"Il libro di Catania" - Excerpt

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la cittĂ oggi



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asseggiando fra memorie e bellezza

Le sette vie dell’Infinito: potrebbe essere codesta la lettura del passeggiere il quale, giunto per via d’aria o di mare o di terra alla Marina della città ultra bimillenaria di Catania, si volga intorno a discoprirne le bellezze e le ricchezze monumentali ed architettoniche. Il significato del settemplice arcano, sarà chiaro in seguito. Non sarà la nostra una passeggiata verso la Catania “nuova”, ma in quella di sempre: per duemila e cinquecento anni la Città non si è espansa, solo negli ultimi due secoli ciò è accaduto, prima a nord ed est, poi a ovest ed a sud. Il fuoco della fenice immortale è quindi il medesimo: del resto nato recentemente, non può importare a chi ha sete di Assoluto: perciò ci segua. Con le spalle vòlte al mare, fantàsima sempre presente nell’immaginario collettivo di una comunità (Kata Aitna, da cui il greco nome di Catania) nata appiè dell’igneo vulcano, e sulle sponde del vasto mare e dell’antico fiume Amenano, il viaggiatore guarda due simboli già fuori dalle mura: il settecentesco palazzo dei Biscari, che sino agli anni Trenta del xx secolo era bagnato dal mare (allontanato oltre i cosiddetti “archi della marina”, ponte ferroviario innalzato non senza polemiche nel 1866), costruzione laica e significante la potenza della più illustre tra le famiglie catinensi dopo il catastrofico terremoto del 1693, che segnò il dies illa ma anche la nuova ricostruzione della Città-fenice, e la mole maestosa del Duomo, la cattedrale sòrta ad opera dei Normanni come propugnacolo della fede laddove s’ergeva l’antico tempio di Iside regina, e da mille anni si custodisce il santo corpo di Agata, vergine incorrotta, protomartire della fede cristiana, vessillo e nume protettivo del popolo. 127


E se colui il quale giunge in Città vuole attardarsi ad osservare i rabeschi e le sculture settecentesche di quel palazzo elevato ad opera di un mecenate unico, Ignazio Paternò Castello dei principi di Biscari, basterà solo fare pochi passi e girare oltre la breve via, a destra, per dare una rapida occhiata alla corte del grande e vasto palazzo, dove sono stati girati anche molti film e che fu scenario di immenso ricovero per i poveri d’ogni specie, ad opera di quell’illuminato uomo, asceso alle vette dell’Eterno Oriente nel 1786, da buon cristiano: era sua consuetudine dare da lavorare a tutti attraverso la continua opera di costruzione della magione, ed assisteva come un autentico iniziato i bisognosi. «Da mia casa non si esce», era il motto suo, a pro degli ultimi: lo visitarono Goethe e Riedesel, Münter e altri illustri viaggiatori che ne conoscevano la dedizione assoluta per il ritrovamento dei monumenti antichi, di cui era il responsabile nominato dal governo borboniano, nonché il creatore dell’omonimo Museo raccogliente preziosità artistiche archeologiche lapidarie e numismatiche. Il suo ornamento maggiore fu, da libero pensatore ed Illuminato, tuttavia quello di aiutare il prossimo, l’ultimo, dato che nella sua visione l’Umanità era un coro di Fratelli, come egli medesimo appellò i sodali di quella Accademia degli Etnei che nelle sale pregiate di sua casa volle istituire. Torni pure il viaggiatore sulla via della Marina e, varcando porta Uzeda, s’immetta nel piano del Duomo o di Sant’Agata: quivi egli si troverà nel cuore della Città, antica e moderna. A man destra entrerà egli subito nella Cattedrale, ammirando il frontespizio ornato con colonne tòlte dal teatro greco-romano perciò antichissime; entro il Duomo, troverà subito a destra la tomba dell’altro Cigno e nume tutelare della Città, l’illustrissimo compositore musicale Vincenzo Bellini, Legion d’Onore di Francia, ivi tornato dopo la triste morte a Parigi trentaquattrenne nel 1835; riposa sotto i marmi dello scultore fiorentino Tassara. Percorra svelto il pellegrino con attenta devozione la navata destra e si fermi ad ammirare il corpo incorrotto dell’alfiere dei poveri, il Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet benedettino, arcivescovo di Catania nella seconda metà del xix secolo: anche lui, come pochi altri, era integerrimo difensore 128


dei miseri: «Fin quando avremo un panettello, lo divideremo col povero», fu il suo mòtto e reale stile di vita. Sostenne la gran parte della popolazione bisognosa, le porte del vescovado erano sempre aperte a tutti: fermò la lava del 1886 a Nicolosi col velo di Sant’Agata e a piedi nudi, ammirato da tutto il mondo; è beato dal 1988, ancora oggi concede grazie. Pochi metri più avanti, nell’abside, il luogo avito: la cameretta, protetta da una cancellata di ferro, dove riposa il busto reliquiario di Sant’Agata contornata dai ricchi altari del Viceré spagnolo de Acugna e dal tesoro che la adorna. La Santa giovinetta, morta diciottenne per non cedere alle profferte sensuali del console romano Quinziano che pagò subito colla morte il fio del suo proposito, è da sempre divina protettrice di Catania e del mondo: annoverata quale prima martire nel più antico canone cristiano, la sua venerazione non ha limiti spazio temporali ed è sempre un esempio di purezza e di virtù; a lei ricorrono tutti coloro che hanno problemi, e sono esauditi; al suo velo sacro Catania deve le più grandi protezioni, e non ultimo ne temono le terribili vendette, coloro che impunemente offendono il popolo catinense. Sempre rammentando le sacre invocazioni MSSHDEPL: Mente sana e spontanea, onore di Dio e protettrice della Patria, e l’altra anche fondamentale: NOPAQUIE, non offendere la Patria di Agata poiché lei è vendicatrice delle offese. E davvero è stato ed è ancora così! Nella attigua cappella di San Giacomo, si trovano i sarcofaghi dei re d’Aragona Federico III, che fu incoronato sovrano di Trinacria (m. 1337), di suo figlio Giovanni, di re Ludovico (m. 1355), di re Federico iv (m. 1377), della regina Maria e del figlio Federico; nell’altro sarcofago vi è la spoglia della regina Costanza d’Aragona (m. 1362), il cui volto ivi scolpito, come ci ha dottamente spiegato lo studioso agatino padre Santo D’Arrigo, servì da modello allo scultore Di Bartolo per quello bellissimo della “Santuzza” Agata, che si ammira dal mondo nelle uscite per la festa del 4-5 febbraio e del 17 agosto. Un volto regale per una fanciulla “di nobili costumi”, figlia di Rao ed Apolla, per la cui intercessione «la Città dei Catanesi è sublime agli occhi di Cristo». Uscendo dal Duomo ed ammirando il settecentesco prospetto del pa129


lazzo del Municipio, il viaggiatore sa che tutta la Città riedificata dopo l’eruzione lavica del 1669 che in parte grande la ricoprì, ed il terremoto del 1693 che intieramente la distrusse, è d’impianto architettonico settecentesco: ma si inscrive, e non poteva essere diversamente, nella urbanistica antica preromana, che vide l’asse portante appiè del fiume Amenano, di cui si ammira a sud un breve tratto sotto la fontana che rappresenta il dio, tenendo presente che all’epoca di Gerone etnèo (V secolo a.C.) il corso d’acqua era talmente importante e pescoso che vi si allevavano grossi gamberi, il cui pescaggio nell’attiguo mare esiste ancor oggi; tale urbanistica preromana non contemplò mai la strada Etnea, che si vede come una dislessica freccia puntare verso il nord quale via apparentemente centrale guardando avanti, ma è essa opera moderna e neppure architettonicamente interessante (anche perché i palazzi ivi affacciati sono stati tutti rifatti nel xix e xx secolo). Il viaggiatore sappia e sempre ricordi che l’asse portante della Catania per due millenni fu, ed è, la via Vittorio Emanuele, detta anche strada Reale o del Corso: su questa via, in direzione est-ovest, partente dal mare e a finire sulla collinetta detta di Sardo o dell’ex casa dei Gesuiti poi deposito dei cavalli, sorge e tramonta ogni dì il sole a perpendicolo, e il manto e gli intatti prospetti dei bellissimi e settecenteschi palazzi s’inòndano di oro puro. Il viandante quindi, non prima di aver osservato la cupola della attigua Badia di Sant’Agata che s’erge come un perfettissimo altare ottagono accanto al Duomo, opera dell’insigne architetto sacerdote Giovanbattista Vaccarini, che per la sua devozione alla martire non desiderò esser per tale opera compensato, e soffermatosi sul monumento centrale della piazza del Duomo, quell’elefante in pietra lavica nera che è il civico talismano da oltre duemila anni, cioè dai giorni (278 a.C.) della venuta in Catania di Pirro discendente di Alessandro Magno, poi celeberrimo per i sortilegi del sacerdote iniziato Eliodoro che faceva comparire e scomparire e rendere “vivo” l’animale a suo piacimento, fu eretto a pubblica fontana nel 1736 sempre ad opera del Vaccarini, sormontato dall’unico esemplare ottagono di obelisco dell’antico Egitto che si conosca al mondo, di granito rosso: la croce e la sfera che svettano alla sommità, simboleggiano l’ultimo percorso che porta al Cristianesimo. Percorra il viaggiatore dunque la via Vittorio Emanuele verso sinistra, 130


