I nuovi ferri del mestiere

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Marco Mezzadri

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l&L - LINGUA E LINGUE: STUDI SULL’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO E DELLE LINGUE STRANIERE

I nuovi ferri del mestiere

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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNATAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 17, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.

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Collana a cura di Paolo E. Balboni e Marco Mezzadri I nuovi ferri del mestiere si rivolge al pubblico variegato degli studenti e dei docenti di lingua straniera, con particolare riguardo per chi si sta preparando per diventare e per chi è già insegnante di italiano come L1, L2 e LS. Questo manuale propone ai lettori riflessioni che consentono l’acquisizione di conoscenze e la loro trasformazione in competenze professionali, attraverso riflessioni sui diversi ambiti della ricerca glottodidattica. I percorsi in cui è suddiviso il volume toccano le aree più rilevanti della glottodidattica, ma dalla prima edizione del 2003 il mondo è cambiato e così il testo ha dovuto adattarsi e spostare il proprio focus dall’insegnamento all’acquisizione delle lingue, con maggiori riflessioni di tipo neuroscientifico e legate alle discipline che studiano la mente, oltre a incursioni nel variegato mondo del bilinguismo e dell’insegnamento-apprendimento attraverso una lingua veicolare, senza tralasciare di fare il punto sulle linee di sviluppo della glottodidattica nel corso dei secoli per comprenderne lo stato dell’arte oggi. Da ultimo, il volume, il cui impianto rimane inalterato per quanto riguarda la possibilità di riflettere sulle aree principali della glottodidattica con un’ottica di tipo sia teorico che pratico, si arricchisce di considerazioni sulle politiche linguistiche che mai come in questi ultimi decenni stanno condizionando le scelte di insegnanti e studenti.

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Marco Mezzadri insegna Didattica delle lingue moderne e Didattica dell’italiano presso l’Università degli Studi di Parma dove è direttore del Laboratorio di Glottodidattica. Si occupa di formazione degli insegnanti di lingue ed è autore di numerosi volumi e articoli di ambito glottodidattico, nonché di testi per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera e materna e di altre lingue straniere.

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L&L LINGUA E LINGUE

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Studi sull’insegnamento dell’italiano e delle lingue straniere

Collana a cura di Paolo E. Balboni e Marco Mezzadri

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La collana Il nome di una collana ne sintetizza la natura, e in questo caso la titolazione è chiara. In questa collana abbiamo studi e non buone pratiche, rassegne generali, analisi di casi particolari: sono riflessioni organiche sull’insegnamento e non sulla forma, la storia, la tipologia delle singole lingue né sulla comparazione tra due o più lingue. Il progetto è quello di fornire strumenti caratterizzati da una duplice natura: -

da un lato, ricerca scientifica, finalizzata quindi all’incremento quantitativo e al perfezionamento qualitativo della conoscenza sull’insegnamento dell’italiano e delle lingue straniere (per questa ragione ogni volume passa il vaglio di un comitato scientifico di forte prestigio); - dall’altro, strumento di formazione per coloro che progettano e che conducono tale insegnamento, da chi elabora sillabi e manuali a chi li attua in una classe. Questa duplicità chiede all’autore dei volumi inclusi nella collana una cura particolare nel garantire la massima leggibilità possibile (eliminazione dei tecnicismi inutili, spiegazioni terminologiche continue, riduzione degli elementi impliciti), e chiede al lettore di ricordare che è uno dei tanti lettori impliciti, per cui in ogni pagina avrà qualcosa che riguarda direttamente i suoi interessi ma anche elementi che per lui sono di contorno – ma non per questo meno importanti se si considera l’ampiezza e la pluralità di punti di vista e degli attori che compongono quel complesso processo che chiamiamo “educazione linguistica”.

Comitato scientifico Monica Arreghini, Buenos Aires Davide Atori, Parma Paola Baccin, San Paolo, USP Paolo E. Balboni, Venezia, Ca’ Foscari Simona Bartoli-Kucher, Graz Stefano Beretta, Parma Mirela Boncea, Timisoara Cristina Bosisio, Milano, Cattolica Krimo Boussetta, Rabat Fabio Caon, Venezia, Ca’ Foscari Paola Cesaroni-Meinholtz, Erlangen e Norimberga Carmel M. Coonan, Venezia, Ca’ Foscari Daniel Coste, Lione, École Normale Lorenzo Coveri, Genova Paola Desideri, Chieti-Pescara Pierangela Diadori, Siena, Stranieri Bruna Di Sabato, Napoli, SOB

Roberto Dolci, Perugia, Stranieri Annamaria Lamarra, Napoli, Federico II Liliana Landolfi, Napoli, L’Orientale Maria Cecilia Luise, Firenze Carla Marello, Torino Patrizia Mazzotta, Bari Marco Mezzadri, Parma Joyce Nutta, Central Florida Sergio Poli, Genova Mariangela Rapacciuolo, Atene Matteo Santipolo, Padova Rita Scotti, Pola Graziano Serragiotto, Venezia, Ca’ Foscari Antonio Ventouris, Salonicco Marie-Berthe Vittoz, Torino Chiara Zamborlin, Nagoya Nives Zudic, Capodistria

I volumi della collana sono sottoposti a un processo di peer review.

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Marco Mezzadri

I nuovi ferri del mestiere Manuale di glottodidattica

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© Loescher Editore - Torino 2015 http://www.loescher.it

I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.

Direzione della collana: Paolo E. Balboni, Marco Mezzadri Coordinamento editoriale: Chiara Romerio Realizzazione editoriale e tecnica: Franco Cesati Editore - Firenze Progetto grafico: Fregi e Majuscole - Torino; Leftloft – Milano/New York Copertina: Leftloft – Milano/New York; Visualgrafika - Torino Stampa: Sograte Litografia srl – Zona Industriale Regnano 06012 – Città di Castello (PG)

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da: CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org. L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori dal proprio catalogo editoriale. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Nel contratto di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: http://www.loescher.it Ristampe 6 5 4 3 2 1 N 2020 2019 2018 2017 2016 2015 ISBN 9788820128616

Nonostante la passione e la competenza delle persone coinvolte nella realizzazione di quest’opera, è possibile che in essa siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e ringraziamo coloro che, contribuendo al miglioramento dell’opera stessa, vorranno segnalarceli al seguente indirizzo: Loescher Editore Via Vittorio Amedeo II, 18 10121 Torino Fax 011 5654200 clienti@loescher.it Loescher Editore Divisione di Zanichelli Editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato KIWA-CERMET n. 11469-A secondo la norma UNI EN ISO 9001:2008

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INDICE

Indice Introduzione 11 Percorso 1. Apprendere e insegnare la lingua straniera nella storia 1.1  1.2  1.3

1.4

1.5

Introduzione ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������  13 Apprendere e insegnare le lingue nell’antichità ���������������������������������������������������������������������������� 14 Dal Rinascimento al xix secolo ����������������������������������������������������������������������������������������������������������  15  1.3.1 Jan Amos Komensky (Comenius) (1592-1670) . . . . . . . . . . . . . . . .  17 1.3.2  La Grammatica di Port-Royal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  18 1.3.3 Il xix secolo: lo sviluppo delle due anime. . . . . . . . . . . . . . . . . .  18 1.3.3.1 Il Metodo Grammatical-traduttivo. . . . . . . . . . . . . . . . .  18 1.3.3.2   Il Movimento riformatore e il Metodo Diretto . . . . . . . . . . . . .  19 Dal xx secolo ai giorni nostri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  21 1.4.1  L’approccio strutturalistico ���������������������������������������������������������������������������������������������������������� 22 1.4.2    Chomsky ���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 23 1.4.3 La competenza comunicativa ��������������������������������������������������������������������������������������������������������� 24 1.4.4 La dimensione nozionale e funzionale ������������������������������������������������������������������������������������������� 26 1.4.5 L’Approccio Comunicativo ��������������������������������������������������������������������������������������������������������������  27 1.4.5.1 Approccio o metodo �������������������������������������������������������������������������������������������������������  27 1.4.5.2   La natura della lingua e i processi d’apprendimento �������������������������������������������������� 28 1.4.5.3  Il ruolo dello studente e del docente �������������������������������������������������������������������������������� 28 1.4.5.4  Il ruolo dei materiali ��������������������������������������������������������������������������������������������������������� 28 1.4.6 I metodi umanistici ����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 29 1.4.7  Il Natural Approach ����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 30 1.4.7.1 L’ipotesi dell’apprendimento-acquisizione ����������������������������������������������������������������������� 30 1.4.7.2 L’ipotesi del monitor ��������������������������������������������������������������������������������������������������������� 30 1.4.7.3 L’ipotesi del filtro affettivo �����������������������������������������������������������������������������������������������  31 1.4.7.4 L’ipotesi dell’input comprensibile ������������������������������������������������������������������������������������ 32 1.4.7.5 L’ipotesi dell’ordine naturale ������������������������������������������������������������������������������������������� 32 1.4.8 TPR (Total Physical Response) ����������������������������������������������������������������������������������������������������� 33 1.4.9  The Silent Way ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 33 1.4.10   Community Language Learning/Counseling Learning ������������������������������������������������������������� 33 1.4.11  La Suggestopedia ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 34 Le tendenze attuali ��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 35  1.5.1  I compiti nella didattica delle lingue: il Task-based Learning ���������������������������������������������������  37 1.5.1.1 I dispositivi didattici �����������������������������������������������������������������������������������������������������  37

Percorso 2. Le politiche linguistiche 2.1  2.2  2.3  2.4

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Le politiche linguistiche nella vita degli individui ���������������������������������������������������������������������� 41   Il Consiglio d’Europa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  42   Il Progetto Lingue Moderne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  43  Il Quadro comune europeo per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione. . . . . .  44 2.4.1 I contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  44 2.4.2  I livelli comuni di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  45 2.4.3 Oltre i livelli comuni di riferimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  49

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IIMPARARE NUOVI FERRI PER DEL COMPETENZE MESTIERE

2.4.3.1  La dimensione plurilinguistica e pluriculturale . 2.4.3.2  Le competenze generali. . . . . . . . . . 2.5    Il Portfolio Europeo delle Lingue. . . . . . . . . . . . 2.6    Tra continuità e cambiamento . . . . . . . . . . .

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Percorso 3. I dispositivi didattici 3.1    Curricolo, programma, corpora, sillabo . . . . . . 3.2    L’educazione linguistica. . . . . . . . . . . . 3.2.1 Educazione linguistica e glottodidattica . . . . . 3.3  L’impianto multisillabico. . . . . . . . . . . 3.4  L’unità didattica. . . . . . . . . . . . . . . 3.5  L’unità di apprendimento. . . . . . . . . . . 3.5.1 Una serie di UA forma un’UD. . . . . . . . . 3.6    La motivazione . . . . . . . . . . . . . . . 3.6.1 Le tecniche nella fase prima dell’esposizione al testo . 3.7  La globalità . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8      L’analisi, la riflessione e la sintesi . . . . . . . . 3.9      Il controllo (verifica, recupero e ampliamento) . . . 3.10    Lo schema della lezione . . . . . . . . . . . . 3.11    L’insegnamento modulare . . . . . . . . . . .

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Percorso 4. L’autonomia dello studente: dall’analisi dei bisogni alle strategie di apprendimento 4.1    Per iniziare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2   La motivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3     L’analisi dei bisogni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4     Gli stili d’apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5   La bimodalità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6  La Teoria delle Intelligenze multiple . . . . . . . . . . . . . . 4.7   I sistemi di rappresentazione della realtà . . . . . . . . . . . . 4.8  Autonomia di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . 4.9  Le strategie d’apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . 4.10 Abilità e tecniche di studio nel curricolo di lingua straniera . . . . . 4.11   Strumenti pratici per la valutazione e l’autovalutazione dello studente .

