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MENSILE DI INFORMAZIONE NON CONVENZIONALE

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2016 SETTEMBRE

Aspettando

Santa Rosa

numero speciale

in collaborazione con 4. La Santa / 6. I miracoli / 8. Le suore / 12. Il trasporto / 14. Il 3 settembre / 17. La sicurezza 18. I facchini / 22. La macchina / 25. L’ideatore / 28. La “macchinite” / 31. Minimacchine 32. Curiosità / 35. La prima volta / 36. L’ultima intervista di Nello Celestini / 38. La fiaccola



editoriale

numero speciale Aspettando Santa Rosa

in collaborazione con LaFune Le immagini di questo numero, tranne dove diversamente indicato e ad eccezione delle foto storiche, sono state cortesemente fornite da Bruno Pagnanelli.

Benvenuti nell’emozione DECARTA Mensile di informazione non convenzionale Numero 26 – Settembre 2016 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Gabriele Ludovici, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Hanno collaborato Simone Carletti, Roberto Pomi www.lafune.eu Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via Monti Cimini, 35 - 01100 VITERBO Tel. 340 7795232 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA

ari viterbesi, gentili turisti, questo numero speciale dedicato a Santa Rosa è per dire che l’emozione ancora esiste. È viva in questa antica città, rimaneggiata nei secoli da quel crocevia di destini che chiamiamo per comodità storia. Batte nei cuori e cammina sulle gambe di tanti, forse quasi tutti, gli abitanti di questo luogo.

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Trova carne in cui manifestarsi e spalle forti su cui poggiarsi. Sono quelle dei facchini, i cavalieri di Santa Rosa. Benvenuti tutti dentro una tradizione secolare, quella del Trasporto; nel miracolo della devozione per una santa bambina a cui ogni anno si rivolgono tanti fedeli per chiedere sostegno e grazie e forza per affrontare le prove della vita. Quanto andrete a leggere è frutto di un lavoro giornalistico che ci ha portato all’interno di posti carichi di fascino e suggestioni: dal monastero delle alcantarine “all’uovo” dove è nata Gloria. Abbiamo incontrato i protagonisti della festa, letto tanto su quanto avveniva nel passato e costruito schemi informativi per permettere a tutti di comprendere e quindi godere al meglio di questi giorni. ingraziamo in primis il presidente del Sodalizio dei facchini Massimo Mecarini con cui abbiamo condiviso l’idea progettuale. Ringraziamo quindi il Sodalizio tutto, importante depositario della tradizione del Trasporto che quest’anno regalerà uno sforzo in più, l’allungo su via Marconi, per onorare al meglio il Giubileo. Grazie al Comune di Viterbo che ha inteso patrocinare l’iniziativa e a Fondazione Carivit per il sostegno. Un tributo a Mauro Galeotti per i tanti libri che ha scritto su Santa Rosa, preziosa fonte storica. Grazie a Bruno Pagnanelli per le foto di Gloria e a tutti gli sponsor che hanno partecipato a questo sforzo, importante per rinnovare e diffondere un sentimento che è patrimonio dell’Umanità.

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Decarta / La Fune

Pubblicità 340 7795232 Immagine di copertina Bruno Pagnanelli

Con i patrocinio di

Con il sostegno di

I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 22/08/2016 www.decarta.it

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Città di Viterbo

Sodalizio Facchini di Santa Rosa

Fondazione Carivit

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la santa

foto © Sergio Galeotti

santa rosa

L’amore di una città per Rosa Quest’anno il trasporto è arricchito dal Giubileo dei Facchini.

n patto d’amore che ogni anno si rinnova tra la città di Viterbo e la sua patrona. Un dedalo denso di ritualità, che per questo 2016, in occasione del Giubileo della Misericordia, assume anche i caratteri della straordinarietà. Uno dei momenti più significativi dei festeggiamenti è sicuramente rappresentato dalla processione del corpo incorrotto di Santa Rosa.

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Portata a spalla dai suoi cavalieri la Santa attraversa le vie del centro storico per arrivare al Duomo. La data scelta e che entra a pieno titolo nella storia dei festeggiamenti patronali è mercoledì 31 agosto. Alle ore 21 l’uscita dalla basilica, destinazione piazza San Lorenzo. La proposta di portare in processione il sacro corpo è stata lanciata, alcuni mesi fa, dal presidente del Sodalizio Massimo Mecarini. Subito abbracciata dalla Curia l’iniziativa è diventata uno dei momenti centrali delle celebrazioni viterbesi per il Giubileo straordinario della Misericordia. Per organizzare al meglio il tutto si è costituito un comitato, formato da Diocesi, Sodalizio e Monastero di Santa Rosa. Dall’ultimo giorno di agosto e 4

fino al 2 settembre (giorno della tradizionale processione del cuore accompagnata dal corteo storico) il fatto straordinario di poter visitare il corpo all’interno del Duomo. Ma c’è di più. Dal momento in cui il corpo di Rosa varca la porta santa della Cattedrale si apre il Giubileo dei Facchini. Un momento centrale che dà ai viterbesi la possibilità di accogliere, andando in visita, il dono dell’indulgenza giubilare con la presenza della santa. In sostanza oltre alla consueta processione con il corteo storico del 2 settembre si aggiunge quella in notturna del 31. E in maniera straordinaria sarà portato a spalla il sacro corpo. Per il 31 è stata organizzata una grande preghiera in duomo. Con il corpo di Rosa al centro i sacerdoti della diocesi si sono resi disponibili alla confessione fino a necessità. Infatti sono state coinvolte tutte le realtà parrocchiali del territorio. Per onorare al meglio il giubileo dei facchini il Sodalizio ha anche organizzato una colletta alimentare fuori la ex chiesa della Pace nei giorni della prova di portata. Santa Rosa, figura della misericordia cristiana, diventa così uno dei simboli centrali del Giubileo vissuto nel capoluogo della Tuscia.

Chi è Santa Rosa Rosa nacque a Viterbo nel 1233 da Giovanni e Caterina; desiderava entrare nelle Clarisse, che la respinsero a causa della sua salute precaria. Dopo una guarigione miracolosa entrò nel terz’ordine francescano. Predicò accanitamente contro i catari, aizzati da Federico II contro il Papa, e prese una forte posizione in difesa del pontefice nella lotta fra guelfi e ghibelini. Fu mandata in esilio con la sua famiglia per ordine del podestà di Viterbo e si rifugiò prima a Soriano nel Cimino, poi a Vitorchiano. In un’occasione rimase miracolosamente incolume tra le fiamme. Predisse la morte dell’imperatore Federico II e quando questa avvenne, tornò a Viterbo. Morì il 6 marzo del 1251. Il processo di canonizzazione iniziò l’anno stesso della morte e fu poi ripreso nel 1457, ma non portato a termine, sotto papa Callisto II. A tutt’oggi la canonizzazione non è ancora avvenuta, si cerca di finalizzarla entro il pontificato di papa Francesco.

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Il sacro corpo

La solennità del corteo del 2 settembre

l corpo di Rosa, che era stato sepolto nella nuda terra e senza la protezione di una bara, fu ritrovato integro nel 1258. In quell’anno venne traslato, per ordine di papa Alessandro IV, dalla chiesa di Santa Maria in Poggio (della “Crocetta”) alla chiesa del monastero di San Damiano, oggi santuario intitolato alla patrona.

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utti gli anni l’appuntamento che segna la porta d’ingresso al clima della festa per Santa Rosa è rappresentato dalla processione del 2 settembre, accompagnata dal suggestivo corteo storico. La partenza è fissata alle 17,30 dal santuario intitolato alla patrona, con circa 300 figuranti. Gli abiti, curati nei minimi dettagli, ricoprono l’arco temporale che va dal Medioevo al Rinascimento. Sfilano per le vie del centro storico rievocazioni di cariche civili, militari ed ecclesiastiche importanti nella vita del Comune.

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La devozione dei viterbesi e non solo si è concretizzata con la tradizione della visita al sacro corpo. Nel corso degli anni non vennero mai prese particolari precauzioni per la sua conservazione. Anzi, durante il Rinascimento era permesso ai fedeli di toccare la santa attraverso una piccola apertura praticata sull’urna. Nel 1921, con la prima ricognizione, venne estratto il cuore ancora integro. Riposto poi in un reliquiario. Nel 1996 una nuova ricognizione ha permesso di effettuare una serie di indagini scientifiche, dalle quali è emerso che Rosa aveva un’età compresa tra i 18 e i 20 anni al momento del decesso. Inoltre era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che normalmente porta a morte durante la primissima infanzia.

Sul braccio sinistro è stata rilevata una cicatrice, compatibile con una ferita che le fonti storiche riferiscono Rosa abbia subito durante l’assedio delle truppe di Federico II alla città di Viterbo nel 1243. Santa Rosa inoltre doveva avere un’altezza di circa 1,55 metri, occhi blu e capelli scuri. Questi dati e quelli tratti dalle radiografie del cranio, hanno permesso di effettuare una ricostruzione grafica del volto.

Parte rilevante della sfilata sono i “boccioli di Santa Rosa”, bambine che rappresentano il legame profondo tra i Viterbesi e la santa bambina. Ci sono poi gruppi di ragazze, chiamate “rosine”, vestite con il classico saio grigio e viola delle suore clarisse. Portano ceste di rose e candele da donare alla patrona. Sono queste figure che separano i quadri temporali in cui è articolato il corteo. Ruolo centrale è quello rivestito dai facchini, che porteranno quest’anno a spalla il corpo.

Il vestito di Santa Rosa e i suoi cambiamenti nei secoli a prima testimonianza descrittiva sull'abito della patrona risale alla metà del 1300. Era di colore cremisi, una tonalità di rosso luminosa e chiara che, contenendo alcune componenti di blu, tende lievemente al porpora.

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Altre testimonianze della metà del ’400 raccontano di un abito di velluto cremisi, ricamato a fiorami in oro circonfuso da mezza libra di perle e gemme. Si parla anche di altri vestiti posseduti dalla santa che venivano cambiati a seconda delle circostanze: uno di velluto fiorato e un altro ancora di broccato alexandrino. Gli abiti di questo periodo vengono archiviati nel ’600, perché considerati troppo pomposi. È il 18 settembre del 1615 quando, per volere del vescovo di Viterbo Tiberio Muri, si arriva a una veste più semplice. Viene scelto l’abito francescano e la santa viene vestita con una tonaca di lana di color grigio scuro e un cordone alla vita. In pratica venne ripreso l’abito in uso tra le terziarie di San Francesco. In quell’occasione venne anche posto il velo bianco. Il 13 ottobre 1658, per ordine del vescovo di Vi-

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terbo, il cardinale Francesco Maria Brancaccio, fu messo sul capo della santa il velo nero. Il corpo rimase esposto per vari giorni e venne permesso ai fedeli di toccarlo. Nel 1697 il vestito fu cambiato in occasione della nuova urna, poi nel 1750 sostituito di nuovo. Il 2 novembre 1760, alla presenza di monsignor Egidio Mengarelli, Santa Rosa fu vestita da capo a piedi. Il colore della tunica mutò in nero, come quello delle Clarisse. In pratica le suore conformarono l’abito della patrona al loro. Quindi prima della ricognizione del 1921 la santa vestiva una tonaca monacale nera, con al collo un velo bianco e in testa la corona delle vergini. Fu poi vestita di color cenerino e al posto della corona fu posta un’aureola in metallo. Nell’ottobre 1946 fu mutato l’abito in seta con un altro di medesimo colore. L’ultima vestizione è del 13 febbraio 1990. Con la veste usata vennero confezionate le reliquie per i fedeli, autenticate con sigillo del Monastero, come avveniva negli anni passati. In quell’occasione monsignor Fiorino Tagliaferri ha presieduto la cerimonia della ricognizione del corpo di santa Rosa, nonché la pulitura della cassa e dei vetri.

