MONTI PICENTINI
E
VINCOLI
VANTAGGI DAL PARCO REGIONALE AL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI
PER IL TERRITORIO
PARCO NAZIONALE A
c u r a
d e l l ’ A v v .
A n g e l o
C e r e s
SOMMARIO IL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI SUL TERRITORIO Il perché di un Parco nazionale Occupazione L’economia dei Parchi nazionali Turismo Edilizia Agricoltura ed attivazione delle economie locali Fauna selvatica Protezione del territorio e della qualità dell’acqua e dell’aria Sviluppo che crea conservazione Gestione del bacino idrico Educazione ambientale Mantenimento della diversità biologica, del paesaggio e dei valori culturali locali Benefici per la salute Comunità e democrazia a km zero La capacità di gestione degli Enti Parco Alternative al parco
a cura dell’Avv. Angelo Ceres
Edilizia Petrolio Agricoltura
DAL PARCO REGIONALE AL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI PER IL TERRITORIO
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Conclusioni
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DAL PARCO REGIONALE AL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI PER IL TERRITORIO
IL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI SUL TERRITORIO Il perché di un Parco Nazionale
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a domanda che tutti si fanno (compreso i Sindaci), dopo essere stati confusi dalle “opinioni” più o meno organizzate di chi si oppone e di chi ne parla senza sapere cosa dice, è: “Perché avere un Parco? Quali sono i suoi benefici?”
Il nostro territorio già proviene dall’esperienza (pessima, in riferimento alla gestione) di un Parco Regionale. Ma prima di rispondere a questa domanda è opportuno ricordare, innanzitutto ai Sindaci e poi ai cittadini, che il Parco regionale dei Monti Picentini ha leso l’immagine stessa di un’area protetta perché non ha saputo dare risposte, pareri, opinioni mancando, tranne per un brevissimo periodo, di una gestione amministrativa corretta (rectius: non è stato amministrato). E’ come se un ente comunale fosse governato solo dal sindaco, senza giunta, senza consiglio comunale, senza dipendenti e senza risorse! Quindi la domanda da porre ai sindaci (e contemporaneamente ai loro amministrati) è: sareste stati in grado di gestire una comunità in questo modo? Che immagine avreste dato a terzi (compreso i cittadini)? Avreste risolto i problemi che vi venivano sottoposti? Credo che siano domande retoriche. Ma, torniamo alla questione posta. Una prima risposta indiretta sul fatto che i benefici ci sono davvero, si ha osservando gli altri Parchi. E’ un dato di fatto che dopo i tentennamenti e le resistenze iniziali (che ci sono sempre), una volta fatto il Parco non ci sono “ingessamenti” o “blocchi” del territorio e neppure “tentativi di fuga” ma piuttosto sviluppo e richieste di ingresso. I Parchi Nazionali godono di discrete somme (autonomia finanziaria) e di propri dipendenti, condizioni messe a disposizione verso tutti (anche agli enti locali). Nasce un sistema necessario e capace di fare rete tra i Comuni, che va incontro alle esigenze sempre maggiori degli investitori e dei cittadini. Tutelare l’ambiente naturale significa non solo preservarlo dal degrado, dagli incendi, dal dissesto idrogeologico ecc., ma, anche, reperire ed investire le risorse necessarie per migliorarlo, attraverso: riforestazioni, rinaturalizzazioni degli alvei fluviali, miglioramento della depurazione delle acque, bonifica di discariche e siti inquinati, creazione di invasi naturali, manutenzione di strade e sentieri, predisposizione di strutture, piani di tutela e di intervento in caso di emergenze ambientali e sociali (terremoti, frane, incendi, alluvioni ecc). Queste attività sono essenziali ma, allo stesso tempo, estremamente dispendiose in termini economici. Un parco nazionale, che ha autonomia finanziaria ed organizzativa, permetterebbe di reperire le risorse adeguate e le competenze necessarie per un’attenta ed oculata gestione e valorizzazione del patrimonio forestale, dei pascoli, delle risorse idriche ed energetiche, dei siti archeologici, dei centri storici, dell’ingente patrimonio immobiliare attualmente in svendita, in modo da garantirne ed aumentarne il valore. Da quanti anni non si fanno investimenti del genere?
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Tutti gli esempi riportati nel seguito sono presi da progetti già realizzati in Parchi italiani.
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Ovviamente l’obiettivo principale di un Parco è la protezione dei suoi elementi ambientali in senso stretto: acqua, aria, terra, flora e fauna. Grazie alla presenza dei Parchi in Italia sono state salvate 11 specie di animali che erano a rischio estinizione: grifone, camoscio appenninico, falco pescatore, orso bruno alpino, stambecco alpino, gipeto, lupo, aquila reale, cernia bruna del mediterraneo, foca monaca, orso marsicano. E come non ricordare la lontra nel Parco nazionale del Cilento (presente anche nei Picentini), la vipera dell’Ursini nel Parco nazionale Gran Sasso e monti della Laga. E poi il pino loricato nel parco nazionale del Pollino. Le aree protette, fondamentalmente, rappresentano la grande banca in cui tali beni, indispensabili alla vita come all’economia, si generano e rigenerano. Finiscono per acquistare, quindi e sempre di più, anche un formidabile valore macroeconomico. Il buon funzionamento di un Parco dipende dalla qualità della sua gestione. Le esperienze di cui parleremo sono di Parchi gestiti da persone capaci che si preoccupano del bene comune. Secondo la legge 394/91 l’organo che scrive le regole del Parco e ne cura la gestione è l’Ente Parco. Esso è costituito perlopiù dagli amministratori locali (Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione). Un Parco non funziona quando gli amministratori locali non sono all’altezza del compito e/o lo boicottano. Molto spesso accade che gli amministratori locali, invece di pretendere dal Ministero l’operatività dell’Ente Parco, preferiscono accettare il commissariamento da parte di persone non preparate a cui spesso viene dato quel posto (retribuito) come premio “politico”. Dobbiamo quindi avere ben presente che se il Parco non funzionerà bene, noi cittadini dovremo prima di tutto cambiare gli amministratori locali con altri capaci di farlo funzionare e che abbiano a cuore lo sviluppo del territorio e il benessere dei residenti. Molti detrattori descrivono il Parco come un insieme di vincoli per le attività e per le libertà imprenditoriali. Gli svantaggi di un Parco esistono invece solo per chi vorrebbe continuare a sfruttare le risorse del territorio senza alcun impedimento e trarre profitto anche da attività dannose per la salute dei cittadini (i bracconieri, coloro che tagliano abusivamente i boschi, coltivano cave abusive, appiccano incendi, aprono discariche abusive, inquinano l’ambiente e che traggono profitto attraverso attività dannose per la salute dei cittadini). Nei loro confronti, il Parco rappresenterà un formidabile deterrente contando su personale e risorse proprie.
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Per agricoltori, operatori del turismo, commercianti, ristoratori, imprese e per tutti i residenti, il Parco è un efficace strumento per la promozione dell’immagine del territorio, una straordinaria opportunità di crescita occupazionale, di sviluppo economico e culturale e di miglioramento della qualità della vita. Un efficace strumento per la promozione dell’immagine del territorio, in Italia, in Europa ed anche nel mondo (i cittadini sono sempre più attenti al territorio protetto e di qualità). L’Unione Europea ha individuato su questo territorio (monti Picentini) ben sette siti di importanza comunitaria ed è area ZPS a dimostrazione che la comunità internazionale vede grandi potenzialità ambientali e di sviluppo economico. Ma anche la normativa nazionale già individua il territorio dei Picentini come area di reperimento prioritaria per l’istituzione a Parco Nazionale (l.394/91).
