Catalogo museo AcdB

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ALESSANDRIA CITTÀ DELLE BICICLETTE

Dal 14 maggio al 10 luglio 2016 Palazzo del Monferrato Alessandria, via San Lorenzo 21 www.palazzomonferrato.it Mostra promossa da Camera di Commercio di Alessandria Comune di Alessandria Organizzazione Asperia – azienda speciale della Camera di Commercio di Alessandria per la Promozione Economica Con il patrocinio di Federazione Ciclistica Italiana Touring Club Italiano Federazione Italiana Amici della Bicicletta Provincia di Alessandria Provincia di Asti Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria Comune di Acqui Terme Comune di Asti Comune di Casale Monferrato Comune di Masio Comune di Novi Ligure Comune di Ovada Comune di Tortona Comune di Valenza Atl Alexala Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi vitivinicoli di Langhe Roero e Monferrato Golosaria Con il contributo di

© 2016 – LineLab.edizioni Via Palestro, 24 15121 Alessandria info@linelab.com www.linelab.com Seconda edizione 9/2016 ISBN: 88-89038-57-8

Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria Guala Dispensing spa Solvay spa Unicredit spa Credito Valtellinese Centrale del Latte di Alessandria e Asti Confindustria Alessandria Hotel Alli Due Buoi Rossi Unipol Sai – Assicurazioni Luparia Università della Terza Età di Alessandria Assicurazioni

Comitato tecnico-organizzativo Giorgio Annone Giovanni Berrone Maria Luisa Caffarelli Mimma Caligaris Michele Carpani Mauro Cattaneo Paolo Chilin Simona Gallo Roberto Livraghi Peo Luparia Giovanni Meazzo Vittoria Oneto Luana Rossi Luciana Rota Rino Tacchella Ideazione Mauro Cattaneo Paolo Chilin Roberto Livraghi Immagine della mostra, progetto dell'allestimento e supervisione apparati multimediali Giorgio Annone Catalogo e progetto editoriale Giorgio Annone – LineLab.edizioni Consulenza grafica Roberta Buso Daniele Cavallero Jacopo Giordano Ricerche iconografiche e documentarie Mimma Caligaris Michele Carpani Luciana Rota Coordinamento editoriale e della sezione artistica, testi dei pannelli vocali Maria Luisa Caffarelli Rino Tacchella Coordinamento dell'accoglienza Università della Terza Età, Alessandria Associazione Libera Mente, Alessandria

Unipol Sai – Assicurazioni Luparia Laboratori e attività didattiche Media partner Il Piccolo

Associazione Remix, Alessandria Associazione SemaforoBlu, Alessandria


La mostra non avrebbe potuto avere luogo senza l'indispensabile contributo di Giovanni Meazzo Diego Meazzo Giuseppe Dottino Maurizio Baldon Tony Frisina Renato Peluffo – Atala Loano Il logo del progetto “Alessandria città delle biciclette” utilizzato per connotare la mostra è opera di Riccardo Guasco, che ne ha fatto omaggio al Comune di Alessandria. Si ringraziano musei, istituzioni pubbliche e private, collezionisti per la gentile concessione delle opere: Archivio di Stato di Alessandria Gian Maria Panizza, Direttore Biblioteca civica di Alessandria Patrizia Bigi, Direttrice Museo dei Campionissimi di Novi Ligure Chiara Vignola, Direttrice Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo Carola Gentilini, Direttrice

Video in mostra Laboratorio cinematografico Officinema Gianni Giavotto video Giovanni Meazzo, ciclista alessandrino Massimo Poggio Lucio Laugelli video Carlo Michel Giorgio Annone Ri-costruzione di una Maino time-lapse Un sentito ringraziamento a Associazione Abilitando Paolo Robutti Francesco Baldassarre, Martino Lessio, Alessandro Repetto e Sabrina Sartori, studenti della Università del Piemonte Orientale, Dipartimento di Scienze e Innovazione tecnologica, coordinati dai professori Massimo Canonico e Giorgio Leonardi per la realizzazione della applicazione per ipovedenti, dei pannelli vocali e della bici tattile

Comando Polizia Municipale di Alessandria Associazione Il diavolo rosso di Asti RCS Mediagroup spa, editore di «La Gazzetta dello Sport» Mary Bailo Dameri e Annalisa Dameri Pierino Barbarino Marco Biorci Luciano Bona Gianpiero Chiesa Faustino Coppi Giovanni Ferrari Cuniolo Mauro Galati - Studio Galati Costanza Girardengo e Michela Moretti Mario Gualeni - Kimonocasa Mario Guizzardi Franco Lombardi Riccardo Massola Domenico Picchio Micaela Pittaluga Andrea Pittatore Leone Maura e Carlo Poggio Aurelio Ravelli Cicli Rolando Luciano Rosso Famiglia Savarro Gian Francesco Semino Anna e Nicoletta Vogogna Giorgio Zancanaro

Beppe Conti Claudio Gregori Marco Pastonesi testi introduttivi alla storia del ciclismo Poste Italiane – Sezione Filatelia Circolo Filatelico Numismatico Alessandria Uno speciale ringraziamento a Ascom Confcommercio e Confesercenti Alessandria Emanuele Arrigazzi Guido Astori Pier Bergonzi Paolo Bessone Giorgio Boccassi Ugo Boccassi Martina Bottazzi Giampaolo Bovone Fulvia Camisa – «Cyclist» Milva Caldo – «Il Novese» e «AlessandriaNews» Daniele Casarini Andrea Cerrato Cristiana Coppi Pietro Cordelli Arianna Fabri

Nadia Ferretti Stefano Gandini Matteo Gatto Roberto Gilardengo Carlo Lenti Matteo Marongiu Gian Piero Mattachini Gian Marco Pagano Liana Pastorin Gian Porro Fabrizio Priano Daniele Redaelli Roberta Sartor Laura Sommariva Massimo Subbrero Vittorio Villa Un grato pensiero a quanti, su sollecitazione del giornale «Il Piccolo», hanno gentilmente concesso in prestito le fotografie di famiglia che sono state riprodotte in mostra e in questa pubblicazione. Grazie infine a coloro i quali, a vario titolo, hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto.


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SOMMARIO 7 Presentazione del Presidente della Camera di Commercio di Alessandria 9 Presentazione del Sindaco della Città di Alessandria 11 Era il paradiso del ciclismo Marco Pastonesi

12 Alessandria, la culla del ciclismo dei pionieri Beppe Conti

15 Alessandria, la prima città italiana a due ruote Mimma Caligaris, Paolo Chilin, Roberto Livraghi

136 I ciclisti alessandrini Luciana Rota, Michele Carpani

154 Arte, libertà, bicicletta Maria Luisa Caffarelli, Rino Tacchella

164 Bibliografia

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Perché una mostra dedicata ad “Alessandria, città delle biciclette”? Perché fino a oggi quello di Alessandria “prima città e provincia a due ruote” è rimasto un tema noto agli appassionati, ma poco sviluppato sul piano sociale. Un argomento che, invece, è di grande interesse, come dimostrano il sostegno e la condivisione progettuale che in questa circostanza sono pervenuti da parte di tanti soggetti come l’Amministrazione Comunale di Alessandria, la Federazione Ciclistica italiana, la FIAB, il Touring Club Italiano. Voglio ringraziare queste realtà, insieme ai molti partner pubblici e privati che hanno concesso sponsorizzazioni e patrocinii, rendendo possibile l’allestimento, presso la nostra struttura di Palazzo Monferrato, di una mostra che si presenta di particolare rilievo a livello nazionale. Alla base del progetto vi è l’attenzione della Camera di Commercio per una promozione del territorio del Monferrato “a tutto tondo”: un impegno condiviso da molti soggetti pubblici e privati che, favorendo le migliori energie imprenditoriali locali, possa portare sviluppo, benessere e quel miglioramento della qualità della vita che può essere efficacemente perseguito anche grazie al riferimento a questo splendido mezzo a due ruote. Il velocipede, introdotto dalla Francia in Italia nel 1867 dall’allora presidente della Camera di Commercio di Alessandria, Carlo Michel, è divenuto lungo l’arco di 150 anni un “mezzo” non solo di trasporto, ma anche un “veicolo” di energie attrattive per la nostra terra, le sue strutture, i suoi percorsi ciclo-turistici e le sue bellezze paesaggistiche, culturali e naturali. La mostra non si limita a ripercorrere le vicende straordinarie dei campioni e campionissimi della nostra terra, ma dedica un’attenzione specifica al fatto imprenditoriale: a quel particolare genius loci che qui ha portato tanti sportivi a trasformarsi in imprenditori, e in particolare fabbricanti di biciclette, seguendo l’esempio di Giovanni Maino e della sua azienda, indiscussi protagonisti di quasi un secolo di attività al confine tra artigianato artistico e produzione industriale. A tutti loro va il nostro omaggio, con uno sguardo retrospettivo fatto di orgoglio e consapevolezza, ma anche con la voglia di costruire un presente e un futuro non dimentichi delle nostre radici. Gian Paolo Coscia Presidente della Camera di Commercio di Alessandria

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La mostra allestita presso Palazzo Monferrato rappresenta un momento molto importante per la storia di Alessandria perché ha dato l’avvio ufficiale a un serie di eventi, riflessioni, spettacoli, manifestazioni e persino scelte amministrative che intendono mettere al centro la bicicletta. Non si tratta di qualcosa di estemporaneo, perché Alessandria può andare fiera di quanto – agli albori dell’uso di questo bellissimo mezzo di trasporto – nella nostra Città si è fatto “per” e “con” la bicicletta. Siamo infatti orgogliosi di rappresentare il territorio che più di ogni altro in Italia, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ha reso protagonista la bicicletta e ha creato un movimento veramente popolare di attenzione a questo mezzo. Un’attenzione per gli aspetti agonistico-sportivi pensando ai tanti campioni e campionissimi della nostra terra, così come per la dimensione economico-produttiva che ha visto tanti di quei campioni trasformarsi in affermati imprenditori di biciclette (come non ricordare, tra gli altri, Giovanni Maino con la sua celeberrima azienda che volle anche donare, come sponsor, le maglie grigie della propria squadra ciclistica alla allora neonata squadra dell’Alessandria Calcio… la nostra amata squadra dei Grigi). A riprova che il tema della bicicletta fosse veramente “di casa” ad Alessandria non si può poi dimenticare come, per un verso, venne creata una specifica area urbana (la Pista, oggi elegante quartiere cittadino) per lo svolgimento di gare di rilievo internazionale del mezzo a due ruote e, per altro verso, come molti opifici cittadini (in primis la Borsalino) favorirono l’uso popolare di questo mezzo a due ruote per migliorare la qualità della vita di tutti, a partire da quella dei propri dipendenti (comprese le borsaline, le operaie della fabbrica dotate di bicicletta per raggiungere più agevolmente il luogo di lavoro). Vi è dunque uno stretto collegamento tra l’inaugurazione della bella mostra messa in luce dal presente catalogo e le altre iniziative e progetti (in ambito culturale, come in quello commerciale, sportivo, economicoturistico e persino urbanistico) che l’Amministrazione Comunale sta elaborando in coerenza con lo specifico Atto di indirizzo che è stato varato nei mesi scorsi e che ha come obiettivo proprio quello corrispondente al titolo dato alla mostra: “Alessandria città delle biciclette”. Un obiettivo che punta a dare un carattere permanente al tema della bicicletta e che non si limiterà alla memoria storica, ma vuole rinnovare una tradizione e promuovere efficacemente lo sviluppo sociale ed economico del nostro territorio. Un ringraziamento sincero, infine, alla Camera di Commercio di Alessandria, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e ai tanti altri soggetti istituzionali e associativi, pubblici e privati locali e nazionali per il fattivo coinvolgimento nella promozione e allestimento della mostra: un evento attrattivo di prim’ordine per la nostra Città e il nostro territorio che si apre ai tanti visitatori pronti a vivere e meravigliarsi – come dice lo stesso sottotitolo dato alla mostra – di fronte a “una storia mai raccontata sulle prime pedalate in Italia”.

Maria Rita Rossa Sindaco della Città di Alessandria

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ERA IL PARADISO DEL CICLISMO Marco Pastonesi

Le corse più importanti, le squadre più organizzate, i corridori più forti, gli allenatori più capaci, perfino la prima scuola, anzi, la prima università per velocisti, passisti e scalatori. Alessandria, da Tortona a Novi Ligure, da Castellania a Gavi: la terra dei santi pedalatori. Il primo fuoriclasse: Giovanni Cuniolo detto “Manina”. Qualcuno diceva che il soprannome fosse ironico: perché aveva due mani grandi così, pelose e callose. Qualcuno insinuava che il soprannome fosse anche critico: perché con quelle due mani grandi così si ancorava in salita o si allargava in volata. Invece era il soprannome attribuito a quel ramo dell’albero genealogico dei Cuniolo di cui faceva parte Giovanni, da Tortona, classe 1884, cresciuto podista e diventato ciclista, anzi, “velocipedastra”, ma sempre corridore. La prima corsa, e la prima vittoria, sulla bici da viaggio del fratello maggiore; la prima maglia, quella di campione tortonese, vincendo su una bici “da mezza corsa”; e le altre corse, seguito da un tifoso eccezionale, don Orione. Cuniolo sposò la resistenza alla velocità e moltiplicò le vittorie, fra cui tre campionati italiani. Poi esportò la sua forza negli Stati Uniti e in Australia: eroe dei tre mondi. Il suo rivale fu “il Diavolo Rosso”, Giovanni Gerbi. Un alessandrino contro un astigiano: derby. Il primo Campionissimo, con tanto di maiuscola: Costante Girardengo, da Novi Ligure, classe 1893. Se non ci fosse stato Girardengo, non ci sarebbe mai stato un corridore così Costante, participio presente e virtù indispensabile nel ciclismo. Se non ci fosse stato Girardengo, non ci sarebbe mai stata la leggenda della Grande Sfida, che Girardengo lanciò a tutti i corridori del mondo: “Una corsa a cronometro di 300 chilometri sul percorso per esempio della Milano-Sanremo: se si considera che le strade italiane mi siano favorevoli, io accetto un percorso anche su strade in suolo neutro, da 300 a 600 chilometri, che ci siano anche salite tipo Galibier e Izoard. Posta per ciascun incontro lire 50mila. Epoca a scelta degli avversari. Da oggi io sono pronto”.

Se non ci fosse stato Girardengo, non ci sarebbe mai stato il mito dell’Eterno Secondo, Tano Belloni, 26 volte secondo dietro a Girardengo, eppure i due erano amici e avversari, la sera prima di una corsa Tano si fermò a cenare e dormire a casa Girardengo, “ma ogni tentativo di farlo mangiare di più e riposare di meno fu inutile. E l’indomani, via come una freccia: lui primo, io secondo”. Una delle sue 107 vittorie su strada, oltre alle 965 su pista, da professionista. Il secondo Campionissimo: lui, Coppi, da Castellania, classe 1919. Per lui sono già state scolpite ouverture ineguagliabili (“Un ragazzo segaligno, magro come un osso di prosciutto di montagna” e “Volava su per le dure scale del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse e come chiamarlo”, Orio Vergani), parole irraggiungibili (“Un uomo solo al comando”, Mario Ferretti), descrizioni impareggiabili (“Vedemmo finalmente Coppi: veniva avanti in modo incredibile, anche per un profano: senza sforzo, con una leggerezza che non gli costava nulla, col corpo che rimaneva immobile e quasi rilassato, mentre il viso si muoveva con una pena particolare, sorridendo senza sorridere”, Anna Maria Ortese), analisi impossibili (“Coppi è il nuovo campione partorito dalla guerra e dalla liberazione: egli rappresenta lo spirito razionale, scientifico, il cinismo, l’ironia, lo scetticismo della nuova Europa, l’assenza d’immaginazione delle nuove generazioni, il loro credo materialista”, Curzio Malaparte), epitaffi infiniti (“Il grande airone ha chiuso le ali”, ancora Vergani). Ma Alessandria è una ricchissima cicloteca: da Biagio Cavanna, massaggiatore e mentore di Coppi, a Ettore Milano e Sandrino Carrea, che di Coppi furono gli angeli custodi, da Giorgio Zancanaro, profeta per un giorno in patria, a Imerio Massignan, il Gambasecca vicentino adottato a Silvano d’Orba. Eroi che rivivono ogni volta che, da queste parti, gira una ruota. Anzi, due.

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ALESSANDRIA, LA CULLA DEL CICLISMO DEI PIONIERI Beppe Conti

Quante storie si possono raccontare di quegli anni fascinosi e ammantati di leggenda di fine ottocento, del primo novecento. Alessandria sede dell’Unione Velocipedistica Italiana, nata a Torino sul finire dell’ottocento, l’attuale Federciclo. Alessandria che proprio per quel motivo era anche sede di partenza di numerose corse d’altissimo livello. Senza mai dimenticare che appartengono alla provincia i due mitici campionissimi della storia ciclistica, Costante Girardengo e Fausto Coppi. Ma è dei pionieri che vogliam parlare, d’un personaggio che è diventato leggenda col nome di Diavolo Rosso. L’ha cantato anche Paolo Conte, versi straordinari di quel vero poeta, musiche che incantano. Diavolo Rosso era Giovanni Gerbi, astigiano, figlio di un oste, che fin da ragazzino stravede per la bicicletta e quelle prime corse, impulsivo, generoso, a tratti persin violento, coraggioso e grintoso oltre ogni limite. Che si inventò diavolerie assortite pur di vincere le corse e battere il suo rivale dichiarato, l’acerrimo nemico che veniva da Tortona, Giovanni Cuniolo. Un loro duello rusticano animò la Milano-Alessandria del 1903, una classica in quei tempi. Sì, duelli senza esclusione di colpi. Secondo quel che raccontavano i vecchi campioni, Giovanni Cuniolo l’avevano soprannominato Manina. Ma avrebbe meritato Manona. Lo rivelò ridendo di gusto il pavese Giovanni Rossignoli, altro grande protagonista di quel ciclismo, in uno scritto su quell’epoca ricca di fascino, opera di Carlo Delfino, medico e giornalista, storico del ciclismo: “In volata ad un certo punto ti sentivi risucchiato indietro, delicatamente e senza scrolloni, come se una mano ti tenesse. Poi guardavi bene e ti accorgevi che la mano c’era davvero. Ma non facevi a tempo a divincolarti che lui, Cuniolo, aveva già vinto”. Ufficialmente Manina, secondo il pronipote di Cuniolo, era il cognome che indicava un ramo dell’albero genealogico della famiglia. 12

Gerbi sconfisse Cuniolo ad Alessandria, ma Cuniolo è stato il primo campione d’Italia della storia ciclistica fra i professionisti su strada, nel 1906, a Roma. Replicò nel 1907 quando la corsa per il titolo partì proprio da Alessandria verso Parma. Fece tris consecutivo nel 1908, quando il titolo venne aggiudicato nella Alessandria-Como. Ogni anno si partiva da Alessandria, sino alla prima guerra mondiale. Da Alessandria per Fidenza, per Legnano, per Albissola. Che storie davvero d’altri tempi. Quando nel 1912 da Alessandria si arrivò ad Albissola, la corsa finì in farsa. Prima dovevano arrivare i dilettanti, su distanza più breve, 136 km, poi i professionisti, 251 km, neppure troppi per le maratone di quei tempi. Ma quando arrivarono i professionisti c’era gente in mezzo alla strada, dilettanti ancora in gara, un caos indescrivibile. I due che si giocavano il successo, Angelo Gremo e Dario Beni, si danneggiarono a spallate, urtandosi con gli spettatori. Vennero squalificati entrambi. I giudici decisero di assegnare la maglia di campione d’Italia al terzo, Giuseppe Azzini. Ma questi la rifiutò, non si sentiva degno. E il titolo non venne assegnato. Nel 1913 e nel ’14 la sfida tricolore proponeva un tracciato suggestivo che sarebbe bello rifare adesso, magari per una celebrazione, per una ricorrenza. Da Alessandria si viaggiava sino a Piacenza, poi si andava ad affrontare il passo del Penice dal versante piacentino, si scendeva a Varzi, si passava da Voghera per arrivare a Spinetta Marengo. E per ben due volte vinse lui, Costante Girardengo, il primo campionissimo, l’Omino di Novi, che ancor oggi detiene un record che forse non verrà mai battuto. Nove volte campione d’Italia. A partire proprio da Alessandria a Spinetta Marengo. Ma non dimentichiamo Gerbi, il Diavolo Rosso, per raccontare un episodio davvero splendido. In quel primo novecento vinse anche una gara che si chiamava Coppa di Alessandria, vinse rocambolescamente il primo Giro di Lombardia, vinse i primi tre Giri del Piemonte. Ma a far epoca erano le sue diavolerie, almeno quanto le sue vit-


torie. Su quelle strade spesso deserte e lontano dai centri abitati, magari ad un incrocio, Gerbi piazzava un suo amico vestito da carabiniere del re, oppure da guardia municipale, oppure da milite della Croce Rossa, il quale mandava tutti sulla strada sbagliata, mentre lui poco prima aveva simu-

lato un incidente, staccandosi per poi prendere la strada giusta. Quell’amico pare fosse Amilcare Savoiardo, ciclista e sportivo di Asti, fondatore, fra l’altro, dell’Alessandria Footbal Club. Sì, storie favolose di un altro mondo.

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Torielli uomo NazionalitĂ Marca

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Modello Anno di fabbricazione Anno di restauro Sistema frenante

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Ruote

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Telaio Illuminazione

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Trasmissione Sella Manubrio

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Caratteristiche speciali Provenienza

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ALESSANDRIA LA PRIMA CITTÀ ITALIANA A DUE RUOTE Mimma Caligaris, Paolo Chilin, Roberto Livraghi


L’idea è di Elio Trifari, già vicedirettore di «La Gazzetta dello Sport» e attuale direttore della Fondazione intitolata a Candidò Cannavò. Suona come un omaggio, importante e già definitivo, nei confronti del ruolo che la città e la provincia di Alessandria hanno saputo svolgere in un lungo cinquantennio che abbraccia i primi anni della conseguita unità nazionale e arriva fino al primo conflitto mondiale. Ovviamente senza dimenticare che questa diventerà poi la “terra dei Campionissimi”, nati non per caso in un ambiente in cui la passione per le due ruote ha operato come un efficacissimo (e piacevole) mezzo di contagio, offrendo un contributo davvero speciale a trasformare il ciclismo in uno sport popolare. La nostra ricerca (e la mostra che ne consegue) hanno perciò riguardato il tentativo di ricostruire un mondo, sportivo ma anche produttivo – i campioni, i campionissimi, i loro gregari, le fabbriche di biciclette da loro realizzate – e anche un’atmosfera, un clima, che collegano la città di Alessandria a momenti fondamentali per la nascita di questo sport in Italia, senza trascurare né il primo definirsi di una dirigenza di livello nazionale e internazionale, né la nascita del giornalismo di settore. Ma è meglio procedere con ordine e raccontare le cose così come si sono potute ricostruire.

