Raccontare la complessitĂ Leonardo Lovecchio
Politecnico di Torino - FacoltĂ di Architettura corso di : Aspetti elementari della complessitĂ , a.a 2011/2012 Relatore: Prof. Lamberto Rondoni Studente: Leonardo Lovecchio
indice - Introduzione
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- 1|Caratteri della complessitĂ
pag 6
- 2|Metodi e modelli
pag 12
- 3|Un metodo pratico: il linguaggio dei pattern
pag 18
- 4|La città non è un albero
pag 24
- Conclusioni
pag 28
introduzione Il tentativo espresso da questo lavoro è, come suggerisce il titolo, quello di raccontare in che modo l’ambiente, inteso come spazio anche virtuale, sia caratterizzato dalla presenza di strutture complesse. Nel primo dei quattro capitoli sono riassunti e sommarizzati i principali caratteri che è possibile riscontrare nei fenomeni complessi, nel secondo si prendono in analisi diversi approcci, alla ricerca di un possibile metodo o modello capace di descrivere o simulare una struttura complessa. I capitoli tre e quattro fanno riferimento ai lavori di Christopher Alexander(1), il quale a partire dagli anni 60 ha tentato di elaborare un vero e proprio linguaggio capace di codificare la complessità che ci è attorno; un linguaggio che costituisce la base di un metodo globale (utilizzabile ad ogni scala) di pianificazione, progettazione, costruzione e gestione, di una casa come di una città. A tale proposito sono stati presi in considerazione due scritti di Alexander: Notes on the Synthesis of Form (1964), e A Pattern Language, (Oxford University Press, 1977). Nel primo, l’autore, tenta di descrivere in quale modo il processo di costruzione della forma sia influenzato dal problema che quella forma è chiamata risolvere, mentre, con l’elaborazione del linguaggio dei patterns, egli formula un vero e proprio metodo di progettazione-gesione della complessaità. Il saggio si conclude con delle considerazioni personali su come gli argomenti discussi costituiscano un apporto importante nell’arricchimento della linguistica in Architettura.
1 | Caratteri della complessità
Quando si parla di complessità è necessario tenere sempre conto che, con il termine ‘complesso’, si intende qualche cosa che è irriducibile ad una sua esatta descrizione formale, mentre invece un sistema ‘solo complicato’ è un sistema che non consente descrizioni rapide. Complesso, dal latino complexus, participio passato di complecti, abbracciare, comprendere, intrecciare.
Complicato, dal latino complicatus, participio passato di complicare, piegare insieme.
Herbert Simon nel suo libro Le scienze dell’artificiale considera complesso “un sistema composto da un gran numero di parti che interagiscono in modo non semplice. Nei sistemi complessi quindi l’insieme è qualcosa di più della somma delle parti, non in senso ultimo, metafisico, ma sul piano pragmatico per cui non è semplice dedurre le proprietà del tutto dalle proprietà delle parti e dalle leggi della loro interazione”. Per cominciare, quindi, la molteplicità (un gran numero di parti) e’ certamente un attributo caratterizzante la complessita’.
Molteplicità
E’ importante sottolineare che la complessità di un fenomeno dipende dalla compresenza di molteplicità e di autonomia. A riguardo Niklas Luhmann introduce elementi ulteriori nella caratterizzazione della complessità; egli infatti afferma che “un fatto è complesso se consiste di così tanti elementi che questi si possono mettere in relazione reciproca solo selettivamente. La complessità presuppone cioè un processo di riduzione che è basato su un criterio di selezione interno a ciò che stiamo osservando”.
