Alberto Burri
11 novembre 2008 8 febbraio 2009 Triennale di Milano
Comunicato stampa
La Triennale di Milano presenta una grande retrospettiva dedicata ad Alberto Burri (1915-1995), uno dei massimi protagonisti dell’arte del XX secolo. La mostra, a cura di Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi, attraverso opere storiche e opere inedite, alcune per l’Italia, altre in assoluto, presenta l’artista, l’uomo e le influenze che ha esercitato sulla cultura dell’epoca: una selezione di capolavori, che non si limitano alle più note creazioni degli anni cinquanta, ma testimoniano l’intero svolgimento, nei decenni successivi, dell’opera di Burri e della sua capacità di rinnovamento. La Triennale di Milano continua il suo impegno nell’arte contemporanea dedicando una grande retrospettiva a un artista italiano anche in vista del Museo di Arte Contemporanea di Milano di prossima realizzazione. È dal 1984 che Milano non vede una mostra di Alberto Burri. Nel 1989, infatti, l’artista dichiarò che non avrebbe mai più esposto a Milano in aperta polemica con l’amministrazione cittadina che aveva autorizzato la distruzione del Teatro Continuo, struttura progettata da Burri nel 1973 nel parco Sempione in occasione della XV Triennale. Assume così un’importanza rilevante l’omaggio della Triennale, anche per la presenza del ciclo dei Neri (1986-1987), cellotex mai esposti precedentemente in nessuna sede, e del ciclo Architetture con cactus (1991) presentato al pubblico nel 1992 ad Atene e fra la fine del 1994 e l’inizio del 1995 presso l’Istituto Italiano di Cultura a Madrid, ma sconosciuto al pubblico italiano. La mostra si articola su due piani su una superficie totale di 2500 mq. Il percorso si snoda attraverso tutte le fasi di produzione dell’artista e ha un andamento cronologico. A partire dal piano terra, le prime sei sale offrono un panorama della prima attività del pittore: i catrami, le muffe, i gobbi, i sacchi, i legni, i ferri e le combustioni. Questi lavori costituiscono la premessa storica alle creazioni degli ultimi vent’anni dell’artista: i Cellotex, indagati nei loro molteplici aspetti e presentati nelle successive sale del piano terra e del primo piano. I primi Cellotex sono dipinti interamente, quelli realizzati in seguito lasciano invece intravedere il supporto che diventa parte integrante dell’opera con il colore stesso del materiale, che contribuisce in maniera determinante alla composizione pittorica. La fase finale di questa sezione presenta cellotex con inserti di oro in foglia: risplende nelle superfici in nero opaco nella serie del Nero e Oro del 1993 ed evidenzia le crepe scabre dei cretti nella serie Cretto Nero e Oro del 1994. Al primo piano si distinguono il ciclo Architetture con cactus, composto da dieci cellotex di 2,50 x 3,50 m, e il ciclo dei Neri, costituito da 10 cellotex di 1,30 x 2,50 m. Si tratta di opere di grandi dimensioni che mettono in luce gli ultimi anni di attività di Burri, scelte in relazione ai grandi spazi della Triennale, tenendo conto della sensibilità che l’artista aveva nel concepire le proprie opere in relazione agli spazi espositivi.
In copertina: particolare del quadro Combustione Sacco, 1955
A Burri si deve l’apertura radicalmente innovativa a livello internazionale verso l’impiego di materiali extrapittorici la cui influenza ha caratterizzato l’arte fino ai nostri giorni. Il pittore non ha privilegiato nessun materiale rispetto ad altri: le caratteristiche del quadro non dipendono dalle qualità del materiale usato, ma sono da individuare nella forma e nello spazio. Anche il colore è
Alberto Burri 11 novembre 2008 8 febbraio 2009 Triennale di Milano A cura di Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi Catalogo Skira costo in mostra 35,00 euro Orario martedì - domenica 10.30-20.30 giovedì 10.30-23.00 chiuso il lunedì Ingresso Intero: 8 euro Ridotto: 6 euro Ridotto gruppi e scuole: 5 euro Diritto di prenotazione: 1,50 euro
importante per Burri che predilige i colori puri a quelli più naturalistici, fra questi il nero. L’artista lavora sui contrasti che può ottenere indifferentemente con i colori dei materiali che impiega o con opportune variazioni di superficie. In mostra anche un altro aspetto poco conosciuto: l’attività di Burri scenografo, presentata attraverso il bozzetto per Spirituals (1963), spettacolo per il quale progetta scene e costumi, prima presenza dell’artista a Milano al Teatro alla Scala, quello per il balletto November steps (1972), prestato dal Teatro dell’opera di Roma, i bozzetti del 1975 per il Tristano e Isotta di Wagner, e la relativa documentazione fotografica della realizzazione degli spettacoli. Viene documentata, inoltre, parte della produzione seriale dell’artista. Burri è stato un grande sperimentatore anche nell’ambito della grafica, come dimostrano i Monotex, assemblaggi di cartoncini realizzati direttamente dall’artista senza la mediazione dello stampatore. Un’altra sezione, attraverso fotografie e video di alcuni fra i più noti fotografi e registi d’arte, offre il ritratto dell’uomo Burri: mentre crea con il fuoco e in alcuni momenti della sua vita privata e una documentazione dettagliata sui due spazi espositivi della Fondazione Burri creata dall’artista nella sua città natale: Città di Castello.
Prevendita biglietti ticketone.it Per famiglie con bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni 30 Novembre 2008, ore 15:00 21 Dicembre 2008, ore 15:00 25 Gennaio 2008, ore 15:00 Visite guidate per singoli visitatori nelle seguenti domeniche: 16 novembre 2008, ore 16:00 30 novembre 2008, ore 16:00 4 dicembre 2008, ore 16:00 4 gennaio 2009, ore 16:00 18 gennaio 2009, ore 16:00 1 febbraio 2009, ore 16:00 Prenotazione obbligatoria costo 5,00 euro + biglietto di ingresso Prenotazioni gruppi e scuole e visite guidate: Ad Artem T 02 6597728 info@adartem.it adartem.it Combustione Plastica, 1958
Le immagini e i testi sono scaricabili dal sito www.triennale.it/press
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Si ringrazia
Partner Istituzionali della Triennale di Milano
Davide Rampello Presidente della Triennale di Milano
Trentacinque anni fa, Alberto Burri partecipava alla XV Triennale e realizzava il “Teatro Continuo”. In quegli anni mi fermavo spesso al Parco Sempione ad ammirare quell’opera così inusuale, che sentivo tanto vicina a me e al mio lavoro di regista. Quella grande struttura, costituita da scene mobili e quinte rotanti che da un lato traguardavano il Castello Sforzesco e dall’altro l’Arco della Pace, è stata smantellata e definitivamente rimossa nel 1989. Un gesto sconsiderato della Pubblica Amministrazione di allora, che non solo ha privato la città di un’opera d’arte di grande pregio, ma soprattutto ha bruscamente interrotto il rapporto tra Burri e Milano. Oggi quel rapporto si è finalmente ricucito. Burri non c’è più, ma le sue opere e l’attualità del suo pensiero sono qui; nuovamente a Milano, nuovamente in Triennale. Alberto Burri ha anticipato i temi della contemporaneità su cui abbiamo impostato la linea editoriale della nostra Istituzione. Un uomo che, al di là di esperienze personali come la prigionia e la professione medica, si è sempre profondamente calato nella fisicità dell’essere umano e nella materia con cui è fatto il mondo. Burri ha dipinto con una materia in continuo divenire, che prende vita sulla tela e pur rimanendo sempre uguale a se stessa si trasforma ed evolve, acquisendo nuove forme, suggerendo nuove emozioni. Le sue opere affondano le proprie radici nella carne viva della realtà e poi mutano nella mente dell’osservatore. Come se esistesse un solo punto di partenza - reale e definito - da cui procedere verso infiniti punti di possibile arrivo. Questa pittura, che come amava ripetere lo stesso Burri è solo “pittura per la pittura”, racchiude il senso della contemporaneità; un universo complesso, caotico, controverso e contraddittorio. Per rendersene conto, basta scorrere la varietà e vastità di interpretazioni che le opere di Burri hanno suscitato in tutta la seconda metà del Novecento. Nel 1984, mentre Milano coltivava il sogno della “Grande Brera”, il lavoro di Alberto Burri veniva presentato nell’ampia retrospettiva di Palazzo Citterio. Oggi le tele, i cretti, i catrami e i cellotex del maestro di Città di Castello tornano a Milano, proprio mentre il capoluogo lombardo si appresta ad assumere un ruolo di primo piano e acquisire una straordinaria visibilità internazionale proprio sui temi dell’arte e della contemporaneità. Non penso solo all’Expo del 2015, ma a progetti imminenti come il nuovo Museo d’Arte Contemporanea e il Museo del Novecento; realtà che nel prossimo futuro costituiranno un sistema di eccellenza che farà di Milano uno dei principali punti di riferimento culturale in Europa. In tale contesto, la lezione di Burri assume un valore fondamentale. È proprio in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, in cui la società si ripiega su se stessa e l’inquietudine diventa il sentimento prevalente, che occorre investire nei grandi progetti e richiamarsi con fiducia, quasi con devozione, al lavoro di artisti capaci di sfuggire alla povertà del “materialismo spicciolo”. Credo che sia difficile trovare un’arte più profondamente materiale di quella di Burri e al tempo stesso così capace di sfuggire a quel materialismo spicciolo cui facevo riferimento. Davvero una lezione da non perdere.