salendo dal Duomo: troverà dopo pochi passi la piazza di San Francesco all’Immacolata col monumento al Dusmet di cui si è detto, ed un arco dietro di lui: a destra il tempio di San Francesco, di antica fattura, dove si venera la Concezione verginale della Madre del Dio. Egli salga, non prima di aver osservato a sinistra il vetusto palazzo Gravina Cruyllas, dove nel 1801 ebbe i natali l’immortale cantore di Norma, dei Puritani e del Pirata, Bellini, volato via da Catania diciottenne verso la gloria. La sua casa, monumento nazionale, è museo pubblico. Dunque, si osservi l’arco settecentesco: leggenda vuole che sia stato eretto in una sola notte, nel 1704, per una disputa tra Vescovo e Senato: ma è parte dell’annesso convento delle Suore di San Benedetto, da un centennio anche del carisma dell’Adorazione Perpetua. Oltrepassato l’arco si entra in via dei Crociferi, patrimonio (come tutto il centro storico di Catania) dell’Umanità definito dall’Unesco: la strada è un trionfo di quella fede giojosa e spontanea, sensuale e mistica, tipica del Settecento barocco, che imperò nella Città etnea. A sinistra si nota la mole del tempio di San Benedetto, completamente affrescato all’interno dal Tuccari nel xvii secolo, con scene benedettine e della vita di Sant’Agata; a destra l’ingresso della badia piccola del Monastero, dal 1915 scuola cattolica da cui le Suore ammanniscono sapere e vita religiosa. Accanto a sinistra (sempre con le spalle all’arco) la via che porta alla piazzetta Asmundo coll’omonimo palazzo Nava, uno dei due con bellissimo giardino pensile privato costrùtto su alto basamento. Ridiscendendo su via Crociferi, a sinistra notasi la chiesa di San Francesco Borgia, annessa all’ex collegio dei Gesuiti poi Convitto ed ex istituto d’Arte; a destra il palazzo Zappalà, unico edificio privato in una via strabordante di cattolicismo; accanto la chiesa di San Giuliano con l’annesso ex convento, che angola con via di San Giuliano; proseguendo per la via Crociferi oltre l’incrocio, si nota la facciata, a destra, del palazzo nobiliare Trigona di Misterbianco, angolante la salita di San Camillo: di fronte a questa la chiesa di San Camillo ai Crociferi che alla via da nome, unica con due obelischi nella facciata e di barocco tipicamente romano: chiude la via la villa Cerami, oggi sede della Facoltà universitaria di Giurisprudenza e un tempo dimora dei principi Rosso, e accanto la scalinata del Penninello che immette in via Etnea. 131


Il viaggiatore la scenderà, pensando che essa come altre poche, è una delle vie pre-terremoto, ricostruite sull’impianto antico, e girando a nord per via Manzoni in poco tratto, spunterà nella vasta, ariosa piazza Stesicorea, dal nome del grande cantore e ordinatore di cori Stesicoro, che elesse Catania a sua dimora e leggenda afferma ivi fosse sepolto (V sec. a.C.). Magnificenza del tempo antico! Catania città di poeti, prediletta non solo da Stesicoro ma anche da Pindaro; città di filosofi, ove il saggio Caronda ben sei secoli avanti l’era cristiana istituiva, seguendo il pensiero di Pitagora, le scuole pubbliche comunali e decideva che niente fosse al di sopra delle leggi e della giustizia, istitutore del divorzio e difensore delle donne; città di musicisti, ove Androne associava la musica al ballo. Tutto ciò sappia e pensi il passeggiere, girando lo sguardo da ovest ad est, ammirando la facciata classicheggiante del tempio di Sant’Agata alla Fornace ovvero Carcarella, quella sobria e austriacheggiante del settecentesco palazzo Tezzano, nato come Ospedale, poi sede del Tribunale e oggi di scuole; noti l’alta statua del Cigno Bellini opera del Monteverde: egli seduto e ornato da quattro sue opere immortali, vigila sui civici destini; e soprattutto appiè di lui, la cancellata ferrea che circonda il vetustissimo ed insigne Anfiteatro romano, monumento unico per grandezza e maestosità, secondo solo al Colosseo romano ma di questi più antico, e scavato nei primi anni del Novecento mercé la volontà del socialista del cuore, Sindaco De Felice, anche lui amante degli ultimi. Quel grandioso anfiteatro, che servì pure per gare navali, di cui si può vedere solo una minima parte dell’impianto originario che è tuttora sotterra e basamento dei circostanti palazzi, oltre ad attestare la grandezza della Catania romana la quale, essendo sede proconsolare per la Sicilia, fu la più importante stazione dell’Isola durante il dominio dell’Urbe sul Mediterraneo, è attrazione unica per tutti, e lo si può visitare in parte percorrendo il sotterraneo corridoio podiale, sentendosi parte di una storia bimillenaria, da non molto restituita al pubblico decoro. Risalito alla luce del cielo azzurro, il viaggiatore verso ovest non mancherà di entrare nella chiesa della Fornace, dove si conserva il luogo dell’abominevole martirio di Sant’Agata; uscito di fianco e percorso il cammino accanto al palazzo della Borsa costrutto durante il Fascismo (ne serba im132


macolate le insegne), salirà dietro e vedrà la piccola piazzetta del Santo Carcere, ove sulle mura cinquecentesche e romane si eleva l’omonima chiesa dal portale (fregiato di simboli esoterici) normanno-templare (il quale sino al 1693 era quello del Duomo), in cui è inglobata la cameretta- prigione dove la martire Agata ricevè la visita di San Pietro e dell’Angelo, venendo risanata miracolosamente dallo scerparsi delle mammelle. Un quadro trecentesco del Niger documenta il martirio. Salendo ancora per la stretta via Garofalo e poi voltando a man sinistra, il viaggiatore troverà la facciata semplice della chiesa di Sant’Agata la Vetere, che fu la prima cattedrale della Catania cristiana: entrando, osserverà subito l’altare il quale è il sarcofago paleocristiano in cui venne originariamente posto, nel 251, il corpo della Santa, e dove l’Angelo, secondo la leggenda, depose sotto la sua testa la tavoletta sacra con l’invocazione protettiva. La chiesa è pure recentemente stata scavata nei sotterranei, rivelando le fondamenta del palazzo pretorio romano e della primitiva basilica. Uscendo e percorrendo a ritroso il detto percorso, il passeggiere (senza dimenticare di osservare dall’alto l’ottocentesco palazzo del Toscano a nord-est e, dietro, il vivace mercato delle minutaglie che ogni giorno si tiene, nonché il moderno corso Sicilia sede di uffici, aperto con lo sventramento degli anni Cinquanta del xx secolo del preesistente quartiere di San Berillo), giungerà all’angolo còlla via Etnea e la ridiscenderà dolcemente; dopo pochi passi a destra scorgerà la chiesa di San Michele ai Minoriti, armonizzata col convento già sede gesuitica e da molto casa della Prefettura e della Provincia. Proseguendo ancora noterà l’intersezione con la via di San Giuliano già detta via Lincoln, arteria che va verso il mare ad est e sale in modo ripido ad ovest verso il tramonto del sole: sappia il viandante che sino al xix secolo si correvano quivi appassionate corse di cavalli berberi, ed ancora – se non ci sono contrarie volontà di autorità preposte – il popolo gode con il cuore di far risalire il sacro fercolo della martire Sant’Agata, nel giorno della festa a lei dedicato. Angolante a nord-ovest è il palazzo dei Massa di San Demetrio, a nord-est il vetusto palazzo dei principi Paternò Castello di Carcaci; scenderà il passeggiere dipoi, immettendosi nel piano degli Studi o dell’Universi133


