Viabilità antica di Sicilia - Excerpt

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SEBASTIANO SCIORTO

la viabilità antica I sicilia sud-orientale

Copyright © 2013 Boemi S.r.l., Catania ISBN 978-88-906460-8-9

Tutti i diritti sono riservati. L’Autore considera la cultura un bene universale. Chiunque può riprodurre parte di quest’opera, citandola. BOEMI


A Cettina Maggiore e Carmen Sciorto: i beni più importanti della mia vita.

La viabilità riveste un ruolo importante nella storia dell’umanità. Ha segnato le tappe dell’economia, dell’affannosa attività diplomatica per la ricerca del compromesso, dell’aspro e violento scontro d’eserciti, della civiltà nel suo lento, costante, continuo processo evolutivo. S’è voluto dare una precisa definizione a determinate vie, limitandone l’intrinseco valore: via della seta, via del vino, via del frumento, ecc. La via ha lasciato fluire, attraverso i secoli, nel suo reticolo, irrefrenabili passioni, tumultuosi sentimenti, am­basce, sofferenze, incontenibili ambizioni piccole o grandi (voluttà di fagocitare il prossimo o saziare la sete delle ambi­zioni o bere nel calice del dolore). Per tutto questo sarebbe giusto attribuire una denominazione più consona e realistica: la via del compromesso, la via della guerra, la via della sofferenza, la via della schiavitù, ecc. Oggi, le passioni sfrecciano sulle linee ferrate o sulle autostrade, volano più veloci del suono nell’aria, si agitano nell’etere via internet e raggiungono, in tempo reale, qualunque parte del globo; ma non possiamo dimenticare il lento proce­dere dell’asino sulle fangose o polverose trazzere.

Ringrazio:

L’Autore

Massimo Frasca, Professore di Archeologia della Magna Grecia e direttore della Scuola di specializzazione di archeologia dell’Università di Catania, per la disponibilità nello scrivere la prefazione a questo lavoro, per avermi onorato del cordiale reciproco rapporto umano, per il Suo costante lavoro nel campo dell’archeologia (importante veicolo o meglio fonte per la determinazione di antichi itinerari); l’Arch. Emanuele Tuccio, autore di Terranova, oggi Gela, per avermi spedito copia topografica del territorio di Gela; il personale dell’Ufficio Tecnico Speciale per le Regie Trazzere di Palermo; i dirigenti tecnici del Consorzio di Bonifica di Caltagirone e Gela, per le stimolanti conversazioni; i Direttori delle Biblioteche Comunali di Buccheri, Butera, Caltagirone, Catania, Licodia Eubea, Niscemi e Vizzini; il personale dell’Ufficio Tecnico dei comuni di: Avola, Buscemi, Butera, Caltagirone, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Grammichele, Mazzarino, Niscemi, San Michele di Ganzeria, Ragusa, Riesi, Vizzini; il personale della Provincia Regionale di Ragusa; la famiglia Falcone per avere fornito copia ed autorizzato la pubblicazione delle cartelle topografiche di Licodia Eubea del primo ‘900 (le cartelle sono gelosamente conservate presso lo studio dell’Avv. Sebastiano Falcone, ricevute in consegna dal padre Notaio Dott. Nunzio. Le cartelle originali sono a colori, predomina il rosso). Grazie, anche, per l’attenzione prestata nel conservare questi preziosi documenti; tutti coloro che hanno dimostrato sensibilità ed interesse; l’Arch. Giuseppe Lo Porto, Vice-presidente dell’Associazione SiciliAntica, ché conosce la genesi del lavoro: ha seguito la gestazione dell’opera, è stato paziente Assistente e ha, gentilmente, fornito ospitalità alla neonata opera; la D.ssa Letizia Cantarella ché ha, pazientemente, curato il progetto grafico e l’impaginazione, ultima e sapiente mano per dar vita al mio modesto lavoro sulla Viabilità antica.


PRESENTAZIONE Sono diversi i motivi di grande soddisfazione nel salutare la nascita dell’opera del Prof. Sebastiano Sciorto, dedicata alla viabiltà antica. Primariamente desidero segnalare l’ennesima collaborazione con l’Editore Angelo Boemi, lo stesso che pubblicò, oltre tre lustri fa, la prima monografia di SiciliAntica. Raramente, e soprattutto in questi tempi di grave crisi economica, si trova tanta sensibilità verso operazioni culturali specialistiche che, purtroppo (ma direi anche inevitabilmente), non sempre hanno quel ritorno economico che, legittimamente, un Editore si aspetta. Poi per il tema trattato al quale SiciliAntica è particolarmente sensibile sin dal 2004, quando organizzò a Caltanissetta il convegno “Itinerari e comunicazioni in Sicilia tra tardo antico e medioevo”. L’inaspettato interesse per l’argomento ha stimolato una serie di studi che stanno dando nuove chiavi di lettura di un fenomeno fino a pochi decenni fa non abbastanza approfondito. Infine, ma non ultimo, desidero sottolineare il grande impegno profuso, nell’arco di vari anni, dal Prof. Iano Sciorto che, oltre a rivelare una meticolosa ansia di conoscenza, dimostra come ancora tanto ci sia da “scoprire” di questa nostra bella terra di Sicilia.

Arch. Giuseppe Lo Porto Vicepresidente di SiciliAntica

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PREFAZIONE Nella sua ultima fatica letteraria Sebastiano Sciorto tratta della viabilità antica della Sicilia; tema che l’Autore aveva già affrontato con efficacia in altri lavori, come nel volume su Licodia Eubea e le pietre scritte (Catania 1990). In quell’occasione Sciorto aveva ricostruito la viabilità del territorio della sua città natale, Licodia Eubea, identificando l’antichità di alcuni percorsi ripresi dalle “piste armentizie” ancora percorribili fino al XX secolo. Adesso, l’orizzonte si amplia fino a comprendere tutta la cuspide sud-orientale della Sicilia. Un lavoro ambizioso, che si occupa di un argomento difficile da affrontare, in quanto trattare di percorsi stradali vuol dire cimentarsi in temi più complessi di quanto non appaiano ad un esame superficiale. Infatti, le strade, queste strisce di terreno più o meno larghe, più o meno lunghe, più o meno attrezzate per il transito di animali, persone e veicoli, hanno per l’uomo un’importanza fondamentale: esse costituiscono anche il luogo «in cui l'umanità incontra se stessa, e all'uomo appare in tutta la sua realtà il significato della parola “prossimo”»1. Le strade non soltanto collegano luoghi, distanti o vicini che siano, ma soprattutto mettono in contatto le comunità che risiedono in quei luoghi, sia letteralmente quanto metaforicamente, veicolando conoscenze, idee, merci, ma anche messaggi di pace, conflitti, malattie, farmaci, e così via. L’impatto che la viabilità di un territorio ha sulle genti che in diversa misura lo abitano, si tratti di piccole o di grandi comunità, è pertanto incommensurabile: inevitabilmente, le vie tracciate dall’uomo influiscono profondamente sul paesaggio e sulla vita stessa degli uomini. Come ha sottolineato uno dei massimi studiosi della viabilità antica della Sicilia, Giovanni Uggeri, ricostruire la rete viaria di una regione è fondamentale per precisarne la fisionomia in una determinata epoca, in 1

Giovanni Uggeri, La viabilità della Sicilia in età romana, Congedo Editore, 2004.

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senso dinamico e in relazione con le condizioni ambientali, di vita, di attività e d'interessi coevi. L’uso di segnare un tracciato percorribile e di renderlo stabile attraverso forme di pavimentazione è molto antico: si può ricordare come già in Mesopotamia alcune strade furono coperte di mattoni cotti e bitume, e come nella Creta minoica si adoperarono a tale scopo lastre di pietra. Ma, in Sicilia, come in genere nel mondo greco, ci si limitò a scavare sedi stradali nel fondo roccioso in cui venivano spesso tracciati solchiguida (carraje) per le ruote dei carri e a livellare il fondo con piani di ghiaia, terra e cocciame. Solo con i Romani fu realizzata anche in Sicilia una rete di strade dotate di pavimentazione di lastre di pietra. Anche in Sicilia, benché in misura minore rispetto ad altre provincie, i Romani crearono anche sostruzioni lungo i fianchi dei colli, tagliarono rocce, costruirono ponti e palizzate di legno per superare fiumi e paludi. Nel dedicare una monografia alla ricostruzione della viabilità della Sicilia, Sebastiano Sciorto si mostra consapevole dell’importanza dell’argomento trattato per la ricostruzione della storia della Sicilia, del suo paesaggio e delle popolazioni che l’hanno abitato. Lo scritto di Sciorto tiene opportunamente conto dei risultati di indagini provenienti da competenze diverse, da quella geografica a quelle topografica, da quella archeologica a quella antiquaria e, non ultima, dalla toponomastica. L’Autore basa la sua ricostruzione della viabilità antica della Sicilia sulla convinzione che le trazzere, nel XVIII e XIX secolo, siano «legate ad elementi immutabili del terreno» e abbiano «sempre costituito i vasi comunicanti fra i vari insediamenti». Esse in origine dovevano essere delle “piste naturali”, «segnate dagli animali transumanti», che formavano la maggior parte degli antichi collegamenti attraverso la Sicilia interna, utilizzate dai pastori per trasferire le greggi transumanti. Convinzione espressa già da Paolo Orsi, che all'inizio del secolo scorso aveva osservato che «chi ponesse mano allo studio della viabilità della Sicilia antica, da nessuno mai tentato, arriverebbe alla singolare conclusione che quasi tutte le vecchie trazzere non erano in ultima analisi che le pessime grandi strade dell'antichità greca e romana, e talune forse rimontano ancora più addietro»2. 2

Paolo Orsi, «Notizie degli Scavi», 1907, p. 750.