Itinerario del Corteo Partenza alle ore 17,30 dal santuario di Santa Rosa. Prosegue poi su via Santa Rosa, corso Italia, via Saffi, piazza Fontana Grande, via delle Fabbriche, via S. Pietro, via S. Pellegrino, via C. La Fontaine, via S. Lorenzo, piazza S. Lorenzo (Duomo). Ritorno: piazza San Lorenzo (Duomo), via S. Lorenzo, via C. La Fontaine, via Annio, via Cavour, piazza del Plebiscito, via Ascenzi, piazza del Sacrario, via Marconi, via Santa Rosa, Santuario (arrivo). 5


santa rosa

i miracoli

La “brocca risanata” e il “pane trasformato in rose”, i più noti miracoli della Santa Pericolo di crollo del campanile Nella prima metà del Trecento, il vecchio campanile del monastero di Santa Rosa rischia di crollare. Nessuno se ne accorge. Rosa appare in sogno a una monaca, mentre sorregge il campanile pericolante.

Il pane in rose Rosa mette da parte qualche pezzo di pane risparmiandolo dal suo cibo quotidiano per donarlo ai poveri. Il padre Giovanni, preoccupato per la salute della figlia denutrita, la ferma sulla porta di casa e le chiede di aprire il grembiule nel quale aveva nascosto il pane per i bisognosi. Al posto del cibo compaiono delle freschissime rose rosse.

Incendio dell’urna Nel 1357 una candela caduta in terra provoca un violento incendio che brucia l’urna della santa. Le suore accorrono in ritardo e, spento l’incendio, pensano che il corpo sia ormai ridotto in cenere. Rosa è intatta nonostante gli ori e gli argenti che ornano l’urna si siano liquefatti.

La brocca risanata Rosa è alla fonte di Santa Maria in Poggio per attingere l’acqua quando a una bambina cade la brocca, che va in frantumi. Sperando di non ricevere la punizione dei genitori la fanciulla incolpa Rosa di averla fatta cadere. Questa raccoglie i cocci, ricompone la brocca e la dà, intera, alla bambina bugiarda. La gallina rubata Alla mamma di Rosa viene rubata una gallina. La bambina individua la colpevole, chiede la restituzione, ma riceve solo ingiurie. Rosa si allontana, ma subito si ode un grido: sulla guancia della ladra sono spuntate delle penne. Restituita la gallina le penne scompaiono. Apparizione della Madonna Rosa è gravemente malata e tutti temono per la sua vita. Ma un giorno davanti al suo letto appare la Madonna che le dice di vestire l’abito del Terzo Ordine francescano e di diffondere la parola di Gesù. Rosa guarisce. Apparizione di Gesù Rosa fissa intensamente il crocifisso che, piano piano, si anima. Gesù è vivo sulla croce e parla alla fanciulla. Da qul momento Rosa predica con maggiore forza. Rosa predica su una pietra che si solleva Non essendo visibile da tutto il popolo per la piccola statura, Rosa, durante una delle sue prediche, sale su un masso che si solleva da terra e resta così fino alla fine della predica. Castigo a un eretico A Viterbo, durante una sua predica, un eretico per schernirla, facendo finta di non vederla, la urta violentemente. Rosa gli predice che di lì a tre giorni sul suo corpo apparirà un segno. Al terzo giorno all’eretico cadono tutti i peli dalla testa fino ai piedi. Protegge Viterbo L’esercito di Federico II tenta di conquistare le mura della città. Rosa protegge i viterbesi (1243). 6

Ridà la vista a un cieco Andrea è cieco da molto tempo. Durante una delle prediche di Rosa le si pone dinanzi per implorarle la restituzione della vista. Rosa gli fa fare il segno della croce e i suoi occhi tornano a vedere. A Soriano le appare un angelo Nel 1250 Rosa è in esilio a Soriano. Un angelo predice la morte di Federico II. La cieca guarita A Vitorchiano, Delicata, una bambina cieca dalla nascita, viene condotta dinanzi a Rosa. Lei tocca con le dita gli occhi della fanciulla e traccia il segno della croce dicendo: “Delicata, in nome di Dio, apri gli occhi”. La bambina vede per la prima volta. Predizione dell’accesso al monastero delle Clarisse dopo la morte Rosa chiede alla suore di entrare nel loro monastero. Queste non l’accettano perché troppo numerose. Rosa predice loro che vi entrerà comunque dopo morta. Il suo copro viene sepolto proprio all’interno del monastero. Appare a papa Alessandro IV Rosa, defunta, appare in sogno al papa chiedendogli di essere seppellita nel monastero di San Damiano. Il 4 settembre 1258 il suo santo corpo, incorrotto e molle, vi viene trasferito. Una rosa indica la sepoltura Qualche mese prima Alessandro IV si era recato nella chiesa di Santa Maria in Poggio, dove è sepolta Rosa. Sul pavimento spunta una rosa rossa per indicare il punto dove riposa la santa.

Il morto resuscitato Nel 1419 Menico Di Marco muore a Viterbo. Fedele alla santa, la moglie Covella si reca davanti alla sua urna per invocare la grazia. Promette che farà dipingere il miracolo sulla cassa che chiude il suo corpo. Tornata a casa trova il marito vivo. Attentato al corpo di santa Rosa Nel 1451 Rosa appare in sogno a due suore e rivela che “due vermi le rodono la spalla destra”. Le monache decidono di verificare subito la veridicità del sogno ma, scoperta la spalla di Rosa, nessun verme appare. Entrando in chiesa, il giorno dopo, vedono che la parte destra della ferrata che protegge il corpo della santa è stata limata. Il naufrago salvato In viaggio verso la Spagna, un marinaio polacco, Giovanni Discreconiowski, si imbatte in una tempesta. La nave affonda e solo Giovanni, raccomandatosi a santa Rosa, si salva. Il 16 novembre del 1455 si reca davanti alla sua urna per renderle omaggio. I francesi a Viterbo Il 27 novembre del 1798 i francesi, al comando del generale Kellerman, muovono l’attacco a Viterbo da Porta Romana. Santa Rosa protegge la città e per ringraziarla i viterbesi portano al suo santuario le palle di cannone e le bombe inesplose. Tolta un’unghia dalla mano di Rosa subito rinasce Un tedesco visita l’urna in cui riposa Rosa e, volendo portare con sé una reliquia, prega una monaca di donargli un’unghia. Alla suora, che si rifiuta, offre delle monete d’oro. La religiosa taglia una delle unghie della mano destra. Il dito tagliato comincia a sanguinare e la monaca, disperata, chiede perdono alla santa. L’unghia ricresce e torna come prima. Da allora l’urna fu dotata di due chiavi. Una in possesso della badessa e l’altra della suora più anziana.

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santa rosa

le suore

Il monastero delle Alcantarine; suor Francesca: “È un luogo di grande grazia” Foto di Manuel Gabrielli

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n sacchetto bianco, la scritta Santa Rosa in rosso e dentro un cuore di lavanda. Sacchettini con l’icona della patrona che contengono petali di rose raccolti nel chiostro del monastero. Tra una preghiera e l’altra prende forma l’abbraccio delle suore francescane alcantarine alla città di Viterbo. È la prima festa di settembre per loro, arrivate al monastero da pochi mesi. Nel periodo di Natale. Suor Francesca Pizzaia, superiora, apre il portone in un ventoso pomeriggio di agosto. Ci accoglie intorno a un tavolo e rispondendo alle domande racconta il suo essere qui, con le altre sorelle, per mettersi al servizio. Qui con quella “santa-bambina” di cui è chiamata a custodire il corpo, che sta imparando a conoscere e che già le ha conquistato il sorriso. 8

“È un luogo di grande grazia”, così in una manciata di parole dice già molto. Con entusiasmo guida verso i lavori portati a termine nel corridoio d’accesso all’urna, mostra il coro, luogo di preghiera e ci fa dono dei sacchettini di lavanda e rose. Poi spiega: “Quest’anno si aggiungeranno alla tradizionale rosa che chi viene a fare visita a Santa Rosa potrà portare a casa. Perché le tradizioni non si cancellano e vanno portate avanti, ma ci sembrava un bel gesto fare anche qualcosa di nostro per l’occasione”, racconta. La sensazione è quella di essere a casa e fare del monastero una casa per i viterbesi, dove incontrarsi e condividere pezzi di cammino, è un qualcosa che già sta nei sogni di queste francescane di vita attiva, belle energiche e pronte a esserci, a spendersi.

Come vi state preparando a questa festa del tre settembre? “La festa inizia il 24 agosto, perché ogni festa che si rispetti ha bisogno di preparazione spirituale per essere vissuta a pieno. Così sono state previste una serie di celebrazioni eucaristiche in vari orari del giorno. Siamo chiamate a occuparci anche del corpo della santa e l’urna rimarrà aperta tutta la giornata proprio a partire da mercoledì 24, per permettere ai fedeli di visitare Rosa. In questo anno della Misericordia è prevista la processione con il corpo, celebreremo anche il Giubileo dei Facchini e per l’occasione, stiamo lavorando anche a questo importante evento insieme alla Curia e al Sodalizio dei facchini. Intorno al monastero ci sono tanti carissimi collaboratori”. E che emozione state vivendo? “Grande desiderio di vivere questo peDECARTA SETTEMBRE 2016


a congregazione delle suore francescane Alcantarine venne fondata a Castellammare di Stabia il 19 giugno del 1869 dal sacerdote italiano Vincenzo Gargiulo (1834-1895) insieme alla terziaria francescana Maria Luigia Russo (1830-1891), in religione suor Maria Agnese dell’Immacolata. Le prime sei aspiranti iniziarono a condurre vita comune il 17 settembre del 1870: il 14 settembre 1874 l’istituto venne aggregato all’Ordine dei frati minori alcantarini e, dopo l’approvazione diocesana ottenuta dal vescovo Francesco Saverio Petagna (17 ottobre 1874), ci fu la vestizione delle prime dodici suore. La congregazione ottenne il riconoscimento di istituzione di diritto pontificio con il decreto di lode del 10 settembre 1894 e venne approvata definitivamente dalla Santa Sede il 14 gennaio 1903. Lo scopo iniziale delle suore francescane alcantarine era l’istruzione delle fanciulle povere, specialmente delle orfane. Oggi all’attività educativa uniscono la catechesi, le opere parrocchiali, l’animazione di strada; operano anche all’interno di centri d’ascolto, case famiglia e centri diurni. Sono presenti anche in Albania, Brasile, Ciad, Nicaragua e Spagna. La sede generalizia dell’Istituto è presso la fraternità Stella Matutina di Roma. Dal dicembre 2015 sono subentrate all’ordine delle Clarisse nella gestione del monastero di Santa Rosa.