tà, ampio rettangolo ove vedrà da un lato la facciata a tre ordini del palazzo universitario, altro orgoglio civico poiché fu a Catania prima città di Sicilia che Re Alfonso di Spagna nel xv secolo concedette il privilegio di fondazione dell’Almo Studio; dal lato opposto il palazzo dei marchesi di San Giuliano, il cui illustre esponente fu Ministro degli Esteri d’Italia nel tempo antecedente la guerra del 1915-18. Quindi il viandante ridiscenderà in piazza del Duomo, non mancando di soffermarsi nello storico mercato di vendita al dettaglio di pesce detto della pescheria, dietro la fontana del dio Amenano: vedrà allora l’anima autentica del popolo che contratta ed acquista pescato freschissimo del mare adiacente, con avidità voluttuosa. Uscendo dalla piazzetta della pescheria (che fra l’altro è antichissima ed un tempo era bagnata dal mare; ivi approdò il grande Carlo v nel suo giro pe’ domini della corona), osservi egli la linearità della via Garibaldi la quale, aperta colla facciata del Duomo, si chiude in fondo scenograficamente con l’arco trionfale detto porta Ferdinanda, frutto della celebrazione del matrimonio degli allora Sovrani borbonici di Sicilia e Napoli; infatti il primiero nome della via fu Ferdinanda. Angolante al Duomo è palazzo dei principi del Pardo e Sammartino insigne famiglia, tra i primi e più rabescati costrutti dopo il tremuoto, e che pare conservi antiche storie di fantasmi e geni i quali a volte compaiono agli abitanti. Dopo pochi metri per via Garibaldi, il viaggiatore troverà la circolare piazza Mazzini, unica per architettura scenografica poiché elevata su quattro enormi balconate sorrette da 32 colonne tolte dal teatro greco e dalla Basilica romana, e ivi sistemate dal genio dei mastri costruttori del secolo illuminato, il Settecento: trentadue come l’irraggiungibilità di quel soglio la cui ultima pietra è il Sommo Re e Sacerdote del tempo senza tempi, e Tempo. Sappia il viaggiatore pure che fu sede la piazza, e l’affaccio sul balcone di nord-est ne era lo scenario, dell’Ordine gerosolimitano di Malta, allorché presa l’Isola dalle truppe di Napoleone prima e poi del Nelson, i dignitari dell’Ordine fuggirono da Valletta e vennero per alcuni anni (primi del xix secolo) a stabilire la loro sede in Catania, prima della definitiva ed attuale, a Roma. Proseguendo per via Garibaldi e a man sinistra girando per via Castel134


lo, il viaggiatore in fondo già scorgerà la mole dugentesca del maniero: il castello detto Ursino (forse dalla leggenda dei giganti-orsi), edificato in modo possente su opera dell’architetto militare Riccardo da Lentini per volontà di Federico ii nel 1232, è opera guerresca e degna delle migliori fiabe: resiste da secoli alle intemperie ed ai tremuoti ed alle lave, e si rammenti che la parte est s’affacciava sul mare fino al 1669, anno in cui la tremenda colata lavica dall’Etna giunta in Catania, lo circondava – e non abbatteva – spostando il mare di alcuni chilometri più a sud, rendendolo isolato dalle acque. A est della sua facciata vi è il sacro pentalfa, opera del xv secolo, mistica unione di uomo e Dio in arcana concezione; entrando nella corte poderosa ed all’interno, il Museo civico offre anche se in parte, le collezioni provenienti dagli ex musei biscariano e benedettino, a suo tempo acquisite ed ora esposte a documentare la grandezza artistica della Città e delle civiltà greco-romane che si sono succedute. Ritornerà il viandante per via Garibaldi passando per la piazzetta Maravigna, osservando la recentemente restaurata chiesa di San Giuseppe al Transito, e per via Consolato della Seta (a man sinistra) arriverà al tempio di Santa Maria dell’Aiuto, costrutto dalle mani di quel sacerdote della pietra che fu il “mastro” Francesco Battaglia, la cui famiglia nel xviii secolo ordinò gran parte delle case private e chiese e monumenti civici; la chiesa conserva una sacra icona della Madonna dell’Aiuto, celebre per i miracoli, una riproduzione perfetta ed in marmo pregiato della Santa Casa di Loreto, nonché (unico esempio) sull’altare in vetta, il Dio costruttore col compasso in mano nell’atto di creare l’Universo. Proseguendo sempre su via Garibaldi, il viaggiatore vedrà a sinistra stagliarsi la facciata severa e sobria dell’ex caserma della cavalleria borboniana, dal timpano triangolare, poi divenuta per più di un secolo Manifattura statale dei tabacchi; ivi si svolgono ora mostre ed è sede di provvisori musei.Volgendo le spalle a tale edifizio, il viandante salirà per la curiosa via della Palma (dal nome di un enorme palmizio esistente fino al 1669), e tornerà su via Vittorio Emanuele: quivi vedrà subito la fresca e snella nella sua classicità, facciata del settecentesco palazzo Fassari Pace (dal nome degli ultimi proprietari), settecentesca opera del detto architetto Battaglia: 135


e accanto a est contiguo e severo, il convento delle suore Benedettine della Trinità (oggi sede di scuola pubblica e, nel retro, caserma dei Carabinieri) con la chiesa bella ma chiusa, dalla alta facciata opera di Fra’ Liberato, “mastro” e monaco cappuccino. Pochi passi più a sud è la facciata uniforme e chiara del convento di Sant’Agostino con l’omonima chiesa, detta anche di Santa Rita poiché sede di un fervorosissimo culto, a maggio, per la “Santa degli impossibili”. Scenderà il viaggiatore ancora un po’ per via Vittorio Emanuele, trovando alla sua destra via Sant’Anna, dove si può visitare la casa-museo di quel grande della letteratura italiana che fu Giovanni Verga, il celebrato autore dei Malavoglia e del Mastro Don Gesualdo. Risalendo sulla strada maestra e quasi di fronte, il viaggiatore troverà l’ingresso al teatro greco-romano: non si vede perché nascosto dalla settecentesca facciata del palazzo, ma entrando lo spettatore si trova grandiosamente coinvolto dalla ampiezza del monumento: addossato su una naturale collina, la scena perennemente ricoperta dalle acque del fiume Amenano che sotterraneamente scorrono (per cause naturali e del post-terremoto), formando un ambiente strano e originale, egli noterà la prima scena ellenica pura (e fu su quei gradini che i Catanesi ascoltarono Alcibiade il persuasore infamante, nel v secolo a.C. come ben narra Tucidide nella sua Guerra del Peloponneso, mentre i suoi soldati penetravano attraverso le mura della Città per conquistarla…) e le altre superiori, come i due corridoi, di pretta costruzione romana. È un teatro di rara bellezza; ha accanto, ma non visitabile da un po’, un perfettissimo ed unico in tutto il mondo esemplare di teatrino per i cori di scena, detto Odeo o Odèon, che forma la corona preziosa del teatro. Questi monumenti erano in gran parte presi a fondamenta dei soprastanti palazzi settecenteschi che ancora insistono ai margini (l’Odeo addirittura uso a case di gente modesta), fino a che negli anni Trenta del xx secolo il Governo ne riscattò la proprietà, liberandolo dalle sovrastrutture e restituendolo alla prisca grandezza ed alla posterità, come oggi si ammira. Soddisfatto ma non dòmo da tanta antichità lontana e reale, il viaggiatore tornerà a immettersi in via Vittorio Emanuele, girando pochi metri dopo a man destra per via Sant’Agostino e proseguendo per breve tratto per via 136