Irriducibilità ed Autonomia
Nei fenomeni complessi quindi la molteplicità è sempre associata ad una altra proprietà che distingue in essi una organizzazione irriducibile all’osservazione. L’osservatore può solo riconoscere che nel fenomeno in esame, tra le molteplici relazioni possibili, solo alcune sono attualizzate, ma non può individuare precisamente in base a quali regole avviene la selezione. Possiamo attribuire questa irriducibilità alla emergenza di una qualche forma di autonomia in ciò che si sta osservando. L’autonomia infatti è la proprietà che caratterizza quei fenomeni che si governano secondo leggi che dipendono solo da essi stessi, che cioè sono autoreferenziali nel definire sia i loro comportamenti possibili che le leggi che definiscono quelli possibili. Caratteristiche processuali
Il principale processo che avviene tra le componenti di un sistema complesso è il feedback (o retroazione). Con questo termine si intende il processo per cui una componente del sistema che agisce su una seconda componente, sempre appartenente al sistema, provoca a sua volta una azione della seconda sulla prima. I feedback possono essere positivi o negativi, causare cioè retroazioni inibitorie o eccitatorie, che influiscono sull’andamento del sistema. La prima componente può stimolare la seconda anche indirettamente, in funzione del grado di complessità del sistema. Questo processo permette ai sistemi di raggiungere un equilibrio e stabilizzarsi, oscillando intorno ad un punto di equilibrio (equilibrio dinamico).
feedback negativo
Nel feedback negativo la prima componente ne stimola una seconda, che a sua volta inibisce la prima. Negli organismi viventi l’equilibrio dinamico ottenuto attraverso il feedback negativo prende il nome di omeostasi. In natura il feedback negativo permette alle specie di coesistere. L’equilibrio dinamico
tra prede e predatori, per esempio, è determinato dal feedback negativo; le equazioni che descrivono questa doppia oscillazione sono state formulate da Alfred Lotka e Vito Volterra negli anni 1925 - 1926. Nel feedback positivo la prima componente ne stimola una seconda, che a sua volta stimola la prima:
feedback positivo
Il feedback positivo è un processo estremamente potente che può far “esplodere” un sistema, con conseguenze importantissime inquanto allontana i sistemi dall’equilibrio. Negli organismi il feedback positivo prende il nome di autocatalisi. Questa avviene quando il prodotto di una reazione chimica favorisce (catalizza) la reazione stessa; nei rapporti tra gruppi o nazioni, invece, è il processo che spiega la cosiddetta escalation simmetrica. Le componenti di un sistema complesso interagiscono tra loro formando una rete di interazioni non lineari. All’interno della rete, si intrecciano processi di feedback negativo e processi di feedback positivo. Le interazioni tra le componenti, da un lato, e tra il sistema e l’ambiente, d’altro lato, determinano variazioni nei valori assunti dalle variabili del sistema nel corso del tempo, causando perciò una evoluzione del sistema stesso.
interazioni non lineari
Questo principio introduce l’elemento essenziale della teoria sistemica: il network. Tale elemento disegna lo schema organizzativo di un qualunque sistema attraverso un insieme di relazioni e interconnessioni dinamiche che intercorrono tanto tra le componenti interne che tra queste e l’ambiente esterno. Il network dunque diviene elemento essenziale per comprendere non solo i principi fondanti delle scienze ecologiche o sociali, ma anche di altre branche sci-
il network
ridondanza resilienza adattamento organizzazione bottom-up
entifiche ove questi principi organizzativi, strutturati attorno alla matematica della complessità (frattali, teoria del caos, etc.), possono essere applicati. La configurazione a rete permette di evidenziare qualità fondamentali dei sistemi complessi adattivi, come: la ridondanza (nessun elemento è indispensabile); la resilienza (resistenza alle perturbazioni); la capacità adattiva (adattamento all’ambiente); l’auto-organizzazione (organizzazione bottom-up delle componenti). In seguito vedremo come tali principi possono applicarsi ai sistemi urbani: e ciò non solo per meglio comprendere le dinamiche evolutive, ma anche per gettare le basi scientifiche per una nuova modalità progettuale.