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5.1   Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2     I presupposti epistemologici della glottodidattica . . . . . . . 5.3      Glottodidattica e neuroscienze: mondi in contatto . . . . . . .  5.3.1 Un breve excursus storico. . . . . . . . . . . . . . . 5.4   La Teoria dell’Embodiment e l’insegnamento di una lingua straniera .

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. 105 . 105 . 108 . 109 . 114 117

Percorso 6. La gestione della classe

6

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Percorso 5. Il cervello e le lingue

6.1 6.2 6.3 6.4 6.5

50  51  52   54

Il ruolo dell’insegnante . . . . . . . . . . . . . . . . . .   La disposizione della classe e la posizione dell’insegnante . . . . .   L’autovalutazione dell’azione didattica del docente . . . . . . . .   La lingua della classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . .   I supporti didattici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.1  La lavagna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.2 Dalla lavagna luminosa alla LIM e al proiettore per computer o tablet.

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INDICE

6.5.3 L’audioregistratore o il riproduttore di documenti audio digitali . . 6.5.4 Gli oggetti (realia) . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.5 I poster didattici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.6 Le flashcard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6   Dall’individuo alla classe . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.1  L’individualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.2 Il lavoro in plenaria. . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.3 Il lavoro a coppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.4   Il lavoro a gruppi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.7   La disciplina in classe. . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.8   La classe ideale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.9.1  Le classi problematiche. . . . . . . . . . . . . . . .

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Percorso 7. I materiali didattici 149 7.1    Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2    Libro di testo o materiali preparati dall’insegnante . . . . . . . . . . . . . 7.3    Valutare i libri di testo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.1   Segreti e trappole della copertina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.2  Uno sguardo all’interno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.3  Principi generali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4    Una griglia per la valutazione dei libri per l’insegnamento di una lingua straniera . 7.5    Usare e integrare un libro di testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6    Scrivere attività didattiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Percorso 8. Le abilità linguistiche 165 8.1    Abilità ricettive e produttive . . . . . . . . . 8.2  La comprensione . . . . . . . . . . . . . 8.2.1  Come agisce l’insegnante che aiuta a comprendere. 8.2.2 Lavorare per processi . . . . . . . . . . 8.2.3 Lo studente che apprende comprendendo . . . . 8.2.4   Strumenti didattici per attivare la comprensione . 8.2.5 La pre-lettura e il pre-ascolto. . . . . . . . 8.2.6   L’esposizione al testo e le altre fasi dell’unità . . . 8.2.7 La manipolazione consapevole del testo . . . . 8.3   Ascoltare . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.1  L’ascolto nella vita reale . . . . . . . . . 8.3.2 L’ascolto in classe . . . . . . . . . . . 8.3.3 Le attività d’ascolto in una prospettiva di sillabo . 8.3.4   Le tecniche d’ascolto . . . . . . . . . . . 8.3.5 Valutare, scegliere e gestire l’ascolto. . . . . . 8.3.6 Valutare i testi d’ascolto . . . . . . . . . 8.4   Leggere. . . . . . . . . . . . . . . . . 8.4.1 I tipi di testo. . . . . . . . . . . . . 8.4.2 La pre-lettura . . . . . . . . . . . . . 8.4.3 La lettura orientativa . . . . . . . . . . 8.4.4   La lettura veloce . . . . . . . . . . . . 8.4.5 La lettura per consultazione. . . . . . . . 8.4.6 La lettura estesa. . . . . . . . . . . . 8.4.7  Leggere le parole difficili. . . . . . . . . 8.4.8   Le tecniche di lettura . . . . . . . . . . 8.4.9  Valutazione delle attività e dei testi di lettura . .

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IIMPARARE NUOVI FERRI PER DEL COMPETENZE MESTIERE

8.5    Parlare . . . . . . . . . . . . . . . . 8.5. 1 La lingua scritta e la lingua orale . . . . . 8.5.2 La gestione delle attività di produzione orale . 8.5.3 Le tecniche di produzione orale. . . . . . 8.5.4 La valutazione della produzione orale . . . . 8.6    Scrivere. . . . . . . . . . . . . . . . 8.6.1 Le caratteristiche della lingua scritta. . . . 8.6.2 Le tecniche di produzione scritta . . . . .

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. 209 . 211 . 213 . 214 . 222 . 224 . 226 . 228

Percorso 9. Insegnare la grammatica 231 9.1    La grammatica e la glottodidattica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 9.1.1  I metodi formalistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232 9.1.2 La stagione dello Strutturalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 9.1.3 La reazione cognitivista. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 9.1.4 La Teoria Costruttivista. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234 9.1.5 L’interferenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234 9.1.6   Acquisizione e apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234 9.1.7  Grammatica implicita o esplicita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 9.1.8   Grammatica pedagogica ed essenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236 9.2   Il ruolo della metalingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239 9.2.1 Insegnanti e studenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240 9.2.2   Dall’insegnamento della grammatica alla riflessione sulla lingua . . . . . . . . . 242 9.3 Le tecniche per l’insegnamento della grammatica. . . . . . . . . . . . . . . 243 9.4   Autovalutarsi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 246 Percorso 10. Insegnare il lessico 249 10.1 Il lessico e la glottodidattica . . . . . . . . . . 10.2 Il lessico e la memoria. . . . . . . . . . . . . 10.3 La grammatica del lessico. . . . . . . . . . . 10.3.1 Connotazione e denotazione . . . . . . . . . 10.4 Le tecniche per l’insegnamento del lessico . . . . . 10.5 Le tecniche per favorire la memorizzazione del lessico .

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Percorso 11. Insegnare la fonologia 261 11.1   Fonetica o fonologia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 La fonologia in classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2.1 Le attività. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.3 La trascrizione dei suoni: l’Alfabeto fonetico internazionale (IPA). 11.4 La correzione della pronuncia. . . . . . . . . . . . . . .

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. . 261 . 262 .  264 . . 266 . . 267

Percorso 12. La correzione degli errori 269

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12.1 Un’introduzione umanistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  269 12.2 La natura dell’errore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  270 12.2.1  L’interlingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 12.2.2 Errore o sbaglio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272 12.2.3 Tipologie di errore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 12.2.4 Livelli d’errore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274 12.3 La correzione dell’errore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274 12.3.1 Il feedback . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275 12.3.2 La correzione degli errori è una perdita di tempo? . . . . . . . . . . . . . . . 276

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INDICE

12.3.3 Quando correggere?  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276 12.3.4 Come correggere? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277 Percorso 13. La valutazione e il testing linguistico 283 Verifica e valutazione in un’ottica umanistico-affettiva . 13.1.1  Verifica vs valutazione . . . . . . . . . . . 13.1.2  Valutazione formativa e sommativa . . . . . . . Test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2.1  Requisiti di un test . . . . . . . . . . . . Le tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . Cosa testare . . . . . . . . . . . . . . . . . Prima, durante e dopo il test . . . . . . . . . . . 13.5.1  Prima del test . . . . . . . . . . . . . . 13.5.2 Durante il test. . . . . . . . . . . . . . 13.5.3 Dopo il test. . . . . . . . . . . . . . .

13.1 13.2 13.3 13.4 13.5

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283 285 286 287 289 290 297 298 298 298 299

Percorso 14. Lingua e cultura 301 14.1 14.2 14.3 14.4 14.5 14.6

Alcune definizioni. . . . . . . . . . . . . . . . . .    L’insegnamento della cultura . . . . . . . . . . . . . .   La prospettiva del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue .  Dalla competenza comunicativa alla competenza interculturale .  Dallo stereotipo al sociotipo: una proposta glottodidattica . . .   La cultura con la C maiuscola . . . . . . . . . . . . . .

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. 301 . 303 . 304 . 305 . 308 . . . . . . . . . 311

Percorso 15. Studiare in lingua straniera 313 15.1   Il bilinguismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2 L’educazione bilingue . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3 Il Content and Language Integrated Learning (CLIL) . . . . . . .  15.3.1 Le competenze BICS e CALP . . . . . . . . . . . . 15.3.1.1 Le competenze BICS e CALP e gli studenti L2 in Italia . 15.3.2 L’interdipendenza tra le lingue e la Teoria delle Soglie . . . . 15.3.3 Vantaggi e svantaggi del CLIL . . . . . . . . . . . . 15.4 La lingua dello studio. . . . . . . . . . . . . . . . .

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. 313 . 315 318 . 322 . 326 . 326 . 328 . 330

Percorso 16. Insegnare le microlingue 333 16.1   Una questione di termini?. . . . . . . . . . . . . . . 16.2  Le caratteristiche della microlingua e del testo microlinguistico . 16.3 La microlingua in classe . . . . . . . . . . . . . . . . 16.3.1   Il modulo di microlingua. . . . . . . . . . . . . . 16.3.2 Verifica e valutazione . . . . . . . . . . . . . . . 16.3.3 L’unità di apprendimento di microlingua . . . . . . . . 16.4   L’insegnante ideale di microlingua . . . . . . . . . . . . 16.5 I materiali per l’insegnamento delle microlingue . . . . . .

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. . . 333 . . . 334 . . . 337 . . . 338 . . 340 . . . 341 . . . 343 . . . 344

Percorso 17. Imparare giocando 347 Una metodologia ludica . . . . . . . . . 17.1.1   Il gioco e gli studenti adulti. . . . . . 17.1.2   Una didattica basata sul problem-solving . 17.2  Le caratteristiche dei giochi didattici. . . . 17.2.1   L’insegnante. . . . . . . . . . .

17.1

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. . 347 . 348 . . 349 . . 350 . 350

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IIMPARARE NUOVI FERRI PER DEL COMPETENZE MESTIERE

17.3 17.4 17.5 17.6 17.7 17.8

17.2.2 Lo studente . . . . . . . . . . 17.2.3 Giochi competitivi o collaborativi?. . .  Quando usare i giochi in classe . . . . .  Come costruire attività didattiche ludiche .   Insegnare la grammatica giocando. . . .  Simulazioni e giochi di ruolo . . . . . .   Cruciverba, puzzle e affini. . . . . . .  La multimedialità e il gioco didattico . . .

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Percorso 18. Glottodidattica e tecnologie

. 350 . 351 . 351 . 353 . 354 . 357 . 359 . 364 367

18.1   Le Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e l’insegnamento della lingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 18.2 Internet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369 18.2.1 Vantaggi e svantaggi dell’uso di Internet nell’insegnamento delle lingue . . . . . . . 369 18.2.2 L’alfabetizzazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 372 18.2.3 Le strategie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 18.2.4 L’insegnante ai tempi di Internet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375 18.3  Se le tecnologie non sono più nuove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377 18.3.1  L’ipertesto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377 18.3.2 La ricerca nel web: i motori di ricerca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 378 18.4  Internet e telematica in classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 378 18.4.1 La webquest. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381 18.4.1.1  Una definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382 18.4.1.2 Il procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383 18.4.1.3 L’introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383 18.4.1.4 Il compito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383 18.4.1.5  Il procedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 18.4.1.6 La valutazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 18.4.1.7  La conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385 18.4.1.8 Le pagine del docente e i ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . 385 18.4.1.9 La lingua della webquest. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385 18.5  Il software didattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 385 18.5.1 La valutazione del software didattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 386 18.6  I programmi autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388 18.7     Il videoregistratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389 18.7.1  Le tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391 18.7.1.1 Prima della visione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391 18.7.1.2 Durante e dopo la visione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392 18.7.2 I materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 395 Bibliografia di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INTRODUZIONE

Introduzione

Negli ultimi anni la glottodidattica sta riscuotendo un interesse via via crescente che in Italia si è tradotto in un fiorire di iniziative di formazione gestite da molteplici attori: dal ministero alle università, dalle scuole statali, agli enti di formazione professionale. Il mondo accademico ha anch’esso risposto con l’aumento dei docenti impegnati nelle università in questa disciplina. Nemmeno l’editoria è rimasta insensibile al fenomeno e ha pubblicato numerosi manuali di glottodidattica e testi specifici inseriti in prestigiose collane appositamente create. Questo testo si rivolge al pubblico degli insegnanti di lingua straniera, in particolare di italiano a studenti stranieri in Italia e all’estero. A questi docenti o futuri docenti, in formazione o in servizio, ma senza una preparazione di base, il testo intende fornire strumenti pratici accompagnati da riflessioni teoriche per affrontare in maniera consapevole e autonoma la professione del docente. La proposta è quella di uno strumento pratico che può essere impiegato sia per l’autoapprendimento e l’autoformazione, sia in corsi di metodologia. È suddiviso in percorsi che toccano le aree più rilevanti della pratica dell’insegnamento. Tutti i percorsi sono caratterizzati da momenti di coinvolgimento e di interazione con il lettore prima, durante e dopo l’accostamento al testo, perché, come insegniamo ai nostri studenti, si impara facendo. Si tratta di attività che portano a creare le condizioni per meglio comprendere e assimilare i contenuti dei percorsi o di domande che trovano risposta solitamente lungo il percorso o nella riflessione sull’esperienza personale del lettore in quanto insegnante, in servizio o in formazione, o studente di lingue. I segmenti del testo sono definiti percorsi per sottolineare il fatto che ogni parte accompagna il lettore fino alla meta costituita dagli obiettivi formativi proposti. Ogni percorso risulta autonomo, ma collegato agli altri attraverso continui rimandi e riflessioni che guardano alla formazione del docente non per capitoli e scatole chiuse, ma come frutto di un sistema reticolare. Così il lettore incontrerà argomenti teorici di riferimento e rimandi alla pratica dell’insegnamento ripresi e trattati sotto angolature differenti all’interno dei vari percorsi, nel rispetto di uno dei principi fondamentali della glottodidattica: l’Approccio a Spirale.

