RI19 - La cucina spaziale, scena da 2001 Odissea nello spazio, 1968, diretto da Stanley Kubrick su sceneggiatura scritta insieme ad Arthur Clarke. © Metro-Goldwyn-Mayer 1968/George Rinhart/Corbis via Getty Images Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale-D.L. 353/2003 (conv. In L 27/20/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NO/Torino – n. 18 anno 2020
https://laricerca.loescher.it/
Su Facebook: La ricerca
Su Twitter: @LaRicercaOnline
LA RICERCA È ANCHE ONLINE Rivista e contenitore per dire, fare, condividere cultura
I
RI19_cover.indd 2-3
Settembre 2020 Anno 8 Nuova Serie – 6 Euro laricerca.loescher.it
N°18
Umano, postumano, artificiale Il futuro della scuola è nelle macchine?
SAPERI
Corpi, menti, web
DOSSIER
L’insegnante robot
SCUOLA
Macchine e apprendimento
RI19
n contatto diretto e quotidiano scambio con i suoi lettori, per ampliare le prospettive, accogliere le notizie più attuali in tempo reale, arricchire il dibattito, captare e rilanciare nuovi argomenti. Il sito contiene gli articoli scritti per La ricerca cartacea e il pdf scaricabile, articoli di attualità, istruzione, cultura, la sezione Scritto da voi, un’area dedicata alle normative riguardanti l’istruzione e tutti i Quaderni della Ricerca.
La ricerca
23/09/20 01:12
I QUADERNI Quaderni della Ricerca: proposte metodologiche e aggiornamento didattico.
QdR / Didattica e letteratura L
a collana scientifica, dedicata a scuola e università, per riflettere su metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo degli studi letterari, della scrittura, della lettura e dell’interpretazione delle opere.
DIRETTA DA Natascia Tonelli Simone Giusti COMITATO SCIENTIFICO Paolo Giovannetti (IULM) Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari) Marielle Macé (CRAL Parigi) Francisco Rico (Universitad Autònoma Barcelona) Francesco Stella (Università degli Studi di Siena)
I libri pubblicati nella collana sono reperibili in libreria o presso le agenzie di zona. Indice e prime pagine sono disponibili sul sito de «La ricerca».
I Quaderni della Ricerca sono anche online https://laricerca.loescher.it/quaderni/
RI19_cover.indd 4-5
I libri pubblicati nella collana sono reperibili in libreria o presso le agenzie di zona. Indice e prime pagine sono disponibili sul sito de «La ricerca».
La collana QdR / Didattica e letteratura è anche online https://laricerca.loescher.it/qdr-didattica-e-letteratura/
23/09/20 01:12
editoriale
Il dilemma dell’auto
A
lcuni anni fa un amico dotato di acume naturale, parlando delle (allora) future auto a guida autonoma, sostenne che il problema del loro utilizzo si sarebbe dovuto affrontare in sede etica e politica, più che scientifica o tecnologica… Diceva: «Arrivo veloce a un incrocio e mi imbatto in pedoni che attraversano la strada; il cervello della mia auto effettua un calcolo velocissimo e decide chi sacrificare, andando a schiantarsi contro i passanti o, più probabilmente, contro un muro». Fu allora che mi resi conto che si poteva in effetti ragionare sull’Intelligenza Artificiale in una prospettiva non più fantascientifica ma realisticamente quotidiana. Certo, le mie scarse conoscenze sull’argomento mi spingevano ancora verso gli scenari distopici inaugurati, nella mia giovane testa di L’intelligenza propriamente spettatore, da Kubrick e Cameron: le auto a guida autonoma, a un detta non può essere che naturale, certo punto, compreso il proprio potere, si sarebbero ribellate e perché all’artificio tecnologico, pur avrebbero soggiogato gli umani, con conseguenze catastrofiche avanzatissimo, mancano alcune non tanto sulla viabilità (probabilmente migliorata), quanto caratteristiche fondamentali: sulla libertà di uomini e donne, destinati a tramutarsi in servi alienati della filiera produttiva dell’industria automobilistica… l’autocoscienza, l’empatia, (lo so, lo so… detto così non sembra più tanto fantascientifico!) la condizione mortale, la libertà. „ Oggi, dopo qualche lettura più approfondita, una cosa credo