L'Inferno di Dante illustrato - Sfoglialibro

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CANTO I

[Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de’ vizi e de’ meriti e premi de le virtù. Comincia il canto primo de la prima parte la quale si chiama inferno, nel qual l’auttore fa proemio a tutta l’opera.]


CANTO I

Fig. 1  Luce divina (vv. 16–18). I raggi del sole sulla sommità della collina rappresentano l’illuminazione della grazia divina.

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Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita.

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Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

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Tant’ è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

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Fig. 2  Esta selva selvaggia e aspra e forte (vv. 1–6). La selva oscura rappresenta il distacco dalla virtù e dalla verità e l’ingresso nella confusione del peccato, sia da parte dell’individuo Dante sia da parte dell’umanità.

Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai, tant’ era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

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Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto,

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Fig. 3  Il cuore di Dante (vv. 19–24). Perso nel peccato, Dante aveva forse contemplato l’idea del suicidio.

guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.

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Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta.

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Fig. 2

Fig. 3


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CANTO I

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E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata,

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così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva.

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Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.

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Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta;

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e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

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Temp’ era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino

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mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle

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l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone.

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Questi parea che contra me venisse con la test’ alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse.

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Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame,

Fig. 1  Dante poeta / Dante pellegrino (vv. 1–6). Nel corso della Divina Commedia Dante compare, a seconda dei casi, sia come il Dante pellegrino, protagonista del viaggio, sia come il Dante poeta e narratore. Il pellegrino Dante è personaggio del poema composto dal Dante poeta.


CANTO I

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Fig. 2  La visione del mondo di Dante. La rappresentazione del mondo di Dante nella Divina Commedia adatta le idee latine e bizantine all’idea medievale del mondo sferico, secondo l’insegnamento del maestro di Dante, Brunetto Latini. Dante colloca tutte le terre emerse nell’emisfero settentrionale, ad eccezione del monte del purgatorio. Altri luoghi importanti del mondo allora conosciuto sono segnati sulla mappa. G: Gerusalemme G*: Gibilterra F: Firenze P: Monte del purgatorio G**: Foce del Gange E: Foce dell’Ebro S: Polo Sud

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 3  I piedi di Dante (vv. 28–30). Un piede rappresenta l’amore per Dio. L’altro l’attaccamento alle cose terrene. A questo punto del poema l’amore di Dante per il mondo è più forte del suo amore per Dio. Per questo un piede è più forte dell’altro e tende verso la foresta oscura, costringendo Dante a trascinarlo nel suo cammino verso la sommità della collina, sede della grazia divina.


16 Fig. 1

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questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza.

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E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;

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tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace.

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Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco.

Fig. 2


CANTO I

Fig. 1  La lonza (vv. 31–33). Rappresenta la frode, e secondo altre ipotesi la lussuria, la malizia o l’invidia. Le macchie potrebbero simboleggiare il frazionamento politico di Firenze, di cui l’animale incarnerebbe l’orgoglio cittadino. Secondo i bestiari: • è l’incrocio di un leopardo e di una leonessa. Cattura la preda con imboscate furtive; • è veloce, maligna, assetata di sangue; • simboleggia la contaminazione della specie.

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Fig. 2  Il leone (vv. 45–48). Simboleggia la violenza bestiale o forse la superbia. Il leone era anche un simbolo di Firenze e uno stemma araldico. Qualcuno vi ha visto anche un’allusione al re di Francia, e in particolare a Luigi VIII, sovrano dal 1223 al 1226. Secondo i bestiari: • ha una fame rabbiosa; • tiene la testa protesa verso l’alto; • il suo respiro contiene un pericoloso veleno; • dorme sempre con gli occhi aperti; • è tanto più fiero quanto più lungo è il suo corpo e liscio il suo pelo; • ha muso risoluto e torace forte; • il suo coraggio risiede nella fronte e nella coda; • il suo ruggito è sufficiente a terrorizzare gli altri animali.


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CANTO I

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Quando vidi costui nel gran diserto, «Miserere di me», gridai a lui, «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

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Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui.