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IIMPARARE NUOVI FERRI PER DEL COMPETENZE MESTIERE

La trattazione degli argomenti avviene in maniera semplice lasciando ampio spazio agli aspetti pratici dell’insegnamento della lingua straniera e integrando gli apporti teorici al discorso che si va sviluppando sulla pratica didattica. La bibliografia segnalata alla fine di ogni percorso offre l’occasione per gli approfondimenti che il lettore riterrà necessari. Così come è essenziale il modo di avvicinare la teoria all’interno del testo, anche la bibliografia viene limitata a suggerimenti ritenuti indispensabili per un approfondimento autonomo. Lo stesso atteggiamento è stato adottato nel caso delle citazioni che sono state ridotte al minimo a voler sottolineare il carattere pratico del testo e la convinzione che all’insegnante di lingua occorra avere non solo una solida preparazione teorica, ma anche un’altrettanto affidabile capacità di gestire la pratica dell’insegnamento in maniera globale, cioè con gli strumenti adatti per affrontare i vari ambiti della didattica. Introduzione alla nuova edizione Dodici anni sono lunghi. È il tempo che separa questa nuova edizione dalla prima edizione dei Ferri del mestiere. Il mondo è cambiato nel profondo e non solo perché dal 2003 a oggi abbiamo assistito a un cambiamento sostanziale negli equilibri mondiali, ma anche perché i contesti educativi hanno dovuto fare i conti con nuove richieste molto pressanti. Il pubblico interessato all’apprendimento delle lingue straniere si è diversificato, così come i contesti d’uso delle lingue. Sempre più si tratta di esperienze che abbinano l’apprendimento formale di una lingua (a scuola, all’università, ecc.), a quello informale (oggi sempre più possibile grazie alle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione e al livello crescente di mobilità delle persone). Dunque, questo manuale ha dovuto adattarsi e spostare il proprio focus dall’insegnamento delle lingue all’acquisizione delle lingue, con riflessioni maggiori e profondamente rivedute di tipo neuroscientifico e legate alle discipline che studiano la mente, oltre a incursioni nel variegato mondo del bilinguismo e dell’insegnamentoapprendimento attraverso una lingua veicolare. Le tendenze in atto, non solo in Italia, con uno spostamento dell’enfasi dai contesti educativi formali a quelli informali, hanno portato anche a fare il punto in maniera più logica e coerente sulle linee di sviluppo della glottodidattica nel corso dei secoli. Dal passato, possono venire stimoli per affrontare in modo più consapevole i corsi e i ricorsi storici che anche nell’ambito della didattica delle lingue si evidenziano. Da ultimo, il volume, il cui impianto rimane inalterato per quanto riguarda la possibilità di riflettere sulle aree principali della glottodidattica con un’ottica di tipo sia teorico che pratico, si arricchisce di considerazioni sulle politiche linguistiche che mai come in questi ultimi decenni stanno condizionando le scelte di insegnanti e studenti.

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PERCORSO 1. APPRENDERE E INSEGNARE LA LINGUA STRANIERA NELLA STORIA

Percorso 1.

Apprendere e insegnare la lingua straniera nella storia

1.1 Introduzione Secondo lei, nel corso della storia dell’umanità l’apprendimento di una lingua straniera è stata più frequentemente basata sullo studio formale della grammatica (la morfosintassi) o sull’uso della lingua per scopi comunicativi? E nella sua vita di studente?

La scelta di aprire questo volume con una riflessione di tipo storico è stata dettata da diverse ragioni. In primo luogo, gli ultimi quindici anni, che coincidono con l’inizio del millennio e sono lo spazio temporale che separa la nuova edizione di questo testo dalla prima, hanno sancito modifiche profonde nel mondo dell’apprendimento-insegnamento delle lingue. Si tratta di modifiche,su cui avremo modo di riflettere in questo e in altri percorsi del libro, legate a dinamiche spesso non generate dal mondo della ricerca glottodidattica. A partire dall’inizio degli anni Duemila il mondo ha conosciuto un’evoluzione senza precedenti per quanto attiene alla possibilità di trasmissione dei dati per via telematica e alla gestione dell’informazione in mobilità. Ciò ha permesso di modificare nel profondo le opportunità e le abitudini comunicative di miliardi di esseri umani. Nel 2000 l’idea di social network era solo un concetto con pochissime realizzazioni sperimentali e il termine stesso non era stato ancora coniato. Oggi lo scenario è ben diverso, al punto da avere ricadute significative sui processi di apprendimento delle lingue straniere: se da un lato le potenzialità della comunicazione permettono di aprirsi a esperienze informali di apprendimento linguistico, dall’altro, nel caso di apprendenti migranti, esse incoraggiano e favoriscono percorsi di permanenza all’interno della cultura e della lingua di provenienza, con i vantaggi e gli svantaggi che ciò può generare nei processi di acquisizione di una L2, cioè della lingua straniera parlata nell’ambiente in cui l’apprendente vive. Dunque, sono cambiate le dinamiche relazionali tra l’apprendimento formale, in ambito scolastico, universitario o educativo in senso lato e l’apprendimento informale, legato all’esposizione a una lingua attraverso modalità diverse. Della necessità di mettere in relazione i due ambiti, formale e informale, dell’apprendimento lingui-

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IPICCOLA NUOVI FERRI ECOLOGIA DEL MESTIERE DEGLI STUDI LETTERARI

stico si era accorto il Consiglio d’Europa che, a seguito di un fondamentale simposio tenutosi a Rüschlikon nel 1991, lanciò contemporaneamente il percorso di ricerca che portò dieci anni dopo, in occasione dell’anno mondiale delle lingue, alla pubblicazione della versione definitiva in inglese e francese del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (d’ora in poi Quadro) e del Portfolio Europeo delle Lingue (PEL)1. Quest’ultimo documento mira a fornire la possibilità di registrare gli apprendimenti linguistici lungo tutto l’arco della vita, permettendo al discente di riflettere sul percorso in atto e programmando gli obiettivi di sviluppo del proprio apprendimento (cfr. Paragrafo 2). Ma è cambiato il mondo in generale,con la ridefinizione degli equilibri geopolitici ed economico-finanziari che hanno portato a riconsiderare profondamente sia le scelte educative su un piano individuale – fenomeno testimoniato, ad esempio, dall’aumento a livello mondiale dell’interesse verso lingue, come il cinese o il russo, di paesi oggi in forte espansione – sia le scelte attinenti a una sfera collettiva, legate ad esempio alle politiche linguistiche (cfr. Percorso 2) in Europa. Come spesso avviene, le scelte di tipo educativo rispondono a necessità di altro genere e assecondano bisogni culturali ma anche sociali, ecco allora che i flussi migratori profondamente mutati negli ultimi anni hanno reso diverso lo scenario generale, con l’Italia tornata a essere un paese da cui si parte e non solo a cui si arriva. Imparare una lingua per poter vivere, studiare o lavorare in maniera qualificata nel paese dove essa è parlata comporta dei cambiamenti rilevanti non solo nel modo di utilizzare le competenze linguistico-comunicative, ma anche nel modo di acquisirla, dunque di insegnarla. Così, negli ultimi anni, la glottodidattica si è occupata sempre più di apprendimento-insegnamento di una lingua per l’utilizzo veicolare (lingua per lo studio, CLIL), proprio per rispondere a questi nuovi bisogni. Queste grandi trasformazioni dei contesti, qui solo accennate, presuppongono una capacità d’analisi e una lucidità che sono ben racchiuse in due caratteristiche che il Quadro enfatizza sia riguardo ai sistemi educativi che alle competenze dei docenti: coerenza e consapevolezza, la seconda in qualche modo legata alla prima da un nesso di causa-effetto. A livello didattico, tanto il docente quanto lo studente possono trarre ispirazione dalla storia per migliorare la propria consapevolezza sui processi di apprendimento e di insegnamento di una lingua straniera. Scopo di questo percorso non è, dunque, l’approfondimento della storia della glottodidattica, ma la crescita nel lettore della consapevolezza sui grandi temi, sui fili rossi che attraversano i secoli e ci hanno portato a interpretare questa disciplina nei modi proposti in questo volume. Per una più approfondita disanima degli argomenti di tipo storico rimandiamo a Titone (1980), Pichiassi (1999) e Richards (2014).

1.2 Apprendere e insegnare le lingue nell’antichità Come ricorda Titone (1980, p. 17), lo studio teorico non è ciò che contraddistingue l’apprendimento di una lingua straniera nell’antichità, anche se non mancano tentativi di organizzazione della conoscenza delle lingue in grado di creare un sistema di riferimento per la loro descrizione. È il caso della grammatica del sanscrito 14

1 http://www.coe.int/t/dg4/education/elp/Default_en.asp

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PERCORSO 1. APPRENDERE E INSEGNARE LA LINGUA STRANIERA NELLA STORIA

dell’indiano Pāṇini risalente a circa duemilacinquecento anni fa, testo in grado di proporre una descrizione della lingua sanscrita destinata a nativi per un approfondimento della propria madrelingua. Dai Sumeri, indicativamente in un’epoca coeva, ci pervengono tracce importanti di un passaggio dall’insegnamento della lingua madre – in particolare per permettere agli scribi di sviluppare competenze nella scrittura cuneiforme – alla didattica della lingua a stranieri. Con la conquista degli Accadi, i Sumeri sono spinti a realizzare i primi dizionari (ivi, p. 19) a noi noti, per poter insegnare ai conquistatori la lingua sumera, espressione di una cultura dotata di una ricca tradizione letteraria. Anche lo studio degli antichi Egizi ha svelato un mondo ricco di contatti tra le lingue e di tentativi di facilitare le relazioni attraverso strumenti multilingui, come la relativamente moderna (ii sec. a.C.) Stele di Rossetta. Nello stesso periodo, tra il ii e il i secolo a.C., opera Dionisio Trace, filologo e grammatico, stoico, considerato a lungo l’autore dell’Ars Grammatica (cfr. Sgarbi, 2004, pp. 35-42), un trattato che propone una visione elaborata e matura della tradizione linguistica greca in cui viene indicata una codificazione della grammatica nei termini che ancora oggi utilizziamo. Ad esempio, la morfologia delle parole di una lingua viene descritta attraverso una suddivisione in otto parti del discorso: sostantivo, aggettivo, verbo, articolo (e pronome relativo), pronome, avverbio, preposizione e congiunzione. La compresenza in diverse epoche dell’età antica di elementi di analisi linguistica e di più pratiche e consuete inclinazioni all’uso della lingua straniera dettate dal contatto tra le culture, non modifica nel profondo una tendenza che rimane dominante: quella dell’apprendimento diretto, per immersione. Pichiassi (1999, p. 34) afferma che «il mondo antico, occidentale ed orientale, ci appare, dal punto di vista linguistico, pluralistico, anche se ciò non poteva eliminare il fatto che alcune lingue, per il loro prestigio culturale o per il peso politico del popolo che le parlava, finissero per prevalere sulle altre, come è stato per il latino». Il latino, per l’appunto, è la lingua dei dominatori romani che tanto devono sul piano culturale ai Greci. Il bisogno di competenze comunicative importanti in greco spinge i patrizi romani a far educare i propri figli nella lingua straniera attraverso un’immersione diretta, grazie alla presenza fin dalla più tenera età di figure greche nella vita del bambino. Il giovane, poi, è portato a proseguire questo percorso di educazione bilingue negli anni dell’alfabetizzazione e della formazione a scuola. I lunghi secoli di supremazia romana portano la lingua latina a essere la lingua della comunicazione internazionale, anche durante il Medioevo dopo l’epoca delle grandi migrazioni a seguito della crisi e della susseguente caduta di Roma, quando a muoversi e a entrare in contatto con altre lingue e culture sono porzioni molto più ridotte della popolazione, quanto meno in Europa.