di averla capita: non si può parlare di Intelligenza Artificiale senza premettere “cosiddetta”. Una parte degli articoli presenti in questo numero, in effetti, si preoccupa proprio di precisare che l’intelligenza propriamente detta non può essere che naturale, perché all’artificio tecnologico,pur avanzatissimo,mancano alcune caratteristiche fondamentali, come l’autocoscienza, la capacità di empatia, l’identità di un corpo inteso come “organismo”, la condizione mortale, la libertà… D’altro canto, sfatato il mito negativo di Hal 9000, la tecnologia di cui parliamo, ricondotta entro limiti più concreti (e angusti),offre opportunità di riflessione mai prima immaginate: la crescente potenza di calcolo, in effetti, sommata all’accumulo di dati, agli strumenti di riconoscimento facciale e di interpretazione somatica, rende queste “macchine” incommensurabilmente efficaci e pervasive. Utilissime, quindi. E pericolose, suppongo. E qui,come nel gioco dell’oca,torno al “Via” e riconsidero l’esempio da cui sono partito. La mia auto, lanciata a velocità sostenuta verso l’incrocio, si accorge di non poter evitare i pedoni che lo attraversano. Cosa fa? Uccide me perché sono uno, mentre i pedoni sono due? Decide di salvare chi rispetta la legge, schiacciando loro se non sono sulle strisce pedonali, o me, se non ho rispettato il semaforo? Confronta l’età stimata delle persone, per arrecare il minor danno sociale possibile? O ancora, monetizza la perdita delle nostre vite, valutando attentamente le clausole della mia polizza assicurativa, debitamente memorizzata? Forse farà un mix di tutte queste cose, tendando di risolvere a suo modo il cosiddetto “dilemma del carrello ferroviario” (che trovate facilmente in rete). Forse… Intanto, però, procedendo di ipotesi in ipotesi, io arrivo alla domanda fondamentale: a quale intelligenza vanno imputate le premesse da cui discende il ragionamento della mia automobile? E in quali fondamenti etici e politici trovano la propria legittimità? E in ultimo (but not least!): in questa inesorabile determinazione ad agire, quale spazio resta, fatto salvo il momento dell’acquisto, per l’espressione della mia libera volontà?
“
Sandro Invidia, direttore editoriale di Lœscher.
La ricerca Periodico semestrale Anno 8, Numero 18 Nuova Serie, settembre 2020 autorizzazione n. 23 del Tribunale di Torino, 05/04/2012 iscrizione al ROC n. 1480 Editore Loescher Editore Direttore responsabile Mauro Reali Direttore editoriale Ubaldo Nicola Coordinamento editoriale Alessandra Nesti - PhP Impaginazione Ubaldo Nicola Copertina Emanuela Mazzucchetti, Davide Cucini Pubblicità interna e di copertina VisualGrafika - Torino Stampa Vincenzo Bona S.p.A. Strada Settimo, 370/30 – 10156 Torino (TO)
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Distribuzione Per informazioni scrivere a: laricerca@loescher.it Autori di questo numero Adriano Allora, Roberto Balò, Alberto Barbero, Flor Bravo, Isabella Corradini, Alessandro Ferrante, Maurizio Ferraris, Luciano Floridi, Alejandra M. González, Enrique González, Rose Luckin, Carlo Milani, Enrico Nardelli, Maria Stella Perrone, Mauro Reali, Amanda J.C. Sharkey, Nicoletta Vallorani. Hanno collaborato alla redazione di questo numero Beatrice Bosso, Simone Giusti, Francesca Nicola © Loescher Editore via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino https://laricerca.loescher.it ISSN: 2282-2836 (cartaceo) ISSN: 2282-2852 (online)
Sommario Corpi, menti, web
saperi 6
Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife Luciano Floridi
scuola 50
Materialità in trasformazione
57
Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
Alessandro Ferrante
12
Anima e automa
19
La sirena meccanica
62
“Programmo anch’io”
23
Intelligenza Artificiale, Educazione Speciale?
68
Cittadinanza digitale consapevole a scuola
Nicoletta Vallorani
Carlo Milani
28
L’uomo classico tra humanitas, machinae e autómata Mauro Reali
32
Sette poesie di Roberto Balò
dossier L’insegnante robot 34
Insegnanti robot?