2 | Approcci e modelli Un sistema può essere descritto in molti modi diversi. Scegliere le variabili di stato con cui descrivere un sistema significa costruire un modello del sistema. I modelli matematici servono a rappresentare per analogia semplificata la realtà fisica. Non esiste dunque “il” modello di un fenomeno fisico, i modelli possono differire: per gli aspetti fisici presi in considerazione, per gli strumenti matematici impiegati nella loro formalizzazione. I modelli devono spiegare i fenomeni a partire dai loro aspetti fisici caratterizzanti; non si devono limitare a riprodurre un singolo fenomeno: un modello che riproduca un singolo specifico fenomeno non spiega, al massimo riformula un problema. Nel caso dei sistemi complessi, la costruzione di un modello adeguato è uno dei grandi problemi da affrontare. In generale: più un sistema è complesso più variabili di stato occorrono per descriverlo.
non esiste “il” modello
A partire dalla scoperta delle forme molteplici che assume una particolare fenomenologia, la descrizione della complessità formula da una parte l’espressione linguistica della limitatezza di ogni sua descrizione, dall’altra una gamma di molteplici viste parziali che fanno luce su diversi aspetti significativi del fenomeno, senza esaurirlo. Una particolare attenzione spetta al tema dell’osservatore, della inseparabilità tra l’osservazione ed il punto di vista da cui la si compie. Differenti approcci consentono di osservare i fenomeni attraverso lenti diverse, dove sostanzialmente si passa da visioni piu riduzioniste, a visioni piu ricche di informazioni. Ogni approccio ha una propria utilità a seconda del compito che è chiamato a risolvere; nel primo caso la maggiore semplificazione del problema richiede un minore impegno in termini di tempo
molteplici viste parziali
ed energie, può efficacemente condurrealla risoluzioni di problemi complicati, ma non riesce a spiegare il funzionamento di sistemi complessi; la vera “sfida della complessità” consiste appunto nel poter giungere ad una comprensione più profonda della realtà. approccio riduzionista
L’approccio riduzionista, elaborato da Herbert Simon nella teoria della razionalità limitata, spiega la complessità dei comportamenti umani attraverso la combinazione di un criterio semplice (quello della razionalità) e dei fattori che rendono quel criterio inadeguato. Dunque uno schema gerarchico, razionale, semplice, viene messo in relazione con fattori esterni che possono indicare l’effetiva presenza di certi requisiti.
approccio morfologico
Segna invece un radicale spostamento paradigmatico quello che De Michelis indica come approccio morfologico alla complessità. In questo caso quella che si vuole mettere in luce è la forma che assume la complessità del fenomeno di fronte all’osservatore. Si tratta di andare oltre la mera descrizione della complessità di un fenomeno mostrando come le molteplici dimensioni che ne caratterizzano l’evoluzione dinamica si relazionano generando reciprocamente forme di non determinatezza. La forma della complessità di un fenomeno è quindi la forma che esibisce la sua discontinuità in un particolare dominio di osservazione, in dipendenza dei valori che assumono i parametri in una altra delle sue dimensioni caratterizzanti. Ne sono un esempio i modelli utilizzati per rappresentare i frattali, i processi caotici, i processi dissipativi, le catastrofi, i quali, pur senza fornire descrizioni quantitative, mostrano in termini qualitativi la forma che possono assumere i fenomeni di quel tipo, di fronte ad un osservatore.