1.3 Dal Rinascimento al xix secolo Fino al Rinascimento il latino è insegnato in maniera diretta in quanto lingua parlata nel mondo della cultura per la comunicazione internazionale, sia attraverso l’oralità, che mantiene il primato, sia attraverso la lettura e la scrittura. In seguito, l’affievolirsi del ruolo del latino come lingua della comunicazione internazionale, l’affermarsi dei volgari, con le conseguenti necessità di studiarne la struttura e di

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arricchirli per un uso di tipo culturale e scientifico, e il rinnovato interesse verso i testi classici fanno fiorire studi di tipo filologico e linguistico: è l’inizio di una nuova epoca, contraddistinta da un atteggiamento nei confronti del latino come lingua morta da studiare sui libri di grammatica e con i dizionari. I volgari nati dal latino e le altre lingue moderne possono contare su una vitalità ben diversa. Da un lato a partire dalla metà circa del xv secolo si comincia a compilare grammatiche dei volgari, ad esempio per la lingua italiana la Grammatichetta di Leon Battista Alberti (1434-1438) basata sull’uso del fiorentino parlato e diversa dalle posteriori grammatiche scritte sulla scia delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo che si fondano sulla lingua letteraria degli autori del Trecento. Dall’altro lato l’insegnamento delle lingue “vive” come lingue straniere continua a essere caratterizzato da un atteggiamento metodologico definito «pratico» ed è finalizzato allo sviluppo di competenze per «cavarsela nelle normali circostanze della vita quotidiana» (Titone, 1980, p. 24), senza riferimenti alla grammatica o alla letteratura. Dunque, le lingue come il francese, soprattutto, e successivamente anche l’inglese, devono essere apprese per contatto diretto prevalentemente con parlanti madrelingua (balie, personale di servizio, istitutori) o durante i viaggi. Questa prospettiva mette al centro l’oralità, in particolare l’ascolto. L’ascolto è seguito da attività di ripetizione e imitazione, senza che i significati vengano completamente chiariti. L’uso della lingua madre dell’allievo è evitato e il ricorso a testi scritti sporadico. L’errore non è motivo di preoccupazione per l’allievo in quanto l’insegnante incoraggia l’uso della lingua e non l’accuratezza grammaticale. La grammatica viene appresa attraverso l’uso, sostenuto, quando necessario, da manuali di conversazione (cfr. Lehmann, 1904 e Klippel, 19942). Il quadro che stiamo delineando determina una polarizzazione, con due tendenze opposte della glottodidattica: una che vede l’allievo oggetto di un insegnamento basato sul contatto diretto e l’immersione nella lingua, l’altro che comporta lo studio della lingua attraverso un approccio alla grammatica totalizzante. Borello (1991, p. 4) definisce le opinioni di molti autori compresi tra il xvi e il xviii secolo «sorprendentemente moderne». In questa sede non è possibile proporre un excursus più amplio, pertanto rimandiamo ai lavori dello stesso Borello (1991), Titone (1980) e Pichiassi (1999) per approfondimenti e per cogliere l’approccio al tema proposto dalla glottodidattica italiana. Tuttavia, proponiamo di osservare almeno alcune delle idee e opinioni di uno dei maggiori pedagogisti del xvii secolo, Jan Amos Komensky (Comenius) come esempio di un atteggiamento verso lo studio delle lingue che si è portati troppo spesso a considerare patrimonio esclusivo dei nostri tempi, schiacciati come si è sotto il peso del Metodo Grammatical-traduttivo, percepito come l’unica tradizione.

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Mentre il volume di Lehmann presenta osservazioni ad ampio spettro sulla didattica delle lingue moderne nel xvii e xviii secolo, il secondo lavoro propone un approfondito studio sulla manualistica dell’inglese in ambito tedesco, ma permette di cogliere molto chiaramente le dinamiche dello sviluppo della glottodidattica dei secoli xviii e xix. Entrambi i testi consentono, a titolo d’esempio, di cogliere meglio la complessità dei temi trattati e la ricchezza dei materiali disponibili e permettono al lettore di andare oltre una trattazione, in questa sede, necessariamente stringata e finalizzata.

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1.3.1 Jan Amos Komensky (Comenius) (1592-1670) Nella sua opera tradotta in latino con il titolo Didactica Magna (1638), Comemius dedica una riflessione all’insegnamento delle lingue che considera non come «erudizione o saggezza» ma come mezzi per acquisire e trasmettere conoscenza. Questa prospettiva pratica porta a scegliere con attenzione le lingue da studiare, che devono essere soltanto quelle necessarie: la lingua madre e il latino, le sole da imparare in modo approfondito, il greco e l’arabo per filosofi e medici e l’ebraico per i teologi, oltre alle lingue vive, in particolare quelle dei paesi confinanti con il proprio. Ognuna di queste lingue deve essere appresa separatamente e assegnandole il tempo necessario, stimato in tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza per la madrelingua e un anno per ogni lingua moderna. Al latino, invece, Comenius accorda due anni. L’apprendimento di una lingua, sia essa la lingua madre o una lingua straniera, deve avvenire attraverso l’unione tra la parola e l’oggetto che essa descrive. Ciò comporta che lo studio della lingua e lo sviluppo della conoscenza del mondo procedano di pari passo, «perché formiamo uomini e non pappagalli». Alla base, dunque, vi è l’idea che l’essere umano abbia la possibilità di apprendere bene ciò che è stato percepito con i sensi, in particolare con la vista. Questa scelta metodologica implica una ridefinizione delle parole oggetto di studio: per Comenius i dizionari e i glossari sono ottimi strumenti per orientarsi nei termini meno diffusi. Ne consegue, tra l’altro, che oggetto della didattica delle lingue sono inevitabilmente temi e ambiti lessicali in grado di suscitare l’interesse del discente, il quale va condotto ad apprendere in maniera graduale: «dobbiamo insegnare ai bambini a camminare, prima di insegnar loro a ballare». La scelta di inserire l’insegnamento e l’apprendimento della lingua in un contesto legato alla scoperta dell’ambiente su cui si basa la conoscenza presuppone una concezione del discente come soggetto attivo nei processi di acquisizione, che partecipa alla propria formazione coinvolgendosi attraverso i sensi e la motivazione ad apprendere. Per raggiungere tale scopo, secondo Comenius, occorre promuovere la pratica e relegare lo studio delle regole a una funzione sussidiaria di assistenza e di rinforzo della conoscenza derivata dalla pratica. La pratica linguistica consiste nell’«ascoltare, leggere, rileggere, copiare, imitare con la mano e la lingua, e facendo questo il più frequentemente possibile». Lo studio della grammatica dedicato solo a regole «di natura alquanto semplice» mira a evidenziare le differenze tra la lingua oggetto di apprendimento e la lingua conosciuta dallo studente. In due opere posteriori, Methodus linguarum novissima (1648) e Orbis sensualium pictus (1658) l’esperienza sensoriale viene ancor più enfatizzata. Come ricorda Titone (1980, p. 32), Comenius sviluppa in maniera «più pratica e precisa» «il ricorso all’esperienza sensoriale come punto di partenza intuitivo per l’insegnamento», in particolare concentrandosi sul ruolo delle immagini nella didattica, attraverso le illustrazioni nei manuali. La dimensione esperienziale risulta essere uno degli elementi più avvincenti e moderni del pensiero di Comenius che riprendiamo in altri percorsi di questo libro, in particolare quando affrontiamo il delicato rapporto tra la glottodidattica e le neuroscienze, tema di scottante attualità.

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1.3.2 La Grammatica di Port-Royal Il Monastero di Port-Royal, nella regione di Parigi, è il centro da cui si sviluppano studi sulla grammatica che influenzano la linguistica fino al xx secolo. Grammaire générale et raisonnée (1660) è il titolo dell’opera, fondata su principi razionalisti certesiani, scritta dai due massimi esponenti di questa scuola di pensiero, C. Lancelot, A. Arnauld, con il contributo di P. Nicole. In questo testo gli autori tentano di stabilire i tratti universali delle lingue, quindi «di scoprire quella grammatica unitaria che sta sotto le singole grammatiche di lingue diverse nella loro funzione di comunicare il pensiero, che a sua volta contiene percezioni, giudizi, ragionamenti». (Borello, 1991, p. 11). Quest’atteggiamento verso la grammatica spinge N. Chomsky (cfr. Cartesian Linguistics: A Chapter in the History of Rationalist Thought, 1966) a rivalutare il lavoro dei grammatici di Port Royal. La suddivisione delle parole rimane quella classica, in nove parti secondo il modello di Prisciano (vi secolo d.C.), che permette di cogliere e descrivere le regole di funzionamento, ma la grammatica viene inserita in strutture logiche fondate sulla semantica delle parole. Al centro dell’attenzione i grammatici di Port Royal non pongono il greco o il latino ma il francese e le altre lingue vive. La loro influenza è fondamentale nel determinare un interesse verso la grammatica come espressione logica che in ambito didattico determina lo sviluppo da un lato di metodi basati sullo studio delle regole della lingua come modo per apprenderla e dall’altro di atteggiamenti didattici che vedono nella riflessione sulla grammatica una maniera per sviluppare le competenze logiche dei discenti. 1.3.3 Il xix secolo: lo sviluppo delle due anime L’oscillare tra un’anima e l’altra della didattica delle lingue continua nell’arco dei secoli e caratterizza la storia anche del xix secolo. 1.3.3.1 Il Metodo Grammatical-traduttivo

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Agli inizi dell’Ottocento, in ambito germanico, si consolida la corrente metodologica che porta alla nascita del metodo definito grammatical-traduttivo, le cui caratteristiche, ben riassunte nella denominazione, si percepiscono in modo immediato osservando i libri di testo di autori di questa corrente. Scrive Titone (1980, p. 60): «gli autori di libri di testo dell’Ottocento si preoccupavano anzitutto di codificare la lingua straniera in regole fisse di morfologia e sintassi, che andavano spiegate e, alla fine, apprese a memoria. Il lavoro orale era assolutamente ridotto al minimo, mentre si trovava, quasi come appendice alle regole, una manciata di esercizi scritti a caso». I libri di testo di Johann Heinrich Seidenstücker rappresentano il prototipo di questa tendenza. Essi influenzarono, ancora nel Novecento, i manuali pubblicati in diversi contesti geografici, tra cui quello italiano. Consideriamo a titolo d’esempio il percorso dedicato all’uso dei tempi dell’indicativo (Seidenstücker, Wahlert, 1829, pp. 41-54) nell’Elementarbuch der französischen Sprache: dopo alcune pagine di descrizione, in tedesco, dell’impiego nella lingua francese dei diversi tempi dell’indicativo caratterizzata da una spiegazione sull’uso e da una frase d’esempio in francese subito tradotta in modo letterale in tedesco, Seidenstücker propone brani in francese da tradurre in tedesco di notevole lunghezza e complessità, nonché di argomento nella maggior parte dei casi non collegato all’esperienza dei discenti. I testi in francese