Sandro Bondi Ministro per i Beni e le Attività Culturali
Il critico Cesare Brandi definì Alberto Burri «italiano senza retorica e internazionale», una definizione da cui partire per comprendere non solo il senso e il valore di questa grande esposizione, ma il ruolo che l’artista ebbe nella storia del Novecento. Burri, medico di professione, fu artista senza maestri e senza scuole, “scegliendo” di diventare pittore durante un periodo di prigionia in Texas, in un campo dove, per oltre due anni, fu rinchiuso tra i “non cooperatori”, alla fine della seconda guerra mondiale. Con lui l’arte diviene eroismo lirico contrapposto al prosaico della quotidianità, scontro epico con il mondo, processo creativo come “luogo del riscatto”, capacità dell'arte di fare della materia una epifania. La mostra sarà un viaggio, per chi vorrà intraprenderlo, nel pensiero non di un intellettuale ma di un uomo. La forza di Alberto Burri risiede nell’umiltà delle sue pretese: esprimersi e continuare a farlo senza fermarsi mai, controllando ogni materia senza lasciare nulla al caso, addomesticandola al proprio registro espressivo con forze naturali inarrestabili come il fuoco, suo principale strumento di lavoro. In questa esposizione di energia ne è stata messa molta. Da parte della Fondazione Burri, luogo fortemente voluto, amato e realizzato dal grande Maestro; quella degli amici, oggi fondamentali detentori dei principi che animarono la filosofia del Maestro; quella della Triennale di Milano, i cui ambienti sono quelli che il maestro avrebbe amato e scelto, ossia quei “luoghi che dettano il modo in cui le sue opere debbono nascere”. Grazie a questa sinergia unica di forze e di intenti è stato possibile esporre inediti che prima d'ora non aveva trovato spazi e contesti adatti. Un regalo che la Triennale di Milano, unitamente a tutti coloro che hanno trasformato questo progetto in realtà, fa a tutto il pubblico, lasciando libero il Maestro di trovare le chiavi per comunicare ad ognuno di noi.
Letizia Moratti Sindaco di Milano
Alberto Burri è uno dei più grandi interpreti dell’arte italiana del XX secolo, innovatore geniale, protagonista di una rivoluzione tecnica e formale che gli è valsa una fama internazionale. La sua pittura, caratterizzata da un rigore compositivo e cromatico memore nella grande tradizione italiana, è affiancata ad un’ardita ricerca sulla materia e sui procedimenti esecutivi. I suoi dipinti astratti, con pochi e preziosi colori ottenuti da materiali poveri come sacchi di juta, plastiche o ferro, sono annoverati tra i capolavori della storia dell’arte moderna e hanno influito, a partire dagli anni Cinquanta, sulla pittura italiana e internazionale. La nostra città è lieta di ospitare questa importante retrospettiva e di rendere un doveroso tributo ad Alberto Burri, rinnovando così la sua ammirazione e il suo affetto per il grande artista. L’iniziativa testimonia l’impulso che Milano offre alla conoscenza dell’arte contemporanea, focalizzando l’attenzione sui grandi nomi che segneranno i percorsi dei due musei in gestazione: il Museo del Novecento all’Arengario e il Museo d’Arte Contemporanea nell’area che fu della Fiera. Le Civiche Raccolte d’Arte hanno concesso alla Triennale il prestito dell’unica opera del maestro presente nelle collezioni cittadine, una piccola ma importante Muffa del 1952, acquistata dal Comune nel 1984, confermando una proficua collaborazione tra le nostre istituzioni. È in particolare nella cultura che diviene evidente come l’impegno per mettere in rete risorse ed energie si traduca in un enorme vantaggio per la collettività, accrescendo le occasioni di conoscenza e rendendo Milano sempre più attrattiva sulla scena internazionale.
Maurizio Calvesi Curatore della mostra Premio Balzan 2008 per le arti figurative dal 1700 Riceverà il premio dal Presidente
Nel quadro ormai storico dell’arte del XX secolo, e non soltanto in quello italiano, Burri spicca indiscutibilmente come uno dei massimi protagonisti. A lui si deve, in ideale congiunzione con le intuizioni “polimateriche” di un altro colosso italiano, Umberto Boccioni, anche se in totale indipendenza e con radicale novità, quell’apertura sull’impiego di materiali extrapittorici la cui influenza ha caratterizzato tutto il seguito dell’arte, nella seconda metà del secolo e fino a oggi.
della Repubblica Giorgio Napolitano il 21 novembre 2008 presso l’Accademia dei Lincei a Roma
E tuttavia con un senso ancora integralmente vivo della “qualità”, della concentrazione espressiva e della dignità intellettuale dell’opera, quali oggi diventano sempre più rare da reperire nella produzione attuale. Questo spiega l’interesse continuamente crescente della critica e anche del pubblico, a cui questa mostra vuole venire incontro con una scelta di capolavori, che non si limitano alle ormai notissime creazioni degli anni Cinquanta, ma testimoniano l’intero svolgimento, nei decenni successivi, dell’opera di Burri, nella sua mirabile capacità di rinnovamento, apertura di orizzonti e intatta sorgività di bellezza. Pertanto, dopo un succinto panorama della prima attività del pittore (catrami,muffe, gobbi, sacchi, legni e ferri) la mostra si sviluppa analizzando i successivi decenni della sua attività in misura del tutto esaustiva: plastiche trasparenti, colorate e su cellotex, bianchi e neri, cretti, cellotex monocromi e colorati, neri e oro, cretti e oro. Verranno documentate anche le indimenticabili scenografie, con i bozzetti del 1975 per il Tristano e Isotta di Wagner finora mai esposti fuori dalla Fondazione, il bozzetto per lo spettacolo Spirituals (1969), gentilmente concesso dal Teatro della Scala di Milano, il bozzetto per il balletto November steps (1972) di proprietà del Teatro dell’Opera di Roma. Una ricca sezione fotografica e video accompagna la rassegna, documentando gli spettacoli appena citati, mostrando Burri all’opera con l’inedito strumento del fuoco, suoi ritratti anche con altri artisti, foto delle due imponenti sedi della Fondazione Burri a Città di Castello, nonché dell’inaugurazione (1984) della mostra milanese a Brera 2.