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riodo importantissimo per i viterbesi. Il nostro impegno è contribuire per dare a tutti la possibilità di vivere al meglio il momento, vogliamo che Cristo attraverso Santa Rosa entri nel cuore delle persone. Per fare questo seguiremo l’esempio di Rosa: lei si è fidata di Dio, si è messa in cammino, ha parlato di pace, ha incarnato la Parola. Per tutta la città anche questa è l’occasione per chiedere di essere uomini e donne di pace in questo anno giubilare della Misericordia, e Santa Rosa farà da ponte con il Cielo”. Dove sarete la sera del tre settembre? “Qui al monastero e saranno con noi cinque anche tante altre suore alcantarine. Aspetteremo la Macchina dal portone che dà sulla salita e quella notte terremo la chiesa aperta. Così come tutte le sere a venire fino allo smontaggio della DECARTA SETTEMBRE 2016

Macchina. Abbiamo pensato possa essere una bella cosa per i facchini che, arrivati al sagrato, possono così entrare a fare una preghiera ma anche per tutti gli altri: viterbesi e turisti. Vista la bellezza del Trasporto riteniamo sia importante andare alla fonte, entrare in Chiesa e sostare davanti a Colei che la Macchina rappresenta, ma soprattutto rendere grazie a Dio, datore di ogni bene”. Come è la vita all’interno del monastero? “Siamo ancora in fase di assestamento e sistemazione dei luoghi in base alle nostre esigenze. Le giornate sono scandite dalle preghiere e dal lavoro, ognuno ha le proprie mansioni. C’è chi sistema la chiesa, chi accoglie i pellegrini e molto altro. Il nostro desiderio è che il monastero possa essere un faro, così come lo è Santa Rosa”.

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santa rosa

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Costruite pensando al futuro, cosa c’è nel vostro? “Nel presente c’è l’orgoglio di avere messo sul mercato case di qualità sotto tutti i punti di vista e di avere rilevato un grado di soddisfazione del cliente molto alto. Questo ci ha premiato nelle vendite. Abbiamo venduto tutti gli appartamenti del Murialdo e rimangono a disposizione solo alcuni attici in via Polidori, che è ancora in costruzione. A ottobre apriremo un nuovo cantiere, ancora più innovativo e con la nostra filosofia a fare da fondamenta. Non sveliamo ancora dove”. 11


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il trasporto

Tutti quanti stasera vedrete una festa di grande importanza Ogni anno una sera a settembre una Rosa si porta a girar Nella notte nel cielo s’innalza e la gente la guarda stupita Sembra proprio volare sui tetti lassù tra le stelle e gli angeli blu

e prime parole di Quella sera del tre – inno dei facchini di Santa Rosa scritto da Lorenzo Celestini, figlio del padre del Sodalizio e capofacchino storico Nello – dicono tutto. Il Trasporto non è altro che questo, semplicemente un gesto d’amore. E come tutti i gesti d’amore ha volti, nomi, ritualità, storie che si accavallano e rafforzano insieme e brividi che corrono sulla pelle. Solo che “quella sera del tre” il brivido attraversa un’intera città, le sue vie strette, le piazze dove rimbomba lo stupore, l’entusiasmo, il senso di essere dentro a qualcosa che segna un territorio e la vita di tutti quelli che hanno inteso portarsi lì, per spalancare i propri occhi a un bello talmente grande da conquistare il titolo di Patrimonio dell’Umanità.

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È il tre settembre a Viterbo, bellezza! La notte del “Siamo tutti d’un sentimento”, del “Facchini dateje!”, del “Sollevate e fermi! Fermi!”. La sera dei bambini piccoli che guardano sulle spalle dei padri la Macchina sfilare. La notte dei nonni e delle nonne che raccontano cose accadute dieci, venti, cinquanta anni fa. Sempre in questo giorno, il tre settembre, e che domani ti compreranno un regalo alla fiera. Quella delle madri che hanno da poco vestito il proprio figlio che si è messo in testa di fare il cavaliere di Rosa e ora è facchino. Che è là sotto, che spinge, che fatica, che stringe i denti e ride con gli altri vestiti di bianco e di rosso. Quella madre che ti aspetta per abbracciarti sul sagrato della basilica, in cima alla salita e che, puoi giurarci, ha nella borsa un maglioncino da metterti sulle spalle sudate. Mille e duecento metri, che poi in questo 2016 diventano molti di più. C’è infatti “l’allungo” su via Marconi di altri 700, per scrivere nella storia che è l’Anno Santo e i santissimi facchini ci hanno voluto mettere un pezzetto di cuore in aggiunta. Per il Papa, per Rosa, per Viterbo. 113 uomini a fare da motore di una tradizione che è da tutti percepita come una “roba grossa”, che “spancia” e arriva a toccare la quotidianità di ognuno. A Viterbo è usanza spostare ogni ragionamento “a dopo Santa Rosa”. Provate a chiedere per credere. 12

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lle 21 “la mossa”, il primo “Sollevate e fermi!”. Per arrivarci occorre rispettare un protocollo di ritualità e gesti. Solo una volta che tutto è stato fatto come da tradizione il capofacchino apre le danze e compone la Macchina. I facchini di maggiore esperienza si posizionano sotto la base, disposti in sette file di nove uomini ciascuna. Il totale fa 63 elementi. Si chiamano ciuffi, dal copricapo in cuoio imbottito che indossano a protezione della parte cervicale. Ai lati, lungo i due sostegni sporgenti integrati nel telaio della base, si dispongono due file di otto spallette, che sostengono la Macchina appoggiandola su una spalla. All’esterno di queste entrano in formazione, quando i tratti più larghi del percorso lo consentono, altre due file di spallette, dette appunto aggiuntive, da 11 facchini ciascuna. Sul fronte e sul retro della Macchina si trovano infine le stanghette, sei per lato, che facendo leva sui sostegni che sporgono dalla base contribuiscono a bilanciare le oscillazioni.

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Questa la formazione standard, ma là sotto le cose cambiano a seconda dei tratti percorsi. Per il tratto di via Roma e quasi tutto il Corso, dove si deve fare a meno dell’apporto delle aggiuntive, la formazione si riduce a 91 facchini. Ma nei punti più stretti di questo tratto, quando la base della Macchina passa radente ai muri, anche le spallette fisse devono momentaneamente mollare la presa e proteggersi spostando la testa e le spalle all’interno dei legni. Così, per alcuni istanti, la formazione utile può contare soltanto su 75 portatori. Ci sono poi le guide, facchini disposti ai vari angoli della base che hanno il compito di coadiuvare il capofacchino per direzionare la Macchina nella maniera ottimale. E infine, nella parte conclusiva del percorso, quella della difficile salita in corsa verso il santuario, intervengono le leve e le corde a spingere e tirare. Sulla carta tutto è stato detto, ora siete pronti: vivetelo.

L’allungo su via Marconi I Facchini regalano 700 metri in più di sforzi

Mille e duecento metri è la lunghezza tradizionale del percorso. Per l’edizione 2016, in onore del’Anno Santo, i facchini regaleranno uno sforzo in più. Gloria sarà portata, si tratta di un fatto straordinario, lungo tutta via Marconi e fino ad arrivare all’intersezione con via Cairoli. La bellezza di 700 metri in più, 90 sopra al trasporto del 2014, quando il Sodalizio per omaggiare il riconoscimento Unesco della secolare tradizione viterbese decise di allungare su via Marconi ma fino all’altezza di piazza della Repubblica. Calcolatrice alla mano arriviamo a un totale di mille e novecento metri, praticamente due chilometri.

sabato 3 settembre 2016 diretta tv 145 123 dt - 445 tvsat - 852 912 sky diretta streaming macchinadisantarosa.eu lafune.eu diretta facebook visitviterbo

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Cenni storici arliamo di una tradizione ultrasecolare, la cui origine risale al lontano 1258. Quell’anno, per volontà di papa Alessandro IV, ci fu la traslazione del corpo di Santa Rosa dalla chiesa di Santa Maria in Poggio (detta “La Crocetta”, in via Mazzini) all’attuale monastero a lei dedicato. Narrano le cronache che il corpo della giovane Rosa venne solennemente trasportato a spalla da quattro cardinali, dando così origine alla festa liturgica e al culto della santa. Le divise attuali dei facchini richiamerebbero proprio questo fatto storico. Il bianco simbolo della purezza della santa e il rosso della fascia in memoria della porpora dei cardinali protagonisti della traslazione.

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Le prime fonti attendibili sul Trasporto, nella forma in cui viene inteso oggi, ne datano l’inizio alla fine del 1600. Nella raccolta di bozzetti custodita presso il Museo Civico di piazza Crispi è presente quella che si ritiene la prima immagine certa della Macchina. È un disegno del 1690 eseguito da Giuseppe Franceschini che rappresenta la costruzione dell’epoca, progettata da Gregorio Fani. Nei secoli quello che originariamente era un baldacchino si è evoluto nelle forme e nelle dimensioni, grazie all’adozione di materiali sempre più flessibili e leggeri, fino alle alte torri che noi oggi conosciamo. Nel recente passato la Macchina ebbe prevalentemente l’aspetto di un campanile gotico, illuminato con torce e candele, da cui la tradizionale definizione di “campanile che cammina” che le diede lo scrittore Orio Vergani. Soltanto sul finire degli anni ’60 del secolo scorso, grazie al visionario e innovativo progetto di Giuseppe Zucchi si arrivò per la prima volta, con l’amatissimo Volo d’Angeli, ad abbandonare la consueta e massiccia struttura architettonica per liberarsi verso forme plastiche e creative che ancora oggi vivono nel ricordo di tantissimi viterbesi. 13


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il 3 settembre

Sale l’emozione, a voi il “Giro delle sette chiese” Così i Facchini prendono la carica per affrontare al meglio la sera.

LEGENDA IL GIRO DEI FACCHINI Le tappe 1) Piazza S. Lorenzo e Palazzo Papale La giornata “inizia” per i Facchini di Santa Rosa alle ore 14. L’anno scorso il raduno si tenne nel piazzale interno delle Scuole Rosse, per questo 2016 – in concomitanza con l’anno giubilare e in accordo con la Diocesi – torna a tenersi all’interno della Sala del Conclave. Dopo la rituale foto di gruppo e una breve visita al Duomo, al ritmo delle note della banda musicale di Vejano inizia, per i protagonisti del 3 settembre, il tradizionale “Giro delle sette chiese”. 2) Piazza della Morte Percorrendo via S. Lorenzo i Facchini giungono in questa piazza, dove rendono omaggio a Santa Giacinta Marescotti, il cui corpo mummificato è custodito dalle monache di clausura presso il monastero di S. Bernardino. Dalle suore, ogni Facchino riceve una foglia, a ricordo di quelle di pungitopo, pianta con la quale la Santa terziaria si flagellava. 3) Piazza S. Maria Nuova Visita alla chiesa omonima, tra le più antiche di Viterbo, eretta intorno al 1100 in un sobrio stile romanico. 4) Piazza del Plebiscito Visita alla chiesa di S. Angelo in Spatha. La chiesa chiude uno dei lati di piazza del Plebiscito su cui, dal XIII secolo si affacciano le principali sedi amministrative: i rintocchi della campana della chiesa richiamavano al raduno i membri del Consiglio comunale. 5) Piazza della Repubblica Breve sosta al monumento al Facchino, opera scultorea del maestro Alessio Paternesi.