Rotonda, alle spalle dell’Odeo: vedrà subito una cupola che dalle fattezze rammenta o una modernissima astronave spaziale, o una costruzione cristica orientale: è il tempio della Rotonda, cosiddetto poiché arieggiante il Pantheon di Roma. La leggenda vuole sia stato il primo luogo di culto cristiano in Catania fondato da San Pietro, il pescatore che quivi passava andando verso la città eterna al martirio del “quo vadis” (così recita il cartiglio dorato all’interno): ma è leggenda pia, seppure non escludibile, poiché è storicamente documentato che la chiesa nasce nell’era dei Bizantini, sulle fondamenta delle discavate, e visibili, preesistenti terme romane. E’ a pianta circolare e visitabile: il viaggiatore troverà ivi resti che documentano il bimillenario passato di Catania, e terrà conto che questo monumento illustre, come il castello Ursino e le absidi del Duomo e pochi altri, resistè alla violentissima scossa del 1693 che atterrò tutti i civici edifizi. Siamo verso il culmine, lo zènith terrestre e celeste della visita: il passeggiere sta per giungere alla reggia. Salirà ancora spuntando da via Rotonda per via Gesuiti, e volgendosi da est a ovest noterà che questa via dritta come una freccia e dal basolato settecentesco a spina di pesce (una delle poche che ha resistito allo scerpamento moderno, alla furia degli insensati novatori…) congiunge la strada dei Crociferi con la facciata maestosa e incompiuta di una chiesa che si intravvede ad ovest, bagnata dal sole del mattino, del mezzogiorno e della sera: sulla collinetta detta anticamente della Cipriana, l’acropoli, s’erge immenso il Monastero dei PP. Benedettini, presidio ed “arca gloriosa”, come fu definito, della Città sin dai tempi della Controriforma. Il pellegrino giungerà nella piccola e semilunare piazza Dante, e noterà subito la grandiosità della facciata del tempio di San Nicolò la Rena, e l’incompiutezza di questa: le dieci colonne ciclopiche si stagliano mòzze verso il cielo, a significare non solo la grandiosità dell’Infinito che mai mano umana può cogliere, ma anche altri e più arcani simboli. Scenderà il viandante verso sud e guarderà il muro che costeggia a chiude come un fortilizio il Monastero: è stato un luogo di potere e di potenza, e non da solo: a sud la piazza chiude col semplice ma severo prospetto del monastero delle Benedettine della Trinità, di fronte érgesi il Conservatorio delle Verginelle, pia opera di 137


salvazione delle fanciulle ree ad opera di valenti cittadini. Adesso questi palazzi sono sede delle Facoltà universitarie. Il popolo mormora che di notte i fantasmi di monaci e monache camminino sui tetti, attraversino indisturbati le mura, spaventino i passanti… leggenda o visione, o realtà autentica? Si continui a guardare il Monastero, la chiesa immensa, la cupola, capolavoro di quell’insigne artista (e cavaliere di Malta) che fu Stefano Ittar (poi migrato nell’isola dei Cavalieri dove costruì il palazzo Magistrale): arieggia quella michelangiolesca di San Pietro ma è più briosa, più vivida, punta al cielo ma è in terra…. All’interno della grandissima chiesa (da poco restaurata) si notano, oltre al coro ligneo cinquecentesco, il ricostruito organo del “mastro” Del Piano che fu anche suonato dai Bellini, e la meridiana solare di Waltershausen e Peters, ottocentesca ma precisissima; vi è anche, inaugurato da re Vittorio Emanuele III, il Sacrario dei Caduti nelle due guerre mondiali. La fondazione del Monastero è del xvi secolo, ma l’attuale costruzione è settecentesca: vi operarono i migliori “mastri” (architetti) muratori dell’epoca, dai Battaglia agli Amato ad Ittar a Vaccarini. Si entri dallo scalone monumentale a sud non tralasciando di osservare le facce deformi sotto i balconi, ovvero gargoyle o mascheroni che la tradizione vuole effigianti i monaci derisi dagli scalpellini dell’epoca: e però, la storia alchemica, come molti sanno, altro può e dice. Si entri quindi nei chiostri, e si avrà l’idea, con i corridoi immensi, della grandezza e della maestà del sito, méta fissa e dimora di Re, principi, letterati. I monaci che lo abitavano erano delle più illustri genìe della Sicilia, e orgogliosi del loro influsso. Dietro il complesso monumentale, la facoltà di Lettere ha ricostruito un lacerto di piccolo giardino: ma esso c’era in origine ed era immenso, fino ad oltre l’area dove sorge l’Ospedale Vittorio Emanuele: una delle tantissime proprietà dei monaci ricchi e doviziosi di terre da per tutta la Sicilia. Si prosegua per il corridoio centrale del Monastero, che dopo l’Unità d’Italia e la spoliazione dei beni ecclesiastici fu adibito a scuole e caserma (la sua storia è nel celebre romanzo I Viceré di Federico De Roberto, che ivi lo scriveva), fino alla sistemazione restaurata attuale, degli anni Ottanta e Novanta del xx secolo, per giungere finalmente a nord, dove alligna l’ultimo spirito della Catania che fu, ancora vivo e vigilante: la biblioteca ex bene138


dettina. Prima, nella stanza di fronte, si dia una visione alla camera museo di Mario Rapisardi, il Vate della Poesia italiana del xix secolo, cantore del libero pensiero. Lì oggetti della sua vita e libri formano un romantico, malinconico quadro. Poi s’entri in biblioteca: la porta si chiude con un tonfo sordo, ci si immette nel tempio della memoria… Oltrepassate le sale che gli abati benedettini Amico e Recupero e Scammacca vollero a Museo archeologico (ora le scansie son zeppe di libri), si gira a sinistra e poi a destra, e s’apre la sala detta del Vaccarini, dove è il locale della biblioteca, con scaffalature lignee altissime e settecentesche, l’affresco del Piparo sulla volta ed una luce ed un silenzio, unici. È lì che lo spirto dell’antica Città si rifugia, protetto dalle sottostanti acque e dai raggi modulati del tramonto, dopo immense fatiche. In quel momento il viaggiatore, come tanti altri prima e dopo di lui, non penserà a nulla: si immergerà nel flusso del tempo, volendo solo contare i sette passi che lo dividono dall’infinito. E comprenderà che il Tutto, in fondo, non è che un attimo.

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E

tna

I numerosi centri abitati ai piedi dell’Etna sono detti “paesi piedemontani” o “etnei”, ma è Catania ad avere con il Vulcano un rapporto simbiotico. L’Etna da sempre ha influenzato, e a volte modificato, il modo di essere delle Genti sotto il Vulcano. Diodoro Siculo attribuisce all’Etna e alle sue eruzioni la causa della migrazione delle popolazioni sicane verso la parte occidentale dell’Isola. Quando, nella storia, si è parlato di Catania si è quasi sempre fatto riferimento all’Etna, e viceversa. Già nella mitologia classica l’Etna era la sede della fucina del dio Vulcano e dei suoi figli, i giganti Ciclopi, ed è presente in molte leggende del mondo antico. L’immagine del fuoco che sgorga dalla terra è quasi sempre identificata ca muntagna, come da sempre la chiamano i Catanesi. Spesso il Vulcano fa sentire la propria voce con tonanti sbuffi ed esplosioni; la sua è un’attività continua anche se non sempre si manifesta con la fuoriuscita di magma. Qualche volta in passato ha fatto visita alla “sua” 141


Città ricoprendola con un caldissimo e “affettuoso” fiume di pietra liquida a 900 gradi. Amore-odio. Un unico sentimento che però con il passare del tempo si attenua e si risolve in solo amore. è senza dubbio quella del 1669 l’eruzione che i Catanesi nominano con maggiore terrore. Era il tempo dei Viceré spagnoli, ventiquattro anni prima del tremendo terremoto che seppellì due terzi della popolazione della Città dell’elefante. Paradossalmente, se oggi Catania può vantarsi di avere il centro storico architettonicamente più elegante della Sicilia, lo deve proprio a quella totale distruzione avvenuta l’11 gennaio 1693. La ricostruzione è stata un’occasione di rara magnificenza soprattutto per la Sicilia. L’Etna però non ha prodotto nei Catanesi soltanto la paura delle eruzioni e delle colate laviche distruttive: esso è stato anche la scenografia naturale della loro vita, della vita di una Città perennemente stesa al sole, con le pendici del Vulcano per cuscino e i piedi a bagno nello Jonio. Con i suoi 3340 metri d’altezza l’Etna è il vulcano più alto d’Europa; la sua altezza è destinata ad aumentare o comunque a variare a causa delle continue eruzioni che ne mutano costantemente, sebbene in maniera non sempre immediatamente percettibile, le fattezze. Sarebbe impossibile elencare il numero totale ed esatto delle eruzioni; moltissime sono documentate o anche soltanto citate nei testi antichi di storici e filosofi come Minucio, Daciano, Agostino, Procopio, Gerfrido, Fazio, Aimonio, per citarne solo alcuni. Tra le più importanti dell’era antica si ricordano l’eruzione del 593 a.C. (693 in alcuni testi), che fece da scenario alla leggenda dei Fratelli Pii; la devastante colata accompagnata da attività pirotecnica e pioggia di ceneri del 122 a.C., tanto terribile e distruttiva che costrinse Roma a esonerare Catania per almeno dieci anni dal pagamento della decima; infine, l’eruzione del 252 d.C., dove, a pochi mesi dal martirio e dalla morte della Nostra Agata, ne venne esposto per la prima volta il “velo”, ossia il sudario, della giovane Vergine perché fermasse il flusso lavico e risparmiasse le case dei Cittadini. è questo il primo miracolo attribuito alla santuzza: il velo, per l’esposi142