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In pochi anni altre regioni (Abruzzo, Toscana, Umbria, Marche), con un’ intelligente e attenta opera di promozione del territorio (marketing territoriale), sono state capaci di far diventare mete di grande successo anche località minori, marginali, lontane dai percorsi turistici maggiormente frequentati. In modo simile, le aree ricadenti all’interno del Parco – che oggi soffrono la disoccupazione, l’abbandono delle terre e la svendita del patrimonio immobiliare e ambientale – se ben valorizzate, offriranno importanti opportunità di lavoro e d’impresa. In nessun Parco, piccolo o grande che sia, ci sono operatori che ne contestano la straordinaria utilità; poi c’è chi ci investe e chi no, ma ciò dipende dallo spirito imprenditoriale dell’operatore e non dal Parco. -Il primo obiettivo centrato dai parchi italiani è stato pertanto quello di ridare identità a territori marginali. I parchi sono stati accettati poiché contenevano un’ipotesi di riscatto e scommessa sul futuro fondata sull’identità territoriale, più che per le questioni ambientali. In realtà, per esercitare politiche di salvaguardia dell’ambiente naturale occorreva costruire un contesto di egemonia culturale, interpretando l’ansia e la voglia di riscatto da parte di territori rimasti ai margini delle traiettorie dello sviluppo. In molti territori il parco è stato una risposta a questo. Territori montani abbandonati a seguito dello sviluppo urbano, delle pianure e delle coste sono tornati ad essere centrali. L’attenzione all’ambiente, alla salubrità, alla qualità della vita, collegato alla possibilità di attingere risorse esterne, ha agito come attivatore di un nuovo localismo, con innegabili elementi negativi (rischi di chiusura identitaria, visione angusta dei processi di sviluppo, ecc.) ma anche con effetti virtuosi. L’istituzione dei parchi naturali in aree marginalizzate è stata dunque debitrice di una ratio risarcitoria, che tuttavia ha consentito una presa di parola e una mobilitazione del territorio, lasciando intravedere forse per la prima volta un’alternativa al sottosviluppo. Il secondo obiettivo raggiunto dai parchi italiani è stato quello di portare un contributo all’implementazione di una via sostenibile allo sviluppo economico. I parchi, laddove sono stati realizzati, sono stati sovente rimorchiatori per lo sviluppo del settore agroalimentare, dell’agriturismo, delle iniziative per l’ambiente. Nei territori adiacenti o interni la maggioranza delle imprese agricole fa agricoltura biologica, prodotti per lo “slow food”, partecipano alle manifestazioni d’eccellenza. Le esperienze più interessanti, tra quelle indagate, riguardano proprio l’innesco di sentieri di sviluppo basati su formule creative e originali di intreccio tra forme di tutela, conservazione e micro-economie locali. Soprattutto, i parchi hanno contribuito significativamente al cambio della mentalità dei produttori. Il terzo e ultimo obiettivo centrato dai parchi italiani è stato quello di agganciare i territori al sistema della produzione e diffusione di conoscenza. I parchi, in questi anni, sono stati importanti committenti per il sistema della ricerca e le Università, ma anche dell’editoria e dell’educazione. In una certa misura, si potrebbe affermare che essi hanno rappresentato la porta di accesso all’economia della conoscenza per territori che altrimenti ne sarebbero stati inesorabilmente esclusi. Per riportare con altre parole questa linea di tendenza, si può affermare che le opzioni su cui si giocava la scommessa dei Parchi appare vinta, in buona misura.
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Si può affermare che negli ultimi quindici-venti anni i parchi abbiano contribuito in misura rilevante, nell’insieme, a schiudere le prospettive di un’altra via dello sviluppo. In particolare, l’esperienza dei Parchi ha contribuito a centrare alcuni obiettivi significativi.
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1. Ridare identità a territori marginali. I parchi sono stati accettati assai poiché contenevano un’ipotesi di riscatto e scommessa sul futuro fondata sull’identità territoriale, più che per le questioni ambientali. In realtà, per esercitare politiche di salvaguardia dell’ambiente naturale occorreva costruire un contesto di egemonia culturale, interpretando l’ansia e la voglia di riscatto da parte di territori rimasti ai margini delle traiettorie dello sviluppo fordista. Fermandosi all’esempio del Parco dell’Alta Murgia, un intervistato sottolinea che i territori del parco erano “non solo un’area agricola, ma peggio, un’area interessata dalla riforma fondiaria con tutto ciò che questa ha creato: forte parcellizzazione delle proprietà, assenza di servizi da parte dell’Ente Riforma, e quindi una campagna completamente abbandonata a se stessa, in cui le unità produttive erano così piccole da permettere a mala pena la sussistenza degli stessi agricoltori”. In molti territori il parco è stato una risposta a questo genere di dinamiche. Territori montani abbandonati a seguito dello sviluppo urbano, delle pianure e delle coste, aree marginali mai incluse nello sviluppo fordista, tornarono ad essere presi in considerazione. Quindi il parco ha rappresentato una risposta a territori non più (o mai) considerati. L’attenzione all’ambiente, alla salubrità, alla qualità della vita, collegato alla possibilità di attingere risorse esterne, non negoziate alla Regione e alle autorità del territorio, ha agito come attivatore di un nuovo localismo. L’istituzione dei parchi naturali in aree marginalizzate è stata dunque debitrice di una ratio risarcitoria, che tuttavia ha consentito una presa di parola e una mobilitazione del territorio, lasciando intravedere forse per la prima volta un’alternativa al sottosviluppo. 2. Contribuire all’implementazione di una via sostenibile allo sviluppo economico. I Parchi, laddove sono stati realizzati, sono stati sovente rimorchiatori per lo sviluppo del settore agroalimentare, dell’agriturismo, delle iniziative per l’ambiente. Grazie alla perimetrazione e alla protezione di aree consistenti del territorio nazionale, hanno funzionato da “incubatore” di percorsi di sviluppo altrimenti difficili. Come ha osservato per esempio la Presidente del Parco dell’Etna, ancora oggi “i parchi possono e devono costituire il motore dell’agricoltura dei parchi. Prima si è fatto solo un atto di conservazione per evitare il danneggiamento dovuto ai massicci interventi di edificazione. Ora, ridando valore alle attività, i nostri prodotti, che sono di nicchia, devono essere qualificati con marchi e con tutti i sistemi necessari di promozione e di potenziamento a livello di produzione, cultura e tecnologie”. Da diversi anni, ormai, nei territori adiacenti o interni ai parchi la maggioranza delle imprese agricole fa agricoltura biologica, prodotti per lo “slow food”, partecipano alle manifestazioni d’eccellenza. Soprattutto, hanno contribuito significativamente al cambio della mentalità dei produttori. 3. Agganciare i territori al sistema della produzione e diffusione di conoscenza. I Parchi in questi anni sono stati importanti committenti per il sistema della ricerca e le Università, ma anche dell’editoria e dell’educazione. Con qualche enfasi, si potrebbe affermare che hanno rappresentato la porta di accesso all’economia della conoscenza per territori che ne sarebbero stati inesorabilmente esclusi.- (tratto da:I Parchi come luogo di incontri tra green economy e green society stampa Ottobre 2013)
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I benefici del Parco sono di due tipi. La parte forse più importante non si può vendere od acquistare. Cominciamo però da quelli che porteranno vantaggi economici diretti.