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sono alternati a brani in tedesco da trasporre in francese. Il contenuto di questi testi è ben rappresentato dal seguente esempio (p. 52): «Le cheval favori de Tsi, Empereur de la Chine, étant mort par la négligence de l’écuyer, l’Empereur en colère voulut percer cet officier de son épée». Alla fine del volume si trovano un glossario posto in sequenza secondo l’ordine dei testi da tradurre inseriti nelle sezioni precedenti. La sezione porta un titolo eloquente: Wörter zu den Aufgaben, “Parole per i compiti”. Lo scopo finale dell’apprendimento linguistico è permettere agli studenti di leggere testi letterari, coinvolgendoli in percorsi di educazione o, forse meglio, di addestramento logico. Questo avviene attraverso la presentazione dettagliata delle regole morfosintattiche, soprattutto, tramite lo studio delle regole e la successiva traduzione di frasi e testi più complessi per l’applicazione delle stesse. Il programma di studio è fondato sulle parti del discorso e sulla sintassi della lingua. Il lessico, del tutto secondario data l’illusione che la lingua possa essere appresa, viene memorizzato attraverso strumenti di supporto come il glossario sopra descritto. Nel tempo la tendenza è stata quella di sostituire progressivamente il testo con la frase, unità minima per la pratica linguistica, in quanto il primo è considerato troppo complesso. Questo approccio tende a fissare le forme linguistiche sul piano morfo-sintattico congelando la lingua e riducendo al minimo qualsiasi possibilità creativa da parte del discente. La grammatica, da questo punto di vista, risulta essere il miglior appiglio per la creazione di contenitori in cui racchiudere forme fisse e immutabili. Il lessico, invece, presuppone una flessibilità nella gestione della creatività del discente e competenze linguistiche di livello decisamente superiore a quelle di cui spesso dispongono gli insegnanti, almeno in quell’epoca. Erede di Seidenstücker, Karl Plötz ha un ruolo da protagonista nella didattica delle lingue moderne, in particolare del francese, e influenza diverse generazioni a venire. Una descrizione del credo didattico di Plötz e un’aspra critica sono presenti già all’inizio del Novecento nel testo di Bahlsen The teaching of modern languages (1905, pp. 9-13). 1.3.3.2 Il Movimento riformatore e il Metodo Diretto Wilhelm Viëtor (1850-1918) è uno degli esponenti più influenti del Movimento riformatore che a partire dagli anni Ottanta del xix secolo inizia una battaglia culturale a sostegno di un rinnovamento della didattica delle lingue moderne tendente a porre alla base della formazione la lingua parlata. Questa volontà riformatrice è la conseguenza del mutato scenario socio-economico che verso la metà dell’Ottocento rende possibile l’aumento delle opportunità di comunicare per gli europei creando una forte richiesta di competenze orali nelle lingue straniere (cfr. Richards, 1986, p. 5). Plötz, in quanto incarnazione di un atteggiamento didattico da superare, viene aspramente criticato in diversi lavori di Viëtor come il volumetto, quasi un manifesto, Der Sprachunterricht muss umkehren! (1905). Porre al centro la lingua parlata comporta una forte sottolineatura delle competenze orali del docente, il quale deve possedere una padronanza della lingua simile a quella di un nativo, ma significa anche stravolgere l’ordine di importanza: al primo posto non vi è più la forma per uno studio linguistico pressoché fine a se stesso, bensì i significati che la lingua trasmette oralmente, perché «una lingua non si compone di parole, ma di gruppi di parole, o «strutture di discorso» (speech patterns), di frasi che significano qualcosa». (Mallison, 1957, citato

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in Titone, 1980, p. 74). Di conseguenza, il lessico non deve più essere memorizzato attraverso elenchi di parole e l’approccio alla grammatica deve essere non deduttivo, attraverso la spiegazione ex cathedra del docente, ma induttivo, basato sulla scoperta delle regole tramite l’esposizione alle stesse nei contesti di utilizzo. Inoltre le regole devono essere prima praticate in contesto e poi insegnate in maniera esplicita. Questo andamento dalla grammatica implicita all’esplicita costituisce un atteggiamento metodologico quanto mai moderno (si veda il Percorso 9 dedicato alla grammatica). Al contrario di quanto avviene con Plötz,Wilhelm Viëtor e i fonetisti, come Henry Sweet (1845-1912) e Paul Passy (1859-1940), ricevono da parte di Bahlsen (1905, pp. 1934) un trattamento di grande simpatia e apertura, contrassegnato dalla speranza di un effettivo e duraturo rinnovamento della didattica delle lingue moderne fondato sulla centralità delle abilità orali nell’apprendimento linguistico. Tuttavia, i pericoli avvertiti in una proposta che apre alla diversità delle pronunce, come conseguenza della centralità dell’oralità, «quasi un attentato alla purezza e alla stabilità della lingua» (Cambiaghi, Milani, Pontani, 2005, p. 139), fanno sì che si giunga «alla eliminazione progressiva della sostanza sonora, e quindi della variazione fonetica, a vantaggio di un processo di astrazione che corrisponde all’avvento della fonologia e dello strutturalismo» (ibidem). Lo spessore scientifico di molte scelte metodologiche ed esperienze didattiche nei secoli di cui stiamo trattando non è certo comparabile a quanto oggi consideriamo necessario nella glottodidattica, così come in altre scienze. I risvolti pratici di opzioni come quelle indicate da Comenio o dal Movimento riformatore sono spesso il frutto di constatazioni legate ai risultati dello studio attraverso altri metodi – si veda la critica di Viëtor al Metodo Grammatical-traduttivo – o di esperienze d’apprendimento per immersione o ancora di osservazioni su come in natura vengono acquisite le lingue. Richards (1986, p. 9) ricorda come Montaigne abbia fatto della sua esperienza con il latino il paradigma per le sue scelte pedagogiche. Il latino gli era stato insegnato da un istitutore, tedesco che non conosceva il francese, con cui aveva trascorso la quotidianità nei primi anni di vita. Questi si rivolgeva al piccolo Montaigne esclusivamente in latino (cfr. Titone, 1980, pp. 29-30). Un approccio di tipo naturale alla lingua straniera porta autori come Lambert Sauveur (1826-1907) a stigmatizzare il ricorso alla lingua madre e alla traduzione e a sostenere l’apprendimento attraverso l’uso comunicativo della lingua. Il Metodo Diretto nasce da questa tendenza “naturale” all’insegnamento delle lingue. Oltre a L. Sauveur, un nome da ricordare è quello di Maximilian D. Berlitz (18521921), il quale ridenomina il Metodo Diretto «Metodo Berlitz». È sotto questa denominazione che il Metodo Diretto è giunto fino a noi, grazie alla catena di scuole di lingua che portano il nome del loro fondatore e che sono diffuse ancora oggi in numerosi paesi. Questo metodo, che Pichiassi (1999, p. 86) ha definito «frutto del buon senso», si basa sulla centralità della lingua orale e sull’uso esclusivo della lingua straniera oggetto di studio che viene insegnata attraverso un lessico di alta frequenza utilizzato nella comunicazione quotidiana. La grammatica viene insegnata in maniera induttiva e in particolare nei primi livelli si stimola l’uso dei sensi per sostenere l’apprendimento del lessico attraverso immagini e oggetti, mentre i concetti astratti sono veicolati tramite associazioni di idee, evitando in questo modo il ricorso alla traduzione in lingua madre o in altra lingua. Il ruolo assegnato all’orale porta a priorizzare la fonologia.

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Oltre alla difficoltà derivante dal dover gestire le lezioni completamente in lingua straniera, con competenze simili a quelle dei madrelingua, senza la possibilità di ricorrere alla lingua madre degli studenti – qualità reperibili in non molti insegnanti – il Metodo Diretto presenta altre criticità che lo rendono di difficile impiego in realtà dove gli studenti non siano così motivati come nelle scuole private della catena Berlitz. Ad esempio la carenza di fondamenti scientifici, l’assenza di manuali per il sostegno del lavoro soprattutto individuale, o ancora il tempo speso a cercare di far comprendere significati nella lingua target quando questi sarebbero molto più efficacemente resi attraverso la traduzione. Inoltre, aver ridimensionato il ruolo delle abilità scritte in maniera così significativa provoca una forte reazione in ambienti educativi istituzionali nei quali la scrittura e ancor più la lettura vengono invece rivalutate al punto da dar vita a un vero e proprio metodo, il Reading Method.

1.4 Dal xx secolo ai giorni nostri Il Reading Method si sviluppa negli Stati Uniti a seguito del Rapporto Coleman (1929) che proponeva un approccio basato sulla lettura come la soluzione per le scuole e le università statunitensi. Esso è, secondo Balboni (2012, p. 17), «il primo esempio di reduced competence course, in quanto esclude quelle abilità orali che erano al centro nel Metodo Diretto. Il docente richiesto è una figura che insegna a comprendere i testi letti e propone regole di grammatica guidando lo studente alla scoperta dei significati delle parole e delle strutture linguistiche. Lo studente risulta essere dotato di grande autonomia e responsabilità, che trova nel docente un supporto per la comprensione dei testi, come se questi sia un «dizionario e repertorio grammaticale vivente» (ivi, p. 17). Dall’altra parte dell’Oceano, invece, continua a essere dominante, in contesto scolastico e accademico, un atteggiamento di tipo grammatical-traduttivo. Tuttavia, i tempi sono ormai maturi per dar vita a nuove tendenze che si collocano in una realtà storica che agisce da scintilla per l’innovazione: l’isolazionismo linguistico americano del periodo immediatamente successivo alla Prima guerra mondiale viene definitivamente superato con l’intervento degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale che porta il paese a rendersi conto dell’inadeguatezza dei metodi glottodidattici in uso e della necessità di sviluppare competenze nel personale militare di tipo comunicativo relativamente alle lingue moderne. Nasce, in quel contesto, l’American Specialized Training Program (ASTP) che vede coinvolte più di cinquanta università americane già all’inizio del 1943 per preparare, con modalità di contatto diretto e particolarmente intensivo con la lingua, interpreti, traduttori ecc. in grado di servire l’esercito americano. Al centro viene riportata la competenza orale. L’esperienza dell’ASTP, di brevissima durata, genera attorno a sé un ricco e ben più duraturo dibattito scientifico. L’interesse va in particolare verso il connubio di oralità e carattere intensivo di esposizione alla lingua che sembra in grado di far acquisire importanti competenze di tipo comunicativo. Queste riflessioni e ricerche scientifiche trovano un’ulteriore giustificazione nel nuovo assetto mondiale bipolare, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, basato sugli Stati Uniti e sull’inglese come centro di uno dei due poli. Sulla scia delle esperienze derivanti dall’applicazione durante la guerra dell’ASTP e dai percorsi di formazione per le masse di migranti che si trasferirono negli USA