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Nel suo scritto Sebastiano Sciorto, sulla base degli elementi che è riuscito a reperire, prospetta un quadro dettagliato della viabilità antica della Sicilia sud-orientale, ricostruendone la storia di lunga durata, dalla preistoria all’età greca e romana fino ai profondi cambiamenti che si sono avuti nel paesaggio nel XIX secolo. Un paesaggio che è cambiato rapidamente solo negli anni più recenti, negli anni convulsi dell’industrializzazione e del repentino inurbamento che ha coinvolto anche la Sicilia nel Secondo Dopoguerra, di cui l’Autore dimostra di essere stato testimone e di cui è sapiente narratore. Sottolinea infatti Sciorto come «ancora agli inizi degli anni ’50 del XX secolo era possibile osservare le mandrie dei muntagnisi sfilare sulla Regia Trazzera, accompagnate dal monotono suono del campanaccio appeso al collo del capo branco e seguite dai dinoccolanti asini, sommersi da pentole e quadare per la preparazione della ricotta e dei derivati». Nei due volumi di cui si compone l’Opera, sono trattate, nell’ordine: – l’area siracusana, seguendo la via costiera percorsa della SS115 da Siracusa fino a Camarina; – la cuspide iblea lungo il percorso della strada interna SS194, Catania– Ragusa, con le varianti verso Giarratana, Monterosso e Palazzolo; – la zona degli Erei, lungo la SS124, da Grammichele a Caltagirone; – l’area nissena da Gela a Piazza Armerina lungo la SS117 bis e gli insediamenti di Butera e Niscemi. Alla ricostruzione delle direttrici viarie e degli andamenti dei percorsi antichi, spesso conservati in quelli in uso fino a poco tempo fa, si connette il tentativo, non facile e spesso di incerto esito, considerata la mancanza, in molti casi, di opportuni dati epigrafici, numismatici e toponomastici, di identificare i siti menzionati nelle fonti storiche e, per l’età romana, negli itinerari romani giunti fino a noi. Tuttavia, la collazione di documenti eterogenei, vagliati attentamente, e l’esplorazione autoptica, che spesso è una riscoperta, delle tracce sopravvissute, consente all’Autore di ricostruire in maniera attendibile la trama della rete viaria antica della Sicilia e le vicende dei principali siti collegati da essa. Dunque, un lavoro paziente, tenace, quello di Sebastiano Sciorto, il quale, sorretto dalla intensa passione per gli studi e dal profondo legame 11


con la terra natia, è riuscito a superare le difficoltà legate alla non facile reperibilità delle pubblicazioni più recenti e al non sempre agevole accesso ai documenti di archivio. Il libro di Sciorto mostra, in ultima analisi, come anche l’opera di un “non addetto ai lavori”, se accompagnata da passione e lucidità di giudizio, può fornire un grande contributo alla ricostruzione di una pagina non secondaria della Storia dell’Uomo. Catania 22 febbraio 2013

Massimo Frasca Università degli Studi di Catania

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PREMESSA La velocità ha caratterizzato il xx secolo ed ha dato una precisa impronta all’evoluzione. Il progresso è stato ed è estremamente veloce, tanto da rendere difficile se­guirne le varie fasi ed esserne costantemente aggior­ nati. La via­bilità ha anche seguito l’affannosa corsa per adeguarsi allo sviluppo dei vari mezzi di comunicazione. è stato necessario creare strutture e norme parti­co­lari per le tre importanti vie di comunicazione: marittime, aeree e terre­stri. Noi c’interessiamo della terza (quella terrestre). Le strutture viarie del secolo xix differivano poco da quelle usate durante l’Impero romano o, an­cora più indietro nei tempi, quando i nostri antenati, per spostarsi da un posto all’altro, seguivano le piste trac­ciate dagli animali liberamente transu­manti. Per migliaia d’anni, le nostre vie di comunicazione sono state o le tor­tuose piste ar­mentizie, che ancor oggi si ar­rampicano sulle colline e ne seguono l’andamento sulla parte api­cale, o le vie lungo la costa, dove il guado dei fiumi non è molto difficol­toso. L’attraversamento dei fiumi rappresentava un grande ostacolo. Per evitare i malpassi, le vie risalivano le valli fino alle sorgenti. Pochi e rari erano i ponti: ne abbiamo scarse testimo­nianze, specie per l’area oggetto del nostro esame. Sulla via Elorina, Tucidide ricorda un ponte sull’Anapo e Tzetzes fa menzione di un ponte sul fiume Eloro. Molti erano i passi con strutture di legno, ma non molto si­curi du­rante le piene; così come non erano affidabili le zattere. Roma, durante il suo lungo dominio, non mostrò grande in­te­resse per le strade della Sicilia. Si sfruttavano i porti, dove i carichi arri­vavano a dorso d’animali da soma. Non abbiamo le vie con­solari car­rozzabili con im­ponenti ponti e grandi tagliate. La viabilità, pressochè inalte­rata, tale è rimasta fino ai primi anni del secolo scorso. Viaggiare era un’av­ventura. Il “mezzo” più comune: l’animale da soma. 13


Tav. 2. Riitina

Tav. 1. Lettiga

Le per­sone di riguardo viaggiavano in “lettiga” (Tav. 1) sempre tra­spor­ tata dagli animali da soma. Le merci erano tra­spor­tate an­che sul dorso degli animali: a questo scopo si formava la rïtina (Tav. 2): gruppi d’asini le­gati uno dietro l’altro. Il capo-rïtina era detto “bor­donaro”. Il carro, conosciuto an­che nell’an­tichità, non era usato per il trasporto delle merci per lun­ghe di­stanze. In Sicilia, questo mezzo di strasporto era utilizzato in città o nelle vicinanze. L’uso del carro per le grandi distanze risale infatti alla se­conda metà dell’Ottocento, quando incominciava a formarsi una buona rete di strade ade­guate. Le trazzere erano molto larghe, ma prive d’opere d’arte (ponti, cunette, ecc.) e, per la maggior parte dell’anno, erano co­perte di fango. Quelle lastricate erano rare. Le trazzere della Sicilia «sono legate ad elementi eternamente immutabili del terreno, alle vallate come alle colline, così che le 14

regie trazzere che tuttora percorrono i nostri bordonari non sono altro che le stesse vecchie strade greche e romane che per millenni sono state attraversate dagli uomini…»1; «i tracciati stradali», leggiamo in Biagio Pace, «obbligati dalle necessità topografiche a punti fissi di passaggio, hanno un carattere tradizionale e conservativo, sicché è normale poter risalire dalle vecchie trazzere ai più antichi percorsi»2. Le trazzere, tracciate, come si diceva prima, sulle piste degli animali liberamente transumanti, differivano poco dalle strade romane o medievali. La viabilità del xix sec. ha seguito le tracce delle vecchie trazzere, allontanandosi dal loro tracciato solo nel caso di percorsi troppo ripidi e difficilmente superabili dai carri trainati da animali da soma. I tornanti realizzati erano meno ripidi, ma il percorso era più lungo. Per motivi commerciali e fondamentalmente economici, gli amministratori comunali sollecitavano l’attraversamento dei loro centri; ciò richiedeva a volte di abbandonare il naturale andamento delle trazzere per seguire percorsi ricchi di curve e ponti, tagliati spesso sulle falde d’impervi costoni. Angelo Li Gotti, Identificazione definitiva di Calloniana, in «ASSO» (Archivio Storico per la Sicilia Orientale), XI-XII (1958-59), p. 126. 2 Biagio Pace, Camarina. Topografia, storia, archeologia, Catania, Tirelli, 1927, Cap. x - Le strade. 1