Una rottura ancora piu radicale è quella su cui si fonda l’approccio genetico alla complessità. Da questo punto di vista l’attenzione si concentra sui meccanismi locali attraverso cui si genera la complessità. Il fenomeno viene analizzato a partire dalla molteplicità che lo caratterizza, in base alle relazioni che legano tra loro le diverse componenti e in base alla specifica forma di autonomia di queste ultime. L’autonomia di ciascuna componente impone di concepire le relazioni tra di esse secondo lo schema <perturbazione - compensazione>, evitando qualunque forma di sua riduzione a schemi deterministici del tipo <input-output>. Si può affermare che un sistema, attraverso un processo di adattamento, evolve in uno stato di equilibrio, nuovamente dinamico, “informando se stesso” attraverso il meccanismo retroattivo del feedback. Lo schema <perturbazione-compensazione> infatti consente di caratterizzare insieme, ma solo localmente, l’autonomia delle singole componenti e le loro relazioni reciproche. L’approccio genetico alla complessità ha avuto la sua prima formulazione nella spiegazione dei sistemi viventi in termini di autopoiesi da parte di Humberto Maturana e Francisco Varela (Maturana, Varela 1988), che ha dato un rilevante contributo al passaggio dalla prima alla seconda cibernetica: al centro della prima cibernetica vi erano infatti “il controllo e la comunicazione nelle macchine e negli animali” (Wiener 1968; De Michelis 1985), mentre la seconda sposta la sua attenzione sui sistemi dotati di proprietà riflessive: sistemi che si auto-organizzano, sistemi che si auto-osservano, sistemi insomma che fanno riferimento a se stessi nei loro comportamenti (von Foerster 1987; Bocchi, Ceruti 1985; De Michelis 1995a). Maturana e Varela concepiscono i sistemi viventi come macchine autopoietiche, come macchine cioè capaci
approccio genetico
di mantenere la loro identità (la loro organizzazione) modificando la loro struttura (attraverso processi di generazione, trasformazione e distruzione delle loro stesse componenti) per compensare le perturbazioni dell’ambiente in cui sono immerse. L’autopoiesi è quindi la caratteristica qualitativa che contraddistingue il vivente: essa non ci spiega alcun essere vivente, essa ci spiega però la possibilità del vivente. L’approccio genetico alla complessità (proprio a partire dalla nozione di autopoiesi di Maturana e Varela) ha avuto e sta avendo una influenza assai profonda sulle scienze sociali e sulle discipline organizzative. metafora come modello qualitativo
Come si è detto sono numerose le modellizzazioni utilizzate per rappresentare le molteplici forme che i fenomeni complessi assumono. Il celebre studio di Gareth Morgan utilizza le metafore che sono usate nel parlare dell’organizzazione, per raccontare la complessità di certi fenomeni. L’approccio riduzionista si presenta generalmente organizzando il discorso intorno alla metafora della macchina oppure a quella del cervello come elaboratore di informazioni. L’approccio morfologico organizza invece il discorso attorno alle metafore di tipo biologico (organismo, cervello come sistema) o sociale (cultura, gioco). L’approccio genetico, infine, ha al suo centro le metafore sociali, che naturalmente aderiscono alla sua fenomenologia. La metafora, pur dandoci la sensazione di poter afferrare il funzionamento di un sistema, non è sufficiente a spiegarne i processi interni. Si tratta di un modello, quindi già semplificato rispetto al fenomeno reale, di tipo qualitativo. Il metodo della complessità prevede due ulteriori passi: implementare la simulazione al computer e trarre inferenze applicabili alla realtà.
Per passare dal modello alla simulazione occorre: – Stabilire un criterio per assegnare un valore numerico ad ogni elemento del modello. – Formalizzare le regole d’interazione tra gli elementi (quantificati) del modello – Creare il software di simulazione Il cervello è stato uno dei primi sistemi complessi simulato al computer. Le reti neurobiologiche del cervello, si prestano ad essere simulate tramite modelli formali a rete, i quali prendono il nome di reti neurali: • Una rete neurale è formata da nodi e connessioni. • Ad ogni unità (o nodo) della rete è assegnato un valore numerico (stato). • Ad ogni connessione è assegnato un valore numerico (peso). Lo stato di un’unità ad un certo istante è una funzione matematica non lineare della somma degli stimoli ricevuti dall’unità in quell’istante, dove, a determinare lo stimolo trasmesso da una unità afferente, concorrono lo “stato” di quella unità ed il “peso” assegnato alla connessione. In questo caso anche il tipo di connessione informa il sistema: • I pesi possono essere positivi (connessione eccitatoria) o negativi (connessione inibitoria). • I pesi sulle connessioni possono cambiare nel tempo, in base alla capacità adattiva del sistema. Nel modello delle reti di Hopfield le unità sono binarie, cioè possono assumere solo due stati: 0 e 1, come lampadine (spento/acceso). Gli studi elaborati sulla base di questo modello hanno portato ad osservazioni di grande importanza. Ad esempio si è scoperto che il funzionamento di una rete dipende in larga misura dal numero di connessioni e dal diverso peso che queste possono assumere.