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dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel corso degli anni Cinquanta, Robert Lado (1915-1995) può condurre studi determinanti per la nascita della linguistica contrastiva che non tardano a dare i propri frutti nella didattica delle lingue. Lado, come Fries, era convinto che una comparazione tra le lingue possa portare alla determinazione e alla previsione delle difficoltà intrinseche nell’apprendimento della LS, nonché alla possibilità di segnalare all’apprendente i punti maggiormente critici e le aree che presentano i pericoli più frequenti di realizzazione di fenomeni di interferenza (transfer negativo). Nel suo libro più importante, Linguistics across Cultures, Lado propone metodi per confrontare due lingue a livello fonologico, morfosintattico, lessicale e culturale. Tuttavia, i fondamenti teorici degli sviluppi della glottodidattica tra le due guerre mondiali e nel secondo dopoguerra sono principalmente da ricercare nella crescita di prestigio e nell’influenza di alcuni studiosi che in ambiti scientifici diversi contribuiscono a dar vita al cosiddetto Strutturalismo. 1.4.1 L’approccio strutturalistico

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La linguistica nordamericana, in particolare la linguistica applicata, a cavallo delle due guerre, aveva cominciato a interagire in maniera sempre più rilevante con la didattica delle lingue straniere. Questo conduce a rinforzare le ipotesi di tipo linguistico a scapito di riflessioni di tipo glottodidattico. A onor del vero in questo periodo la glottodidattica non è ancora in grado di offrire se non apporti fondati sulla pratica didattica e non elaborazioni teoriche convincenti, condotte in modo scientifico. Partendo dalla prospettiva della linguistica strutturale, Charles Fries (1887-1967), per decenni docente presso l’influente University of Michigan, propone approcci didattici in netto contrasto con la tradizione del Metodo Diretto: al centro pone la struttura della lingua,ossia la morfologia e la sintassi.Del Metodo Diretto Fries mantiene la dimensione orale dell’input a cui aggiunge un’attenzione sistematica per la pronuncia e pratiche didattiche fondate sull’esercitazione meccanica e ripetitiva (drill), condotta in maniera intensiva delle strutture linguistiche. Questa proposta si sviluppa fino a diventare un vero e proprio metodo glottodidattico chiamato «audioorale», grazie, in particolare, alla linguistica tassonomica di Leonard Bloomfield (18871949) e alla psicologia comportamentista che ne costituiscono le basi scientifiche. Nell’opera Outline Guide for the Practical Study of Foreign Languages (1942), Bloomfield afferma (p. 1) che lo studente di una lingua straniera deve rigettare qualsiasi preconoscenza linguistica e iniziare lo studio della LS, come se la sua mente fosse una tabula rasa (clean slate), imparando a ignorare i tratti delle altre lingue conosciute, in particolare della lingua madre. L’apprendimento linguistico si basa sullo studio, la memorizzazione e la pratica delle frasi in cui i singoli elementi sono contenuti, con l’accortezza di mettere in luce solamente le differenze strutturali esistenti tra la lingua madre dello studente e la LS. La lingua è considerata una sequenza di elementi minimi discreti che devono essere fatti oggetto di analisi da parte della linguistica tassonomica. Sul piano didattico, questi elementi minimi della lingua ben si prestano a essere collocati all’interno di frasi brevi e finalizzate che possono dare luogo alla sequenza stimolo-risposta-rinfozo, base delle teorie della psicologia comportamentista. Già negli anni Dieci del xx secolo, J. B. Watson (1878-1958) aveva inaugurato una corrente di pensiero chiamata “Comportamentismo” che ha perduranti effetti

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non solo in ambito psicologico per diversi decenni. Il comportamento umano e animale secondo Watson va spiegato in base all’impatto (stimolo) che l’ambiente ha sull’individuo e alla risposta che l’individuo mette in atto reagendo allo stimolo ambientale, a cui fa seguito il rinforzo dato dalla reazione dell’ambiente alla risposta dell’individuo. L’apprendimento è dato dal condizionamento che è ben esemplificato dall’esperimento di Ivan P. Pavlov (1849-1936) nel quale un campanello ripetutamente associato alla consegna del cibo a un cane provoca nell’animale salivazione anche quando il cibo, dopo il suono del campanello, non viene offerto. Il cane ha dunque imparato che al suono del campanello segue il cibo (uno stimolo condizionato) e questo produce una reazione fisica (risposta condizionata). Negli anni Trenta, B. F. Skinner (1904-1990) propone una versione del condizionamento classico definita «condizionamento operante», cioè in grado di operare modifiche sull’ambiente. Questo schema trasposto alla lingua comporta l’idea che l’essere umano, individuo capace di numerosi comportamenti e inizialmente una tabula rasa, deve essere fatto oggetto di sequenze ininterrotte stimolo-risposta-rinforzo (sia positivo che negativo) affinché possa sviluppare delle abitudini linguistiche (language habits), cioè delle reazioni inconsapevoli e automatiche agli stimoli. La realizzazione didattica di questa teoria dell’apprendimento linguistico è costituita dai cosiddetti pattern drills, esercizi strutturali o meglio da lunghe serie di esercizi meccanici gestite da un docente il cui unico ruolo è quello di introdurre le regole grammaticali e quindi di somministrare le batterie di esercizi, avvalendosi, in particolare a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta – epoca in cui lo Strutturalismo viene messo in crisi sul piano teorico ma rimane alquanto vitale nella prassi glottodidattica – di tecnologie didattiche quali il registratore a nastro e poi il laboratorio linguistico. Come ricorda Pichiassi (1999, p. 125) «la pattern practice si configura come un’attività di addestramento che ha nella ripetizione, memorizzazione e generalizzazione delle strutture i suoi cardini». Con lo Strutturalismo, per la prima volta, la didattica delle lingue poteva contare su una base teorica capace di spiegare tanto la natura della lingua quanto l’apprendimento. Nel 1957 l’opera di Skinner Verbal Behaviour costituisce il culmine del tentativo di applicare modelli comportamentisti al linguaggio verbale, tuttavia da lì a poco tempo, il sistema entra in crisi a causa delle critiche sferzanti mosse da Noam Chomsky. 1.4.2 Chomsky La scelta di intitolare il paragrafo solo attraverso il cognome del linguista nordamericano Noam Chomsky testimonia la nostra convinzione della straordinaria importanza che il suo lavoro ha avuto non solo in ambito linguistico stricto sensu ma anche nella didattica delle lingue – volutamente senza un’ulteriore attribuzione al termine lingua, in quanto l’influenza di Chomsky ha riguardato indistintamente tutto quanto è linguaggio verbale indipendentemente dalla dimensione L1, LS, L2 ecc. Nel suo libro Syntactic Structures, Chomsky muove una serie di critiche alle teorie linguistiche strutturalistiche che provoca negli anni a venire una sequela di prese di distanza e di perlustrazioni di nuove ipotesi di lavoro che portano in ambito britannico

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a contribuire a sviluppare le premesse per la nascita dell’Approccio Comunicativo. La più rilevante delle critiche riguarda la concezione profondamente diversa delle capacità di gestire il linguaggio verbale da parte dell’essere umano. La visione strutturalista era quella della tabula rasa e dell’apprendimento realizzato nei language habits, quella proposta da Chomsky, invece, pone al centro al capacità dell’individuo di creare lingua che conferisce alle frasi un carattere unico. La spiegazione, secondo Chomsky, risiede nella presenza nel cervello umano di un meccanismo preposto all’acquisizione linguistica, il Language Acquisition Device (LAD) che rende l’essere umano biologicamente programmato per l’acquisizione del linguaggio. Chomsky abbina a questa elaborazione di una facoltà innata nell’essere umano, il concetto di competenza (competence) e di esecuzione (performance): la prima consiste nella capacità, basata sul LAD, di comprendere e creare frasi grammaticalmente corrette e di riconoscere quelle linguisticamente non accettabili; la seconda rappresenta la realizzazione concreta, comunicativa della lingua. Come già accennato, scopo di questo percorso non è l’approfondimento né della storia della glottodidattica, né, tantomeno, delle correnti della linguistica del passato e del presente. Ciò che ci proponiamo è guidare il lettore, facilitandolo nella comprensione delle dinamiche di lunga durata che ci hanno portato ad apprendere e a insegnare le lingue come avviene nella maggior parte dei contesti oggi, sia nella formazione mainstream, sia in percorsi informali o integrati. Riprendiamo, comunque, il tema del LAD di Chomsky nel Percorso 5 quando trattiamo del rapporto della glottodidattica con la neurolinguistica o la psicolinguistica e le neuroscienze. Il binomio competenza-esecuzione viene presto fatto evolvere grazie all’apporto di studiosi, in particolare di sociolinguisti, quali Dell Hymes e John Gumperz, ma anche di filosofi come John L. Austin o John Searle e di psicologi come Jerome S. Bruner. Quest’ultimo, già agli inizi degli anni Settanta, propone una sorta di estensione del concetto di LAD includendo una componente ambientale rilevante, dando vita, così, all’idea del Language Acquisition Support System. Non si tratta, tuttavia, di un’operazione di semplice aggiornamento di una teoria: la sua è una critica profonda all’Innatismo chomskyano e una proposta di una dimensione interazionista in cui l’interazione sociale assume un ruolo centrale nello sviluppo del linguaggio e della cognizione. Il bambino impara la lingua madre non solo per mezzo del proprio LAD, ma grazie all’azione di supporto della rete sociale che lo circonda: la famiglia, gli educatori, altri adulti o i coetanei. Con il LASS, Bruner riprende la prospettiva di Lev Vygotskij riassunta nella Teoria della Zona di Sviluppo Prossimale (ZSP) (cfr. per un approfondimento Bruner, 1985), cioè, «la distanza tra il livello di sviluppo reale così come è determinato dalla capacità di risolvere problemi in modo indipendente e il livello di sviluppo potenziale come è determinato attraverso la capacità di risolvere problemi sotto la guida di un adulto o con la collaborazione di pari più capaci» (Vygotskji, 1978, p. 86. Nostra traduzione; cfr. anche S. Gilardoni, 2014, p. 133 e sgg.). Per quanto riguarda lo sviluppo linguistico e gli aspetti didattici, questa riflessione viene ripresa nel paragrafo 1.4.7 durante la trattazione della Second Language Acquisition Theory di Krashen e nello specifico del concetto di input comprensibile. 1.4.3 La competenza comunicativa 24

Dell Hymes (1927-2009) introduce il concetto di competenza comunicativa nel 1972 che riassume il ruolo attribuito all’ambiente sociale e all’azione a cui è chiamato il

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parlante. La dimensione fornita dalla sociolinguistica – che studia le diverse varietà in cui si realizza la lingua – e dalla pragmalinguistica – che studia l’uso della lingua da un punto di vista degli scopi che si raggiungono con gli atti comunicativi – si afferma in quegli anni, sancendo nella glottodidattica l’abbandono di prospettive fondate sull’analisi della lingua e sulle forme linguistiche per dar vita a una stagione, tuttora in corso, di prevalenza della dimensione d’uso della lingua. Gli atti comunicativi (o funzioni linguistiche) sono da allora a fondamento di tutta la glottodidattica. Su di essi si basano, ad esempio, anche le scelte degli autori dei diversi progetti promossi dal Consiglio d’Europa (cfr. Percorso 2) e l’impostazione dei livelli linguistici, come quelli indicati dal Quadro. L’elemento comunicativo non emerge dall’idea di competenza chomskyana, intesa come la capacità di creare un numero infinito di enunciati avvalendosi di un sistema basato su una serie di regole di numero finito. Mancano infatti le componenti extralinguistiche e socioculturali, come rileva Balboni (2012 p. 26) proponendo un proprio modello di competenza comunicativa che qui riprendiamo:

La spiegazione dello schema è quanto ci propone lo stesso Balboni (2012, pp. 26-27): a.   la competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come esecuzione nel mondo, in eventi comunicativi realizzati in contesti sociali dove chi usa la lingua compie un’azione; le due parole in corsivo rimandano a competence e performance, la dicotomia chomskyana che contrappone la dimensione mentale della lingua e la sua realizzazione reale; b.   nella mente ci sono tre nuclei di competenze che costituiscono il sapere la lingua: -     la competenza linguistica, cioè la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto di vista fonologico, morfologico, sintattico, lessicale, testuale […]; -     le competenze extralinguistiche, cioè la capacità di comprendere e produrre espressioni e gesti del corpo (competenza cinesica), di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale (competenza prossemica), di usare e riconoscere il valore comunicativo degli oggetti (oggettemica) e del vestiario (vestemica) […]; - il nucleo delle competenze contestuali relative alla lingua in uso: la competenza sociolinguistica, quella pragmalinguistica e quella (inter)culturale […];