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Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

La lupa (vv. 49–51). Rappresenta l’incontinenza o, secondo alcuni, l’avarizia. Altri vi vedono un simbolo della curia pontificia (lo strumento di governo dell’intera Chiesa cattolica), che ai tempi di Dante aveva adottato la lupa capitolina come emblema. Altri ancora pensano all’animale sacro al dio Marte, antico patrono di Firenze, e quindi a un’allusione alla corruzione morale della città.


CANTO I

Secondo i bestiari: • si nutre di immondizie ed è perennemente magra; • inghiotte il cibo senza masticare; • si cura di avvicinarsi sopravento, così che i cani non possano sentire il suo puzzo mefitico; • se camminando su un ramo fa rumore, si morde la zampa che ha commesso l’errore.

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Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.

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Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?».

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«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?», rispuos’ io lui con vergognosa fronte.

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«O de li altri poeti onore e lume, vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore che m’ha fatto cercar lo tuo volume.

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Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ha fatto onore.

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Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».

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«A te convien tenere altro vïaggio», rispuose, poi che lagrimar mi vide, «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;

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CANTO I

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ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;

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e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ’l pasto ha più fame che pria.

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Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro verrà, che la farà morir con doglia.

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Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

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Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute.

La venuta del Veltro (vv. 101–111). Fig. 1  Il Veltro – forse un levriero – ricaccerà la lupa negli inferi da cui è venuta. Tra le altre cose, il Veltro potrebbe rappresentare: Fig. 2  Lo Spirito Santo, così come immaginato dai Francescani rigoristi. Fig. 3  Un francescano o un domenicano, comunque un riformatore religioso di umili origini (come umile era il Veltro). Fig. 4  Il veltro è l’unico canide menzionato nella Bibbia, (Proverbi 30,29–31). È possibile tuttavia che si tratti di una traduzione erronea dall’ebraico Zarzir, più recentemente tradotto come «gallo pettoruto».

Fig. 2

Fig. 1

Fig. 3


CANTO I

È stato detto che il Veltro sia un sovrano chiamato a guidare l’Italia e il mondo intero. Tra le ipotesi che sono state fatte: Fig. 5  Papa Benedetto XI (1240–1304), papa dal 1303 al 1304. Fig. 6  Cangrande della Scala, capo dei ghibellini, amico e protettore di Dante. Fig. 7  La seconda venuta di Cristo e l’instaurazione del suo regno spirituale in terra. Fig. 8  Enrico VII di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero.

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Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla.

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Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno;

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ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, che la seconda morte ciascun grida;

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e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti.

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Fig. 7

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 4

Fig. 8


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CANTO I


CANTO I

Virgilio (v. 62–63). Virgilio (70–19 a.C.), figlio di proprietari terrieri, divenne uno tra i più grandi poeti di Roma. Le sue tre opere principali sono le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide. Dante nutriva una profonda ammirazione per la sua poesia; molte delle situazioni e dei personaggi dell’Inferno sono direttamente influenzati o ispirati dall’Eneide. Fig. 1  È la guida di Dante attraverso l’inferno. Fig. 2  Rappresenta la ragione umana e la saggezza (il massimo che l’uomo può raggiungere senza la grazia divina). Fig. 3  Morì di una febbre. Fig. 4  È un pagano. Fig. 5  È condannato a restare nel Limbo per l’eternità. Fig. 6  La sua origine pagana lo rende incline all’errore. Virgilio è fallibile come fallibile è la ragione. Fig. 7  Dante ne ammira e ne ama l’opera. Fig. 8  Virgilio era «lombardo», cioè dell’Italia settentrionale, e precisamente di Mantova. Fig. 9  Fatto ancora più importante, era un poeta. Fig. 10  Nel Medioevo si riteneva che Virgilio avesse profetizzato la nascita di Cristo nella quarta delle Bucoliche. Fig. 11  Qui Virgilio predice l’avvento del Veltro.

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A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire;

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ché quello imperador che là sù regna, perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ’n sua città per me si vegna.

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In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’alto seggio: oh felice colui cu’ ivi elegge!».

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E io a lui: «Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch’io fugga questo male e peggio,

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che tu mi meni là dov’or dicesti, sì ch’io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti».

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Allor si mosse, e io li tenni dietro.

Fig. 11



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