reti neurali
3 | Un metodo pratico: il linguaggio dei pattern “A pattern language” è una sorta di manuale pratico per l’organizzazione della progettazione, scritto sulla fine degli anni 70 dall’architetto austriaco Christopher Alexander in collaborazione con il matematico Nikos Salingaros, nel quale si propone un nuovo approccio teorico all’architettura capace di risolvere i problemi comuni delle città attraverso 253 pattern. “ Ogni pattern riguarda un problema che si presenta in modo ricorrente nel nostro ambiente e ne descrive il nucleo della soluzione in modo tale che sia possibile usare questa stessa soluzione un milione di volte senza mai realizzarla allo stesso modo.”
problema e soluzione
In sostanza si tratta di una serie di regole strutturali atte a definire un codice, un linguaggio appunto, attraverso il quale è possibile scrivere un programma. “I pattern sono ordinati, a partire da quelli di ordine superiore, che riguardano regioni e città, fino a quelli che riguardano quartieri, gruppi di edifici, singoli edifici, ambienti, spazi interni e dettagli costruttivi. {…} Quello che più importa di questa sequenza è che si basa sui collegamenti tra pattern. Ogni pattern è collegato ad alcuni pattern superiori che lo precedono nel linguaggio, e a certi pattern inferiori che lo seguono. Un pattern aiuta a completare i pattern superiori che lo precedono, ed è completato dai pattern inferiori che lo seguono.”
regole strutturali
La metodologia del Pattern Language prevede una successione gerarchica di elementi, i quali si connettono alle differenti scale di dettaglio aggregandosi in strutture non gerarchiche, più simili ad una rete.
successione gerarchica struttura non gerarchica
elementi del linguaggio
L’elenco dei pattern comincia dagli elementi del linguaggio che definiscono una città o una comunità, definiti pattern globali. “Questi pattern non possono essere disegnati o costruiti in un colpo solo: una paziente crescita attuata per parti, progettata in modo che ogni singola scelta contribuisca sempre a creare o generare questi stessi pattern potrà, lentamente ma fermamente, attraverso gli anni, costruire una comunità che contenga al suo interno questi pattern globali.” 1. REGIONI INDIPENDENTI 2. LA DISTRIBUZIONE DELLE CITTA’ ... 93. CHIOSCHI DI GENERI ALIMENTARI 94. DORMIRE IN PUBBLICO
Segue quella parte del linguaggio che dà forma a gruppi di edifici, a singoli edifici in pianta e in tre dimensioni. I pattern contenuti in questa sezione sono quelli che possono essere “progettati” o “costruiti”, che definiscono edifici singoli e lo spazio tra gli edifici. 95. COMPLESSO DI EDIFICI 96. NUMERO DI PIANI ... 203. NASCONDIGLI DEI BAMBINI 204. LUOGO SEGRETO
L’ultima parte del linguaggio riguarda come rendere un edificio costruibile direttamente a partire da questo schema approssimato di spazi, e spiega come costruirlo fisicamente nel dettaglio. 205. STRUTTURA CHE RISPECCHIA GLI SPAZI SOCIALI 206. STRUTTURA EFFICACE 207. MATERIALI DI BUONA QUALITA’ ... 251. SEDIE DIFFERENTI 252. CONI DI LUCE 253. COSE DELLA TUA VITA
