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PROSPEZIONE AL RIO CAQUETÀ, COLOMBIA Francesco Sauro Il “Progetto Quarziti”, nato già nel 1993, sta espandendo il suo campo d’azione, focalizzando i propri sforzi su aree inesplorate del continente Sud Americano. Da molti anni stavamo seguendo la situazione della Colombia e in particolare della zona dell’Amazzonia colombiana, dove si estendono i limiti più occidentali dello Scudo della Guyana. Questi sono rappresentati dai due massicci della Sierra Macarena e della Serrania del Chiribiquete. Ad oggi nessuna di queste aree è stata studiata da spedizioni speleologiche, nonostante il potenziale esplorativo e scientifico sia senza dubbio altissimo. Tuttavia sono luoghi molto remoti, con una logistica perfino più complessa dei tepui venezuelani e brasiliani. Il Parco Nazionale del Chiribiquete è inoltre la zona protetta di selva più grande al mondo, famosa per la presenza di pitture rupestri tra le più antiche documentate nelle Americhe. Quest’anno finalmente si è aperta la possibilità di effettuare una prospezione in queste aree così remote, focalizzando l’attenzione sulla zona del Rio Caquetà, a sud del Chiribiquete. A inizio febbraio 2020, un gruppo di cinque persone è partito con un Cessna dalla città di Villavicencio: Francesco Sauro e Daniela Barbieri per La Venta, due speleo americani, Dan Straley e Brady Merrit, e un biospeleologo dell’Instituto Humboldt, Carlos Lasso. L’obbiettivo era raggiungere la pista di Araracuara nel dipartimento Caquetà e da lì i villaggi della riserva indigena Monochoa per iniziare una discussione su possibili spedizioni speleologiche nell’area. La regione controllata da questi indigeni comprende la parte meridionale del massiccio di quarzite del Chiribiquete, ma al di fuori del Parco Nazionale. Pertanto gli indigeni hanno autorità assoluta e possono decidere se permettere ricerche nell’area. Tuttavia la situazione di questa regione non è ancora del tutto tranquilla, perché l’area è saltuariamente visitata
anche dalle milizie rivoluzionarie delle FARC e dai paramilitari, pertanto bisogna muoversi con assoluta cautela. L’area era inaccessibile fino a tre anni fa, proprio per la massiccia presenza di FARC e narcotrafficanti (negli anni ottanta su queste montagne si trovava “tranquilandia” la città laboratorio di Escobar, poi bombardata dall’esercito). Gli americani Dan Straley e Brady sono riusciti a entrare in contatto con il capo tribù monochoa, Rogelio, tramite un kayakista colombiano, Jules Domine, che sta facendo un documentario sull’area e in particolare sui tre grandi “chorros” (rapide) che caratterizzano il Rio Caquetà (Araracuara e Angostura) e il Rio Yarì (Gamitana).
Il biologo Carlos Lasso dialoga con Marcelino, uno dei saggi della comunità Monochoa, all’interno della grande capanna “maloca” comunitaria