Io sono Diabolik

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Io non so chi sono

Chi sono? Anni fa me lo ha chiesto anche “il mio miglior nemico”, l’ispettore Ginko. Eravamo in una situazione molto particolare, prigionieri di una banda di assassini e certi della nostra prossima morte. In quella che sembrava l’ultima occasione, l’ispettore voleva sapere del mio passato, delle mie origini, voleva conoscere il mio vero nome, per dare finalmente un’identità all’ombra che aveva inseguito per tutto quel tempo. E io avrei voluto dargli una risposta esauriente, sentivo che tutto sommato se la meritava. Ma non potevo. Ancora oggi la mia risposta sarebbe la stessa: “Io non so chi sono”. Se invece la domanda riguarda il presente, non ho difficoltà a dire che sono un ladro e quando serve un assassino, che vivo fuori da ogni legge, che sono un criminale. Anche se il termine in sé non mi piace: criminale è chi viola la legge in maniera miope, per ottenere un risultato immediato. Io non accetto etichette così banali: io sono Diabolik. E basta.

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Non so, non posso né voglio sapere Tutto quello che so delle mie origini, o credo di sapere, è che sono stato fortunosamente recuperato dalla scialuppa di salvataggio di una nave, affondata probabilmente al largo di una piccola isola nell’Oceano Orientale. Sono cresciuto laggiù, in mezzo a uno strano gruppo di uomini di nazionalità ed esperienze diverse. Una trentina di persone provenienti dai quattro angoli del mondo con un solo elemento in comune: la scelta di dedicarsi al crimine. Professionisti, tecnici, scienziati, sicari e malviventi di ogni livello appartenevano tutti a un’unica, potente organizzazione. Negli anni ho imparato come il crimine, esercitato in modo geniale e sofisticato, può arricchire e dare potere a un uomo, in questo caso al temuto capo dell’isola. Tutti lo chiamavano, semplicemente ma con il massimo rispetto, King. Non ho mai saputo neppure se quello fosse il suo vero nome. King non parlava mai di sé, della sua famiglia, delle sue amicizie o della sua vita prima di arrivare lì: usava l’alone di mistero intorno alla sua persona per controllare gli uomini che lavoravano per lui. Poiché nei paesi d’origine erano tutti ricercati, per molti l’isola era il solo posto in cui poter vivere liberi. Certo, alcuni si allontanavano per brevi trasferte, per compiere le loro azioni illecite in giro per il mondo; spesso poi, per potersi muovere, cambiavano il loro aspetto in modo radicale, sottoponendosi anche a interventi di plastica facciale... uno dei servizi garantiti dall’organizzazione di King. Altri invece non lasciavano mai l’isola: per loro era un rifugio e al tempo stesso una prigione. King infatti non avrebbe mai permes24

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so che trapelassero i risultati delle ricerche scientifiche che stavano portando avanti. Solo in seguito mi sono accorto di quanto fosse anomalo il regno che King era riuscito a costruire, anomalo e al tempo stesso eccezionale. Aveva avuto l’intuizione di mettere insieme un’équipe di persone validissime, indipendentemente dalle loro origini, da quello che avevano fatto prima o dal motivo per cui si erano rifugiate lì. Finché sono rimasto sull’isola gli uomini con cui avevo più spesso a che fare erano un chimico industriale, il dottor Wolf, le cui ricerche sulle materie plastiche mi sono servite per sviluppare la formula per creare le mie maschere; un ingegnere, Suanda, al quale sono debitore per le nozioni di meccanica ed elettronica, ma anche per molte altre cose; il dottor Cen-Fu, un biochimico esperto di veleni; Dempur, un tagliatore di pietre preziose; e un medico chirurgo, il dottor Lopez, che negli ultimi anni venne raggiunto da un cugino esperto di chirurgia plastica. Il mio regno Ai miei occhi di ragazzino King appariva anziano, anche se, probabilmente, non aveva più di cinquant’anni. Alto e imponente, era affascinante con i suoi capelli candidi; i vestiti eleganti e l’atteggiamento altezzoso gli davano un’aria carismatica, che suscitava rispetto. Tutto questo, oggi ne sono cosciente, poteva derivare solo da una grande esperienza. A distanza di anni posso dire che a suo modo King è stato per me il padre che non ho mai avuto, un mentore, la guida della mia adolescenza. Da parte mia, io non sono stato un buon figlio, per lui. Ma, nel suo ultimo istante di vita, gli ho dimostrato di avere appreso tutto quello che aveva da insegnarmi. 25

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Il mio arrivo sull’isola e i miei primi anni lì mi sono stati raccontati: ero troppo piccolo per averne conservato un ricordo, e non so se King e i suoi uomini mi abbiano detto la verità oppure mi abbiano mentito. In fin dei conti il fatto di essere stato trovato su una scialuppa, unico sopravvissuto di un naufragio, è solo una storia che mi è stata riferita. Mi hanno detto che avevo all’incirca un anno e che sulla barca con me c’erano dei cadaveri, forse anche quelli dei miei genitori, ma chi fossero realmente non l’ho mai saputo. Se c’erano dei documenti che identificavano loro o me, di certo sono andati distrutti. Per questo non conosco il nome che mi è stato dato alla nascita. 26

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