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Occupazione
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ià negli anni 1979 e 1980 nel Parco Nazionale d’Abruzzo circa 200 persone avevano trovato occupazione diretta, in condizioni dignitose e per scopi protezionistici, nell’ambito della struttura del Parco. Ed erano nate 6 cooperative di giovani per i Servizi Turistici, ed altri evidenti benefici economici indiretti si sono verificati. Siamo poi passati a circa duemila persone occupate nei Parchi nazionali, diecimila quelle che lavoravano nei cantieri aperti al loro interno, e altre mille impegnate nella manutenzione del territorio. E nell’indotto si registrano cifre ancora più interessanti: 500 le cooperative di servizi e di lavoro nei parchi, e circa 10mila giovani gestiscono i centri visite e l’assistenza ai visitatori, ma sono 60mila complessivamente le attività impegnate nel settore, suddivise tra turismo, artigianato, commercio e agricoltura, con un trend in continua crescita. Da ultimo (anno 2010, stima Federparchi) sono circa 83 mila i lavoratori occupati nell’indotto economico generato dai parchi (4 mila diretti, 12 mila nell’indotto dei servizi, 4 mila nella ricerca e nei servizi in 500 progetti di studi e ricerche, 63 mila nell’indotto del turismo, dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio) e ben 35 milioni i visitatori annui dell’intero sistema delle aree protette. Un successo possibile grazie alle strutture e alle conoscenze messe a disposizione dai parchi con 2.760 tra centri visite, strutture culturali e aree attrezzate, più di 10 mila chilometri di sentieri attrezzati e oltre 120 mila chilometri di sentieri complessivi. Va sottolineato anche che sono 630 le cooperative di servizi e di lavoro che orbitano intorno al sistema dei parchi e 210 le associazioni onlus impegnate. I parchi nazionali sono parte attiva nell’importante processo che è volto a rendere sostenibile il turismo nelle aree protette tramite l’adozione da parte dei parchi della “Carta europea del turismo”. Un percorso importante fatto da azioni concrete e formative che il parco intraprende per poi passare queste conoscenze pratiche agli operatori turistici che nel parco o nelle aree limitrofe lavorano. (Oggi i posti di lavoro ed i turisti sono ancora cresciuti). Questi in sintesi i dati sull’occupazione legata alla protezione del territorio. Allora vale la pena insistere ad avere un parco nazionale che sappia governare il territorio? L’economia dei parchi nazionali Nel 2015 i parchi nazionali italiani hanno ricevuto un finanziamento medio di 60 milioni di euro. Circa 2.500.000,00 euro a Parco (il Parco regionale dei monti Picentini riceve un finanziamento di circa 100mila euro all’anno!). In Italia un bel lavoro di ricerca e divulgazione è stato svolto recentemente dall’Università del Molise in collaborazione con la direzione Aree protette del mistero dell’Ambiente. Nel volume Il nostro capitale. Per una contabilità ambientale dei Parchi nazionali italiani, si forniscono aggiornamenti, si illustrano criteri e metodologie, si avanzano anche dati e valutazioni circonstanziate. Per esempio si stima il valore economico totale dei Parchi nazionali in circa 400 milioni.A fronte di un finanziamento medio di 60 milioni di euro, i Parchi nazionali produrrebbero un surplus annuo di oltre 340 milioni di euro.
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Il solo Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, a fronte di un costo per cittadino italiano di 3 centesimi di euro/anno, investe risorse per 5 milioni di euro/anno: sul territorio interessato il “carico fiscale” aggiuntivo è stato di 30 centesimi in 10 anni per cittadino, a fronte di una spesa/
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investimento sul medesimo di circa 45 milioni. A questo va ad aggiungersi (Parco nazionale della Majella) un altro dato: per ogni euro che lo Stato italiano spende annualmente per il sistema Parchi, beneficia di un ritorno di cento euro in tasse per il maggior reddito generato. Turismo
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l turismo “verde” o turismo “natura” è l’unico che non conosce crisi; un turismo non di massa, ma fatto da persone che ricercano, apprezzano e rispettano il contatto con la natura, il cibo biologico, la vita salutare, le bellezze archeologiche minori, le tradizioni locali, l’artigianato.
Il territorio si dovrà quindi dare una struttura di ospitalità che nei Parchi è in buona parte fatta da piccole attività: agriturismi, bed & breakfast, case in affitto, alberghi diffusi nei centri storici. Il turismo verde chiede anche una ristorazione basata sui prodotti enogastronomici tipici ed è legato anche allo sport e quindi – oltre al trekking – ci sarà il ciclismo lungo la Via verde (pista ciclabile sul tracciato per esempio dismesso della ferrovia Avellino-Rocchetta ovvero ad un più facile rilancio come ferrovia turistica, sulla bike park realizzata a Laceno), sci di fondo, il canyoning lungo i torrenti, l’equitazione, l’importante ruolo che assumerà e che svolgerà il Laceno, ma anche il comprensoro del Terminio e così via. Ci saranno quindi occasioni di lavoro per guide, animatori, educatori ambientali, istruttori, ecc., oltre a forti ricadute sull’agricoltura. Secondo l’XI Rapporto Ecotur sul turismo natura per l’anno 2013, scritto assieme ad Istat, Enit ed Università dell’Aquila e presentato ad Ecotur Borsa internazionale del turismo natura, le cifre del 2013 indicano un incremento delle presenze rispetto al 2012, e rispetto ad un turismo tradizionale che invece ha visto le voci scendere. Le presenze generate dal turismo natura in Italia hanno, infatti, sfondato quota 101 milioni, producendo un fatturato di 11,378 miliardi di euro. I settori d’investimento più promettenti vengono individuati nell’agricoltura, nel turismo e nel settore del risparmio e produzione energetica con fonti rinnovabili.
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Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale del Turismo (Unioncamere-Isnart, Analisi dei Prodotti turistici, dicembre 2011), il turista che sceglie di trascorrere una vacanza “verde” è sportivo e interessato a scoprire il territorio, le sue risorse e la sua identità. L’attività principale svolta durante la vacanza, infatti, è quella sportiva (in primis passeggiate, ciclismo e trekking), praticata nel 45,4% dei casi e molto diffusa in particolare tra gli italiani (per i quali la percentuale è circa il 49%). Tra le attività svolte, inoltre, la partecipazione ad escursioni raccoglie molti consensi (in media il 37,4%), così come le visite dei centri storici (36,7%), di musei e mostre (18,4%) e dei siti archeologici (16,1%), soprattutto per gli stranieri. Anche nel caso della degustazione dei prodotti tipici locali, che impegna in media il 26,5% dei turisti, sono gli stranieri a mostrarsi particolarmente interessati all’offerta enogastronomica (36,2%). In linea con il “concept” della vacanza immersa nel verde, inoltre, i turisti, soprattutto stranieri, si dedicano alle attività agricole (10,3%).
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Secondo la medesima fonte, il turista interessato alla vacanza “en plein air” nel 62,4% dei casi è italiano, mentre gli stranieri sono il 37,6% e provengono principalmente dal continente europeo (31,1%): Germania (24,8%), Regno Unito (13,1%) e Francia (11,1%) sono in prima linea come Paesi di origine dei flussi. Il 6,5% dei turisti stranieri, invece, proviene da altri continenti, in primis dagli Stati Uniti. I turisti “verdi” trascorrono la vacanza soprattutto in coppia (46,8%) ma anche con i figli (19,1%) o con il gruppo di amici (11,8%; 18,3% per gli extraeuropei). Nell’81% dei casi organizzano la “vacanza natura” in modo indipendente, avvalendosi solo nel 19% di un operatore dell’intermediazione organizzata. Un esempio lo abbiamo nel nostro territorio. L’oasi WWF di Senerchia realtà consolidata, che rispecchia in piccolo come deve essere gestito un Parco, ci indica quali capacità di sviluppo ha l’intero territorio. Le presenze annue si attestano sulle 15.000 (circa) persone, direttamente occupa 3 lavoratori e ha creato, come indotto, la nascita di due agriturismi (in uno anche l’allevamento delle trote). Ed ha ulteriori potenzialità di sviluppo in quanto inserita nell’area protetta. Anche l’analisi dei flussi turistici nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini ha messo in luce un ottimo dato. Negli ultimi anni, infatti, grazie anche all’operato dell’Ente Parco che ha cercato, in quel caso, di favorire con apposite azioni di policy, un maggiore sviluppo del turismo, sono cresciute sia le strutture ricettive (ed i relativi posti letto), sia le presenze turistiche grazie, soprattutto, ad un continuo incremento di turisti stranieri. Il rapporto 2014 “L’Economia Reale nei Parchi Nazionali e nelle Aree Naturali Protette” redatto da Unioncamere con la collaborazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha evidenziato che la conservazione della biodiversità può affiancarsi non solo alla produzione dei beni comuni ma anche alla creazione di valore economico, facendo leva su un capitale naturale e culturale che rappresenta un giacimento unico al mondo che non si esaurisce e che se ben valorizzato crea benessere diffuso per il territorio. A fare ritorno in queste aree sono sempre più spesso i giovani che avviano nuove iniziative imprenditoriali. Le imprese condotte da under 35 rappresentano il 13,1% del totale, contro l’11,1% della media italiana. Le imprese femminili il 26,8% del totale a fronte del 23,5% nazionale. Questo fa dei parchi nazionali italiani un “sistema vivente”, non solo dal punto di vista naturalistico ma anche socio-demografico ed economico. Edilizia
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on consumare il suolo è un’altra opportunità, molto meglio aumentare l’ospitalità dei centri urbani.