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Oggi si torna al sistema antico: alle vie laterali. Le autostrade e le vie a scorrimento veloce si articolano su percorsi lontani dai centri abitati, come le grandi vie delle transumanze, le lunghe trazzere che per millenni hanno collegato i monti al mare e viceversa. L’odierna classificazione delle strade (predisposta dall’Ispettorato Generale per la circolazione e la sicurezza stradale sulla base degli elenchi previsti dalla legge 21 aprile 1962, n. 181, in seguito modificati ed aggiornati) risulta, nel competente Codice, come segue: A. Autostrade B. Strade extraurbane principali C. Strade extraurbane secondarie D. Strade urbane di scorrimento E. Strade urbane di quartiere F. Strade locali F/bis. Itinerari ciclopedonali Per quanto concerne l’aspetto amministrativo, le strade sono suddivise in: 1. Statali 2. Regionali 3. Provinciali 4. Comunali La classificazione ricorda l’ente amministratore: Strada Statale, Provinciale e Comunale. Le Regie trazzere, rimaste attive fino agli anni Sessanta del secolo scorso come vie di transumanza, erano e sono ancora di proprietà ed a carico della Regione siciliana. A seguito di quanto disposto dalla Consulta del Maestro Segreto, in data 1 febbraio 1788, le strade di collegamento tra centri abitati venivano considerate Regie Trazzere, mentre erano classificate vie pubbliche quelle che portavano ai mulini, ai paratori o ai fiumi3. Tutti i diverticoli, che collegavano i centri abitati alle strade principali, diventarono Regie Trazzere. Con un decreto, il Regio demanio si arricchì di centinaia di strade. In un primo tempo, la disposizione per la nuova clas-

sificazione non suscitò reazioni ma, nel momento in cui il regio demanio tentava di recuperare le vantate usurpazioni da parte dei proprietari dei fondi limitrofi alle Trazzere (Regie per decreto e ritenute ampie 18 canne, oltre trentasei metri4), le contestazioni si fecero sentire. Su quella base, ancora oggi, le Regie Trazzere vengono considerate strade intercomunali. Dopo l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia, cioè dopo l’unità nazionale, i Comuni siciliani approntarono elenchi di beni mobili ed immobili. Le strade extraurbane erano distinte in “principali”, “secondarie” e “vicinali”. Molte strade realizzate nel xix secolo vennero classificate come “Statali”. Nel 1808, ancora in sistema feudale, le strade erano classificate in: 1. Consolari 2. Traverse Principali 3. Traverse Secondarie Le condizioni di completo e totale abbandono perduravano da tempi immemorabili5. Il fondo naturale era coperto di fango in inverno e di polvere in estate. La manutenzione era affidata ai feudatari, beneficiari del feudo attraversato dalla strada, o ai giurati delle Università6. I viandanti trovavano le strade sbarrate da catene, a distanze quasi regolari, ed erano costretti a pagare pedaggi, spesso esosi. Da Palermo avevano origine le strade classificate Consolari con orientamenti ben precisi: Mazzara, Agrigento, Siracusa, Catania, Messina. Lungo il percorso delle Consolari si staccavano le Traverse Principali per collegare le aree non attraversate dalle Consolari. Le Traverse Secondarie

Stefano Fontana, Il mito delle Regie Trazzere di Sicilia, in «Rassegna di Diritto Civile», XXII, I (2001), pp. 63-80.

Dispaccio Reale del 9 maggio 1799 e successive disposizioni. Cfr. Paolo Balsamo, Giornale di Viaggio in Sicilia e particolarmente nella contea di Modica, Palermo, Regia Stamperia, 1809. 6 Si fanno risalire questi obblighi al vi sec. d.C., dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente. Cfr. G. Uggeri, “L’evoluzione del sistema viario in Sicilia”, in Viabilità antica in Sicilia, Atti del III convegno di studi, Giarre-Riposto, Archeo-Club, 1987 p. 62: «Sappiamo che in generale il sistema stradale romano fu mantenuto in efficienza dai tardi epigoni dell’Impero, come Teodorico e Narsete, che a più riprese realizzarono restauri o, almeno, prescrissero la manutenzione delle strade tra gli obblighi delle comunità e dei proprietari dei terreni attraversati. Ma, con il venir meno di un saldo controllo centrale, molte opere di restauro furono trascurate e, naturalmente, ne soffrirono maggiormente quelle arterie a tracciato prevalentemente artificiale, lungo le quali ponti e viadotti non furono più restaurati».

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collegavano le precedenti ai centri abitati. La Consolare che collegava Palermo alla Sicilia sud-orientale passava per Termini Imerese, Polizzi, Calascibetta, Enna, Piazza Armerina, Caltagirone, Lentini, Siracusa. A Caltagirone si staccava una Traversa Principale per Noto. La Strada Secondaria per Modica si diramava da Giarratana. Nella seconda metà del xviii secolo, si incominciava a parlare di interventi per migliorare le condizioni delle strade e per trasformare in rotabili quelle del servizio postale. I progetti furono realizzati in minima parte e limitatamente alle strade Palermo–Bagheria e Catania–Primosole. Il servizio postale fu istituito dal viceré Marco Antonio Colonna nel 1584. Il servizio era mensile, gestito da tre corrieri muniti di scudo con armi regie e corno. I corrieri servivano tutti i paesi dei tre Valli (Mazzara, Demone, Noto). La durata del servizio era strettamente legata alla stagione: in estate occorrevano 18 giorni per il Val di Mazzara, 24 per il Val Demone e 20 per il Val di Noto; in inverno il servizio si prolungava di circa 6 giorni. L’unico mezzo di trasporto era il cavallo. Lungo le strade, anche lontano dai centri abitati, si trovavano fondaci per il riposo ed il ristoro di persone ed animali. Il servizio postale fu sottoposto a degli aggiornamenti nel xviii secolo, relativamente alla periodicità, al percorso e al numero dei corrieri. Il servizio aveva, infatti, una periodicità settimanale. I corrieri muovevano da Palermo e percorrevano le strade Consolari per raggiungere il capolinea. Nei centri abitati toccati dalle strade Consolari, e che davano origine alle traverse Principali, era stata creata una rete di smistamento per arrivare nei vari paesi dei tre Valli. Molte Strade Consolari e Principali avevano lo stesso percorso delle ampie strade della transumanza. Nel lungo e travagliato Medio Evo, non troviamo una precisa classificazione delle strade, ma la denominazione di alcune è ancora presente nella toponomastica siciliana. Le strade della transumanza, che, adeguandosi alla morfologia del terreno, collegavano i monti al mare, hanno avuto una lunga durata nel tempo, fin dalla prima organizzazione sociale nella preistoria, o meglio, ancor prima, dalla libera e spontanea migrazione animale ai nostri giorni.

Guglielmo ii, nella sua Assise De animalibus in pascuis adsignandis (1172)7 dettava precise disposizioni in merito e vietava al signore delle terre attraversate o al “baiulo” di esigere pedaggi o indennità di pascolo per il transito di mandrie, limitatamente ad un giorno. Federico ii (poi iii) d’Aragona, in seguito, avrebbe prolungato il permesso di transito a due giorni8. Re Martino (1390-1409), Ferdinando i (14121416) e altri successivi regnanti emanarono ulteriori decreti confermando quanto disposto dai precedenti; si trattava insomma di una concessione bonaria voluta dal sovrano. Poniamoci, a questo punto, alcune domande: le Regie trazzere o le vie della transumanza erano strade pubbliche? Non possiamo ritenerle tali per il solo fatto che feudatari o giurati delle Università pretendevano il soldo per il pedaggio, considerando le strade beni immobili di esclusiva pertinenza del feudo o del territorio delle Università. E ancora: è possibile pensare alla Sicilia priva di strade, per una lunga serie di secoli? Per dare una risposta, bisogna rivolgere la nostra attenzione alla raccolta degli atti notarili pubblicati dal Garufi, alla Sicilia Sacra di Rocco Pirri, alle ricerche sul Monachesimo latino nella Sicilia normanna di Lynn Townsend White, ecc. e troveremo la varia denominazione di strade citate per indicare i confini di territori: Viam regiam9, Viam francigenam