Chiara Sarteanesi Curatrice della mostra
“L’ultimo mio quadro è uguale al primo”1 nell’affermazione più volte espressa dall’artista è racchiuso il senso della mostra di Burri nella storica sede della Triennale a Milano. L’artista dichiarava che nella scelta dei materiali non c’era nessun intento programmatico e quando una materia, non suscitava più in lui alcun interesse veniva abbandonata. Il pittore non ha privilegiato nessun materiale rispetto agli altri, perciò il loro apporto, al risultato finale dell’opera è minimo: le caratteristiche del quadro non dipendono dalle qualità del materiale usato, che pur salta all’occhio immediatamente, ma sono da ravvisare, con una visione più attenta, nella forma e nello spazio. Ovviamente anche il colore è importante per Burri: egli predilige i colori puri, piuttosto che quelli naturalistici, anche per evitare inevitabili allusioni ad una pittura di realtà; il nero è uno di essi: “due neri diversi, vicini, possono essere altrettanto formidabili, altrettanto colorati”2, come ben spiegato da lui stesso. L’artista lavora sui contrasti che può ottenere, indifferentemente, con i colori dei materiali che impiega, o con opportune variazioni di superficie: in tal senso, sarebbe un errore fermarsi alla sola apparenza materica. Ritengo che queste premesse siano essenziali per una corretta lettura delle opere di Burri. L’esposizione alla Triennale è stata realizzata grazie anche a prestiti di importanti Istituzioni, che conservano opere del Maestro come il Teatro alla Scala, le Raccolte Civiche di Milano, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il Teatro dell’Opera di Roma, Istituti bancari e privati; il corpus più consistente, pervenuto dalla Fondazione Burri, non appartiene al nucleo delle opere collocate permanentemente nelle due sedi della Collezione di Città di Castello, ma dal lascito che l’artista stesso, con lungimiranza, ha messo a disposizione per eventi espositivi. Si precisa che chiunque, sull’onda dell’emozione, cui non potrà sottrarsi dopo la visita alla Triennale, vorrà approfondire la propria conoscenza riguardo all’opera del pittore, potrà visitare la Fondazione Burri, con la certezza di vedere tutte le opere, tranne i Teatrini che l’artista ha creato per la messa in opera delle scene per il Tristano e Isotta di Wagner. La Fondazione, data l’importanza dell’evento, ha ritenuto, infatti, di dover fare un’ eccezione inviando a Milano tali teatrini, in mancanza di altre opere a rappresentare anche questo aspetto, molto importante e poco conosciuto dell’artista. La Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, voluta dall’artista a Città di Castello, sua città natale, si articola in due sedi: nel Palazzo Albizzini, palazzetto nobiliare della seconda metà del ‘400, situato nel cuore del centro storico, aperta al pubblico nel 1981, dove si trovano opere dal 1948 al 1989; negli Ex Seccatoi, imponente complesso di archeologia industriale, collocato appena fuori dalla cinta muraria della città, e inaugurato nel 1989, dove l’artista, ha deciso di esporre le opere di grande formato, i Cicli, rappresentativi della suo percorso artistico dal 1979 al 1994. Il grande valore di cui si pregia la Fondazione è dovuto alle peculiarità della sua stessa genesi. Spesso i Musei o le Fondazioni nascono per onorare e perpetuare nel tempo la testimonianza di personaggi scomparsi che in qualche modo hanno lasciato un’eredità culturale al mondo intero. Burri, ha avuto l’opportunità di dare la propria impronta alla Fondazione Burri nei lontani anni Settanta, donando le sue opere, purché fosse messo a disposizione uno spazio adeguato per poterle esporre. Una
1
N. Sarteanesi, La Fondazione
nel disegno di Burri, in C. Christov-Bakargiev, M.G.Tolomeo (a cura di), Burri opere 1944-1995, Catalogo della mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni 9 novembre 1996-15 gennaio 1997, Electa, Milano.
2
S. Zorzi, Parola di Burri, Umberto
Allemandi & C., Torino 1995, p. 87.
Alberto Burri, foto Aurelio Amendola
volta individuato in Palazzo Albizzini il luogo eletto, egli segue gli architetti che si occupano del recupero architettonico affinché le architetture non siano alterate e che il restauro si limiti al consolidamento degli immobili e alla predisposizione per l’allestimento. Tutto risponde a principi di estrema semplicità e razionalità per non contraffare né modificare, in alcun modo, lo spazio. La chiarezza delle sue pagine astratte e il rigore del suo ordine formale guidano i suoi viaggi pittorici, così come gli allestimenti, i prospetti architettonici, il rapporto emozionale fra l’ambiente e i dipinti.
La mostra di Chiara Sarteanesi
Sacco ST 11, 1954
1
F.D’Amico ( a cura di), Roma 1950-59.
Il rinnovamento della pittura in Italia,
Piano terra Sala 1 Una rapida ma intensa sintesi del percorso del Maestro degli anni Cinquanta apre questa esposizione con tutte le “materie” elette da Burri a colore. Dal catrame Nero del 1951 che preannuncia la serie di tutti i neri degli anni ’80 e ’90, alle tre opere del 1952: il Bianco, esposto solamente due volte in Italia e mai all’estero; la Muffa e la Sabbia, quest’ ultima, fino a pochi anni fa gelosamente custodita in una collezione privata di Philadelphia e ora messa gentilmente a disposizione del pubblico da un Istituto bancario milanese; fino al Gobbo Bianco del 1953. Quest’ultimo appartiene alla serie, poco numerosa, di dipinti in cui Burri cerca di portare l’opera oltre il limite dello schermo bidimensionale, ancora costituito dal quadro: pur con la combinazione della materia pittorica con la materia trovata, egli deforma il piano del dipinto con una sagomatura aggettante.
catalogo della mostra, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 12 novembre 1995-18 febbraio 1996, p.142.
2
M. De Sabbata, Burri e L’ informale,
Il Sole 24 Ore, E-ducation.it, Firenze 2008, p.174.
È la rottura del piano che distrugge la spazialità tradizionale. Il Sacco ST 11 del 1954, riprodotto nel 1955 nella monografia di J. Johnson Sweeney, all’epoca direttore del Guggenheim di New York, è un quadro di piccole dimensioni.
A destra in basso c’è l’oro, che, nonostante sia elemento ricorrente in tutta la produzione artistica di Burri, diventa negli ultimi cicli degli anni ’93 e ’94, rispettivamente Nero e Oro e Cretto Nero e Oro, componente essenziale dell’opera ed ultima “innovazione”, che si ricollega ai fondi d’oro bizantini e rinascimentali. Sacco ST11 ha, inoltre, un’impostazione che ritorna periodicamente in altre opere: due strisce sovrapposte di tonalità diverse, unite e allo stesso tempo distinte da una forte linea di demarcazione, costituita dalla bordatura dei due sacchi. Le tonalità del colore delle due tele variano anche per differente tessitura. “Potrei ottenere quel tono di marrone, ma non sarebbe lo stesso perché non avrebbe in sé tutto quello che io voglio che abbia….. Nel sacco trovo quella perfetta aderenza fra tono, materia e idea che col colore sarebbe impossibile”1. Seguono Combustione Sacco del 1955, Combustione 15 del 1957, Combustione Plastica del 1958, Combustione Legno del 1960, opere che l’artista crea con il suo “pennello di fuoco”. Nel 1955, Burri, quando già da due anni lavorava con la fiamma ossidrica, in una delle sue rare dichiarazioni
aveva detto: “ Ho in mente da tanto tempo di dire come bruciano le cose, com’è la combustione, e come nella combustione tutto vive e muore per fare una unità perfetta.”2. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’azione del fuoco non riesce ad intaccare il rigore formale che l’artista ottiene con magistrale controllo della fiamma stessa. Le cauterizzazioni impediscono la distruzione della materia e allo stesso tempo organizzano l’impianto della composizione. Quindi anche se la bruciatura stabilisce un rapporto immediato con lo spettatore, questo evento sarà dissolto in un secondo momento, dal recupero della propria consistenza, al di là del fluire fenomenico. Chiudono questa “premessa storica” due Ferri: non si tratta di objets trouvés, né dell’utilizzo di ferri trovati dai rigattieri: le lamiere che Burri taglia e salda sono appena uscite dalla fucina del fabbro. Il fuoco le avvampa e le chiazza creando rilievi improvvisi e profili affilati e sporgenti dal piano e sembrano indurre lo spettatore a partecipare ad un evento non concluso: in realtà offrono un approfondimento della struttura bidimensionale del quadro.
Piano terra
Rosso Plastica, 1962
3
C.Brandi, Il nero di Burri, in Scritti sull’Arte
Grande Bianco Nero, 1971
Il commento che Brandi scrive per le opere di Burri degli anni Cinquanta è illuminante: “Poichè i quadri appartengono tutti al genere più ammirato e canonico di Burri, non sarebbe certo il caso di descriverli. Ma non si può invece tacere l’effetto dirompente che producono ancor oggi, quando sembrerebbe, con la obsolescenza abituale (come si diceva ieri, e oggi è parola già passata di moda), che dovessero apparire relegati nel loro tempo. E invece il colpo che assestano fra capo e collo, appena si entra e si guardano, è la prova migliore che la loro vitalità è restata intatta, e che, allora, non era dovuta alla sorpresa, spesso incresciosa e oltraggiosa, del primo avvicinamento. Saputi e risaputi, questi dipinti, mantengono un fuoco, un acido, un’aggressività di primo acchito, che li colloca nel frangente immediato della vita dello spettatore.”3
Contemporanea, Einaudi, Torino, 1976, vol. I, p.345.