Il valore degli immobili esistenti aumenterà e così pure la loro redditività perché il turismo potrà essere destagionalizzato: si va meglio in bicicletta o a cavallo nella mezza stagione, mentre in estate ci si può inventare un pacchetto mare-monti, in autunno le sagre, le passeggiate-escursioni per la raccolta delle castagne e prodotti del sottobosco (qualcuno già lo fa) e in inverno il trekking con le racchette da neve, sci di fondo tra i boschi, sci alpino o seguire le orme degli animali selvatici (attività svolte nei Parchi nazionali).
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Un Parco è sempre popolato da seconde case; si potrà finalmente vendere e non svendere
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oltre a ristrutturare valorizzando l’esistente senza ulteriori “consumi di suolo”. Da semplici visitatori, alcuni potrebbero decidere di acquistare case e terreni, di trasferirsi definitivamente o di investire nel nostro territorio. Per esempio nel Parco Nazionale d’Abruzzo qualche abitante di Pescasseroli oggi si lamenta che si è costruito troppo, ma dai prezzi degli immobili si capisce che la richiesta è ancora molto alta. Ci saranno quindi occasioni di lavoro in edilizia per ristrutturazioni, manutenzioni, costruzioni, ecc. Ristrutturazione dei centri storici, riqualificazione energetica degli edifici, microgenerazione di energia da fonti rinnovabili, riduzione/recupero dei rifiuti, valorizzazione degli alberghi diffusi e forte spinta alla loro gestione (Calabritto e Castelvetere). La ristrutturazione dei centri storici, la valorizzazione delle aree archeologiche e dei luoghi di culto, degli eremi e dei centri medioevali con gli alberghi diffusi sono necessarie per differenziare l’offerta turistica (e i Parchi sono per legge preferiti in questo tipo di finanziamenti – ove disponibili). Il Parco persegue un’integrazione tra uomo e natura anche tramite la riduzione dei consumi energetici, la generazione di energia da fonti rinnovabili, l’edilizia sostenibile e la riduzione/ differenziazione/valorizzazione dei rifiuti che in questo particolare parco diventeranno obiettivi fondamentali. Si aprono quindi possibilità di lavoro in questi campi all’avanguardia: per progettisti, per installatori, per imprese di costruzione, per chi progetta e costruisce strutture in legno, per restauratori e alri ancora.
Agricoltura ed attivazione delle economie locali
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i rendiamo conto della difficoltà di dire agli agricoltori che cosa potranno ottenere dal Parco; hanno ascoltato così tante promesse non mantenute che sono estremamente scettici. Ma vogliamo provare, rivolgendoci non tanto ai più anziani e sfiduciati che vedono l’agricoltura solo come integrazione del reddito e per i quali nulla cambierà rispetto ad ora, ma ai più giovani e ai titolari delle aziende ancora vitali. Come dimostrano molte esperienze positive, il parco è uno strumento che – se ben usato – può far rinascere l’agricoltura da reddito. Come già detto: per ottenere risultati occorre però il lavoro e l’intelligenza delle persone.
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All’interno del Parco (escluse alcune piccole aree a protezione integrale) saranno possibili l’agricoltura e l’allevamento non intensivi; questo significa che non avremo le stalle o i campi di mais transgenico della pianura Padana ma dovremo mantenere e migliorare quel che abbiamo
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già, sfruttando il Parco per aumentare la redditività (non la produttività) dei terreni. Gli agricoltori potranno differenziare la loro offerta (e i loro redditi) con agriturismi, fattorie didattiche, trasformazione e vendita diretta, manutenzione delle strutture del Parco inclusi interventi di ripristino ambientale e di lotta contro gli incendi, eccetera. Già oggi gli agriturismi offrono sempre più servizi a chi sceglie ferie sostenibili e responsabili: non solo natura ed escursionismo, birdwatching e aree benessere attrezzate, passeggiate guidate a cavallo o in bicicletta, ma la possibilità di ritemprarsi dallo stress della città imparando a fare “qualcosa” di particolare: corsi per riconoscere e utilizzare le erbe aromatiche e spontanee, corsi per preparare saponi o cosmetici naturali, corsi di cucina, ecc. . E poi attività di svago pensate per i bambini, con la possibilità di partecipare alla vita agricola dell’azienda. Senza dimenticare il fondamentale aspetto enogastronomico, con una ristorazione attenta alla stagionalità dei prodotti e menù legati al territorio e alle tradizioni locali. Per tutto questo le aziende agricole potranno ampliare/ristrutturare/costruire edifici e strutture (stalle, caseifici ecc.) con procedure semplificate rispetto alle attuali e – ove disponibili – godere in via preferenziale di incentivi. Qualche tentativo si sta verificando, con buoni risultati, nel territorio dei Picentini. Il Parco dovrà fornire organizzazione, formazione ed aiuto per l’imprenditoria agricola e consulenze per diffondere le migliori tecniche di coltivazione. Il Parco dovrà promuovere l´imprenditoria giovanile e femminile. Il Parco dovrà preparare progetti per accedere ai finanziamenti europei. Il marchio del Parco aumenterà l’attrattiva commerciale dei prodotti sui mercati nazionali e internazionali. Il Parco dovrà lavorare per la diffusione del suo marchio. Il Parco dovrà avviare progetti di qualità per identificare e valorizzare commercialmente le eccellenze agroalimentari del suo territorio (castagne, vino, ortaggi coltivati in alta montagna, grano ecc.). Il Parco dovrà recuperare, tutelare e valorizzare la biodiversità agronomica, cioè le produzioni agricole ed agroalimentari tradizionali che utilizzano specie e varietà locali oggi quasi scomparse (già c’era l’idea del centro della Biodivesità a Nusco) dai campi e dalle tavole. Prodotti spesso di altissima qualità ma ottenuti da un tessuto di aziende piccole e piccolissime, o singoli agricoltori che non hanno la possibilità di promuoverle in modo adeguato. Per garantire loro adeguati sbocchi di mercato, il Parco dovrà promuoverle definendo di precisi disciplinari tecnici e associandovi il logo del Parco. E poiché la biodiversità è anche culturale si dovranno recuperare anche le tradizioni, i prodotti, le ricette legati a quelle varietà (gli esempi nel Parco d’Abruzzo, Majella, Sibillini, Appennino Tosco-Emiliano). Sarà trampolino di lancio per le certificazioni di qualità.
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Il turismo e l’educazione alimentare per gli abitanti del Parco aumenteranno le vendite a km-zero. Il Parco potrà/dovrà organizzare mercatini e negozi per la vendita di prodotti alimentari locali
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(anche associati alle strutture del Parco). Progetti di collaborazione permetteranno ai prodotti del Parco di essere venduti anche negli altri Parchi e viceversa. Per favorire l’adozione dei metodi dell’agricoltura biologica, il Parco potrà/dovrà cofinanziare le spese di certificazione che spesso, per le piccole aziende, rappresentano un ostacolo all’ingresso nel sistema di controllo previsto dall’Unione Europea. Potranno nascere cooperative per condurre i terreni di chi non è più in grado di farlo; potrebbe essere addirittura il Parco ad occuparsi di questo pagando l’affitto al proprietario per evitare terreni incolti (come avviene nel Parco delle Cinque terre). Ci potranno essere forme di cooperazione nell’uso di macchinari o nell’acquisto di materiali. La forza di un Parco sta nell’essere un’unica comunità, lo stesso può/deve accadere in agricoltura. Immaginate l’agricoltura di otto (o più) comuni uniti in un solo marchio, con tecniche e strutture comuni, che perseguano un solo obiettivo di qualità e sostenibilità; un’agricoltura con forze nuove che vada incontro al futuro. Un progetto unitario che sia da esempio; in linea con le più recenti decisioni europee. Immaginate anche la forza di questo sistema per attrarre i finanziamenti. Quale zona si presterebbe meglio di questa a sperimentazioni e progetti nel campo dell’agricoltura? La politica agricola europea nella sua PAC 2014 va nella direzione di incentivare proprio il tipo di agricoltura che si dovrebbe fare nel Parco. Come detto, tutto questo richiede due cose: una capace e intelligente gestione fatta dall’Ente Parco e l’impegno delle persone con l’arrivo di nuove leve; ci vorranno anni ma è una strada più che possibile e già percorsa altrove, in Italia e nel mondo. Perché non ne dovremmo essere capaci? I Parchi italiani sono un vero e proprio scrigno di prodotti tipici tutelati con progetti specifici dagli enti parco. In questo campo si possono ricordare il caciocavallo silano (parco della Sila), la toma piemontese (parco Gran Paradiso), la soppressata di Calabria (parco Aspromonte), la mozzarella di bufala campana (parco del Cilento), il prosciutto toscano (parco Foreste Casentinesi), il peperone di Senise (parco del Pollino), il marrone del Mugello (parco Appennino ToscoEmiliano), la lenticchia di Castelluccio di Norcia (parco Monti Sibillini), il pane di Altamura (parco Alta Murgia), il pecorino di Farindola (parco Gran Sasso Laga) e lo sciachetrà (parco delle Cinque Terre). Le aree protette fin dalla loro istituzione hanno assunto un ruolo di volano economico delle zone da esse controllate. La difesa della biodiversità non è intesa con assenza d’attività economica, ma come risorsa per creare e ampliare le economie locali che seguono i princìpi dei parchi. Quest’alleanza giova sia al parco sia alle istituzioni e agli imprenditori che con il parco decidono di seguire il cammino dell’ecosostenibilità.