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6) Piazza del Sacrario Omaggio al sacello dei Caduti delle guerre mondiali. Deposizione di una corona d’alloro e momento di raccoglimento, scandito dalle note del Silenzio, suonato dal solista della Banda di Vejano. 7) Piazza Maria SS. Liberatrice (o della Trinità) Dopo aver ascoltato le preghiere del Priore Agostiniano, tutti gli uomini del Sodalizio intonano “mira il tuo popolo…”, in onore della Madonna Liberatrice, che ha assunto a Viterbo, fin dal Medioevo, una funzione di protettrice civica della comunità. 8) Piazza S. Francesco All’interno della Chiesa dedicata al poverello d’Assisi, i Facchini rinnovano il patto d’amore verso S. Rosa, che proprio da S. Francesco trasse l’ispirazione cristiana e la propria regola di vita. 9) Largo Facchini di S. Rosa Nel Santuario dedicato a Rosa, tutto il Sodalizio rende omaggio al corpo incorrotto della Santa ricevendo, ciascun Facchino, dalle suore Clarisse, una piccola immagine benedetta, poi ascolta le esortazioni religiose del Vescovo. 10) Convento dei Padri Cappuccini Dalle 17,30 e fino alle 19 i Facchini, insieme ai familiari si recano presso il giardino del convento, per un breve periodo di relax. In un clima di serena amicizia viene poi consumata una piccola merendacena. Intorno alle 19, salutati i parenti, i Facchini ascoltano le ultime raccomandazioni tecniche e gli incoraggiamenti del Presidente del Sodalizio e del Capo Facchino e le sue ultime indicazioni per il trasporto. Poi i Facchini si inquadrano in formazione, per raggiungere la vicina Porta della Verità. 11) Via Mazzini Entrando da Porta della Verità, intorno alle 20, tutti gli uomini del Sodalizio rendono un doveroso e sentito omaggio alla Chiesa di S. Maria in Poggio, luogo della prima sepoltura, nella nuda terra, di S. Rosa.

12) Largo Facchini di S. Rosa Sempre al ritmo di “Quella sera del 3” tutta la formazione “svolta” su via di S. Rosa dove si vive un momento di grande emozione, quando i Facchini salutano parenti ed amici, seduti sugli scalini del Santuario, sollevando in alto i “ciuffi” e le “spallette”. Dalle ore 20,15 viene percorso a ritroso tutto l’itinerario dell’imminente Trasporto, tra gli applausi di una folla commossa ed ammirata. 13) Piazza S. Sisto (ore 20,30) All’interno dell’omonima Chiesa, il Vescovo di Viterbo impartisce la benedizione “in articulo mortis” ai Facchini. La medesima cerimonia sarà ripetuta poco dopo all’aperto e ai piedi della Macchina di S. Rosa, con tutti gli uomini del Sodalizio in ginocchio e la folla stipata nella piazza in religioso silenzio. (ore 21,00) Indirizzo di saluto della autorità. Il Sindaco “consegna” ufficialmente la Macchina di Santa Rosa nelle mani del costruttore, il quale affida il trasporto al Sodalizio, tramite il Capofacchino.

IL TRASPORTO Percorso della Macchina Le soste P) Piazza S. Sisto 1) Piazza Fontana Grande 2) Piazza del Plebiscito 3) Piazza delle Erbe 4) Chiesa del Suffragio 5) Piazza Verdi 6) Piazza del Sacrario 7) Via Marconi 8) Piazza Verdi A) Largo Facchini di S. Rosa

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la sicurezza

Tribune: vie d’uscita e vie di fuga

Piazza San Sisto

Piazza Verdi

Piazza Fontana Grande

Piazza della Repubblica Legenda: ––> percorso ingresso/uscita tribuna DECARTA SETTEMBRE 2016

Piazza del Pebliscito ––> vie di fuga tribuna 17


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i facchini

Tutti d’un sentimento enza facchini di Santa Rosa non c'è Macchina, non c'è Trasporto, rimane ben poco di una tradizione e di un sentimento capace di attraversare i secoli e farsi nuovo ogni tre settembre. Rimane poca cosa, o forse anche nulla, di questa storia di carne tutta viterbese capace di incantare la gente, i papi e il mondo; portando a casa il 4 dicembre 2013 il titolo di Patrimonio dell'Umanità.

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I facchini sono il motore umano della Macchina. Un patrimonio di diversità capaci di farsi “tutti d’un sentimento”; di accollarsi cinquanta quintali di peso sul “groppone” del gruppo, di spingere verso un unico obiettivo. Il Sodalizio è sotto moltissimi aspetti, forse quelli centrali, il perno della festa e della devozione che si rinnova. Esempio per i viterbesi, stimolo per i giovani e persone rispettate da tutti per lo sforzo, il sacrificio e la devozione che permettono ogni anno il ripetersi del miracolo del Trasporto. Tanto che avere un facchino in casa è una sorta di benedizione, un orgoglio. Così come essere amico di un facchino o più semplicemente anche vicini di appartamento. Nei giorni intorno al tre settembre e soprattutto “quella sera del tre” chi indossa la tradizionale divisa non è più solo sé stesso. È simbolo, è spirito e sentimento di una città tutta. Diventa braccia, gambe, sudore e cuore dei viterbesi. Viterbesi che dalle vie, piazze, finestre hanno nella gola e nell’anima un semplice e totale incitamento: “Dateje”. Per i lettori viterbesi non c’è niente da spiegare, avranno già la pelle d’oca. Per chi non lo fosse questo strano trisillabo può essere dettagliato meglio così: “Mettetecela tutta, siamo una cosa sola con voi. Spingete sulle gambe, portate in alto la Macchina, fateci battere il cuore e bagnare gli occhi. Possiamo vincere questa sfida tra l’uomo e il peso, perché siamo uniti in Rosa e niente possiamo temere”. Non si diventa facchini in un giorno e non lo si è solo per un giorno. Abbiamo cercato di riassumere gli aspetti centrali di questa figura, di questo ruolo, di questi uomini.

La selezione Si diventa facchino superando quella che viene detta “la prova di portata”. Consiste nel portare sulle spalle una cassetta del peso di 150 chilogrammi, lungo un percorso di 90 metri. Percorso tracciato all'interno della ex chiesa della Pace (vicino porta 18

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della Verità) e che segue il perimetro della navata (circa 30 metri), ripetuto per tre volte. Ogni anno, a giugno, la prova deve essere sostenuta sia dai veterani che dai nuovi aspiranti e la valutazione dell’idoneità è di esclusiva responsabilità del capofacchino. Sempre all’interno della ex chiesa della Pace si tiene, a poche settimane dal Trasporto, una riunione per definire la formazione e assegnare i compiti con la consegna delle tradizionali protezioni. La divisa Tutti i facchini indossano una precisa divisa. Si compone di una camicia bianca a maniche lunghe arrotolate sopra i gomiti, pantaloni bianchi fermati sotto le ginocchia (alla “zuava”), fascia rossa in vita, fazzoletto bianco annodato alla corsara, scarponcini neri alti e calze bianche lunghe fin sopra il ginocchio. Prima della seconda guerra mondiale l’attuale fascia rossa della divisa dei facchini era sempre rossa, ma arricchita con delle bande colorate. Alle estremità inoltre erano poste delle grange di fili rossi, rosa e blu; annodati a mano. Il capofacchino e le guide si distinguono perché indossano pantaloni neri e la fascia trasversale con i colori di Viterbo: giallo e blu. Diversi sono i ruoli previsti all’interno della formazione ma tutti rivestono uguale importanza e responsabilità per la sicurezza e la buona riuscita del Trasporto: guide, ciuffi, spallette, stanghette, leve, cavalletti.

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LA GIORNATA DEL FACCHINO La “vestizione”, il raduno e il “giro delle sette chiese” In principio è il raduno. È la “porta d’ingresso” mentale al Trasporto. I facchini arrivano, nel primissimo pomeriggio, tutti con la divisa in perfetto ordine, i più tradizionalisti e residenti nel centro o nelle vicinanze uscendo di casa a piedi. Prima di questo momento d'incontro, nel privato delle case, si è consumato un altro importante rito: “la vestizione”. In genere è la madre a vestire il facchino-figlio o se sposato la moglie. Si tratta di un momento intimo, di grande raccoglimento e festa. Una commozione che nelle case dei cavalieri di Rosa si ripete ogni anno, dando il via al giorno più importante. Al raduno i facchini ricevono il saluto delle autorità civili e religiose. È il momento delle parole, dei discorsi, della prima carica. Poi la formazione si schiera e si avvia per le vie della città dove si svolge il “giro delle sette chiese”. Il giro si conclude al santuario di Santa Rosa dove i facchini sfilano lentamente davanti alla grata che protegge l’urna con il corpo della santa, soffermandosi in preghiera. Il ritiro Altro momento forte e centrale nella preparazione è il ritiro. Terminato il giro delle sette chiese i facchini si spostano nel boschetto del convento dei Cappuccini a San Crispino per riposare e intrattenersi con le proprie famiglie. 19


i facchini

Essere differenti, essere facchini super Quando si avvicina l’ora del Trasporto i facchini si raccolgono in silenzio attorno al capofacchino, che li saluta e li incita a dare il meglio di sé con entusiasmo, per la santa e per la città. Concluso questo momento importante di raccoglimento la formazione si avvia verso la chiesa di Santa Rosa. Quando i facchini passano davanti al sagrato ripetono la bella tradizione del saluto ai propri familiari, lì raccolti, alzando ciuffi e spallette. Quindi, percorrendo il percorso al contrario, sfilano abbracciati verso la Macchina. Lungo il percorso ricevono gli applausi e l’incoraggiamento della folla presente in attesa del passaggio della Macchina. Verso la “mossa” Arrivati a piazza del Comune c’è l’incontro con il sindaco e le autorità presenti, che entrano nel corteo precedendoli nell’arrivo a San Sisto. Appena le prime file dei facchini arrivano a piazza Fontana Grande la Macchina, fino a quel momento oscurata dal buio, viene improvvisamente illuminata, come ad accoglierli. Giunta a San Sisto la formazione entra nella chiesa dove i facchini si raccolgono in preghiera. Un fiume di fazzoletti bianchi che riempie le navate, forse una delle immagini più dense e suggestive 20

dell'intera festa. Il vescovo impartisce la benedizione “in articulo mortis”. La benedizione viene quindi ripetuta anche all’esterno, con tutti gli uomini in ginocchio ai piedi della Macchina. Quindi il primo cittadino consegna ufficialmente la Macchina nelle mani del costruttore, che affida il Trasporto al capofacchino. Il “sollevate e fermi” Ora è tutto pronto. Al centro è il capofacchino con la sua voce. È tutto un incontrarsi di occhi, un attivarsi di movimenti precisi. Il capofacchino compone la formazione sotto la Macchina. Parte dalle stanghette posteriori e va avanti. Tutte le luci vengono spente, silenzio. Poi una voce squarcia il buio, squarcia il silenzio: “Siamo tutti d’un sentimento?”. Il “sì” esplode da sotto la base della Macchina. Arriva una sequenza di comandi; “Sotto col ciuffo e fermi!”. “Fermi!”. “Facchini di Santa Rosa, sollevate e fermi!”. Questa è la “mossa”. L’impeto dei facchini è tale che la Macchina balza verso l’alto di colpo, come a prendere vita. Sembra ricadere verso il basso, assestarsi sulle schiene e le spalle. Tutto è pronto: “Per Santa Rosa, avanti!”. Quindi tutte le tappe fino alla salita del Santuario, la posa della Macchina e gli abbracci.