Questo meccanismo ci consente di elaborare una grande quantità di informazioni in maniera ordinata. “L’obiettivo è il mantenimento di un ordine globale attraverso un processo progettuale capace di pianificare uno sviluppo equilibrato tra i bisogni delle varie componenti sociali ed il sistema territoriale locale.” A tale scopo Alexander enuncia i principi che consentono la corretta pianificazione e costruzione di una comunità: - Principio dell’ordine organico (la pianificazione e la costruzione devono essere guidati da un processo che consente di raggiungere l’unità gradualmente a partire da azioni locali) - Principio della partecipazione (tutte le decisioni su cosa deve essere costruito e come deve essere costruito devono essere controllabili dagli utenti) - Principio della crescita per parti (la costruzione dovrà essere orientata verso piccoli progetti) - Principio dei pattern (tutti i progetti e le costruzioni saranno guidati da una serie di principi di piano adottati dalla comunità) - Principio della diagnosi (il benessere dell’insieme sarà protetto da una diagnosi annuale che spiega nel dettaglio quali spazi sono utilizzati e quali no in ciasun periodo dell’anno) - Principio del coordinamento (l’ordine organico dell’insieme verrà garantito dal processo di finanziamento che regola il flusso dei singoli progetti proposti dagli utenti)
sviluppo equilibrato
In chiusura, il testo, non manca di evidenziare le implicazioni culturali scatenate dalla nascita di un nuovo linguaggio. società vitale
«{…} ogni società vitale e coesa avrà un suo linguaggio di pattern specifico e distinto; inoltre, ogni individuo, nell’ambito di ogni società, avrà un linguaggio specifico, articolato in parti ma di fatto unico per colui che lo possiede. In questo senso, in una società vitale esisteranno tanti linguaggi dei pattern quante sono le persone, anche se questi linguaggi saranno simili e condivisi. Sorge allora spontanea la domanda: Qual è esattamente il ruolo del linguaggio qui illustrato?In quale quadro mentale, e con quali intenzioni, abbiamo descritto questo specifico linguaggio? Il fatto che sia stato pubblicato in un libro vuol dire che molte migliaia di persone potranno usarlo: ma nonc’è il rischio che queste stesse persone finiscano con l’affidarsi esclusivamente a questo solo linguaggio (pubblicato), invece di cercare di sviluppare i loro linguaggi specifici, nella loro mente?
processo sociale
Il fatto è che noi abbiamo inteso scrivere questo libro come primo passo di un ampio processo sociale che consentirà alle persone di acquisire gradualmente consapevolezza dei loro specifici linguaggi dei pattern e di lavorare per migliorarli. Crediamo {…} che i linguaggi che le persone hanno oggi siano molto brutali e così frammentari che la maggior parte delle persone non posseggono di fatto più alcun linguaggio: ciò che possiedono è un linguaggio che non è fondato sulle esigenze dell’uomo e della natura»
4 | Una città non è un albero Nel 1964 Alexander scrive un fortunatissimo libro intitolato “Notes on the Synthesis of Form”, nel quale propone un modo di rappresentare i problemi della progettazione, che ne rende più facile la soluzione. Egli sostiene che: “Quando parliamo di progettazione il vero oggetto della discussione non è solamente la forma, ma l’insieme che comprende forma e contesto. L’esattezza della forma dipende dal grado in cui questa è rispondente al resto dell’insieme. La forma è la soluzione al problema; il contesto definisce il problema.”
forma
Il problema fondamentale è dunque quello di descrivere il contesto nel suo insieme, evidenziando le possibili relazioni tra i suoi elementi. Ma come?
contesto
Come appendice conclusiva a “Note sulla sintesi della forma” Alexander scrive un interessante articolo intitolato: “Una città non è un albero”. In questo testo egli esamina i caratteri delle città “artificiali”, prodotte cioè da una cultura autocosciente, confrontandoli con quelli delle città storiche, costruite per adattamento nel corso del tempo, caratteristiche delle culture non autocoscienti.