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I parchi hanno ricoperto un ruolo importante nella promozione e attivazione di economie locali basate sull’agricoltura sostenibile, sulle produzioni biologiche, sul turismo naturalistico. Hanno avuto, ad esempio, un ruolo di motore nel campo del recupero e riuso di strutture abbandonate, di tipo industriale, militare, agricolo o dedicate al pascolo in alpeggio.
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Quasi sempre, nei parchi sono stati introdotti, in anticipo sui territori circostanti, piccoli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili – fotovoltaico, solare termico, micro-idroelettrico, microeolico– che in qualche caso hanno consentito ai Parchi medesimi di acquisire certificazioni e marchi ambientali – ISO 14001, Emas, oggi Ecolabel. Diversi Parchi hanno sostenuto, attraverso varie forme di certificazione e accreditamento e nei limiti stabiliti dalla normativa - che tuttavia sono acquisiti in modo flessibile e interpretati differentemente secondo le situazioni - le produzioni dei territori. La casistica è ampia e variegata, e spazia da forme di sostegno più intraprendenti a casi in cui tale funzione è stata perseguita con maggiore prudenza. Questa funzione di pivot che stimola e incentiva la modernizzazione dell’offerta turistica e delle produzioni locali trova tante modalità operative, anche in base alle caratteristiche e alle vocazioni del tessuto produttivo locale. Nell’area del Parco Nazionale dell’Aspromonte, per esempio, inserita in un territorio di forte richiamo turistico che appare tuttavia largamente concentrato sull’offerta costiera e balneare, questa prospettiva è ancora in fase di decollo, sebbene abbia già prodotto alcune iniziative d’interesse, dalla creazione di farmer market lungo la dorsale montana, all’accompagnamento alla certificazione delle imprese agricole e di produzione lattiero-casearia, anche attraverso l’individuazione di “prodotti identitari” distintivi del territorio (come il latte d’asina calabrese, razza autoctona). Si tratta tuttavia, ad oggi, di iniziative ancora sporadiche. La creazione di un “paniere dei prodotti tipici” costituisce viceversa uno dei casi di successo nel Parco nazionale del Pollino. Ripetutamente indicato come buona pratica il lavoro di recupero e rilancio delle attività silvo-pastorali nel Parco Nazionale del Gran Sasso. Tra i casi di maggiore intraprendenza è da includere il caso del Parco delle Dolomiti Bellunesi, con la costituzione di una Carta Qualità a cui aderiscono 250 imprenditori del territorio. Un altro elemento che vale la pena sottolineare è il fatto che, in alcuni contesti territoriali, l’avvio di simili iniziative è stato tutt’altro che privo di difficoltà. Come ha sottolineato per esempio un dirigente del Parco dell’Alta Murgia,“inizialmente abbiamo sbagliato l’approccio con gli agricoltori del territorio, che erano arrabbiati, perché secondo loro veniva minacciata la sussistenza economica. Già trovarsi di fronte a professori universitari che parlavano in un italiano perfetto era un qualcosa che creava una certa diffidenza. A un certo punto si arrivò quasi a uno scontro fisico. A quel punto cambiammo approccio, lasciando perdere tutto ciò che era legato alla regolamentazione, e iniziammo a creare un progetto di agricoltura biologica”. Tutto questo è realtà nei Parchi Nazionali!
Fauna selvatica
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a popolazione di cinghiali se non viene gestita correttamente costituisce un problema non solo per l’agricoltura e per la sicurezza stradale ma provoca anche danni alle specie protette. Il fatto che i problemi aumentino nonostante la caccia dimostra che l’attività venatoria incontrollata non è una soluzione e neppure lo potrà essere in futuro, perché un interesse dei cacciatori è proprio quello di mantenere alto il numero di cinghiali.
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Un Ente Parco ha tutti gli strumenti normativi ed economici per intervenire sui vari aspetti del problema: recinzioni elettrificate, controllo della popolazione, dissuasori olfattivi, sottopassi con inviti nei tratti con maggiori passaggi, chiusini eccetera. Infine: nei Parchi nazionali il rimborso dei
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danni residui avviene molto più velocemente (nei modi e con gli importi che decide autonomamente con i propri regolamenti) che nelle aree non parco. La presenza di animali selvatici è anche una risorsa turistica perché moltissimi cittadini non hanno mai osservato in natura animali selvatici e molti bambini delle città vogliono osservare animali in libertà nei parchi nazionali. Una popolazione di cinghiale ben gestita fa pochi danni e diventa una risorsa, o cercare di osservare i lupi, la lontra, l’aquila reale o sentire il bramito del cervo (numerosi sono gli esempi negli altri parchi nazionali: Majella, Abruzzo, Sibillini, Appennino Tosco-Emiliano ecc.). Qui trovano lavoro guide, accompagnatori, veterinari, biologi, agronomi, forestali ecc.. Il Parco nazionale Dolomiti Bellunesi ha messo in evidenza i benefici collegati alle presenze faunistiche sotto un triplice aspetto. Oltre allo scontato dato ecologico legato alla stabilità degli ecosistemi naturali e all’importanza che le specie animali hanno a prescindere dal valore dato loro dall’uomo, l’altro è l’aspetto economico legato agli indotti derivabili dalle attività svolte in relazione alla fauna e la fruizione culturale e turistica delle specie animali. Infine l’ultimo elemento è quello estetico legato all’importanza che l’uomo dà alla semplice presenza degli animali, pur non “utilizzandoli” in modo diretto. Soddisfazione interiore che l’uomo ha nell’osservare gli animali anche in modo del tutto casuale o nella sola consapevolezza della loro presenza. Passiamo ora a quei benefici che non si possono comprare. Protezione del territorio e della qualità delle acque e dell’aria La conservazione o il ripristino della copertura vegetale evita o limita fenomeni quali allagamenti, frane, sbancamenti, perdita di terreni agricoli, interramento di bacini, eccetera. Ripristinare le caratteristiche di autodepurazione dei corsi d’acqua renderà meno necessarie e quindi meno costose le tecnologie di depurazione. Il miglioramento della qualità delle acque migliorerà la qualità del mare; quel mare dove facciamo il bagno d’estate. L’assenza di nuove industrie insalubri, che emettono sostanze tossiche e nocive in atmosfera, insieme all’azione benefica della vegetazione, che agisce come un filtro naturale, porterà a un miglioramento della qualità dell’aria.