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1909 “Alessandria è la città che può vantare il passato più fulgido dello sport ciclistico italiano, anzi di questo potrebbe essere considerata la culla...” «La Lega» 3 luglio 1909

Draisienne

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Nazionalità

Francia. Parigi, Rue La Fayette 81

Marca

Jacquier

Modello

Draisienne tipo Michaux

Anno di fabbricazione

1868

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

Freno posteriore a pressello con tiranteria in cuoio e trazione con rotazione del manubrio

Ruote

Tipo carro con raggi in legno, rinforzo in ferro e gomme piene. Anteriore 102 cm, posteriore 82 cm con oliatori doppi sui mozzi anteriore e posteriore

Telaio

Tipo Draisienne con balestra di molleggio e prolungamento a ricciolo anteriore con poggiagambe

Illuminazione

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Trasmissione

Sulla ruota anteriore. Pedali in bronzo con contrappeso regolabili in altezza

Sella

In cuoio sulla balestra di molleggio

Caratteristiche speciali

Da notare la bulloneria in bronzo e la raffinata cura nelle finiture della forcella e del telaio

Provenienza

Giovanni Meazzo


MICHAUX E MICHEL: ALL’INIZIO DI TUTTO Le origini della bicicletta vengono da lontano e sono controverse. Se già Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico ci aveva lasciato il disegno di una bicicletta di legno con manubrio, sella, pedali e catena, alla storia del mezzo non mancano i risvolti leggendari, come quello che vorrebbe che il conte Sivrac, nel 1790, in piena Rivoluzione francese, abbia inventato il “celerifero”. Quel conte – come ha scritto Claudio Gregori nella bella voce dedicata al ciclismo nell’Enciclopedia dello Sport – è un personaggio di fantasia, mai esistito, e il celerifero era in realtà una diligenza a cavalli, importata in Francia dall’Inghilterra nel 1817, da un certo Henri de Sievrac. Il vero secolo delle due ruote, è invece, a tutti gli effetti, l’ottocento. Mosso dall’obiettivo di costruire qualcosa che permetta di viaggiare veloce senza l’aiuto dei cavalli, il barone Karl Drais von Sauerbronn (Karlsruhe, 17851851), uomo fantasioso e grande inventore, è colui che dà vita al vero antenato della bicicletta: la Laufmaschine (macchina per correre), con due ruote di legno con otto raggi, che avanza con la spinta dei piedi sul terreno, dotata di un manubrio mobile per dirigerla. Drais percorre distanze sempre più impegnative, ma è solo nel 1818 che la Laufmachine, nel suo brevetto francese, è già chiamata vélocipède, o draisienne, dal nome del barone. Pochi mesi dopo ottiene anche il brevetto in Inghilterra, dove viene ribattezzata hobby horse (cavallo da divertimento) e cambiano anche i materiali di costruzione, con l’introduzione dell’acciaio. Il nuovo mezzo di trasporto conosce in mezzo secolo interventi continui, ma una data di svolta è il marzo 1861, quando un cappellaio parigino, Auguste-Arsène Brunel, porta a riparare la sua draisienne nell’officina del bretone Pierre Michaux. Perché parliamo di Michaux? Perché anche Alessandria sta per entrare in gioco. Uno dei sei figli di Michaux, Ernest, prova la draisienne da riparare e, al ritorno, discute con il padre, “Troppo faticoso muoversi con questo mezzo, papà. Servirebbero due petits repose-pied (due piccoli riposa-piedi)”. Pierre ascolta e propone dapprima due poggiapiedi fissati alla forcella, poi 19


“Ma da dove arriva questo infernale marchingegno?” Dall’anno scorso, era il 1867, tutti quelli che mi incontrano in giro per Alessandria sul mio velocipede mi prendono un po’ per matto e li sento borbottare: “Carlo Michel l’è propri luc! Prima, la birra nella terra del vino, adesso questo”. E a tutti mi tocca raccontare del mio viaggio all’Expo di Parigi e del mio colpo di fulmine per questa invenzione: due ruote azionate da due pedali… 20


pensa di inserire un asse nel centro della ruota anteriore, che si possa far girare come nella mola, attraverso due leve contrapposte. Ed è ancora Ernest Michaux (Parigi, 1813-1883), eccellente meccanico, a dare forma all’idea del padre: adatta al mozzo due aste metalliche, di una ventina di centimetri, e inserisce, in un foro alle estremità di ciascuna, un pezzo di ferro. È la nascita ufficiale del pedale. Ernest è il primo a provare la draisienne così modificata, lo fa sugli Champs Elysées: perfetta in discesa, in salita richiede che si debbano mettere qualche volta i piedi per terra. Ma, alla fine, l’esperimento riesce e nascono le prime michaudines, del peso di 40 chili. I Michaux avviano una produzione in serie. Nel 1861 i Michaux vendono la prima michaudine ed è un successo: due gli esemplari venduti, nel 1862 ben 142, nel 1865 400, al prezzo di 500 franchi d’oro. Anche in altre officine parigine si incominciano a produrre velocipedi. Michaux non fa fortuna: nel 1870, 29 marzo, il giudice dichiara il fallimento della sua società. Per i Michaux è la rovina e Pierre, ridotto in miseria, muore il 9 gennaio 1883. Lui è il costruttore della michaudine, ma il brevetto non è suo, perché viene concesso, negli Stati Uniti, il 20 novembre 1866, a Pierre Lallement e al suo socio James Carroll. Lallement è originario della Lorena, lavora a Parigi prima di emigrare oltre oceano, in Connecticut. Nel 1861 costruisce il primo modello, nel 1866 deposita il brevetto: e un anno dopo, nel 1867, il primo velocipede a pedali compare in Italia. E qui entra in scena Alessandria. Perché il primo modello di cui si ha notizia è, appunto, un Michaux (o cycle Michaux), acquistato all’Expo di Parigi del 1867. Estate 1867: per le strade di Alessandria desta stupore e curiosità Carlo Michel, figlio di un intraprendente commerciante di liquori di origine savoiarda, emigrato a San Salvatore Monferrato negli anni Trenta. Carlo Michel (1842-1915) è a sua volta un personaggio e un imprenditore poliedrico. Nel 1867, dunque, lungo i viali della città piemontese si girano tutti a guardare il venticinquenne Carlo in sella a uno strano strumento a due ruote: è la prima apparizione, documentata, nel nostro paese di questo “bicicletto”, termine poi usato in Italia anche dall’industria. Conquista tutti, stimola la fantasia: basti pensare che la Scapigliatura piemontese battezza con il titolo «Il velocipede» una pubblicazione letteraria, aperta a un mondo nuovo.

Carlo Michel San Salvatore Monferrato, 16 novembre 1842 Alessandria, 8 dicembre 1915

Carlo Michel era figlio di Clément e di Marie Grand, originari della Savoia. Sposò nel 1890 Cleofe Levis. Per circa mezzo secolo Carlo fu titolare dell’impresa che produceva la Birra Michel poi diventata Birra Alessandria. La bicicletta fu una delle sue passioni: fu tra i primi a portarne una in Italia, dopo la visita all’Expo di Parigi nel 1867. Presto divenne vicepresidente del Circolo Velocipedistico Alessandrino e poi dell’Unione Velocipedistica Italiana. Figura eminente del Partito Liberale, fece parte dell’ala moderata, dando vita al giornale «Il Corriere Alessandrino». Fu legato da vincoli di parentela al gruppo che governò la città negli anni del sindaco Pietro Moro (la cosiddetta “famiglia Giulia”). Fu consigliere comunale, assessore dal 1881 per molti anni. Negli anni ottanta si trasferì dalla natia San Salvatore ad Alessandria, in via Plana 49, vicino al birrificio di proprietà. Fu presidente della Camera di Commercio dal 1887 al 1915, commendatore nel 1901. Carlo Michel dedicò costantemente una filantropica attenzione alle tematiche sociali, tipica del capitalismo delle origini e rafforzata dalla parentela con Madre Teresa Michel, vedova del fratello Giovanni Battista. Fu socio fondatore della Società di Storia Arte e Archeologia.

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Metropole Acatene

Bicicletto da corsa

Nazionalità

Francia

Nazionalità

Francia

Marca

Metropole

Marca

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Modello

Acatene

Modello

Corsa con tubolari

Anno di fabbricazione

1896

Anno di fabbricazione

1894

Anno di restauro

2009

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

A tampone interno e ruota fissa posteriore

Sistema frenante

Ruote

28x1 / ½ con cerchi in legno e acciaio, pneumatici smontabili

A tampone sulla ruota anteriore e ruota fissa posteriore

Ruote

28x1/? 2 con tubolari. Raggi legati

Telaio

Sport

Illuminazione

Fanale a carburo marca "La Rafale"

Telaio

A diamante

Trasmissione

A cardano con ruota fissa

Illuminazione

A candela marca Luxor

Sella

In cuoio con molle portanti

Trasmissione

A catena passo Humber

Manubrio

Tipo viaggio

Caratteristiche speciali

La Metropole è stata la prima casa che ha fabbricato la bicicletta con la trasmissione a cardano ed ha coniato il famoso termine "acatene”

Provenienza

In cuoio con molle a ricciolo e tensionatore

Manubrio

Tipo corsa senza attacco

Caratteristiche speciali

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Provenienza

Giovanni Meazzo

Giovanni Meazzo

Peugeot telaio a croce Nazionalità

Francia

Peugeot Pivot telaio a diamante

Marca

Provenienza

Nazionalità

Francia

Modello

A croce Pivot

Marca

Peugeot

Anno di fabbricazione

1890

Modello

Bicicletto Pivot

Anno di restauro

Conservata

Anno di fabbricazione

1892

Sistema frenante

A pressello sulla ruota anteriore e ruota fissa posteriore

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

A pressello sulla ruota anteriore e ruota fissa posteriore

Ruote

Gomme piene, altezza 77 cm. Cerchione e gomma posteriore maggiorati, raggi incrociati e legati

Telaio

A croce con sterzo a pivot tirante inferiore. Manopolini per l'appoggio dei piedi sulla forcella. Tensionatore per la catena mediante snodo all'incrocio dei tubi

Illuminazione

Ruote

Gomme piene, raggi tangenti, altezza 77 cm

Telaio

Diamante arcaico con sterzo Pivot e manopolini per l'appoggio dei piedi sulla forcella

Illuminazione

A candela

Trasmissione

A sinistra passo Humber e ruota fissa

A candela marca Luxor

Sella

In cuoio con molle a ricciolo e tensionatore

Caratteristiche speciali

In assenza di marchi, datazione e marca sono state definite sulla base dell'uguaglianza tra questo modello e il modello con il telaio a croce. Da notare la trasmissione a sinistra, poi abbandonata, e convenzionalmente disposta a destra

Provenienza

Giovanni Meazzo

Trasmissione

A catena passo Humber. Ruota fissa a sinistra

Sella

In cuoio con molle di sostegno

Caratteristiche speciali

Trasmissione a sinistra tipica anche del modello "Populaire demi cadre" della Peugeot. Da notare il tensionatore per la catena al centro dell'incrocio dei tubi del telaio

Provenienza

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Sella

Giovanni Meazzo


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Albero genealogico della bicicletta

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Qualche anno più tardi Charles Dickens, Alexandre Dumas e Claude Debussy monteranno dei bicicli; la Bella Otero e Sarah Bernhardt prenderanno lezioni di velocipede. Il figlio dell’imperatore Napoleone III sarà chiamato ironicamente Vélocipède IV; re Leopoldo del Belgio e lo zar Nicola Romanoff pedaleranno incuriositi. Ma a quel punto Alessandria è già nella storia: qui si incomincia a utilizzare il nuovo mezzo a due ruote, che entra dapprima con grande leggerezza e poi in maniera sempre più decisa nella vita della città, degli alessandrini, dei piemontesi, degli italiani. Alla luce di questi fatti, allora, si può persino leggere come un presagio l’interesse che fin dal 1815 il principale aristocratico della città, il marchese Ambrogio Maria Ghilini, aveva nutrito per le due ruote: come infatti testimonia il suo

archivio personale, il marchese era interessato al progetto di un inventore milanese, certo Gaetano Brianza, che aveva messo a punto un “cavallo meccanico” o “velocimane”, una macchina posta in vendita al prezzo di 300 lire milanesi, che procedeva “con l’alterno e facile movimento delle due mani”: il disegno del velocimane, riprodotto sul numero 25 della «Gazzetta di Milano» del 23 gennaio 1815, è conservato da duecento anni nelle carte dell’archivio privato della famiglia Ghilini. La precoce attenzione di Alessandria per le due ruote non poteva che farsi storia, con sfumature tendenti alla leggenda. E Carlo Michel diventerá anche vicepresidente dell’UVI, Unione Velocipedistica Italiana, ma questo è un altro capitolo che scopriremo. Pedalando insieme.

Carlo Michel fu industriale della birra. La sua ditta produceva anche acque gassose. Le sue bottiglie venivano vendute inizialmente a marchio “Michel” per divenire poi note con l’etichetta speciale della Birra Alessandria, illustrata anche in una locandina d’epoca del grande Luciano Mauzan. Quel rilievo simbolico dell’elefante sul vetro scuro della bottiglia lo ritroviamo associato al brand Maino. Destini o superstizioni comuni?

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Biciclo NazionalitĂ

U.S.A.

Marca

-

Modello

Grand Bi

Anno di fabbricazione

1880 circa

Anno di restauro

Conservato

Sistema frenante

A pressello sulla ruota anteriore

Ruote

Anteriore raggi tangenti con diametro di 130 cm, posteriore raggi tangenti con diametro di 40 cm

Telaio

Tubo ovalizzato, forcella forgiata in tre parti

Illuminazione

-

Trasmissione

Diretta sulla ruota anteriore

Sella

Lepper restaurata

Manubrio

Sagomato con manopole in legno

Caratteristiche speciali

In assenza della marca la nazionalità è stata dedotta dal tipo di passo del filetto dei pedali in uso alla fine dell'800 negli Stati Uniti

Provenienza

Anna e Nicoletta Vogogna

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PEDALA, ALESSANDRIA, PEDALA Come scrive anche Mario Bruzzone, alessandrino, dirigente dell’Unione Velocipedistica Italiana, in un articolo pubblicato su «Lo Sport illustrato», in data 15 gennaio 1915, “Carlo Michel ebbe, con il suo velocipede, un notevole successo di curiosità e, anche, ammirazione, poiché il suo esempio fu presto seguito da molti amici, e il primo nucleo di ciclisti fu un fatto compiuto poco tempo dopo”. Già nel 1869 il periodico «L’Avvisatore Alessandrino» segnala, in un articolo in data 22 febbraio, la presenza in città di bicicli e tricicli, anche con una anticipazione interessante, a testimonianza del fervore che viaggiava sulle due ruote: l’imminente arrivo dell’ “automatore” (un mezzo mosso da un tamburo a molla), del “velocipede a vapore” (che può raggiungere i 40 chilometri all’ora, e che può essere considerato un antenato delle moderne biciclette assistite), e anche del velocipede nautico. Evidentemente il numero di questi bicicli, o velocipedi, è già, in quel periodo, rilevante, se ancora «L’Avvisatore Alessandrino» dà notizia, in data 4 aprile 1869, dell’avvenuta approvazione da parte dal Comune di Alessandria di un regolamento sulla circolazione dei velocipedi. Con un commento pungente, “la nostra Giunta, finalmente, si è svegliata”. Il regolamento ha lo scopo di “prevenire qualsiasi inconveniente che può derivare dall’uso di velocipedi nei siti pubblici e specialmente nelle località in cui è maggiore il concorso di persone”: stabilisce, per esempio, che i ciclisti “dovranno nel percorrere le vie tenersi nel centro delle medesime o a distanza non minore di un metro dal marciapiedi, e ove questi non esistono, a distanza di metri due dalle case”. Dopo il tramonto del sole i velocipedi “dovranno andare provveduti di fanale acceso con vetro in colore, e di sonaglio”. E non manca anche un primo accenno al fascino della velocità e ai suoi risvolti agonistici: “La corsa dei velocipedi nei viali […] dovrà completamente cessare nelle ore in cui vi sia gran concorso di gente”. Del resto, già il 6 giugno 1869, in occasione della Festa dello Statuto (l’equivalente della Festa della Repubblica di oggi), Alessandria può assistere alla prima corsa di velocipedi organizzata nella piazza d’armi vecchia (e cioè 28


Mi accorgo adesso di aver gettato buoni semi. Che hanno germogliato in tempi diversi. Il testimone l’ho passato a Carlo Cavanenghi, fondatore nel 1886 del CVA, il Circolo Velocipedistico Alessandrino, poi presidente dell’UVI, l’Unione Velocipedistica Italiana, antenata della Federciclismo di oggi. E ancora: gli amici appassionati, Mario Bruzzone e Pilade Carozzi, che hanno portato Alessandria ai vertici del ciclismo mondiale. Il culmine per il CVA è stato il 1912: per la “Settimana Sportiva Alessandrina” calcio, cavalli biciclette e motociclette scatenano la tifoseria locale. Un po’ un canto del cigno, perché tre anni dopo Alessandria, sede dell’UVI dal 1898, termina di essere capitale del ciclismo italiano. 29


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nell’area attualmente occupata da piazza Matteotti). Il numero degli appassionati del velocipede e degli utilizzatori cresce sempre di più, tanto che nel 1876, nove anni dopo il primo michaux nelle strade cittadine, e italiane, nasce la Società Velocipedistica Alessandrina, che resta in vita fino al 1882 (le prime società amatoriali italiane, il Veloce Club Fiorentino e il Veloce Club Milano, erano nate nel 1870). Nei sei anni di attività la SVA organizza gite, cene sociali e quella che oggi si chiamerebbe promozione sportiva. Con il risultato, come scrive ancora Bruzzone nel suo articolo, “di accrescere sempre più il numero di adepti”. Nel 1878, secondo la testimonianza del memorialista Giovanni Berta, tre atleti alessandrini partecipano ad Asti a una corsa di velocipedi per la ricorrenza di San Secondo e uno di essi “riporta una bandiera con menzione onorevole”. Come spesso succede all’interno delle società, qualche dissapore tra i soci porta alla decisione di sciogliersi. Eppure, nonostante la mancanza di un sodalizio di riferimento, il ciclismo in Alessandria continua a crescere. Nel 1885, a Pavia, nasce l’Unione Velocipedistica Italiana, l’UVI, e il primo presidente è Carlo Nessi. La prima sede è a Como, ma già nel 1886 l’UVI si trasferisce a Torino, presidente il conte Agostino Biglione, originario di Viarigi. Fra le società, in tutto venti, che costituiscono l’UVI c’è anche la nuova realtà alessandrina, il CVA, Circolo Velocipedistico Alessandrino. Che nasce, nel 1886, per volontà e, prima ancora “per la propaganda attiva ed entusiasta di un altro giovane, Carlo Cavanenghi”.

Annuncio del congresso dell’Union Cycliste Internationale e dei campionati del mondo a Roma l’8, 9, 10 e 15 giugno 1902 («La Stampa Sportiva», Anno 1 - n° 21, giugno 1902, pagina 6)

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LA PASSIONE DI CARLO CAVANENGHI, IL “PAPÀ DEI CICLISTI” Carlo Cavanenghi (1859-1912) è, al pari di Carlo Michel, un’altra figura fondamentale per Alessandria, non solo per il ciclismo, perché è personaggio eclettico, con molti interessi, anche attore (con il fratello), ma soprattutto con la passione e l’impegno per la bicicletta. Ai vertici della Banca Cooperativa Commerciale di Alessandria (di cui è presidente), amministratore della Congregazione di Carità e consigliere comunale, Cavanenghi non solo fonda il CVA, ma ne diventa presidente, incarico che detiene fino al 1912, anno della sua morte, a Mantova, dove si trova in occasione dei campionati italiani. Cavanenghi è colui che pone le basi per lo sviluppo del ciclismo italiano, tenendo a battesimo anche la nascita del Giro d’Italia. Il CVA, da lui guidato per quasi trent’anni, è una società che Mario Bruzzone definisce “solida e robusta, tipico esempio di operosità, di iniziative audaci, di manifestazioni sportive grandiose, di organizzazione geniale, tale da rendere Alessandria nota in tutto il mondo ciclistico e apportare vantaggi economici e morali non indifferenti alla propria città”. Ecco, in questo passaggio c’è la sintesi, efficace, del ruolo che il capoluogo assume, sempre più, non solo a livello italiano. E, anche, la giusta sottolineatura di quanto lo sport fosse allora, come è ancora oggi, e come sarà, uno straordinario strumento di promozione anche turistica dei luoghi. CVA, realtà preziosa di Alessandria: perché Cavanenghi ha la capacità di unire e saldare le divisioni tra praticanti, che hanno determinato la breve durata della Società Velocipedistica Alessandrina, e perché, da grande sportsman, ha intuizioni geniali e dimestichezza con le strategie vincenti. Soprattutto, capisce che il CVA non solo raccoglie appassionati, ma ha una funzione fondamentale: organizzare eventi. E Alessandria, sotto la spinta di Cavanenghi, intuitivo e lungimirante uomo di sport, conosciuto ovunque come “il papà dei ciclisti”, diventa in poco tempo, il centro principale dell’attività agonistica su pista. 32


Foto di gruppo durante una gara al velodromo di Alessandria. In primo piano il gruppo organizzatore del CVA

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Per comprendere il grado di coinvolgimento (e di entusiasmo) che il CVA sa realizzare, ci soccorre la didascalia di una delle foto scattate in quegli anni: “In quei tempi ogni socio offriva volenterosamente l’opera sua, che veniva utilizzata secondo le attitudini. Ecco, per esempio, tre specialisti del totalizzatore-distribuzione biglietti, cassa, ripartizione – che sudavano con coscienza parecchie camicie ad ogni riunione. Due di essi sono ora Cavalieri del Lavoro, capi di colossali industrie, Comm. Teresio Borsalino e Cav. Cesare Vitale, Domenico Predassi ora Ragioniere Capo al Municipio di Alessandria”. Come si vede, tra i volontari figurano personaggi del calibro di Borsalino e di Vitale, esponenti dell’élite industriale cittadina. A partire dal 1883 le corse di velocipedi diventano un appuntamento annuale: si svolgono abitualmente nei mesi di giugno o settembre e vengono spesso abbinate, almeno inizialmente, alle corse dei cavalli. L’appuntamento del maggio 1891, su cui torneremo ancora, è il primo in cui si parla di “corse velocipedistiche internazionali”, evidentemente grazie alla presenza di campioni che vengono anche da altri paesi europei, primo tra tutti la Francia. Ma il fenomeno bicicletta è più ampio del pur importante contesto agonistico-sportivo: in questi anni inizia a permeare di sé l’intero ambito cittadino. Valga come esempio emblematico l’annotazione che ancora Giovanni Berta lega alle memorie dell’anno 1895: “Si comincia a vedere qualche medico in visita colla bicicletta, invece della tira-medich (una sorta di calessino trainato da cavalli)”. La città, grazie ai suoi dirigenti sportivi e alle fortune del ciclismo eroico, è pronta ad aprirsi alle possibilità di autonomia e libertà assicurate dal nuovo mezzo: come racconta una fotografia nota ma sempre bellissima, le due ruote, insieme a una naturale eleganza nel vestire, saranno presto il simbolo dell’emancipazione delle operaie del cappellificio Borsalino Antica Casa.

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Carlo Cavanenghi Alessandria, 1859 Mantova, 1912

Carlo Cavanenghi nasce nel 1859 ad Alessandria da una famiglia di commercianti. Ben presto diventa una importante figura in ambito economico e politico. Fonda il CVA (Circolo Velocipedistico Alessandrino) nel 1886 dalle ceneri di una precedente società. Grande animatore e organizzatore, riesce a rendere dinamica l’attività del CVA coinvolgendo le principali figure della borghesia alessandrina e promuovendo la costruzione del velodromo cittadino (”la Pista”, da cui il nome del quartiere). Dà il via insieme ad Aristide Leale, Carlo Michel, Mario Bruzzone, Pilade Carozzi, a manifestazioni sportive di livello nazionale tanto che nel 1898 il consiglio direttivo dell’UVI (Unione Velocipedistica Italiana) lo sceglie per ricoprire la più importante carica sportiva dell’epoca: direttore dell’UVI Con lui l’UVI riesce a riconquistare la fiducia dei corridori in contrasto con la precedente gestione, concentrandosi sulle attività agonistiche del ciclismo e abbandonando completamente la sezione cicloturistica, ormai di competenza del Touring Club Italiano. Gli inizi del secolo sono così quelli dei primi successi sportivi e organizzativi, come per esempio il sodalizio tra UVI e «La Gazzetta dello Sport» di Rivera e Costamagna. Cavanenghi riesce a gestire le tumultuose corse su strada dell’epoca, punendo anche severamente routiers sorpresi in atteggiamenti scorretti. Cavanenghi è il primo a volere fortemente una “piccola cassa di previdenza e per gli infortuni” dei corridori. Fu l’amico Eliso Rivera che volle pronunciare le parole di commiato presso il cimitero di Spinetta Marengo, dove ancora oggi riposa dopo la morte improvvisa avvenuta nella città di Mantova.


