campi una cosa può essere in un modo o nell’altro,ovvero avvenire o non avvenire. Può accadere per esempio che una verità universale e necessaria come 6+ 4= 10 ( aritmetica) non faccia 10 e quindi si può a rigore inferire che 10 non è maggiore di 8 ma addirittura inferiore. Sono certo che se continuassi in questa direzione molti mi darebbero del “ matto “ nella migliore delle ipotesi , dello scemo nella peggiore, anche se l’opzione più naturale è la seconda di. Tuttavia essendo la politica una scienza del possibile può accadere infatti che 10 sia minore di 8. E vediamo come. Raffaele Alberto Maria Lupis candidato a sindaco con Primavera prende 634 voti e non per amore di estrema semplificazione indichiamo con 6 mentre Domenico Santo Arena altro candidato a sindaco ne prende 402 e noi per il

discorso di cui sopra indichiamo con 4. Se per comodità, i dettagli per ora li tralasciamo, sommiamo arriviamo alla a10. Entrambi sono scesi in campo con un grande obiettivo( giusto e sacrosanto secondo chi scrive ) di mandare a casa Vincenzo Attilio il quale non ha superato il numero 8 vale a dire ha preso 839 voti. Avrebbero voluto mandarlo a casa per la cattiva politica di questi ultimi quindici anni di cui è stato artefice unitamente ai suoi stretti collaboratori. Tra i vari punti messi in evidenza sia da Raffaele che Santino ( basta leggere i loro programmi e ricordare quanto hanno detto durante i comizi) iIn primis Vincenzo Attilio deve dirci che fine hanno fatto i soldi finanziati ai tempi dell’amministrazione Lombardo per la costruzione della nuova “Caserma dei Carabinieri” ( circa 400.000 euro). E’ vergognoso vedere infatti il palazzo Napoli rimasto sventrato e mai ricostruito. In secundis Vincenzo Attilio deve dire ai grotteresi come è stato risolto il contenzioso con la famiglia Ferraro( palazzo Tucci) e quanti soldi ha sborsato il

comune per dirimere la controversia( si parla di circa 400 .000 euro ) per uno stabile che il proprietario ha pagato solo duecento mila lire! Inoltre deve dirci la ragione precisa per cui tutto il terreno di scavo della nuova 106 è stato depositato sul territorio del comune creando un autentico disastro ambientale( montagne artificiali che hanno cambiato la geografia fisica del nostro territorio). Ci sono infine altri elementi che per il momento tralasciamo come lo svellamento di gran parte del territorio boschivo che ne ha compromesso la sicurezza idro-geologica. Detto ciò entriamo come si suol dire in medias res della nostra premessa. Caro Raffaele e caro Santino nell’inaugurarvi un buon lavoro di forte e decisa opposizione di cui voi vi farete sicuramente interpreti , vi voglio porre una domanda che avrei dovuto fare durante la presentazione dei vostri programmi ma che era comunque troppo tardi: come mai avendo obiettivi comuni, nonché programmi non siete riusciti a trovare un accordo? Chi è questo primo della classe che non ha saputo

cedere? Immagino che entrambi abbiate ottime ragioni ma un grande torto: aver regalato come ha fatto il sottoscritto più di dieci anni fa la vittoria all’avversario( Lioiero). Ed è così pertanto che in politica 6+ 4 cioè 10 è inferiore di 8 appunto perché 6 è inferiore di 2 e 4 di 4 . Comunque spero che adesso non andrete a discolparvi nell’averci fatto sprecare una grande opportunità di rinascita e non diciate a voi stessi che seicento voti e quattrocento costituiscano una buona dote da cui ripartire per vedere sempre voi stessi al centro dell’attenzione. Sono certo che metterete da parte il vostro narcisismo e preparerete il terreno arato affinché nuovi soggetti ( non certo il sottoscritto) possano ripartire. Quanto a te Vincenzo Salvatore Attilio una semplice nota : nell’augurarti comunque buon lavoro ricordati di rispettare il voto di quella maggioranza grotteresi ( più di 1000) che hanno bocciato la tua politica. Domenico Angilletta( cittadino grotte rese)

Glossario degli inglesismi adottati nelle discussioni 1-ECONOMIA E LAVORO politiche, nell’economia e nella finanza (PRIMA PARTE) SILVANA NIUTTA Frequentemente, quotidiani, TG, spettacoli, interviste e dibattiti tra personalità importanti utilizzano nelle loro comunicazioni termini in inglese che prendono sempre più piede nel linguaggio corrente. In aggiunta al linguaggio politichese, l’uso di questi termini, per lo più sconosciuti alle masse popolari, serve per rendere incomprensibile ai diretti interessati la comunicazione e gli effetti che le scelte governative potranno avere sulla loro vita, escludendoli dalla discussione. Questo alimenta in molti individui un senso di inferiorità, di ignoranza e di vergogna. L’effetto “voluto” è quello di allontanarci sempre di più dalla politica in modo da delegare agli “esperti” le decisioni che incidono sulla nostra carne viva. A più riprese, mi propongo di illustrare quelli più utilizzati. Jobs Act: così definita la legge sulla riforma del lavoro, il cui titolo è “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”. Di fatto, la legge non riporta alcuna occorrenza del suddetto anglicismo, ma è ovvio che il doppio nome rende il rapporto con la legge ancora più confusionario e oscuro per il cittadino. Questa legge elimina l’art. 18 del Contratto Collettivo

Nazionale di Lavoro (CCNL), cancella ogni forma di contrattazione collettiva, istituzionalizza i voucher (buoni lavoro) come retribuzione per le prestazioni lavorative occasionali, ma soprattutto, fa sparire il lavoro di qualità e stabilizza la precarietà. Dopo aver fatto tabula rasa di tutti i diritti riconosciuti dal CCNL, questa legge introduce gli sgravi fiscali per le imprese, le tutele crescenti, la flessibilità, neutralizza la concertazione tra i sindacati e le imprese e favorisce i contratti individuali aziendali. Secondo la narrazione politica, il testo della legge sembrerebbe avere molto di positivo. Di fatto, però, distrugge l’impianto dei contratti di settore (metalmeccanico, chimico, tessile, agroalimentare, etc.) e, di conseguenza, sparisce l’operaio specializzato. Sempre secondo la narrazione, la riforma trasformerebbe i numerosi contratti temporanei, in contratti a tempo indeterminato, se non fosse che l’abrogazione dell’art. 18 ne rende “indeterminata” la durata, essendo possibile licenziare facilmente e non solo per motivi economici. Mentre la flessibilità consente un orario meno rigido, per esigenze familiari. Peccato che le classiche 8 ore giornaliere possono diventare anche 12, magari a parità di salario. Se otto ore vi sembran poche, andate voi a lavorar e proverete la differenza di lavorare e di comandar… (autore anonimo,

inizio 20. secolo). Flexisecurity: flessibilità alle imprese di assumere o licenziare i lavoratori secondo le proprie esigenze, da un lato; precarietà senza tutele, dall’altro. Gig-economy: lavoro on demand, smart working: quando ci dicono che avremo un sacco di posti di lavoro in più, c’è da preoccuparsi perché siamo nell’era della gigeconomy, i piccoli lavoretti, spesso poco qualificati, da svolgersi in qualsiasi momento, in qualsiasi giorno, parttime, a tempo pieno e spesso senza tutele. Sono i lavori offerti dalle piattaforme digitali (Uber, Deliveroo, Foodora, Glovo, etc.). Queste aziende, di solito, non hanno costi aggiuntivi e tutti i costi sono a carico del “lavoratore”. Con Uber, ad esempio, il lavoratore mette a disposizione la propria auto e si accolla tutti i costi di gestione, manutenzione e controllo, oltre alle perdite in caso di imprevisti. Lavoro on demand: tutti i lavoretti di cui sopra, sono on demand, cioè “a chiamata”. Il lavoratore, imprenditore di sé stesso, è sempre a disposizione non potendo prevedere la “chiamata”. Si usa anche il termine smart working, cioè lavoro “agile” (suona quasi positivo!). In questo caso non è il lavoro ad essere agile, ma il lavoratore costretto continuamente a riciclarsi. Il fatto è che con l'economia on-demand i posti di lavo-

ro non stanno sparendo, sono diventati nuove categorie, magari lo stesso lavoratore ne svolge più d’uno contemporaneamente. A questo punto sarebbe d’obbligo porsi delle domande: quale rete di sicurezza avranno questi nuovi lavoratori? Come motivare i giovani sull’importanza dell’istruzione superiore per acquisire nuove competenze? Quale certezza per un futuro migliore? Quale sarà il loro posto in una società futura? Servirà a creare prosperità condivisa e ricchezza nella società o, piuttosto, aumenterà l’enorme divario tra chi ha e chi non ha? Questo sistema produce un’incertezza molto sottovalutata, che ha una risvolto psicologico negativo su chi si affaccia al mondo del lavoro. Il lavoratore della new economy (nuova economia) è improbabile che abbia i contributi per la vecchiaia, né avrà la possibilità di risparmiare a causa della precarietà e occasionalità della prestazione per far fronte all’incertezza del futuro. Non ha progetti per il suo futuro, potendo solo “vivere alla giornata”. Tutto ciò sopra scritto ha niente a che vedere con la crescita dell’occupazione narrata dai media per volere del governo, né con la redistribuzione della ricchezza, che rimane sempre in mano allo 0,1% degli individui sul pianeta, mentre il 99,0% vive nell’instabilità globale.