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c.       le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua, quando esse vengono utilizzate per comprendere, produrre, manipolare testi: si tratta delle abilità, che non sono solo le quattro di base (ascolto, lettura, monologo, scrittura) più quella interattiva, il dialogo, ma anche abilità manipolative come il riassumere, il tradurre, il parafrasare, il prendere appunti, lo scrivere sotto dettatura; abbiamo chiamato questo meccanismo di attualizzazione della competenza «padronanza»;      d. i testi orali e scritti prodotti attraverso il meccanismo di padronanza contribuiscono a eventi comunicativi, governati da regole sociali, pragmatiche, culturali (una tavola rotonda in un convegno ha regole diverse da quelle di una conversazione sullo stesso tema e con le stesse persone ma realizzata al bar): è il saper fare con la lingua. 1.4.4 La dimensione nozionale e funzionale L’evoluzione della glottodidattica in Europa nei decenni tra il 1960 e la fine degli anni Settanta segue dinamiche simili a quanto si viene realizzando in Nordamerica: in particolare la reazione allo Strutturalismo promossa da Chomsky spalanca le porte a successive riflessioni soprattutto in Gran Bretagna dove studiosi come Henry Widdowson e David Wilkins promuovono una visione funzionalista della lingua enfatizzando la valenza comunicativa delle competenze dell’individuo a scapito della capacità di governarne unicamente le strutture. In Europa alla glottodidattica di tipo formalistico si affianca un’opzione differente, quella del Metodo Situazionale (cfr. Picchiassi, 1999, pp. 140-145) in cui la lingua viene insegnata attraverso le situazioni in cui l’atto comunicativo si realizza con le strutture morfo-sintattiche determinate principalmente dalla dimensione d’uso sociale. Vincolare lo sviluppo delle competenze linguisticocomunicative dell’apprendente a un set di situazioni predeterminate non consente, ad esempio secondo una visione nozional-funzionale, di mettere al centro la capacità comunicativa dell’apprendente. Scrive Wilkins, nel suo testo Notional Syllabuses (1976, traduzione italiana del 1978 da cui è tratta la seguente citazione, pp. 19-20): Il programma grammaticale cerca di insegnare la lingua facendo avanzare progressivamente l’allievo attraverso le forme della lingua oggetto di studio; il programma situazionale invece lo fa ricreando le situazioni in cui i parlanti nativi usano la lingua. Mentre in nessuno dei due casi si negherebbe che le lingue si imparano avendo come scopo la comunicazione, ambedue lasciano l’allievo carente di una sufficiente capacità comunicativa. […] Il programma nozionale è in contrasto con gli altri due perché assume come punto di partenza la capacità comunicativa che si desidera. Nella compilazione del programma nozionale, invece di chiedere come si esprimono i parlanti di una lingua o quando e dove usano la lingua, chiediamo che cosa comunicano mediante la lingua. Siamo allora in grado di organizzare l’insegnamento della lingua in termini di contenuto piuttosto che di forma.

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La riflessione pragmalinguistica che sottende all’impostazione di Wilkins si ritrovava anche nei progetti promossi dal Consiglio d’Europa nella seconda metà degli anni Sessanta e su cui ci si sofferma nel Percorso 2. Autori teorici come Searle e

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Austin aprono la strada a studiosi, Wilkins o Widdowson, così come al gruppo di linguisti attivi sui progetti del Consiglio d’Europa John L. M. Trim, van Ek e Daniel Coste che si dedicano a riflessioni più direttamente legate ai processi di apprendimento-insegnamento linguistico e determinano in termini di repertorio nozionale (tempo, spazio, quantità ecc.) e funzionale (salutarsi, ringraziare, presentarsi ecc.) e di livelli di competenze linguistiche quanto si fa e si sa fare con la lingua. Questa architettura è quella che ancor oggi è la maggiormente diffusa, anche grazie da un lato all’enorme successo avuto da strumenti legati alle politiche linguistiche europee quali i Livelli Soglia degli anni Settanta e il successivo Quadro (2001), dall’altro all’affermarsi dell’Approccio Comunicativo, fortemente influenzato dalla prospettiva nozional-funzionale di Wilkins. 1.4.5 L’Approccio Comunicativo A differenza di quanto si potrebbe essere indotti a pensare, l’Approccio Comunicativo non rappresenta una novità assoluta nel campo della glottodidattica, anzi riprende tendenze che abbiamo individuato lungo i secoli. Il suo sviluppo a partire dagli anni Settanta del xx secolo può contare sull’apporto di teorie scientifiche che giungono alla glottodidattica attraverso il contatto con numerose altre branche: dalle scienze del linguaggio (linguistica acquisizionale, sociolinguistica, pragmalinguistica, psico- e neurolinguistica ecc.) alle scienze della formazione, da quelle sociologiche e psicologiche, alle neuroscienze ecc. Dedichiamo una riflessione a questo tema nel Percorso 5 dedicato ai presupposti per i rapporti tra la glottodidattica e le neuroscienze. L’anima teorico-pratica della glottodidattica fa sì che il percorso di avvicinamento ad altre scienze sia finalizzato alla costruzione di quadri di riferimento concettuali in grado di supportare e dare un fondamento teorico alle opzioni metodologiche pratiche. In quest’ottica, non è priva di valore la scelta di considerare il Comunicativo un approccio e non un metodo. 1.4.5.1 Approccio o metodo Nonostante ci sia stata una certa confusione nell’attribuire l’una o l’altra etichetta a opzioni metodologiche del passato o forse proprio a causa di questo, ci accodiamo a tutti quegli autori che hanno sentito la necessità di delimitare i due concetti (cfr. solo a titolo d’esempio Balboni, 2012 o Richards, Rodgers, 2014). L’approccio è «la filosofia di fondo» (Balboni, 2012, p. 6), dunque è costituito dalle teorie sulla natura della lingua e della comunicazione e sull’apprendimento che stanno alla base dei processi di apprendimento e insegnamento. Ciò permette di definire gli obiettivi educativi in risposta ai bisogni dei singoli e della società. Il metodo è la realizzazione pratica dell’approccio attraverso la definizione delle procedure operative; il metodo individua le tipologie di sillabo che meglio si adattano all’approccio di riferimento e alle mete educative stabilite,i contenuti dei sillabi e i modi di organizzarli, oltre alle tipologie di tecniche glottodidattiche in grado di dare operatività ai sillabi. Assegna, definendoli, i rispettivi ruoli al discente, al docente e ai materiali didattici. Si è soliti affermare che è grazie al suo eclettismo dichiarato che l’Approccio Comunicativo non si è cristallizzato in un metodo, percepito come qualcosa di maggiormente rigido e definito. L’Approccio Comunicativo spinge, invece, a scegliere in maniera consapevole tecniche, materiali e ruoli momentanei del docente e del discente.

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Ad esempio un docente che si rifà all’Approccio Comunicativo come cornice teorica proporrà in classe talora tecniche indiscutibilmente comunicative, altre volte tecniche che rimandano a metodi e approcci del passato ma non per questo non valide, come possono essere la traduzione o gli esercizi meccanici e ripetitivi dello Strutturalismo. Tutto ciò, però, verrà fatto in modo consapevole e coerente, senza rifiutare a priori nessuna tecnica o opzione metodologica, ma ricercando costantemente l’equilibrio necessario e auspicato. 1.4.5.2 La natura della lingua e i processi d’apprendimento La lingua è prima di tutto uno strumento per l’espressione di significati. Al centro, dunque, stanno le funzioni comunicative e l’interazione, l’azione sociale. L’apprendimento avviene sulla base di attività comunicative, in grado di far svolgere compiti significativi allo studente, il quale impara se è impegnato in attività significative. I sillabi su cui si basano i percorsi di apprendimento-insegnamento riguardano tutte o diverse delle componenti del cosiddetto multisillabo: funzioni, nozioni, situazioni, strutture morfosintattiche, fonologia, lessico, macroabilità, cultura, abilità di studio (cfr. Percorso 4). 1.4.5.3 Il ruolo dello studente e del docente Lo studente è un soggetto attivo che collabora al percorso didattico promovendo le proprie capacità induttive di scoperta dei significati e dei meccanismi che governano la lingua. È posto al centro e i suoi bisogni diventano la base sui cui costruire percorsi graduati che coinvolgono diversi sottosistemi della lingua in un’ottica multisillabica. Il raggiungimento di importanti traguardi per quanto concerne l’autonomia e la capacità critica, oltre a quella operativa, pongono lo studente di fronte a percorsi spesso ad alta domanda cognitiva (cfr., a titolo d’esempio, Percorso 15 su CLIL e lingua dello studio). Malgrado la dimensione d’uso della lingua possa determinare importanti variazioni nella domanda cognitiva e nonostante in particolare nei livelli elementari la tradizione che fa riferimento all’Approccio Comunicativo e ai repertori nozionali e funzionali dei progetti europei dai Livelli Soglia al Quadro tenda a concentrare l’attenzione e a limitare gli obiettivi a una dimensione comunicativa per bisogni interpersonali di base, a partire dai primi anni del xxi secolo una riflessione particolarmente fertile ha portato a enfatizzare i bisogni comunicativi derivanti da percorsi di vita complessi (ad esempio, mobilità studentesca e globalizzazione del mercato del lavoro) e scelte didattiche a maggior carico cognitivo con l’anticipazione, rispetto a situazioni d’uso di base, di importanti competenze linguistico-comunicative (su questi aspetti relativamente alla lingua straniera per fini di studio, cfr. Mezzadri, 2011 e 2013). Il docente nell’Approccio Comunicativo è prima di tutto una guida e un facilitatore dei processi comunicativi, ma deve anche dimostrare notevoli capacità di gestione della classe, di conduzione dell’analisi dei bisogni e di supporto anche di tipo psico-affettivo per il discente. 1.4.5.4 Il ruolo dei materiali 28

I materiali didattici possono essere di vario tipo (“autentici” o creati ad hoc per fini didattici, ma comunque verosimili) e supporto (cartaceo, multimediale ecc.). Sono