4
Ibidem, p.346.
L’opera di Burri, pietra miliare nella storia della pittura d’oggi, resta dunque non per aver introdotto l’inedito della materia, né per aver sconvolto il concetto tradizionale della pittura fatta col pennello: resta per la sua carica formale. Brandi aggiunge: “Dai primi collages cubisti in poi, quanti avevano già adoperato i
materiali più eterogenei, senza che si producesse quella specie di crepuscolo degli dei della pittura che ha provocato Burri? Ma proprio perché non è la materia in quanto materia, ma come invenzione di un nuovo codice: per questo ha suscitato al suo apparire tante proteste. Era un nuovo codice della pittura, questo e non altro dava fastidio e non si voleva riconoscere, revolvendo il codice a materia bruta.”4
Sala 2 Dalla “campionatura” di tutte le invenzioni sperimentate e messe a punto negli anni Cinquanta che costituiscono l’humus per le creazioni future e rappresentate in mostra in numero limitato in proporzione alla loro totalità, la mostra si amplia, così come avviene negli spazi del Palazzo Albizzini. Il tema dominante della seconda sala è la combustione sulla plastica, dapprima trasparente, poi rossa, nera e infine applicata su un piano di fondo, il cellotex, dipinto da larghe campiture di colore bianco o nero. Burri trasforma un materiale insignificante e privo di qualunque espressività come la plastica, in “opera”, con l’ausilio del fuoco. Sorprendenti gli effetti lucenti conferiti all’opera dalla sovrapposizione di più strati della materia ed esaltati dall’omissione del supporto costituito da un essenziale telaio in metallo. Gli intervalli fra le opere di questa sala si restringono per una visione d’insieme che anticipa il “ciclo”, di cui parleremo più avanti.
Cretto G2, 1975 - Fondazione Palazzo Albizzini Collezione
Cartella serigrafica Sestante 9, 1989
Sala 3 Nei Bianco Nero consequenziali alle Combustioni, la bruciatura non c’è, e quel nero vellutato, morbido e liscio, fa macchie precise che evocano tante cose ma non somigliano a nulla. A tratti, in alcuni casi, c’è un velo di plastica trasparente che fa mutare il bianco puro del fondo.
Sala 4 Il Cretto, sin dalle prime opere, è circoscritto in piccole zone all'interno di strutture di altro materiale, con l’ eccezione di due lavori del 1958, Tutto Nero e Tutto Bianco, che l’artista ha definito come i primi grandi Cretti.
Sala 5 Questa sala, che si trova al centro del percorso espositivo del pianterreno, è sembrata la più adatta per l’esposizione della produzione seriale dell’artista, per dare tutta l’attenzione e il rilievo che le spetta.
“Quando ero in California, andavo spesso a visitare la Death Valley. L’ idea venne da lì, ma poi nel quadro è diventata un’ altra cosa. Volevo solo mostrare l’energia di una superficie”, racconta Burri. Alla fine degli anni sessanta i Cretti sono al centro della sua considerazione e alla fine del decennio successivo acquistano una dimensione scultorea. Le opere monocrome, eseguite con un impasto di caolino e vinavil, mostrano una superficie con screpolature che tracciano una rete ora più folta ora più rarefatta, mettendo in chiaro risalto il discorso formale.
Il termine “grafica”, nel tempo, ha assunto una connotazione di negatività come sinonimo di prodotto scadente. Ciò che relega la grafica ad un genere “minore” è la “svalutazione” di quella parte del processo creativo, affidato dall’artista allo stampatore che incide sul loro valore di mercato, tra l’altro, necessariamente più basso rispetto a quello dell’opera unica, in quanto non depositaria dell’unicità, appunto. Ma l’opera è comunque espressione dell’individualità dell’ artista e i fattori sopradetti non possono influire sulla loro lettura.
Dove la plastica è assente, l’immagine distaccata, spicca in tutta la sua monumentalità per l’esattezza dell’esecuzione, senza sbavature e senza i fumi del fuoco. La tavolozza di Burri è ridotta alla contrapposizione del bianco e del nero ed è pittura pura, che necessariamente non rappresenta che se stessa. Il grande Bianco Nero del 1969, donato agli Uffizi, ha un impianto geometrizzante definito dai contorni nitidi e dalla stesura cromatica costante. Si tratta di un rappel à l’ordre? In realtà nulla è cambiato rispetto agli eventi precedenti, se mai si assiste ad una sorta di catarsi, che rende ancora più evidente agli occhi dello spettatore ciò che per Burri era chiaro da sempre.
Il controllo dell’esito finale è attuato con l'uso di opportuni dosaggi dei collanti acrovinilici e calibrando gli spessori della materia distesa sul supporto, in modo da provocare variazioni dimensionali della trama e maggiore profondità della stessa. Questo a conferma del fatto che la gestazione delle opere è lunga e meditata, mai affidata al caso.
La vicenda della produzione grafica di Burri segue un iter assolutamente originale, che vale la pena di conoscere, anche rispetto alla considerazione che altri artisti hanno avuto rispetto alla propria produzione grafica. Per alcuni artisti la grafica è un duplicato della pittura, per altri la precede. In Burri la grafica procede solo apparentemente in modo
Cartella serigrafica Sestante 1, 1989
Cartella serigrafica Sestante 7, 1989
parallelo all’opera unica, in realtà esiste un’osmosi continua per la quale certe peculiarità presenti nella grafica ispirano la pittura e anche il contrario. La concezione del “ciclo” apparso in pittura nel 1979 con Il Viaggio, è già consolidato nella grafica dal 1965; la tavolozza traboccante di colori esplode nelle grandi opere pittoriche solo nel 1982 con Sestante, quando da un decennio prima è largamente impiegata nelle serigrafie. Gli stampatori che hanno lavorato con Burri, pochi e selezionati a dire il vero, testimoniano la grande difficoltà di lavorare con l’artista “alle costole”: egli, con perseveranza e testardaggine, li costringe a infrangere le regole di tecniche consolidate, in un viaggio nell’ignoto, e, come tale, pieno di insidie e con l’incertezza dell’esito finale, almeno dal punto di vista dell’operatore e non per Burri che sa esattamente cosa vuole ottenere. Il risultato è sempre spettacolare. Non era possibile in questo contesto esporre tutta la produzione grafica dell’artista. Imbarazzante è stata la scelta nella decurtazione dei soggetti, ma si doveva fare e abbiamo optato per mostrare un ristretto gruppo di opere seriali rappresentative dell’intera categoria.
Mixoblack, 1988 Questa serie di neri, spettacolari per la resa della consistenza materica, è uno di quei lavori che ha messo a dura prova la pazienza e le capacità dello stampatore. I neri lucidi, opachi, lisci e rugosi scandiscono la superficie di questi “dipinti”, determinando un insieme armonico che sembra non aver nulla a che fare con l’opera grafica. Sestante, 1989 Queste serigrafie possono stupire lo spettatore per l’ esplosione di colori, specie dopo la visita alle quattro sale precedenti dominate da colori quasi monocromi. Burri ha sempre usato la gamma infinita dei colori nelle piccole tempere che hanno accompagnato il suo lavoro fin dall’inizio della sua pittura. La cartella del Sestante, serie di 16 serigrafie, è tratta dal ciclo pittorico omonimo realizzato nel 1982 e collocato negli Ex Seccatoi del Tabacco nel 1989, che a sua volta è nato da piccole tempere della metà degli anni settanta. Le serigrafie pedissequamente ripropongono i timbri fluorescenti delle tempere. La scommessa più grande era quella di riprodurre le sfumature dei colori; si intuisce quanto sia infinita la gamma dei colori a disposizione del pittore, siano essi puri o
mescolati e quanto sia difficile renderli in serigrafia. Realizzare una sfumatura all’interno di un colore prevede tante “ribattute”, ciò necessita una procedura complessa, lunga e dunque costosa. Monotex, 1994 Non si tratta di grafica in senso stretto, ma di multipli. Burri per la loro realizzazione non si serve più dei mezzi tecnici tradizionali: elimina totalmente l’intervento dello stampatore: assembla personalmente i cartoni, ottenendo quelle differenze di spessore che altrimenti non avrebbe potuto conseguire. Nel pannello, inizialmente tutto bianco, vengono evidenziati in nero, uno dopo l’altro, tutti gli elementi geometrici, è come assistere alla scomposizione fotografica dell’unità iniziale e alla sua ricomposizione, divenuta, però, tutta nera. Trittico, 1994 Le tre “opere” richiamano ad un modulo figurativo ricorrente nell’opera di Burri, soprattutto nella serie dei Bianchi e Neri, con la nitida demarcazione della base quadrata sulla quale campeggia una semiellisse. Alla severa alternanza del bianco e del nero di allora, si aggiunge la presenza dell’oro, prezioso e lucente, come nelle opere coeve.