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DOMENICA 18GIUGNO 15

Nicola Giglio

il gallo bianco che sapeva volare N elle ultime ore della sua vita terrena, Nicola Giglio, 65 anni, cercava il silenzio. Era nato con la caciara dentro e cercava il silenzio. La bicicletta taceva, nessun rollio nelle vie della marina, all’ Ymca, da Materazzi. Shhh! Non toccare il gallo bianco: terza regola dell’ordine pitagorico. Dalle Sbarre a Santa Caterina, quiete come le ombre. Il Mare è olio, la sabbia è leggera, Nicola è senza bagaglio: «L’ultimo viaggio, salperà la nave senza più ritornar». Poco oltre, a bordo, Enzo, Enzo Ingo e i suoi fratelli. Enzo c’è nella stanza, tra la rassegnazione e il ritratto della madre. Improvvisamente Nicola bisbiglia: «Enzo, adesso adesso». L’orologio batte le tre del pomeriggio; Nicola è nudo nel nuovo corpo, come i figli del mare. Ha il volto del profeta e il fisico spartano. Asciutto, come il sale Poi, il gran finale. Il Gallo Bianco si alza al capo dello Stormo dei Carbonella, allarga le braccia all’altezza delle spalle come gli avevano suggerito, irrigidisce il collo e porta viso e petto in avanti. Si ferma di taglio, a considerare le lacrime del mondo, vira dall’altra parte, sullo Jonio fino all’acqua dei Surici. Scandendo un volo controvento e lento, rientra in prossimità dei binari, su una colata di cemento che si allunga fino al sottopassaggio della ferrovia, tra il muro di recente costruzione e quello fascista. Poi radente fino alla statua di Correale. E vola via per sempre altissimo, svanendo, da qualche parte, verso Cala Argentina.

Via Correale È più vuota, addio Nicola Giglio Purtroppo anche durante le belle giornate arrivano le brutte notizie, Nicola Giglio (Carbonella) è morto la scorsa domenica pomeriggio, dopo un breve periodo di malattia e sofferenza. Sono veramente dispiaciuto, conoscevo da sempre Nicola come ricordo i suoi fratelli, Tonino, Cosimo, Vincenzo “u baruni”, Pasquale, ricorda gli articoli che parlavano del padre e del soprannome tanto conosciuto a Siderno e nella Locride. Da qualche anno la sede della “Riviera” è in Via Correale, la stessa di Nicola, questa via riusciva a mantenere ancora odori e tradizioni antiche, come la mattina, quando Nicola riusciva a svegliare tutta la zona con le sua grida o con lo sfotto contro qualcuno. In questi giorni di silenzio ho capito che stava male, ho capito che avrebbe raggiunto il fratello Vincenzo morto a settembre dello scorso anno. Adesso Via Correale è più vuota.

Il letale ed anacronistico ossimoro del Palazzo – 19 Abbiamo visto che c'è un organismo la cui funzione è quella di controllare il comportamento delle assicurazioni. L'Ivass. Però, come avrebbe detto Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea : come può vigilare sul comportamento delle assicurazioni chi, come Alberto Corinti ha lavorato per otto anni in una impresa assicurativa, è membro dell'Associazione italiana analisti finanziari e dell'associazione internazionale dei supervisori assicurativi? Quis custodiet ipsos custodes? Se l'assicurazione anziché sul veicolo fosse calcolata sulla patente? Al momento la definizione di un premio assicurativo dell’auto si basa sui tre parametri costituiti da bonus malus, residenza e tipologia di veicolo. Invece, l’introduzione del criterio della assicurazione legato direttamente alla patente di guida comporterebbe che chiunque guida dovrebbe stipulare una polizza RC auto, con il conseguente aumento del numero di assicurati e una riduzione delle tariffe.

L’introduzione dell’assicurazione patente potrebbe facilitare per i neopatentati una maggiore responsabilizzazione; il responsabile del sinistro sarebbe sempre il conducente dell’auto e non, come spesso accade oggi, il proprietario dell’auto titolare della polizza al quale si ricorre per pagare un premio inferiore usufruendo della classe di merito più vantaggiosa. Poi, anche la dissuasione del fenomeno dei “falsi sinistri”, favorito spesso dalla facilità di stipulare polizze assicurazione per tempi molto brevi. Le truffe diventerebbero molto più rare perché resterebbe sulla “persona” il sinistro e non sulla “cosa”. Si impedirebbero, quindi, le truffe “tanto ora la rottamo” o “tanto ora la vendo” Avremo, finalmente, dati statistici seri e non valutati su incidenti inventati e mai accaduti che ci spingono ai livelli peggiori d'Europa. La nostra Costituzione detta dei principi guida che il legislatore deve seguire nello svolgimento dell'attività legislativa, primo fra tutti l'arti-

colo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza), il quale impone l'adozione dei criteri di ragionevolezza e il bilanciamento di interessi. Questo significa che non potrà essere adottato un sistema illogico, arbitrario, incoerente, e che occorre tener conto di tutti gli interessi in gioco senza che nessuno di essi soccomba. Sappiamo bene che il meccanismo dell'assicurazione opera su base statistica, con il premio che aumenta all'aumentare dei fattori di rischio. Il sistema più coerente possibile sarebbe quello che tenga conto maggiormente delle caratteristiche dell'individuo assicurato più che della categoria a cui appartiene (giovane - anziano; residente al sud - residente al nord; maschio femmina, ecc....). E non vengano a dire che chi guida una Ferrari pagherebbe lo stesso di chi guida una Panda. Quante Ferrari e quante Panda ci sono in Italia? Tonino Carneri


ARTE

Nuovi clamorosi elementi inediti emergono in quello che è ritenuto uno dei più avvincenti gialli dell’archeologia. L’ingegnere Giuseppe Macrì, appassionato di studi storici ha rinvenuto un importante fascicolo che può far tremare Taranto e Berlino. Prima del suo ritrovamento eravamo di fronte a una verità di “polizia”, opera di un capitano della Guardia di Finanza, che negli anni ‘30 eseguì le indagini con cui si attestarono le origini tarantine della statua della Persefone. Oggi siamo in possesso di una verità giudiziaria che assegna la “Dea in trono”, conservata presso l’Alt Museum di Berlino, alla città di Locri.

Pino Macrì:

La Persefone

è nostra! Abbiamo le prove! MARIA GIOVANNA COGLIANDRO Mentre la dea Persefone, fiera sul suo trono, da oltre un secolo, affascina i visitatori dell’Alt Museum di Berlino, prosegue la querelle sulla sua origine: Taranto o Locri? Nel volume “Sulle tracce di Persefone, due volte rapita” a firma di Giuseppe Macrì, ingegnere appassionato di studi storici e socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, emergono clamorosi elementi inediti che, se ci si decidesse a dar loro l’importanza che meritano, potrebbero servire a far ritornare finalmente la statua della Persefone a Locri. È qui, infatti, che la “Dea in trono”, dopo secoli di silenzio, fu ritrovata; in particolare fu un contadino, Giovanni Giovinazzo, a riportarla alla luce tra le zolle di una vigna in contrada Perciante, nel comune di Portigliola. Era l’estate del 1905. Don Vincenzo Scannapieco, padrone del terreno, fece giurare a Giovinazzo che non ne avrebbe parlato mai con anima viva. Quella statua era un tesoro e Scannapieco fiutò subito l’affare. Giovinazzo mantenne la promessa per sessantuno lunghi anni: nel 1966, grazie all’instancabile lavoro di ricerca del Prof. Gaudio Incorpora, che si mise sulle sue tracce, il contadino si decise a parlare non appena il nipote prete lo sciolse dal giuramento di silenzio. Si scoprì, quindi, che dal 1905 la statua rimase occultata per sei anni in un frantoio in località Quote, in attesa del momento propizio per venderla al miglior offerente. Nel 1911 si fece avanti un compratore tedesco e fu venduta per un milione di marchi. La statua della dea fu, dunque, portata a Gioiosa Marina e da qui venne imbarcata su una nave con destinazione Taranto. Per un anno rimase nascosta nella cantina del cavalier Cacace. Nel 1912 fu trasferita a Eboli, da qui a Salerno e poi a Marsiglia. La statua finì nelle mani di un antiquario bavarese, il dottor Hirsch che la espose a Parigi nel 1914. Era allora in corso la prima guerra mondiale e la statua venne confiscata perché appartenente a una persona di nazionalità tedesca. Mediò per Hirsch un antiquario palermitano, Tommaso Virzì, suo caro amico, che dichiarò di essere il legittimo proprietario. Dalla Francia la Persefone passò in Svizzera e fu in seguito venduta al governo tedesco per un milione di franchi (il più cospicuo sottoscrittore fu l’imperatore kaiser Guglielmo II). Da allora si conserva presso il Museo Reale di Berlino e proprio qui, nei testi a corredo della “Dea in trono”, si specifica che la provenienza potrebbe essere calabrese, sebbene fin dal dopoguerra la statua venne riconosciuta come “Dea