zione al fuoco, diventò rosso come ancora oggi è possibile vederlo a distanza di 1760 anni. Da quel giorno la Santa di Catania diventa, nell’immaginario dei suoi Concittadini, la protettrice dal fuoco dell’Etna: il fuoco che sgorga dalle viscere della terra, dagli inferi, è il male puntualmente sconfitto dalla potenza della fede della Santuzza. Nell’ultimo millennio sono state tramandate informazioni riguardanti oltre sessanta eruzioni. Quella che ha interessato maggiormente Catania è datata 1381: la Città era capitale del Regno di Sicilia amministrato dagli Aragonesi. Allora il fiume di lava scorrendo dalla parte nord della Città raggiunse il mare ricoprendo l’insenatura naturale del Porto di Ulisse nei pressi di Ognina. L’eruzione più lunga che si conosca risale, invece, al 1614 e durò circa dieci anni. L’11 marzo 1669 ebbe inizio la più devastante colata lavica che si ricordi per Catania: il fiume di lava proveniente dalla contrada di Misterbianco entrò nella Città da nordovest, cingendo le mura e in parte distruggendole. Ricopre e cancella per sempre il Lago di Nicito, orgoglio dei Catanesi, e scende verso sudovest, circonda il Castello Ursino riempiendone il fossato e ricopre altresì la lingua di terra sulla quale la fortezza sorgeva, spingendosi nel mare per oltre un chilometro formando nuova terraferma. Dopo 122 giorni il fiume di lava si arrestò lasciando sotto e dietro sé distruzione e morte non solo in Città ma in tutti i centri pedemontani attraversati dal fusso lavico. Nel 1991 per 473 giorni il Vulcano emise lava, gas e lapilli; è la colata più lunga del xx secolo. Non raggiunse Catania ma fu protagonista della cronaca e del gossip. Anche durante il 2011 e il 2012 il nostro Vulcano ha stupito e deliziato con brevi e frequenti eruzioni accompagnate da attività esplosive particolarmente scenografiche, dette “parossismi” le cui immagini, riprese da fotografi e reporter esperti o semplicemente appassionati, hanno fatto il giro del mondo e del web. L’Etna, ancora una volta, al centro dell’attenzione, come una consumata primadonna che sa bene come dare spettacolo.

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orte e mura La cinta muraria di Catania di cui abbiamo resti tangibili, eretta su primigenie costruzioni di probabile origine normanna, risale al Cinquecento: fu l’imperatore Carlo v a volere che fosse eretta a difesa della Città, talchè il nome con cui è nota è appunto quello di “Mura di Carlo v”. Egli affidò l’incarico della costruzione all’architetto Antonio Ferramolino all’inizio del xvi secolo, disponendo che fossero costruiti anche undici bastioni e sette porte di accesso. In occasione dei due tragici e distruttivi eventi che si susseguirono alla fine del Seicento, l’eruzione e il terremoto, le mura e le porte subirono danni irreparabili, talché alcune furono sostituite, su altre furono costruiti o addossati altri edifici, spesso a uso abitativo, altre ancora furono

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definitivamente abbattute. L’unica porta cinquecentesca ancora integra è la Porta di Carlo v, o “delli Canali”, visibile alla Pescheria. Nel 1672 fu eretto, nella parte nordoccidentale, il cosiddetto Fortino, un tratto di mura che doveva sostituire quelle crollate inseguito all’eruzione. Una delle porte di questo tratto fu inaugurata dal viceré Claude Lamoral i de Ligne che vi entrò in pompa magna. In suo onore l’apertura fu detta Porta di Ligne, ma è più nota come “Porta del Fortino vecchio”. Detta anche “Porta grande della Marina”, la Porta Uzeda è una magnifica porta celebrativa e una delle più recenti: fu aperta nel 1696 nel Bastione di Sant’Agata, un tratto di mura che si affacciava sul mare, per collegare la nuova insenatura prodotta dalla colata del 1669 e la Platea Magna (piazza Duomo). A volerla fu il duca di Camastra, campione della ricostruzione e della rinascita cittadina. Fu detta Porta Uzeda in onore del viceré Giovan Francesco Pacecho, duca di Uzeda. L’ultima porta ancor oggi esistente, oltre alla Porta Garibaldi di cui parleremo più avanti, è l’antichissima Porta di Aci, già Porta Stesicorea, che si trovava per l’appunto in piazza Stesicoro.

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iazza Duomo

L’odierna Cattedrale fu eretta in epoca normanna in sostituzione di quella antica detta, appunto, di Sant’Agata “la Vetere” (la vecchia) sulla collina di Montevergine. La prima edificazione venne realizzata sulle rovine delle Terme Achilliane di epoca romana, ancora oggi visitabili da un ingresso laterale di piazza Duomo. Ruggero il Normanno utilizzò le pietre dell’anfiteatro romano per innalzare la Cattedrale, che volle fortificata e vicina al mare. Questi blocchi oggi sono visibili nelle absidi esterne del Duomo (accesso dall’Arcivescova147


do). La parte absidale resistette al catastrofico terremoto del 1169, mentre il sisma del 1693 la distrusse quasi completamente. Nel 1711 fu ricostruita con la maestosa facciata attuale in stile barocco, opera di Giovan Battista Vaccarini il quale riutilizzò le colonne corinzie di un non meglio identificato edificio di epoca romana. La Cattedrale custodisce le reliquie di Sant’Agata, i sarcofagi dei sovrani aragonesi e la tomba di Vincenzo Bellini. Quella che troneggia in piazza Duomo, e che tutti i Catanesi identificano come simbolo della loro Città, è una struttura complessa formata da svariati elementi di epoca e fattura differenti; l’architetto Giovan Battista Vaccarini la compose nel 1735 circa. La vasca e il piedistallo in marmo bianco recano due sculture raffiguranti i fiumi Simeto e Amenano. La vasca, aggiunta nel 1757, è stata profondamente modificata all’inizio del secolo scorso e ancora negli anni Novanta. Sul piedistallo si erge la statua dell’elefante, il Liotru, probabilmente di epoca tardo romana o bizantina. L’animale era ricavato da un unico blocco di pietra lavica; in seguito ai danni subiti a causa del terremoto del 1693 fu restaurato dal Vaccarini che aggiunse gli occhi e le zanne di pietra calcarea. L’Elefante porta una gualdrappa di marmo recante gli stemmi di Sant’Agata, sulla quale si innalza un obelisco di granito decorato da figure di stile egizio, probabile retaggio delle Crociate; sulla sommità, il classico globo sormontato da una croce (simbolo dell’universalità del Cristianesimo) è decorato da una foglia di palma e da un ramo di gigli, simboli del martirio e della purezza di Sant’Agata, alla quale è dedicata anche l’iscrizione “msshdpl”, «Mente sana e sincera, per l’onore di Dio e per la liberazione della sua patria». Secondo il viaggiatore e geografo berbero Idrisi, attivo nel xii secolo, i Catanesi consideravano l’Elefante una statua magica, in grado di proteggere il centro abitato dalle eruzioni dell’Etna. Di certo, il nome dell’elefante, Liotru, è legato alla figura del mago Eliodoro il quale, secondo la leggenda, ne sarebbe stato lo scultore; egli, inoltre, se ne sarebbe servito per spostarsi da Catania a Costantinopoli.

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Il fiume Amenano, considerato dai Greci una divinità, oltre che alimentare il lago di Nicito — ricoperto dall’eruzione del 1669 — il teatro e le varie strutture termali della Città romana, era un importante elemento per la comunità ebraica catanese. Esso infatti veniva chiamato dal popolo (e con questo nome appare su varie carte topografiche antiche) Judicello, ovvero fiume dei Giudei. La comunità ebraica di Catania era presente in Città fin dal iv secolo e lo fu per tutto il xv secolo, ovvero fino al 1492, anno in cui, per editto di Ferdinando il Cattolico, furono espatriati dai domini spagnoli tutti gli Ebrei che non si fossero convertiti al Cristianesimo. La giudecca di Catania sorgeva appunto lungo l’Amenano, indispensabile per i bagni rituali delle donne, ed era suddivisa in due grandi rioni, judeca suprana o di susu e judeca suttana o di jùsu; il cuore era rappresentato dalla via Pozzo Mulino. Gli Ebrei erano principalmente coinvolti nel commercio del pesce e nelle maestranze edili, ma si distinsero anche come medici (non mancarono illustri donne medico), banchieri e gabellieri. Per celebrare la canalizzazione del fiume, nel 1867 fu posata in piazza Duomo la fontana dell’Amenano, alimentata dalle stesse acque del fiume e detta dai Catanesi Acqua a linzolu per la suggestiva cascata d’acqua “a lenzuolo”, per l’appunto. Realizzata in marmo di Carrara, è opera del napoletano Tito Angelini. Il palazzo degli Elefanti, realizzato da Giovan Battista Vaccarini e C. Battaglia nel 1696 su progetto di Giovan Battista Longobardo, è sede del Municipio. Già palazzo del Senato, vi sono conservate due carrozze settecentesche utilizzate durante i festeggiamenti di Sant’Agata.