Mario Bruzzone Pilade Carozzi La caricatura dell’artista alessandrino Mario Capurro (tratta dal volume Peccati caricaturistici 1902-1932, edito nel 1932) mostra il tavolo del consiglio direttivo del CVA al completo. In alto al centro è raffigurato il presidente Carlo Cavanenghi, mentre il primo in basso a destra è Mario Bruzzone, dirigente del CVA fin dalle origini, poi delegato italiano presso l’UCI (Union Cycliste Internationale), ove ricoprì per diversi anni la carica di segretario-tesoriere. Bruzzone, trasferitosi da Milano ad Alessandria nei primi anni del secolo, nel 1906 diede vita, con il socio Giuseppe Benzi, a un’impresa per “il commercio di bicicli, automobili e generi affini”. Nel 1915, in un famoso articolo apparso su «Lo Sport Illustrato» (“Perché Alessandria è sede dell’UVI”), ricostruì con grande precisione le vicende che fecero di Alessandria la culla del ciclismo italiano e la sede della federazione. Tra i dirigenti sportivi alessandrini un ruolo di rilievo spetta anche a Pilade Carozzi, dapprima tra i fondatori del CVA, poi chiamato da Cavanenghi (nel 1898) alla vice presidenza dell’UVI, insieme a Carlo Michel, e nel 1900 alla vice presidenza dell’UCI. Delegato italiano presso la federazione internazionale, era noto come “sportsman appassionato, ciclista instancabile, assiduo e volenteroso”. Voce dell’Italia alle sedute della federazione, diede un contributo fondamentale per l’organizzazione dei Campionati del Mondo di Roma del 1902. La famiglia Carozzi possedeva la Villa Stortigliona, lungo la strada per Spinetta Marengo, già di proprietà della famiglia Grillo, ove era nata nel 1855 Teresa Grillo Michel. 35


Ancora un nome: Eliso Rivera, avvocato di Masio “malato di ciclismo”: è lui che nel 1896 fonda con Eugenio Costamagna, un giornalista di Torino, «La Gazzetta dello Sport» unendo due testate sportive preesistenti, «La Tripletta» e il «Il Ciclista». Ancora oggi «La Gazzetta dello Sport» organizza il Giro d’Italia. La provincia di Alessandria negli anni quaranta vedrà poi distinguersi un altro giornalista fortemente appassionato di ciclismo: Franco Rota, che diventa addirittura portavoce del campionissimo Fausto Coppi. 36


DAL GRIGIO AL ROSA Venerdì 3 aprile 1896, tre giorni prima dell’apertura delle Olimpiadi di Atene, la prima edizione dei Giochi dell’era moderna. Un’altra data fondamentale in questo percorso che porta al traguardo più significativo: affermare il ruolo di Alessandria come capitale della bicicletta. Anche quando si tratta di scrivere, di raccontare, di dare alle stampe un giornale. Perché il 3 aprile 1896, esattamente 120 anni fa, va in edicola, per la prima volta «La Gazzetta dello Sport». Il risultato di un matrimonio editoriale: tra «Il Ciclista», diretto dall’avvocato Eliso Rivera, e «La Tripletta», firmata da Eugenio Camillo Costamagna, studente in lettere. «La Gazzetta dello Sport», come si sa, organizza nel 1902 la Gran Fondo (di 600 km), nel 1905 il Giro di Lombardia, nel 1907 la Milano-Sanremo e nel 1909 il Giro d’Italia. «Il Ciclista» e «La Tripletta» sono due periodici di ciclismo, perché è questo lo sport che tiene banco e che occupa la quasi totalità della pagine in tutta la stampa sportiva dell’epoca. Le prove su pista e le prime gare in linea offrono risultati e personaggi che richiedono una informazione fresca e rapida. Che è l’obiettivo dell’unione tra lo studente “Magno” ed “Eliso delle Roncaglie”, la firma scelta dalla componente alessandrina del duo. Perché Eliso Rivera è nato a Oviglio nel 1865 (poi residente a Masio), e la sua attività nel giornalismo inizia proprio con il ciclismo, con «L’Illustrazione velocipedistica italiana», la pubblicazione di riferimento dei molti appassionati. All’inizio la “rosea” in realtà è di colore verdino. La condirezione Rivera-Costamagna non dura molto, poco più di due anni: nel giugno 1898 è proprio Eliso Rivera ad abbandonare la testata per tornare a dedicarsi all’attività forense ad Alessandria, come brillante penalista. Non senza aver lasciato in eredità molti articoli a firma, appunto, EdR (Eliso delle Roncaglie). “I nostri corridori si preparano con serietà e incominciano a comprendere il motivo precipuo della loro inferiorità in confronto ai corridori esteri: questo motivo, che noi non ci stancheremo mai di indicare, sta tutto nel metodo”. Perché per l’avvocato 37


Rivera, il giornale deve raccontare, interpretare e commentare gli avvenimenti, e deve essere una “sentinella”, perché tutta l’attività sportiva abbia un senso unico. Rivera lascia la condirezione di «La Gazzetta dello Sport» già nel giugno 1898, ma continua a collaborare con Cavanenghi e Robutti nell’UVI. Poi lascia Alessandria e si trasferisce in Argentina, dove ricomincia la sua storia giornalistica: fonda la «Gazzetta degli italiani», il giornale degli emigranti in America del Sud.

Eliso Rivera Oviglio, 1865 Masio, 1936

Eliso Rivera ha fondato e diretto con Eugenio Camillo Costamagna «La Gazzetta dello Sport». Edita da Sonzogno, nacque il 3 aprile 1896 dalla fusione di due giornali: «Il Ciclista», diretto da Rivera, e «La Tripletta», diretta da Costamagna. Rivera, figlio di contadini, studia al Liceo Andrea Doria di Genova. Gareggia in Umbria e nelle Marche per il Veloce Club Perugia, costituito il 3 maggio 1888. È avvocato penalista, dirigente moderno, parlatore brillante. Nella gare internazionali di Sanremo del 1891 tiene il saluto ufficiale. Rivera ha lo studio legale a Milano. Diventa socio del Veloce Club Milano e il 25 giugno 1892, ai margini del congresso dell’Unione Velocipedistica Italiana, tiene la conferenza sul velocipede. Il 31 marzo 1892 fonda e dirige l’«Illustrazione Velocipedistica Italiana», che presto diventa «Illustrazione Ciclistica». Nel 1893 «Il Secolo», giornale tra i più diffusi in Italia, lo definisce “uno dei più convinti e dei più simpatici apostoli del ciclismo”. In effetti migliora lo statuto dell’UVI e i regolamenti relativi a corse, corridori, premi. Promuove il ciclismo femminile. Si batte contro la tassa sui velocipedi. Nel 1895 assume la direzione di «Il Ciclista». Resta direttore della «La Gazzetta dello Sport» per due anni, due mesi e 19 giorni. Si firma con lo pseudonimo Eliso delle Roncaglie. Socialista intrepido, quando ai primi di maggio 1898 il generale Bava Beccaris fa sparare 38

La nostalgia dell’Italia lo riporta ancora ad Alessandria, di nuovo animatore del ciclismo e di altri sport. Il 15 settembre del 1912 inaugura il primo campo sportivo di Alessandria, lo Stadium dell’Unione ginnastica Forza e Coraggio, nella vecchia piazza d’armi. Rivera, intanto, entra a far parte


dell’Unione Veterani Ciclisti Italiani ed è ricercato come oratore nelle varie manifestazioni. Morirà a Masio, alle sue amate Roncaglie, nel 1936. Un personaggio che, come altri ad Alessandria, è stato, nel suo ambito, uno dei pionieri del ciclismo. La provincia della prima città italiana a due ruote, la provincia dei Campionissimi, Girardengo e Coppi, e del primo campione d’Italia, Cuniolo, non poteva non partorire altre figure epiche, altre storie indimenticabili e piene di emozioni. Tra queste, alcune personalità di grande spessore, come Pieri Bassano (Alessandria 1926-1997), uno dei primi direttori di corsa del ciclismo italiano, allievo prediletto di Girardengo, amico e confidente di Coppi, oppure come Franco

Rota (Pozzolo Formigaro 1927-Milano 1994), giornalista de «La Notte» e di «Stadio», che di Coppi diventa portavoce. Pieri Bassano diventa direttore del CVA nel 1955 e successivamente del CV Melchionni. La sua attività e l’esperienza accumulata lo portano a collaborare con la Federazione nazionale e ad assumere la direzione di tutte le principali corse in Italia e all’estero. Franco Rota, amico personale di Coppi e Cavanna, nella sua intensa traiettoria professionale incarna la figura dell’inviato speciale, al seguito delle più grandi competizioni ciclistiche nazionali ed internazionali, firmando collaborazioni con il bisettimanale «Ciclismo», «La Domenica del Corriere», «Il resto del Carlino», «Il Messaggero» e «La Stampa».

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sulla folla a Milano, viene arrestato. È accusato di aver ospitato l’avvocato Pietro Gori, un grande dell’anarchia. Rimane in carcere per 22 giorni. Poi viene scagionato. Ma il 21 giugno dà le dimissioni. Rispunta nel 1912 come direttore della rivista dell’UVI «Lo sport ciclistico». Emigrato in SudAmerica, dirige il quotidiano «La Vittoria», in lingua italiana, per gli emigrati di Cordoba in Argentina. In Argentina è presidente dell’Unione Alessandrina. Nel 1919 dirige «L’Italia del Popolo» di Buenos Aires. Dopo sette mesi fonda «La Gazzetta degli Italiani», che guida dal 1920 al 1930. Infine torna alle Roncaglie di Masio dove si spegne nel 1936. (Biografia a cura di Claudio Gregori)

La Gazzetta dello Sport: dalla nascita alla maglia rosa Alla fine del XIX secolo lo sport inizia a diventare un’attività popolare ed escono i primi periodici sportivi, come «L’Eco dello Sport» e «Lo Sport Illustrato». Al ciclismo, lo sport più popolare dell’epoca, i giornali generalisti dedicano pubblicazioni: nel 1892 col «Corriere della Sera» esce il settimanale «Il Ciclo». Nel 1895 il «Secolo» risponde con «Il Ciclista» diretto da Eliso Rivera e, a Torino, nasce «La Tripletta» fondato e diretto da Eugenio Camillo Costamagna. È proprio dal sodalizio tra Eliso Rivera ed Eugenio Camillo Costamagna che il 3 aprile 1896 nasce «La Gazzetta dello Sport», un foglio di quattro pagine in carta verde, la stessa de «Il Ciclista», che costa 5 centesimi, un bisettimanale (uscite il lunedì e il venerdì) che si occupa di tutti gli sport, col ciclismo in prima pagina. Il giornale ha nella stessa testata tre titoli: «La Gazzetta dello Sport» in alto e «Il Ciclista» e «La Tripletta» sottostanti. Il primo numero con una tiratura di 20.000 copie va esaurito. Dal 24 aprile la testata «La Gazzetta dello Sport» (con l’articolo) appare in primo piano, surclassando i nomi dei due settimanali che l’hanno generata. Alla fine del 1898 un titolo a tutta pagina annuncia il cambio di colore: dal verde al rosa. Il nuovo colore 40


fa il suo esordio il 2 gennaio 1899 e diventerà il simbolo distintivo del giornale. Dal 1908 «La Gazzetta dello Sport» aggiunge anche l’uscita del mercoledì. La storia de «La Gazzetta dello Sport» è accompagnata dal grande impegno organizzativo di eventi sportivi. Il 24 agosto 1908, infatti, annuncia l’organizzazione del Giro d’Italia ciclistico, battendo sul tempo i “rivali” de «Il Corriere della Sera». La corsa prende il via il 13 maggio 1909 da Milano e verrà vinta da Luigi Ganna. Il 15 maggio 1919 la “rosea” diventa un quotidiano e la tiratura raggiunge vertici eccezionali con punte di 500.000 copie. Nel 1931 il direttore del Giro Armando Cougnet, ex proprietario di “La Gazzetta dello Sport”, sceglie di contrassegnare con una maglia caratteristica il corridore in testa alla classifica, per renderlo meglio riconoscibile al pubblico. Nasce la maglia rosa.

“L’Italo-Argentino Avv. Eliso Rivera, Signore delle Roncaglie, prima della partenza per l’America. Ora è nuovamente fra noi. Oh! potenza del richiamo nostalgico della... seconda gioventù!!!” Mario Capurro, Peccati caricaturistici, 1901-1932

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Franco Rota L’inviato sportivo Pozzolo Formigaro, 1927 Milano, 1994

Franco Rota nacque a Pozzolo Formigaro (Alessandria) il 26 aprile 1927. Dopo aver vissuto la sua gioventù ad Alessandria, a Venezia, a Roma e a Pozzolo nel tormentato periodo a cavallo della guerra, si trasferì nel 1952 a Milano per indirizzarsi alla professione giornalistica nel settore sportivo. La sua passione per il ciclismo fu favorita dall’amicizia personale con Biagio Cavanna e con Fausto Coppi di cui fu portavoce ufficiale fino alla prematura scomparsa del campione di Castellania. Esordì sul bisettimanale «Ciclismo» e sul quotidiano «Stadio di Bologna» del quale diventa inviato speciale. Il suo curriculum giornalistico spaziò quindi dal bisettimanale «Ruote», al quotidiano «La Notte», il più diffuso fra i giornali italiani della sera, dove ha lavorato per vent’anni in vari settori. Nel frattempo la sua firma apparve sui settimanali «Oggi», «Gente», «La Domenica del Corriere», «Sport», «Sport Illustrato» e sui quotidiani «Il Resto del Carlino», «Il Messaggero» e «La Stampa». Fu direttore del settimanale «Panorama» di Tortona, del periodico «Sport Azzurro» e responsabile del servizio stampa e pubbliche relazioni dell’Associazione Nazionale Atleti Azzurri d’Italia, della Federazione Ciclistica Italiana e della Lega Ciclismo Professionisti. Dopo aver vissuto per parecchi anni a Milano, la drammatica e prematura perdita della figlia primogenita lo riportò alle origini. Scrisse di getto per Monti editore un saggio autobiografico Ultimo Chilometro che è un vivo ritratto dei tempi e fu finalista del Premio Bancarella dello Sport. Il ciclismo e lo sport azzurro per Franco Rota furono sempre un filo conduttore, professionale e umano: si occupò dell’ufficio stampa della FCI, costruendo un rapporto sempre più intenso con Fiorenzo Magni e con Alfredo Martini, fino al 1994 quando scomparve a soli 67 anni. 45


Peugeot pista

NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

NazionalitĂ

Francia

Marca

Meazzo

Marca

Peugeot

Modello

Pista da competizione

Modello

Pista

Anno di fabbricazione

1947

Anno di fabbricazione

1900 circa

Anno di restauro

1995

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

Ruota fissa posteriore

Sistema frenante

Ruota fissa posteriore

Ruote

Ruote

Cerchi in legno 36 raggi. Mozzi con oliatore

Mozzi SIAMT in alluminio a flangia larga. Cerchi Nisi da pista. Raggi tangenti anteriori, incrociati al posteriore

Telaio

Peugeot pista

Illuminazione

-

Trasmissione

Ruota fissa, passo Humber 30x7

Sella

In cuoio marca Giacar.C

Manubrio

Pista con attacco girevole

Caratteristiche speciali

-

Provenienza

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Meazzo pista

Telaio

Meazzo pista, tubi libellula 6/10

Illuminazione

-

Trasmissione

A catena passo Humber con ingranaggio centrale marca Magistroni. Pedali Fom

Sella

Brooks pista

Manubrio

Ambrosio in alluminio con attacco regolabile

Caratteristiche speciali

Bicicletta costruita per Giovanni Meazzo in occasione della competizione inaugurale della pista ciclistica di Alessandria (ex Stadium Marengo)

Provenienza

Giovanni Meazzo

Giovanni Meazzo


Il CVA… È partito tutto da lì, le prime cicloturistiche sulle nostre colline, poi l’entusiasmo delle corse su pista, e dopo la strada. Le nostre strade: sempre partenze o traguardi di qualche gara… Carlo Cavanenghi era così appassionato di corse che tanto ha fatto, tanto ha detto, che una pista per gare ciclistiche gliel’hanno costruita sotto casa! La prima in Italia ad avere una curva sopraelevata. Era il 1888 e un “giretto” l’ho fatto anch’io! Quella pista ha poi dato il nome a tutto un quartiere. E i francesi, che la bici l’hanno inventata, venivano a correre … e a perdere … proprio qui ad Alessandria … e le “ruote” gli girano ancora oggi. Carlo, considerato “papà del ciclismo”, è tra i promotori anche delle grandi corse su strada, compreso il primo Giro d’Italia. 47


LA NOSTRA PISTA, I NOSTRI CAMPIONI Poiché i bicicli sono strumenti d’acrobazia, che pretendono una platea, la pista è l’ambiente ideale. Nei primi anni novanta del XIX secolo proliferano, ovunque, i velodromi, dove si disputano, corse di resistenza e prove di velocità che richiamano folle enormi per vedere i grandi campioni. È la pista a lanciare il grande ciclismo. In Francia, già prima della guerra franco–prussiana, scoppiata nel luglio 1870, si disputano decine di corse di velocità in recinti chiusi. E il primo campionato del mondo su pista, a Chicago nel 1893, anticipa di ben 28 anni il Mondiale su strada. Anche in questo Alessandria arriva tra i primi, perché già nel 1887, un anno dopo la sua costituzione, il Circolo Velocipedistico Alessandrino organizza due appuntamenti: la riunione primaverile di corsa su pista e il Gran Premio Città di Alessandria. A quella prima edizione ne seguono altre venti, senza interruzione, tanto da diventare una “classica”, senza eguali in Italia, e questo spiega la partecipazione dei più forti corridori in attività, anche stranieri, e solo nel 1891 si registra la prima vittoria di un italiano, il pavese Ambrogio Robecchi, uno dei primi assi della velocità, insieme a Giuseppe Pasta, Gian Ferdinando Tommaselli, Pietro Bixio, Luigi Pontecchi, Federico Momo. Tutti immortalati in una delle immagini più significative (ne esiste un’intera serie, scattata dal locale studio fotografico Castellani), con i partecipanti al Gran Premio Città di Alessandria del 1897, fra cui anche Pasini, Mosconi, Conelli, Singrossi, Daring, Fava, Gorla, Caviolato, Vigorelli e l’asso locale Montù. Nel 1888, e il CVA è attivo da due anni, un gruppo di sportivi volenterosi, fra cui anche Mario Bruzzone, promuove la costruzione di una pista in terra battuta, una delle prime in Italia, la prima in assoluto ad avere le curve sopraelevate, grazie a un intervento successivo, su progetto dell’ingegnere Aristide Leale. La Pista è a Porta Savona, tra gli attuali corso 48


Alessandria è stata la prima capitale dei pistards. Le prime scorribande agonistiche si devono al velodromo che appare in queste fotografie con la città sullo sfondo. Le prime piste in terra battuta con curve rialzate vengono

realizzate nel 1890: una a Torino, e nasce il Velodromo Umberto I, l’altra ad Alessandria. In scia arriveranno poi Milano (al Trotter di San Siro, prima pista in cemento), Pisa, Padova, Firenze, Roma e Verona.

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Nel 1892, sulla pista di Alessandria, i velocipedisti italiani danno spettacolo battendo i più rodati rivali francesi. Proprio in quell’anno la federazione internazionale organizza le prime prove per l’assegnazione del titolo di campione del mondo. La pista appassiona le folle per il suo spettacolo agonistico che inizia a coinvolgere anche i colleghi “stradisti” abituati alle lunghe cicloturistiche su strada (sterrato). È in quel periodo che inizia la separazione burrascosa fra Unione Velocipedistica Italiana e Touring Club Ciclistico Italiano, nato quest’ultimo come associazione nazionale dei ciclisti viaggiatori.

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CVA Circolo Velocipedistico Alessandrino

L’arrivo di Carlo Michel con un prototipo di velocipede direttamente da Parigi nel 1867, come ricorda Mario Bruzzone nella sua intervista su «Lo Sport Illustrato» del 15 gennaio 1915, ”…ebbe un notevole successo di curiosità e di ammirazione, poiché il suo esempio fu presto seguito da amici, ed il primo nucleo di ciclisti fu fatto compiuto poco tempo dopo…” Affermazione confermata dalla necessità, da parte del Municipio di Alessandria già nel 1869, di pubblicare un Regolamento di circolazione per i velocipedi, anche se per la nascita di una vera e propria società bisognerà aspettare il 1876. La Società Velocipedisti Alessandrina svolse un’attiva propaganda attraverso l’organizzazione di gite e di corse sociali. I “velocipedisti” affiliati divennero ben presto numerosissimi. Nel 1882, purtroppo, per una serie di divergenze tra i soci, la Società si sciolse. Nel 1886 Carlo Cavanenghi fonda il Circolo Velocipedistico Alessandrino, CVA una realtà che gli alessandrini ricorderanno con il suo acronimo nel corso di tutto il ‘900. Anche il CVA divenne immediatamente promotore di importanti gite cicloturistiche e corse sportive. L’organizzazione della Riunione Primaverile su pista avvenne già nel 1887 presso la “vecchia piazza d’Armi“ con la partecipazione di numerosi concorrenti e l’inaugurazione di una sezione corse dedicata agli under 14 (Corsa Infanzia riservata ai bicicli) e altre sezioni dai nomi Rovereto, Borgoglio, riservate ai bicicli e ai tricicli. Il Gran Premio Città di Alessandria, gara organizzata per venti edizioni, ha avuto come prima sede la Pista, circuito realizzato dal Circolo a ridosso di Porta Savona. Le cronache dell’epoca riferiscono di grandi manifestazioni organizzate in occasione del primo decennio di vita del CVA nel 1896; tra queste il Primo Convegno Ciclistico

Nazionale alla presenza di migliaia di ciclisti arrivati da tutta Italia. Il grande successo delle manifestazioni organizzate dal CVA è confermato dalla grande partecipazione di ogni ceto sociale, che condivideva la passione per lo sport ciclistico. Per questi risultati lo staff direttivo del Circolo viene scelto nel 1898 per “risollevare i destini” dell’Unione Velocipedistica Italiana. La prima sede del Circolo fu in via Pontida, in seguito si spostò presso lo chalet dei giardini pubblici (molto vicino alla Pista di Porta Savona) per poi trasferirsi in via Urbano Rattazzi. La sede del CVA fino al 1915 inglobò la sede dell’UVI. Nel 1908 il CVA cambiò statuto e divenne Federazione sportiva inaugurando attività e discipline diverse. Nel 1910 il Circolo poteva vantare una sezione “…foot ball alla quale appartiene la nostra gioventù migliore, …una sezione scherma che ha pure una squadra speciale di giovinetti e giovinette…e ha pure chiamato all’onore di opportuna disciplina la moderna Boxe….” Ma non basta: infatti ”Il CVA dopo avere, diremo così, tenuto a battesimo la nuova e già fiorente Società di ginnastica femminile, “Francesco Trotti”, sta ora trattando coll’Istituto Nazionale di Educazione Fisica per istituire in Alessandria una scuola di aviazione...”. Oltre allo sport, all’interno del Circolo era intensa l’attività aggregativa e ricreativa che doveva coinvolgere non solo gli appassionati o gli esperti sportsman, ma tutti i soci e le loro famiglie. Infatti, ”..le splendide sale del CVA avranno una speciale attrattiva per famiglie dei socii, perché sappiamo che si terranno parecchie serate di gala: le chiamiamo così sebbene la direzione del CVA intenda, come infatti avviene, che esse siano serate famigliari, senza eccessiva etichetta, alla buona, in famiglia..” e forse è questo l’ultimo ricordo impresso nella mente degli alessandrini: il CVA le sale, il ballo….ecc. 51


Teresio Borsalino, via Napoli, via Firenze e la scarpata del cavalcavia di viale Brigata Ravenna. L’accesso si trova dove oggi è la stele al Mutilato; le tribune sono addossate alla vecchia cinta dei bastioni, parallelamente al canale Carlo Alberto, all’epoca ancora funzionante. Lo sviluppo della Pista consta di due rettilinei di 70 metri, e due curve, ciascuna di 138 metri: totale dell’anello del velodromo alessandrino 416 metri, con una larghezza di 7. Vengono montate anche tribune in legno, all’inizio solo per le competizioni più importanti e poi stabilmente, a cui presto si aggiungono la torretta della giuria e l’area del totalizzatore delle scommesse. Si spiega così l’origine del nome di un’area della città, poi un quartiere, che all’epoca di fatto non esiste, perché la Pista sorge all’esterno della cinta dei bastioni, nella parte meridionale della città che sarà interessata a partire dal 1907 e fino al 1930 a un nuovo piano di ampliamento urbano. La Pista per circa vent’anni (esattamente fino al 1906) ospita competizioni di velocipedi, biciclette, anche tandem e tricicli a motore, come raccontano alcune immagini che testimoniano una attività organizzativa e agonistica molto intensa. Fin dalla gara con cui si inaugura l’impianto, che richiama ad Alessandria anche due grandi campioni francesi – in Francia il ciclismo su pista era molto diffuso – Paul Médinger e Louis Cottereau, vincitori di quel primo Gran Premio Città di Alessandria, con un distacco netto sugli italiani. Che, come racconta Bruzzone nel suo articolo, “ne rimasero mortificati. E dalla mortificazione ai propositi di rivincita il passo non è lungo”. Prova ne sia che un anno dopo, come detto, a vincere è un italiano, il pavese Ambrogio Robecchi. Emozionanti le parole di Bruzzone per raccontare i preparativi e la competizione. “Fra i corridori italiani, tutti uniti per vincere i colleghi d’Oltralpe, c’era l’intesa di guidare la corsa ad un passo velocissimo, per stancare gli avversari ed impedire loro quello scatto finale irresistibile nel quale erano maestri”. E, ancora: “Al penultimo giro Robecchi passò alla guida del plotone. La folla fino ad allora silenziosa per l’ansia – e Bruzzone ricorda che mai il velodromo era stato così colmo – proruppe in un urlo: si temeva troppo prematuro lo sforzo. Ma Robecchi resisté ad ogni succes52


La Pista Alessandria,1888: il CVA è attivo da due anni e un gruppo di sportivi volenterosi, fra cui Mario Bruzzone, promuove la costruzione di una pista in terra battuta, una delle prime in Italia, la prima in assoluto ad avere le curve sopraelevate, grazie ad un intervento successivo, su progetto dell’ingegner Aristide Leale. La Pista è a Porta Savona, tra gli attuali corso Teresio Borsalino, via Napoli, via Firenze e la scarpata del cavalcavia di viale Brigata Ravenna. L’accesso si trova dove oggi è la stele al Mutilato; le tribune sono addossate alla vecchia cinta dei bastioni, parallelamente al canale Carlo Alberto, all’epoca ancora funzionante. Lo sviluppo della Pista consta di due rettilinei di 70 metri, e due curve, ciascuna di 138 metri: totale dell’anello del velodromo alessandrino 416 metri, con una larghezza di 7. Vengono montate anche tribune in legno, all’inizio solo per le competizioni più importanti e poi stabilmente, a cui presto si aggiungono la torretta della giuria e l’area del totalizzatore delle scommesse. La Pista per circa vent’anni (esattamente fino al 1906) ospita competizioni di velocipedi, biciclette, anche tandem e tricicli a motore, come raccontano alcune immagini che testimoniano una attività organizzativa e agonistica molto intensa. Sarà poi sostituita per qualche anno dallo Stadium Marengo, zona dell’attuale centro sportivo Borsalino.