di Taranto”. A riprova di questo riconoscimento, due anni fa, grazie alla tecnica sofisticata del laser scanner, è stata realizzata la copia fedele della statua da esporre presso il museo di Taranto, il MarTa. Nello stesso anno, viene dato alle stampe il volume dell’ingegnere Giuseppe Macrì che, consultando gli atti dell’inchiesta giudiziaria svolta nel 1968-69 dalla magistratura di Locri, sulla base delle dichiarazioni di Giovinazzo, porta alla luce nuove eclatanti verità storiche. Ingegnere Macrì, Lei è riuscito a reperire una sentenza che tutti consideravano introvabile… Grazie alla squisita cortesia di un mio caro amico che lavora presso la Procura della Repubblica di Locri, sono riuscito a visionare il carteggio relativo all’inchiesta giudiziaria impiantata dalla magistratura locrese che addirittura, secondo qualcuno, conteneva una sconfessione del testimone Giovinazzo. In realtà il carteggio avvalora completamente la confessione resa dal contadino nel 1966. Il fascicolo racconta tutt’altro rispetto a quanto scritto nero su bianco su testi accreditati come, ad esempio, “La dea del sorriso” di Angelo Conte, citato anche da studiosi di grosso calibro. Per tutti questi anni si è creduto che l’indagine fosse stata archiviata per inattendibilità del teste Giovinazzo. In verità la magistratura aprì un’inchiesta per verificare la possibilità dell’esistenza

“L’Associazione dei comuni della Locride guidi la battaglia per riportare a casa la nostra Persefone. La Germania ha acquistato illegalmente una statua: la restituisca!”

di soggetti che, in concorso con Vincenzo Scannapieco - il quale all’epoca delle indagini era morto - si resero responsabili del reato di trafugamento illecito di beni monumentali all’estero. Non avendone trovati, l’inchiesta fu archiviata. Nel decreto di archiviazione viene, però, premesso che la chiara e inequivocabile testimonianza di Giovanni Giovinazzo può far concludere che la statua della Persefone, che oggi si trova a Berlino, è senza ombra di dubbio quella trovata a Locri. Fino al ritrovamento del fascicolo eravamo di fronte a una verità di “polizia”, opera di un capitano della Guardia di Finanza, Giuseppe Tricoli, che nel ’33-’34 eseguì le indagini per conto della Soprintendenza di Taranto. Oggi abbiamo una verità giudiziaria. Magari sotto il fascismo la verità di polizia poteva avere la prevalenza, in democrazia a prevalere è la verità giudiziaria. Cosa delle indagini condotte dal Capitano Tricoli non l’ha convinta? In nessuna delle deposizioni raccolte viene detto “io ho visto quando la statua veniva escavata”, tutti sostengono di averla vista mentre veniva caricata sul carro. Qualcuno dice di aver aiutato a caricarla e qualcun altro di aver guidato il carretto da Taranto a Eboli. C’è solo una testimonianza che va a favore dei tarantinisti (neologismo da me coniato per indicare tutti coloro che tifano per l’origine tarantina della statua e che si trovano non solo a Taranto ma anche a Locri): una lettera scritta da due operai nel 1912 e ritrovata nel 1933 in cui si legge che una statua è stata escavata e trafugata per essere venduta all’estero. Ho avuto grossi dubbi su questa lettera, così l’ho sottoposta a un grafologo forense di Locri, Giulio Di Bernardo, e lui ha confermato i miei sospetti: la famosa lettera-denuncia, dalla quale sarebbe poi partita l’inchiesta Tricoli, è un clamoroso falso. Quali sono gli elementi per cui è ravvisabile il tentativo di falsificazione? La lettera rivela competenze di scrittura di livello medio-alto infarcite di errori grammaticali clamorosi, inseriti di proposito. Ci sono dei vocaboli come nottetempo che è impossibile che un semianalfabeta potesse conoscere. Inoltre, le firme in calce sono state apposte da una stessa mano perché la calligrafia è identica e in più caratterizzata da svolazzi che non è minimamente ipotizzabile potessero appartenere a due semianalfabeti. Non bisogna tralasciare, poi, che il capitano Tricoli condusse l’inchiesta con i metodi


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L’ingegnere Giuseppe Macrì, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e autore del libro-rivelazione “Sulle tracce di Persefone, due volte rapita”

“Non c’è la volontà politica di puntare ai beni archeologici. Ancora oggi molti non sanno che il perimetro dell’area archeologica di Locri è superiore a quello di Pompei. La parte scoperta è il 10%, il 90% è ancora sottoterra”. tipici del fascismo che prevedevano interrogazioni intimidatorie. C’è la testimonianza di un uomo, che non aveva partecipato al trasferimento della statua ma aveva fornito uno dei due cavalli, il quale alla domanda - che non è escluso sia stata posta in tono minaccioso - “è questa la statua?”, risponde “io non l’ho vista ma da come me l’hanno descritta è questa”. Come si fa a prendere per buona una deposizione del genere? A seguito dell’inchiesta di Tricoli viene effettuato un sondaggio nell’area in cui si riteneva fosse stata escavata la statua. Cosa fu scoperto? Le indagini di Tricoli confermarono le ipotesi avanzate dall’archeologa Paola Zancani Montuoro, ad eccezione dell’indicazione del punto in cui sarebbe stata escavata la statua. Il soprintendente di Taranto chiese i fondi per effettuare il sondaggio nel nuovo punto indicato da Tricoli, li ottenne ma non fu trovato nulla, nessun frammento. Siamo nel ‘33-‘34. Nel ‘57 si fece avanti un grande archeologo tedesco un certo Langlotz che indicò un nuovo punto, a venti metri di distanza da quello indicato da Tricoli, perché così gli era stato riferito da persona attendibile che gli avrebbe anche confermato quanto detto a suo tempo dalla Zancani Montuoro. Il soprintendente di Taranto ordinò un secondo sondaggio ma, anche stavolta, il nulla più totale. Inoltre, Langlotz sostenne che la statua fosse stata escavata non nel 1912 bensì nel 1911, “il tutto riferitemi da persona degna di rispetto”- dichiarò (al 99% questa persona è Tom Virzì: l’ho scoperto per altre vie). Ma nel 1911 il terreno in cui sarebbe stata trovata la statua a seguito di lavori di sterro eseguiti da una ditta, che poi vi avrebbe costruito un palazzo, non era nella disponibilità della ditta. Perciò quanto dichiarato da Langlotz è falso. Se, invece, è da considerare veritiero, ne consegue che tutte le testimonianze raccolte dal colonnello Tricoli sono fasulle, perché sono tutte riferite al 1912. Oltre al fascicolo quali elementi porta a sostegno della tesi secondo cui la Persefone è stata ritrovata a Locri? C’è un rarissimo libello di storia locale pubblicato negli anni ’20 e ripubblicato qualche anno fa dall’editore Franco Pancallo, dal titolo “Gerace città del sole”. L’autore è un certo Giuseppe Portaro, notaio, il quale scrive: “C’è la cattedrale di Gerace verso cui concorsero quattro templi pagani per la sua edificazione e ci sareb-

be stata anche la statua della Persefone se colui che ci viveva sopra non l’avesse trafugata, statua che oggi si trova a Berlino”. Chi è che viveva sopra? Portaro non lo dice ma guarda caso lui era il notaio di Scannapieco. Di recente ho scoperto che Portaro era massone, Guglielmo II era massone, Tommaso Virzì nel 1923 aprì una loggia massonica a Modena. Rimaneva l’ultimo anello: tramite un mio amico ho scoperto che Vincenzo Scannapieco era massone. Pertanto sono portato a credere che ci fosse un accordo tra di loro. Perché, secondo Lei, a Locri non è mai stato eseguito alcun sondaggio, neppure nel punto indicato da Giovinazzo? Nel 1921 il prof. Casagrandi pubblicò un librodenuncia che per la prima volta fece conoscere al mondo la storia del trafugamento della statua della Persefone. Casagrandi indicò come responsabile degli scavi nella zona di Locri Epizefiri l’archeologo Paolo Orsi che pertanto fu ritenuto complice del trafugamento. All’epoca della pubblicazione del libro di Casagrandi, però, si credeva che la statua fosse stata rinvenuta nel 1911 e non nel 1905. E nel 1905 Paolo Orsi non era ancora il responsabile. Per difendere Orsi, che per l’ambiente degli archeologi era una specie di mostro sacro da proteggere dalle accuse di Casagrandi, molti preferirono dichiarare che la Persefone fosse stata rinvenuta a Taranto.