41
Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento
Amanda J.C. Sharkey
Rose Luckin
45
Adriano Allora
Maurizio Ferraris
Il teatro dei robot
Flor Bravo, Alejandra M. González, Enrique González
Maria Stella Perrone, Alberto Barbero
Isabella Corradini, Enrico Nardelli
saperi
Saperi / Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
6
Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife Il filosofo Luciano Floridi sulla vita nell’infosfera, su cosa sia smart e cosa no, e sul ruolo essenziale che la scuola può e deve avere nel preparare le persone a vivere bene onlife.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
intervista a Luciano Floridi di Gian Paolo Terravecchia
L
uciano Floridi, Professore Ordinario di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford, è un’autorità internazionale nell’ambito della filosofia dell’informazione. Già nel 1997 si era distinto in quanto autore di un breve libro introduttivo intitolato Internet, pubblicato da Il Saggiatore. Tra i suoi incarichi più importanti, è Direttore del Digital Ethics Lab dell’Oxford Internet Institute, sempre all’Università di Oxford, è Turing Fellow e Chair del Data Ethics Group dell’Alan Turing Institute. Nel 2014 ha attirato l’attenzione del pubblico
Pepper, un robot umanoide progettato per accogliere visitatori e pazienti, mentre prende per mano un neonato allo AZ Damiaan hospital, Ostenda, Belgio, giugno 2016, CNS photo/ Francois Lenoir, Reuters.
7
SAPERI / Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
8
↑ Pepper accoglie una bambina in un supermercato giapponese.
su quella che lui presenta come una rivoluzione epocale, che renderà sempre più difficile distinguere tra vita on-line e off-line (La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, trad. it. di M. Durante, Raffaello Cortina, Milano 2017). Dal 2011 è in corso di pubblicazione, presso la Oxford University Press, il capolavoro che lui stesso ha definito Principia Philosophiae Informationis. Si tratta di quattro volumi che, con sistematicità, sviluppano un vero e proprio sistema filosofico, rileggendo, alla luce della filosofia dell’informazione, i problemi classici dei principali ambiti della filosofia, dalla metafilosofia, all’ontologia, dalla gnoseologia, all’antropologia, fino all’etica. Il progetto è destinato a giungere, una volta ultimato, alla filosofia politica. Sono appena usciti la traduzione italiana di parte del terzo volume: Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, trad. it. di M. Durante, Raffaello Cortina, Milano 2019, e il volume Il Verde e il Blu – Idee ingenue per migliorare la politica, sempre per Cortina, che è parte del quarto volume. Siamo onorati di averlo ospite de «La ricerca», per discutere di filosofia dell’informazione. Professore, c’è un termine che sembra fare il paio con biosfera, cioè “infosfera”. Perché è utile questo neologismo? Cosa designa? Luciano Floridi: Il termine circola da tempo. Io l’ho recuperato filosoficamente per parlare di due cose. Da un lato ci aiuta a definire l’ambiente in cui viviamo, fatto di informazioni, flussi di dati, interazioni con software e sistemi automatici,in un misto
di analogico e digitale, e così via. In questo senso è un aggiornamento del vecchio termine “ciberspazio”. Qui l’utilità sta nell’abbandonare l’idea che ci siano spazi separati, come se l’infosfera fosse un luogo quasi alieno, diverso, innaturale, cioè “ciber”, in cui entriamo e usciamo come e quando vogliamo. In realtà, l’infosfera è l’habitat quotidiano per miliardi di persone, sempre di più, e sempre più comunemente.D’altro lato,ho usato il termine “infosfera” ontologicamente, per parlare della realtà in generale, in una metafisica che interpreta l’Essere in modo informazionale. Se, da un punto di vista informazionale, tutto può essere letto come fatto d’informazione (si pensi allo strutturalismo in filosofia della scienza), allora “infosfera” e “Essere” diventano co-referenziali. In questo caso, l’utilità sta nel poter presentare, con chiarezza e spero cogenza, una forma di Monismo relazionale che mi sembra più in linea con la nostra epoca: c’è solo un Essere, ma l’Essere è una rete (non un insieme di elementi, come mele nel cestino), in cui le relazioni costituiscono i nodi (le cose, che sono come le rotonde costituite dalle strade),con articolazioni (il molteplice) e trasformazioni (il divenire). Lei ha coniato il termine onlife. Ce lo può spiegare? Luciano Floridi: L’ho coniato per fare riferimento alla vita nell’infosfera, dove non ha più senso chiedere se si sia online oppure offline, connessi o non connessi. Si pensi a come il nostro cellulare ci geo-localizza continuamente, a come il nostro
orologio misura le nostre attività fisiche, o al fatto che abbiamo a disposizione ogni informazione costantemente, solo a un click di distanza. La cucina è un luogo dove Alexa, o un orologio digitale che si aggiorna automaticamente con un segnale radio, convivono con sale e pepe. Come ho spiegato con una metafora, viviamo sempre di più alla foce del fiume, cioè onlife, dove chiedere se l’acqua sia dolce o salata (se si è online o offline) non ha senso, anzi significa non aver capito dove si è, perché lì l’acqua è salmastra.