Manifesto per il Decimo anniversario dalla fondazione del Circolo Velocipedistico, 1896, 23x52 cm, Stabilimento Lit. Filippa, Alessandria

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Manifesto primo decennale fondazione CVA, Alessandria 1896, 100x70 cm, Milano, Officine Ricordi. Nella pagina accanto manifesto Grandi Corse Internazionali indette dal Club Novese, originale del 1894, 96x197 cm.

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sivo attacco, traversò vittoriosamente il traguardo finale, seguito da altri italiani, i francesi sfiniti dal lungo sforzo”. C’è dovizia di particolari anche nella narrazione dei festeggiamenti successivi, la folla che invade la pista, i corridori portati in spalla sopra mille teste e Bruzzone che torna a casa senza la sua paglietta, “e non fui il solo a rimetterci il cappello quel giorno”. Un anno appena e già la pista di Alessandria è conosciuta e molto ben frequentata e la testata sportiva «Il Velocipede» pubblica il programma completo delle gare nazionali e internazionali organizzate in Alessandria. Senza dubbio – ce lo raccontano anche le meravigliose affiches e i manifesti di annuncio delle corse, autentici capolavori grafici – il periodo più intenso, per numero e livello delle competizioni – è l’ultimo decennio dell’ottocento, quando Alessandria ospita, nel 1893, il campionato sociale, con starter d’eccezione il conte Biglione, presidente dell’UVI, e anche il campionato italiano di velocità. Proprio nel 1893 i francesi tornano a gareggiare in Alessandria, dopo aver rinunciato alle corse nel 1892, anche perché puntano tutto sull’astro nascente, il ventenne Georges Cassignard, poi morto pochi mesi dopo al Bois de Boulogne, a Parigi, per una caduta da cavallo, ma nonostante lui sono gli italiani a trionfare, con Alaimo, Genta e Buni. Nel 1896, per celebrare il decennale della fondazione del CVA, Alessandria ospita il primo Convegno ciclistico nazionale a cui partecipano centinaia di corridori, da tutto il Nord Italia, ma anche da Roma e Napoli. Ancora Bruzzone testimonia di un “pantagruelico banchetto di oltre 1000 coperti”. Una cronaca della storica giornata è riferita da un testimone diretto, il canonico Giovanni Berta, autore di una cronologia alessandrina di tutto il secolo XIX. Il CVA è instancabile nella sua azione: è del 1897 l’organizzazione di Grandi corse internazionali, come si legge nel manifesto “per amateurs e professionisti”, e gli amateurs di allora possono essere considerati i dilettanti di oggi. Il montepremi è di 12.000 lire, cifra enorme per l’epoca. Corrono i “bicicletti” e i tandem e c’è pure il Gran Premio Patronesse, perché le associazioni femminili dell’epoca sono coinvolte, anche con una azione di sostegno. 55


L’attività organizzativa si diversifica: nel 1899 il CVA organizza, infatti, la terza edizione della Coppa del Re, che diventa la classica italiana per dilettanti: 79 chilometri, da Alessandria a Torino; a imporsi è Giovanni Savarro, con i colori del CVA e con la maglia della Maino. Fra i vincitori successivi di questa corsa, nel 1902, sul percorso Alessandria–Novara, c’è Giovanni Gerbi, meglio noto come il Diavolo Rosso, cantato da Paolo Conte. “Diavolo rosso dimentica la strada vieni qui con noi a bere un’aranciata contro luce tutto il tempo se ne va”.

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Gerbi (1885-1955) è astigiano, ma in realtà è figlio di questa provincia, perché all’epoca anche Asti ne fa parte. Anch’egli dopo aver chiuso l’attività agonistica diventa produttore ed è spesso in città, arrivando sempre rigorosamente in bicicletta, ospite anche del negozio Maino. Il successo nel 1902, bissato l’anno dopo, sul percorso Alessandria– Milano, gli spalanca le porte del professionismo. Una palestra di campioni, la Coppa del Re: nel 1904 a trionfare è il tortonese Giovanni Cuniolo (1884-1955), detto Manina, forse per quel modo molto speciale di correre, soprattutto i passaggi cruciali e le volate. Anche per lui, due vittorie consecutive, che preludono ai tre campionati italiani


A sinistra, manifesto Programma delle Corse Internazionali, Alessandria 1892, 100x276 cm, Milano, Officine G. Ricordi, Alessandria, collezione privata.

Manifesto Grandi Corse Internazionali, Alessandria 1897, 197x170 cm, Stabilimento Lit. Filippa, Alessandria (ASAL, ASCAL, Serie III, ex fald. 2257, cartella unica, 38)

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Alessandria al centro delle gare ciclistiche

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Le cronache delle gare

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conquistati di fila e al conseguimento del record dell’ora nel giugno del 1905. E una grande rivalità, epica, proprio con il Diavolo Rosso, tutti e due tesserati per il Circolo Velocipedistico Alessandrino. Scrive Claudio Gregori nel suo libro su Cuniolo Manina: “Gerbi trasforma il mondo delle corse in Far West. Pugnalato dal suo sguardo, Cuniolo lo detesta a prima vista. Corrono per il CVA, ma non sono né amici, né compagni. Più che rivali, sono nemici. Si odiano proprio. Quando arrivano insieme, vince Cuniolo. Gerbi deve arrivare solo per vincere. Per staccare il rivale, inventa i più sorprendenti machiavelli”.

Giorgio Zancanaro Il ciclista professionista Giorgio Zancanaro, fra le sue vittorie più belle (in carriera vincitore di tre tappe al Giro d’Italia) si è aggiudicato il traguardo nella “sua” Alessandria, nel 1967: la vittoria non poteva non essere celebrata dal quotidiano sportivo «Tuttosport».

E Marco Pastonesi, anch’egli firma di «La Gazzetta dello Sport», scrive: “Se Gerbi era il Diavolo Rosso, Giovanni Cuniolo da Tortona avrebbe potuto essere insignito del titolo di angelo. Azzurro quando correva per la Bianchi”. Per tutti e due, così straordinariamente diversi e unici, c’è un comune denominatore, l’appartenenza al Circolo Velocipedistico Alessandrino. C’è, dunque, sempre Alessandria. Un duello infinito, quello tra Cuniolo e Gerbi. Una rivalità raccontata e cantata da molti: proprio grazie al Diavolo Rosso, anche Achille Campanile scrive di Manina per una storia di mattoni che l’astigiano avrebbe attaccato al sellino del tortonese per rendere più severi i suoi allenamenti. “Gerbi era un leone, Cuniolo una gazzella” una delle immagini scelte per narrare la rivalità e, anche, per mettere l’accento sull’impatto mediatico più forte di Gerbi. Finita la rivalità in gara, i due si riavvicinano: nel febbraio 1940, tre mesi prima della storica vittoria di Coppi al Giro d’Italia, all’Albergo Europa di Tortona viene organizzata una cena per festeggiare i successi di Fausto da dilettante: 160 coperti, ci sono anche Cuniolo e Gerbi, ed è il primo gesto di riappacificazione pubblica: “I due rivali – si legge in una nota dell’epoca – si abbracciarono tra la commozione di tutti”. Da quel momento i rapporti tra i due, ormai stimati imprenditori, sono molto cordiali, fino alla morte, nel 1955: prima il Diavolo Rosso e, sei mesi dopo, il giorno di Natale, Giovanni Cuniolo. 62

Peloso corsa di Giorgio Zancanaro Nazionalità

Italia (Alessandria)

Marca

Peloso

Modello

Corsa

Anno di fabbricazione

1965-70

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

Freni Campagnolo

Ruote

Cerchi in alluminio Nisi. Mozzi Campagnolo

Telaio

Peloso da corsa

Illuminazione

-

Trasmissione

Campagnolo Record

Sella

Cinelli in pelle

Manubrio

Manubrio e pipa 3t

Caratteristiche speciali

Bicicletta appartenuta al corridore alessandrino Giorgio Zancanaro

Provenienza

Giorgio Zancanaro


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Pieri Bassano Figura popolare dello sport alessandrino,è stato uno dei primi direttori di corsa del ciclismo italiano. Figlio di un artigiano delle due ruote, che lavorò a lungo con Meazzo e Girardengo, Pieri Bassano inizia la sua avventura ciclistica negli anni cinquanta proprio con la squadra Girardengo. Allievo prediletto dell’Omino di Novi, dal quale riconosce di aver appreso i segreti della bicicletta, per tutti diventa l’ombra di Costante. Nel 1955 Bassano diventa direttore del Circolo Velocipedistico, accogliendo la richiesta di Vittorio Mirone, a condizione però di avere carta bianca per la gestione del settore giovanile. Insieme ai professori Calcagno e Scamuzzi elabora un programma di preparazione atletica, concretizzato dalle otto vittorie consecutive (record assoluto in Italia) di Giancarlo Martini, che Pieri Bassano provvede a segnalare al commissario tecnico della nazionale Proietti, dando così avvio a una brillante carriera, con i due Mondiali del 1957 e 1958. Dopo Martini l’esplosione, grazie alle cure di Bassano, di un altro talento ciclistico della nostra provincia, Zancanaro. All’inizio degli anni Sessanta il Circolo Velocipedistico diventa Gruppo Sportivo Melchionni e Pieri Bassano continua a essere il suo capo carismatico, impegnato anche nell’organizzazione di corse. Nel 1964, su segnalazione di Binda, è chiamato a dirigere nel Bresciano un’importante selezione per i campionati mondiali professionisti, ma solo nel 1972 la federazione organizza il primo corso per direttore di gara: a Bassano viene affidato il compito di istruire le nuove leve. Stesso entusiamo di quarant’anni prima e agenda sempre fitta di impegni: nel 1990 ha diretto, fra le altre, la Milano - Vignola, il Giro dell’Appennino, la Coppa Agostoni, la Tre Valli Varesine, la Coppa Bernocchi e i campionati italiani professionisti, svoltisi nel mese di giugno a Camaiore. (Tratto da: Enciclopedia alessandrina, volume primo “I Personaggi”, Alessandria, 1990, Editrice So.G.Ed «il Piccolo» )

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Cronaca della corsa

Fuga iniziale di Giancarlo Martini e del russo Kapitanov, il Commissario Tecnico Elio Rimedio ordina alla squadra di rientrare sui due fuggitivi puntando sulla volata finale di Trapè. La sua caduta e la scelta tattica preclude una quasi certa vittoria di Giancarlo Martini.

Pieri Bassano e Renzo Fassina sorreggono l’azzurro Livio Trapè dopo una rovinosa caduta a Reims, durante i Mondiali di Ciclismo del 1958.

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“Il merito di questi remoti campioni – scrive Vittorio Varale – consiste soprattutto nel fatto che, ad essi, esclusivamente, si deve se il gusto dello sport nacque e si diffuse tra la gioventù”. Attraverso il filo sottile dell’emozione, Cuniolo e Gerbi creano entusiasmo per lo sport. E gettano il seme dell’energia, della costanza, della forza e del valore, da cui poi sbocciano Girardengo, Binda, Guerra, Bartali e Coppi. E sarà proprio Giovanni Cuniolo a scoprire – a trent’anni di distanza l’uno dall’altro – le inimitabili doti dei due Campionissimi che la terra alessandrina ha dato al ciclismo: Costante Girardengo e Fausto Coppi.

LA CASA DELLA FEDERAZIONE (1898-1915)

Cesare Sangalli, cartografo del Giro d’Italia, ha disegnato (a mano!) i percorsi e le altimetrie, tappa dopo tappa, di 55 edizioni della Corsa Rosa e delle gare organizzate da «La Gazzetta dello Sport» (con qualche “escursione” anche fuori confine). Per ogni edizione della Corsa Rosa, Cesare Sangalli ha disegnato il tracciato di quel Giro. La collezione completa è al Museo del Ghisallo di Magreglio (Como). Ecco quello del Giro d’Italia di Zancanaro. Le “grafiche” di Sangalli venivano pubblicate anche dal famoso Garibaldi del Giro d’Italia, il libro della corsa, utile agli addetti ai lavori, perché ricco di tutte le informazioni riguardanti il Giro e guida ufficiale e dettagliata.

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“Nessuna meraviglia se Alessandria, nel mondo ciclistico, era riconosciuta fra le città più importanti, non solo in Italia”, scrive ancora Mario Bruzzone nell’importante articolo pubblicato da «Lo sport illustrato» del dicembre 1915 (il cui titolo, significativamente, suona: Perché Alessandria è sede dell’UVI). E, quindi, non c’è da sorprendersi se ad Alessandria, e agli uomini che organizzano e gestiscono le molte attività e iniziative sportive, soprattutto ciclistiche, nel 1898 si pensa di affidare la gestione, presente e futura, dell’UVI, la Unione Velocipedistica Italiana, nata nel 1885, che attraversa un periodo di fatica. È di quell’anno la decisione di affidare i poteri di Commissione sportiva a Carlo Cavanenghi e Mario Bruzzone, del CVA. Però, prima, meglio fare un passo indietro per ripercorrere alcune vicende molto importanti dell’UVI, che ha un numero sempre più elevato di società affiliate e, anche, di gare organizzate, con sempre più pubblico coinvolto. Di fatto, per quasi dieci anni, fino al 1894, l’UVI è l’unica federazione a governare tutto il ciclismo italiano, agonistico e turistico. Ma proprio nel 1894, a Milano, nasce il Touring Club Ciclistico Italiano (TCCI), antesignano del Touring Club Italiano, con l’obiettivo di occuparsi di ciclismo turistico. Il dualismo con l’UVI è inevitabile e la federazione crea, al suo interno, una sezione esclusivamente dedicata al turismo sulle due ruote,


investendo anche risorse importanti. Con esito, però, non positivo, anzi, con un depauperamento delle casse. Già nel congresso UCI del 1896 a Verona i dirigenti prendono atto dalla scelta poco felice, lasciando al TCCI il controllo del turismo per concentrarsi solo sullo sport. Al congresso di Genova, nel 1898, il bilancio presentato ai delegati delle società non è affatto incoraggiante. Nel dibattito si fa strada, addirittura, anche l’ipotesi di una liquidazione dell’UVI o, almeno, di un cambio di sede, lasciando così Torino, e, soprattutto, di un cambio di uomini.

Maino uomo Nazionalità

l

l

Marca Modello Anno di fabbricazione Anno di restauro Sistema frenante

l

l

ll

Ruote

ll

Telaio

l

Illuminazione

l

l

Trasmissione Sella Manubrio

l

Caratteristiche speciali Provenienza

l

l

Prevale, alla fine, la soluzione di tenere in vita il massimo ente sportivo del ciclismo, ma con un restyling completo, partendo proprio dalla guida. Provvisoriamente la nuova sede è Genova e, due mesi dopo, arriva la decisione dell’incarico a Cavanenghi e Bruzzone, spostando ad Alessandria la nuova casa della federazione, ospitata prima in via Rattazzi e poi in via Pontida. Una scelta vincente, 67


Non mi sarei mai immaginato il successo contagioso che il biciclo avrebbe avuto nel giro di pochi anni. Non solo tra i grandi del mio l ll concittadini. E che già nel 1869 il Comune emanasse addirittura un regolamento sulla circolazione dei velocipedi. E che in piazza d’armi si facesse la prima gara di velocità ‌ E le borsaline? Senza la bici sarebbero rimaste a fare le mondine o le casalinghe.

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Tandem Meazzo sport

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NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

Marca

Meazzo

Modello

Tandem sport

Anno di fabbricazione

1978

Anno di restauro

Conservato

Sistema frenante

A cavo con due freni marca Universal sulla ruota posteriore e uno sulla ruota anteriore

Ruote

Cerchi in lega con copertoncini di 28 X 1/8. Mozzi Campagnolo

Telaio

Tubazioni Castello con rinforzi

Illuminazione

-

Trasmissione

A catena con tre guarniture in lega Gipiemme. Cambio Suntour Cyclone

Sella

Anteriore Cinelli Unicanitor corsa, posteriore San Marco

Manubrio

Anteriore in lega pantografato Meazzo, posteriore in acciaio

Caratteristiche speciali

Telaio progettato da Vitalio Meazzo e realizzato dal telaista Amerigo Fiorentini

Provenienza

Giovanni Meazzo


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I regolamenti comunali

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Le leggi sulla viabilità cittadina di fine ottocento dovevano tenere conto naturalmente dell’urbanistica e dei mezzi del tempo. Così, i regolamenti comunali regionali relativi alla circolazione dei velocipedi datati 1887 e poi successivamente 1903 ci incuriosiscono quando puntualizzano anche limiti di velocità e quindi, per esempio, scopriamo che “i velocipedi non dovranno essere spinti nelle vie a corsa più veloce di quella di una persona a passo accelerato” e ancora che “il rotabile dovrà essere fermato ogni qualvolta qualche cavallo venga ad adombrarsi”.

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1890 Giardini della stazione di Alessandria

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Foto ricordo dopo le gare

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anzitutto per gli uomini, capaci di superare le molte difficoltà iniziali e, anche, la resistenza delle società e dei corridori stessi, che nel frattempo si sono uniti in un sindacato e vorrebbero prendere il posto dell’UVI anche come referente dell’organismo internazionale, l’International Ciclist’s Association. Al congresso dell’ICA, a Vienna, però, il delegato italiano Giovanni Mercandino riesce a far riconoscere l’UVI come unico referente sportivo ed è la svolta e l’inizio del rilancio, con buona pace dei ciclisti e degli organizzatori di gare, che hanno solo da guadagnare da uno sport con regole e guida solida. Così, il 17 dicembre 1898, il congresso dell’UVI, riunito ad Alessandria, approva il nuovo regolamento e prende atto dei progressi grazie alla gestione della commissione targata CVA. Alessandria diventa la nuova sede ufficiale dell’UVI. Carlo Cavanenghi è il nuovo presidente dell’UVI, Carlo Michel e Pilade Carozzi i due vice, Mario Bruzzone il segretario, Aristide Leale, il progettista della Pista, il cassiere, e in consiglio ci sono anche Cesare Vitale e Paolo Barberis. Ad affiancare il nuovo direttivo c’è anche «La Gazzetta dello Sport», perché, con il contributo della “rosea”, è più facile dare – è il pensiero dei nuovi dirigenti – un impulso più deciso a tutta l’attività. Due anni dopo, nel 1900, Alessandria raddoppia, perché diventa anche la casa dell’UCI, l’Union Cycliste Internationale, l’attuale federazione mondiale del ciclismo agonistico, nata dal distacco di Francia, Svizzera, Belgio, Stati Uniti e Italia dall’ICA. E Mario Bruzzone diventa il segretario dell’UCI, di cui Pilade Carozzi è vicepresidente, carica che mantiene fino al 1912. Nel 1902 l’UVI organizza a Roma i campionati del mondo, con un successo enorme. Nel 1903 Carlo Michel lascia la vicepresidenza dell’UVI per i molti impegni come presidente della Camera di Commercio. Al suo posto Pietro Robutti, avvocato, anche lui alessandrino, già con un ruolo strategico ai Mondiali a Roma. Al rinnovo delle cariche, nell’UVI, nel 1905, ancora tre alessandrini. Ernesto Bobbio è il successore di Bruzzone come segretario, Mario Capurro e Giovanni Barberis entrano in direttivo al posto di Cesare Vitale e Paolo Barberis. 76

Meazzo bicicletta bimba Marta Nazionalità

Italia (Alessandria)

Marca

Meazzo

Modello

Bambina 14 1/4

Anno di fabbricazione

1960

Anno di restauro

Conservata

Sistema frenante

A filo marca Universal

Ruote

14 X 1 1/4 cerchi in alluminio marca Varese. Mozzi 20 raggi Arcelli-Tarditi

Telaio

Bambina, tubazioni Falk

Illuminazione

Fanale bambino

Trasmissione

A catena con carter a pistola

Sella

In cuoio marca Demm

Manubrio

Sport marca Schierano

Caratteristiche speciali

Bicicletta utilizzata da Marta, nipote del costruttore

Provenienza

Giovanni Meazzo

Taurus bambino Nazionalità

Italia (Milano)

Marca

Taurus

Modello

Bambino ruota 14

Anno di fabbricazione

1950

Anno di restauro

1960

Sistema frenante

Bacchetta bilancino

Ruote

14

Telaio

Telaio uomo

Illuminazione

-

Trasmissione

Bacchetta

Sella

In cuoio

Manubrio

Tipo R

Caratteristiche speciali

Perfetta riproduzione di una bicicletta da adulto

Provenienza

Giuseppe Dottino


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Mos uito Nazionalità

uattrocchio l

l

Marca Modello Anno di fabbricazione Anno di restauro Sistema frenante Ruote Telaio

ll

Illuminazione

l

Trasmissione

ll

Sella

l

Manubrio Caratteristiche speciali

Provenienza

l l

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Nel 1910 l’UVI arriva a contare 166 società iscritte, in rappresentanza di 1300 atleti («La Lega», 5 febbraio 1910). Nel 1912 scompare, prematuramente, Cavanenghi. Gli succede Pietro Robotti, anche se dovrebbe spettare ad Aristide Leale, unico superstite del direttivo del 1898, proseguire la gestione Cavanenghi: ma anch’egli esce gradatamente di scena per gli impegni, sempre maggiori, come ingegnere e direttore dell’Ufficio tecnico del Comune. Anche Carozzi si dimette da membro del direttivo e delegato all’UCI. Si assiste ancora a un ricambio generazionale: il nuovo delegato UCI è Vittorio Cavanenghi, figlio di Carlo, e nel direttivo UVI entrano Luciano Oliva, futuro presidente di Alessandria Calcio, e l’avvocato Tomaso Barberis. C’è ancora attività importante in Alessandria: nel 1912 il CVA organizza la Settimana Sportiva Alessandrina, una vera e propria festa dello sport (non solo delle due ruote), con un concorso ippico, una partita di football cui partecipa la formazione della ProVercelli, una gara di motociclette e, ovviamente, una prova ciclistica per dilettanti, con tre corse che partono da Milano, Torino e Genova per concludersi ad Alessandria sul viale dei giardini pubblici. Nello stesso anno si dà il via in città ai campionati ciclistici di resistenza, organizzati dall’UVI, per professionisti e dilettanti, con 184 iscritti. E Alessandria ospita anche la riunione nazionale dei Battaglioni di volontari ciclisti. Sono gli anni in cui si affaccia alla ribalta agonistica l’Omino di Novi, Costante Girardengo, il primo campionissimo, che nel 1913 è sesto al Giro d’Italia, una delle prime pagine significative di una storia sportiva straordinaria. Ma poco dopo, nel 1915, Alessandria perde Carlo Michel e in quello stesso anno cessa di essere la capitale del ciclismo italiano: gli alessandrini sono in minoranza nel direttivo dell’UVI e rassegnano le dimissioni, al termine di una querelle con la «La Gazzetta dello Sport» iniziata al Giro d’Italia del 1914. Così la sede dell’UVI torna a Genova e la fama di Alessandria nelle due ruote resta affidata ai suoi Campionissimi.