“Sono portato a credere che dietro l’attribuzione della statua a Taranto ci fosse un accordo della massoneria: erano massoni quasi tutti i protagonisti della vicenda”.

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Cosa serve per autorizzare le ricerche a Locri? La volontà! Un’archeologa americana, Sarah Parcack, ha scoperto diciassette piramidi sconosciute, 1.000 tombe e oltre 3.000 insediamenti antichi in Egitto, dopo aver studiato le immagini provenienti dai satelliti in orbita intorno alla Terra, provvisti di telecamere a infrarossi. Il sistema è costoso ma non invasivo: non serve andare a effettuare gli scavi. Potrebbe essere utile per mappare l’intera area di Locri, non solo contrada Perciante. Ancora oggi molta gente non sa che il perimetro dell’area archeologica di Locri è superiore a quello di Pompei. La parte scoperta è il 10%, il 90% è ancora sottoterra. Solo con quel 10% abbiamo riempito il museo di Reggio, di Locri, ma ci sono nostri reperti anche a Napoli e Taranto (i Pinakes). Dal 1984 al 2004 ci sono state ben sei interrogazioni parlamentari da parte di deputati calabresi in merito alla vicenda che ha avuto come protagonista la Persefone. Una di queste Lei la considera scandalosa… Nel 1985 c’è stata un’interrogazione parlamentare di Natino Aloi. Il sottosegretario Galasso nel rispondergli afferma: “D’altra parte nel 1966 assumemmo informazioni attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione che ci assicurarono l’inattendibilità di Giovinazzo”. Torniamo all’inchiesta della magistratura di Locri: viene aperta il 27 giugno del ‘66 e chiusa nel settembre del 1968. Questo significa che c’è stato qualcuno all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione che si è arrogato il diritto di scavalcare i giudici e fornire un’interpretazione utilizzando notizie false. Chi fu a commettere questa gravissima azione? Potremmo azzardare un’ipotesi: i beni culturali nel ’66 dipendevano dal Ministero della Pubblica Istruzione. A Reggio il soprintendente dell’epoca era Foti, lo stesso che oppose i maggiori ostacoli alla magistratura. Quindi ci fu un vero e proprio depistaggio. I motivi non li so, forse si trattava solo di salvaguardare la figura di Orsi. Nel ’97 vi fu una seconda interrogazione da parte del deputato calabrese Natino Aloi e anche questa ricevette una risposta vergognosa, stavolta da Walter Veltroni, allora Ministro per i Beni Culturali… La risposta di Veltroni fa accapponare la pelle per l’ignoranza. Non sarà stato lui a redigerla, avrà incaricato qualche funzionario. Ho troppa stima di Veltroni per poter pensare che sia stato lui! Però almeno verifica, per l’amor di Dio! Non si può scrivere l’ “architetto” Paolo Orsi quando è il più grande archeologo italiano, non si può scrivere “negli anni ‘50 un contadino…” quando è successo nel ’66. Non si può scrivere, e questa è la cosa più grave, “non risulta che la magistratura locrese abbia mai aperto un’inchiesta”, perché l’inchiesta c’era e Veltroni ne era a conoscenza! Io mi sono rivolto a questo amico che lavora in procura perché si è ricordato che nel ’97 fu fatta una ricerca del fascicolo e fu tirato fuori proprio a seguito dell’indagine interna fatta da Veltroni. Quindi se tu hai fatto trovare questo fascicolo perché adesso dici che non ti risulta che sia stata aperta un’inchiesta? Questo è un mistero di cui, se ha tempo e voglia, dovrebbe rispondere Veltroni. E poi la ciliegina della risposta dell’allora Ministro per i Beni Culturali: “Non è possibile intraprendere un’azione per ottenere la restituzione dell’opera per non compromettere la fattiva collaborazione in atto con le autorità tedesche per la restituzione all’Italia di opere in merito alle quali le nostre richieste hanno ben maggiore fondamento”. Cosa c’è di più importante della Persefone? Siamo ai livelli dei Bronzi di Riace! Ciò che emerge in modo chiaro dalle sue ricerche è la mancanza di una reale legittimità dell’acquisto della Persefone da parte del museo tedesco. Secondo lei, ci sono margini giuridici in base ai quali è possibile avanzare un’ipotesi di restituzione della statua? Amici esperti di diritto mi hanno confessato che non esistono margini, a causa del tempo trascorso e della susseguente prescrizione. Quindi non si può intentare una causa contro la Germania, però politicamente sì! Quando tu metti una grande potenza come la Germania, che ci tiene alla propria immagine, di fronte all’accusa di aver acquistato illegalmente una statua, non è un’ipotesi remota che, in un atto di onestà intellettuale, si faccia avanti di sua sponte e restituisca la statua. Natino Aloi, durante la presentazione del mio libro, ha raccontato che, quando era sottosegretario alla Pubblica Istruzione, a un certo punto venne in contatto con il console tedesco e parlando della Persefone questi gli avrebbe dichiarato: “Voi non ce l’avete mai chiesta, perché se ce l’aveste chiesta io non penso che avremmo fatto le barricate per non restituirvela”. È vero, non è vero? Parola di Natino Aloi! Tentare di riaprire il dibattito sulla Persefone non costa nulla. Sarebbe auspicabile che alla testa del movimento per la restituzione della statua si ponesse l’Associazione dei comuni della Locride. Sarebbe una battaglia simbolo per il nostro territorio che, alla luce di quanto scoperto, potremmo vincere a tavolino.


CULTURA

Unconvegnoperaiutarciasfruttare i fondi europei per il turismo Domani, lunedì 19 giugno, alle ore 9:30, presso l’Altafiumara Resort di Villa San Giovanni, avrà luogo il convegno “I Fondi Europei per il Turismo nel Mezzogiorno - Quali sono, come usarli”, un incontro organizzato da Federturismo Confindustria in collaborazione con Unindustria Calabria che vedrà la partecipazione del Presidente della Regione Mario oliverio, dell’Assessore alle Infrastrutture Roberto Musumanno, del sindaco Metropolitano Giuseppe Falcomatà e dei vertici di Unindustria e Confindustria

Natale Mazzuca e Giuseppe Nucera. Dopo i saluti di apertura, in tarda mattinata si terranno le relazioni tecniche del Vice Direttore Confindustria Veneto Italo Candoni e della Consulente Federturismo Confindustria Silvia Barbone. Le conclusioni saranno affidate al Presidente Federturismo Confindustria Gianfranco Battisti e al Sottosegretario di Stato al Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dorina Bianchi.

Renato Audino: il campione di canoa che sogna di gareggiare nella sua Siderno Il canoista sidernese Renato Audino continua a inanellare successi sorprendenti. Da sempre appassionato di canoa, milita nella categoria Master H (dedicata agli over 70), nella quale ha conquistato negli ultimi tre mesi il primo posto nella gara regionale ligure disputata sulla

distanza di 5 km e il secondo nella competizione nazionale di fondo. Nello stesso periodo ha inoltre conquistato il titolo di Campione d’Italia arrivando primo alla Maratona Classica, un percorso in canoa di 12 km durante il quale è stato necessario anche effettuare due trasbor-

di portando l’imbarcazione in spalla. Gradino più alto del podio anche nelle specialità K1 e C2, oltre che nella prima fase del percorso canoisti sul fiume Po durante le regionali piemontesi. Nonostante militi tra Piemonte e Liguria, Audino torna spesso nella sua Siderno per potersi

allenare nelle acque del Mar Jonio e il suo sogno è di poter conquistare, un giorno, una vittoria in una competizione di canoa organizzata dall’Amministrazione Comunale nelle acque della riqualificata Diga sul Lordo.