Luciano Floridi: Si tratta di trasformazioni profonde, ma a volte anche difficili da percepire nella loro esatta natura. Prendiamo il caso della memoria e dell’oblio. Veniamo da un’esperienza millenaria, durante la quale il problema è sempre stato che cosa scegliere, preferire, selezionare, privilegiare affinché resti a “futura memoria”. Oggi sappiamo che, invece, il digitale si accumula come la polvere in casa, e la nostra cultura sembra sempre più una della cancellazione: che cosa rimuovere, editare, curare o semplicemente non registrare. Non è un passaggio lineare, da una cultura della memoria a una cultura dell’oblio, perché si aggiungono anche altre variabili, in particolar quella della fragilità della memoria digitale. In passato ho coltivato la passione per la storia della filosofia e nel corso di molti anni ho fatto ricerche e alla fine pubblicato un libro sulla tradizione manoscritta di Sesto Empirico. Ecco, quei manoscritti che ho consultato in tante biblioteche e archivi sparsi in Europa e negli Stati Uniti hanno una stabilità analogica che il digitale può solo invidiare.Le tecnologie diventano desuete, i supporti si smagnetizzano, il concetto di palinsesto ha una radicalità di riscrittura che nel caso del digitale e totale e spesso irreversibile. Sono felice di avere una copia cartacea delle mie tesi, perché so che quei floppy disk sullo steso scaffale sono ormai illeggibili. La vastissima memoria che stiamo accumulando è anche una memoria straordinariamente fragile. E questa dialettica tra memoria e oblio, tra quantità e fragilità di ciò che registriamo,è solo uno dei tanti aspetti della nostra vita culturale che il digitale sta trasformando. Per
Si parla tanto di smartphone, di smartwatch, di sistemi intelligenti, insomma il tema dell’intelligenza artificiale è fondamentale per capire il mondo in cui viviamo. Quanto sono intelligenti le così dette “macchine intelligenti”? Soprattutto, la loro crescente intelligenza creerà in noi nuove forme di responsabilità? Luciano Floridi: È vero, tutto viene etichettato come “smart” o come “deep”: deep learning, deep neural networks. Scherzando con i ragazzi a Oxford dico che noi non facciamo ricerca sull’ethics o sulla philosophy, quella la fanno tutti, noi facciamo ricerca sulla deep ethics e la smart philosophy. Più seriamente, l’Intelligenza Artificiale (IA) è un ossimoro.Tutto ciò che è veramente intelligente non è mai artificiale e tutto ciò che è artificiale non è mai intelligente. La verità è che grazie a straordinarie invenzioni e scoperte, a sofisticate tecniche statistiche, al crollo del costo della computazione e all’immensa quantità di dati disponibili, oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, siamo riusciti a realizzare su scala industriale artefatti in grado di risolvere problemi o svolgere compiti con successo, senza la necessità di essere intelligenti. Questo scollamento è la vera rivoluzione. Il mio cellulare gioca a scacchi come un grande campione, ma ha l’intelligenza del frigorifero di mia nonna. Questo scollamento epocale tra la capacità di agire (l’inglese ha una parola utile qui: agency) con successo nel mondo, e la necessità di essere intelligenti nel farlo, ha spalancato le porte all’IA. Per dirla con von Clausewitz, l’IA è la continuazione dell’intelligenza umana con mezzi stupidi. Tutto ciò che è Parliamo di IA e altre cose veramente intelligente come il machine learning pernon è mai artificiale e ché ci manca ancora il vocatutto ciò che è artificiale bolario giusto per trattare non è mai intelligente. questo scollamento. L’unica agency che abbiamo mai conosciuto è sempre stata un po’ intelligente perché è come minimo quella del nostro cane. Oggi che ne abbiamo una del tutto artificiale, è naturale antropomorfizzarla. Ma credo che in futuro ci abitueremo. E quando si dirà “smart”, “deep”, “learning” sarà come dire “il sole sorge”: sappiamo bene che il sole non va da nessuna parte, è un vecchio modo di dire che non inganna nessuno. Resta un rischio, tra i molti,che vorrei sottolineare.Ho appena accennato ad alcuni dei fattori che hanno determinato e continueranno a promuovere l’IA. Ma il fatto che l’IA abbia successo oggi è anche dovuto a una ul-
“
„
9 SAPERI / Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
Questi nuovi device – ha menzionato Alexa e gli orologi digitali – stanno cambiando la nostra vita. I cellulari, specie da quando sono evoluti negli smartphone, ci rendono sempre più reperibili ma anche, in qualche modo, ci forzano a essere a disposizione degli altri. Per fare un altro esempio, la facilità nella fotografia con gli smartphone consente la soddisfazione del desiderio di catturare l’attimo, ma rende anche difficile obliare l’evento. Stiamo insomma vivendo le gioie e le fatiche dell’infosfera. Verso dove stiamo andato? A cosa ci dobbiamo preparare?