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Ma dove vai bellezza in bicicletta? ÂŤIl PiccoloÂť, media partner della mostra, ha collezionato immagini, cartoline, scatti degli alessandrini che testimoniano la passione di questa cittĂ per la bicicletta.

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La bicicletta nelle cartoline d’epoca

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Le “borsaline” Per molti decenni la Borsalino Antica Casa diede occupazione sicura a migliaia di alessandrini. Chi lavorava al cappellificio poteva contare su uno status sociale diverso rispetto al resto della classe operaia e ciò era vero soprattutto per le donne, le famose “borsaline”, che vennero presto assunte come paradigma di emancipazione ed eleganza. La bicicletta, nata come mezzo di locomozione per raggiungere la fabbrica, divenne presto uno dei segni distintivi di questa consapevole condizione sociale.

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Meazzo R donna NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

Marca

Meazzo

Modello

R donna

Anno di fabbricazione

1946

Anno di restauro

2008

Sistema frenante

A trasmissione rigida esterna

Ruote

26 X 1 3/8 cerchi in acciaio

Telaio

R donna tubazione Falk

Illuminazione

Fanale e dinamo Dansi

Trasmissione

A catena con carter tubolare interno

Sella

Italia in pelle

Manubrio

R marca Villa

Caratteristiche speciali

Mozzi, serie sterzo, collarino porta fanale e pedivelle marcate Meazzo

Provenienza

Giovanni Meazzo

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Dottino da panettiere Nazionalità Marca Modello Anno di fabbricazione Anno di restauro Sistema frenante Ruote Telaio Illuminazione Trasmissione Sella Manubrio Caratteristiche speciali Provenienza

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Italia (Alessandria) Dottino Trasporto città 1950 1980 Bacchetta bilancino 26 ¾ rinforzate Doppia culla con rinforzo Fanale a dinamo Bacchetta In cuoio Bici da trasporto Manubrio largo caratteristico delle biciclette da trasporto Giuseppe Dottino


Già a fine ‘800 e nel 1904, come si evince da questa documentazione, il possesso di un velocipede prevedeva il pagamento di una “tassa per i velocipedi”.

Ai tempi si esibivano con orgoglio la fascetta dell’Unione Velocipedistica Italiana (UVI) e la spilla del CVA .

Alessandria, centro nevralgico del movimento velocipedistico italiano e internazionale, è autentica apripista dell’agonismo in bicicletta: nel 1899 stampa il regolamento generale delle corse UVI.

L’Unione Velocipedistica Italiana, organizzazione non a scopo di lucro, ha un rendiconto che al 31 dicembre 1899 si chiude “a zero”.

L’UVI ha come organo ufficiale la rivista «La Bicicletta» come documenta questa copia relativa al mese di dicembre 1928.

Fra le pubblicazioni più diffuse vi sono quelle tecniche sulla manutenzione della bicicletta con accurati disegni e spiegazioni.

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Posso davvero dire che le due ruote – assieme alla birra – hanno segnato la mia vita. Ma non solo. Anche quella della mia città per la quale, come mia cognata Madre Teresa Michel, mi sono impegnato nel sociale, e poi anche in politica e nella cultura, tra Teatro e Conservatorio. l ll l l del velocipede, come il celebre Giovanni Maino, il tortonese Giovanni Cuniolo e grandissimi campioni, anzi due Campionissimi come Costante Girardengo e Fausto Coppi, hanno tenuto alto il nome della provincia di Alessandria nel mondo. E la birra ha una nuova giovinezza 150 anni dopo la mia “Birra Alessandria”.

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Mi presento, mi chiamo Maino, Giovanni Maino, e vengo da Spinetta Marengo, ho cominciato a fabbricare biciclette nel 1895: tre anni dopo le mie macchine partecipavano già alle più grandi gare. Sono stato un pioniere ma anche un industriale, ho perfezionato le mie macchine in ogni elemento dal perno movimento ai forcellini, dai freni a trasmissione rigida ll l Adesso una Maino è una bici da collezione. E questo ancora mi inorgoglisce. Anche se la soddisfazione di vedere negli anni la maglia grigia della Cicli Maino, la mia squadra, trionfare nelle gare nazionali ed internazionali è un’emozione che non dimentico. Allora, quando le bici le facevamo come fossero abiti di sartoria - dal telaio ai mozzi, dai cerchi alle forcelle - la nostra passione e un po’ di perfezionismo ci hanno portato a studiare ogni più piccolo dettaglio costruttivo. Quando Costante Girardengo tornò dalla Germania con la bicicletta leggera Opel, dopo aver corso proprio nella squadra del Signor Opel, abbiamo passato giorni nella l l carpire i segreti dei loro telai... e si sa i tedeschi con l’acciaio ci sanno fare. 96


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LA FABBRICA MAINO Nel 1896 Giovanni Maino, da Spinetta, apre ad Alessandria una fabbrica di biciclette, che diventa nota a livello mondiale. La storica bicicletta Maino è cantata anche da Ornella Vanoni, (Hanno ammazzato il Mario), con il testo di Dario Fo: “...Fin da ragazzo correva in bicicletta Per la Amatori Gallaratese Con una Maino rubata con destrezza A un corridore della Pedal Montese ...”. Nel 1898 Giovanni Maino è in società con Umberto Pizzorno, in un mercato ancora dominato da Montù & Castagneri: la loro fabbrica nasce in piazza Garibaldi, nel palazzo all’angolo con via Mondovì, che ha sul tetto la grande insegna col nome dei due soci. Poi i due si dividono: il laboratorio Maino occupa l’area attuale dei giardini di piazza Marconi, ove già esistevano le scuderie del palazzo Figarolo di Gropello, mentre il negozio è in piazza Garibaldi, sotto i portici, all’angolo con corso Roma. Posizione assolutamente strategica, perché a un passo dal centro ma anche vicina alla Pista. Nel 1903, però, Maino resta solo, e investe molto nel marketing, creando una squadra

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Maino Superlusso "CO.MA." NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

Marca

Maino

Modello

COMA (catenella)

Anno di fabbricazione

1953

Anno di restauro

2011

Sistema frenante

A bacchetta interno con sistema "a catenella" e pattini sport

Ruote

28 X 1 1/4 cerchi in alluminio Maino sport

Telaio

Sport con trasmissione e freni interni

Illuminazione

-

Trasmissione

A catena con carter chiuso, movimento centrale con perno "mille righe" e pedali in alluminio con feltro

Sella

In cuoio marca Brooks

Manubrio

Tipo R

Caratteristiche speciali

L'acronimo "CO.MA.", che da il nome a questo modello, deriva da "CO" iniziali del cognome "Colla", il direttore della fabbrica "G. Maino", e da "MA" dal cognome del capo officina, "Manzini". Loro due vollero produrre questo inimitabile modello. Il signor Manzini era "figlio d'arte", poichè già suo padre era stato capo officina della Maino, nel periodo del suo massimo splendore, dal 1908 al 1938 circa

Provenienza

Giovanni Meazzo

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ciclistica, che ha nelle sue file i più forti: all’inizio i milanesi Diego Conelli e Pietro Aghemio, poi Giovanni Savarro, vincitore della terza Coppa del Re, ed Enrico Brusoni. La maglia è grigia, come quella dell’Alessandria Calcio, a cui papà Maino regala una dotazione delle divise per i suoi corridori; nasce così la leggenda dei Grigi e di una maglia unica e inimitabile nel mondo.

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La propensione al marketing, avanzato se non spinto per l’epoca, di Giovanni Maino si evince anche dalla cura con cui sono state realizzate alcune delle sue insegne dei punti vendita. Dalla classicissima e preziosa targa – quasi un’opera d’arte – realizzata in ardesia, all’insegna originale del suo primo negozio. Smalti, serigrafie, manifesti e locandine degli anni ‘30, studiati con gusto e spirito artistico, testimoniano la marcia in più di questo costruttore che sapeva già molto di comunicazione.

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Le immagini dei reparti delle fabbriche Maino sono tutte tratte dall’archivio fotografico di Giovanni Maino ora di proprietà di Renato Peluffo (Atala - Loano)

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Fra i primi passaggi del processo artigianale-industriale, si segnalano quelli dello studio e della lavorazione delle foto, usate come veri modelli delle biciclette da trasformare – a prodotto finito – in nuove serie di prototipi. La bicicletta realizzata viene poi fotografata nuovamente e stampata (con le matrici di piombo) per arricchire e completare il catalogo, per i rivenditori autorizzati, di altissimo livello come questi esempi datati 1904. Le foto sono quelle originali dell’archivio privato di Renato Peluffo (Atala - Loano)

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Maino corsa 1922

Maino corsa 1949

NazionalitĂ

l

NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

Marca

Maino

Modello

Modello

Corsa

Anno di fabbricazione

Anno di fabbricazione

1949

Anno di restauro

Anno di restauro

-

Sistema frenante

Freni Universal

Ruote

Cerchi in alluminio Nisi. Mozzo Campagnolo

Telaio

Telaio

Maino in acciaio corsa

Illuminazione

Illuminazione

-

Trasmissione

Trasmissione

Cambio Campagnolo 2 stecche

Sella

Sella

Brooks

Manubrio

Manubrio

Pipa marchiata Maino

Caratteristiche speciali

Caratteristiche speciali

-

Provenienza

Provenienza

Aurelio Ravelli

Sistema frenante Ruote

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l

Marca

l l

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Siamo stati da subito vicini alle competizioni sportive con i primi pistard già nel 1898. I miei poulains nel 1901 si chiamavano Savarro, Brusone, poi negli anni successivi arrivano Gerbi, Cuniolo, e il campionissimo, il Gira. Poi ancora Guerra, “la Locomotiva Umana”, e molti altri.. Insomma, hanno indossato la nostra maglia grigia i migliori corridori dell’epoca, e con loro ho partecipato e vinto Coppe del Re, Giri del Piemonte, Giri di Lombardia, Giri d’Italia, Milano-Sanremo, Campionati italiani, Campionati del mondo… 113


Maino, che è anche un grande talent scout, ingaggia campioni come Gerbi, Cuniolo, Oriani, Bordin, Torricelli, Girardengo, Di Paco, Negrini, Giacobbe, Guerra. C’è un numero, impressionante, che racchiude la forza della Maino in gara: ben 226 vittorie, fra cui 2 campionati del mondo, con Girardengo e Guerra, 14 campionati italiani, 4 Giri d’Italia, 5 Milano–Sanremo, 4 Giri di Lombardia, 7 Giri del Piemonte, 4 Giri del Veneto, 3 Giri di Toscana, 4 Giri di Romagna e moltissime classiche in linea. Per capire chi è Maino, scomparso a 84 anni nel 1956, basterebbe leggere alcune frasi di un articolo-intervista, sulla prima pagina di «Il paese sportivo. Quotidiano di tutti gli sport», in data 5 aprile 1923. “Si sente in lui la fede di un pioniere a cui si accoppia – scrive l’intervistatore – la freddezza dell’industriale. Non si considera ancora un arrivato. La sua fabbrica dovrebbe produrre molto di più, essere molto più vasta, per quanto sia già una di quelle di primissima importanza”. Quando parla Maino è significativa una sua frase: “Quello della bicicletta è uno degli sport più sani e, purtroppo, corre il pericolo di essere dimenticato. Non si vedono più, come una volta, bei gruppi di giovanotti, o famiglie complete, sfilare senza sobbalzi e senza rumore lungo le nostre belle strade. L’automobile, lusso di pochi, invade troppo le strade, impolverando i volti dei robusti ciclisti in sudore”. E, ancora, ed è sempre Maino a parlare: “La nostra industria, pur raggiungendo produzione vastissima, pur essendo già una eccellente fonte di lavoro e di guadagno per l’Italia, non potrà mai, forse, schierarsi tra le prime perché noi produciamo articoli che costano poco e non richiedono un grande impiego di capitali”. Il giornalista fa notare che Maino si illumina quando parla dei suoi corridori. “Lei non sa le ore di gioia e di emozione, le ore di attesa impaziente e di ebbrezza vittoriosa che io ho provato mentre i miei corridori si cimentavano in imprese che hanno dato loro la fama”. La Maino dopo la trasformazione in società anonima, presieduta dal senatore Giuseppe Brezzi, interrompe dapprima l’attività agonistica alla fine degli anni trenta (salvo due brevi tentativi nel 1948-49 e nel 1964-65) e poi anche la produzione di biciclette, nonostante il continuo afflusso di capitali freschi. 114

Maino corsa 1928/29 Nazionalità

Italia (Alessandria)

Marca

Maino

Modello

Corsa

Anno di fabbricazione

1928-29

Anno di restauro

-

Sistema frenante

A filo

Ruote

Cerchi in legno

Telaio

Maino acciaio corsa

Illuminazione

-

Trasmissione

A catena con tendicatena

Sella

Maino

Manubrio

In acciaio da corsa

Caratteristiche speciali

Bicicletta da corsa attribuita a Learco Guerra

Provenienza

Gianpiero Chiesa


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Giovanni Maino capisce immediatamente che le fotografie dei campioni sono la strategia di comunicazione e pubblicità più empatica ed efficace che può adottare. La scritta appare bene evidente sulle maglie dei fuoriclasse del pedale. La sponsorizzazione è presto fatta. Qui è ritratta la Squadra Maino del 1914: con Girardengo, Lucotti, Durando, Torricelli e Lombardi. Dalla foto alla cartolina, Luigi Fiaschi (in alto a sinistra), posa per uno scatto che diventerà un classico materiale promozionale dei Cicli Maino. Le foto sono quelle originali dell’archivio privato di Renato Peluffo (Atala - Loano)

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La grande squadra Maino Le vittorie iniziano già nel 1898 con il pistard milanese Pietro AGHEMIO e con il routier Giovanni SAVARRO (Bergamasco AL) vincitore della Coppa del Re e Diego CONELLI nel 1901 per poi passare ad ingaggiare corridori del calibro di:

Giovanni GERBI (Diavolo Rosso) in squadra negli anni 1903, 1905 e 1908 Giovanni CUNIOLO (Manina) in squadra dal 1904 al 1907 Carlo ORIANI in squadra nel 1913 Lauro BORDIN in squadra nel 1913 Leopoldo TORRICELLI in squadra dal 1912 al 1917 Costante GIRARDENGO in squadra dal 1912 a fasi alterne fino al 1936 Learco GUERRA in squadra dal 1928 al 1940 Antonio Giuseppe NEGRINI in squadra dal 1928 al 1932 Raffaele DI PACO in squadra dal 1930 al 1931 Luigi GIACOBBE in squadra dal 1929 al 1936

Le principali vittorie Giovanni GERBI (il Diavolo Rosso) in squadra negli anni 1903, 1905 e 1908 Giovanni CUNIOLO (Manina) in squadra dal 1904 al 1907 Carlo ORIANI in squadra nel 1913 Lauro BORDIN in squadra nel 1913 Leopoldo TORRICELLI in squadra dal 1912 al 1917

Cavanna, Negrini, Girardengo, Giovanni Maino, Giacobbe, Fossati, Rinaldi e il piccolo Luciano Girardengo

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Costante GIRARDENGO in squadra dal 1912 a fasi alterne fino al 1936 Learco GUERRA in squadra dal 1928 al 1940 Antonio Giuseppe NEGRINI in squadra dal 1928 al 1932 Raffaele DI PACO in squadra dal 1930 al 1931 Luigi GIACOBBE in squadra dal 1929 al 1936

Le vittorie sono così numerose che il motto aziendale diventa “La grande marca dei grandi campioni”


Chi ha corso per Maino Pietro AGHEMIO Ugo AGOSTONI Pietro AIMO Camillo ARDUINO Giuseppe AZZINI Luigi BAILO Fabio BATTESINI Vasco BERGAMASCHI Pietro BESTETTI Aldo BINI Lauro BORDIN Pierre BRAMBILLA Amerigo CACIONI Pio CAIMMI Fermo CAMELLINI Louis CAPUT Giovanni CAZZULANI Giotto CINELLI

Diego CONELLI Giovanni CUNIOLO Francesco DELLA GHISA Raffaele DI PACO Carlo DURANDO Angelo ERBA Luigi FIASCHI Marino FONTANA Pietro FOSSATI Carlo Giovanni GALLUZZO Gaetano GARAVAGLIA Cesare GARINO Giovanni GERBI Rinaldo GERINI Luigi GIACOBBE Luigi GILARDI Costante GIRARDENGO Mario GOBBI

Danilo GRASSI Angelo GREMO Raymond GUEGAN Learco GUERRA Giosuè LOMBARDI Lorenzo LORENZI Luigi Natale LUCOTTI Raffaele MARCOLI Domenico MELDOLESI Aldo MOSER Enzo MOSER Marcello MUGNAINI Antonio NEGRINI Carlo ORIANI Mario OTTONELLO Attilio PAVESI Emilio PETIVA Domenico PIEMONTESI

Mario RICCI Angelo RINALDI Battista RIVELLA Romeo ROSSI Giovanni SAVARRO Paride SCACCHETTI Domenico SCHIERANO Renato SCORTICATI Antonio SELLA Alessandro TONANI Leopoldo TORRICELLI Giovanni TRENTAROSSI Enrico VERDE Romolo VERDE Alberto VESCOVO Adriano VIGNOLI Giorgio ZANCANARO Mario ZANIN

Le vittorie 1903 1904 1905 1906 1907 1908 1912 1913

Giovanni GERBI vince la Milano-Torino Giovanni CUNIOLO vince la Coppa del RE Giovanni GERBI vince il Giro di Lombardia Giovanni GERBI vince il Giro del Piemonte Giovanni GERBI vince la Roma,Napoli,Roma Giovanni GERBI vince il Giro del Piemonte Costante GIRARDENGO vince la Casciana Carlo ORIANI vince il Giro d’Italia Costante GIRARDENGO è Campione d’Italia 1914 Costante GIRARDENGO è Campione d’Italia (Maino-Dunlop) Dal 1915 al 1921 Maino interrompe la formazione di squadre professionistiche 1922 Pietro BESTETTI vince la Coppa Cavacciocchi (Maino-Bergougnan) 1923 Costante GIRARDENGO vince il Giro, la Milano-Sanremo e il Campionato Italiano 1924 Costante GIRARDENGO vince il Giro del Piemonte e il Campionato Italiano 1928 Costante GIRARDENGO vince la Milano-Sanremo (MainoDunlop)

1929 Pietro FOSSATI vince il Giro di Lombardia (Maino-Clément) 1930 Learco GUERRA vince la Predappio - Roma 1931 Learco GUERRA vince il Campionato del Mondo e il Campionato Italiano 1932 Learco GUERRA vince il Campionato Italiano 1933 Learco GUERRA è Campione Italiano e vince la Milano-Sanremo 1934 Learco GUERRA vince il Giro d’Italia 1935 Vasco BERGAMASCHI vince il Giro d’Italia (Maino-Girardengo) 1936 Renato SCORTICATI vince il Giro del Veneto 1937 Adriano VIGNOLI secondo al Giro dell’Emilia 1938 Mario RICCI dodicesimo al Giro di Lombardia 1939 Mario RICCI sesto alla Milano-Sanremo 1948 Fermo CAMELLINI vince la Waalse Pijl 1964 Aldo MOSER terzo al giro della Toscana 1965 Domenico MELDOLESI vince il Gran Premio Ceprano e la decima tappa del Giro d’Italia

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I CAMPIONISSIMI… Già meritarsi il titolo di campione è una impresa. Riesce a pochi, perché non è mai solo una questione di risultati, ma anche di fattore umano, di personalità, di impronta che si lascia nella storia dello sport. Non di una singola disciplina, di tutto lo sport. Il superlativo – “campionissimo” – è di pochi. Solo di due. Due corridori figli di questa terra, Costante Girardengo e Fausto Coppi. C’è la loro impronta forte, unica, decisa anche nell’identità di “Alessandria città delle biciclette”, perché tutti e due hanno un legame speciale con il capoluogo, avendo contribuito a sottolineare e a impreziosire un ruolo cucito addosso alla città, la “culla” del mezzo, la bici, di chi la crea, di chi la trasforma in pezzo unico. “Il primo campione ad avere un’immagine così forte, da risultare promozionale per il ciclismo”: lo dice Alfredo Martini, per decenni commissario tecnico della nazionale, quando parla di Costante Girardengo, l’Omino di Novi, la prima etichetta, prima di diventare Gira. Professionista nel 1912, già l’anno dopo conquista il primo dei nove titoli italiani per professionisti su strada, uno dei suoi record sono le sei vittorie alla Milano–Sanremo, la sua classicissima. Un primato battuto solo mezzo secolo dopo da Eddy Merckx. Per Girardengo due Giri d’Italia, nel 1919 e nel 1923, secondo nel 1925. E tre Giri di Lombardia, nel 1919, 1921 e 1922. Ma i numeri complessivi del primo “Campionissimo” sono immensi: 106 vittorie su strada e 965 su pista. È lui il faro della Maino squadra ciclistica: a Giovanni Maino basta davvero poco per capire l’immensità della classe e delle qualità dell’Omino e, come racconta Giovanni Meazzo, gli affida anche un compito, quello di tornare dalla Germania con una bicicletta della Opel, da sezionare per capire quella piccola differenza di peso che può essere determinante per i risultati. E Girardengo esegue. Una vita nel ciclismo, che continua dopo la decisione, a 35 anni, di scendere dalla bicicletta: commissario tecnico della nazionale e in questo ruolo è lui a guidare Gino Bartali al successo al Tour de France 1938. Il suo nome, eterno nello sport, lo è anche nell’industria delle due ruote: fonda la Girardengo, per un periodo anche fornitrice del suo team. Uno dei marchi che hanno contribuito a fare di Alessandria 120

Quanti chilometri sono stati percorsi da quei campioni, eroi su strade sterrate capaci di mettere a dura prova chiunque... Giovanni Gerbi, di Asti, si distingue da subito insieme a tanti altri campioni come il tortonese Giovanni Cuniolo. I due danno vita a una delle prime rivalità della storia del ciclismo italiano.