Basket, il sogno di Siderno si avvera: gli Arnolds sono in D! Gli Arnolds vengono promossi in Serie D al primo tentativo. La compagine ionica batte la concorrenza e raggiunge gli Evergreen direttamente dal girone reggino di Promozione e la Cosentia e le Scintille dal raggruppamento della Calabria del Nord. Il progetto degli atleti di Siderno ha mandato in scena cultura cestistica e grande voglia di vincere riscoprendo, tra le altre cose, la meraviglia del basket all’aperto giocando sullo storico rettangolo dell’Ymca.

A Siderno un anno di volontariato retribuito con gli ipovedenti La sezione staccata di Siderno dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti dà la possibilità, ai giovani interessati di età compresa tra i 18 e i 28 anni, di effettuare un anno di volontariato dedicato ai minorati della vista. Il progetto, inserito nel programma del Servizio Civile, prevede una retribuzione di 433 Euro mensili e la possibilità di riscattare i l’anno di servizio a fini pensionistici. Come comunicato dalla referente Franca Bolognino gli interessati dovranno presentarsi presso la sede dell’Unione Italiana Ciechi di Siderno sita al pian terreno del Municipio tra le 16:30 e le 18 dei giorni lavorativi per ritirare il modello della domanda, da riconsegnare compilato entro il 26 giugno 2017.

“Foto...Vagando”: Quando la realtà diventa emozione Il 29 Maggio, nella Sala Conferenze del Liceo Scientifco "La Cava”. è stata allestita una mostra fotografica inserita nel progetto "FOTO... VAGANDO". Promotore della mostra è stato il Francesco Micale, docente colto e sensibile che, assieme al Dirigente scolastico Caterina Autelitano, ha proposto una "Vetrina" che ancora una volta dimostra quanto in questo nostro "Profondo Sud" si può realizzare per farci volare alto. Le foto esposte avevano come tema il paesaggio, i particolari architettonici legati all'arte Greco-Romana in Calabria e la natura nelle sue varie accezioni. Gli allievi sono stati bravissimi nel mettere "a fuoco" immagini di una bellezza straordinaria, restituendocele in fotogrammi ricchi di forme, colori e contenuti che ancora una volta parlano al cuore e all'anima di ognuno di noi. Per fare questo i giovani partecipanti hanno cominciato a guardare con altri occhi tutto ciò che c'è intorno a loro, stimolati da un diverso interesse che si può tradurre e concretizzare in un dialogo di emozioni in cui storia, arte e cultura diventano mediatori di cui non si può fare a meno. Comunicare per immagini non è sempre facile: ci vuole

una certa perizia tecnica e non solo, l'immagine non ha bisogno di parole per essere decifrata, fa tutto da sola. Essa viene catturata dagli occhi e trasmessa al cervello che, mediante un complesso percorso biochimico stimola tutte quelle sensazioni che ci coinvolgono emotivamente. I giovani allievi sono stati bravi anche in questo, si sono affidati alla loro sensibilità nel fermare i vari fotogrammi

trasmettendoci quanto da loro percepito e voluto. Determinati, quindi, questi fotografi, "in erba" ma in grado di mostrare quanto sia essenziale mettere passione in ogni atto creativo. La Commissione giudicatrice, composta dalla dirigente scolastico Caterina Autelitano, dalla docente Cecilia Minnici, dagli artisti Saro Lucifaro, Giuliano Zucco e Domenico Savica e dai fotografi Cartisano e Ceravolo,

ha evidenziato sette opere a cui sono andati i premi che alcuni sponsor di attività commerciali di Bovalino hanno gentilmente offerto in occasione di questo evento. La scuola è certamente un'agenzia formativa importante per i giovani che si accingono ad immettersi nel sociale, nel futuro lavorativo di questa nostra bella nazione chiamata Italia. Sta spesso ai docenti scoprire e stimolare talenti nascosti che altrimenti non verrebbero fuori; attraverso queste iniziative si allargano gli orizzonti e si motivano di più gli allievi, che peraltro hanno dimostrato di utilizzare in termini di alta comunicazione tutto quanto la tecnologia digitale mette oggi a loro disposizione. È sicuramente questa la nuova faccia di una scuola moderna e al passo con i tempi: fermo restando il percorso didattico-culturale di base, è necessario guardare a 360 ° gradi e da qualsiasi punto di vista al futuro dei giovani che, inseriti in una società produttiva, garantisca a tutti quella libertà vera in cui fare scorrere la propria vita. È questo un sincero e sentito augurio: sempre con i piedi per terra, ma con gli occhi rivolti al cielo. Giuliano Zucco


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Monte Ginarra: finalmente arriva la Soprintendenza...dal Kentucky! Paolo Visonà è un archeologo italiano, precisamente veneto, titolare della cattedra di archeologia all’università americana del Kentucky, già docente di archeologia presso l’università “Notre Dame” dello stato dell’Indiana. Nel suo parlare spedito ma netto e appropriato rivela un legame fortissimo con la nostra terra per la passione che mette nelle sue ricerche sul periodo magnogreco. Allo stato sta conducendo una campagna di scavo a Bragatorto di Antonimina, dove è stato individuato un manufatto molto interessante che potrebbe rivelarsi un unicum archeologico. La fondazione privata che, sostenuta anche da quote del suo stipendio, finanzia questi scavi, permette di procedere, dall’altra parte dell’oceano, a ciò che le strutture preposte da questa sponda non riescono. Tanta ostinazione gli ha consentito di portarsi dietro nientemeno che il soprintendente archeologico dello stato del Kentucky. Grazie all’input impresso da Angela Alfieri su incarico dell’Amministrazione Comunale di Siderno, è scattato l’interessamento del Funzionario archeologo responsabile d'area della Soprintendenza Archeologia della Calabria Alfredo Ruga, che ha stabilito un contatto con Visonà. Nonostante l’archeologo americano usi un telefonino ante litteram e non sappia leggere o mandare SMS si è riusciti a combinare una perlustrazione su Monte Ginarra (452 m) che nel suo nome dialettale ‘ncinarra meglio evidenzia la natura del territorio che richiama alla cenere e alla calce (qualcuno ipotizza al carciofo). Il rilievo è una lunga lama biancastra che si protende da monte Scifa, da cui deriva, quasi a voler fendere Salvi da Giglia, le due contrade sottostanti. Ignoti sulla sommità hanno prodotto tre scavi ed asportato materiale fittile di cui restano sul terreno numerosi cocci, la soprintendenza è stata da me allertata e una

parte di quel che era rimasto sul terreno è stato consegnato nell’aprile 2015. Dopo vari solleciti è intervenuto il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza per un’informativa che non ha avuto alcun seguito. Nessuno ha chiesto di essere guidato sul posto! È stata fornita anche una copiosa documentazione fotografica. Visonà sostiene che i tombaroli sono gente seria che procede scientificamente, non si spiegherebbe altrimenti come possano essere giunti fin qui. Usano strumentazione sofisticata e sicuramente hanno trafugato il corredo funerario di almeno tre tombe a grotticella dell’età del ferro. Ce lo conferma il giovane soprintendente Jorge, che procede come un bulldozer con un magnetometro custodito in un’enorme valigia che mi sono accollato sotto il sole cocente dopo tre quarti d’ora di marcia

forzata. Ho trascinato in cima a monte Ginarra una variegata compagine composta da due archeologi del Kentucky, Angela Alfieri, l’amico escursionista Renato Filastro, il mastro birraio Nicola Ferrentino, titolare del birrificio Limen Brewery, tra lazzi e sfottò; mi apostrofavano di essere imparentato con un mulo. È incredibile quanta e quale strumentazione è stata portata sul posto consentendoci di scandagliare l’area, georeferenziarla e procedere alla descrizione. È stato divertente osservare il Visonà documentare con una macchina fotografica preistorica, che registra su floppy disk da sostituire ogni due scatti. Già all’inizio della salita, su una strada selciata delimitata da possenti muri in pietra, i due hanno espresso meraviglia per il posto e ipotizzavano che il terrazza-

mento fosse medievale o addirittura molto più antico. È straordinario il sistema utilizzato per trattenere il terreno dal degrado e che i muri a secco siano intatti nonostante il sito versi in condizioni di completo abbandono da molti anni. Sembra davvero di essere calati in un’epoca del passato e basta poco per immaginare sudore e fatica per realizzarli. Al centro, una strada selciata della larghezza di circa due metri delimitata da due muri possenti in pietra e da cui si dipartono, seguendo l’andamento delle curve di livello altrettanti, ponderosi muri a due sezioni molto larghe alla base, per sostenere la spinta del terreno, e un po’ più snelle nell’elevato. Nel complesso, vista dall’alto, è la lisca di una sogliola in formato gigante e permette, dalla sommità, di godere di una vista che spazia, oltre che sulla costa, sulla vallata del Novito e monte Mutolo a ovest, sulla vallata del Lordo e monte Scifo col borgo di Aspalmo incastonato ai sui piedi a est. Sulla via del rientro abbiamo effettuato il rilievo anche della piccola ara sacrificale posta su un pianoro adatto i rituali sacrifici. Anche questo manufatto ha destato l’interesse dei due archeologi. Concordiamo tutti che il posto meriti attenzione, molta attenzione. La visita è proseguita festosamente con l’assalto a un vecchio albero di squisite ciliegie su cui sono riuscito ad arrampicarmi aiutato dal vigoroso sostegno del soprintendente Jorge e dall’incoraggiamento corale degli altri che aspettavano il lancio dei frutti. Miglior modo per concludere la mattinata non poteva essere che l’invito del mastro birraio di visitare il laboratorio della Limen dove abbiamo gustato una fresca Arricriati Bio lotto 1709, tassativamente non destinato alla vendita. Amen! Arturo Rocca

