PASSAGGIO A BOVISA
Quanto è capace una città di esporsi alla presenza della gente che la abita?
Nel cuore pulsante della periferia Nord di Milano, nei margini esausti dei suoi confini labili ho segnato l’incedere del mio passaggio, ritrovando nel passo il segreto del quartiere Bovisa.
Ho osservato la sua natura a prima vista ostile interrogandomi sui suoi paesaggi nascosti e ostili, le tracce di verde abbandonato e recuperato. I vuoti delle strade, brandelli di case e fabbriche grigie di fumo.
Oltre il mio sguardo ha scorto la sua vera essenza, oltre i giardini segreti, oltre le impronte culturali lasciate dall’uomo, al di là delle mura di cinta che includono la vista al di fuori ma escludono la reale assimilazione con l’esterno.
Ma quale confine separa l’integrazione dalla semplice convivenza? Qual è il nostro grado di partecipazione?
Dove l’occhio sfugge alla comprensione il passo può imporsi di ritrovare lo spazio dimenticato, l’altrove sempre prossimo ma comunque lasciato andare, ormai perso.
Quasi come se luoghi così diversi, ma anche vicini, vivessero la stessa radice di esperienza. Dove lo stesso fine del camminare sia rivolto alla meta ineluttabile del camminare stesso. Perché tu possa dimenticare in fondo qual era all’inizio del viaggio il tuo punto di arrivo e lasciare solo per pochi attimi che sia l’azzardo a delineare le tue tracce, disegnando le orme salde del tuo calpestio.
Eppure io credo che i ricordi della gente siano in grado di ritrovare il colore di queste pareti sbiadite. Il sudore di chi ci ha lavorato, il calore di chi ci ha vissuto o chi di passaggio ha consumato le strade attorno, là dove l’abitudine ha stinto lo sguardo. Basta forse un palmo della mano leggero, poggiato perchÊ si scateni nuovamente il percorso, e tramuti questo vuoto in ricordo.
Non ho conservato di questo viaggio parole degne, se non frasi sussurrate tra i denti di tutte le persone che ho conosciuto e voluto ritrarre. Labili quasi quanto la sensazione fredda dell’aver perso il momento esatto di un cambiamento.
Se i ricordi sono velati dal tempo, anche la lingua s’intorpidisce e non trova verbo che racconti, che spieghi qual era il nostro ruolo, per dirci dov’è stato com’è accaduto, o meglio dov’è che abbiamo mancato.
Allora mi rendo conto che tra tutti i quartieri di Milano, la Bovisa è forse il più milanese che ci sia. Per la sua trasparenza, la sua ritmica impalpabilità che rivela solo a pochi la sua appartenenza alla città, la sua vitale aderenza al suolo di Milano. Una illusione che veste la corona disadorna della quiete, nel nome di una malinconia priva di suono che ricorda ad ogni passo percorso un taglio, una lunghezza spezzata.
Lo scalzo incedere di un’attesa che divora e non restituisce, nulla più.
LU CA IOVINO Milano
2015
www.lucaiovino.it