E Cuniolo, detto Manina, appesa la bicicletta al chiodo, non lascia l’ambiente. Anzi... È lui a scoprire, nei primi anni del novecento, il primo Campionissimo di queste parti, il novese Costante Girardengo. È ancora lui, trent’anni dopo, a intuire le qualità di un giovane garzone di Castellania, che si è fatto le gambe sulle salite delle colline del Tortonese, il grande Fausto, l’airone bianco. Su “Fostó”, come lo chiamavano i francesi, sono stati scritti migliaia di articoli e centinaia di libri. Ma qui lo vogliamo ricordare con una sola frase, quella che gli ha dedicato un grande amico, Raphael Geminiani: “Quando Fausto vinceva per distacco, non avevi bisogno di un cronometro svizzero. Andava bene anche l’orologio di un campanile”. 121


Giovanni Cuniolo Giovanni Cuniolo, di Tortona (1884-1955), è detto “Manina”, dal soprannome del suo ramo famigliare, ma la leggenda vuole che l’appellativo se lo guadagni per quel modo molto speciale di correre, soprattutto i passaggi cruciali e le volate. Anche per lui, due vittorie consecutive nella Coppa del Re del 1904 e del 1905. Poi, tre campionati italiani conquistati di fila e il conseguimento del record dell’ora nel giugno del 1905. Un grande numero di vittorie, e la grande rivalità, epica, proprio con il Diavolo Rosso, tutti e due tesserati per il Circolo Velocipedistico Alessandrino. Un duello infinito, quello tra Cuniolo e Gerbi. Una rivalità raccontata e cantata da molti: proprio grazie al Diavolo Rosso, anche Achille Campanile scrive di Manina per una storia di mattoni che l’astigiano avrebbe attaccato al sellino del tortonese per rendere più severi i suoi allenamenti. E Marco Pastonesi scrive: “Se Gerbi era il Diavolo Rosso, Giovanni Cuniolo da Tortona avrebbe potuto essere insignito del titolo di angelo. Azzurro quando correva per la Bianchi”. “Il merito di questi remoti campioni – scrive Vittorio Varale – consiste soprattutto nel fatto che, ad essi, esclusivamente, si deve se il gusto dello sport nacque e si diffuse tra la gioventù”. Attraverso il filo sottile dell’emozione, Cuniolo e Gerbi creano entusiasmo per lo sport. E gettano il seme dell’energia, della costanza, della forza e del valore, da cui poi sbocciano Girardengo, Binda, Guerra, Bartali e Coppi.

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il cuore di un distretto della bicicletta: gli succedono i figli, il marchio ancora esiste, anche se ormai la proprietà è molto lontana da questa provincia. La grandezza di Costante Girardengo è in una frase di Indro Montanelli. “Nei sogni, nelle fantasia della mia generazione, Girardengo viene, nel tempo, subito dopo Testa di Pietra e il Corsaro Nero, sui quali aveva, insieme, un vantaggio è uno svantaggio: quello di esser vero e di poterlo, i fortunati, toccare”.

Maino pista di Giovanni Cuniolo Nazionalità

Italia (Alessandria)

Marca

Maino

Modello

Pista

Anno di fabbricazione

1906

Anno di restauro

-

Sistema frenante

-

Ruote

Cerchi in legno

Telaio

In ferro

Illuminazione

Maino pista

Trasmissione

Passo Humbert. Ruota fissa

Sella

In cuoio

Manubrio

Pista regolabile

Caratteristiche speciali

Bicicletta da pista appartenuta al corridore Giovanni Cuniolo, detto "Manina". Con questa bicicletta ha corso a Melbourne, in Australia, dove fu invitato per l'inaugurazione della nuova 'saucer track' australiana dopo la conquista del record italiano e dove sfoggiò la maglia tricolore a strisce verticali

Provenienza

Giovanni Ferrari Cuniolo

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Giovanni Gerbi Giovanni Gerbi (1885-1955) è astigiano, ma in realtà figlio di questa provincia, perché all’epoca anche Asti ne fa parte. Anch’egli dopo aver chiuso l’attività agonistica diventa produttore ed è spesso in Alessandria, arrivando sempre rigorosamente in bicicletta, ospite anche del negozio Maino. Il successo nella Coppa del Re del 1902, sul percorso Alessandria, bissato l’anno dopo, gli spalanca le porte del professionismo. Nel 1904 partecipa al Tour de France e al campionato mondiale stayer di Londra, allenato da Arturo Nuvolari. Si aggiudica il Giro del Piemonte e la MilanoAlessandria-Milano. L’anno seguente vince la corsa nazionale Milano-Torino-Alessandria-Milano, il primo Giro di Lombardia ed il campionato italiano stayer. Nel 1907 e nel 1908 ottiene quattordici vittorie. Nel 1909 partecipa alla prima edizione del Giro d’Italia, ma una caduta nelle prime tappe gli provoca un ritardo incolmabile. Nel 1913, sul circuito fiorentino delle Cascine, strappa il record mondiale delle sei ore al tedesco Weise. Dopo la prima guerra mondiale, torna a gareggiare nel 1920, prendendo parte al Giro d’Italia. Nello stesso anno decide di ritirarsi dalla scena ciclistica professionistica, dedicandosi alla produzione e al commercio delle biciclette. La leggenda dice che il soprannome Diavolo Rosso gli sia stato dato da un sacerdote, dopo che Gerbi arrivando come un fulmine era piombato sui fedeli in processione. Una costante della sua attività agonistica, la rivalità con Cuniolo. Ha scritto Claudio Gregori: “Gerbi trasforma il mondo delle corse in Far West. Pugnalato dal suo sguardo, Cuniolo lo detesta a prima vista. Corrono per il CVA, ma non sono né amici, né compagni. Più che rivali, sono nemici. Si odiano proprio. Quando arrivano insieme, vince Cuniolo. Gerbi deve arrivare solo per vincere. Per staccare il rivale, inventa i più sorprendenti machiavelli”.

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Costante Girardengo Costante Girardengo (1893-1978) è l’ “Omino di Novi”, poi semplicemente il “Gira”: “Il primo campione ad avere un’immagine così forte, da risultare promozionale per il ciclismo” secondo Alfredo Martini, per decenni commissario tecnico della nazionale. Professionista nel 1912, già l’anno dopo conquista il primo dei nove titoli italiani per professionisti su strada; uno dei suoi record sono le sei vittorie alla Milano, la sua classicissima. Un primato battuto solo mezzo secolo dopo da Eddy Merckx. Per Girardengo, due Giri d’Italia, nel 1919 e nel 1923, e un secondo posto nel 1925. Ancora, tre Giri di Lombardia, nel 1919, 1921 e 1922 e altrettanti Giri del Piemonte. Ma i numeri complessivi del primo “Campionissimo” sono immensi: 106 vittorie su strada e 965 su pista. È lui il faro della Maino squadra ciclistica: a Giovanni Maino basta davvero poco per capire l’immensità della classe e delle qualità dell’Omino. Una vita nel ciclismo, che continua dopo la decisione, a 35 anni, di scendere dalla bicicletta: diventa commissario tecnico della nazionale e in questo ruolo è lui a guidare Gino Bartali al successo al Tour de France 1938. Il suo nome, eterno nello sport, lo è anche nell’industria delle due ruote: fonda la Girardengo, per un periodo anche fornitrice del suo “team”. Uno dei marchi che hanno contribuito a fare di Alessandria il cuore di un ’distretto’ della bicicletta. La grandezza di Costante Girardengo è in una frase di Indro Montanelli. “Nei sogni, nelle fantasia della mia generazione, Girardengo viene, nel tempo, subito dopo Testa di Pietra e il Corsaro Nero, sui quali aveva, insieme, un vantaggio e uno svantaggio: quello di esser vero e di poterlo, i fortunati, toccare”.

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Maino corsa 1913 di Costante Girardengo NazionalitĂ

Italia (Alessandria)

Marca

Maino

Modello

Corsa

Anno di fabbricazione

1913

Anno di restauro

2000

Sistema frenante

A filo monofreno anteriore Bowden a fascetta

Ruote

28 X 1 1/4 smontabili. Cerchi in legno 36 fori

Telaio

Corsa con giunzioni in ghisa. Tendicatena e predisposizione per parafanghi

Illuminazione

-

Trasmissione

A catena con ruota libera

Sella

In cuoio Maino

Manubrio

In acciaio con attacco fisso

Caratteristiche speciali

Bicicletta appartenuta a Costante Girardengo, con la quale ha vinto il Campionato Italiano e la Granfondo del 1913. Ritrovata nel negozio "Maino" ad Alessandria aperto da Giovanni Maino nel 1902 e rilevato da Giovanni Meazzo nel 1957.

Provenienza

Giovanni Meazzo

127


Coppi Fiorelli (L'ultima bici di Fausto C oppi)

128

NazionalitĂ

Italia

Marca

Coppi Fiorelli

Modell o

Corsa

Anno di fab bricazion e

1959

Anno di r estauro

-

Sistema frenante

Universal

Ruote

Cerchi Shereen. Mozzi Campagnolo

Telaio

Corsa

Illuminazione

-

Trasmis sione

Campagnolo Gran Sport

Sella

In cuoio

Manubrio

Il nastro del manubrio è quello originale

Caratteristiche speciali

Bicicletta utilizzata da Fausto Coppi nell'ultima gara ufficiale a cui partecipa, il Trofeo Baracchi del 4 novembre 1959 (in coppia con Louison Bobet), appositamente realizzata per lui da Faliero Masi.

Provenienza

Angelo Fausto Coppi


Fausto Coppi La storia di Fausto Coppi (1919-1960) non è solo, e semplicemente, ciclismo. È il racconto di un mito, in Italia e nel mondo, che dura ancora oggi. “Un uomo solo al comando della corsa, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi”: nella frase di Mario Ferretti, giornalista novese, c’è la grandezza unica del ragazzo di Castellania, quarto dei cinque figli di Domenico e Angiolina. Il primo contatto con la bicicletta a 13 anni: è pesantissima quella che utilizza ogni giorno per raggiungere Novi, garzone in un negozio di salumeria, e per effettuare le consegne. Eppure lui vola, la pedalata facile, leggero e sopra tutti. La leggenda dell’airone inizia così. Una leggenda ancora viva oggi, e per sempre. Quando vince, Fausto lo fa in modo spettacolare: alla Sanremo del 1946 taglia il traguardo con 14 minuti di vantaggio sul secondo. E Nicolò Carosio, la più celebre voce, alla radio, annuncia così: “Primo Fausto Coppi... In attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo”. Biagio Cavanna e Giovanni Cuniolo hanno un ruolo fondamentale a credere, più di tutti, nel ragazzo esile, con un fisico fatto per andare in bici. Un palmarés monumentale quello di Coppi, il campione per sempre: cinque Giri d’Italia e il primo, nel 1940, a sorpresa, da gregario di Bartali, accende la rivalità con Gino, fra i primi ad accorrere all’ospedale di Tortona poche ore dopo la morte, il 2 gennaio 1960, a prendergli le mani e a pronunciare, senza fine, quell’aggettivo che diventa una cantilena triste, “impossibile” . Due Tour de France, tre Milano, cinque Giri di Lombardia, una Parigi, un Mondiale su strada, a Lugano nel 1953, due titoli iridati su pista e un elenco interminabile di affermazioni: 151 su strada, di cui 58 per distacco, e 83 su pista, 31 giorni in maglia rosa e 19 in maglia gialla. E molta Alessandria nella sua vita: quando viene in città, si ferma spesso nel negozio di Meazzo e come “sedia” sceglie un compressore, da cui si alza dopo ore di dialoghi fitti con gli appassionati. Alle origini delle sua storia sportiva ci sono anche 500 lire per la vittoria, nel 1938, al Trofeo Gigi Agosta. Alla fine, tragica, di una storia di campione e di uomo, c’è il nome di un campione, del calcio, che sta muovendo i suoi primi passi. E che Fausto, tifoso granata, ma anche dell’Alessandria calcio, vuole conoscere: quel ragazzo è Gianni Rivera, e Coppi, appena rientrato dall’Alto Volta va allo stadio, Genoa, per vederlo all’opera. Pochi giorni dopo la febbre, il ricovero, la morte. Ma l’Airone continua a volare, sopra tutto e sopra tutti. 129


…E UNA RAZZA DI CAMPIONI Dal 1895 al 1911, in Italia, il mezzofondo è specialità molto praticata: si corre con un allenatore meccanico sulla distanza di 100 chilometri, poi abolita perché considerata troppo pericolosa. La provincia delle due ruote riesce a primeggiare anche a livello mondiale, grazie, soprattutto, a Vittorio Carlevaro (Capriata d’Orba 1882-Buenos Aires 1905), detto l’ “Ovadese Volante” per il talento, il carattere avventuroso e la passione per le prime aeromobili. Dalla nativa frazione di Pratalborato a inizio novecento si trasferisce con la famiglia a Ovada. I primi risultati che contano sono su strada, nel 1902 è terzo al campionato regionale piemontese vinto da Giovanni Gerbi e, nello stesso anno, secondo alla Coppa del Re, contrastando il successo del Diavolo Rosso, che batte il 6 luglio 1902, a Serravalle Scrivia, in una corsa in linea di 62 chilometri. Ma le sue imprese sono, soprattutto, nel mezzofondo, grazie all’amicizia con Giulio Picollo, di Capriata d’Orba, suo allenatore, eccellente ciclista e campione motociclista di velocità. Insieme formano una coppia molto affiatata: con i colori della Andrea Doria di Genova nel 1903 Carlevaro è campione italiano dilettanti e, nello stesso anno, sempre con Picollo, stabilisce il record nazionale dell’ora, 51,75 chilometri. Ma l’impresa che consegna Carlevaro e Picollo alla storia è, ancora nel 1903, a Copenaghen, ai campionati mondiali di specialità. La coppia è la grande favorita, irresistibile fin dai primi giri nonostante una concorrenza molto forte e competitiva. Nella parte finale, però, un guasto meccanico costringe Picollo al ritiro. Carlevaro decide di continuare da solo la prova. Una lotta impari con gli avversari e l’ovadese conquista, comunque, l’argento, a pochi metri dal vincitore, lo svizzero Edmond Audimars. Di fatto è lui il campione morale, ma Carlevaro non si rassegna al verdetto e manifesta la volontà di smettere. Ricomincia, però, nel 1904: per lui ancora il tricolore nel mezzofondo professionisti a squadre, con Giuppone e Taylor. Poi il ritiro dall’attività agonistica e la scelta di lasciare l’Italia e sbarcare in America. Pioniere dello sport legato all’aviazione, muore giovanissimo, nel 1905, alla guida del suo aereo. Per uno strano destino cinque anni dopo, nel 1910, a San Paolo del Brasile, stessa sorte per Picollo, che cade durante una esibizione. Terra di grandi interpreti delle due ruote, l’Ovadese. 130


131


132


Un nome su tutti, Antonio Negrini, classe 1903, da Molare, che partecipa, con i colori dell’Italia, alle Olimpiadi di Parigi, nel 1924, a soli 21 anni, 15° nell’individuale su strada e 5° nella prova di staffetta a squadre, insieme a Ardito Bresciani e Nello Ciaccheri. Per lui, numeri impressionanti fin dal debutto agonistico: nel 1922, venti vittorie nei primi cinque mesi. Anche nel 1924, dopo la parentesi olimpica, altri 15 successi per Negrini che non ha la struttura fisica ideale del corridore, ma i risultati lo consacrano campione. Nel 1925 passa al gruppo sportivo Girardengo di Sestri Ponente: bronzo al campionato dilettanti a Amsterdam. Allievo prediletto del Gira, nel 1926 passa al professionismo, con la Wolsit Pirelli e un ingaggio di 1800 lire mensili, ed è secondo al Giro di Lombardia dietro ad Alfredo Binda. Per quattro stagioni (1928–1930 e poi 1932) alla Maino, proprio nel 1932 ottiene il suo successo più significativo, al Giro di Lombardia, battendo Domenico Piemontesi. Nel suo palmarés anche il Giro di Romagna nel 1928, anno in cui trionfa anche alla massacrante Roma–Napoli–Roma, e il Giro del Piemonte nel 1929. Al Giro d’Italia è 3° nel 1927 e 4° nel 1929. Al Giro del 1930 è primo assoluto dopo la seconda tappa, Catania–Palermo, ma non indossa la maglia rosa, introdotta l’anno dopo. Negrini è ai piedi del podio anche alla Milano–Sanremo nel 1928. Nel campionato italiano professionisti è due volte secondo, nel 1928 dietro a Binda e davanti a Girardengo e nel 1929 ancora alle spalle di Binda, ed è terzo nel 1930, preceduto da Guerra e Binda. Nel 1935 vince il Circuit du Midi in Francia, Corre anche le Sei Giorni: nel 1928 è 4° a quella di Milano, insieme a Blanchonnet e vince quella di Lipsia, con Girardengo. Come dimenticare poi la vicenda della SIOF? L’azienda nasce nel 1923 a Pozzolo Formigaro per trattare ossidi ferrosi, ma diventa celebre tra gli appassionati nel dopoguerra, quando l’ing. Piero Mazzoleni, uno dei tre fondatori, chiama Biagio Cavanna (“il cieco di Novi”, oppure “il mago di Novi”, lo storico massaggiatore di Coppi) ad allestire una squadra di prim’ordine, il G.S. Colori SIOF. Nel gruppo, che si aggiudica tra il 1947 e il 1953 ben tre Coppe Italia (i campionati italiani a cronometro a squadre per dilettanti), si mettono in evidenza campioni come Luciano Parodi, Domenico Zuccotti, Secondo Barisone.

Molti altri protagonisti sono passati alla storia del ciclismo per le loro qualità di gregari, affidabili e pronti al sacrificio. Primi tra tutti, gli “angeli di Coppi”: Andrea Carrea, detto Sandrino (Gavi 1924-2013), Ettore Milano (San Giuliano Nuovo 1925-Novi Ligure 2011) e il fratello di Fausto, Serse Coppi (Castellania 1923-Torino 1951). Ma anche i grandi gregari del Gira: Pietro Fossati (Novi Ligure 1905-1945) e Luigi Giacobbe (Bosco Marengo 1907Novi Ligure 1955), alla Maino con Guerra. E quegli altri straordinari esponenti della generazione degli anni venti, tutti amici di Coppi: Luigi Malabrocca (Tortona 1920-Garlasco 2006), noto per le tante maglie nere conquistate, meno ricordato per le 138 corse vinte, Ugo Massocco (Alessandria 1928-Asti 1991), Franco Giacchero (Ovada 1925-Novi Ligure 2012), fino ad arrivare a Giovanni Meazzo, alessandrino, classe 1928, ultimo appassionato testimone di un’epoca dorata. La terra dei Campionissimi può vantare anche un campione del mondo in pista: Mino De Rossi, classe 1931, da Arquata: titolo iridato nell’inseguimento individuale nel 1951 e, l’anno dopo, con Loris Campana, Guido Messina e Marino Morettini, campione olimpico nell’inseguimento a squadre ai Giochi di Helsinki. Fra gli interpreti più recenti del ciclismo nati o cresciuti in questa terra c’è Giorgio Zancanaro, classe 1940, di Solero, professionista dal 1961 al 1968. I suoi primi due anni di carriera professionistica sono alla Philco, poi passa alla Sanpellegrino, terzo al Giro d’Italia 1963, in cui vince anche una tappa. La stagione successiva è alla Carpano e si impone al Giro di Toscana e in un’altra tappa al Giro. La sua terza affermazione nella “corsa rosa” nel 1967, la Treviglio-Alessandria, frazione inaugurale di quella edizione, alla quale il 27enne è iscritto all’ultimo. Quasi coetaneo è Imerio Massignan che, nato nel 1937 ad Altavilla Vicentina, per origini della moglie dal 1977 si è stabilito a Silvano d’Orba dove ha messo salde radici. Nella sua carriera ha macinato in bicicletta oltre 600.000 chilometri e altri continua a percorrerli. Scalatore puro, sopran133


nominato “gamba secca” per la sua caratteristica pedalata dovuta ad una gamba più corta dell’altra, in carriera vanta anche una tappa vinta al Tour de France, il 4° posto al Giro d’Italia 1960, vinto da Anquetil, e il secondo nel 1962, dietro a Balmamion.

I GRIGI, MAINO E TICOZZELLI C’è ancora da dire di un legame speciale, quello tra calcio e ciclismo. Forte, in Alessandria, almeno quanto lo è stato quello tra ginnastica e pallone, connubio prevalente agli albori del football in Italia. Grigia, l’Alessandria la è stata ancora prima di nascere, cioè prima del 18 febbraio 1912. Già sul finire del secolo XIX, quando la città si stava affermando per il suo ruolo nell’UVI, antesignana della federazione ciclistica italiana, ci sono scritti su una amichevole tra una squadra alessandrina e una squadra genovese (1894). Nel 1896 nasce l’Unione Pro Sport e, in contemporanea, le sezioni di football delle società ginniche Forza e Concordia, con maglie grigio scuro, e Forza e Coraggio, casacca grigio perla bianco. Quando, nel 1912, la Forza e Coraggio concretizza il progetto di creare una squadra per il campionato provinciale, e sull’atto costitutivo ci sono le firme di Enrico Badò, Amilcare Savojardo e Alfredo Ratti, la prima divisa è a strisce verticali bianche e azzurre, donazione di un club ginnico di Torino, la Vigor: con questa casacca l’Alessandria FBC vince la Promozione e sale così nella Prima Categoria, battendo 3-0 la Vigor Torino nello spareggio a Novara. Si racconta che la fresca e importante notorietà della squadra di calcio abbia conquistato Giovanni Maino, che è sicuramente più legato alle due ruote, quarta fabbrica nata in Italia e prima con sede non a Milano, e squadra ciclistica di grandi campioni, ma ha un’attenzione anche per la nuova realtà sportiva, tanto da mettere a disposizione un gioco di maglie. Sono grigie, come la formazione ciclistica dei grandi campioni, un grigio unico che diventa il colore di una identità. I “Grigi”, per sempre, anche grazie a Maino, straordinario protagonista della vita cittadina. Nella scelta di Maino di donare le divise pare abbia avuto un ruolo spe134

ciale Giuseppe Ticozzelli (Castelnovetto 1894-Milano 1962), un omone di 1 metro e 87 centimetri, sospinto da un peso imponente di 95 chilogrammi. La sua prestanza fisica gli permette di praticare molti sport a ottimi livelli, soprattutto il calcio e il ciclismo, discipline in cui ottiene risultati strabilianti. Il 18 gennaio 1920 è selezionato nella nazionale italiana di calcio, per una partita amichevole contro la Francia a Milano al Velodromo Sempione. Sei anni dopo, nel 1926, partecipa, da indipendente, addirittura al Giro d’Italia di ciclismo, disciplina che Tico che adora a tal punto, che il giorno della famosa convocazione in Nazionale, in cui esordisce a Milano, al velodromo arriva in sella alla sua bicicletta, pedalando da Alessandria al capoluogo lombardo.


Nel Giro d’Italia del 1926 Ticozzelli disputa quattro tappe. Poi una moto lo investe ed è costretto a fermarsi, ma resta alla storia l’impresa nella tappa per Genova, quando distanzia tutto il gruppo con un vantaggio di oltre un’ora. E quando si avvicina alle prime rampe del passo del Bracco correndo da indipendente e non avendo rifornimenti, si ferma in un ristorante, mette il tavolo a bordo strada, mangia e quando arriva il gruppo saluta tutti e riprende la corsa. Uno che di ciclismo se ne intende certamente, il massaggiatore cieco di Coppi, Biagio Cavanna, una volta gli dice: “Eh, ‘Tico’, in pianura non ti stava dietro neanche Girardengo”. Non solo Ticozzelli e non solo Maino con le maglie a sottolineare il rapporto, stretto, tra il ciclismo e i Grigi. Testimonianze dell’epoca raccontano di Amilcare Savojardo,

uno dei tre fondatori dell’ “Alessandria”, e a sua volta ciclista, come alleato di Giovanni Gerbi: nelle gare più importanti, agli incroci, si traveste da carabiniere del Re o da milite della Croce Rossa e indica agli altri corridori il percorso sbagliato. Il Diavolo Rosso, bravo e astuto, ringrazia e vince. Alessandria, dunque, prima città italiana a due ruote. Che, proprio per questa lunga storia ai vertici italiani e internazionali e per i suoi interpreti straordinari, unici e irripetibili, meriterebbe di avere una tappa dedicata in ogni edizione del Giro. Sarebbe il modo per dire grazie a chi ha scritto il ciclismo, qui, tra Tanaro e Bormida.

