RIVOLUZIONE N.9 Silvio Muccino, Carla Vangelista
S
Matteo, 1997 Matteo sorrise e tenne il conto. Con quell’orgasmo il numero dei suoi rapporti sessuali era salito a nove. Da zero a nove in una settimana. Quello significava che, mantenendo quel ritmo, in un mese l’avrebbe fatto trentasei volte. Letizia si chiuse la porta alle spalle e Matteo si sdraiò al suo posto. Incrociò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi per concentrarsi meglio sul calcolo che doveva affrontare. “Trentasei per dieci fa trecentosessanta” disse tra sé e sé, “più trentasei fa trecentonovantasei, più altre trentasei fa la bellezza di…” Matteo fece rapidamente l’addizione stando attento a non sbagliare il riporto, “quattrocentotrentadue scopate in un anno!” Quel numero a tre cifre lo lasciò in uno stato di incredulo stupore. Forse aveva esagerato, pensò. Per un numero approssimativo ma onesto doveva come minimo considerare le due settimane di ferie di Letizia, in cui per forza non si sarebbero visti, più quelli che se ne andavano tra varie festività religiose e non. Doveva detrarre anche un numero di giorni che lei avrebbe perso per sciopero dei mezzi e malattia. Dopo un lungo rimuginare Matteo aveva concluso che avrebbe dovuto sottrarre dal totale almeno cento amplessi, il che, arrotondando per difetto, significava che in un anno avrebbe raggiunto il ragguardevole numero di circa trecento orgasmi. Sarebbe
arrivato ai suoi diciott’anni con un attivo di quasi mille scopate e a quel punto avrebbe puntato al Guinnes dei primati. Quel pensiero lo fece sentire benissimo e decise che arrivato a quota mille si sarebbe fatto tatuare quella cifra a tre zeri sul braccio. “Matteo, il dio del sesso” disse con un filo di voce, immaginando le scritte che avrebbero invaso i bagni della scuola. Filippo si sarebbe ammazzato per l’invidia e la Rinaldi l’avrebbe scongiurato di darle un’altra possibilità. L’unica cosa che mancava per rendere perfette le sue fantasie era l’amore. Non poteva dire, infatti, che quanto provava per Letizia fosse “Amore”. A dire il vero non provava un bel niente per lei, solo una gigantesca e animale attrazione fisica, ma una volta consumato il rapporto non c’era niente di quella ragazza che lo interessasse. Lei tornava al telefono con le amiche o con il suo ragazzo e lui si dava da fare per rimettere a posto il negozio. Fine. Non c’erano tutte quelle cose che Matteo vedeva nei film tipo Titanic che facevano vibrare le ragazze. Non c’erano occhiate complici e frasi d’amore. Non c’era quella poesia che invece aveva sentito quando aveva incontrato Sara, la ragazza delle candele, che non si era più fatta vedere e che lui non era mai andato a cercare. Sara che assomigliava così tanto a Sofia. Sofia, 1964 Il locale era grandissimo, bellissimo, fumosissimo e nuovissimo. E Sofia aveva mentito alla madre. “A me piace da morire quello alto. Si chiama Shel” le gridò Elena eccitata, indicando il palco. Sofia annuì entusiasta, muovendosi al ritmo della musica che stavano suonando i quattro ragazzi. “The Rokes” era scritto sulla batteria, a grandi lettere nere. Era la prima volta che Sofia vedeva da vicino dei ragazzi con i capelli così lunghi. Era la prima volta che Sofia sentiva musica dal vivo. Era la prima volta che andava in un
locale. Era la prima volta che indossava collant e una gonna di almeno una spanna sopra il ginocchio. Era la prima volta che usciva di casa con il vestito blu dicendo che andava a studiare da Elena, con il cuore che batteva forte e la cartella piena di peccaminosi indumenti che si era infilata in fretta nel bagno rosa dell’amica, mentre ridevano e dividevano una sigaretta. “Accidenti. Stai diventando grande, Sofia” aveva detto Giovanni con aria di approvazione quando l’aveva vista. Sofia era arrossita fino alla punta delle scarpe – che Elena le aveva prestato, senza tacco, ma si chiamavano ballerine ed erano très chic – e gli aveva rivolto un sorriso grato. Non era un complimento fatto da uno qualunque. Giovanni stava per compiere diciassette anni e già pensava alla macchina che si sarebbe fatto regalare. La musica finì con una gran rullata di batteria ma Elena continuò a muoversi sinuosamente. Shel, quello alto, la fissò e le strizzò l’occhio. Sofia spalancò la bocca guardando ammirata l’amica, che scoppiò a ridere scuotendo i capelli. Vieni, andiamo a cercare Marcello e gli altri” le disse Elena prendendola per mano. Sofia si lasciò trascinare, riluttante. Non le piaceva Marcello e non le piacevano gli altri amici di Elena e Giovanni, a essere sincera. Marcello aveva addirittura la macchina e ripeteva per la seconda volta il quinto scientifico e alcune delle ragazze avevano quasi diciassette anni e la guardavano come se fosse un’extraterrestre. Ma essere lì era talmente eccitante che il disagio cedeva il passo. “Allora? Non è un posto meraviglioso?” le chiese Elena ridendo. “C’è un sacco di gente che non balla” disse Sofia “Credevo che nei locali si ballasse e basta.” “Questo non è un locale, è il Piper!” esclamò Elena scandalizzata. “È un modo di vivere, è una filosofia, è il centro della vita! E da oggi,
sei una ragazza del Piper anche tu!” aggiunse facendo finta di appuntarle un distintivo sulla camicetta. Sofia pensò che non capiva bene cosa volesse dire essere una “ragazza dal Piper” ma suonava benissimo. E comunque la rendeva parte di tutto quello che la circondava.