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Vincenzo Spola, I precedenti storici della legislazione della Dogana di Foggia nel Regno di Napoli, in «Archivio Storico Pugliese», (iii-iv) 1972, p. 476, n. 36. 8 S. Fontana, op. cit., :«Ordina, dunque, la Constitutio de animalibus in pascuis assignandis (alias affidandis) di Federico II di Svevia che se pecore o animali in genere, fossero trasferiti da una contrada ad un’altra, non è lecito al signore delle terre attraversate o al Baiulo del luogo medesimo, ricevere un corrispettivo se per un giorno o una notte soltanto, e non oltre, abbiano pascolato nella terra di loro pertinenza, ma debbono permettere il transito senza alcuna dazione». 9 Carlo Alberto Garufi, “Gli aleramici e i normanni in Sicilia e nelle Puglie. Documenti e ricerche”, in AA.VV., Centenario della nascita di Michele Amari. Scritti di filologia e storia araba; di geografia, storia, diritto della Sicilia medievale; studi bizantini e giudaici relativi all’Italia meridionale nel Medio Evo; documenti sulle relazioni fra gli Stati italiana ed il Levante, Palermo, Virzi, 1910, i, p. 81. Giorgio Battaglia, Diplomi inediti relativi all’ordinamento della Proprietà Fondiaria in Sicilia sotto i Normanni e gli Svevi, Palermo, Lo Statuto, 1895, p. 4. 7


viam fabariam10, Viam Publicam11, Violum12, Magnam viam francigenam Castronovi13, Viam albam14, Magnam viam terrani15 ecc. La voce Via o Viam, in relazione ai casi, si riscontra in quasi tutti gli atti notarili relativi a compravendita o donazione di terre per individuare ed indicarne i confini. Le strade, per tradizione, segnavano i confini delle varie proprietà fondiarie ed erano un bene comune per l’uso pubblico. L’assenza del potere centrale, periodi di confusione politica e di caos permettevano a certi arroganti signori feudatari le usurpazioni, le appropriazioni indebite e gli abusi. L’idea del lungo periodo medievale privo di strade è da scartare, pur considerando le varie difficoltà cui andavano incontro i viaggiatori: vie dissestate coperte di fango in inverno e di polvere in estate, brigantaggio, balzelli e dazi, fetidi fondaci per il riposo notturno, ecc. Nei secoli che intercorrono tra gli itinerari romani (iv–v secc. d.C.) e la Geografia del geografo arabo Al Idrisi (1151), abbiamo un anonimo geografo, noto come il Ravennate, e Guidone, appartenente il primo al vii secolo d.C., l’altro al ix secolo d.C. (secondo il Pinder ed il Partey) o ad una data ben precisa: 1119 (secondo Uggeri)16. Indipendentemente dal periodo di appartenenza, i due geografi dipendono direttamente dagli itinerari romani e ripropongono molti toponimi copiati con gravi difetti di trascrizione. Uggeri colloca l’opera di Guidone in pieno periodo normanno, molto vicino al tempo di Lynn Townsend White jr, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Catania, Dafni, 1984, p. 390. 11 Ivi, p. 431. 12 Ivi, p. 387. 13 Rocco Pirri, Sicilia Sacra, disquisitionibus et notitíis illustrata, Palermo, 1733, p. 383. 14 Salvatore Randazzini, I reali privilegi riguardanti il territorio fondiale di Caltagirone, Caltagirone, Tip. Scuto, 1896, p. 20. 15 Ibidem. Cfr. anche Salvatore Di Bella, Per la storia dei territori di Caltagirone e Fatanasimo in età normanno-sveva, in «Bollettino della Società Calatina di Storia Patria e Cultura», IV (1995), p. 14. 16 G. Uggeri, La viabilità romana in Sicilia…, in «Kokalos», XXVIII-XXIX (1982-1983), p. 454: «[…] Cosmographia di un anonimo geografo ravennate del vii sec. e ai libri geografici del normanno Guidone composti nel 1119». Cfr. anche Adolf Holm, Storia della Sicilia nell’antichità, Forni, 1965 (rist. anastatica), p. 485: «Il geografo Ravennate appartiene probabilmente al sec. VII; Guidone, secondo l’opinione del Pinder e del Partey, soltanto al sec. IX, a causa del modo come adopera il nome Calabria». 10

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Al Idrisi. Ponendo a confronto i lavori dei due geografi, notiamo l’uso di toponimi diversi per indicare coevi centri abitati nello stesso territorio. La conquista araba ha cancellato il mondo classico, il mondo del tardo impero e bizantino; ha cancellato paesi, usi e costumi ed introdotto nuovi modi di vita, fatto sorgere nuove fattorie e casali, imposti nuovi nomi di chiara origine araba… Trovo dunque difficile porre l’opera di Guidone nei primi anni del secolo xii, dopo due secoli circa di dominazione araba, la conquista normanna e lo sconvolgimento della toponomastica siciliana, come possiamo ben notare nelle opere degli scrittori arabi e nella geografia di Al Idrisi. Se non si vuol prendere in considerazione l’opinione del Pinder e del Partey, si può pensare, anche, che il geografo Guidone non conoscesse la Sicilia dei suoi tempi e, a volerne trattare, si sia limitato alla trascrizione di quanto letto nell’opera del Ravennate. La Geografia di Al Idrisi e l’Itinerario Antonini sono documenti molto utili per lo studio e la ricostruzione della viabilità antica. Il geografo arabo fa una precisa descrizione della Sicilia. Nel periplo attorno all’isola, cita i nomi dei luoghi (insenature, porti e città) e ne segna le distanze. Per la presentazione e la descrizione delle caratteristiche ambientali e produttive dei centri abitati dell’interno, usa una particolare tecnica: • ferma l’attenzione su una determinata area; • punta il virtuale compasso su una città e, partendo da questo perno centrale, presenta i vari paesi che vi stanno attorno segnandone la distanza e descrivendone le caratteristiche; • dopo avere esaminato l’area prescelta, si allontana da questa, segnando la distanza della città cardine dell’area trattata con quella della successiva area da esaminare; • e riprende il giro e la descrizione. Gli itinerari romani sono due: uno descrittivo e l’altro pictum. Il primo, l’itinerario scritto, è detto “di Antonino” perché si pensa che sia stato formulato e scritto durante il periodo del dominio di questa famiglia. Presenta una serie di strade (sicuramente il cursus publicus del tempo), ne descrive il percorso segnando le varie tappe (stationes) con precisa denominazione e relativa distanza fra le stesse. Nel corso del iv sec. «si nota un potenziamento del servizio postale (cursus publicus), segnalato nell’Itinerario 21


Antonini, dove nella dislocazione delle stazioni postali si notano degli aggiornamenti, che sono contraddistinti dall’annotazione esplicita mansionibus nunc institutis»17. Dopo la perdita dell’Africa, Roma rivolge il suo interesse alla Sicilia, come fornitrice di grano. Questo è il periodo che vede, nell’isola, il sorgere delle maestose ville nei grandi latifondi. Il servizio postale, nel suo nuovo corso, segna le tappe delle mansiones recanti il nome del proprietario del latifondo al neutro plurale: Capitoniana, Philosophiana, Petiliana, Corconiana, Calvisiana, ecc. L’altro itinerario (itinerarium pictum), inteso come Tabula Peutingeriana, dal nome dell’ultimo proprietario delle undici cartelle rappresentanti il mondo allora conosciuto, fornisce la rappresentazione deformata delle aree geografiche con poche indicazioni delle caratteristiche fisiche; sono segnati i fiumi più importanti e le vie di lunga percorrenza, punteggiate dalle varie stazioni di sosta con relativi toponimi e distanze; non mancano simboli per indicare centri termali, stazioni di sosta e locande. Si davano, al viaggiatore, tutte le informazioni utili per programmare viaggi comodi ed interessanti, come oggi tali informazioni risultano sulle mappe turistiche. Gli itinerari della Tabula Peutingeriana sono tracciati come quelli dei nostri treni sulle mappe degli orari ferroviari: linee rette con un unico orientamento, quello del capolinea. Le tavole si fanno risalire al iv sec. d.C., ma alcuni simboli fanno pensare a revisioni ed utilizzazioni posteriori18. Molti toponimi dei due itinerari erano in uso anche in età repubblicana, classica ellenistica ed arcaica. Ne troviamo traccia nelle opere di storici e geografi: Strabone, Cicerone, Tito Livio, Diodoro, Erodoto, Tucidide, ecc. è alle opere di costoro che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione per trovare gli indizi utili a ricostruire la viabilità della Sicilia antica.