questo c’è tanto bisogno di una filosofia all’altezza delle nuove sfide: dobbiamo capire il presente in modo più approfondito per disegnare il futuro in modo migliore, non entrarci come se fossimo dei sonnambuli.
teriore trasformazione in corso. Viviamo sempre più onlife e nell’infosfera. Questo è l’habitat in cui il software e l’IA sono di casa. Sono gli algoritmi i veri nativi, non noi, che resteremo sempre esseri anfibi, legati al mondo fisico e analogico. Si pensi alle raccomandazioni sulle piattaforme. Tutto è già digitale, e agenti digitali hanno la vita facile a processare dati, azioni, stati di cose altrettanto digitali, per suggerirci il prossimo film che potrebbe piacerci. Tutto questo non è affatto un problema, anzi, è un vantaggio. Ma il rischio è che per far funzionare sempre meglio l’IA si trasformi il mondo a sua dimensione. Basti pensare all’attuale discussione su come modificare l’architettura delle strade, della circolazione, e delle città per rendere possibile il successo delle auto a guida autonoma. Tanto più il mondo è “amichevole” (friendly) nei confronti della tecnologia digitale, tanto meglio questa funziona, tanto più saremo tentati di renderlo maggiormente friendly, fino al punto in cui potremmo essere noi a doverci adattare alle nostre tecnologie e non viceversa. Questo sarebbe un disastro. Ci sono due circostanze in cui un adulto parla come un deficiente: quando si rivolge a un neonato, e quando parla con Alexa. Il primo caso è giustificato dall’evoluzione, il secondo deve esser evitato dall’innovazione.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / IUomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
10
Di recente l’Oms ha parlato di “infodemia” riguardo alla diffusione di fake news sul Coronavirus. Sempre di più l’aumento di informazione genera insicurezza e timori. Come vivere la rivoluzione digitale non essendone sopraffatti e manipolati?
→ L’assistente casalingo, Il futuro prossimo della robotica.
Luciano Floridi: Purtroppo l’eccesso d’informazione genera confusione. Se anche fossero tutte e solo informazioni corrette, la sovrabbondanza confonde. Si immagini di entrare in un bar dove dieci premi Nobel stanno tutti parlando insieme e a voce alta.Anche se tutti dicono cose ragionevoli e corrette, sarebbe difficile capirci qualcosa. C’è poi il fatto che il bar dell’informazione assomiglia molto di più a quello di Guerre stellari: non ci sono solo premi Nobel, ma manigoldi, imbroglioni, persone losche, bari, e anche tanta disinformazione. La soluzione è duplice. Si deve fare un po’ di pulizia, e per questo servono interventi socio-politici. Il bar da solo non si ripulisce facilmente. Fuor di metafora, servono regole e leggi ben fatte. Qui lo Stato e l’Unione Europea possono fare molto. E si deve preparare meglio tutti gli avventori. La formazione, la capacità critica, e un po’ di intelligenza nel capire che cosa vale la pena leggere o seguire, e che cosa è invece spazzatura, sono fondamentali, come saper attraversare la strada. Qui la scuola può aver un ruolo vitale. La rivoluzione informatica sta cambiando la scuola. Non si tratta solo di disporre di nuove tecnologie e di avere un accesso facilitato alla conoscenza, si tratta forse soprattutto di affrontare nuove sfide educative. Ritiene che sia tempo ormai di ripensare alle priorità nell’insegnamento? In tal caso, quali passi andranno fatti, a suo giudizio? Luciano Floridi: Credo di sì. Ho appena accennato al ruolo essenziale che la scuola può e deve
Proprio sul non dover inseguire la moda del momento si stanno misurando due sensibilità: quella dei novatori e quella dei conservatori, gli uni aperti e affascinati dal nuovo, gli