Cellotex, 1974
Sala 6 Dopo la parentesi dell’opera grafica la mostra prosegue nelle sale rimanenti del piano terreno con il cellotex , ultimo materiale impiegato dall’artista negli ultimi vent’anni per le sue composizioni pittoriche. Questi quadri dapprima sono dipinti interamente, poi lasciano intravedere il supporto che diventa parte integrante dell’opera con il colore stesso del materiale, che contribuisce in maniera determinante alla composizione pittorica, a volte geometrica, a volte più libera, ma sempre seguendo un’idea ben definita. Il supporto delle ultime plastiche e dei cretti è costituto dal cellotex, un aggregato di segatura e vinavil, il cui impiego d’origine era destinato all’isolamento di pareti e coperture di edifici. Alla metà degli anni settanta accade ciò che era già avvenuto con i sacchi: come la tela che da supporto viene assunta come protagonista dell’opera, allo stesso modo il cellotex viene portato alla luce e indagato nelle sue potenzialità estetiche. Ancora una volta siamo di fronte alla scelta di un materiale estraneo alla tradizione pittorica e apparentemente privo di
Cellotex, 1984
ogni attrattiva. Il cellotex ha una consistenza materica granulosa che, insieme alla tonalità calda del colore, simile a quella dei sacchi, permette al pittore di “dipingere” immagini eccezionali e solenni per il loro impianto costruttivo. Burri raschia, incide e, in alcuni casi, priva il materiale della sua pellicola esterna, per far vibrare luci e ombre di una superficie sensibile, in cui soltanto un minimo scarto distingue la parte lavorata da quella liscia e verniciata.
Sala 7 I Cellotex esposti in questa sala sono degli anni ottanta. È passato quindi un decennio dalle prime sperimentazioni con tale materiale: ora è interamente coperto dal colore, evitando di celarne le caratteristiche materiche, le quali concorrono alla resa del colore e alla forma.
36 Nero e Oro, 1993
Cretto Nero e Oro, 1994
Sala 8 Nei dipinti Neri e Oro del 1993 esposti, il pregiato metallo, risplende nelle superfici in nero opaco, all’apparenza vellutate, e conferisce ad essi una nuova preziosità. Solo apparentemente decorative, testimoniano invece l’ennesima invenzione della inesauribile capacità di rinnovamento dell’artista.
Sala 9 Il cretto torna nell’ultimissima stagione di Burri con i Cretti Nero e Oro del 1994. Non più monocromo, bianco o nero: c’è l’oro che, a differenza delle opere precedenti, si confronta con la materia grezza e si evidenzia fra le crepe scabre del cretto. La stesura dell’oro non è più uniforme e liscia, asseconda le asperità del materiale sottostante, come se fossero pepite ancora imprigionate nella roccia.
Primo piano
Teatro Continuo, Milano, 1973
Architetture con Cactus 8, 1991
Piano Superiore Il piano nobile, per le sue dimensioni inconsuete in spazi museali così datati, permette l’esposizione di due imponenti “cicli”, tenendo conto delle preziose indicazioni dell’artista che considerava imprescindibile la sintonia delle opere con gli spazi. Il “Ciclo” nasce nel percorso artistico di Burri alla fine degli anni settanta, quando tutta la sua produzione volge al monumentale: non più l’opera singola ma un insieme di dieci o più opere che costituiscono un’opera unica e come tale inscindibile. Dopo Il Viaggio del 1979, primo della serie, composto da dieci pannelli, al ciclo seguente, Orti, del 1980, l’artista abbina una monumentale scultura, come avverrà in seguito per Sestante, presentato agli ex Cantieri navali della Giudecca a Venezia nel 1983. Qui si trovano i neri Cellotex del 1986-1987 inediti e neppure pubblicati in Burri Contributi al Catalogo Sistematico del 1990, perché rientrati dagli Stati Uniti dopo l’edizione del volume stesso, e Architetture con Cactus, 1991, mai presentato fino ad ora in Italia. Lo stesso è per i due Grandi Cellotex, esposti nel Cubo C, insieme al Grande Cellotex A5 proveniente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Cubo A La nascita del ciclo Architetture con Cactus, del 1991, alias Il polittico di Atene. Nel segno di Euclide, come titolato dal curatore della mostra, Giuliano Serafini, è intimamente legata al desiderio di Burri, fino ad oggi non esaudito, di ricreare ad Atene, come omaggio alla civiltà che aveva inventato il teatro, il Teatro Continuo, nato per la Triennale del 1973 e, come noto, distrutto nel 1989. La formazione umanista di Burri si esplica nell’ordine costruttivo e nella “divina” proporzione delle nove Architetture del ciclo. I nove pannelli dipinti sottendono l’idea di perfezione raggiunta attraverso simmetrie ed equilibri immutabili. Decima e conclusiva “tappa” del ciclo, il Cactus, si impone immediatamente per l’esplosione dei colori che solo apparentemente scompongono il dipinto in un enorme puzzle. Ad un più attento esame, ogni tessera ha una sua precisa collocazione, incontrovertibile, che crea l’unità della composizione con il dominio della forma sull’effetto dirompente del colore. Per contrapposizione le architetture si stagliano in tutta la loro monumentalità.
Tra l’altro proprio il pannello numero cinque, tutto nero, ha una sagoma che ha ispirato Burri per l’architettura da collocare, come quinta scenica nella piazza antistante il Palazzo Albizzini, attualmente Piazza Garibaldi, da rivedere secondo un preciso progetto di arredo urbano che il Maestro elabora nel 1994, per desiderio dell’Amministrazione di allora, per essere a lui intitolata. Architetture con Cactus è stato esposto ad Atene nel 1994 e a Madrid l’anno seguente presso l’Istituto Italiano di Cultura, ma è inedito per il pubblico italiano che ha la possibilità di ammirarlo qui a Milano, in uno spazio adeguato alla sua “grandezza”.
November steps, Bozzetto, 1972
Teatri e Scenografie La sezione dei teatri e scenografie è nata in virtù della prima presenza dell’artista a Milano, in un’istituzione pubblica, che coincide anche con l’iniziazione di Burri scenografo. Nel 1963, infatti Burri firma scene e costumi per il balletto Spirituals per Orchestra, di Morton Gould, con la coreografia di Mario Pistoni, al Teatro alla Scala. La scenografia si riallaccia alle esperienze artistiche dell’artista sul legno, da poco abbandonate, quasi a volerne verificare la tenuta formale in una misura di imponente formato, fino ad ora mai sperimentata. Il risultato di grande spettacolarità interpreta in maniera rigorosa la coreografia di Pistoni. Il balletto verrà replicato fino al 1976. Le foto dello spettacolo accanto al bozzetto permettono di vedere l’opera dal momento dell’ideazione alla sua realizzazione. Per dovere di completezza, pur non essendo possibile esporre i bozzetti, le scenografie e i costumi, ideati da Burri per il dramma di Ignazio Silone, L’Avventura d’un Povero Cristiano, sono documentate dalle fotografie dello spettacolo scattate dall’artista stesso. Lo spettacolo fu allestito nella piazza di San Miniato al Tedesco, nel
Tristano e Isotta Atto III, 1975
1969, per la regia di Valerio Zurlini, il cuore della piccola cittadina viene sapientemente coinvolto come parte integrante dello spettacolo. Così dopo il balletto Burri affronta la messa in scena di un’opera di prosa. Per illustrare l’opera di Silone, l’artista propone un sacco e due plastiche, l’una rossa, l’altra bianca e nera. Il sacco logoro e ricucito fa da eco al continuo peregrinare dei seguaci di San Francesco e all’essenzialità del suo linguaggio. La scena del secondo atto, una plastica rossa con un grande cratere al centro, fa balzare lo spettatore nei luoghi assolati della curia vescovile napoletana di Papa Celestino V; la scenografia evidenzia la diversità sostanziale fra la vita dell’eremita e quella regale del pontefice, dilaniato dalla preoccupazione di poter “essere papa e contemporaneamente un buon cristiano”. Il momento del rifiuto del Papa alla sua condizione di privilegio è suggellato dalla scena del terzo atto; il fuoco cancella il passato in modo definitivo, ma quando la fiamma cessa di ardere, dalle ceneri nasce una forma nuova, che suggerisce con il suo andamento verticale l’anelito verso l’assoluto.