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adia di Sant’Agata

La Badia sorge sulle rovine dell’antica chiesa e del convento dedicati a Sant’Agata, costruiti nel 1620 da Erasmo Cicala e crollati in seguito al sisma del 1693. Il portale, graziosamente armonizzato con il resto della costruzione, è precedente alla sistemazione settecentesca: era stato fortemente voluto dalla Badessa e decorato con gigli, palme e corone, simboli di Sant’Agata.

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iazza università

L’Ateneo catanese, il più antoco della Sicilia, fu fondato da Alfonso d’Aragona nel 1434. Splendido il palazzo dell’Università, che ospita il Rettorato. Il prospetto, opera di Antonino Battaglia, fu progettato nel 1785; il cortile, a due ordini loggiati, e il colonnato sono opera del Vaccarini. L’at151


tuale facciata fu ripresa da Mario Di Stefano, mentre gli affreschi dell’aula magna sono di Giovan Battista Piparo. Al palazzo del Rettorato risponde, sul lato opposto della piazza, il palazzo San Giuliano, appartenuto alla famiglia Paternò Castello dei Marchesi di San Giuliano, anch’esso eretto, nel 1738, su progetto del Vaccarini. Costruito con vari marmi policromi, il portone è fiancheggiato da due colonne di marmo, recuperate dal teatro romano. In fondo alla corte interna un’originale scalinata a due rampe conduce a uno scenografico portico a colonne visibile già dall’esterno. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, in occasione del rifacimento della pavimentazione della piazza, si decise di sostituire le lumiere già esistenti con quattro candelabri bronzei che furono eseguiti dallo scultore Mimì Lazzaro nel 1957. Lazzaro si sipirò alle antiche leggende catanesi per ideare delle opere di grande impatto emotivo, oltre che visivo: tre candelabri ritraggono le vicende di Colapesce, dei Fratelli Pii e di Gammazita, mentre il quarto raffigura la storia del Paladino Uzeta che avrebbe combattuto, su richiesta dell’imperatore Federico ii, con i giganti Ursini saraceni.

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upole e archi

Per chi raggiunge Catania dal mare, la suggestiva vista degli “archi della Marina” e delle cupole in lontananza è già un significativo benvenuto. La cupola del Duomo fu realizzata da Carmelo Battaglia su un alto tamburo con colonne e otto finestre e ultimata nel 1802. Accanto alla Cattedrale sorge la Torre campanaria con l’orologio e la sua cupola. La torre aveva un’altezza di 100 metri quando crollò a causa del sisma del 1693 rovinando sulla vicina chiesa e distruggendola in parte. Fu dunque ricostruita dall’architetto Carmelo Sciuto Patti, che vi pose due tra le più antiche campane della Città: la grande campana del vecchio campanile, secondo alcune fonti ritrovata in mare in seguito al crollo, e la “campana del popolo”, così chiamata perché utilizzata per dare alla cittadinanza l’annuncio delle esecuzioni capitali, risalente al 1505. 153


Risalendo verso la collina si riconoscono poi la cupola candida della Badia di Sant’Agata, con la sua elegante lanterna, la cupola della chiesa di San Michele Arcangelo dei Chierici, detta dei Minoriti , riconoscibile per le doppie costole bianche sulla fabbrica rossastra, e quella maestosa della chiesa di San Nicolò l’Arena, opera di Stefano Ittar. Quest’ultima cupola, recentemente restaurata, è in pietra rosata e con i suoi 62 metri domina la Città. In realtà tutta la chiesa e il monastero rivelano un intento celebrativo: accogliere quanti più fedeli fosse possibile durante le feste religiose, soprattutto quella del Santo Chiodo, ma anche evidenziare la potenza e la ricchezza dell’Ordine benedettino. è possibile annoverare tra le cupole anche i campanili gemelli della splendida facciata barocca della chiesa di San Francesco all’Immacolata che conclude idealmente la via Crociferi. “Archi della Marina” è il nome con cui i Catanesi indicano il viadotto realizzato per la ferrovia Messina-Siracusa per Catania, dalla tipica alternanza di colori, grigio e avorio, e che va dal Porto a poco oltre la porta Uzeda, in corrispondenza della Pescheria. La sua realizzazione, a cura di una società francese su progetto dell’ing. Petit, fu oggetto di diatribe e dibattiti interminabili: era infatti opinione dell’amministrazione comunale e della Camera di Commercio di Catania che il progetto, che cancellava peraltro la Passeggiata a mare (ovvero il viale esterno alle Mura di Catania che conduceva al piazzale al termine della via Vittorio Emanuele), creando una barriera di ferro intorno alla Città avrebbe finito per penalizzare pesantemente il movimento mercantile del Porto.

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ulto agatino i luoghi

Nella sistemazione settecentesca della Città, a ridosso di un bastione cinquecentesco all’interno del quale si trova un ambiente antico che la tradizione religiosa vuole sia stato il carcere di Sant’Agata, molto vicino all’anfiteatro, fu edificata la chiesa detta appunto “di Sant’Agata al carcere”. Il portale della chiesa, di fattura medievale, costituiva in realtà l’ingresso dell’antico Duomo della Città, distrutto dal terremoto. I Catanesi elessero a propria patrona la gio-

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vane Agata già l’anno successivo al suo martirio, nel 252, quando ne portarono il Velo in processione riuscendo a fermare una minacciosa colata lavica. Il Martirologio romano recita: «Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore». La chiesa di San Biagio, o Sant’Agata alla fornace, era collocata poco fuori le mura, anch’essa vicinissima all’anfiteatro. In questo luogo sacro si trova la fornace in cui, per ordine di Quinziano, fu condotta Sant’Agata per subirvi l’ultimo supplizio. Per questo, ancora oggi, la chiesa viene indicata dal popolo con l’appellativo di Carcaredda cioè “fornace”: una fornacella appositamente costruita per il martirio umano. Questa consisteva in una semplice buca poco profonda scavata nel terreno, capace a contenere carboni accesi e vasi infranti resi incandescenti dal fuoco. Dopo la morte di Sant’Agata vi sorse una piccola edicola per ricordare il luogo del martirio. Verso il xvi secolo venne edificata la chiesa consacrata a San Biagio, in sostituzione di un’altra chiesetta allo stesso Santo intitolata. Abbattuta dal terremoto del 1693, venne ricostruita con le attuali dimensioni dal vescovo Riggio agli inizi del 1700. In questa chiesa, il cui ingresso è preceduto da un’ampia scalinata in pietra lavica e calcare che si apre verso piazza Stesicoro, ogni anno, il 3 febbraio, con una solenne cerimonia si celebra l’offertorio della cera da parte delle Autorità cittadine. La chiesa detta oggi di Sant’Agata “la Vetere” risale invece all’anno 313. Funse da Cattedrale per ben 770 anni, cioè sino alla venuta dei Normanni. Anticamente ospitava una cripta in cui erano conservate le reliquie di Sant’Agata, prima che queste venissero trafugate e portate a Costantinopoli. Distrutta dal sisma del 1693, fu riedificata sulle antiche rovine con forma e dimensioni differenti.