Con la divisa del Sodalizio anche otto facchini super. Si tratta di Federico Moretti, Alessandro Cerquetta, Raffaello Celaschi, Gianluca Parrino, Corrado Ricci, Roberto Ricci, Simone Ramacciani e Luca Apperti. I primi quattro dell’elenco avevano partecipato anche lo scorso anno, rappresentando un importante novità e segno voluto dal Sodalizio. Per il 2016 si è deciso di raddoppiare. Si tratta di ragazzi speciali chiamati a sfilare per le vie del centro storico al fianco dei cavalieri di Rosa. Quello del 2015 fu un esperimento riuscitissimo, con i ragazzi emozionati e perfetti nel comportamento. Hanno vissuto l’intera giornata del tre insieme ai facchini e come loro. Partecipando al “giro delle sette chiese”. Accompagneranno i portatori della Macchina fino a San Sisto, a poche decine di minuti dal “sollevate e fermi”. Si tratta di un’emozione unica per tutti. Per i ragazzi coinvolti e per il Sodalizio, sempre molto attento ai temi del sociale. Chi ha avuto modo di vivere l’esperienza dello scorso anno non avrà dimenticato i sorrisi, la carica, l’energia e la passione dei facchini super. Per questo si è deciso di raddoppiare la loro presenza.

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la macchina

I numeri di Gloria 28

metri d’altezza dalle spalle dei facchini e 50 quintali di peso, queste le dimensioni di Gloria. Il progetto è dell’architetto Raffaele Ascenzi, mentre la Edilnolo ne ha curato la costruzione e ora l’assemblaggio. Lo scorso anno l’esordio, quest’anno il percorso “allungato” fino all’intersezione tra via Marconi e via Cairoli. Uno sforzo maggiore per omaggiare l’Anno Santo voluto da papa Francesco.

La base A sorreggere il fusto della Macchina delle grandi statue molto particolari. Raffigurano un facchino ancestrale, mitico e senza tempo. Questo l’omaggio di Raffaele Ascenzi ai portatori del “campanile che cammina”. Una figura suggestiva e un simbolo denso di significati. L’omaggio del disegnatore, che già ha regalato alla città di Viterbo una Macchina importante come Ali di luce, a chi ha segnato sulle proprie spalle la storia di Viterbo. Il fusto Le linee sono ispirate al reliquario che contiene il cuore di Santa Rosa. Ne riprende la pianta triangolare e le forme. Lo donò papa Pio XI alle suore clarisse ed è un pezzo importante della tradizione, che i facchini portano per le vie della città durante la processione del 2 settembre La statua della Santa In cima alla mole è posta la statua della patrona. Da sottolineare i tratti del viso da bambina. 22

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Macchine nella storia recente Le preghiere dei viterbesi dentro le vasche Le vasche di fontana sotto alle guglie gotiche sono state pensate come a dei contenitori. All’interno le lettere e i bigliettini che i viterbesi scrivono durante l’anno alle suore di Santa Rosa. Si tratta di richieste, di preghiere, di voti. Sono i pensieri d’amore e d’aiuto che i viterbesi rivolgono alla patrona. Un elemento pensato dall’ideatore Raffaele Ascenzi per rendere il trasporto più vivo e avvicinare sempre più la Macchina alle persone, che è la cosa più importante. Pesante all’occhio Ascenzi, oltre a essere l’ideatore di una precedente Macchina, è stato anche facchino di Santa Rosa. Conosce dunque bene che tipo di Macchina vuole portare un facchino. Una struttura imponente, che deve sembrare importabile. Deve apparire di un peso incalcolabile. Il perché del nome Gloria come “Gloria in Excelsis Deo”, una musica bellissima scritta da Vivaldi e che ha ispirato il lavoro di progettazione dell’architetto e del suo team di lavoro. Lo stesso Ascenzi nel giorno della vittoria del suo bozzetto ha dichiarato: “L’abbiamo chiamata Gloria perché celebra i tanti trasporti gloriosi che si sono succeduti nei secoli. Tutti per portare in trionfo la patrona tra le vie della città”. DECARTA SETTEMBRE 2016

VOLO D’ANGELI (1967-1978) di Giuseppe Zucchi Trenta metri di altezza e capace di unire in una mirabile sintesi costruttiva tutte le caratteristiche architettoniche della città. È una delle Macchine più care ai viterbesi.

SPIRALE DI FEDE (1979-1985) di Maria Antonietta Palazzetti Valeri Prima Macchina di Santa Rosa progettata da una donna: Maria Antonietta Palazzetti Valeri. Ebbe l’onore di due trasporti eccezionali: nel 1983 per i 750 anni dalla nascita di Rosa e nel 1984 per la visita di Giovanni Paolo II.

ARMONIA CELESTE (1986-1990) di Roberto Joppolo Una summa dei principali monumenti viterbesi, sormontati da una allegoria di angeli ascendenti al cielo. Durante il suo primo trasporto rischiò di cadere sulla folla a Santa Rosa, i pericoli vennero scongiurati grazie allo sforzo dei facchini.

SINFONIA D’ARCHI (1991-1997) di Angelo Russo Il suo modello sarà ricordato come uno dei più originali, avendo avuto il merito di distaccarsi dai consueti canoni di costruzione e coniugando in una mirabile sintesi artistica archi, scale e profferli viterbesi.

UNA ROSA PER IL DUEMILA Tertio Millennio Adveniente (1998-2002) di Marco Andreoli, Giovanni Cesarini, Lucio Cappabianca Una slanciata ed elegante struttura che ripercorre architettonicamente la storia del territorio, oltre i trenta metri di altezza.

ALI DI LUCE (2003-2008) di Raffaele Ascenzi Introduce, con grande originalità, un movimento meccanico di alcune parti della struttura che – durante le soste – si aprono a guisa di luminosi petali di fiori.

FIORE DEL CIELO (2009 – 2014) di Arturo Vittori È la Macchina con cui si arriva al riconoscimento del titolo dell’Unesco nel 2014 e che ha avuto in sorte la trasferta milanese a Expo 2015. Introduce ulteriori elementi tecnologici.

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Ecco come è nata Gloria Intervista con Raffaele Ascenzi dall’interno “dell’uovo”. Foto di Manuel Gabrielli

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er capire qualcosa di più su Gloria, l’attuale Macchina di Santa Rosa, siamo andati “nell’uovo”; lo studio dell’ideatore Raffaele Ascenzi in piazza del Gesù. E quanto questo spazio abbia giocato un ruolo nel processo creativo ce lo racconta lo stesso architetto, mentre ci fa accomodare su un soppalco fantastico; dove siamo circondati da bozzetti bellissimi e ultraprecisi di Gloria. Parlando viene fuori un mondo e scopriamo anche che il volto della statua di Santa Rosa, posto in cima al “campanile che cammina” è stato modellato su quello di Elvira, la figlia di cinque anni di Raffaele. Qui è nata l’ultima Macchina di Santa Rosa, come è accaduto? “Prima di iniziare qualsiasi lavoro ho un metodo mio di procedere che parte dalla creazione dello spazio. Presa la decisione di impegnarmi nella progettazione di una Macchina, con cui partecipare al concorso del Comune, sono venuto in questo spazio e ho iniziato a lavorarci. DECARTA SETTEMBRE 2016

Ho sempre bisogno del lavoro manuale per concentrarmi bene su cose delicate e sofisticate. Così, in attesa dell’idea, ho iniziato a faticare. Ho creato lo spazio che l’avrebbe portata alla luce e così è stato. La mia mente funziona come quella di un pescatore, attendo. Poi l’idea è arrivata con un’immagine che si è messa al centro dei miei pensieri: il reliquiario che contiene il cuore di Santa Rosa. Da lì è venuto fuori tutto il resto”. Quanto ci ha lavorato sopra? “Cercare di progettare una Macchina è un lavoro senza tempo, che sta al di fuori del tempo. Non ci sono orari, giorni. Mi ha aiutato tantissimo il luogo che avevo preparato e la musica di Vivaldi da cui deriva il nome Gloria e che avrò sentito centinaia di volte durante la progettazione. Fondamentale è stato l’apporto di Luigi Vetrani, abbiamo lavorato gomito a gomito per tantissimi giorni. Lui ha sviluppato l’elaborazione grafica in tre dimensioni del progetto. Questo ci ha

permesso di vedere la Macchina nei minimi particolari da subito. Ma quello che stava prendendo forma presentava anche un problema: tutto troppo complicato per essere realizzato nei tre mesi canonici in caso di vittoria. Poi un incontro mi ha aperto una prospettiva tecnica che ci ha convinto ad andare avanti”. Di che si tratta? “Non avevo mai sentito parlare di stampanti in tre dimensioni. Un giorno l’ingegnere viterbese Dario Donato mi raccontò di queste straordinarie macchine. Mi balenò in mente di realizzare una Macchina di Santa Rosa interamente stampata, superando anche il discorso del traliccio interno. Successivamente comprendemmo che una serie di aspetti tecnici e burocratici, legati a questioni di sicurezza sulla tenuta, non avrebbe permesso di percorrere questa strada. Però avevamo capito che le nuove tecnologie di lavorazione dei materiali potevano permetterci di realizzare nei tempi stretti anche una 25


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Macchina piena di dettagli come Gloria. Di fatto così è stato e nel momento della costruzione sono stati utilizzati macchinari ad alta precisione per ‘scolpire’ il polistirolo”. Qual è il messaggio di Gloria? “Ho voluto ideare una Macchina capace di essere sintesi delle diverse architetture che l’hanno preceduta e al tempo stesso riuscisse a omaggiare i facchini, protagonisti e custodi per secoli della tradizione del Trasporto. Per questo ho inserito la figura del ‘facchino ancestrale’ alla base. Però il centro di tutto è il cuore di Santa Rosa, presente strutturalmente attraverso la riproposizione modulare del reliquario. Al centro di ogni reliquiario, lì dove c’è il cuore, esce una luce che viene dall’interno della Macchina. Alla base, dentro i vasconi, le preghiere dei viterbesi raccolte durante l’anno. È come se la luce arrivasse da queste preghiere, da questa fede che simbolicamente diventa il cuore della festa”. 26

Quante preghiere sono state raccolte lo scorso anno? Dove finiscono? “Migliaia. Tutte sono state portate in processione con il Trasporto e poi collocate in un cassone sotto al corpo della santa. Quando Gloria finirà i suoi trasporti tutte le preghiere saranno custodite al suo interno”. Il volto della statua della Santa è stato notato da molti per la sua dolcezza. Come ci è riuscito? “Volevo che nell’anima di questa Macchina ci fosse la presenza di una parte di me. I volti di tutti gli angeli riprendono quello di mia moglie Valeria. Il volto della statua della santa è quello di mia figlia Elvira. Questo sul piano emotivo è qualcosa di molto forte per me ma soprattutto mi ha permesso di mettere in cima a Gloria una statua della santa che abbia quella dolcezza che solo i bambini riescono a trasmettere”.

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la “macchinite”

La grande storia della costruzione uesta è la storia di un’estate, quella del 2015, che ha come teatro il capannone della Edilnolo sulla Tuscanese. È il racconto di una “malattia grave”, che potrebbe essere chiamata anche “passionaccia” o addirittura “macchinite”. È passata per gli occhi, la mente e la mano di Bruno Pagnanelli. Fotografo? No, altra roba. Come altra roba sono quelli della famiglia Fiorillo, che pensare di definire costruttori della Macchina di Santa Rosa sarebbe come valutare di poter svuotare il mare con un guscio di noce.