135


I CICLISTI ALESSANDRINI Luciana Rota, Michele Carpani

L’elenco dei corridori nati in provincia di Alessandria prima del 1965 (con l’eccezione di qualche “naturalizzato” alessandrino) è il primo, parziale risultato di una ricerca condotta in occasione di questa mostra. Si ringraziano quanti vorranno integrare questi dati, contribuendo con le loro segnalazioni ad ampliare la banca-dati del ciclismo alessandrino. Le segnalazioni potranno essere inviate, eventualmente corredate di documenti e fotografie, al seguente indirizzo mail: ciclistialessandrini@gmail.com Dell’elenco fanno parte anche i corridori nati prima del 1935 nell’attuale provincia di Asti che, come è noto, fino a quella data era uno dei Circondari della Provincia di Alessandria, così come definita da Urbano Rattazzi nel 1859. Cognome

Nome

Nascita

Luogo

Albani

Igor

1959

Silvano d'Orba

Morte

Luogo

Periodo attività

Almaviva

Walter

1 dicembre 1933

Vignole Borbera

1 ottobre 2015

Altina

Pietro

23 febbraio 1910

Alessandria

11 giugno 1997

Alessandria

1929-1933

Amisano

Amilcare

13 novembre 1914

Casale Monferrato

1981

Annaratore

Ferdinando

primi del Novecento

Valenza

Arata

Natalino

25 dicembre 1916

Asti

28 febbraio 1993

Ardrizzi

Paolo

11 gennaio 1907

Alessandria

23 aprile 1961

Vercelli

Bagnasco

Stefano

21 aprile 1905

Cerreto Grue

Bailo

Luigi

16 settembre 1889

Serravalle Scrivia

1 aprile 1972

Genova

1910-1913 1934-1949

1958-1961 1937-1940-1946 1939-1952 1961-1961

Bailo

Osvaldo

9 dicembre 1913

Serravalle Libarna

28 febbraio 1997

Serravalle Scrivia

Barberis

Oreste

1923

Alessandria

1975?

Alessandrria

Baretta

Luigi

1936

Pozzolo Formigaro

Barisone

Secondo, detto Gabioü

29 marzo 1925

Pozzolo Formigaro

14 luglio 2005

Pozzolo Formigaro

1946-1950

21 settembre 1926

Torino

15 ottobre 1994

Ovada

1949-1950

1961/1961

Benso

Mario

Benzo

Maurizio

Berca

Alessandro

21 ottobre 1916

Castellazzo Bormida

Berengan

Mario

28 novembre 1919

Tortona

26 febbraio 1998

Alessandria

1950

6 maggio 1914

Novi Ligure

11 luglio 2003

Novi Ligure

1939-1943

Lerma

Bergaglio

Isidoro

Berotto

Luigi, detto Pikady

Berta

Federico

Bertero

Giuseppe

Bisio

(Luigi) Gigi

Bisio

Gustavo

1932

Francavilla

Bono

Pietro

1893

Alessandria

Boarino

Luigi

1896

Casale Monferrato

Briata

Emilio, detto Brenin

Busi

Vincenzo

Camera

Alessandro

136

1939

Alessandria 1978

Alessandria Ovada Castelletto d'Orba

Ovada 1940

Casalcermelli Alessandria

1963-1963


Cognome

Nome

Nascita

Luogo

Morte

Luogo

Periodo attivitĂ

Cairo

Mario

29 novembre 1900

Alessandria

1 aprile 1972

Alessandria

1928-1932

24 febbraio 1897

Alessandria

4 dicembre 1962

Alessandria

1924-1930

Capra

Carlo

Capra

Luigi

Caratti

Paolo

1928

Carlevaro

Vittorio

1882

Capriata d'Orba

1905

Buenos Aires

Carrea

Andrea

14 agosto 1924

Gavi

13 gennaio 2013

Cassano Spinola

Cassano

Colombo

1929

Gavi

Castagneri

Sebastiano, detto Spartaco

Cattaneo

Alessandria Acqui Terme 1949-1958 1955-1959

Alessandria primi del 1900

Valenza

Cavanna

Giuseppe, detto Biagio

26 giugno 1893

Novi Ligure

Cavanna

Edoardo

nel 1958

Ovada

Cellerino

Giuseppe

16 luglio 1885

Alessandria

Chiappino

Giuseppe, detto Zape e Binda

21 dicembre 1961

Novi Ligure

1908-1910

Ovada

Como

Augusto

5 agosto 1911

Cassano Spinola

Conti

Augusto

2 aprile 1916

Rivarone

23 novembre 1981

Alessandria

1932-1937

Coppi

Serse

19 marzo 1923

Castellania

29 giugno 1951

Torino

1946 -1951

Coppi

Fausto

15 settembre 1919

Castellania

2 gennaio 1960

Tortona

1938-1942

Crocco

Angelo

Cucittin

Guido

1966

Ovada

Cuniolo

Giovanni

3 gennaio 1884

Tortona

25 dicembre 1955

Tortona

1903-1913

D'Amore

Francesco

20 marzo 1977

Messico

1939-1953

Danesini

Rocco

De Benedetti

Mario

De Giorgis

Costa d'Ovada

Ovada 8 settembre 1915

Carbonara Scrivia

primi del 1900

Valenza

De Rossi

Mino

21 maggio 1931

Arquata Scrivia

1953-1957

Della Latta

Osvaldo, detto Ratò

1914

Valenza

1935-1936

Drago

Eugenio

Drago

Mario

Fassino

Alberto

1919

Valenza

Ferrando

Sergio

21 luglio 1929

Alessandria

1954-1957

Ferrari

Pietro

1920

Fresonara

1951-1951

Ferrari

Marco

Firpo

Giovanni, detto Nani

7 febbraio 1909

Serravalle Scrivia

Fossati

Pietro

29 giugno 1905

Novi Ligure

Pozzolo Formigaro Pozzolo Formigaro

Ovada 1931-1937 13 marzo 1945

Novi Ligure

1926-1934

Fracchia

Pietro

Gabelli

G.Battista

1933

Castellazzo Bormida

1956-1957

Gabiano

Elso

1929

Castelletto Merli

1953-1953

Gaggero

Gianandrea

1966

Ovada

Galli

Teresio

Galluzzo

Carlo Giovanni

30 maggio 1903

Castelnuovo Scrivia

Gandini

Arturo

1 aprile 1893

Alessandria

1923 1 giugno 1986

Valenza

1927-1932 1922-1933

137


Cognome

Nome

Nascita

Luogo

Morte

Luogo

Periodo attivitĂ

Gerbi

Giovanni

4 giugno 1885

Asti

6 maggio 1955

Asti

1903-1933

Gervasoni

Mario

1932

Cabella Ligure

Ghezzo

Germano

3 maggio 1918

Tortona

12 dicembre 2001

Alessandria

5 dicembre 1987

Grondona

1948-1954

1 dicembre 1995

Novi Ligure

1926-1937

Ghirardi

Alberto

8 maggio 1921

Alessandria

Giacchero

Franco

1 aprile 1925

Ovada

Giacobbe

Luigi

1 gennaio 1907

Bosco Marengo

Giacobone

Enrico

8 gennaio 1911

Pozzolo Formigaro

Giarola

Amleto

1908

Mirabello Monferrato

Ginocchio

Umberto, detto Bertocchi

1952-1958

1951-1957 1931

Ovada

Girardengo

Costante

18 marzo 1893

Novi Ligure

Giuntelli

Battista

1900

Tonco d'Asti

Giuntelli

Marco

1905

Tonco d'Asti

Giuntelli

P.Giovanni

1900

Calliano

Grilli

Valerio

1916

Ovada

Grillo

Carlo

1903

Ovada

Grillo

Emilio

1901

Ovada

Grossi

Paolo (Lino)

1921

Ovada

Guala

Luigi

14 dicembre 1922

Cassinelle

Guasco

Angelo

Guasco

Primo

1 gennaio 1907

Alessandria

Guerra

Attilio

26 febbraio 1925

Carbonara Scrivia

Guerra

Pio

10 aprile 1923

Carbonara Scrivia

9 febbraio 1978

Cassano Spinola

1912-1936 1923-1933

31 gennaio 1997

Alessandria 1927-1933 27 luglio 1955

1928

Guglielmero Ighina

Giacomo

Ovada

Ighina

Fernando

Cremolino

Ivaldi

Giovanni

Alessandria

Lenti

Aldo, detto Murunò

Mugarone

Limone

Ernesto

Lorenzetti

Roberto

12 maggio 1902

Serravalle Scrivia

23 marzo 1972

Serravalle Scrivia

1926-1930

Lorenzotti

Mario

31 agosto 1930

Frugarolo

31 ottobre 1999

Frugarolo

1950-1953

Ovada

Malabrocca

Luigi

22 giugno 1920

Tortona

1 ottobre 2006

Garlasco

1945-1958

Malvicini

Lorenzo

9 gennaio 1925

Casalcermelli

6 giugno 1996

Casalcermelli

1949-1950

Malvicini

Mario

11 aprile 1905

Casalcermelli

Malvicini

Angelo

16 settembre 1930

Casalcermelli

Marcalli

Carlo

1917

Valenza

Marchetti

Andrea

Marchisio

Luigi

1909

Castelnuovo Don Bosco

1930-1933

Martini

Giancarlo

8 ottobre 1936

Ovada

1957-1958

Martino

Giuliano

1931

Alice Bel Colle

1951-1957

Casalcermelli

1950-?

Carbonara Scrivia

Massa

Serravalle Scrivia

Massignan

Imerio

1937

Altavilla Vicentina

Massocco

Ugo

10 aprile 1928

Alessandria

138

Casalcermelli 18 ottobre 1996

29 maggio 1991

Alessandria

1951-1961


Cognome

Nome

Nascita

Luogo

Morte

Luogo

Periodo attività

Mazzarello

Lorenzo

20 gennaio 1915

Mornese

21 novembre 1991

Mornese

1938-1940

Meazzo

Giovanni

9 luglio 1928

Alessandria

Melchiorre

Celeste

Meli

Antonio

Milano

Ettore

25 luglio 1925

San Giuliano Nuovo

Milano

Oreste

primi del 1900

Asti

1949-1952

Valenza Valenza

Minetto

Ernesto, detto Maceta

1935

Costa d'Ovada

Momo

Federico

11 novembre 1878

Voghera

Molinelli

Achille

2 marzo 1922

Valenza

Montobbio

Mario, detto Maioun

Montù

Raffaele

Moresco

Rinaldo

Necchi

Pierino

Negrini

21 ottobre 2011

Novi Ligure

7 giugno 1958

Bressana Bottarone

25 settembre 1994

Molare

1949 1959-1963

Ovada Alessandria 1925

Bargagli

Antonio

28 gennaio 1903

Molare

Negro

Alberto

23 gennaio 1929

Revignano d'Asti

1955-1957

Oddone

Guido

Acqui Terme

1924-1930

Oddone

Francesco, detto Colin di Panicà

Ovada

Oliveri

Giuseppe

Olivieri

Silvia

Omodeo

Francesco

Ottonello

Mario, detto Gigi

Ottonello

Giacomo

Ottonello

Giulio

Ottonello

Luigi

1889

Parodi

Luciano

1926

Vignole Borbera

Pettinati

Giovanni

6 marzo 1926

Cartosio

Pezzali

Luigi

1989

Ovada

Picollo

Giulio

Ovada

Pigazza

Francesco

Tortona

Pino

Stefano

Porzio

Carlo

Raiteri

Valenza Po

1908-1909 1926-1938

Ovada 1969

Ovada Alessandria

12 agosto 1893

Ovada

1898-1908 26 luglio 1966

1913-1914

Ovada Ovada Campo Ligure 25 aprile 1994

Cartosio

1951-1962

Alessandria primi del 1900

Asti

primi del 1900

Valenza

Rampollo

Gabriele

10 dicembre 1968

Casale Monferrato

Ratto

Paolo

1950

Ovada

Ravera

Elio

1931

Ravera

Tomaso, detto Lillo

1932

Ovada

Ravera

Davide

1972

Ovada

Ravera

Enrico

1969

Ovada

Remondino

Massimo

25 giugno 1885

Quarto d'Asti

Repetto

Roberta

1970

Ovada

Rinaldi

Angelo

1908

Basaluzzo

Robotti

Michele

2 ottobre 1890

Alessandria

Rossi

Marco

1969

Genova

1994-1995

1902-1909

27 aprile 1952

Alessandria

1908-1928

139


Cognome

Nome

Nascita

Luogo

Santoro

Pasquale

1974

Serravalle Scrivia

Savarro

Giovanni

27 luglio 1887

Bergamasco

Sbroggiò

Italo

1900

Asti

Scazzola

Aurelio

28 aprile 1911

Alessandria

Semenza

Domenico

Serralunga

Morte

Luogo

Periodo attività 1998-1999

1960

Bergamasco

26 luglio 1989

Torino

1958 1932-1938

Casale Monferrato

Sobrero

Gianfranco, detto Sebrin

1920

Ovada

Sobrero

Giovanni Battista

Soldi

Carletto

1895

Spagliardi

Carlo, detto Carlò

1923

Valenza

Tacchino

Carlo

20 aprile 1930

Alessandria

Tacchino

Fabrizio

1970

Castelletto d'Orba

Tartara

Giuseppe

4 dicembre 1898

Alessandria

Terzano

Nello, detto La Mora

1916

Valenza

Ovada Ovada

1924-1929

Testore

Andrea, detto Tenace

Ticozzelli

Giuseppe

30 aprile 1894

Castelnovetto (PV)

Alessandria 3 febbraio 1962

Milano

1926

Torchio

Sebastiano, detto Tunin

21 dicembre 1918

Asti

6 luglio 1994

Asti

1939-1940

Torielli

Emilio

Torra

Armando

fine 800

Valenza

Tortolina

Gaia

29 giugno 1997

Sezzadio

2 febbraio 1921

Occimiano

19 febbraio 2004

Genova

1946-1947

Ovada

Unia

Gino

Valacchi

Silvio

Varona

Carlo, detto Scaiò

Verde

Enrico

1892

Fresonara

Verde

Romolo

1895

Fresonara

Vigna

Ernesto

11 marzo 1905

Nizza Monferrato

primi del 1900

Valenza

Visentini

1931

Zanaboni

Mario

Zancanaro

Giorgio

15 giugno 1940

Alessandria

Zanelli

Pierino

6 agosto 1924

San Giuliano Nuovo

Zuccotti

Primo

19 aprile 1915

Serravalle Scrivia

Zuccotti

Domenico

5 settembre 1922

Quattrocascine

140

1911-1914 1914-1917 1992 1937-1938 1961-1968 1953-1956 26 giugno 2004

1937-1950 1948-1950


141


142


143


L’industria della bicicletta Nell’intensa cronologia che racconta di Alessandria capitale della bicicletta ci sono altre date da ricordare che raccontano di una florida industria, quello che oggi sarebbe un “distretto industriale”.

144


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MONTÙ E CASTAGNERI Ad Alessandria la prima attività di costruzione di bicicletti, antenati delle biciclette, di cui si ha notizia è quella di Raffaele Montù, uno di coloro che corrono e vincono sulla Pista di porta Savona: nel 1891, insieme a Bono, altro pistard alessandrino, apre un laboratorio artigianale in quella che allora si chiamava casa Parodi (poi Piccone e Caligaris), sul lato orientale di piazza Garibaldi. Bono, però, esce presto dalla società, sostituito da Sebastiano Castagneri ed è un passaggio importante perché con la Montù e Castagneri dall’artigianato si passa all’industria, con stabilimento in via Tortona. Poi resterà solo Castagneri, che alla costruzione di biciclette, notissima la Folgore, affianca anche la produzione di motociclette: una pubblicità del 1899 ne evidenzia lo stabilimento in piazza d’Armi vecchia, cioè nell’attuale zona di porta Marengo.

PIZZORNO Un altro nome del periodo eroico è quello della ditta Pizzorno. Scrive «La Stampa Sportiva» del dicembre 1903: “Il signor Umberto Pizzorno di Alessandria, già socio della ditta G. Maino e C, di quella città, ha iniziato dal 1° dicembre per suo conto il commercio dei velocipedi, motocicli e accessori in Alessandria, piazza Vittorio Emanuele n. 41 41”. Umberto Pizzorno era stato in società con Giovanni Maino dal 1898 al 1903: con la decisione di mettersi in proprio assume la rappresentanza di marchi esterni già affermati (le biciclette marchiate Tre fucili e Abington), ma questa scelta si conclude con una bancarotta nel 1915. Nel 1909 «La Stampa Sportiva» riporta riferimenti ai successi delle biciclette Pizzorno su strada e su pista (“Casa Umberto Pizzorno di Alessandria, la ben nota produttrice di famose biciclette da pista e da strada”). Vengono ricordati i successi 146

nella Sanremo-Oneglia dilettanti (1° Gatti); si distingue nel Primo Giro Ciclistico d’Italia – con l’alessandrino Giuseppe Cellerino (1885-1974), che partecipa nella categoria “senza rifornimento” – e si piazza all’undicesimo posto – viene fatto riferimento ad altre vittorie in gare su strada. Nella pubblicità dei modelli Pizzorno del 1910 viene ricordata l’esistenza di “otto differenti tipi a vostra scelta” e si precisa ai clienti che riceveranno “un attestato di garanzia per un anno e che ogni più piccola riparazione in tale periodo vi è fatta gratuita”. Una fotografia, purtroppo non datata (1911?) ritrae un giovanissimo Costante Girardengo con la casacca della squadra corse della Pizzorno.

GERBI Giovanni Gerbi è meglio noto come Il Diavolo Rosso, il mitico campione cantato da Paolo Conte. “Diavolo rosso dimentica la strada vieni qui con noi a bere un’aranciata contro luce tutto il tempo se ne va” Gerbi (1885-1955) è astigiano, ma in realtà si può dire anche alessandrino perché all’epoca Asti faceva parte della nostra provincia. Anch’egli dopo aver chiuso l’attività agonistica diventa produttore ed è spesso ad Alessandria, arrivando sempre rigorosamente in bicicletta, ospite anche del negozio Maino. Apre dapprima un negozio-officina di ciclismo in corso Indipendenza 20 a Milano, la Cicli Gerbi. Nel 1920 con abile senso manageriale Giovanni, in coppia col fidato fratello, decide di sfruttare il proprio soprannome mitico come logo per la marca delle biciclette da lui prodotte. Gli anni trenta e quaranta videro le Gerbi fregiarsi di un appariscente scudetto di ottone con impresso il ritratto del titolare: le sue imprese erano ancora tanto impresse nelle menti che bastava la faccia del Diavolo Rosso per vendere il prodotto.


AMERIO A Felizzano la Amerio è in attività fino agli anni venti: produce elaborate bici di pregio, sia da corsa che da passeggio, per il mercato nazionale. Le bici Amerio di lusso si riconoscono dalla testa della forcella che prosegue a punta lungo gli steli della stessa. La colorazione tipica Amerio è il grigio. Le biciclette più pregiate sono tutte marcate Amerio in corsivo, sui mozzi, sulle pedivelle alleggerite e, dettaglio di gran pregio, anche sulla corona, nel cui disegno si forma la scritta Amerio. La linea più economica è venduta quasi esclusivamente per il mercato locale e spesso assemblata su base Maino. Marchi collegati sono Auro e Ideal.

esporta anche in Argentina, dove nasce una succursale, affidata al fratello Luigi (Luis): nello stabilimento a Lobbi e poi ad Alessandria apre anche un reparto di falegnameria, per realizzare i cassoni nei quali collocare i pezzi poi assemblati a Rosario di Santa Fe, sede della Quattrocchio argentina. Dalla fabbrica di Lobbi, con il tram a vapore, le casse raggiungevano la stazione ferroviaria di Alessandria e da lì, su vagoni, il porto di Genova. Imbarcate sui piroscafi, partivano per il lungo viaggio verso l’America Latina, destinazione finale la sede della Bicicletas Quattrocchio. Tutte le parti dei telai sono marcate Quattrocchio: sella, pedivelle, mozzi e collarino stringisella. Le biciclette Quattrocchio sono famose proprio per la cura dei particolari: la testa della forcella riporta pantografata la Q di Quattrocchio, mentre il canotto di sterzo ha incisa sui lati la scritta Quattrocchio. I telai sono già molto leggeri per l’epoca.

CICLI QUATTROCCHIO La fabbrica di biciclette Cicli Quattrocchio è fondata da Carlo Quattrocchio a Lobbi, nel 1919, poi trasferita in Alessandria nel secondo dopoguerra. Carlo Quattrocchio, di Lobbi, classe 1888, nasce in una famiglia di piccoli commercianti, primogenito di cinque figli, uomo di grande personalità, curioso e intuitivo. Anche se in possesso di un diploma di quinta elementare, ha buone capacità logico-matematiche e una grande voglia di imparare e acquisire nuove esperienze. Nel 1906, a poco più di 17 anni, parte per l’America, primo di una serie di viaggi. La meta è l’Argentina, dove lavora in una estancia, una azienda agricola, accudendo i cavalli e imparando lo spagnolo. La tecnica e, soprattutto, il coraggio sono un’eredità della prima guerra mondiale. Torna provato, ma sano e molto determinato, nel 1919 dà vita, nel suo paese alla Cicli Quattrocchio, con quindici operai, e costruisce, anche in concorrenza con la Maino, biciclette solide, con le gomme Superga e i mozzi Torpedo. La sua è la prima fabbrica che

Negli anni quaranta la Quattrocchio punta sui micromotore Mosquito, motorizzando l’intero territorio alessandrino e non solo. La produzione di cicli prosegue per tutto il dopoguerra, quando Carlo Quattrocchio trasferisce l’attività in Alessandria, in via Isonzo, coadiuvato da uno dei due generi, Pino Poggio, marito della figlia Olga che, insieme alla sorella Tina, è spesso testimonial delle biciclette prodotte dal papà: ma anche le nipoti e il nipote pedalano sulle versioni personalizzate dei mezzi. Dopo la morte del fondatore, nel 1962, la guida dell’azienda passa a Pino Poggio che già sul finire degli anni sessanta attua la prima riconversione, necessaria sia per l’avvento delle auto, sia per il regime autarchico di 147


Peron in Argentina, fatti che determinano una crisi della bicicletta e delle esportazioni. Nel 1983 il marchio cambia tipologia di produzione, da velocipedi a elementi modulari in acciaio.

CICLI MEAZZO L’azienda Meazzo venne fondata da Vitalio Meazzo nel 1930 in via Marengo 23, ad Alessandria. Il negozio rimase in attività fino al 1966. Già dall’inizio si caratterizzò per la costruzione artigianale di biciclette e tandem con marchio proprio. Tra il 1948 e il 1952 venne fondato il Gruppo sportivo Meazzo che ottenne diversi successi in campo nazionale e internazionale. Dagli anni successivi alla guerra, con il minor interesse per la bicicletta, Meazzo introdusse la produzione di ciclomotori, a rullo e a catena, con motorizzazione il Pellegrino. Nel 1957 il figlio Giovanni, già corridore professionista, rilevò il negozio storico della Maino. Nel 1962 spostò l’attività di vendita al dettaglio nel negozio di via Caniggia 12, gestito dalla moglie signora Giovanna Baltuzzi. Nel 1969 con la costruzione della fabbrica di via Casalbagliano, 63 la produzione di biciclette, da locale, si espanse in tutto il Nord Italia. I modelli di punta, oltre alle biciclette da competizione, con i telai costruiti dal capofficina Amerigo Fiorentini, già capomeccanico 148

e telaista della squadra professionistica Welter e della Rolando Cicli, si estesero alle biciclette pieghevoli Arianna e Rossana, sull’onda della moda di quegli anni. La Cicli Meazzo nel corso della sua attività, coprì la produzione di ogni modello di bicicletta a partire da quelli da bambino fino a quelli super leggeri da competizione. Nel 1996 Cicli Meazzo cessò l’attività commerciale. Giovanni Meazzo, col figlio Diego, si dedicò in seguito all’attività di collezionista e restauratore di biciclette d’epoca.