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ia crociferi

La via dei Crociferi, vero orgoglio cittadino, prende il nome dai PP. Crociferi (cosÏ chiamati a motivo della croce rossa sull’abito talare) che nel 1735 fondarono in questa strada stretta il loro convento e la chiesa di San Camillo. 157


In circa 300 metri si susseguono splendide costruzioni che rappresentano alcuni degli esempi più alti di barocco: oltre alla citata chiesa dei Crociferi, vi si affacciano la chiesa di San Giuliano (sorta nel 1295 sulle rovine dell’antico tempio di Castore e Polluce e riedificata in seguito al terremoto su progetto del Vaccarini), la chiesa di San Francesco Borgia (già dell’Ascensione) con annesso il collegio dei Gesuiti (già Ospizio di beneficienza) e la chiesa di San Benedetto. Oltrepassato l’Arco di San Benedetto, che collega la chiesa al convento delle Benedettine e che, si racconta, fu edificato in una sola notte, nel 1704, per volere del vescovo Andrea Riggio che si impose contro il volere del Senato cittadino, sebbene non ci si trovi più in via Crociferi ma in piazza Dusmet, si può ammirare la quinta perla barocca, ovvero la chiesa di San Francesco all’Immacolata. Sorta in epoca trecentesca sulle rovine dell’antico tempio di Minerva per volontà della regina Eleonora d’Angiò in onore della Madonna che aveva protetto Catania dal pericolo di una devastante colata lavica (la sovrana, morta nel convento benedettino di Nicolosi, vi fu anche seppellita), in seguito al sisma del 1693 fu ricostruita in stile tardobarocco. Tornando all’inizio della strada, troviamo invece Villa Cerami, una delle abitazioni aristocratiche più splendide e prestigiose di Catania, storico palazzo costruito dopo il sisma del 1693 sul cosiddetto “sperone del Penninello”, in magnifica posizione panoramica. Il primo nucleo fu acquistato da Giovanni Rosso Principe di Cerami nel 1723 e progressivamente ingrandito con nuovi volumi e abbellito con scalinate e balconate. Oggi questa splendida Villa, sede della prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza, si trova proprio all’estrenità opposta rispetto alla chiesa di San Francesco; le due costruzioni racchiudono idealmente quello che è un vero e proprio gioiello architettonico.

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iazza Stesicoro

è la vera sintesi della Città: racchiude le vestigia dell’antica Roma, i santi patroni, il tributo a Bellini, l’antico ospedale e si apre alla modernità del corso Sicilia celando dietro l’angolo il quartiere San Berillo come una ferita ancora aperta. Alcuni resti dell’Anfiteatro romano sono racchiusi all’interno di una grande trincea nell’attuale piazza Stesicoro. Sebbene fosse già conosciuto 159


dagli studiosi di storia catanese, l’anfiteatro fu riportato alla luce solo a partire dal 1904, per volontà del sindaco Giuseppe De Felice che affidò i lavori all’architetto Filadelfo Fichera. L’Anfiteatro è uno dei più grandi d’Italia, tanto che si estende al di sotto del manto stradale interessando diverse strade circostanti la piazza Stesicoro e la via Etnea. Costruito utilizzando marmo, mattoni e pietra lavica, si stima potesse accogliere circa 15 mila spettatori e che risalga al ii secolo d.C. Il palazzo Tezzano fu costruito a partire dal 1709 su commessa del conte e medico Niccolò Tezzano il quale, dopo il terremoto del 1693 lo donò alla Città perché vi sorgesse l’ospedale di San Marco. In seguito, una parte dell’edificio ospitò altri enti come l’Ufficio di intendenza borbonico, l’Archivio di stato civile, la Procura, l’Università. Nel 1880 l’ospedale fu trasferito negli attuali locali con accesso da via Plebiscito, ma il palazzo Tezzano restò sede, fino al 1953, del Tribunale. Oggi ospita una scuola media. Il monumento al “Cigno” catanese, opera di Giulio Monteverde, si trova in piazza Stesicoro, ma pare che tanto la collocazione quanto la postura della statua siano stati oggetto di non poche polemiche. Il progetto risale al 1874, già due anni prima che le spoglie del musicista fossero traslate nel Duomo di Catania. Norma, I Puritani, La Sonnambula e Il Pirata sono i quattro capolavori raffigurati dalle statue che, nel monumento, sostengono il trono solenne su cui siede il musicista, posto su sette gradini che rappresentano le sette note.

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onastero dei benedettini

Sorto intorno alla seconda metà del xii secolo sulle pendici dell’Etna (per l’esattezza, nei pressi di Nicolosi che prese il nome, per l’appunto, dalla chiesa di San Nicolò La Rena, così chiamata a causa della presenza di sabbia rossastra che caratterizza il territorio circostante), il monastero negli anni si espanse divenendo méta di numerosi pellegrini. In seguito a una disastrosa eruzione e alle incursioni dei briganti, nel xvi secolo i monaci vollero trasferirsi a Catania, dove fondarono il nuovo monastero il cui nome mutò progressivamente in San Nicolò l’Arena. Si tratta per certo del monastero più grande d’Europa. In seguito ai dan161


ni dell’eruzione del 1669 fu ristrutturato e contemporaneamente ebbe inizio la costruzione della monumentale chiesa di San Nicola, che tuttavia subì gravi danni in occasione del terremoto del 1693. La ricostruzione fu condotta in stile barocco ma il progetto e i lavori, tanto del complesso monastico quanto della chiesa, a cui lavorarono sia Francesco Battaglia che Giovan Battista Vaccarini, che Stefano Ittar, rimasero incompleti. All’interno della chiesa di San Nicola sono custoditi il più grande organo della Sicilia, risalente al xviii secolo e recentemente restaurato, ed una meridiana lunga 39 metri, realizzata nel 1839, raffigurante i segni zodiacali. Il monastero è sede della Facoltà di Lettere e Lingue dell’Università di Catania, mentre l’antico convento di Nicolosi, ristrutturato, è divenuto sede dell’ente Parco dell’Etna.

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astello ursino

Edificato con accesso sul mare per volere di Federico ii di Svevia, probabilmente per tenere a bada i Catanesi ribelli, il Castello fu sede del Parlamento durante i Vespri siciliani, sede dei Reali aragonesi nel Quattrocento e, in seguito, sede di guarnigioni e prigione. L’aspetto attuale è profondamente diverso da quello originario; la parte esterna è stata stravolta dalla colata lavica del 1669 che ne riempì il fossato e ne distrusse parte delle mura difensive. Oggi il Castello si trova in pieno centro storico ed è sede del Museo civico di Catania. 163


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ortino

Nell’odierna piazza Palestro, edificata nel 1768 su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia per celebrare le nozze di re Ferdinando i di Borbone (iii di Sicilia) e Maria Carolina di Asburgo-Lorena, si trova una delle più imponenti e scenografiche porte d’accesso alla Città. Collocata alla fine della via San Filippo, ribattezzata per l’occasione via Ferdinandea, fu inaugurata, appunto, come Porta Ferdinandea. Dopo il 1860 e l’impresa di Garibaldi, all’Eroe dei due mondi furono dedicate tanto la Porta quanto la strada. I Catanesi chiamano questa Porta “il Fortino”, confondendola con la vicina Porta de Ligne in via Sacchero. Sulla maestosa costruzione troneggia la figura di un’araba fenice, il mitico uccello che rinasceva dalle proprie ceneri, sotto cui si legge melior de cinere surgo, ovvero “Risorgo sempre più fiorente dalle mie ceneri”. 164


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iazza cavour (Borgo)

Il quartiere “Consolazione al Borgo” nacque come immediata conseguenza dell’eruzione del 1669 quando la lava, prima di giungere fino a Catania, aveva distrutto i casali sparsi nelle campagne etnee. Il vescovo di Catania allora aveva donato dei terreni a nord delle mura perché i profughi potessero trovarvi rifugio. Presto vi sorse anche una chiesa dedicata a Sant’Agata. Al centro della piazza oggi intitolata al conte di Cavour, a metà dell’Ottocento fu collocata la fontana di Cerere, scolpita nel 1757 dal palermitano Giuseppe Orlando. Posta inizialmente in piazza Università con la funzione di ottenere i favori della dea perchè cessasse la

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carestia che attanagliava il Val di Noto, la cittadinanza sviluppò progressivamente una certa disaffezione che si tramutò in ostracismo; perfino il nome con cui i Catanesi indicano la statua, Tapallara, nato dalla confusione popolana tra Cerere e Pallade Atena, acquistò man mano una valenza negativa, dovuta alla sua presunta bruttezza, com’è testimoniato anche da Nino Martoglio.

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tazione centrale

La stazione ferroviaria di Catania venne costruita nel tardo Ottocento nella stessa zona in cui sorgevano le strutture per la molitura e raffinazione dello zolfo e collegata al Porto per valorizzare e incrementare lo sviluppo economico-industriale e logistico della Città. L’aspetto esterno dell’edificio principale, che sorge sull’odierna piazza Papa Giovanni xxiii, è caratterizzato dagli archi del loggione che un tempo serviva per riparare i passeggeri che arrivavano in carrozza. Leggermente decentrata rispetto alla piazza campeggia la fontana di Proserpina, in cemento, con lo splendido gruppo scultoreo realizzato da Giulio Moschetti nel 1904. Secondo il mito, Proserpina era figlia di Cerere e Giove. Mentre coglie167


va dei fiori fu rapita da Plutone, re degli Inferi, che la fece sua sposa. Digiuna per l’afflizione, ella mangiò senza appetito sei chicchi di melograno. Intanto per il dolore Cerere, dea delle messi, smise di far crescere il grano sulla terra provocando una lunga e tremenda carestia. Grazie all’intervento di Giove, Proserpina poté tornare sulla Terra solo per sei mesi l’anno. Tale è l’origine, nel mito, della primavera e dell’estate. La fontana è oggi valorizzata da un recupero architettonico e urbano che sta interessando tutta la zona, compreso il ripristino e il probabile allargamento del cosiddetto “Passiatore”, la passeggiata a mare che oggi corre parallela ai binari ferroviari.