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Ma i parchi non esauriscono la propria funzione nella tutela del patrimonio naturalistico, devono garantire una migliore qualità della vita al cittadino. Il silenzio, l’acqua potabile e l’aria pulita sono risorse fondamentali per il benessere dell’uomo, che le aree protette conservano e tutelano gelosamente. Ben il 28% della superfice forestale nazionale è tutelato dai parchi, che grazie a questo polmone verde riescono ad assorbire annualmente 145 milioni di tonnellate di CO2 rendendo l’aria che tutti noi respiriamo più pulita. Inoltre, gran parte degli acquiferi d’acqua dolce che alimentano le più importanti sorgenti italiane (e che dire delle importantissime sorgenti dei monti Picentini) risiedono nei parchi, che con rigide normative assicurano la loro purezza e
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scongiurano i rischi di contaminazione. Infine, la risorsa del silenzio, il suono della natura, che ha la facoltà di riequilibrare il cittadino più stressato riportandolo a ritmi di vita naturali. Il Parco nazionale verrà coinvolto nelle politiche e piani nazionali ed europei per la salvaguardia e tutela della flora e della fauna (es. lupo appenninico, orso bruno marsicano ecc.). Il Parco Nazionale della Majella (terrirorio simile ai Picentini) ha prodotto un’accurata ricerca che ha quantificato in circa 1 miliardo di euro il valore annuo delle produzioni naturali rinnovabili del Parco. Produzioni, per semplificare, come acqua, aria, stabilizzazione climatica ed idrogeologica, che trascendono di molto i confini del parco interessando intere regioni, oltre la Campania anche la Basilicata e la Puglia. Sviluppo che crea conservazione
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lcuni parchi del centro Italia hanno sperimentato interessanti soluzioni di “sviluppo che crea conservazione”, capovolgendo le relazioni di causalità tra i due termini. Gli allevamenti allo stato brado di bovini, ad esempio, hanno consentito al parco delle Foreste Casentinesi di mantenere “zone aperte” all’interno delle superfici boschive, altrimenti da rigenerare attraverso opportune operazioni di disboscamento. Gli allevatori contribuiscono in questo modo alla manutenzione del territorio, ricevendone un benefit promozionale.
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Nello stesso parco, la necessità di controllare l’incremento demografico dei cinghiali ha favorito lo sviluppo, in accordo con le aziende di macellazione locale, di una “filiera del cinghiale”, anche in aperto conflitto con le associazioni venatorie del territorio. La regolamentazione della raccolta di funghi porcini, attraverso il conferimento di patentini di raccoglitori professionali, ha limitato il fenomeno del saccheggio indiscriminato che caratterizzava quest’attività, creando nel contempo le basi per certificare e garantire la filiera. L’attività core del parco, il censimento dei cervi selvatici e dei daini, viene realizzato consentendo ai visitatori di assistere, dietro pagamento, alle operazioni di tele-narcosi e cattura. In breve, questa esperienza sembra riscoprire il valore della conservazione e della tutela, senza tuttavia trascurare le economie che possono aiutare il raggiungimento di questa missione. E’ il rapporto tra tutela e sviluppo che viene capovolto, sperimentando dunque un approccio innovativo che, oltretutto, appare confortato dal consenso dei residenti nei comuni limitrofi al parco. Un altro indicatore della praticabilità di questa prospettiva risiede nel crescente numero d’imprese che si sottopone volontariamente ai vincoli stabiliti dalle norme a tutela del territorio dei Parchi; il loro obiettivo naturalmente è di tipo commerciale, ma i benefici di immagine poggiano su effettive basi di rispetto dei vincoli ambientali. Uno dei più interessanti esempi è quello del pastificio Del Verde, che opera anche a livello internazionale, la cui proprietà, nel momento in cui si stava delimitando la perimetrazione del parco, chiese di includervi il proprio stabilimento. Questo perché l’azienda aveva colto l’importanza a livello di marketing – soprattutto su mercati “attenti” come quello americano – dell’ambiente e delle materie prime incontaminate, una su tutte l’acqua. Oggi, tale valore è riconosciuto anche da diversi produttori vitivinicoli che essendo ormai orientati sempre di più verso una produzione di qualità, hanno bisogno di una leva di marketing di questo tipo. Sono questi casi a mostrare una possibile linea evolutiva del rapporto tra Parchi e territori; non più (o non solo) un Parco che “promuove” il territorio accrescendo le opportunità delle economie locali, ma un Parco che permea il territorio affermando standard qualitativi e vincoli agli usi oltre i propri confini. (da: I Parchi come luogo di incontri tra green economy e green society stampa Ottobre 2013) 15
Gestione del bacino idrico
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arliamo del bacino idrico più grande del Mezzogiorno ed uno dei maggiori d’Europa, i benefici ricadono oltre che in Campania anche in Basilicata e Puglia. Ha un ruolo strategico nazionale, le sorgenti dissetano circa cinque milioni di abitanti. Il Parco Nazionale avrà un ruolo determinante per la salvaguardia delle acque e per gli equilibri bilologici in base ai poteri normativi conferiti dal testo unico ambientale. Inoltre il suo sarà un apporto fondamentale per veder riconosciute le adeguate somme per forme di investimento e tutela con benefici su tutto il territorio.
Educazione ambientale
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ei Parchi sono previste attività di educazione ambientale anche per i residenti. Come valutare economicamente cosa impara un bambino visitando una fattoria didattica o un bosco o un caseificio o una stalla. In un mondo dominato dalla televisione e dai supermercati, che valore economico si può dare alla scoperta dell’esistenza della natura? I Parchi sono stati e sono tuttora grandi committenti e motori di attività terziarie nel campo della ricerca scientifica, soprattutto nella ricerca applicata, dell’educazione ambientale, dei servizi editoriali. I centri di educazione ambientale, sebbene non manchino direttori relativamente disincantati sulla loro effettiva utilità, hanno contribuito all’inserimento dei Parchi all’interno di reti internazionali e offerto – per quanto su scala limitata – una prospettiva di reddito e sviluppo imprenditoriale a personale ad alta scolarità, spesso in territori con prospettive d’inserimento lavorativo estremamente limitate. Più in generale, il modello di gestione incentivato dalla Legge 394 del 1991 ha favorito, in determinate situazioni, la crescita di attitudini imprenditive che hanno portato i Parchi a farsi soggetti attivi di internazionalizzazione capaci di attivare reti lunghe, in territori spesso ai margini dei flussi economici extra-locali. Esemplare è in questo senso la vicenda del Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo, da qualche anno membro delle rete internazionale Pan Parks dedicata alla promozione e valorizzazione del turismo sostenibile, che prevede la certificazione dei parchi aderenti secondo requisiti minimi di qualità stabiliti da un decalogo di regole condivise. Pan Parks è una fondazione con sede in Olanda, con capitale per il 50% di WWF Olanda e per il 50% di un tour operator privato, Munchen Karten, che finanzia progetti di conservazione nei parchi, capaci di incentivare lo sviluppo turistico.
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Attraverso le reti della ricerca, gli scambi internazionali, le partnership create anche per accedere ai fondi previsti dal programma comunitario Life, i parchi sono divenuti più in generale organizzazioni pienamente inserite in reti internazionali, assolvendo dunque un importante compito di apertura in territori spesso costretti nelle reti minime del locale. (I Parchi come luogo di incontri tra green economy e green society stampa Ottobre 2013)
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Mantenimento della diversità biologica, del paesaggio e dei valori culturali locali
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lcune persone considerano di valore la sola esistenza di un parco, anche se non andranno mai a visitarlo, solo per il desiderio di lasciarlo alle generazioni future, o per altruismo, o per il solo fatto di sapere che esso consente la salvaguardia di specie altrimenti minacciate. Molti volontari, talvolta anche paganti, partecipano alle operazioni promosse dalle associazioni ambientaliste o dai Parchi stessi (come accade nel Parco Nazionale d’Abruzzo in cui giungono volontari da tutto il mondo). Ci sono poi benefici estetici legati alla visione di ambienti naturali protetti. Molto importanti sono anche i valori di tipo culturale, contenuti in ogni singola area protetta, soprattutto se confrontati con le convulse comunità urbane; saperi locali che sono dei tipi più diversi, dalle tradizioni enogastronomiche a quelle musicali, dalle feste religiose ai dialetti, dalle canzoni ai proverbi, eccetera. Valori che devono essere recuperati e tramandati perché la biodiversità – come già detto – è anche di tipo culturale e c’è una continuità tra natura, storia e cultura. I parchi, grazie alla grande attenzione per il patrimonio legato all’ambiente naturale e ai suoi prodotti, generano economia portando ricchezza al Paese, ma all’interno delle aree protette non vengono tutelati solo animali e piante, anche importanti siti di carattere storico-culturale che nei parchi risiedono. Un patrimonio italiano che attira visitatori da tutto il mondo e che le aree protette tutelano e valorizzano comunicandone l’importanza. I parchi nazionali accolgono e tutelano 1.712 centri storici, 270 tra castelli, rocche e fortificazioni, 189 aree archeologiche, 291 tra santuari, monasteri e chiese rurali, 73 ville storiche e ben 149 musei. Sono quindi tante le funzioni che i parchi nazionali svolgono in modo costante per mantenere il loro ruolo di punto di riferimento per il Paese, ma nella società di oggi in cui l’immagine ha un’importanza cruciale, risulta fondamentale che i parchi si adoperino per far conoscere questa realtà. Per questo sono nati progetti di comunicazione e di educazione ambientale volti a coinvolgere la popolazione e soprattutto le giovani generazioni nei progetti dei parchi. “Vividaria” (realizzato con l’aiuto di Institut Klorane) e “Cittadini del parco” sono due di questi progetti che hanno l’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni per formare adulti coscienti dell’importanza che le aree protette hanno nello sviluppo dell’intero Paese.