Introduzione La viabilità antica 1. Ambiente ed archeologia Partendo dal presupposto che gli elementi naturali (monti, colline, valli, torrenti, fiumi, pianure, pantani, ecc.) hanno sempre costituito una condizione ai percor­si viari, un’ipotetica ricostruzione, anche della viabilità antica, approfondendo la conoscenza dell’ambiente nell’aspetto oroidrografico, è di certo possibile. L’archeologia, rilevando, con l’ausilio della fotografia aerea a raggi infrarossi, i vari insediamenti, può confermare la pre­senza di un percorso viario, evidenziato anche, in con­dizioni favorevoli, nello stesso documento fotografico. Quel sito che presenta continuità d’insediamento nel tem­po occupa sempre una posizione geografica favorevole per le vie di comunicazione (o nodi viari). Grazie alla testimonianza di Tucidide conosciamo la via elorina, lungo la costa ionica, da Siracusa verso Eloro. Lungo la costa tra Siracusa ed Agrigento, trovia­mo similmente molte tracce che documentano la presenza umana nel tempo. Dalla Pietra al Ferro Nella grotta Giovanna, sita nei pressi di Cassibile, sono stati trovati segni appartenenti alla fase finale dell’epigravettiano siciliano19. è certo che la fascia costiera della Sicilia sud-orientale presenta tracce accostabili all’orizzonte culturale della grotta Giovanna, riscontrabili nella

G. Uggeri, La viabilità romana in Sicilia, cit., p. 58. 18 Corrado Peutinger ricevette le tavole che portano il suo nome dall’umanista Corrado Celtes da Vienna, nel 1507. Il documento si trova presso la Biblioteca Nazionale di Vienna, catalogato con la dicitura “Codex Vindobonensis 324”.

Cfr. Sebastiano Tusa, La Sicilia nella preistoria, Sellerio, Palermo, 1983, p. 79: «Oltre alle grotte dell’Uzzo e dell’Acqua Fitusa anche la grotta Giovanna, presso Cassibile, è stata recentemente scavata con rigoroso metodo scientifico. Essa si trova in un altro comprensorio ricco di grotte che si aprono nell’entroterra siracusano lungo le balze dei massicci calcarei prodotte dalle linee di riva corrispondenti alle varie trasgressioni marine».

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Tav. 3. Insediamenti del paleolitico superiore e mesolitico

Tav. 4. Insediamenti del neolitico Legenda: p antico l medio n superiore 1. Punta Castellazzo 2. Petraro di Melilli 3. Megara Hyblea 4. Capo Santa Panagia 5. Stentinello 6. Matrensa, Terrazza, Arenella 7. Grotta del Conzo e della Chiusazza

8. Ognina 9. Grotta Corruggi 10. San Franceschiello 11. Poggio Bidini 12. Caltagirone 13. Palikè 14. Calaforno 15. Grotta Masella 16. Monte Gisira

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grotta Corruggi, tra Marzamemi e Portopalo, e nel riparo di Fontana Nuova a Marina di Ragusa. Ulteriori scavi, condotti con rigore scientifico, saranno utili per colmare gli spazi vuoti e definire sistematicamente le varie fasi evolutive tra il paleolitico ed il mesolitico siciliano. Nella grotta della Chiusazza e nella vicina isola di Ognina sono stati riscontrati strati pertinenti al neolitico e alle successive fasi culturali fino alla cosiddetta facies di Thapsos, relativa alla media età del bronzo siciliano. In un’altra grotta (grotta Calafarina), nelle prossimità di Portopalo, sono presenti i segni della fase iniziale della metallurgia (eneolitico) e dell’antica età del bronzo (facies di Castelluccio). Il Castellucciano è largamente presente in tutta la Sicilia sudorientale. Dal fiume Gela al Salso, il materiale portato alla luce va assumendo caratteristiche diverse dall’orizzonte

Tav. 5. Insediamenti dell’età del bronzo siciliano Legenda: pCultura di Castelluccio r Facies di Montedoro–Monserrato 1. Castelluccio 2. Monte Gisira 3. Timpa Dieri (Petraro di Melilli) 4. Torrente Marcellino 5. Thapsos 6. Predio Reale 7. Castelluccio di Floridia 8. Grotta della Chiusazza 9. Ognina 10. Grotta di Calafarina, Cugni di Calafarina, Paolina 11. Cava Lazzaro, Grotta Lazzaro 12. Cava d’Ispica 13. Caitina 14. Maistro

15. Santa Croce Camerina 16. Canalotti, Corridore, Torre di Pietro, Mezzagnone 17. Branco Grande, Branco Piccolo, Poggio Biddini, Passo Marinaro, Cozzo Campisi, Piano Resti 18. Punta San Vito (Feudo Nobile) 19. Priolo – Pantanelli 20. Santa Lucia, Mulino a Vento, Borgo Montelungo, Predio Ruggeri 21. Manfria, Zinghilinò 22. Casalicchio, Agnone 23. Monte Sole 24. Castellazzo di Palma

culturale castellucciano per accostarsi a quello di Montedoro–Monserrato. Alla tarda età del bronzo e all’età del ferro si fa risalire la vasta necropoli lungo i fianchi scoscesi della valle del Cassibile, nell’ultimo tratto del suo corso, prima di uscire nella breve piana costiera20. È una fase che vede tramontare l’insediamento di Thapsos ed apparire la tipica ceramica con decorazione “piumata”, importata dai Siculi. La facies di Thapsos rappresenta il passaggio dallo stanziamento in forma di villaggio al centro proto-urbano. I villaggi castellucciani erano caratterizzati da un’organizzazione gerarchica e gli abitanti dei vari insediamenti si dedicavano ad attività di

L. Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, Milano, Il Saggiatore, 1960, p. 164: «Il materiale raccolto nelle tombe è tutto di una sola fase: la seconda della nostra classificazione, quella che appunto da Cassibile può prendere il nome (1000-850 a.C.)». S. Tusa, op. cit., p. 516ss: «La terza sfera culturale presente nella Sicilia orientale, in questa fase, è quella di Thapsos-Cassibile localizzata nella zona costiera siracusana. […] Il materiale rinvenuto in tali ambienti non lascia dubbi sulla sua datazione. Si tratta di ceramica, ben inquadrabile nell’orizzonte di questo periodo, caratterizzata dalla presenza di decorazione piumata […]. Oltre all’insediamento di Thapsos, è la necropoli di Cassibile che ha restituito la maggioranza del repertorio vascolare e metallico di questa facies». 20

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natura e qualità diverse. La specializzazione delle attività, mirante ad ottenere la massima produzione, dipendeva principalmente dalle condizioni ambientali. Così abbiamo insediamenti dediti all’agricoltura, alla pastorizia, all’artigianato (lavorazione dei metalli, estrazione e lavorazione della selce, preparazione di utensili ricavati dalle ossa degli animali, ecc.) ed anche insediamenti in posizione strategica, per la difesa del territorio. In un territorio con insediamenti sparsi dediti a produzione specializzata, le vie di comunicazione per le relazioni sociali tra i vari villaggi dovevano essere indispensabili. Nell’area interna della cuspide iblea, queste si possono trovare lungo le cave. La via costiera si può individuare nei collegamenti dei vari siti archeologici castellucciani. Sulla costa ionica notiamo due importanti insediamenti: nell’isola di Ognina e nella grotta di Calafarina. Sulla costa del Mediterraneo, da Portopalo alla foce dell’Irminio, non si riscontrano insediamenti. L’area risulta inospitale per il formarsi di «vaste zone acquitrinose e malsane dove la vita è difficile per il pericolo di malattie, ed in particolare della malaria»21. La via proveniente da Siracusa, dopo il Tellaro, volgeva verso l’interno in direzione di Rosolini, dove, nella Cava dei Servi, si trova «un interessante sepolcreto che, oltre alle solite tombe a grotticella artificiale, ha offerto un raro esemplare (per la Sicilia) di sepolcro di tipo dolmenico»22. Da Rosolini, la strada si orientava verso Pozzallo attraverso il territorio di Ispica. Indi, proseguiva lungo la costa, toccando tutti gli insediamenti castellucciani prima elencati. «La fiorente civiltà di cui avevano goduto le isole Eolie e la Sicilia nella prima e media età del bronzo giunge bruscamente a fine intorno alla metà del xiii sec. a.C.»23. Il panorama archeologico conferma l’espressione di Bernabò Brea. Gli innumerevoli insediamenti del Castellucciano sono scomparsi! Si può pensare che l’età rude, di guerra e di paura sia stata preceduta da una fase di transizione determinata dal cambiamento dell’organizzazione sociale ed economica. L’età del bronzo siciliano, che ha dato all’isola