Siderno: Il Kiwianis promuove con una partita di calcio la lotta al tetano neonatale

A Siderno una festa per grandi e piccini Lo scorso 13 giugno, l'associazione Pro Casa di Riposo "S.Antonio" di Siderno, in collaborazione con le "Ancelle Parrochiali dello Spirito Santo", ha organizzato la festa in onore di Sant'Antonio da Padova. In occasione dell'evento si è tenuto il Memorial Alfredo Fragomeni, quadrangolare di calcio per bambini dai 9 agli 11 anni disputata nel campetto del Tennis Club, sul lungomare Delle Palme. Quarta classificata la squadra Juventina Siderno che ha ricevuto la targa dalla madre superiora Suor Nerigia. Terza classificata la A.S.D. Audax Locri; a consegnare la targa il vicesindaco Anna Romeo. Seconda classificata l'A.S.D. Roccella premiata dal sindaco Pietro Fuda. Prima classificata l'A.S.D. Union - Siderno 2015 che ha ricevuto il premio dal vescovo di Locri, Monsignor Francesco Oliva. La festa di Sant'Antonio è stata fortemente voluta dal presidente dell'associazione Giuseppe Faldone accompagnato nella fase organizzativa dal vicepresidente Ugo Surace, dal tesoriere Aldo Caccamo e dal segretario Antonia Sgambelluri.

Marina di Gioiosa: rinnovato il successo della“Zeppolata nerazzurra” Sabato scorso, a Marina di Gioiosa Jonica, è tornato l’appuntamento con la “Zeppolata nerazzurra”. L’evento, ormai giunto alla sua ottava edizione, ha offerto, come di consueto, una serata all’insegna dell’allegria e della spensieratezza, accompagnata da buon vino e dalla distribuzione di 50 kg di zeppole che hanno reso indimenticabile questo momento di aggregazione. nutrita la presenza delle autorità locali, madrine di eccezione della premiazione dei tornei di tressette e briscola avvenuta al termine della serata.

Questo pomeriggio, alle ore 17:00, presso lo Stadio Filippo Raciti di Siderno si svolgerà la terza edizione della manifestazione solidale “Diamo un calcio al tetano neonatale” organizzato dal Club Kiwanis Magna Grecia “Luigi Giugno” in collaborazione con Unipol-Sai Assicurazioni di Marina di Gioiosa. L’evento sportivo è patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale e dal Comune di Siderno e coinvolge le squadre degli avvocati del Foro di Locri, della squadra dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Locri e la squadra degli Architetti. Lo scopo del triangolare di calcio è la raccolta fondi per l’abbattimento del tetano neonatale nel mondo, promosso dal Kiwanis Internanional attraverso il progetto “eliminate” avviato in collaborazione con l’Unicef. Con il progetto Eliminate il Kiwanis International, infatti, intende raccogliere 110 milioni di dollari per eliminare il tetano materno e neonatale e per fare in modo che nessuna madre perda il suo bambino soltanto perché non ha avuto accesso ad ambienti sterili per il parto o alle tre dosi del vaccino contro il tetano il cui costo è di soli 1,80 dollari. Al pari delle altre forme di tetano, il tetano materno e neonatale ha come effetto una paralisi progressiva di vari organi del corpo, fino a portare nei casi più lievi a forti handicap fisici e in quelli più gravi alla morte (in genere per asfissia o arresto cardiaco). Il Kiwanis International ha mobilitato i suoi membri in tutto il mondo per dare nuovo impulso alla lotta contro il tetano materno e neonatale, malattia dolorosa che uccide in tutto il mondo un bambino ogni nove minuti e 160 neonati ogni giorno. Anche il Kiwanis Magna Grecia “Luigi Giugno” – Divisione 13 Calabria, con l’iniziativa “un calcio al tetano materno e neonatale” è determinato a dare il proprio contributo per immunizzare 129 milioni di madri e i loro futuri figli.

Siderno Calcio, finito l’idillio con La Face: ilDoponuovo allenatore è Francesco Galati la rocambolesca salvezza dello scorso campionato, l’A.S.D. Città di Siderno 1911 interrompe il rapporto con mister La Face e sceglie come nuovo allenatore Francesco Galati. Il mister, originario di Guardavalle ma debuttante come calciatore proprio con il Siderno negli anni ’80, è stato scelto per la conoscenza della realtà calcistica della nostra città oltre che per le doti tecniche che gli hanno garantito risultati eccellenti con il Soverato e il Guardavalle, oltre che di permettere all’AS Roccella di accedere al campionato di Serie D.



CULTURA E SOCIETÀ

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I FRUTTI DIMENTICATI

A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI

DOMENICA 18 GIUGNO 21

Pirus Communis L. (FAM. ROSACEE)

Pero Reginella lla fine di giugno si era nel pieno della mietitura ed anche i bambini, felici perché avevano terminato di soffrire sui banchi di scuola, collaboravano con i loro genitori in occupazioni più grandi di loro , costituite dal badare alle mucche che bisognava portare al pascolo o alle galline che durante tale periodo venivano trasferite in campagna dal paese e così potevano beccare le spighe che cadevano per terra durante l’operazione della falciatura del grano, mentre i padri erano impegnati nell’attività più cruciale dell’anno in quanto il grano era fondamentale nell’economia di una famiglia contadina. I protagonisti in assoluto erano però i mietitori di San Nicola d ’Ardore, bravissimi ed infaticabili che offrivano la loro opera nei territori che andavano da Bianco a Brancaleone, mentre prima della seconda guerra mondiale addirittura raggiungevano il crotonese, il granaio della Calabria. Le scuole nel dopoguerra chiudevano già alla fine di maggio per cui i bambini o ragazzini potevano dare il loro contributo trasferendosi con i padri in campagna ed avere quindi dei ruoli che li rendeva fieri. Essi all’alba accompagnavano gli animali al pascolo, dopo aver velocemente mangiato in una scodella di legno il latte di capra munto dai genitori misto a pezzi di pane o a pane biscottato. Essi ricercavano, specie per le mucche, l’erba secca “màlarta” ossia intatta, mai brucata da altri animali e bisognava ben nutrirle in quanto a breve avrebbero affrontato la terribile fatica della trebbiatura. L’erba secca gli procurava arsura e molta sete, per cui bisognava cercare di rinfrescarle con qualcosa di fresco ed ancora poche erano le varietà di peri pronti ad offrire i loro frutti, mentre l’alternativa poteva essere costituita dalle pale di ficodindia, però quelle prive di frutti che alla fine di luglio cominciavano a maturare; esse venivano fatte a pezzi ed offerte alle mucche in ceste (cofine) basse e larghe. I bambini anche quando andavano a portare a pascolo gli animali esploravano le Chiuse ricche di alberi da frutta, qualora non vi fossero i proprietari e sempre qualcosa di buono riuscivano a racimolare.

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Tanto per cominciare i fioroni della varietà del fico Schiavo erano nel pieno della maturazione, mentre leggermente più anticipati erano quelli dei fichi Bifari, ma non mancavano altri frutti tra cui le prugne che maturavano a giugno, tra cui spiccavano per bontà quelle alla fragola, che erano dotate di una polpa amaranto. Le pesche sanguigne sarebbero maturate in luglio, mentre erano terminate le Fior di maggio; deliziosissime erano le Marandelle bianche, le rosate e quelle amaranto, che avevano dato il nome alla varietà, in quanto originariamente le Marandelle più diffuse erano quelle color amaranto, in greco amàrantos. La grande famiglia dei peri però, si preparava a dare il suo contributo, anzi le “Maiatiche” erano già terminate alla fine della prima quindicina di giugno e ora i frutti del pero Reginella cominciavano a maturare e di ciò se ne erano già accorti i bambini che seguivano con ansia la loro maturazione, come quella di altri frutti. Ogni giorno andavano a verificare lo stato della loro maturazione appunto ed ancora non erano pronte le pere Melone, mentre nella prima decade di luglio sarebbero maturate le Angeliche. Finalmente alla fine di giugno le Reginelle dalla pezzatura, medio piccola erano pronte e il loro profumo soave inebriava coloro che le mangiava, più che con il loro gusto, fortemente aromatico. Erano leggermente croccanti, qualora non fossero perfetta ente mature e quando lo diventavano, la loro polpa si anneriva un po’. Particolare era anche l’aspetto della buccia che sembrava essere cosparsa di efelidi e ciò gli conferiva un aspetto signorile. Infatti erano degne di mense aristocratiche, mentre i contadini non le apprezzavano in quanto erano piccole di dimensione e poco adatte ai maiali che avrebbero avuto bisogno di frutti più consistenti. Per essi ben presto, in agosto, però, sarebbero arrivate le pere Gentili e le pere Campanelle o Muntagnisi, che avrebbero contribuito fortemente al nutrimento dei maiali, prima come frutta fresca, poi d’inverno, sotto forma di pere secche o “cottia”.