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Stesso paio di maniche per Raffaele Ascenzi, sulla carta disegnatore di Gloria. Nella realtà un altro affetto da “macchinite” cronica con recidive plurime. Tutta umanità a stretto contatto, impegnata mani, piedi, occhi, cervello e cuore nella gestazione della nuova Macchina di Santa Rosa. Le foto che vedete sono pezzi di un diario della Macchina, composto giorno dopo giorno da Pagnanelli e sparato sul web attraverso i social. Per La Fune il colpo di fulmine per un lavoro di questo tipo, il primo nella storia del Trasporto, è stato immediato. Incontro con Pagnanelli, spiegazione della volontà di farne un diario e poche ore dopo era già tutto online. Il numero di lettori ha confermato la bontà dell'intuizione, raggiungendo numeri straordinari. I lettori di questo speciale cercano risposte a una domanda: come è nata Gloria? Dalla condivisione, dal sacrificio, dalla costanza e dalla fede di riuscire in un'impresa significativa. Tutto questo ha preso forma tra gli uomini, declinandosi in gente sudata, sigarette, cacciaviti, trapani, fili, tralicci. Tutto ha assunto volto, mani, lingua. In una parola: carne. Mirko, Alessio, Vincenzo, Roberto, Raffaele, Franco e Bruno. Bruno lì in mezzo a loro, che neanche conosceva. Con loro per il brindisi finale, le pasterelle per il compleanno di Mirko e le battute per spezzare il caldo e la fatica. Il tre settembre è in fondo il rinnovarsi di un miracolo. La costruzione di Gloria è stato un bel preambolo a tutto. 28

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foto © Manuel Gabrielli

Con Luce di Rosa la minimacchina compie 50 anni

i cosa ha bisogno una tradizione per sopravvivere? Di passione? Di persone? Di finanziatori? Un po’ di tutte queste cose ma soprattutto ha bisogno di ricambio generazionale, perché ciò che è il non plus ultra per una generazione potrebbe non suscitare lo stesso interesse in quella successiva. È in questo che la macchina di Santa Rosa è riuscita negli anni, a mantenere vivo l’interesse indipendentemente dall’età.

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Il merito è sicuramente di uno spettacolo che non ha mai perso fascino ed è sempre riuscito a rinnovarsi, alla figura che ha il facchino nell’immaginario collettivo viterbese e soprattutto al fascino che esercita sui bambini. È proprio da questa voglia di emulazione che alcuni ragazzi a metà del secolo scorso si reinventavano facchini grazie a strutture improvvisate con delle scatole di cartone. Successivamente, nel 1966, nacque la prima minimacchina e quindi la possibilità di essere facchino anche per chi non aveva ancora l’età. Da quel momento in poi si sono alternati tanti modelli e tanti minifacchini con il tempo sono cresciuti e hanno trasportato il peso della Macchina. La prima minimacchina nacque nel centro storico, a via Mazzini precisamente, nella parrocchia della chiesa di San Giovanni in Zoccoli. Poi un’altra è nata al Pilastro e un’altra ancora ha cominciato a essere trasportata in tempi più recenti per le vie di Santa Barbara. Le minimacchine non sono una banale imitazione di macchine e facchini più grandi, i minifacchini non sono solo un orgoglio genitoriale: il

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trasporto delle minimacchine è il futuro sul quale oggi si sta investendo e lavorando, perché il trasporto della Macchina di Santa Rosa è bello da vedere e da vivere ma cinque tonnellate non si muovono da sole e buona parte delle persone che negli ultimi 30-40 anni sono andate “là sotto” sono stati un tempo tra quei 2.500 minifacchini che dal ’66 si sono avvicendati sotto alla minimacchina, facendo il minifacchino, o il facchino della minimacchina, come preferisce definirli il Sodalizio. uesto 2016 è un anno importante, è anno giubilare, il 31 agosto verrà trasportato il corpo di Santa Rosa dalla chiesa a lei consacrata fino alla cattedrale di San Lorenzo, la Macchina percorrerà 700 metri in più lungo viale Marconi e la minimacchina del Centro storico compirà il suo cinquantesimo trasporto. Non poteva che essere questa l’occasione per realizzare qualcosa di diverso, di innovativo nel disegno, nella progettazione e nella realizzazione: Luce di Rosa.

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Tutto è partito da un’idea di Lucio Laureti e dell’arch. Mario Todini a cui va soprattutto il merito di aver creato un gruppo di lavoro affiatato. Successivamente in fase di ideazione si sono affiancati l’arch. Nastassia Andreani, curatrice del design, l’arch. Alessandro Piccini che ha realizzato i primi rendering e il dott. Luca Occhialini per la modellazione della struttura e la stampa in 3D di alcuni pezzi. La realizzazione è in corso in questi ultimi giorni (e notti) di agosto nel capannone della Mastro Srl dei fratelli Mancinelli, ditta specializzata nella lavorazione del polistirolo. Tra gli aspetti più innovativi della costruzione ci sono gli angeli, realizzati

con la stampa 3D in acido polilattico (PLA), e un attuatore ad aria compressa inserito nel traliccio, che consentirà alla statua della Santa di alzarsi di 60 cm. Una soluzione nata per aggirare l’ostacolo di cavi elettrici e l’impedimento architettonico di un arco che hanno da sempre reso impossibile andare oltre una certa altezza. A questo team si aggiunge la SM2 meccanica che ha costruito il telaio in ferro e la PLP meccanica che ha realizzato tramite la tecnologia del taglio ad acqua alcune componenti. Sorprendentemente tradizionale è invece la statua della Santa, per la quale si è deciso di utilizzare quella di cinquanta anni fa, debitamente restaurata. Oltre al trasporto del 1 settembre, e il successivo del 10 a Vitorchiano per la commemorazione dell’esilio di Santa Rosa, il 27 agosto verrà presentata presso la sala Alessandro IV del Palazzo Papale una pubblicazione totalmente dedicata a questi cinquanta anni.

Questi gli appuntamenti Sabato, 27 agosto Minimacchina del Quartiere Pilastro Domenica, 28 agosto Minimacchina del Quartiere S. Barbara Giovedì, 1 settembre Minimacchina del Centro storico

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santa rosa

curiosità

Non sempre è andato tutto liscio Una tradizione secolare quella del Trasporto, che si è intrecciata negli anni con centinaia di migliaia di vite ed è passata anche per incidenti, rinvii dovuti a questioni meteorologiche sanitarie o politiche, modifiche del percorso e fortunate circostanze. Il terribile 1814 e i tanti lutti del 1801 ll’altezza di Palazzo Bussi, a metà Corso, i facchini stremati per la mancata distribuzione dei pesi non riuscirono più a tenere in piedi la Macchina. Cercarono di resistere, fino allo stremo delle forze, per permettere alle persone di allontanarsi. Poi il crollo. Alcuni cavalieri di Rosa rimasero uccisi, altri gravemente feriti. Non se ne conosce il numero esatto. Quel trasporto fu particolarmente sfortunato. Era il 5 settembre del 1814. Il 3 non era stato possibile far partire la Macchina per assenza del delegato apostolico, il 4 la pioggia dettò il rinvio. La sera del 5 settembre, un comando errato al momento della “mossa” fece cadere all’indietro la mole, uccidendo due facchini e distruggendo la tettoia che la custodiva a San Sisto. La situazione fu ripresa in mano ma il peggio tornò a mostrare il suo volto a metà del tragitto. In quell’occasione fu innalzato un aerostato e illuminata la torre del Palazzo del Comune. Pochi anni prima un altro trasporto nero. Correva il 3 settembre 1801, all’altezza di piazza Fontana Grande la folla va fuori controllo intorno alla Macchina. La calca e il calpestio del fuggi fuggi fa 33 vittime. A innescare il tutto uno scippo, subito da una donna, tale Sensi di Grotte Santo Stefano, che

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inizia a urlare. La gente non capisce cosa sta accadendo e inizia a scappare, il panico si diffonde fino al punto che la massa spaventata finisce per travolgere anche la processione che accompagna il Trasporto. I facchini, con sforzo eroico, si fermarono attendendo lo sgombero della via, tenendo inchiodata alle spalle la Macchina per mezz’ora all’altezza di palazzo Fani. Poi proseguirono il tragitto ma la struttura danneggiata prese fuoco in piazza delle Erbe e fu abbandonata in fiamme. Nella storia del Trasporto si registrano altri incidenti minori. Nel 1758 la Macchina cadde alla “mossa”. Venne comunque rimessa in piedi per riprendere il cammino. Nel 1776 un’altra caduta a piazza del Plebiscito. Nel 1790 ancora una caduta alla “mossa”, con danneggiamenti importanti che non permisero di andare avanti. Bisogna scorrere fino al 1820 per trovare un nuovo incidente, questa volta la Macchina di Angelo Papini cadde davanti la chiesa di Sant’Egidio (sul Corso), causando la morte di un facchino. Nel 1877 la Macchina, nel tratto tra le chiese di Santa Maria del Suffragio e di Sant’Egidio toccò una gronda e la fece cadere. Nel 1899 alla “mossa” cadde il cupolino, subito ripristinato alla meno peg-

gio. In piazza del Comune presero fuoco i capelli della santa e con loro la statua stessa. La Macchina, nonostante tutto, riprese il cammino e raggiunse la meta. Bisogna arrivare in epoca più recente per trovare un altro incidente significativo. È il 3 settembre 1967 quando Volo d’Angeli di Giuseppe Zucchi si ferma in via Cavour. I facchini lamentano che la macchina si avvitava su se stessa durante il trasporto, a causa della modifica apportata dal costruttore che aveva abolito le travi alla base. La Macchina rallentò la sua corsa, si fermò e sbandò verso destra colpendo la grondaia di Palazzo Gentili. Fu poggiata sui sostegni, puntellata e ancorata. Venne smontata lì. Un inizio traumatico per Volo d’Angeli, che venne portata per dodici anni consecutivi (fino al 1978) entrando nel cuore dei viterbesi.

La tragedia sfiorata nel 1986 e la tromba d'aria del 2007 ella storia recente la tragedia è stata sfiorata due volte. In maniera più grave nel 1986 quando in cima alla salita di Santa Rosa, a pochi passi dall’arrivo, Armonia Celeste quasi crolla. Decisivo fu l’intervento di Nello Celestini, che rubò il microfono al costruttore Socrate

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Sensi e ridiede forza ai facchini che riuscirono a rialzare la Macchina e a salvare i loro compagni schiacciati dal peso della struttura. Nel 2007 invece un incidente si ebbe qualche giorno prima della partenza, una tromba d’aria fece crollare quasi Ali di Luce. Fu rimessa in piedi e il trasporto si svolse senza problemi.

I rinvii e i percorsi diversi el 1686 il Trasporto dovette attendere fino al 27 ottobre, a causa del continuo cattivo tempo che consigliò prudenza e rinvii ripetuti. Nel 1799 è la morte di papa Pio VI a far attendere, anche in questo caso si attese il 27 ottobre. Tra le cause dei mancati trasporti c’è anche il colera, un’epidemia scoppiata a Roma e a Viterbo impedì il rinnovarsi della tradizione nel 1837. Dal 1842 al 45 l’ultima tappa del percorso venne spostata a piazza della Rocca, per lavori in corso alla basilica di Santa Rosa. Nel 1846 la fermata venne fissata a piazza Della Vittoria, all’epoca piazza dell’Oca. Una bufera di pioggia fece slittare l’evento al 7 settembre nel 1862 mentre i moti garibaldini del 1867 fecero rinviare al 17 novembre e il cattivo tempo determinò un ulteriore slittamento al 21. Nel 1878 il trasporto venne effettuato il 5 settembre per il forte vento.