Nel 1973 Burri si confronta di nuovo con il balletto: November steps, su musiche di Toru Takemitsu con la coreografia della moglie Minsa Craig, andato in scena all’Opera di Roma, che gentilmente ha concesso alla mostra il prestito del bozzetto, un piccolo Cretto. In scena, all’apertura del sipario, il fondale si presentava completamente bianco e tramite un sistema di lenta proiezione fotografica emergeva la struttura del cretto; era come assistere alla varie fasi della creazione dell’opera; dalla materia integra all’atto dello screpolarsi, fino alla calma del processo concluso. Come avveniva nelle combustioni, si assiste allo scontro con qualcosa che può distruggere, ma finale è la chiarezza delle forme definitive. Ad un primo confronto del bozzetto con le foto dello spettacolo, viene da chiedersi se l’artista l’abbia preso in considerazione, tanto diverso è l’esito della scena. In realtà il fondale è il risultato della proiezione speculare dello stesso modulo preso da punti di vista diversi, in modo che l’uno sia il completamento dell’altro a creare un insieme armonico e concluso. Nel 1973, proprio la Triennale chiede a Burri di ideare, per la
Cellotex, 1986-87
XV edizione, dal titolo Contatto arte/città, un teatro. La sua esperienza teatrale, finora limitata alle scene e ai costumi, può confrontarsi anche con l’architettura scenica. Purtroppo di tale realizzazione, Teatro Continuo, non rimangono che la documentazione degli schizzi forniti da Burri al curatore, Giulio Macchi, con la lettera di accompagnamento e alcune foto del teatro collocato sull’asse centrale del Parco Sempione. In seguito il pittore donò l’opera alla città di Milano ma venne distrutta nel 1989, senza motivazioni, per iniziativa di un assessore del Comune di Milano. Per il Teatro Regio di Torino nel 1976, cura le scene e i costumi di Tristano e Isotta, di Richard Wagner, con la regia di Maria Francesca Siciliani e la direzione di Peter Maag. Dopo il balletto, la prosa e il teatro, Burri è chiamato a mettere in scena un’opera chiave della musica moderna, che lui amava molto. Penso di non conoscere miglior commento di questo di Cesare Brandi sul Tristano: “ Il sipario si alza su un secondo sipario di plastica, sommosso come un mare in burrasca, ma un mare sotto la luna, ei riflessi argentei delle creste dell’onde guizzano nella notte che è già preparazione alla tragedia. Il primo atto
dovrebbe essere il ponte della nave “nunziale”. Del ponte resterà un lungo piancito di tavole disposte come nei famosi Legni e una vela, che è tenda al tempo stesso, divide la scena: di qua sta Isotta, di là Tristano....Nel secondo atto sobbolle una plastica nera di quelle grandiose e tetre come un addobbo funebre, ma sceneggiata, direi suddivisa in quinte.....Nell’ultimo atto, l’epilogo della tragedia è controfondato da un grande Cellotex color cammello, come un cielo sotto una tempesta di sabbia, attraversato da una via lattea appena un po’ in rilievo: dei supposti merli del castello gettano strisce d’ombra. .... l’epilogo di amore e morte è come acquietato da questa ambientazione....”
Cubo B Cellotex, 1986/1987 Le opere costituiscono il ponte tra la creazione dell’Annottarsi iniziata nel 1985 e terminata nel 1987, e le serie seguenti di Non Ama il Nero del 1988 e dei Grandi Neri, eseguiti fra il 1988 e il 1990, tutti collocati negli ex Seccatoi. I dieci pannelli in mostra a Milano, rientrano a pieno titolo nella poetica dell’Annottarsi. Il titolo da una parte fa riferimento all’unico colore protagonista indiscusso, dall’altro alla polemica silenziosa contro le mode di quegli anni in cui l’apparenza prevale sulla realtà, nella vita quotidiana come nel mondo dell’arte, con il volere dei critici e degli artisti, ad essere sempre aggiornati: se tutti si aggiornano Burri si annotta. Il nero è un colore stupendo, lucente e ricco di variazioni impensabili che l’artista riesce a cogliere. La tinteggiatura nera delle pareti, voluta dal pittore per l’esposizione dei cicli neri negli Ex Seccatoi, viene qui ribadita per il significativo contributo alla lettura delle variazioni del nero, molto più apprezzabili che su una parete tinteggiata di bianco.
Alberto Burri, foto di Aurelio Amendola
Fotografie Numerose immagini fotografiche di noti professionisti del settore, documentano il lavoro e la vita dell’artista. Grande suggestione suscita la sequenza dei dodici scatti di Aurelio Amendola che ritrae Burri mentre “dipinge” la plastica. Lo si intravede sfuocato dietro il “lenzuolo” opaco della plastica, ancora intatta, con la fiamma accesa; quindi mentre la brucia e mentre ferma la combustione, ritraendo il fuoco che ha reso più docile la materia, plasmandola con le mani, fino alla conclusione dell’opera. Dieci scatti ricordano la prima retrospettiva di Burri a Milano, tenutasi nel 1984, a Brera 2. Gabriele Basilico è l’autore di molti dei fotogrammi delle due sedi museali della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri. Le architetture fermate dall’autore in un’atmosfera metafisica trasmettono la solennità dei luoghi. Ancora una foto di Amendola, ritrae Burri davanti al Grande Cretto Nero. L’opera realizzata nel 1977 e collocata nel parco di sculture Franklin D. Murphy Sculpture Garden UCLA dell’Università di Los Angeles, misura cinque metri di altezza
Alberto Burri, foto di Aurelio Amendola
per una lunghezza di quindici, come l’altra, coeva, esposta al museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Non poteva mancare la documentazione dell’unica opera ambientale che l’artista ha realizzato nel 1985 a Gibellina, piccolo centro del Belice distrutto da un sisma nel 1968. Chiamato, come altri artisti per progettare un'opera da donare alla nuova città, ricostruita a 20 chilometri dal sito originale, decide invece di intervenire sui detriti della città vecchia. Stende una sorta di sudario di cemento bianco che ingloba le macerie: crea un Grande Cretto (circa 12 ettari) come nuova immagine della vecchia Gibellina. Coerente con le ultime ricerche di Burri, l’opera ha una dimensione che interviene concretamente nel paesaggio e si fa architettura. Il cretto o crepa, quasi figurazione della terra che ha tremato, diventa il percorso dove rintracciare le vecchie strade, un labirinto della memoria che ripropone la ricostruzione. Le foto di Vittorugo Contino permettono di vivere, virtualmente, l’esperienza di questo luogo della memoria in tutta la sua “grandezza”. Presenti anche momenti della vita privata dell’artista, mentre
spara al piattello con De Kooning e Afro, con i suoi cani da caccia e in compagnia di altri pittori. Manifesti e locandine documentano alcune esposizioni del maestro presso prestigiose sedi in Italia e all’estero. I video proiettati durante la mostra, sono di Giovanni Carandente (1960), Franco Simongini (1969), di Rubino Rubini (1995).
Visite guidate
Per famiglie con bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni Un modo particolare e coinvolgente per far scoprire anche ai più piccoli una grande personalità come quella di Alberto Burri. Visite laboratorio interattive riservate alle famiglie con bambini. 30 Novembre 2008, ore 15:00 21 Dicembre 2008, ore 15:00 25 Gennaio 2008, ore 15:00 Per singoli visitatori Domenica 16 novembre 2008, ore 16:00 Domenica 30 novembre 2008, ore 16:00 Domenica 4 dicembre 2008, ore 16:00 Domenica 4 gennaio 2009, ore 16:00 Domenica 18 gennaio 2009, ore 16:00 Domenica 1 febbraio 2009, ore 16:00 Prenotazione obbligatoria costo 5,00 euro + biglietto di ingresso.