Benefici per la salute
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on si possono dimenticare i benefici per la salute, sia fisica che psichica, derivanti anche dalla sola frequentazione di un ambiente naturale integro. Vivere lontano da impianti insalubri, mangiando prodotti di qualità, avendo a disposizione impianti sportivi e ricreativi
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immersi nella natura è un altro beneficio reale per chi vive in un Parco; difficilmente quantificabile economicamente ma che porta a una migliore qualità della vita e del benessere sociale oltre che a un risparmio per le cure sanitarie.
Comunità e democrazia a km zero
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l Parco prevede e promuove il ritorno della comunità, della partecipazione, della collaborazione, della solidarietà, il ritorno graduale dall’io al noi. Il Parco favorisce la crescita civile e culturale e il recupero di identità territoriali.
Col turismo fatto di persone e non di numeri, arriva anche la possibilità di frequentare e confrontarsi con visitatori provenienti da tutto il mondo. Il Parco è una forma di democrazia diretta. Nei Parchi (ben gestiti) i cittadini tramite i loro amministratori si danno le regole per i propri territori. Una volta che le regole sono state scritte valgono per tutti. Tutti conoscono diritti e doveri, tutti sanno come fare le cose, ci sono tempi certi. Gli arbitri, le furbizie, i favori, i ricatti, tutto ciò che è al limite del lecito ma anche i reati diventano molto più difficili. Per questo molti Parchi ancora oggi non funzionano: perché al loro interno ci sono amministratori locali che col loro buon funzionamento sanno di perdere questo tipo di “potere”. Ma non per questo il Parco non si deve fare: gli amministratori incapaci si possono cambiare mentre i Parchi (con quel che proteggono) restano per le generazioni future e restano anche come strumento di democrazia per chi finalmente sarà in grado di usarlo. La capacità di gestione degli Enti Parco
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a contrazione dei trasferimenti pubblici sta favorendo l’emergere di logiche di rete tra parchi e aree protette adiacenti, in direzione di un approccio di “area vasta” che costituisce, se si vuole, il corrispettivo dei “contratti di rete” tra imprese previsti dalle politiche industriali. Il Parco Nazionale delle Cinque Terre, ad esempio, è impegnato nella promozione di forme di partenariato stabile con altre aree protette adiacenti, il Parco Vara e Monte Marcello, il Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano, il Parco delle Alpi Apuane e Porto Venere. L’obiettivo immediato è mettere in comune alcune funzioni, come la Comunicazione ma anche le capacità gestionali, valorizzando i punti di forza di ciascuna realtà. In prospettiva, non si tratta tuttavia solo di razionalizzare la spesa e integrare alcune funzioni, ma di promuovere congiuntamente il territorio, attraverso pacchetti turistici condivisi e servizi comuni di trasporto.
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A monte delle esperienze più innovative e dei mutamenti che hanno trasformato alcune aree protette o parchi naturali in efficaci dispositivi generanti coesione e modernizzazione delle relazioni
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con il territorio, è quasi sempre l’ingresso di un dirigente o un direttore che ha saputo modificare radicalmente la scena e creare le condizioni per un cambio di rotta. Il “capitale naturale” dei luoghi è relativamente stabile nel tempo, ma perché possa essere valorizzato sono necessarie intenzionalità, capacità, motivazioni. La scelta delle persone, in questo campo, dove le conquiste e le sperimentazioni appaiono ben poco istituzionalizzate, non sono dunque meno importanti degli schemi di governance. L’ingresso, tra gli anni Novanta e Duemila, alla Direzione dei Parchi di una nuova generazione di amministratori formatisi a ridosso della Legge 394 del 1991, ha contribuito significativamente al rinnovamento del rapporto tra Parchi e territorio. Questa generazione, socializzata ad una cultura della valorizzazione delle aree naturali in sinergia con il tessuto economico locale, è stata protagonista, in più territori, di iniziative dal carattere innovativo e capaci di mobilitare risorse a favore dell’economia locale. E’ una generazione, dunque, lontana dai fondamentalismi conservativi o dall’interpretare in termini “autoritari” il ruolo di amministratore. Spesso sono originari delle regioni del Mezzogiorno, hanno vissuto direttamente la stagione della “riscoperta del territorio” come bacino di accumulazione per lo sviluppo locale. Tra i dati più significativi evidenziati dalla ricognizione, in tema di governance e gestione delle aree protette, vi sono alcune buone pratiche che testimoniano una crescente capacità di operare secondo schemi di efficienza e razionalità economica. Un esempio, come detto, in questo senso è il tentativo di costituire reti finalizzate a integrare funzioni gestionali e promozionali tra il Parco Nazionale delle Cinque Terre, il Parco delle Alpi Apuane, della Val di Vara e dell’Appennino Tosco-Emiliano. Inoltre, quasi tutti i parchi hanno provveduto a esternalizzare i servizi informativi, educativi e ricettivi. Nella visione affermatasi negli ultimi anni, il Parco è una struttura leggera, “postfordista”, il nodo di una rete che coinvolge servizi pubblici e operatori privati del territorio. Ciò richiede una forte integrazione con gli enti locali, che non può che poggiare su una comunanza di visioni del territorio e sulla condivisione delle ipotesi di sviluppo. La direzione intrapresa da alcune realtà territoriali è la costituzione di società di diritto privato, a capitale prevalentemente o totalmente pubblico, per la gestione e valorizzazione del patrimonio del parco. E’ quanto ad esempio hanno realizzato i cinque comuni toscani presenti sul territorio dei parchi della Val di Cornia. La società, attraverso un contratto di servizio con gli enti locali, gestisce il patrimonio di strutture pubbliche, precedentemente recuperate attraverso risorse pubbliche locali e finanziamenti europei, fornite in locazione a privati, i servizi di biglietteria e parcheggi, riuscendo perlopiù a raggiungere o avvicinarsi al pareggio di bilancio.