MAINO-GIRARDENGO Negli anni 1928-29 Costante Girardengo, ancora in attività, acquisisce alcune quote della Maino: le prime biciclette da corsa MainoGirardengo risalgono al 1933. A fine carriera, nel 1939, Girardengo insieme a Giovanni Maino e all’assicuratore Crotti fonda la fabbrica che porta il suo nome. Nel 1940, alla ricerca di un logo originale, viene promosso un concorso nelle scuole alessandrine: viene scelta una girandola, apposta sul tubo dello sterzo, mentre sul tubo obliquo del telaio figura la scritta “Girardengo”. La girandola, però non ha molta fortuna e


viene sostituita dal logo definitivo con il Campionissimo sulla bici da corsa in maglia tricolore. Nel 1942 a Maino e Crotti subentrano i due figli di Costante, Ettore e Luciano, e nasce la Girardengo e C., con sede in corso Monferrato ad Alessandria. L’azienda dà lavoro a una quarantina di operai e produce sia bici da corsa, sia bici da passeggio per uomo, donna e bambino. Nel 1951 viene ampliata la gamma produttiva con l’inserimento di motoleggere da 125 e 175 cc., con motori a due tempi: rimangono sul mercato fino al 1954. Nel 1954 la passione agonistica del Campionissimo ha il sopravvento e nasce una squadra ciclistica professionistica: Girardengo dimostra di essere un ottimo talent scout e trova vari sponsor come Gardiol ed ERG. Il 1964 è l’anno del trasferimento della fabbrica all’interno delle carceri di Alessandria, a seguito del quale avvia progetto di lavoro intramurario già realizzato a Padova da Rizzato, che impiega i detenuti nel montaggio delle biciclette. Alla morte di Costante, nel 1978, la guida dell’azienda viene assunta dal figlio Luciano, ma nel 1981 la proprietà viene ceduta a Norberto Cermelli che trasferisce la produzione a Frugarolo. Terminata anche quell’esperienza, il marchio Girardengo nel 2005 viene acquistato dalla Fratelli Masciaghi, anche se non risultano più, attualmente, biciclette marchiate Girardengo ancora in produzione.

VALIDIOR Fra le industrie locali di biciclette mette conto ricordare anche la Validior, che inizia a produrre nel 1935-36, ad opera del cavalier Pietro Battaglia, e prosegue fino al 1966. Si tratta di biciclette di buona fattura con la stessa componentistica (e la stessa saldatura manuale) di altri marchi più famosi della zona. La Validior è una prima marca conosciuta nel circondario, anche se i numeri di produzione non sono mai altissimi. Non risultano, però, modelli da corsa. La particolarità è il marchio che rappresenta un omino elettrico, stampigliato anche sulla guarnitura e sui mozzi in acciaio.

DOTTINO Carlo Dottino, dopo la prima guerra mondiale, inizia un’attività artigianale per la costruzione di biciclette a Castelceriolo. Ben presto in via Desaix, recuperando i locali di una vecchia taverna, Dottino predispone gli spazi per la realizzazione di una prima produzione completa di biciclette con l’aiuto di una decina di operai. Nel 1934 la famiglia Dottino decide di rilevare l’attività commerciale del ciclista Amelotti di via Mazzini in Alessandria, prematuramente scomparso. La produzione di cicli si sposta da Castelceriolo in Alessandria (via Fiume angolo via Mazzoni) prendendo il posto di una vecchia fabbrica di cappelli (Sei Denari). Nei locali vengono realizzati i reparti di verniciatura e produzione telai. Sarà il figlio Giuseppe a prendere in mano l’attività negli anni a seguire sviluppando il commercio dei cicli e dei motocicli a partire dagli anni sessanta fino ai giorni nostri.

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PELOSO

SANTAMARIA

La ditta Mario Peloso rimane un’azienda a conduzione famigliare: per quasi mezzo secolo, dal 1936 al 1979, produce biciclette da corsa presso il laboratorio in via Milano 36 ad Alessandria. Ha avuto tra i propri clienti famosi campioni delle due ruote, richiamati dalla cura artigianale con cui venivano realizzate le biciclette e dall’uso di materiali all’avanguardia. Il titolare, Mario Peloso, si è avvalso per lunghi anni della collaborazione di Rodolfo Contiero.

A Novi Ligure nasce negli anni trenta la Santamaria, con negozio in via Ovada, 11. I titolari, i fratelli Giuseppe (detto Pierino) e Mario, danno vita a una fabbrica in via Edilio Raggio, poi nel 1949 decidono di unirsi a Bartali, dando vita così alla Bartali-Santamaria. Per qualcuno questa scelta fu una sfida, lanciata a casa sua, al Campionissimo Fausto Coppi che nel 1939, dopo la Milano-Sanremo, non aveva più scelto questa marca, passando poi, qualche anno dopo, alla Fiorelli, altra produzione novese, prima del matrimonio con la Bianchi. Bartali rimane molto legato ai fratelli Santamaria, fino al 1954, quando a 40 anni di età chiude la propria carriera. La Santamaria resta in attività fino al 1965, aprendosi anche allo sviluppo di ciclomotori, con una produzione annua di 12.000 biciclette e 7.000 ciclomotori. Negli anni cinquanta l’azienda produce anche, per un biennio, un migliaio di calcio-balilla.

FIORELLI

CICLI VERDE La Cicli Verde è stata una piccola azienda di Fresonara. Il suo fondatore, Romolo Verde, amico di Costante Girardengo, corre per la Maino ancora negli anni venti e trenta. Quando smette di gareggiare, incomincia a costruire con successo bici a Fresonara in via Marconi. Gli succede il figlio Renzo; l’azienda chiude, però, negli anni sessanta. Romolo è molto amico di Maino ed Amerio di Felizzano, che gli forniscono i componenti per realizzare molte delle bici. Evidenti, quindi, le somiglianze tecnico-stilistiche con le marche più blasonate.

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La fabbrica Fiorelli nasce nel 1932 in via Ugo Foscolo a Novi Ligure, grazie ai fratelli Rinaldo, Mario e Lino Fiorelli. Inizialmente costruisce solo telai da corsa, ma presto passa alle bici complete sia da corsa sia da viaggio. La squadra corse Fiorelli ingaggia campioni come Ferdy Kubler, Jean Robic e Ugo Koblet. Le bici Fiorelli equipaggiano diverse squadre, la più celebre la Carpano-Coppi. Il 30% della produzione era destinato al mercato estero, in particolare a quello americano. Dal 1951 inizia la produzione anche di motociclette, con l’azienda che assume il nome di Motovelo Fiorelli. Dal 1957, in collaborazione con Fausto Coppi, viene creata la linea di biciclette Coppi-Fiorelli. Negli anni Sessanta la produzione annuale è di 1.000 ciclomotori e 20.000 biciclette. Nel 1988 il marchio viene rilevato dalla ditta Fratelli Masciaghi e l’azienda cessa definitivamente l’attività nel 1990.

FOSSATI A Novi Ligure operava la Fossati, di Mario Fossati, classe 1913, grande meccanico della squadra SIOF, di Fausto Coppi e della Carpano. Quando Coppi si fratturò una clavicola, fu una sua invenzione che permise al Campionissimo di riprendere gli allenamenti prima del tempo. Nella sua bottega vendeva biciclette Frejus (di Torino) e assemblava su base Maino una linea di cicli marcati Fossati.


WELTER La Welter di Pontecurone, dà vita negli anni quaranta e cinquanta a una produzione di biciclette molto curate, in particolare bici da corsa con il tipico color rosa antico metallizzato. Capotelaista fu per un certo tempo il signor Amerigo Fiorentini, che era considerato un vero maestro nel suo campo. La Welter per alcuni anni mise in campo una squadra professionistica e tra le sue file corsero glorie del ciclismo come Giulio Bresci, Alfredo Martini, Secondo Barisone e la maglia nera Luigi Malabrocca.

dal 1966 si stabilisce nella nuova sede in corso Acqui 112, e insieme alla fabbricazione/riparazione delle biciclette ne intraprende anche la commercializzazione, a cui affianca quella delle moto Piaggio e Gilera. Nonostante ciò, l’impresa mantiene inalterata la specializzazione nei cicli e in particolare nei cicli da corsa di marchi primari come Bianchi, Giant e Pinarello, venduti su misura al cliente e – con assoluta cura artigiana – controllati in tutti i dettagli per verificare la posizione e il funzionamento di ogni singola parte meccanica. Pur godendo da tempo della pensione di anzianità, Marco Torielli, classe 1935, è ancora in attività, si dedica con passione al restauro di biciclette d’epoca e alla costruzione di modelli particolari, uno tra i pochi nell’Alessandrino a custodire i segreti di un mestiere in estinzione.

ALTRE AZIENDE

TORIELLI La storia della ditta Torielli ha inizio nel 1919, quando Giuseppe apre in società con il cugino Edoardo Chiesa una bottega artigiana per la fabbricazione e la riparazione delle biciclette al quartiere Cristo, nei pressi del capolinea del tramvai, davanti alla piazza delle scuole Carlo Zanzi. Suo figlio Marco impara il mestiere in ambiente famigliare ed entra in bottega all’età di 15 anni, diventando nel 1955 coadiuvante del padre, un anno dopo lo scioglimento della società Torielli e Chiesa. Durante il primo trentennio di vita l’azienda gestisce una piccola produzione di biciclette per la vendita al dettaglio. Le biciclette vengono realizzate a mano a partire dal taglio e dalla saldatura dei telai fino all’assemblaggio di tutti gli altri componenti. Nel 1969, in seguito al ritiro di Giuseppe, Marco rileva l’azienda, che

Infine, occorre non dimenticare altre piccole e piccolissime aziende, spesso poco più che laboratori di riparazione con qualche capacità produttiva o di assemblaggio, che hanno dato vita a marchi dalla diffusione locale. Tra queste: la Rossi (“macchine da cucire e velocipedi”), la Pagella e C. (nel 1899 ha un negozio in piazza Vittorio Emanuele 5, ove si vende il modello “Atalanta”), la Corva e Cortona (costituita ad Alessandria nel 1905), la Fratelli Arzano, la Fratelli Morchio, la Cicli Rolando (con sede in via Schiavina e una squadra ciclistica molto titolata, tanto da realizzare, a metà anni cinquanta, anche una vetrina in città con i moltissimi trofei vinti) e poi ancora Pavese, Tallone, Sardi, Parodi, Marcellino, Toletti, Betassa, Ricagno (che rileva anche telai e altri pezzi della Maino), Robatto. A Pozzolo Formigaro apre la propria bottega il veneto Blaresin, altro rivenditore e assemblatore su base Maino. A Tortona opera con una propria linea di biciclette, negli anni quaranta e cinquanta, il ciclista Rossini. A Ovada, la Cicli Guizzardi (dal 1947) e ad Acqui Terme la Cicli Sciutto. A Novi Ligure è da ricordare la Cicli Bovone: il titolare, morto sotto i bombardamenti del 1944, vendette a Fausto Coppi la Maino che il padre del Campionissimo aveva acquistato con grandi sacrifici.

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152


L’officina delle biciclette

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ARTE, LIBERTÀ, BICICLETTA Maria Luisa Caffarelli, Rino Tacchella

La bicicletta simboleggia la dimensione mentale dell’arte. È l’idea del tempo in movimento. Giuseppe Panza di Biumo

Arte - libertà - bicicletta. È da questo trinomio che occorre partire per comprendere la innegabile precocità e la perdurante centralità – iconografica, concettuale e simbolica – che contrassegnano la bicicletta come veicolo che intrattiene rapporti stretti – senza peraltro esserne mai totalmente posseduto – con il mondo dell’arte e, per molti versi anche del design. Si parte dalla ruota (come non collegarla all’idea di infinito a cui tutte le arti guardano come a un miraggio temporale e filosofico) e si passa per quella libertà dalle fonti di energia in cambio di un’energia autoprodotta che genera movimento e quindi conoscenza che è il grandissimo valore intrinseco della bici. “Una bella bici che va roteante fluidità bici futurista bici d’artista”: tra bici e arte - lo diceva già Paolo Conte - la relazione è pressoché identitaria. La bici è una scultura e una performance. Non a caso il primo ready made della storia dell’arte è fatto con una ruota di bicicletta. Il gesto più rivoluzionario della storia dell’arte Bicycle Wheel di Marcel Duchamp. E forse una delle opere più concettuali di Picasso è un manubrio di bicicletta con una sella, la famosa testa di toro che potrebbe sembrare un ready made a sua volta ma è invece un inno al trasformismo e un canto metamorfico. Ma partiamo dall’inizio: è il 1913, sono passati 46 anni dal 1867 quando Carlo Michel ha fatto la sua apparizione ad Alessandria con il suo velocipede. Quasi in contemporanea la bicicletta è utilizzata da due artisti in modo diametralmente opposto: in Italia Umberto Boccioni, in Francia Mar154


A sinistra: Marchel Duchamp, Bicycle Weel, 1913-1951 in alto: Pablo Picasso, Cabeza de toro, 1942-1943

cel Duchamp. Boccioni, fondatore del movimento futurista, realizza un dipinto simbolo del moto di un oggetto – la bicicletta – in relazione all’ambiente; il moto del “ciclista” che preme sui pedali e imprime velocità al nuovo mezzo di trasporto, rappresenta l’esaltazione tematica della poetica futurista volta a enfatizzare il mito della velocità rifacendosi ai principi della scomposizione della forma e del colore. Duchamp realizza la celeberrima “ruota di bicicletta”, sbeffeggiante mito dadaista diventato quasi un feticcio estetico della contemporaneità. Duchamp inventa il ready made, 155


Umberto Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 1913

procedimento che consiste nello scegliere oggetti comuni, estrapolarli dal quotidiano, metterli in mostra, impiegarli esaltandone la forma e usarli in modo inedito come elementi espressivi dal punto di vista artistico. Entrambi gli artisti mettono in gioco un atteggiamento provocatorio, certamente capace di svecchiare la cultura artistica occidentale, ancora radicata nella tradizione, alla pittura a olio su tela improntata a una visione statica della realtà. Due rivoluzioni. La pittura fino a quel momento aveva rappre156

sentato la staticità, cose e persone rigidamente bloccate. I futuristi nella prefazione al catalogo della loro prima esposizione dichiarano “Ogni oggetto rivela, per mezzo delle sue linee, come si scomporrebbe secondo le tendenze delle sue forze”. Il dinamismo del ciclista rappresenta appieno la “manifestazione dinamica della forma, la rappresentazione dei moti della materia nella traiettoria che ci viene dettata dalla linea di costruzione dell’oggetto e dalla sua azione”. Il ciclista è il modello di opere futuriste realizzate oltre che da


Pietro Morando, Pioniere (Ciclista) 1962, olio su tela

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Boccioni anche da Dottori (Ciclista del 1916), Sironi e Depero (Chirottero metropolitano). Nella seconda metà del secolo scorso altri artisti noti e di diversa collocazione estetica si avvalgono della bicicletta come con Sogno in fili d’ottone da Fausto Melotti con Sogno in fili d’ottone a Pistoletto in Bicicletta con stracci, dalle compressioni di César agli accumuli di Arman, dalle plastiche utopie di Piacentino al povero mezzo di trasporto contadino di Zigaina. Anche Picasso non poteva mancare: nel 1942 realizza una “testa di toro” assemblando tra loro due parti provenienti da una bicicletta: il manubrio e il sellino. Come in un gioco unisce due oggetti semplici e banali che per il modo in cui sono accostati danno origine a una forma imprevista e inaspettata, insita nell’oggetto stesso nel momento in cui viene impiegato in modo diverso rispetto al consueto. Esempi in cui come diceva Duchamp l’opera d’arte “non deve essere esclusivamente visiva o retinica”, ma deve innescare “il nostro appetito di comprensione”. In questa ottica molti artisti hanno fatto uso dell’immagine della bicicletta da bambini o da adulti, da passeggio o da corsa, o l’hanno reinventata fantasticando con l’immaginazione.

Antonio De Luca, ABC 2002, olio su tavola

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In una mostra in cui la primadonna è la bicicletta abbiamo cercato con pochi esempi di rappresentare come alcuni artisti contemporanei hanno utilizzato la bicicletta, o parti della bicicletta delle loro opere. Pietro Morando, riandando con la memoria alla sua infanzia, propone con il suo tipico segno spigoloso un ciclista come ancora poteva incontrarsi a cavallo del secolo scorso intento a pedalare su un biciclo come quello che Michel poteva aver portato in Alessandria e che sicuramente aveva suscitato ilarità e stupore: anche l’abbigliamento è consono a chi all’epoca voleva farsi notare. Antonio De Luca rievoca la sua infanzia e disegna, spremendo il colore ad olio direttamente dal tubetto su una tavola di legno di un imballo industriale, un bimbo su un triciclo che sembra fare la gincana tra i giochi sparpagliati sul pavimento. Il dipinto è realizzato di getto, privo di ripensamenti e gli aloni dell’olio che


Vito Boggeri, Volata 2016, tecnica mista su cartone

Giancarlo Soldi, Volata 2013, collage su tela

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Aligi Sassu, Ciclista 1934, olio su tela

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Mario Schifano, Senza titolo Fine anni ‘70, smalto su tela

si spande intorno al segno aumentano in modo irregolare e disordinato la strutturazione dello spazio. Vito Boggeri con il suo tipico “smalto su cartone” sembra fare la cronistoria di una tappa del Giro d’Italia in cui ogni partecipante racconta gli avvenimenti che sono accaduti, dalle forature ai rifornimenti d’acqua, dagli scontri alle astuzie di gara. Il plotone è interpretato come una particolare prospettiva in cui i primi, i più bravi, meritano un’enfasi e una dimensione maggiore. Sempre di una volata in bicicletta è l’immagine proposta da Gian Carlo Soldi che da sempre nei suoi lavori si avvale di una tecnica particolare: il collage ottenuto con sottili fogli di carta velina che vengono colorati prima di essere impiegati. A questi fogli ne alterna altri prelevati da riviste patinate per realizzare le brevi scritte degli sponsor o dei numeri che

compaiono sulle magliette o sui pantaloncini dei professionisti che partecipano a gare ufficiali. Lo sforzo che i ciclisti compiono durante le gare è evidenziato in modo molto realista nel lavoro di Aligi Sassu, attento nel cogliere la grinta di un atleta che affronta una salita durante una gara. Opera in cui sono evidenziati anche altri valori come la velocità rappresentata con rimandi tardo futuristi attraverso le linee fluenti dell’asfalto e infine la tensione psicologica nell’affrontare le difficoltà del percorso definito con una curva stretta e i paracarri da schivare. Una bicicletta da corsa a riposo è l’omaggio al mezzo di Mario Schifano. La bici è ferma, ma tutto il dipinto evoca il movimento: lo spazio indefinito, gli aloni di colore e le gocciolature degli smalti che l’artista utilizza per realizzare 161


le sue opere animano la superficie di fondo, avvolgono in una nube cromatica e polverosa la bicicletta come se questa ancora conservasse la polvere sollevata durante la sua precedente corsa. Infine Giovanni Tamburelli dĂ libero sfogo alla sua sfrenata fantasia proponendo la sagoma di una “bici da mareâ€? realizzata in metallo e disegnata con una colonia infinita

Giovanni Tamburelli, Bici da mare 2016, ferro smaltato

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di pesci. Pesci che si seguono e si inseguono modulando la circonferenza delle ruote o si incrociano e disegnano il triangolo del telaio. Una bicicletta, che per effetto della materia metallica e a seconda di come la si guarda, rimanda dei luccichii e dei bagliori come se i pesci guizzassero realmente cercando di mettere in movimento il mezzo.


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BIBLIOGRAFIA Questa bibliografia è limitata ad alcune opere fondamentali per la storia del ciclismo in provincia di Alessandria e ad altre di carattere generale che contenessero comunque riferimenti importanti per la ricostruzione del tema locale. Per i due Campionissimi, Girardengo e Coppi, si è scelto di riportare solo pochissimi riferimenti, dai quali peraltro fosse possibile risalire alla sterminata bibliografia esistente in materia.

Velocipedi, in «L’Avvisatore Alessandrino», 22 febbraio 1869 G. BERTA, Cenni di cronistoria alessandrina dall’anno 1168 al 1900, Alessandria 1903

D. CUCCOLO, Alessandria tra Otto e Novecento: due ampliamenti urbani per la zona a sud della città, tesi di laurea, Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura, rel. A. DAMERI, a.a. 2004-2005

V. VARALE, Gerbi e le corse dei suoi tempi: vent’anni di sport ciclistico, Asti 1913

C. GREGORI, voce Ciclismo, in Enciclopedia dello Sport, Roma 2005

M. BRUZZONE, Perché Alessandria è sede dell’Unione Velocipedistica Italiana, in «Lo Sport Illustrato», n. 1, 15 gennaio 1915

M. PASTONESI, Girardengo, Portogruaro 2005

AL-GA, Papà Maino e lo sport, i corridori e le biciclette, in «Il Paese Sportivo», 5 aprile 1923

Il Giro d’Italia e Alessandria, a cura di U. BOCCASSI, Alessandria 2006 M. PASTONESI, Gli angeli di Coppi, Portogruaro 2006

M. CAPURRO, Peccati caricaturistici 1901-1932, Alessandria 1932

W. SECONDINO, Ovadesi in bicicletta. Cronaca, storia e foto storia del ciclismo ovadese, Ovada 2006

P. ANGIOLINI, Vecchia Alessandria. Strade e contrade (anni vari, dal 1952 al 1967)

T. FRISINA, Ricordi alessandrini. Cartoline e cronache d’epoca, Alessandria 2008

E. DERICCI, Centenario del velocipede. Alessandria lo tenne a battesimo, in “Cronache alessandrine di ieri e di oggi”, n. 4 (1969), pp. 15-16

C. POGGIO, Storia dell’azienda, in Zerodisegno: dalla bicicletta a M. Rotella. Un secolo di creatività in Quattrocchio, pp. 27-38, Alessandria 2008

F. ROTA, Ultimo chilometro, Tortona 1975

D. PICCHIO, R. TACCHELLA, G. TAGLIAFICO, Alessandria nella pubblicità e nei marchi aziendali, Alessandria 2011

Enciclopedia alessandrina. I personaggi, a cura di P. ZOCCOLA, Alessandria 1990 N. FERMI, In punta di piedi. Il racconto del ciclismo a Novi Ligure, città dei Campionissimi, Arquata Scrivia 1994 B. CONTI, Campionissimi. 120 anni di storia del ciclismo in Piemonte, Roma 1997 A colpi di pedale. Il ciclismo nell’Acquese e nell’Ovadese, a cura di S. SCIUTTO, Ovada 1999 L. ROSSI, Girardengo Costantino, in DBI (Dizionario biografico degli Italiani), vol. 56, Roma 2001 A. CORSICO, Da “Pista” a rione. Storia della nascita di un quartiere alessandrino, Alessandria 2004 D. PICCHIO, Alessandria dal 1900 al 1940 attraverso le immagini d’epoca, Alessandria 2004

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G.P. RUBINO, Biciclette italiane. I marchi, gli uomini e la storia, Sondrio 2011 E. TRIFARI, Prima della Gazzetta, in Ciclismo. La storia di una grande passione nelle prime pagine de «La Gazzetta dello Sport», a cura di P. BERGONZI e E. TRIFARI, Milano 2014 C. GREGORI, Giovanni Cuniolo “Manina”, Tortona 2014 R. LIVRAGHI, Carlo Michel (1842-1915) tra nascita dell’industria, impegno sociale e fascino delle due ruote, in “Rassegna economica della Camera di Commercio di Alessandria”, n. 4, 2015, pp. 38-41 Il libro dei libri. Censimento bibliografico su Fausto Coppi, a cura di E. ZANENGA e G. ROSSI, Tortona 2016 B. CONTI, La grande storia del ciclismo, Torino 2016


Il Quarto Stato della Bicicletta Flashmob del 23 maggio 2016, ore 11,00

Il raduno di velocipedisti presso la sede della Camera di Commercio di Alessandria.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2016 Seconda edizione




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