cultura autocosciente
E’ subito evidente come le prime sono strutturate in maniera gerarchica, centralizzadetta, “ad albero”, mentre i secondi presentano molte più sovrapposizioni, una interconnessione maggiore tra i singoli elementi, in definitiva si presentano come sistemi complessi.
città artificiali “ad albero”
“semi-lattice”
Le strutture centralizzate sono limitate e limitanti se applicate alla pianificazione della città, tanto che negli ultimi tempi va sempre più diffondendosi una tendenza a riscontrare nelle città artificiali la mancanza di requisiti essenziali. Le nostre esigenze attuali richiedono un livello di complessità molto maggiore rispetto a quello rappresentabile da strutture ad albero. Alexander propone modello diverso, una rete tridimensionale definita ‘semi-lattice’ (non diversamente dal sistema distribuito sopra) che consente il verificarsi di sovrapposizioni multiple, oltre a fornire connessioni non gerarchiche. Anche se pubblicate quasi mezzo secolo fa, queste idee sono ancora attuali, soprattutto considerata la nostra crescente familiarità con le reti di comunicazione. Sottolineo questo aspetto proprio perchè, come conclusione alla sua analisi, nel confronto tra albero e semilattice, lo stesso Alexander riconosce la difficoltà della mente umana a visualizzare uno schema a semilattice attraverso un unico atto cognitivo: “Mentre l’albero è accessibile mentalmente e agevole da trattare, il semilattice è arduo da mettere a fuoco e quindi di scomodo impiego”.
Conclusioni Pur tenendo come assioma il punto di partenza, vale a dire l’impossibilità di ridurre un fenomeno complesso alla parzialità delle osservazioni che possiamo svolgere su di esso, man mano che sviluppiamo la consapevolezza del nostro ruolo all’interno di una rete di attori e di relazioni complesse, approfondiamo la conoscenza di quel legame che esiste tra noi, la nostra percezione della realtà e la realtà fisica che ci circonda. Credo quindi che, anche a quarat’anni dalla sua formulazione, il metodo proposto da Alexander con il Pattern Language rimanga un via percorribile per tentare di applicare queste conoscenze nel progetto urbanistico e architettonico contemporaneo. Nonostante il modello operativo proposto non abbia saputo diffondersi rapidamente e a larga scala al punto da interessare una parte significativa delle attività edilizie, è sicuramente importante il contributo che questa teoria può portare nel processo di progettazione, rivalutando radicalmente il ruolo dell’utente al quale il progeto è rivolto. Attraverso la formulazione di un problema si arriva a definirne la soluzione, affidando l’autonomia del sistema alla soggettività dell’individuo che lo osserva. “L’architettura è un’installazione. La genesi di un’opera può prendere le forme complementari di una flow-chart programmata da tecnici in camice bianco o dell’estatico disvelamento di un’intuizione artistica; ma alla fine del processo il pensiero d’architettura è costretto a fermarsi, a sposarsi con un luogo, a stabilire in esso la propria dimora. L’architettura sta nel mondo. Essa lo deforma e ne è deformata; il suo significato si dà solo per interferenza semantica.” (da “innesti” di Cino Zucchi)
bibliografia - C. Alexander, Note sulla sintesi della forma, Il Saggiatore, Milano, 1967. - C. Alexander, A Pattern Language, Oxford University Press, 1977 - G. De Michelis, Complessità, in G. Costa, R.C.D. Nacamulli (a cura di), Manuale di Organizzazione. Vol. II, UTET Libreria Torino, 1997, pp. 383-408. - H. Simon, Le scienze dell’artificiale, Il Mulino, 1988, p. 208 - N. Luhmann, Ecological Communication, University of Chicago Press, 1989 - T. Tinti, Caratteristiche dei sistemi complessi, 2010 - N.A. Salingaros, A. Caperna - La complessità come nuovo approccio metodologico al progetto urbano