Servizi didattici
In occasione della mostra, Ad Artem, in collaborazione con La Triennale di Milano, ha progettato una serie di proposte didattiche, differenziate in base alle diverse tipologie di utenza. Visita guidata “classica” per le scuole primarie e secondarie e per i gruppi La lettura del percorso creativo di Alberto Burri viene realizzata in modo interattivo, agevolando il coinvolgimento del pubblico per soddisfare le diverse esigenze didattiche e gli interessi specifici di ciascuna tipologia di utenza. Visite laboratorio per scuole primarie e secondarie di primo grado Un viaggio attraverso la grande arte di Alberto Burri. Il percorso prevede un momento propedeutico di laboratorio, a cui seguirà una visita guidata interattiva ad una limitata selezione di opere significative. Visita abbinata Alberto Burri e Triennale Design Museum I nostri esperti sono a disposizione per integrare la visita guidata alla mostra di Alberto Burri con una piacevole passeggiata alla scoperta del Design italiano (prima interpretazione, fino al 18 gennaio 2009: Che Cosa è il Design Italiano?).
Per informazioni e prenotazioni Ad Artem t. 02 6597728 info@adartem.it www.adartem.it
Catalogo Skira Arte moderna / Le mostre Alberto Burri a cura di Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi 2008 28 x 30 cm 240 pagine
Un importante libro dedicato ad Alberto Burri (1915-1995), uno dei massimi protagonisti dell’arte del XX secolo, pubblicato in collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello in occasione della retrospettiva milanese dedicata al maestro. Curato da Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi, il volume presenta l’artista e l’uomo che ha influenzato la cultura del nostro secolo con opere storiche e opere inedite. I capolavori, presenti nella pubblicazione, non si limitano alle più note creazioni degli anni cinquanta, ma testimoniano l’intero svolgimento, nei decenni successivi, dell’opera di Burri e della sua capacità di rinnovamento. Si parte dalla prima attività del pittore: i catrami, le muffe, i gobbi, i sacchi, i legni, i ferri e le combustioni.
168 colori e 49 b/n cartonato ISBN 978-88-6130-877-0 65,00 euro (prezzo in mostra 35,00 euro)
Questi lavori costituiscono la premessa storica alle creazioni degli ultimi vent’anni dell’artista: i primi Cellotex, che risalgono agli anni settanta, sono dipinti interamente, quelli successivi lasciano invece intravedere il supporto che diventa parte integrante dell’opera con il colore stesso del materiale, che contribuisce in maniera determinante alla composizione pittorica. I cicli Architetture con cactus e Neri, opere di notevoli dimensioni, determinano la nascita del “ciclo” nel percorso dell’artista: un insieme di opere inscindibili che danno luogo a un’opera nuova, monumentale, articolata come una sinfonia in più tempi. I Cicli seguenti, della metà degli anni novanta presentano inserti di oro in foglia che risplendono nelle superfici in nero opaco, come nella serie del Nero e Oro del 1993, e, nella serie Cretto Nero e Oro del 1994, evidenziano le crepe scabre dei cretti. A Burri si deve l’apertura radicalmente innovativa a livello internazionale verso l’impiego di materiali extrapittorici la cui influenza ha caratterizzato l’arte fino ai nostri giorni. Il pittore non ha privilegiato nessun materiale rispetto ad altri: le caratteristiche del quadro non dipendono dalle qualità del materiale usato, ma sono da individuare nella forma e nello spazio. Anche il colore è importante per Burri che predilige i colori puri a quelli più naturalistici; il nero, definito dalla critica storiografica “non colore”, è principe in molte delle sue opere. L’artista lavora sui contrasti che può ottenere indifferentemente con i colori dei materiali che impiega o con opportune variazioni di superficie. La pubblicazione indaga inoltre un aspetto poco conosciuto dell’attività di Burri, quella di scenografo: vengono presentati il bozzetto per Spirituals (1963), spettacolo per il quale progetta scene e costumi, prima presenza dell’artista a Milano al Teatro alla Scala, quello per il balletto November steps (1972), prestato dal Teatro dell’opera di Roma, i bozzetti del 1975 per il Tristano e Isotta di Wagner e la relativa documentazione fotografica della realizzazione degli spettacoli. Viene inoltre documentata parte della produzione seriale dell’artista. Burri è stato un grande sperimentatore anche nell’ambito della grafica, come dimostrano i Monotex, assemblaggi di cartoncini realizzati direttamente dall’artista senza la mediazione dello stampatore. Un’ultima sezione presenta le fotografie di Aurelio Amendola, Gabriele Basilico e Vittorugo Contino che offrono un originale ritratto dell’uomo Burri (mentre crea con il fuoco e in alcuni momenti della sua vita privata) e una documentazione dettagliata sui due spazi espositivi della Fondazione Burri creata dall’artista nella sua città natale: Città di Castello.
Alberto Burri Triennale di Milano viale Alemagna 6 11 novembre 2008
In collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini “Collezione Burri” Città di Castello (PG)
8 febbraio 2009
Cura e coordinamento scientifico della mostra e del catalogo Maurizio Calvesi Chiara Sarteanesi Coordinamento organizzativo Francesca Silvestri e Alice d’Amelia, Comediarting, Roma Roberta Sommariva, Settore Iniziative La Triennale di Milano Daniela Moni, Fondazione Burri con la collaborazione di Paola Sapone per i rapporti istituzionali Progetto d’allestimento e grafico Studio Architettura 80 Città di Castello (PG) Coordinamento tecnico Nick Bellora, Ufficio Tecnico La Triennale di Milano Ufficio Stampa Antonella La Seta Catamancio, Damiano Gullì, Marco Martello, Ufficio Stampa La Triennale di Milano Fotografie di Aurelio Amendola Gabriele Basilico Vittorugo Contino Assistenza condition report, ospitalità Michela Cairo Realizzazione allestimento Way, Rho Realizzazione impianto d’illuminazione Marzoratimpianti, Novedrate Corpi illuminanti iGuzzini, Recanati Arredi Zanotta, Nova Milanese
Assicurazioni Lloyd’s tramite Progress Insurance Broker, Roma Trasporti Arteria, Firenze Servizi tecnici Koiné, Milano La Triennale di Milano e i curatori desiderano esprimere un ringraziamento particolare, per la preziosa collaborazione, a: Francesca Amendola, Archivio Afro, Freddy Battino (Galleria Blu), Alda Maria Bencini, Dino Belletti, Rossella Benedetti, Laura Botteri, Carlo Cambi, Marinella Caputo, Francesca Cattoi, Claudia e Giovanna Dwek, Mara Di Freda, Fondazione Fontana, Augusto Frachey, Renzo Gamucci, Wanda Galtrucco, Laura Feliciotti, Danka Giacon, Ezio Gribaudo, Stéphane Lissner, Alessandra Malusardi, Maria Vittoria Marini Clarelli, Marino Marini, Cristina Martinelli, Lucia Matino, Franca Mazzoli, Antonio Natali, Luca Palazzoli, Marina Pugliese, Iolanda Ratti, Francesco Reggiani, Corrado Rosini, Antonio e Aika Sapone, Margherita Sigillò, Giuseppe Simoni, Maria Fatima Terzo, Gaia Toninelli, Barbara Tomassi. e alle seguenti istituzioni: - Civiche Raccolte d’Arte, Museo del Novecento, Milano - Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM), Roma - Fondazione Teatro alla Scala di Milano, Archivio Bozzetti e Figurini del Teatro alla Scala, Archivio Fotografico del Teatro - Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, Archivio Storico - Collezione Intesa Sanpaolo, Torino