un lungo periodo di tranquillità, abbraccia parecchi secoli, compresi tra la fine del iii millennio e la metà del ii. La facies di Thapsos è collocata nel tempo tra il xiv e xiii sec. a.C., mentre i grossi insediamenti dell’interno dell’isola si fanno coincidere con l’arrivo di popoli d’origine peninsulare, agli albori dell’età del ferro. Il materiale archeologico portato alla luce dagli scavi condotti sulla collina de “La Muculufa”, nel territorio di Butera, è stato sottoposto all’esame del radio-carbonio24. Il risultato dell’esame ha fatto ampliare l’arco di durata della facies del bronzo antico o del Castelluccio di circa 400 anni. Gli altri sistemi di datazione avevano collocato la detta facies in un periodo compreso tra il 1800 e il 1400 a.C., al sorgere della facies di Thapsos. È possibile che fra la facies di San Cono–Piano Notaro e la facies del Castelluccio ci sia stato un periodo di coesistenza, di confronto e di assorbimento di una nella cultura dell’altra o/e anche con la successiva facies di Thapsos. Segue un lento abbandono dei villaggi per un ritiro strategico delle popolazioni su posizioni arroccate, trasposizione che si conclude con i grandi insediamenti tipo Pantalica, Dissueri o Dessueri, Caltagirone ed altri minori. È la fase di transizione tra la fine dell’età del bronzo e il sorgere dell’età del ferro. Questa fase prende il nome dalla località dove è stato portato alla luce l’insediamento che presenta consistenti legami con la cultura micenea: Thapsos. «Per la cultura di Thapsos», scrive Sebastiano Tusa, «l’elemento esterno catalizzatore fu il commercio miceneo, assente durante il periodo precedente […]. L’assenza di oggetti micenei in contesti castellucciani è spiegabile analizzando la struttura stessa della società, che si sviluppa mediante una ricerca volta allo sfruttamento intensivo del territorio e restia ad avere contatti diretti con elementi esterni»25. Il flusso immigratorio di gente di provenienza peninsulare (Ausoni, Morgeti, ecc. genericamente detti Siculi), nel corso dell’età del bronzo

R. Ross Holloway, Archeologia della Sicilia antica, Torino, S.E.I., 1995, p. 31: «Le datazioni del radiocarbonio collocano uno dei siti castellucciani, la Muculufa, intorno al 2200-2100 a.C. Ma, a giudicare dall’abbondanza delle testimonianze castellucciane, questa fase della preistoria siciliana dovette durare a lungo. L’epoca castellucciana ebbe inizio in un periodo anteriore al 2500 e si protrasse fino ai primi secoli del secondo millennio». 25 S. Tusa, op. cit., p. 421. 24

S. Tusa, op. cit., p. 323 Ivi, p. 309. 23 L. Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, cit., p. 135. 21 22

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recente, determinò un totale cambiamento in Sicilia per quanto concerne l’organizzazione sociale degli indigeni: dalla organizzazione sparsa in villaggi per il completo sfruttamento delle risorse del territorio al concentramento di gente su posizione arroccata con fini esclusivamente difensivi, dal lento eclissarsi degli empori della costa per l’attenuarsi del flusso commerciale con i micenei all’infiltrazione costante dei siculi portatori di nuovi usi, nuovi costumi, nuovi sistemi di vita, nuovi mezzi per decorare vasi e per forgiare armi per l’offesa e la difesa, Paolo Orsi divide la cosiddetta età del bronzo siciliano (antico, recente e medio) in tre periodi, che definisce «dei siculi»26. Considera un quarto periodo siculo relativo al diffondersi dello stile geometrico greco. Bernabò Brea dà un nome ai quattro periodi siculi dell’Orsi in riferimento al sito che ha restituito la maggior quantità di materiale archeologico pertinente alla facies. Schema cronologico concernente il periodo dal Bronzo antico all’arrivo dei colonizzatori greci nella Sicilia Sud-orientale secondo Orsi e Bernabò Brea.

Orsi

Bernabò Brea

Lo schema può anche contenere le due fasi, dette da Bernabò Brea “Ausonio i” e “Ausonio ii”. Il nome (Ausonio) è stato preso in prestito da Diodoro Siculo che narra «l’arrivo di Liparo, figlio di Auson, alle Eolie e la successiva espansione dei suoi discendenti in Calabria e in Sicilia»27. La scansione cronologica sopra presentata dà l’idea dell’avvicendarsi di culture, nel tempo e nello spazio, con meticolosa precisione. È possibile che i vari gruppi etnici (autoctono e immigrato) si siano collocati nello spazio, dalla scomparsa dei villaggi della società autarchica del bronzo antico all’arrivo dei coloni greci, «senza necessariamente disporsi in sequenza cronologica»28. Il flusso migratorio umano dall’oriente verso l’occidente si è ripetuto con ritmi quasi costanti alla ricerca di terre fertili per un permanente trasferimento o alla ricerca di empori costieri o mercati per buoni rapporti commerciali. Questi contatti, attraverso i tempi, hanno modificato ogni manifestazione di vita degli autoctoni: nelle colture, nell’arte, nel modellare i vasi (manipolazione della creta, forma, decorazione incisa o pittorica, ecc.),

Paolo Orsi, Le necropoli di Licodia Eubea ed i vasi geometrici del quarto periodo siculo, in «Bullettino Dell’Imp. Istituto Archeologico Germanico», 1898, p. 347: «[…] dei Siculi (intesi in senso latissimo e comprendenti anche i Sicani affini della tradizione)».

S. Tusa, op. cit., p. 458. Ivi, p. 460: «Al quadro unitario ed unilineare del Bernabò Brea, che ipotizzava l’arroccamento nell’interno della Sicilia dalla fine della cultura di Thapsos e la prosecuzione di quella cultura attraverso i ben noti quat­tro stadi della sequenza di Pantalica (Pantalica Nord, o i, Cassibile, o ii, Pantalica Sud, o iii, e Finocchito, o iv) si contrappone quello della Bietti Sestieri: la studiosa individua delle componenti culturali ben precise che si distribuiscono nel territorio senza necessariamente disporsi in sequenza cronologica». Cfr. Anna Maria Bietti Sestieri, “I processi storici nella Sicilia orientale fra la tarda età del bronzo e gli inizi dell’età del ferro sulla base dei dati archeologici”, in Atti della xxi Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 1979, p. 626: «L’insieme di caratteristiche tipologiche e strutturali che concorrono alla formazione dell’Ausonio ii di Lipari sembra svilupparsi nel tempo in modo coerente, e si ritrova appunto come sistema compiuto di elementi culturali sia a Lentini che al Molino della Badia che a Pantalica Sud. Ciò che sembra quindi possibile ricavare dai dati archeologici è che una facies culturale con una forte componente continentale, già interamente formata a Lipari probabilmente intorno all’xi sec. a.C., compare successivamente in Sicilia, prima a Lentini, Punta Castelluzzo e Molino della Badia, poi a Pantalica. Anche per quanto riguarda gli sviluppi in Sicilia, si tratta quindi, a quanto sembra, di un processo culturale unitario, che si svolge in modo coerente nel tempo e nello spazio; il contatto con le comunità locali avviene in modi e forme profondamente differenti, che vanno dalla contrapposizione ostile – che sembra verificarsi nei rapporti con il gruppo della Montagna di Caltagirone e con quello di Pantalica – alla trasmissione di numerosi tipi propri dell’industria metallurgica (Ausonia), ad esempio al gruppo del Dissueri e a quello di Cassibile, alla ricezione, da parte delle culture locali, di tratti tipologici di origine (Ausonia) come, in particolare, la decorazione dipinta piumata della ceramica».

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Antica età del bronzo 1 Periodo Siculo – 1800 1400 a.C. 2o Periodo Siculo 1400–730 a.C.

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Cultura di Castelluccio –1800 1400 a.C.

o

Media età del bronzo

Cultura di Thapsos – 1400-1270 a.C. Cultura di Pantalica nord e n-o – i fase 1270-1000 a.C.

Tarda età del bronzo 3o Periodo Siculo – viii-vii secc. a.C.

Cultura di Pantalica Sud

Età del ferro 4o Periodo Siculo

ii fase o di Cassibile 1000-850 a.C. iii fase o Filiporto 850-730 a.C.

Cultura di Finocchito: iv fase o di Finocchito – 730-650 a.C. Cultura di Licodia Eubea – vii-v sec. a.C.