AMBIENTE

Legambiente lancia nella Locride la campagna“Spiagge e fondali puliti” omenica 4 giugno ho partecipato ad una bellissima iniziativa (la prima finora) del neo circolo di Legambiente Roccella Jonica Costa dei Gelsomini, costituitosi ufficialmente nel mese di maggio: la campagna “Spiagge e Fondali Puliti”. Chi è nato vicino al mare ha dentro di sé qualcosa delle tartarughe Caretta Caretta (l’istinto del “mare di casa”, ossia riuscire a tornare, dopo aver percorso svariati chilometri, per nidificare laddove sono nate). Con questo splendido animale mi sento in sintonia per il semplice fatto di voler tornare a depositare qualcosa di buono nella terra che mi ha visto crescere, per restituire a quel mare che mi porto nel cuore tutta la bellezza che gli appartiene. Di certo viaggiare porta con sé una libertà e una vastità di idee, pensieri, rinnovamento ma anche nostalgia per la propria terra di appartenenza. Viaggiare è bello quando c’è una casa a cui fare ritorno, una terra con radici forti e solide, una terra che vorrei fosse sempre splendida e pulita, con una bellezza tale da fa vibrare cuore e anima di chi la contempla. Per noi del Sud il viaggiare è una condizione “necessaria”, a volte vitale, che ci vede girovagare per il mondo alla ricerca di un benessere che non si è ancora ben capito cosa sia: un posto di lavoro, locali alla moda, agglomerati urbani giganteschi in cui scomparire come singoli per essere fagocitati dalla folla? Cosa può rendere felice l’essere umano? Credo di non avere una risposta ben precisa ma l’esperienza e il quotidiano mi stanno insegnando via via, dopo aver inseguito idee “fasulle”, dettate da uno stile di vita che s-natura l’essere umano, allontanandolo da tutto ciò che lo può rendere veramente libero, che la felicità è nell’essenziale. Tutto ciò che può renderci felici è nelle pic-

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cole cose, eliminando tutto quello che non è necessario nella nostra vita e crea solo inutile “spazzatura” (come quella ritrovata sulle spiagge e di cui la gente si sbarazza perché superflua, o semplicemente obsoleta, rotta, un “di più” che non serve). Andare contro la corrente ordinaria può sicuramente spaventare ma può renderci anche straordinari. Sembra straordinario quello che ha fatto un circolo appena costituito: un gruppo di volontari, assolutamente NON retribuiti, che una domenica mattina, sotto il caldo sole di giugno, ripulivano una parte del litorale jonico, accomunati dalla voglia di fare qualcosa di bello e di necessario, per la comunità ma anche per se

stessi, sotto una bandiera gialla in cui campeggia il cigno verde di Legambiente (per chi ancora non la conoscesse, si tratta di un’associazione ambientalista sparsa su tutto il territorio nazionale che ha, tra i tanti elementi che la caratterizzano, una attenzione prioritaria verso qualsiasi forma di degrado ambientale). Andare contro la corrente dei media, delle tendenze, delle manie, di tutto quello che ci ha portato ad un consumo eccessivo (fermato solo momentaneamente dalla “crisi”), mi rendo conto non sia cosa facile (più facile a dirsi che a farsi). Andare contro corrente potrebbe comportare sulla breve distanza l’essere tacciati di “follia” (“Ma chi te lo fa fare, tanto qui al sud le

cose non cambieranno mai”, mi sono sentita dire mentre pulivo insieme ad altri volontari la Pineta in prossimità del Porto delle Grazie di Roccella J.). Ma io voglio essere libera di poter prendermi cura dello spazio che mi circonda, e anche se apparentemente potrebbe sembrare che si viaggia “in solitaria” (in questa impresa che sa di titanico, il fare ecologia al sud), poi ti giri e vedi intorno a te altri puntini gialli sulla spiaggia (con tanto di cappellino, pettorina e guanti per raccogliere i rifiuti), altre mani che raccolgono plastica, cicche di sigarette e spazzatura di ogni sorta. Quasi alla fine della giornata di lavoro, mentre ripulivo la Pineta che fino a poche ore prima sembrava essere stata presa d’assalto da orde di barbari, con la sola compagnia degli alberi a rendere il lavoro molto meno faticoso, via via che dal suolo spariva ogni traccia di rifiuto e bruttura, tutto intorno a me sembrava più bello, più luminoso, e io mi sentivo in pace con la Natura ma soprattutto con me stessa. E allora vi vorrei suggerire di provarci anche voi, potreste scoprire che prendersi cura dell’ambiente in cui viviamo vale ben più di un’abbuffata, di una “chattata”, di un bighellonare tra i social. Fare del bene all’ambiente che ci circonda è fare del bene a noi stessi. Noi, nel nostro piccolo, domenica scorsa ci abbiamo provato. A Legambiente auguro lunga vita e tante altre bellissime iniziative come questa e sono davvero felicissima di esserne socia e che finalmente ci sia un circolo lungo la Riviera dei Gelsomini. Grazie. Daniela Rullo Per chi volesse avere maggiori informazioni può andare sulla pagina facebook: Legambiente Roccella Jonica - Costa dei Gelsomini.


Com’è piccolo il mondo Angelo Macrì, a New York, incontra per uno strano caso del destino il mitico Raul, calciatore di razza nonché uno dei più grandi capocannonieri della Champions League.

Teste sgarlate Per una volta li abbiamo beccati insieme: i tre fratelli Sgarlato, Pietro, consigliere comunale di Siderno, Carlo, Uomo YMCA, e Antonio, un assicurazione per il nostro Eugenio. Quote rosa Le tre candidate donna della lista di Vincenzo Loiero, Tania Bruzzese, Irene Palmieri e Katiuscia Iannizzi festeggiano la vittoria del proprio sindaco durante la serata di domenica.

La sinistra di un tempo Pino Sgambellone, insieme a Isidoro Napoli, durante un convegno a Siderno prima che Isidoro si dimettesse dalla carica di consigliere a Marina di Gioiosa. Che l’incontro abbia influenzato la decisione di Sisì?

Confronto radicale Gianpaolo Catanzariti, Sebi Romeo e Barbara Panetta discutono animatamente assieme al parlamentare dei radicali al termine dell’incontro sidernese della “Carovana x la Giustizia”.

Riviera Metropolitana Caterina Belcastro e Demetrio Marino, consigliere e assessore della Città Metropolitana vengono in visita a Locri adeguatamente muniti di copia di “Riviera”.

Politica di tutte le taglie Alla marcia per la pace Rita Commisso posa con il sindaco di Cionquefrondi Michele Conia e il minisindaco Alessandro Pronestì.

È arrivata l’estate L’avvocato Tropiano, in tenuta da mare, siede con Michele Vumbaca e Andrea Romano su una panchina che affaccia sul corso di Siderno.

Rimembranze politico-sociali Francesco Zappavigna, sindaco di una Bovalino di molti anni or sono, posa assieme al sindacalista Roberto Papalia in una foto che ci ricorda gli amici Totò e Virgilio.

Un filo rosso locrideo Amedeo Macrì e il suo caro amico di Roccella Jonica erano il cuore della redazione di “Filo Rosso”, giornale pubblicato negli anni ’80 nella Locride.

Mancanza di sindaco Laura Multari, non avendo più il sindaco a Canolo, va a trovare il sindaco di Agnana Caterina Furfaro.