Fondazione La Triennale di Milano Consiglio d'Amministrazione Davide Rampello Presidente Gianluca Bocchi Mario Boselli Paolo Caputo Silvia Corinaldi Rusconi Clerici Maria Antonietta Crippa Arturo Dell’Acqua Bellavitis Carla Di Francesco Carlo Edoardo Valli Collegio dei Revisori dei conti Salvatore Percuoco Presidente Maria Rosa Festari Andrea Vestita Direttore Generale Andrea Cancellato Comitato scientifico Silvana Annicchiarico design, moda Aldo Bonomi industria, artigianato, società Fausto Colombo arti decorative e visive, nuovi media, comunicazione e tecnologia Fulvio Irace architettura e territorio Settore Affari Generali Annunciata Marinella Alberghina Elena Cecchi Franco Romeo Settore Biblioteca, Documentazione, Archivio Tommaso Tofanetti Michela Benelli Elisa Brivio Claudia Di Martino Cristina Perillo Elvia Redaelli Settore Iniziative Laura Agnesi Roberta Sommariva Carla Morogallo Violante Spinelli Barrile Michela Cairo Ufficio Servizi Tecnici Pierantonio Ramaioli Franco Olivucci Alessandro Cammarata Xhezair Pulaj
Ufficio Servizi Amministrativi Giuseppina Di Vito Paola Monti Ufficio Stampa Antonella La Seta Catamancio Damiano Gullì Marco Martello
Triennale di Milano Servizi Srl Consiglio d'Amministrazione Silvia Corinaldi Rusconi Clerici Presidente Mario Boselli Andrea Cancellato Consigliere Delegato Collegio dei Revisori dei conti Francesco Perli Presidente Domenico Salerno Maurizio Scazzina Ufficio Iniziative Maria Eugenia Notarbartolo Ufficio Servizi Tecnici Marina Gerosa Nick Bellora Ufficio Servizi Amministrativi Anna Maria D’Ignoti Isabella Micieli Ufficio Marketing e Comunicazione Laura Benelli Valentina Barzaghi Maria Chiara Piccioli Olivia Ponzanelli
Triennale Design Museum Direttore Silvana Annicchiarico Curatore Scientifico Andrea Branzi Politecnico di Milano Assistenza all’organizzazione generale, ricerche storiche e iconografiche Giorgio Galleani Roberto Giusti Immagine coordinata istituzionale Studio Cerri & Associati Web designer Cristina Chiappini Restauratrice Roberta Verteramo Logistica Giuseppe Utano
Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri Città di Castello, Perugia Consiglio di Amministrazione Maurizio Calvesi Presidente Bruno Corà Silvia Danesi Squarzina Giuseppe Fortuni Carlo Fuscagni Michele Gambuli Fabio Nisi Francesco Petruzzi Corrado Rosini Tiziano Sarteanesi Italo Tomassoni Stefano Vescovi Presidente Onorario Nemo Sarteanesi Segretario Generale Daniela Moni Collegio dei Revisori dei conti Paolo Sambuchi – Presidente Massimo Duranti Antonio Rossi Comitato Esecutivo Maurizio Calvesi Bruno Corà Corrado Rosini Conservatore e curatore delle collezioni Chiara Sarteanesi Archivio e documenti informatici Nicola Cavargini Servizi Tecnici e allestimenti Studio Architettura 80
Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri Via Albizzini, 1
La Fondazione Palazzo Albizzini - Collezione Burri a Città di Castello, nasce nel 1978 su iniziativa dello stesso Alberto Burri con una prima donazione di 32 opere, successivamente arricchita e ampliata. Oggi, con 257 opere, è l’unica completa raccolta delle opere più significative dell’artista. Alberto Burri concepì l’allestimento degli spazi della Fondazione quasi come un “unicum” artistico cui lavorerà per decenni, realizzando nella doppia sede di Palazzo Albizzini e degli ex Seccatoi del Tabacco la sintesi poetica della propria ricerca artistica.
Città di Castello 06012 Perugia Tel e Fax 075 855.46.49 Tel 075 855.98.48 info@fondazioneburri.org www.fondazioneburri.org
Alberto Burri, tra i massimi protagonisti dell’arte italiana e internazionale, fu abile osservatore critico e intellettuale poliedrico, capace di cogliere con puntualità lo spirito del tempo e di fare dell’arte una metafora della società in continua trasformazione. Nel corso della sua vita, l’artista ha condotto una continua ricerca, indagando a fondo la materia per rinvenire in essa le tracce di bellezza che oppongono dialetticamente il momento costruttivo dell’arte a quello “distruttivo” del tempo. La Collezione di Palazzo Albizzini è stata aperta al pubblico nel dicembre 1981 e ospita circa 130 opere riferite a un arco temporale che va dal 1948 al 1989, ordinate dallo stesso artista cronologicamente in venti sale. Qui sono esposte le opere più note come Catrami, Muffe, Gobbi, Sacchi, Legni, Ferri, Combustioni, Cretti, e Cellotex, oltre ai bozzetti per scenografie ed alcuni esempi della produzione grafica di Alberto Burri. La Collezione degli Ex Seccatoi, inaugurata nel luglio 1990, comprende invece una selezione di 128 opere dal 1970 al 1993 ed è la raccolta più esaustiva sull'artista, con opere di altissima qualità, selezionate e collocate dal pittore stesso. In questa sede trovano spazio i Cicli, nati alla fine degli anni settanta come opere unitarie e inscindibili, creati per spazi particolari, selezionati da Burri fra i tanti proposti. A partire dalla metà degli anni settanta infatti le partecipazioni dell'artista a mostre collettive si fanno sempre più rare e per le personali Burri adotta il metodo di individuare prima gli spazi, per poi realizzare le opere che di quello spazio hanno necessità. In occasione della retrospettiva che la Triennale di Milano dedica al grande artista italiano, la Fondazione Palazzo Albizzini – Collezione Burri di Città di Castello (Perugia) promuove una serie di iniziative (dall’ingresso ridotto per coloro che si presenteranno muniti del biglietto d’ingresso alla mostra in Triennale a speciali visite guidate su prenotazione), volte a sottolineare il legame che unisce in ideale percorso l’esposizione milanese agli spazi espositivi della Fondazione, voluta e realizzata nella sua città natale dallo stesso Burri. Un’occasione unica per scoprire e comprendere uno dei massimi protagonisti della scena artistica internazionale.
Mostre e appuntamenti 2008 - 2009 Muba (Museo del Bambino) Il Mercato delle Storie 20 novembre ’08 – 5 aprile ’09
Prima interpretazione Che Cosa è il Design Italiano? Fino al 18 gennaio ’09
Guido Crepax Valentina, la forma del tempo fino al 1 febbraio ’09
Tomás Maldonado febbraio – aprile ’09
Seconda interpretazione Serie e fuori serie Dal 12 marzo ’09
Hsiao Chin febbraio – aprile ’09
Toko Shinoda 11 marzo – 5 aprile ’09 Triennale Architettura maggio – settembre ’09 Appuntamenti Workshop Il sistema dell’arte contemporanea a Milano Voci a confronto 16 dicembre ’08, dalle 15.00 In collaborazione con la Camera di Commercio di Milano nell’ambito della promozione dell’arte contemporanea sull’asse Milano – Torino.
Mostre Triennale Design Museum Le ceramiche di Ugo La Pietra Triennale DesignCafé 11 novembre - 14 dicembre’08
Mayo Bovisa maggio ’09 Woodstock giugno – settembre ’09 Antoni Tàpies settembre – novembre ’09
Dritto-Rovescio febbraio – aprile ’09 Appuntamenti Triennale Design Museum videoAgorà Tutti i giovedì alle ore 19.00 Achille Castiglioni Lezioni di design 30 ottobre ’08 Il rapporto forma/funzione 6 novembre ’08 Il componente principale di progettazione 13 novembre ’08 La comunicazione nella ricerca di produzione 20 novembre ’08 Il progetto effimero 27 novembre ’08 Achille Castiglioni Designer
Dal 4 dicembre La Triennale di Milano sarà aperta tutti i giovedì fino alle 23.00. Inoltre dalle 19.00 aperitivo+visita alle mostre o al Triennale Design Museum 10 euro
Triennale di Milano
Triennale Design Museum
Triennale Bovisa
Viale Alemagna 6
Viale Alemagna 6
Viale R. Lambruschini 31
T 02 724341
T 02 724341
T 02 36577801
triennale.it
triennaledesignmuseum.it
triennalebovisa.it
martedì - domenica 10.30 - 20.30
martedì - domenica 10.30 - 20.30
martedì - domenica 11.00 - 23.00
giovedì 10.30 - 23.00
giovedì 10.30 - 23.00