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caratterizzati dall’obiettivo primario dello sviluppo delle competenze linguisticocomunicative attraverso attività basate sui compiti (task-based). Possono essere a forte mediazione del docente oppure con parti progettate per un uso sotto la guida dell’insegnante, in classe o in ambienti virtuali, e altre per una possibile fruizione in autoapprendimento, su carta come on-line. Sempre più i materiali tengono conto della necessità di accompagnare i percorsi di apprendimento formale (a scuola, all’università ecc.) ad altri di tipo informale, resi possibili dalla grande quantità di informazioni in lingua che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) mettono sempre più a disposizione. 1.4.6 I metodi umanistici Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del xx secolo, si affacciano nel panorama glottodidattico mondiale diversi metodi che a volte si discostano, in particolare nella traduzione nella pratica dei principi metodologici, anche in maniera significativa dalla tendenza principale in atto in Europa, di cui l’Approccio Comunicativo costituisce la rappresentazione pratica. Tuttavia la visione del discente è comune. Questi metodi vengono definiti “umanistici”, volendo con questo termine sottolineare in prima istanza la dimensione psicologica dell’insegnamento e la necessità di prendere in considerazione, in ambito didattico, sfere dell’individuo che in altri atteggiamenti pedagogici, spesso dominanti, non venivano e non vengono attesi. Nel suo libro Humanism in Language Teaching (1990), Stevick (1923-2013) tentò una sintesi tra questi metodi a base psicologica, come li definisce Balboni (2012, p. 43), e l’Approccio Comunicativo, citando Medgyes (1986, p. 109) e ricordando come in tutti i metodi umanistici i discenti non sono considerati degli oggetti linguistici a cui è finalizzato l’insegnamento, ma come individui umani la cui dignità personale e integrità e le cui idee, pensieri, bisogni e sentimenti, nella loro complessità dovrebbero essere rispettati. Richards e Rodgers (1986, p. 114) propongono a loro volta una sintesi riguardante le tecniche didattiche: «le tecniche umanistiche coinvolgono la persona nella sua interezza, includendone le emozioni e i sentimenti (la sfera affettiva), così come la conoscenza linguistica e le abilità comportamentali» (Nostra traduzione). Spesso questi metodi sono stati definiti «clinici», in quanto «il rapporto insegnante-apprendente ripete – in altro campo e con altri obiettivi – il rapporto clinico che, in base ai principi della psicoanalisi, deve sussistere tra terapeuta e paziente» (Freddi, 1994, pp. 187-188). Lo stesso Giovanni Freddi (1930-2012) è stato uno dei protagonisti della scena glottodidattica italiana fin dalla nascita della disciplina nel nostro paese e insieme a Titone (1925-2013) è stato il creatore della scuola veneziana di glottodidattica, spesso associata al concetto di «glottodidattica umanistico-affettiva», proprio a confermare in ambito glottodidattico la centralità di un approccio olistico alla persona. Secondo lo studioso la coppia di aggettivi “umanistico-affettivo” rinvia primariamente a una concezione dinamica della personalità, a quella concezione detta umanistica che sottolinea e valorizza la tensione permanente dell’individuo verso il “progetto” che egli fa di se stesso e che, in virtù di tale continuità, diventa un compito aperto, un compito e una tensione che cessano soltanto con la morte (Allport, 1961; Rogers, 1961; Maslow, 1954; Nuttin, 1980). Il secondo aggettivo, “affettivo”,

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sta a indicare la tonalità del rapporto insegnante-apprendente e si traduce nella disponibilità del primo a interpretare il ruolo di guida discreta, di confidente e di consigliere. L’obiettivo di un atteggiamento siffatto è di valorizzare nell’apprendente l’ingente patrimonio di affettività in suo possesso e, allo stesso tempo, di rimuovere nel rapporto didattico ogni fattore ansiogeno. (Freddi, 1994, p. 188)

Torneremo sugli aspetti legati a teorie psicologiche di grande rilievo per la didattica delle lingue nel Percorso 5. Nei prossimi paragrafi proponiamo, invece, un breve excursus su alcuni di questi metodi umanistici che hanno influenzato nel tempo le scelte metodologiche degli insegnanti di lingue e degli autori di libri di testo, sia a livello teorico che a livello pratico con l’adozione di singole tecniche e atteggiamenti didattici. 1.4.7 Il Natural Approach Nel 1983 viene pubblicato The Natural Approach, frutto dell’incontro di due linguisti statunitensi, Tracy Terrell e Stephen Krashen che aveva portato alla fine degli anni Settanta alla nascita di un approccio metodologico, dagli stessi autori definito a matrice teorica simile a quella dell’Approccio Comunicativo europeo. La lingua serve per comunicare dei significati e dei messaggi e solo se questi messaggi vengono compresi, si acquisisce la lingua. Sottende al Natural Approach la Second Language Acquisition Theory (SLAT) di Krashen (e Terrell, anche se la prematura scomparsa di quest’ultimo avvenuta nel 1991 ha fatto sì che la SLAT venisse e venga ancora spesso attribuita al solo Krashen). 1.4.7.1 L’ipotesi dell’apprendimento-acquisizione Uno dei cardini della SLAT è la dicotomia learning-acquisition: attraverso la comunicazione si stimola nell’apprendente un processo inconscio che porta ad acquisire la lingua. Questo processo naturale è quanto caratterizza l’acquisizione (acquisition) della L1 ed è l’unico che permette di imparare in maniera stabile e permanente. All’atto involontario su cui si fonda l’acquisizione si contrappone una modalità conscia di sviluppare l’apprendimento (learning), che può fungere solo ed esclusivamente da supporto per l’acquisition. Ciò comporta sul piano didattico che «la lingua sia insegnata al meglio quando viene usata per trasmettere messaggi, non quando viene insegnata in maniera esplicita per un apprendimento consapevole» (Krashen, Terrell, 1983, p. 55. Nostra traduzione). Ne deriva che, pur avendo un ruolo nell’insegnamento di una lingua, la cosiddetta grammatica è di particolare aiuto quando apprendenti con un’ottima capacità di gestire il proprio monitor la utilizzano per sostenere l’acquisition. 1.4.7.2 L’ipotesi del monitor

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L’ipotesi del monitor costituisce un altro dei punti della SLAT. Il monitor, di cui tutti gli apprendenti sono dotati, è il meccanismo che permette di controllare l’accuratezza della produzione. Così facendo, il monitor rallenta il processo di comunicazione e l’acquisizione è rallentata (Krashen, Terrell, 1983, p. 60).

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Krashen riprende il LAD di Chomsky e lo trasforma in un meccanismo non soggetto alla progressiva riduzione di efficacia dovuta all’età dell’apprendente. Immediatamente dopo la sua divulgazione la SLAT e in particolare questi primi due punti si attirano critiche severe (cfr. Gregg, 1984; McLaughlin, 1987). Tuttavia, la SLAT continua ancor oggi a essere guardata con vivo interesse (cfr. Balboni, 2012, pp. 3942) soprattutto per la sua capacità di porre al centro dell’attenzione una chiave di interpretazione dei processi di acquisizione e di utilizzo di una lingua in grado di ricomprendere i vari aspetti coinvolti: da quelli neurologici a quelli psico-affettivi, da quelli socio-relazionali a quelli didattici. 1.4.7.3 L’ipotesi del filtro affettivo Il Natural Approach, come abbiamo ricordato, fa parte dei cosiddetti metodi e approcci umanistici. Terrell (1982, p. 128) definì tecniche umanistico-affettive quelle tecniche che sollecitano i discenti a livello personale ed esplorano i valori degli studenti, le loro idee e opinioni, i loro obiettivi e sentimenti, così come le loro esperienze. Non stupisce dunque che nella SLAT trovino un posto così rilevante elementi di tipo psicologico: i filtri affettivi, ovvero barriere psico-emotive che possono arrivare a impedire l’elaborazione dell’input necessario all’acquisizione. Il Natural Approach propone una serie di accorgimenti metodologici in grado di abbassare i filtri affettivi che qui riprendiamo a titolo d’esempio, convinti che situazioni di stress psicologico si possano generare in qualsiasi contesto metodologico, anche se sotto forme differenti. L’osservazione delle proposte di Krashen e Terrell può aiutare a riflettere allargando il modello ad altri contesti. Aiuta a contenere o a evitare l’insorgenza dei filtri affettivi un’atmosfera in classe che abbassi il livello d’ansia e che stimoli la fiducia in se stessi, ad esempio permettendo agli studenti di cominciare a produrre non all’inizio del processo di acquisizione quando l’impegno deve concentrarsi solo sulla comprensione. Nel Percorso 4 affronteremo il tema degli stili e delle strategie di apprendimento, ambiti di riflessione che aiutano il docente a gestire la diversità tra gli studenti, ma il modello del Natural Approach delinea dei tratti ben precisi dello studente che lo rendono più adeguato al processo di acquisizione linguistica: è uno studente motivato, che ha fiducia in se stesso, non ansioso rispetto al contesto e agli obiettivi personali da raggiungere. È interessante, inoltre, notare che i due autori sono convinti che il Natural Approach sia in grado di ridurre le differenze tra gli individui per ciò che riguarda l’attitudine nell’imparare le lingue, in quanto concentrandosi sull’acquisition esso non invoca l’uso del monitor se non per promuovere i processi di learning. È proprio nell’uso del monitor che risiedono maggiormente le differenze personali. In questo modo Krashen e Terrell giustificano anche la ridotta enfasi sulle differenze d’età, centrali nel pensiero di autori come Chomsky e come i suoi collaboratori e seguaci (cfr. Lenneberg e la sua Teoria del Periodo critico): anche negli adulti i processi di acquisizione sono prioritari, nonostante con questi apprendenti sia importante assecondare la loro tendenza a imparare attraverso l’impiego – e la formazione – del monitor. Il tutto però deve avvenire «in maniera giudiziosa» (Krashen, Terrell, 1983, p. 61). 31

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1.4.7.4 L’ipotesi dell’input comprensibile La comprensione precede la produzione e nei livelli iniziali «le tecniche per le attività in classe sono indirizzate a fornire agli studenti un input comprensibile senza richiedere produzione orale nella lingua target» (Krashen, Terrell 1983, p. 58. Nostra traduzione). La produzione emerge man mano che aumenta il livello di acquisizione. Quest’ultima è stimolata da attività in classe espressamente e prioritariamente dedicate all’acquisizione, mentre spetta al docente svolgere un compito che risulta centrale: quello di «presentare un equilibrio ottimale» (ivi, p. 58) tra attività dirette allo sviluppo dell’acquisition e altre dirette al learning. Perché si possa sviluppare la comprensione, tuttavia, l’input deve essere controllato e reso comprensibile, mentre per ottenere un progresso nell’acquisizione della lingua, occorre che l’input presenti un +1, cioè il segmento successivo di strutture – Krashen e Terrell lo definiscono set of structures (ivi, p. 55) – all’interno di un presunto ordine naturale. 1.4.7.5 L’ipotesi dell’ordine naturale

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Questo ulteriore punto della SLAT si fonda su alcune assunzioni legate alla qualità dell’acquisizione linguistica – nonché sulla dicotomia learning-acquisition – e alla Teoria dell’Input comprensibile, rese possibili comparando i risultati delle pratiche didattiche del Natural Approach con quanto avviene nei metodi di matrice strutturalistica. Infatti, Krashen e Terrell (1983, p. 59) pongono l’accento sulla possibilità di «lasciare commettere allo studente errori senza enfasi non necessaria sulla correzione», in questo modo si permette all’ordine naturale di fare il proprio corso. Non sarà dunque richiesto a uno studente nelle fasi iniziali di imparare strutture normalmente apprese in stadi più avanzati. Già prima di Krashen e Terrell – basti ricordare i lavori di Roger Brown sui primi morfemi della lingua inglese come L1 (1973) o la Teoria dell’Interlingua di Larry Selinker (1972) e rimandare al Percorso 12 – e poi in maniera molto fruttuosa nei decenni a venire, il mondo delle scienze del linguaggio si era dedicato, in particolare con la linguistica acquisizionale (cfr. per un excursus Chini, Bosisio, 2014), a indagare possibili ordini dell’acquisizione linguistica su base sperimentale, in maniera più scientifica di quanto non sia evidenziato nell’opera di Krashen e Terrell, il cui merito semmai risiede nell’aver contribuito a sensibilizzare generazioni di insegnanti al tema delle dinamiche acquisizionali e a preparare il terreno per nuovi e più articolati contributi come, a titolo d’esempio, la Teoria della Processabilità di Manfred Pienemann. Lo studioso tedesco, muovendo da ambiti psicologici, propone un’ipotesi sul modo di acquisire una L2: il processo di acquisizione di una L2 è basato sull’acquisizione di abilità procedurali che mettono l’apprendente in grado di processare la lingua. In questo modo è possibile fare «predizioni sullo sviluppo linguistico che possono essere testare empiricamente» (Pienemann, 2005, p. 3. Nostra traduzione). «Quello che è facile processare è facile da imparare» (Chini, Bosisio, 2014, p. 75). A livello didattico, è più facile pianificare lo sviluppo graduale di ciò che si insegna, in quanto risulta insegnabile una struttura della L2 solo quando gli stadi precedenti sono stati affrontati e le relative abilità acquisite. In questa sede non è possibile approfondire i temi legati all’acquisizione di una L2 da un punto di vista della linguistica acquisizionale. Tuttavia, ci preme sottoline-

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I ferri del mestiere.indb 32

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