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CINEMA

Il racconto dei racconti “Il racconto dei racconti” è un film del 2015 diretto da Matteo Garrone con Vincent Cassel e Salma Hayek. La pellicola, ispirata alla raccolta di novelle Seicentesche di Giambattista Basile “Lo cunto de li cunti”, e che sviluppa la sua trama su tre particolari novelle dell’opera - La cerva, La pulce e La vecchia scorticata - ha ottenuto subito il favore della critica e un discreto successo al botteghino, tant’è che nel 2015 è stato in concorso al festival di Cannes. Il primo episodio, “La cerva”, tratta di un re e di una regina che non riescono ad avere un erede e decidono di affidarsi ad un mago, il quale li avverte “per generare una vita bisogna pagare con un’altra vita”. Per avere un bambino la regina dovrà mangiare il cuore di un drago marino cucinato da una vergine. Nel tentativo di ucciderlo il re muore ma l’incantesimo riesce, così che sia la regina e sia vergine concepiscano. Nascono il principe Elias e Jonah, bambini identici, che instaurano una forte amicizia tanto da volersi dividere il trono alla morte della regina. La quale allora decide di dare la caccia a Jonah appellandosi nuovamente al mago, ma trasformatasi in un mostro viene uccisa da Elias che riporta Jonah al palazzo reale. Il secondo episodio, “La pulce”, tratta di un re e delle nozze di sua figlia Viola. Il re è nelle sue camere e viene importunato da una pulce, allorché inizia a provare una certa simpatia per l’animale e l’accudisce fino a farla diventare gigantesca. Alla morte dell’animale il re decide che il primo a riconoscere a quale animale appartiene un particolare pellame - appunto quello della pulce- potrà sposare Viola. L’unico a riconoscere la pelle è un orribile orco che porta con sé Viola. La principessa riesce a fuggire grazie a dei saltimbanchi ma l’orco- che sembrava deceduto- rinviene e li uccide. Viola, unica sopravvissuta, sgozza repentinamente l’orco e ricoperta di sangue torna al castello, dal padre morente. L’ultimo episodio, “La vecchia scorticata”, parla dell’avventura del re di Roccaforte, che avendo udito una voce soave di fanciulla s’innamora di questa voce senza sapere che a cantare è una vecchia donna, Dora, che vive con la sorella Imma. Il re riesce ad ottenere un appuntamento al buio nella stanza da letto del castello e l’identità di Dora sembra essere preservata. Senonché alle prime luci del mattino il re riesce a vedere il volto della vecchia e inorridito la fa scaraventare giù dalla finestra. Passa una maga che salva Dora e la trasforma in una giovane bellissima. Il re resta affascinato dalla fanciulla e la sposa. Alle nozze partecipa anche Imma che chiede insistentemente a Dora come abbia fatto a diventare così bella, Dora si inventa di essere stata scorticata della sua vecchia pelle e caccia Imma dal palazzo. Imma allora si reca da un fabbro e gli chiede di scuoiarla da testa a piedi. Poche ore dopo torna al palazzo agonizzante e insanguinata.

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Ironia a spassu ‘nto tempu

BRIGANTESSA SERENA IANNOPOLLO

Il racconto dei racconti è uno di quei film unico nel suo genere, capace di emanare una grande forza comunicativa utilizzando come strumenti principali elementi astratti, le immagini in particolare ma anche gli effetti sonori e la musica, e affidandosi quasi mai ai dialoghi. In uno scenario simile il dialogo non perde d’importanza, né diventa superfluo, ma si configura come vero e proprio “grasso che cola”. Nel momento in cui tutti i principali doveri comunicativi di un film vengono adempiti senza l’uso delle parole, allora le parole diventano non più un mezzo di comunicazione, ma un plettro capace di far vibrare le corde più nascoste dell’animo dello spettatore. Questo processo viene preparato per lunghi tratti nel film per poi essere fatto esplodere in pochi punti mirati e precisi, ovvero alla fine dei singoli racconti o “episodi”, cosicché in questa storia, ogni racconto, possa essere visto come il “racconto dei racconti”. Domenico Giorgi

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Rubrica di enologia a cura di Sonia Cogliandro

Orange Wine Vino Redivivo L’interesse per il nettare arancione cresce anche in Italia, ma in Giappone, Australia e Usa è già boom. Redivivo perché presumibilmente ricorda i vini prodotti dai nostri antenati che già cinquemila anni fa nelle zone della Georgia e della Crimea deponevano l’uva nelle cosiddette “Kvevri”, contenitori in terracotta di grandi dimensioni in cui dare luogo a lunghe macerazioni per ottenere vini concentrati e carichi di colore. Tuttora utilizzata dalle cantine della zona, questa tecnica è stata ripresa da diversi produttori del Friuli Venezia Giulia, Slovenia, Austria, Croazia e ha visto gli albori di etichette notevoli anche in L i g u r i a , Toscana e Sicilia. L’orange è un vino introverso, oggi considerato da boutique o di nicchia. Nettare il cui colore deriva da un processo naturale di macerazione in cui il mosto di uve bianche in fermentazione rimane a contatto con le bucce degli acini, da qualche giorno a diversi mesi, permettendo così l’estrazione di tutte quelle sostanze coloranti (i polifenoli) che conferiscono questa particolare nuan-

DOMENICA 18 GIUGNO

ce ambrata. Il risultato è un vino naturale, non filtrato, capace di esprimere sentori affascinanti che raccontano un lavoro ecosostenibile in vigna, senza alcun uso di pesticidi e lieviti in cantina. La brillantezza un po’ opalescente e le diverse nuances (arancio, mogano, mattone) ci consentono di anticipare la linea olfattiva, che s’allarga a ventaglio da aromi di fumo, al fruttato semi amaricante del litchi, dalle note di nocciola, spezie orientali, salsa di soia al miele amaro. Certi vitigni (ribolla gialla) riescono a offrire note di paglia secca, di confettura di nespole, di uva bianca appassita, di humus, di funghi. Il georgiano rkatsiteli (in anfora) ha spesso tono olfattivo di fumo, come paglia fumante, di foglia secca della vite, di chicco di caffè verde, di pera essiccata, di anacardo. Il bagaglio odoroso è quindi molto stimolante e lontano dai canoni convenzionali, a volte sembra di entrare in un antico negozio di coloniali, a volte in un bosco autunnale. Il sapore vira verso infusi e tisane fredde, con toni di ginger, rabarbaro e pompelmo rosa, contributo d’alcol a parte. Questi vini hanno alle spalle la volontà e l’amore di coraggiosi produttori, tanto lavoro manuale, molta cura del vigneto per ottenere uve sane, una costante attenzione in cantina. Una produzione molto interessante sia dal punto di vista storico che etico, dove il rispetto delle leggi della natura e il rispolvero delle tecniche risalenti all’antica Roma sono due punti cardine.

Simu ‘nto 1744. Puru a chigli tempi ‘nta sta terra nascìanu omini cu randi carisma. U cardinali Fabrizio Ruffo nascìu ‘nta nu paesinu vicinu a Cosenza, San Lucido, e si distinguìu ‘nte studi pe’ l’ intelligenza acuta e furbizia. Diventàu omu i chiesa, ma amava puru u joca chi’ poteri, e ‘ndavìa nu caratteri forti. Così ‘nto 1799 si fici notari du rre Ferdinando quandu decidìu u sarva u Regnu delle Due Sicilie di’ grinfi di francesi. Chill’annu, sti “illuminati” francesi decidìru ca u regnu napolitanu ‘ndavìa bisognu d’ idee novi, e u occupàrunu (pe’ fari chistu, ovviamenti, strerminàrunu circa 60,000 perzuni). Accussì, ‘nta pochi jorna, Ruffo radunàu n’armata i contadini e ribelli, circa 17.000 perzuni, quasi tutti calabrisi, e partìru pa’ presa i Napoli. L’esercitu vinni battezzatu comu “esercito della santa fede” pecchì volìa u ristabilisci a fede e a monarchìa borbonica. I vari circostanzi aiutarunu a spedizioni, e ‘nta suli 5 misi i giacobini furu rispediti o’ mittenti, e l’esercitu fu vittoriosu (‘nta sta simana si festeggia a capitolazioni giacobina). Volìa u sottolìneu comu ‘nta chilla situazioni particolari, n’esercitu tuttu calabrisi s’affidìu u si manteni unitu e solidali ‘nta l’idea comuni u si sarva nu regnu... e mi veni spontaneu u fazzu nu paragoni cu sti tempi i mo, quandu ti veni nu menzu sorrisu si sulu penzi a ‘na qualsìasi coalizioni (pacifica!) calabrisi po’ beni comuni. Dicimu puru ca ‘stu menzu sorrisu diventa ‘na grassa risata si si penza a ‘na qualsìasi coalizioni “naziunali” po’ beni da penisola! Consideru ca oramai i politicanti nosti aspìranu i cchiù u fannu belli passerelli ‘nta tv, chi’ buggi carichi i sordi, ca o’ beni di cittadini. Ma chistu è nu penzeru meu... diciamolo!



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