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nella fusione dei metalli e via dicendo; tanto da determinare la completa e totale integrazione (tra indigeni e nuovi venuti). È possibile pensare che «ogni facies siciliana, dal neolitico medio in poi, abbia fornito elementi stilistici e formali tali da indurre a pensare all’esistenza di reali contatti o influssi in senso Est-Ovest»29. Il rito funebre (inumazione in tombe sotto roccia), nonostante millenari influssi e condizionamenti, è rimasto invece immutato, anche se l’originale grotticella a forno si è evoluta nella forma e nell’ampiezza. La via dell’Egeo verso la Sicilia s’interrompe per un periodo che va dal xiii all’viii sec. a.C., l’esatto arco di tempo dell’immigrazione sicula. Alle fasi evolutive dell’integrazione sicula è stato assegnato il nome del sito più rappresentativo che ne ha visto gli sviluppi: Pantalica. Abbiamo notato che, tra gli insediamenti della costa ed i grossi centri proto-urbani dell’interno, non è possibile fare una netta distinzione cronologica: essi appartengono alla media e tarda età del bronzo. Gli indigeni, avvertendo il pericolo, abbandonarono le coste e le pianure. L’arroccamento su posizioni impervie e facilmen­te difendibili, non rappresenta un fatto unico ed isolato relativo a questo periodo, ma una costante nella storia dell’umanità e, quindi, anche degli abitanti della Sicilia. La costa rimane spopolata per lungo tempo. Biso­gna aspettare la colonizzazione greca per vederla ripo­polata. Abbiamo le grandi città greche: Siracusa, Gela, Agrigento, Camarina, ecc. Con voce generica parliamo di “colonizzazione greca”, mentre sappiamo che, nell’ultimo terzo dell’viii sec. a.C., sulla costa ionica sbarcarono Greci di diverse etnie, spesso in contrasto tra loro: Calcidesi, Megaresi e Corinzi. Nei primi anni del vii sec. a.C., coloni rodio­cretesi fondarono Gela sulla costa della Sicilia centro­meridionale. I colonizzatori greci trovarono i siculi perfetta­mente integrati con gli indigeni ed insediati nella Sici­lia orientale. Ai primi contatti, vanno scomparendo i vasi dal­le strane anse cornute e dalla decorazione piumata. Nuove forme di vasi con decorazioni ad imitazione dei prodotti importati dai nuovi venuti s’impongono negli usi comuni degli indigeni. Gli indigeni furono conquistati dalla cultura elleni­ca ben prima dell’occupazione del territorio.

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S. Tusa, op. cit., p. 217.

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Un altro lungo periodo di abbandono della costa e di desolazione per l’intera Sicilia si verificò dopo la conquista romana (Strabone fa un elenco di città scom­parse). L’era cristiana porta una nuova ventata di fede e nuova gente dal Nord-Africa. L’orientamento politico del senato romano nei confronti della Sicilia cambia: sorgono nuovi insediamenti, grandi fattorie e sontuose ville. 2. Orografia ed idrografia La Sicilia sud-orientale, per quanto riguarda la conformazione fisica (orografia ed idrografia), è divisibile in due aree: la cosiddetta cuspide iblea e la fascia di colline degli Erei. La cuspide iblea «Ad est e a sud gli Iblei digradano dolcemente a ventaglio verso il mare, in larghi tavolati pianeggianti e lievemente inclinati verso l’esterno, e limitati da scarpate che ad oriente diventano forti gradini»30. La cuspide iblea, racchiusa tra i corsi dei fiumi Dirillo ed Anapo, si apre a ventaglio dal «monte Lauro, vulcano di remotissima epoca, alto 986 m. s.l.m., autentico nodo oroidrografico fra i contrapposti territori di Siracusa e di Gela»31. «Dalla zona sommitale si dipartono a raggera i corsi di acqua, ma Tav. 6. La cuspide iblea Assessorato allo sviluppo economico della Regione siciliana, Piano territoriale di coordinamento del siracusano-ragusano, Palermo, PROGESI, 1969, I, 2.1, p. 16. 31 Martin Roland, Georges Vallet, Giuseppe Voza, “Le colonie greche di Sicilia ed il mondo Mediterraneo”, in La Sicilia antica. 1. Indigeni, Fenici-Punici e Greci, Napoli, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1980, p. 529. 30

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[…] di tali corsi quelli che possono definirsi fiumi sono soltanto l’Anapo (che è il maggiore), l’Acate o il Dirillo, il Tellaro, il Ciane, il Cassibile, l’Asinaro, l’Irminio e l’Ippari»32. Il Dirillo delimita l’area iblea. Questo fiume riceve i contributi più consistenti d’acqua dalle colline che interessano i territori di Vizzini, Licodia Eubea, Grammichele e Caltagirone. L’altro fiume che delimita l’area iblea, come detto sopra, è l’Anapo. Nasce dal monte Lauro, scorre tranquillo nell’alta valle fino al Cassaro, poi sprofonda nella lussureggiante “cava” della necropoli di Pantalica, dove riceve il contributo della profonda cava del Calcinara, ritorna a fluire sonnacchioso in pianura in direzione di Siracusa e sfocia a mare mescolando le sue alle acque del Ciane. Nel suo corso, lungo circa cinquantasette chilometri, forma un ampio arco attorno alle cittadine di Solarino e Floridia. Il Ciane ha un corso molto breve: circa sette chilometri, ma esotica e lussureggiante è la sua vegetazione, fatta principalmente di alti papiri. «Una vasta area [...] imperniata su Noto, Avola, Canicattini Bagni è caratterizzata da una circolazione idrica profonda, come del resto l’area di Ferla–Sortino–Melilli, mentre le zone di Siracusa–Floridia e di Augusta– Lentini–Francofonte presentano falde freatiche poco profonde…»33. Altri due fiumi traggono origini dal monte Lauro: il Tellaro e l’Irminio. Il primo sfocia nel mare Ionio, dopo aver ricevuto il contributo di molti affluenti (fra i principali ricordiamo cava Palombieri e cava Grande), mentre l’altro, arricchito da molti torrenti, va a sfociare nel mar Mediterraneo. Tra il Ciane ed il Tellaro scorrono l’Asinaro e il Cassibile. Sono interessati da brevi e profondi corsi d’acqua i territori di Modica, Scicli ed Ispica. Il corso dell’Ippari presenta caratteristiche diverse dagli altri fiumi del siracusano e del ragusano, infatti, le sue acque scorrono in cave non molto profonde. Questo fiume ha origine dal versante sud-ovest delle colline di Chiaramonte, bagna Comiso, attraversa il territorio di Vittoria e sfocia a mare vicino l’antica città di Camarina.

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Piano Territoriale, cit., I, 2.5, p. 40. Ibidem.

Gli Erei. La fascia delle colline La fascia delle colline, che si eleva fra le due pianure più importanti della Sicilia (di Gela e di Catania), segna, a nord-est, il confine della Sicilia sudorientale. Gli Erei si trovano, con il Monte Lauro, ad un livello di circa 1000 m; lungo l’altopiano di contrada Paradiso, i livelli digradano ai 700 m e, a Vizzini, scendono ai 619. In contrada Camolibello, territorio di Vizzini, il sistema montuoso degli Erei precipita a livelli bassi (525), per risalire ai 754 m di Monte Altore ed ai 725 m di monte Belvedere. Queste cime sovrastano la Villa Cafici, in contrada Santo Cono (686 m), e Licodia Eubea (630 m). Tra Monte Altore e poggio Cavalieri (655 m) scorre il vallone Mangalavite, che costituisce lo sbarramento naturale della via dalla piana di Gela verso quella di Catania o viceversa. Monte Marineo si eleva a quasi settecento metri, mentre digrada ad un livello di 450 m a Grammichele e vi si mantiene fino ai piedi del colle di Caltagirone, dove supera i 600 m. Ad ovest di Caltagirone si raggiungono quasi 700 m col monte della Scala. Scivolando nelle valli del displuvio verso il mar Mediterraneo, tutti i fiumi dell’area appena descritta versano il loro contributo nel Dirillo. Quest’ultimo si può paragonare ad un grosso tronco, in cui convergono i vari rami scorrendo verso la costa. L’esatto contrario rispetto all’area iblea, dove il perno del ventaglio o della raggiera sta all’interno, nel monte Lauro. Il Dirillo nasce dal monte Arcibessi nel territorio di Chiaramonte Gulfi e si orienta verso Monterosso Almo. Precipitando a fondovalle, riceve: a destra il contributo del torrente Cava dei Volaci e del vallone Cataletto; a sinistra il contributo dei Valloni Canalazzo e Masciuluni. Nelle prossimità del mulino del Canonico si unisce al ramo proveniente dal territorio di Vizzini denominato Sciumiranni o fiume di Vizzini, avente origini dalle contrade Donninga e Paradiso, arricchito a sinistra dalle acque di Casal Gerardo, ai piedi di monte Lauro, e a destra dai vari canali che solcano le coste a sud della SS 124 nel territorio di Vizzini. Il fiume di Vizzini, prima di confluire nell’Amerillo, accoglie le acque provenienti dalle sorgenti di Sant’Angelo ricadenti nel fondovalle a tramontana della collina sulla quale sorge la città di Vizzini. Questo torrente scorre lungo la Valle dei Mulini34 e, aggirando la collina, La Valle dei Mulini è anche denominata “Masera”, nome di origine araba corrispondente all’italiano macina o mulino. 34