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Ancora il colera bloccò il rito nel 1884 mentre l’anno successivo il Trasporto venne completato ma una pioggia dirompente danneggiò la Macchina da poco posata davanti alla chiesa. Il 3 settembre 1893 una pioggia scrosciante impedì il trasporto e fu davvero una benedizione. Si venne infatti a sapere dopo che degli anarchici erano intenzionati a lanciare bombe contro la Macchina, perché volevano fosse liberato dalla prigionia un loro compagno. La seconda guerra mondiale blocca il Trasporto e nel ’46 la partenza viene spostata a piazza Fontana Grande perché San Sisto è stata ridotta a un accumulo di macerie dai bombardamenti aerei. Nella storia dei percorsi anomali c’è “l’allungo” su via Marconi del 1952, che è stato replicato nel 2014 per festeggiare il riconoscimento Unesco alla tradizione della festa di Santa Rosa e che quest’anno triplica in onore dell’Anno Santo.

mune, posto in maniera perpendicolare a via Cavour. In quell’occasione i facchini piegarono un po’ le gambe per far fare un inchino alla mole davanti al papa, rimasto stupito. Era il 3 ottobre del 1841. Venne anche Pio IX il 3 settembre del 1857. Si replicarono la rimozione della colonnina, l’inchino e gli onori del bacio del piede per cavalieri di Rosa e costruttore. Ancora vivo nella memoria della città il trasporto straordinario del 27 maggio 1984 per Giovanni Paolo II e la frase: “Valeva la pena di venire a Viterbo”. Anche in quell’occasione il papa polacco vide lo spettacolo da Palazzo dei Priori, a togliere la colonnina per l’occasione fu personalmente il costruttore Alberto Ciorba. Un anno prima la forza dei facchini aveva regalato alla città, nel giorno del 9 luglio, un trasporto straordinario in occasione del 750esimo anniversario della nascita di santa Rosa.

Una San Firmino in salsa giallo-blu mmaginate giovani e prestanti viterbesi alle prese con una sfida che richiama alla mente, per qualche verso, la tradizione spagnola di San Firmino. Il centro della scena è piazza del Comune, dove nel Settecento andava in scena la “Giostra della Bofala”. Ne abbiamo trovato memoria in uno dei tanti lavori del giornalista viterbese Mauro Galeotti che riporta un passo del manoscritto, datato 1737, di Feliciano Bussi sugli “Uomini illustri”.

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“Nell’ultimo giorno della festa – scrive Bussi – nella piazza del Comune, ridotta in un gran teatro chiuso per ogni parte, si lasciano a suon di trombe due bufale sciolte, e senza cani, contra le quali si avventano moltissimi animosi giovani con grossi bastoni in mano, ansiosi (se loro piace) di ammazzarle a colpi di bastonate, benché per altro sovente succeda, che taluno di essi resti da tali bestie non solo storpiato, ma anche occiso”. Nel 1849 la giostra delle bufale viene soppressa. Andrea Pila, commissario pontificio straordinario scrive: “Gl’individui soltanto irriflessivi, e di non molta educazione ornati, possono trovare piacere, e diletto nel vedere uomini senza considerazione esporsi ai più gravi pericoli per lottare con bestie indomite”.

La donna che guidò la Macchina di Santa Rosa L’omaggio dei Papi ogliere una colonnina centrale da una delle bifore al primo piano di Palazzo dei Priori è un segnale chiaro per i viterbesi: il papa assisterà al trasporto. È accaduto così, per la prima volta, il 6 giugno del 1815. In quell’anno si ebbe un trasporto straordinario in onore di Pio VII. Il pontefice rimase profondamente colpito dallo spettacolo ed esclamò queste parole: “Bellissima! Rarissima!”. In quell’occasione accolte i facchini all’onore del bacio del piede. Poi venne il turno di Gregorio XVI, che ammirò lo spettacolo da un palco allestito su piazza del Co-

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Negli anni ’50 dell’800 una donna ha saputo ritagliarsi il ruolo di protagonista nella storia del Trasporto. Si tratta di Rosa Papini, moglie dello storico costruttore Angelo Papini. Quando quest’ultimo morì, correva l’anno 1850, fu lei a guidare la Macchina, riproponendo il modello del 1840. È la prima volta in assoluto che il Trasporto ha una guida “in rosa”. Nel 1851 la stessa presenta un nuovo modello disegnato dal figlio Raffaele. Nel 1852 riporta in trionfo la Macchina del marito progettata nel 1825, l’anno seguente il modello del 1830 e, infine, nel 1854 quello del 1842. Così ben cinque trasporti consecutivi vennero guidati da una donna.

Due immagini storiche. In alto, 2007: Ali di luce inclinata su un fianco all’interno del traliccio travolto da una tromba d’aria; qui sopra, 1967: Volo d’Angeli bloccata a via Cavour.

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santa rosa

la prima volta

“Essere trasportati dal Trasporto è un qualcosa di unico”

“Un onore dare il mio impegno per questa importante tradizione”

“Dai Trasporti sensazioni uniche che porterò con me tutta la vita”

Leonardo Michelini Sindaco di Viterbo

Giacomo Barelli Assessore ai Grandi Eventi del Comune di Viterbo

Massimo Mecarini Presidente del Sodalizio Facchini di Santa Rosa

edere il Trasporto da Sindaco è un privilegio per pochi. È un onore, oltre che un onere, di cui si possono fregiare solamente alcuni dei cittadini viterbesi. Uno di questi è Leonardo Michelini che fissa la memoria nel lontano 1986 quando si sfiorò la tragedia a pochi passi dal finire del trasporto. L’anno in cui emerse una volta per tutte la figura di Nello Celestini. Michelini però ricorda la figura dell’allora primo cittadino Francesco Marcoccia, poco dopo la tragedia sfiorata.

ggi è uno dei protagonisti del Trasporto e quello appena trascorso è stato un mese di lavoro per seguire i vari aspetti di competenza del proprio assessorato funzionali a garantire la migliore riuscita possibile della manifestazione.

al 1979 a oggi ne è passata tanta di acqua sotto i ponti e ne sono salite decine di corsa di Macchine verso il Monastero di Santa Rosa. Quasi quaranta trasporti, sono tanti quelli che hanno visto come protagonista, in un modo o nell’altro, Massimo Mecarini. Trentasette anni fa nel 1979 esordiva Spirale di Fede, indimenticata Macchina che seguì il mitico Volo d’Angeli. “Proprio trentasette anni orsono, nel 1979, ebbi la ventura di entrare a fa’ ’l Facchino come si dice a Viterbo, di varcare cioè la soglia del Gotha degli eletti”. Una chiamata col brivido per il presidentissimo, che doveva partire per il militare, ma non sapeva ancora quando. Per fortuna, dopo la chiamata e l’invito fatte ’l vistito!, scoprì quasi all’ultimo di poter effettivamente farlo il facchino in quell’anno. “La chiamata arrivò, ma con partenza l’undici settembre, destinazione Asti”. Fu il realizzarsi del sogno nato una quindicina di anni prima. “Ricordo con nitidezza il momento in cui ho visto la Macchina di Santa Rosa da bambino. Ero sulle spalle di mio padre in piazza del Comune. Era il 1964 ed era la struttura disegnata da Angelo Paccosi. Subito rimasi affascinato dall’imponenza della stessa, dalla forza di quegli uomini che la portavano. Decisi in quei momenti che un giorno sarei stato facchino”. E così è stato. Solo 15 anni dopo, nel 1979, Mecarini è diventato facchino. In questi 37 anni prima ha iniziato alle corde, poi è diventato Ciuffo, poi, una volta smesso ’l vistito, l’incarico da presidente del Sodalizio. “Ma posso affermare – ancora Mecarini – che quell’emozione, quelle vibrazioni, quella gioia che ho provato il 3 settembre 1979 rappresentano il leitmotiv che ha accompagnato e accompagna tuttora la mia carriera di facchino di Santa Rosa prima e di presidente poi, sensazioni uniche che custodisco gelosamente e che porterò con me tutta la vita”.

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“Ricordo il suo sguardo e il suo volto pallido. Mi disse che fu una cosa paurosissima. Ricordo di aver pensato che non avrei mai voluto dover vivere quei momenti. E invece eccomi qui a vivere la tensione e a farmi trasportare dal Trasporto”. Vivere il 3 settembre da sindaco è un qualcosa di unico, “è un momento irripetibile: c’è tensione, c’è l’identificazione con la Macchina e con la città, e poi c’è la suspense che il Trasporto esercita su di te. È un momento incredibile”. Tra tutti i momenti di Santa Rosa il sindaco Michelini sceglie quello della salita di santa Rosa. “È l’epilogo di una grande giornata, è il momento in cui termina la fatica dei Facchini e di chi segue la Macchina ed è un momento di sollievo”. Michelini ricorda poi il suo primo Trasporto. Era bambino, aveva 9 o 10 anni ed era appena arrivato a Viterbo da Pistoia, da dove si era trasferita la sua famiglia. “Era il 1959 o il 1960 e la Macchina era quella di Paccosi. Ho ancora una immagine impressa in mente. C’era mia nonna, anche lei arrivata da Pistoia, che vedeva il Trasporto con noi tra via Rosselli e piazza del Teatro. Ricordo che non appena vide la Macchina si mise a pregare. Mi colpì. Era chiaro che oltre a tutto si vive anche un forte senso religioso”.

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La festa del 3 settembre è sempre stata nella vita di Giacomo Barelli. Il ricordo più bello ci riporta al maggio del 1984. Un trasporto straordinario, alla presenza di quel papa formidabile che è stato Giovanni Paolo II. “Avevo otto anni e mi ricordo bene quel giorno. Ero lì, con altri bambini, su via della Casa di Santa Rosa, dove mio padre aveva un ufficio. In mano la bandierina bianca e gialla del Vaticano, che era stata distribuita. Poi l’arrivo della Macchina in salita, con i facchini sotto a spingere di corsa. Un vero colpo al cuore, ogni volta che mi torna in mente”. Oggi per lui il Trasporto è tutta un’altra partita e la Macchina gli ha regalato emozioni uniche, vissute in prima fila. Era con il presidente del Sodalizio Mecarini e il sindaco Michelini in quel di Baku quando la tradizione delle macchine a spalla ha ricevuto il titolo dell’Unesco. “Giornata indescrivibile, porterò sempre con me quell’esperienza”, racconta. “Così come sarà impossibile dimenticare la grande avventura di Fiore del Cielo a Expo 2015”. Il primo imprinting con la Macchina gli viene dalla bisnonna Lina: “Un suo nipote, Plinio Moretti, era cavaliere di Rosa. I viterbesi sanno che avere un facchino in casa è un grande onore e la prima emozione della festa l’ho sicuramente trovata e provata nei racconti su questo parente. Lo conobbi e per lungo tempo mi sono emozionato a individuarlo mentre sfilava con gli altri facchini le sere del tre”.