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Una menzione, inoltre, merita la nascita della Fondation du Grand Paradis, con sede nell’area dell’omonimo parco Nazionale in Valle d’Aosta, che senza dubbio costituisce un esperimento di successo che ha contribuito notevolmente a innovare il rapporto tra Ente Parco, amministrazioni locali, operatori economici del territorio. La Fondazione, istituita con Legge Regionale nel 2004, riunisce e rappresenta i portatori d’interesse delle valli, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, l’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, i sette Comuni del territorio e la Comunità montana, nell’ottica di creare un’offerta naturalistica e culturale integrata. In breve tempo, in virtù del maggiore dinamismo della struttura, di natura giuridica privata, rispetto ai soci pubblici di cui è espressione, la Fondation è divenuta il collettore della domanda di progettazione, animazione,
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valorizzazione del patrimonio, produzione e organizzazione di eventi sul territorio, accanto alla gestione di una rete di siti naturalistici (dai giardini botanici, ai centri visitatori, ai siti culturali, castelli, ecomusei e centri espositivi) e dei laboratori didattici. Un ulteriore esempio di “buona pratica” è quello del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, il cui sviluppo turistico, che parte adesso in maniera strutturata e strategica, oltre l’occasionalità dell’autopromozione fatta finora, verrà gestito nei prossimi anni da due centri professionali come l’APTR dell’Emilia Romagna (realtà leader nel servizio, nelle reti e nelle tecnicalità del business dell’ospitalità) e da Toscana Promozione (network che custodisce reputazione e immaginari del brand Toscana). Un protocollo di intesa tra il Parco e le due agenzie metterà sul mercato turistico un’offerta di 500 km di sentieri sul crinale, e una rappresentazione professionale, coerente ed efficiente con pacchetti dedicati. L’idea, al netto della intoccabile preservazione di un monumento della biodiversità, è quella di offrire al mercato mondiale un’area vasta anche in collaborazione e dialogo con le zone di confine dell’Appennino tosco-romagnolo con le Marche. Così concepito, il progetto di sviluppo turistico ha tutti i necessari elementi identitari e di potenziale sviluppo: la conservazione della natura come risorsa da sviluppare, la professionalizzazione dei servizi di ospitalità e una concreta progettualità condivisa, non solo tra le componenti che danno vita al parco, ma anche con i parchi immediatamente confinanti. (da: I Parchi come luogo di incontri tra green economy e green society stampa Ottobre 2013)
Alternative al Parco
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’edificazione intensiva e le aziende insalubri sono l’uso alternativo proposto per questi territori. E’ uno sviluppo ad alto impatto che ne distruggerebbe le risorse e non lascerebbe più nulla per gli usi futuri. Sembra impossibile ma quel che accade è proprio questo: si sfrutta l’assuefazione e la distrazione delle persone per non intraprendere la strada di conservazione e uso sostenibile dell’ambiente e continuare con la rapida distruzione di un patrimonio comune per l’interesse di pochi. Gli interessi economici più forti stanno spingendo segretamente sugli amministratori affinché si oppongano, e a volte trovano ascolto nonostante chi amministra dovrebbe perseguire solo l’interesse dei cittadini presenti e futuri. Vediamo quindi da vicino le alternative possibili. Edilizia
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i vuole continuare a costruire nelle aree più belle e anche in quelle protette. Aree che in breve tempo non sarebbero più tali per nessuno e che non interesserebbero più né ai turisti né ai residenti.
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Ci si dimentica o forse non lo si sa che quant’anche non ci fosse l’area protetta, tra aree SIC e ZPS (che coincidono con l’attuale perimetrazione del Parco), tra i limiti imposti dall’Autorità di Bacino, della Soprintendenza dei beni culturali, tra norme urbanistiche e paesaggistiche ecc., le limitazioni ci sarebbero lo stesso con l’ulteriore svantaggio di non utilizzare il valore aggiunto del Parco per rendere, viceversa, più redditizio l’esistente!
Petrolio
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’unica industria interessata a queste terre è quella del petrolio. Senza Parco Nazionale (semmai con le aree contigue) non riusciremo a fermarla. Questo lo dice chi può dirlo, cioè chi ha combattuto e bloccato il petrolio in questi anni e lo sta ancora facendo. Senza il Parco arriverà il petrolio! E con l’arrivo del petrolio se ne andranno i valori immobiliari, l’agricoltura e il turismo. L’esempio di quanto può accadere è la Basilicata e ci dice con certezza che i benefici ci sono solo per i petrolieri. Inoltre, da non sottovalutare, è l’interesse della criminalità organizzata che, in un territorio ampio, privo di vigilanza e controlli, potrà utilizzarlo per gli scopi illeciti, primo fra tutti lo smaltimento di sostanze altamente inquinanti.
Agricoltura
L
’alternativa proposta è quella di continuare come adesso, senza intervenire e lasciando l’agricoltura al suo declino. Sarà un caso, ma i migliori terreni per costruire pozzi e raffinerie sono oggi ad uso agricolo.
Conclusioni
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vincoli alle attività o opere, che vengono continuamente richiamati dai detrattori del parco, sono pure congetture che trovano linfa nella tutela di singoli e particolari interessi e che contrastano con lo sviluppo socio-economico-ambientale. Questi (vincoli) esisterebbero comunque a prescindere dall’area protetta. Anzi l’istituzione a Parco nazionale accellererebbe i tempi di concessione delle autorizzazioni. L’unico vincolo, oltre a coloro che agiscono illegalmente, è il divieto di caccia. Vorremmo perdere i benefici ad avere un parco nazionale, con tutti i risvolti occupazionali, a favore degli hobbys di poche centinaia di persone? E poi anche tra i cacciatori ci sono i favorevoli al Parco (c’è da aggiungere che la legge impone una percentuale minima di territorio in cui deve vigere il divieto assoluto di caccia).
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Oppure gli interessi economici più forti stanno spingendo segretamente sugli amministratori af-
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finché si oppongano a qualsiasi forma di tutela ed allo sviluppo (economico) generale, collettivo a danno dell’interesse dei cittadini e, soprattutto, delle future generazioni. Il parco regionale dei Monti Picentini non ha funzionato solo ed esclusivamente per volontà politica, sia regionale che locale. Probabilmente non si sapevano e non si sanno le grosse potenzialità che offre un’area protetta ben gestita. La speranza è che questo breve dossier abbia chiarito le idee sia ai cittadini che agli amministratori locali e che sia da stimolo affinchè ci si adoperi per fare il salto di qualità. Non può sfuggire, in questo senso, che alcune aree naturali, che costituiscono oggi indiscutibili esempi di buone pratiche, hanno la loro genesi nel rifiuto da parte delle amministrazioni e del tessuto associativo locale di assecondare processi di trasformazione socioeconomica basati sulla valorizzazione di breve periodo, ad esempio di tipo immobiliare e speculativo. E’ quanto avvenne ad esempio nel territorio dei comuni dei parchi della Val di Cornia, in Toscana, quando la fine delle produzioni siderurgiche costrinse le istituzioni locali a intraprendere inediti sentieri di rilancio del territorio. Ma anche nelle Langhe e Basso Monferrato, in Piemonte, territori il cui sviluppo in campo enogastronomico e ambientale ha fatto seguito al lungo conflitto che oppose l’azienda Acna di Cengio alle popolazioni della Val Bormida per tutti gli anni Ottanta: quelle che erano le terre della Malora, dell’immigrazione, dell’agricoltura condotta con mezzi e tecniche “arretrati”, costituiscono oggi l’area più ricca e sviluppata del Piemonte. Anche Cogne, in Valle d’Aosta, trent’anni addietro poteva essere considerata una meta alpina di secondo piano, priva com’è di attrezzature e impianti per lo sport invernale. Differentemente da altri centri della Vallèe, tuttavia, ha saputo valorizzare in una prospettiva di turismo naturalistico ed escursionistico gli elementi di protezione del territorio che venivano predisposti essenzialmente per mantenere i pascoli. E’ da osservare, infine, che diversi tra quelli che oggi sono considerati casi territoriali di successo, hanno avuto la capacità di capovolgere in vantaggi competitivi precedenti situazioni di svantaggio. E’ questa, per fare solo uno degli esempi più significativi, la storia delle Cinque Terre, territorio che appariva penalizzato proprio dalla sua morfologia e dalle difficoltà insediative, mentre è oggi meta di pregio per turisti di tutto il mondo.
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Ecco i motivi per avere un Parco Nazionale, il Parco Nazionale dei Monti Picentini!
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Bibliografia:
DAL PARCO REGIONALE AL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI PER IL TERRITORIO
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sito web: www.vastesi.com - I benefici di un parco nazionale (ben gestito) a cura dell’ing. Luciano Lorenzo; Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise (da: il Parco, i parchi in Italia di Giuseppe Rossi); Ecoscienza n. 3 anno 2010 (Giampiero Sammuri presidente Federparchi-Europarc-Italia); sito web: guide.supereva.it (Parchi nazionali: le cifre di un boom di Giusy Mauro); sito Web del Parco Nazionale della Majella; Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi (da: Il Turismo nel Parco di Chiara Marinelli); sito web: dolomitipark.it; Parchi come luogo di incontri tra Green economy e Green society, rapporto di ricerca realizzato tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Federazione italiana Parchi e Riserve nautali, Fondazione per lo sviluppo sostenibile- stampa ottobre 2013-; Ecoscienza n.1 anno 2015, Fausto Giovannelli Presidente parco nazionale Appennino toscoemiliano.Foto: Archivio Conforti.
a cura dell’avv. Angelo Ceres
DAL PARCO REGIONALE AL PARCO NAZIONALE DEI MONTI PICENTINI: I BENEFICI PER IL TERRITORIO L’esperienza dei Parchi Nazionali maggio 2016