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si arricchisce con le acque pluviali delle coste delle contrade Donna Novella, nel territorio di Vizzini, e Boschitello, nel territorio di Licodia Eubea35. Non sappiamo se l’Amerillo sia più importante del fiume Grande e quale dei due sia l’immissario. È certo che l’Amerillo e il Dirillo hanno un’unica desinenza. Michele Amari, riferendosi al fiume Dirillo, ritiene che tale desinenza abbia attinenza con le Acrille, fortezze lungo il confine dell’antica cora siracusana, e che la radice sia corruzione del nome arabo Wadi (= valle o fiume). Tav. 7. Invaso “Dirillo” Si può pensare che la desinenza di Amerillo abbia anche attinenza con le Acrille e che la radice sia corruzione della voce araba ayn (= sorgente o fonte). Incuneato tra le valli dell’Amerillo e del Dirillo, si eleva a circa 750 m s.l.m. il monte Casasia36. Sebastiano Sciorto, Licodia Eubea e le Pietre scritte, Catania, C.E.S.PO.S., 1990, p. 15. Monte Casasia ha reso tracce d’insediamenti pertinenti a due importanti periodi: bronzo o facies di Castelluccio e greco arcaico. Per la posizione strategica, Monte Casasia è stato sicuramente, dopo Monte Casale, una tappa importantissima della penetrazione dorica da Siracusa verso Camarina ed è possibile localizzare in quel sito una delle Acrille. Cfr. Giovanni Di Stefano, Guida al Museo archeologico Ibleo di Ragusa, Modica, 1995, p. 19: «Nella didascalia della prima sala dedicata ai centri indigeni è illustrato il sito di Monte Casasia, esistente prima della fondazione di Camarina. Si tratta di un vero e proprio nido d’aquila di cui cominciamo a conoscere lembi dell’abitato e le necropoli, dove la composizione dei corredi (ceramiche indi35 36

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«Il Dirillo», scrivo a pagina 16 del mio lavoro Licodia Eubea e le pietre scritte, «dopo aver superato le strette gole del Paratore e del Palaunisi, si perde nel lago artificiale fin quasi alla Strada Provinciale Licodia–Vittoria. Dopo il muro della diga si forma un rigagnolo, scorre sotto il ponte della Strada Provinciale sopra menzionata e, all’altezza del mulino ad acqua Macchia Noce, riceve le acque del vallone Filozingaro a sinistra e a destra quelle del Vallone Salito». Nelle prossimità della Contrada Scornavacche, il Dirillo riceve a destra le acque del vallone Rasciutella e, a sinistra, quelle più consistenti del torrente Mazzarronello. Il maggiore contributo lo riceve, prima di sfociare a mare, dal torrente Ficuzza che raccoglie le acque di una vasta area compresa tra il territorio di Niscemi e quello di Licodia Eubea. Area nissena Nell’area nissena resta da trattare il fiume Gela, che presenta le stesse caratteristiche del Dirillo. Esso raccoglie il contributo dei vari affluenti dell’area compresa tra il versante ovest delle colline di Caltagirone ed il territorio di Mazzarino. Il fiume Gela ha origine in provincia di Enna, a nord di Piazza Armerina. Si forma lungo il displuvio occidentale di monte Sambuci col nome di fiume del Giozzo. Scorre nel territorio di Piazza Armerina e, dopo aver attraversato l’area in cui si trova la Villa Romana, volge ad ovest segnando il confine tra le province di Enna e Caltanissetta (torrente Nociara); sulla destra, riceve il contributo delle valli di monte Navone (754 m) e, formando un’ampia ansa, si orienta verso sud nel territorio di Mazzarino col nome di torrente Porcheria; scorre in un tortuoso letto tra i rilievi del monte Formaggio (639 m) e del cocuzzolo del Castellazzo (Grassuliato), penetra nella contrada Salomone, dove si arricchisce delle acque dei torrenti delle ubertose vallate; ai piedi del monte Gibliscemi, si perde nel lago artificiale Disueri; si riforma, dopo la diga, col nome di fiume Gela e, prima di sfociare a mare, riceve il ricco contributo del fiume Maroglio. La sua lunghezza è 60 km ed il bacino imbrifero di 571 kmq.

gene e protocorinzie) indica un consistente flusso commerciale tra la costa orientale e centromeridionale dell’isola...».

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Il Maroglio ha origine dalla confluenza del vallone Liquirizia con il fosso S. Agata o Maroglio provenienti, rispettivamente, dalla serra S. Mauro (480 m) e da monte S. Nicola (451 m). Un altro braccio (vallone delle Pille) si forma a nord-ovest di Caltagirone, ai piedi di monte S. Giorgio (639 m), e si versa nel vallone del Signore che ha origine dai poggi di S. Francesco. Il fiume Maroglio, scorrendo nel vallone Biscottello, penetra, da nord-est, nel territorio di Niscemi ed attraversa a sud la contrada Tenutella; ritorna a scorrere nel territorio di Caltagirone, dove riceve le acque del vallone del Signore; si mantiene lungo il confine dei due territori fino alla confluenza del torrente Ursitto; penetra nuovamente nel territorio di Niscemi, e, alla confluenza del torrente Gallenti, passa in quello di Gela, dopo aver ricevuto il contributo «di tutte le acque che defluiscono da nord, nord ovest ed ovest del nostro altopiano attraverso torrenti e torrentelli, valloni e valloncelli»37. In contrada Pompeo, riceve il contributo del torrente Cimia, il quale «accoglie le acque che defluiscono a sud della contrada Cimia e del Monte della Ganzeria e ha i suoi confini occidentali nello spartiacque che passa attraverso i rilievi delle contrade Bubbonia, Raffirosso, Rigiulfo, Giase, Canalotti, mentre quelli orientali passano attraverso le alture della Scala, delle contrade Racineci, Gerba e Ursitto»38. Il Maroglio continua a scorrere nella piana di Gela e, a 3 km dalla costa, fluisce nel fiume Gela ed insieme i due corsi d’acqua corrono verso il mare Mediterraneo.

Capitolo I La via costiera e gli insediamenti umani 1. La SS 115 La SS 115 è la via odierna che collega Siracusa ad Agrigento. Da Siracusa a Noto, si mantiene sulla costa; poi si allontana per attraversare Rosolini, Ispica, Modica, Ragusa, Comiso e Vittoria. Superato il fiume Dirillo, la Strada Statale continua a mantenersi lontano dalla costa per evitare le aree acquitrinose del Biviere, indi, orientandosi verso Gela, raggiunge la costa e vi si mantiene vicino per tutto il suo percorso. Nella SS 115 confluiscono le vie dell’interno che, nella cuspide iblea, si aprono a ventaglio, come le valli, e si adagiano sulla parte cacuminale delle cave seguendone l’andamento non sempre rettilineo. La prima parte della strada vide la luce nel 1841. Ancora imperfetta, la tratta Siracusa–Cassibile–Avola–Noto fu inaugurata dall’Intendente Antonio Galbo, accompagnato da autorità e notabili di Noto39 ed aperta al traffico il 18 aprile, domenica di Pasqua. Il progetto, tormentato da discussioni ed interessi contrastanti, aveva avuto una lunga gestazione; mentre l’opera era stata eseguita nell’arco di un anno. La Palude di Lisimelia (Pantanelli) costituiva, ed ha sempre costituito, il principale intralcio alla viabilità lungo la costa. Nel periodo della colonizzazione greca, l’aspetto geo-morfologico della costa siracusana era sicuramente diverso40. A seguito delle indagini condotte dall’archeologo-subacqueo tedesco Salvatore Cucinotta, Sicilia e Siciliani. Dalle riforme borboniche al “Rivolgimento” piemontese: soppressioni, Messina, Edizioni Siciliane, 1996, p. 360. 40 S. Tusa, op. cit., p. 148. 39

Angelo Marsiano, Niscemi. Geografia fisica, Palermo, EPOS, 1982, p. 63. 38 Ivi, p. 65. 37

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2013


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