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la prima volta

L’ultima intervista di Nello Celestini: “Facchini mettetecela sempre tutta” ella storia del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa c’è un nome che rimarrà sempre nei cuori, quello di Nello Celestini. Classe 1946, uomo forte e deciso. È nei fatti il padre del Sodalizio, costituito nel 1978. Se ne è andato lo scorso anno, nel giorno di San Valentino. Così l’ultimo trasporto è stato in suo onore, con la girata di piazza Verdi a lui dedicata e il figlio Lorenzo commosso sotto la Macchina a prendere l’abbraccio dei viterbesi. Nel 2012 Celestini, nonostante gli acciacchi dell’età, accetta di recarsi negli studi di Radio Verde per un’intervista. Di fatto l’ultima intervista da lui rilasciata. Per l’occasione lo accompagnò il presidente del Comitato Festeggiamenti del Pilastro, quartiere di Nello, Angelo Loddo.

N “Non dimenticherò mai la prima volta da facchino”

Da quanti anni segue il Trasporto? “Dal 1946 non ne ho perso uno, ma da sempre questa tradizione viterbese mi ha bruciato dentro”.

Raffaele Ascenzi Ideatore di Gloria, attuale Macchina di Santa Rosa

Il ricordo più forte che ho del Trasporto risale al 1988, il mio primo anno da facchino di Santa Rosa. Ero addetto alle corde ed è viva in me come fosse ora l’emozione della sfilata verso San Sisto, ero in chiusura della formazione. La sensazione di quando arrivammo all’altezza di piazza Fontana Grande e si aprì davanti ai miei occhi la bellezza di Armonia Celeste non la scorderò mai”, così Raffaele Ascenzi.

Nel suo curriculum una Macchina che conquistò il cuore dei viterbesi: Ali di Luce. Il tentativo non riuscito di vincere ancora il concorso con Speranza e ora la grande avventura di Gloria. “La prima immagine che custodisco nella memoria del Trasporto appartiene invece alla mia infanzia – continua –. Ricordo la vista da una finestra sul Corso di Volo d’Angeli e la consapevolezza che là sotto quella mole c’era mio padre”. Scorrendo il suo libro di immagini e sensazioni ci tiene a fermarsi un attimo sulla prima volta da ideatore, con Ali di Luce pronta a partire da San Sisto. “Rimango senza fiato a ripensare a quello che ho provato arrivando alla partenza quell’anno. Poi mi girai per andare incontro ai facchini che stavano arrivando e mi trovai all’interno di uno specchio: guardandola attraverso i loro occhi”. 36

Come nasce l’idea di dare vita al Sodalizio? “Nasce per nostra volontà, da un comune sentimento dei facchini. Ogni facchino ha sempre avuto il suo modo di vedere le cose ma sull’importanza di darci un ordine tutti ci siamo trovati d’un sentimento dal primo minuto. È nato per evitare la confusione. A un certo punto ci siamo detti, guardandoci negli occhi: ‘Qui bisogna fare uno statuto e chi manca alle regole che intendiamo darci deve essere escluso’. Ricordo l’entusiasmo e la bellezza di quei giorni. Mi chiamò Rosato Rosati e mi disse: ‘Solo tu puoi fare il Sodalizio’. Da quel momento ci siamo messi al lavoro ed è venuto fuori tutto il resto”. Chi ha costruito con lei il Sodalizio? “Mi ha aiutato a scriverlo il dottor Scipio. Ho pensato subito a lui perché era bravo a fare questi lavori. Ci siamo messi a lavorare insieme, io ho insistito tanto sull’ordine, sulla serietà. Uno quando porta una divisa la deve portare bene. La divisa del facchino è importante, a questa divisa la città vuole bene e quindi bisogna rispettarla sopra ogni cosa. Lo statuto recita bene e disciplina tutto il necessario. L’idea di fondo è che chi ne fa parte deve capire che indossa una divisa, come quella che portavo io da ‘marinaro’. E la deve portare con tutti i crismi”. Cosa è Santa Rosa per la sua vita? “Quando ho cominciato a leggere che Federico di Svevia era stato in guerra con Santa Rosa io mi sono messo subito con Santa Rosa. L’imperatore ne combinò tante nel Viterbese e fuori. Santa Rosa ha avuto il coraggio di difendersi e ha difeso anche Viterbo. Da sempre ho avuto questa passione. La Macchina di Santa Rosa è un simbolo indescrivibile. Io ho ereditato il sentimento di mio nonno, facchino di prima fila. Un compare che conosceva bene mio nonno un giorno mi disse: ‘Perché non vieni a portare la Macchina?’. Avevo 21 anni e risposi: ‘Forse è presto’. E subito dopo: ‘Dove devo venire a fare la prova?’. Andai, c’era lui, c’era Papini. Mi ricordo di un fiaschetto tutto rotto, dove mettevano il vino. È nato questo amore. Papini mi disse: ‘Tuo nonno è

una prima fila ciuffo e non posso fare a meno di prenderti. Innanzitutto perché non ti manca niente”. Il Sodalizio nasce in parte dal Consorzio? “Il Consorzio ha fatto la sua parte. Era l’unica carovana facchini che esisteva ed ebbe un coinvolgimento forte dopo il primo trasporto di Volo d’Angeli che finì male. Ricordo ancora le parole del costruttore Zucchi: ‘Vado a Civitavecchia e prendo i facchini’. Per me fu una botta, era necessario reagire. Ho portato su tutti i facchini del Consorzio. So venuti tutti su per Nello. Gente forte, tipo Tobia che portava tre quintali a ridere. Ricordo che andai da Zucchi e dissi: ‘Quando vogliamo fare una sfida con le balle di grano con quelli di Civitavecchia io sono tutto pronto. Basta che me dici quando. Ma non dire più che quelli di Civitavecchia possono sostituire quelli di Viterbo’”. La forza è un elemento chiave, per testarla avete istituito le prove di portata. Come nasce il tutto? “Tutti abbiamo scelto che bisogna portare un quintale e mezzo. Quelli che ce la fanno vengono presi. Chi non riusciva andava perso ma si allenava perché ci voleva stare per forza. Si sono svolte sempre nella chiesa della Pace, facevamo strisce da trenta metri da ripetere tre volte. Novanta metri con questa cassetta pesante sulle spalle. Stiamo pensando di aumentare il peso, la gioventù attuale che crede nella Macchina di Santa Rosa si allena durante tutto l’anno. Sono venuto a sapere che un fabbro ha fatto 53 cassette, distribuite per quartieri e questi provano in continuazione per farsi trovare pronti”. Secondo lei che rapporto c’è tra la città e Santa Rosa? “I viterbesi sono attaccatissimi. Io gli ultimi anni da capofacchino sentivo le grida e gli aiuti dei viterbesi. Quella volta del Volo d’Angeli che si è fermata per noi è stata una botta grossissima. Tanto è vero che decidemmo di fare il percorso ugualmente senza Macchina per tranquillizzare le famiglie. E quando siamo arrivati all’altezza della salita un gruppo di romani, non potevano essere viterbesi, dissero ‘eccoli i fiacchini’. Le pappate che hanno rimediato. Non poche. Sono dovuto andare in mezzo a dividerli, altrimenti a Roma ci tornavano male”. Il trasporto più bello? “Non farei una classifica. Per me sono stati tutti sofferti, per cercare di fare sempre più bella figura. Non ce n’è uno meglio e uno peggio”. Il momento più emozionante di ogni Trasporto? “Per me è sempre la salita di Santa Rosa. Man mano abbiamo trovato accorgimenti tecnici molto funzionali e capaci di agevolare l’ultimo sforzo. Tutto gestito dai facchini in divisa. La Macchina di Santa Rosa per la salita di Santa Rosa è meravigliosa”. Cosa vuole dire ai suoi facchini? “Mettetecela sempre tutta e dite sempre Viva Santa Rosa, più che potete”.

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santa rosa

la fiaccola

Lux Rosae Da Assisi a Viterbo un messaggio di pace.

l 3 settembre rappresenta per i Viterbesi il ripetersi di una tradizione che dura da centinaia di anni. Come tutto ciò che dura da tanto tempo, anche il trasporto ha finito per evolversi e adattarsi al passare dei secoli. È così che una ricorrenza dal valore religioso ha dato poi sfogo all’estro artistico dei costruttori che si sono succeduti, ha visto cambiare il percorso a seconda di come mutava il reticolo di strade cittadino, il tutto mentre migliaia di uomini vestiti di bianco e di rosso si avvicendavano sotto il peso delle macchine. Oggi la Macchina di Santa Rosa è molto più di una manifestazione del folklore locale, perché le tradizioni non si toccano, ma per sopravvivere possono e anzi devono innovarsi.

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È stato così che l’anno scorso si è unita una nuova iniziativa, e lo ha fatto senza ombra di dubbio per rimanere e per diventare anch’essa tradizione. Lo sforzo unisce, ce lo ricordano ogni anno i facchini, mossi da un intento comune, perché con cinque tonnellate sulla schiena singolarmente non riuscirebbero a muovere un passo. Quale sforzo unisce maggiormente di quello sportivo? Lux Rosae è una fiaccola, una parte integrante della Macchina in quanto anch’essa disegnata dall’ideatore di Gloria, Raffaele Ascenzi, anch’essa ad alta tecnologia essendo stata realizzata con una stampante 3D. Ma soprattutto è una staffetta, composta da 18 persone, un numero simbolico che ricorda l’età di Santa Rosa, che si alternano sul percorso che divide un luogo sacro dalla Macchina. L’anno scorso fu San Pietro, con la fiac38

cola benedetta dal Papa in persona, per questa seconda edizione la staffetta partirà da Assisi. Un totale di 130 chilometri, cinquanta in più rispetto all’anno scorso, che si sposano perfettamente con i 700 metri aggiuntivi che i facchini, dopo essere giunti a piazza Verdi, percorreranno in via eccezionale lungo viale Marconi. Gli organizzatori Rodolfo Valentino, Giuseppe Tenti, Enrico Alfonsini e Bruno Buzzi, l’anno scorso portatori della fiaccola in prima persona, seguiranno i corridori lungo tutto il percorso e cureranno tutti gli aspetti logistici affinché la fiaccola arrivi in tempo. Sono infatti ben 12 i nuovi partecipanti, tra cui il campione paraolimpico di handbike, Mauro Cratassa. È stata scelta Assisi in quanto simbolo di pace, per porre una chiara contrapposizione ai drammatici atti di terrorismo che stanno sconvolgendo il mondo. Di comune accordo con padre Giovanni, vicario generale del Sacro Convento di Assisi, la fiaccola verrà benedetta sulla tomba di San Francesco assieme a una pianta di olivo che poi verrà piantata nel giardino del monastero di Santa Rosa. La fiaccola invece, una volta giunta a destinazione, verrà posta su un apposito supporto presente sulla macchina, che la ospiterà per tutta la durata del trasporto. La staffetta, così come il trasporto tutto, verrà dedicata alla memoria di Nadia Benedetti, imprenditrice viterbese scomparsa tragicamente nell’attentato di Dacca.

I diciotto atleti che si alterneranno nella staffetta Andrea Belli Mauro Cratassa Andrea Di Luisa Maurizio Federici Andrea Gasbarri Paola Guercio Ettore Isidori Marco Laurenti Luca Laureti Simona Laureti Marcello Maggini Leonardo Mastronicola Andrea Menghini Angelo Minuto Giuseppe Mura Susanna Pecoroni Patrizio Rosi Susanna Sorrini

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