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iazza verga

La cosiddetta “piazza d’armi” era un campo di addestramento militare fuori dalla Città. Nel 1907 fu scelta, grazie all’estensione e alla collocazione, per ospitare l’Esposizione agricola siciliana, ragion per cui mutò il nome in piazza Esposizione. Solo successivamente la piazza fu intitolata al grande Scrittore catanese; in quella occasione, il Comune bandì un concorso per la realizzazione di una statua da collocarvi; il progetto vincitore fu quello della suggestiva fontana dei Malavoglia, un complesso scultoreo opere del catanese Carmelo Mendola che rappresenta una delle scene chiave del capolavoro verghiano, ovvero il naufragio della Provvidenza e che fu posta nella piazza nel 1975. Dal 1936 al 1953 ebbero luogo i lavori per l’edificazione del palazzo di Giustizia, opera di Francesco Fichera e impreziosito dagli affreschi di Carmelo Comes, sul cui ingresso campeggia una maestosa statua in bronzo raffigurante la dea della giustizia, scolpita da Mimì Maria Lazzaro.

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illa bellini

“La Villa” dei Catanesi, recentemente risistemata, era un giardino magnifico di proprietà degli eredi del principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello. Fu acquistato dal Comune di Catania nel 1854 e ampliato con l’annessione di vicini giardini privati. Aperto al pubblico nel 1883, divenne meta abituale delle famiglie della Città, godendo di grande popolarità almeno fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando vi era perfino un piccolo zoo con animali anche esotici, che i Catanesi amavano chiamare per nome: la scimmia Gino, l’elefante Toni, oltre ai cigni della grande vasca all’ingresso di via Etnea. Lungo il viale degli Uomini Illustri è possibile ammirare i busti in marmo delle personalità che, in ogni settore dell’arte e della scienza, hanno dato e ancora danno lustro alla nostra Città. 170


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illa pacini

La villa Pacini, dedicata al secondo musicista catanese per importanza dopo Bellini, fu costruita subito dopo l’Unità d’Italia in prossimità della Pescheria, a ridosso degli archi della Marina e della Porta Uzeda, proprio sul fiume Amenano, dove sorgeva un lavatoio di cui resta ancora qualche traccia. Scenario degli sbadigli delle persone anziane che erano solite trascorrervi il tempo, i Catanesi, con l’acuto spirito di osservazione e l’ironia che sempre li contraddistingue, la ribattezzarono presto villa Varagghi. La villetta aveva anche una passeggiata a mare che fu eliminata quando, qualche anno dopo l’inaugurazione, furono iniziati i lavori per la costruzione della tratta ferroviaria Catania-Siracusa. 171



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La “perla nera dello Jonio”. Una definizione che si adatta splendidamente alla nostra Città, nera di lava, prezioso retaggio di civiltà antiche, languidamente adagiata su una costa altrettanto eccezionale, che muta senza soluzione di continuità dal basalto scuro della Scogliera, alta e frastagliata, ai chilometri interminabili di sabbia della Plaja bianca e assolata. Il litorale scoglioso – fino a poco tempo fa accesso privilegiato al mare per i fortunati possessori di “villini” – è oggi attrezzato di numerose strutture balneari. Prediletto ancora oggi dagli amanti delle immersioni subacquee, vi si possono ammirare splendide gorgonie. Da questo tratto di costa si giunge all’insenatura del porticciolo di Ognina, un tempo borgo marinaro ma oggi perfettamente inserito nel con-

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testo urbano. Vi trovano ancora riparo – oltre a quelle da diporto, sempre più numerose – le barche dei pescatori locali; la spiaggetta bassa in cui, fino agli anni Sessanta, la gente del borgo faceva il bagno, oggi è dimora di una famigliola di anatre che se la contendono con i canoisti. Il porticciolo attuale è, verosimilmente, ciò che resta dell’antico Portus

Ulixis, nei pressi del quale esisteva un tempio dorico dedicato ad Athena Longatis (probabilmente dal fiume Longane, che nasce nella zona di Cibali e che fu sommerso dalle lave del 1381). Particolarmente interessante è la chiesa di Santa Maria in Ognina, nota come della “Madonna Bambina”, che sorge a pochissimi metri dalla spiaggia. Le sue origini sono molto antiche: nel 1174 alcuni monaci basiliani avevano edificato un’abbazia nei pressi della spiaggia e dei resti del tempio di Atena. Nel 1392, proprio sui ruderi del tempio pagano, venne eretta la chiesa di Santa Maria di Lògnina, annessa all’abbazia basiliana da cui prese il nome. Nel terremoto del 1693 l’edificio crollò e fu riedificato sulle medesime mura perimetrali. Fu in seguito riconsacrato e infine, nel 1945, elevato a santuario mariano. L’8 settembre di ogni anno il piccolo golfo è teatro della suggestiva festa con la consueta processione in mare. L’attigua torre è invece una testimonianza delle strutture costruite in

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tutta la zona costiera per difendersi dai Saraceni. Anche nei pressi di piazza Europa sorge una garitta del xvi secolo a cui spesso ci si riferisce come “torretta saracena” ma che in realtà aveva la funzione opposta, cioè quella di difendere la Città dalle incursioni piratesche. Proseguendo verso sud si incontra l'incantevole borgo marinaro di San Giovanni Li Cuti, caratterizzato da grossi massi di pietra lavica (cuti) e dalla spiaggia di sabbia nera particolarmente apprezzata dai bagnanti. La porzione di costa da piazza Europa alla stazione centrale è occupata prevalentemente dal porto turistico Rossi, mentre sul tratto roccioso detto del Larmisi, retaggio di quella che fu forse la prima eruzione a lambire l’abitato, sorge la Stazione centrale i cui binari si estendono paralleli alla costa, in prima battuta adiacenti al Passiatore e, più avanti, sul viadotto ad archi che giunge alla Marina e al vecchio “Porticello Saraceno” che costituì per secoli il luogo centrale in cui si concentravano i traffici e l’economia della Città. Molto vicino al punto in cui sorgeva il porto saraceno, che puntualmente veniva distrutto dalle violente mareggiate e ogni volta ricostruito con

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grande esborso di denaro (tanto che, paradossalmente, quando la colata del 1669 distrusse la Città spingendosi nel mare per chilometri, i Catanesi sperarono invano di poter avere finalmente un porto naturale, stabile e sicuro) nel Settecento furono iniziati i lavori per la costruzione di un porto moderno e ben protetto. Le operazioni di ampliamento e consolidamento si susseguirono per secoli, tanto che solo nel 1937 il porto avrà la fisionomia che oggi conosciamo. Nei pressi dell’odierna Pescheria, infatti, gli archi del viadotto ferroviario sorgevano direttamente dal mare: la Capitaneria di porto, la Dogana, gli uffici del moderno Porto erano circondati dal mare, e pure sul mare si affacciavano, più all’interno, il palazzo Vescovile e il palazzo Biscari. Nei primi anni Trenta del secolo scorso fu inaugurato un servizio di trasporto: un moderno vaporetto, presi a bordo i bagnanti all’altezza del palazzo Biscari, li conduceva via mare alla Plaja, l'area costiera bassa e sabbiosa che dal Faro si allunga verso Siracusa per circa venti chilometri, costeggiata dal “boschetto” di pini marittimi protagonista di un recente sforzo di valorizzazione. Oggi punteggiata di lidi e lussuosi hotel, soltanto negli anni Cinquanta la spiaggia renosa diventò, da luogo malsano, uno dei punti d'incontro della “dolce vita catanese”, grazie ad alcuni lungimiranti imprenditori. La Plaja giunge fino ad Agnone Bagni in un’altalena di spiagge libere, stabilimenti, case e persino condomini, che danno vita a interi villaggi nella zona di Vaccarizzo. Un'area particolarmente interessante del litorale catanese è quella della foce del Simeto che coincide con la parte costiera della Piana di Catania: dichiarata nel 1984 Riserva naturale orientata dalla Regione siciliana, è un ambiente strategico per lo svernamento e la nidificazione di rari uccelli acquatici lungo le rotte migratorie dal Nord Europa all'Africa e viceversa.

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