altri legati alla tradizione e ai suoi valori. Cosa salverebbe della scuola tradizionale? E la filosofia? Luciano Floridi: Credo che si possa conciliare innovazione e conservazione puntando su due fattori. Da un lato si dovrebbe far leggere molto di più i classici. Su questo spero che tutti possano essere d’accordo, almeno come orientamento generale. Se facciamo tradurre Tacito, o interpretare Dante, sarà bene far studiare Platone, Aristotele, Cartesio, Kant o Wittgenstein direttamente, sui loro testi, anche perché in molti casi i filosofi si sono sforzati di parlare a tutte le persone, in modo essoterico. D’altro lato, e mi accorgo che questo può essere più controverso, si potrebbe abbandonare l’insegnamento storicistico, per rivalutare l’insegnamento teoretico.Avere manuali per la scuola in cui i capitoli si intitolino metafisica, etica, filosofia politica e filosofia del diritto, epistemologia, filosofia del linguaggio, filosofia della mente, logica, filosofia della scienza e così via sarebbe bellissimo e permetterebbe alle studentesse e agli studenti di farsi veramente un buon quadro delle questioni filosofiche importanti e della strumentazione concettuale di cui c’è bisogno per affrontarle. Capirebbero che non è vero che la filosofia non risolve mai niente, ma che invece essa identifica e raffina le domande fondamentali che via via hanno preoccupato l’umanità nel corso della sua storia, per offrire uno spettro di risposte che, come le domande, evolvono con l’evolvere dell’umanità ma restano sempre aperte intrinsecamente al dibattito informato, ragionevole, e urbano. Potrebbero sviluppare un modo di pensare filosofico che guarda alle domande e alle risposte e a come si legano tra loro, non acquisire una competenza enciclopedia su chi ha detto cosa. Sarebbe un modo di insegnare filosofia che andrebbe d’accordo non solo con le discipline umanistiche, ma anche con quelle scientifiche. La filosofia a scuola potrebbe tornare a essere la padrona di casa di quel sapere che non conosce barriere, ma che ospita tutte le discipline, dando il benvenuto a tutti gli sforzi fatti dalla mente umana per capire qualcosa di più dei misteri che lo circondano. È di questa filosofia che c’è tanto bisogno oggi, anche per essere all’altezza delle sfide poste da digitale. Luciano Floridi è professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford.
Gian Paolo Terravecchia autore di manuali di filosofia per Loescher editore, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica.
11 SAPERI / Uomo e intelligenza artificiale: le prossime sfide dell’onlife
avere nel preparare le persone a vivere bene onlife. Sarebbe anche utile se la scuola non fosse vista come una fase della vita (prima durante e dopo), ma come un’istituzione che accompagna tutta la vita, a latere. Oggi è ancora raro “tornare a scuola”. In realtà ci si dovrebbe “restare”. È la semplice idea della formazione permanente, dove il sistema scolastico, anche in collaborazione con il settore privato, potrebbe fare moltissimo. Quanto agli insegnamenti, dovremmo evitare di inseguire mode. Se oggi iniziassimo a discutere sull’insegnamento scolastico di Python (forse il più diffuso linguaggio di programmazione) non sarebbe un disastro, ma temo che non sarebbe la strategia migliore. Ricordiamoci che i tempi di trasformazione di un sistema educativo sono molto lunghi, dall’approvazione di una riforma, alla formazione degli insegnati, al loro impiego, passano molti anni. Se avessimo seguito le mode, oggi staremo insegnando, come competenza essenziale, html, cioè a fare pagine Web, qualcosa di cui non si sente molta necessità. In realtà, le priorità nell’insegnamento devono essere esattamente questo: prior, cioè anteriori e superiori a quanto richiesto dal mercato di oggi o di domani. Credo quindi che si debbano oggi insegnare sempre di più le varie materie non come fatti e informazioni (a questo ci pensa Wikipedia) ma come linguaggi dell’informazione.Dobbiamo insegnare alle ragazze e ai ragazzi a parlare, leggere, e scrivere i linguaggi della matematica e della storia, della musica e dell’informatica, della geografia e dell’economia, dell’arte e della chimica, della fisica e della letteratura,non solo la propria lingua madre (che è la lingua di tutte le lingue) e l’inglese. Se si conosce bene una lingua dell’informazione, in modo critico e articolato, non ha poi importanza quanto quella lingua evolva negli anni successivi, si resta un buon parlante, che sa esprimersi, e sa capire e comunicare in quella lingua. L’aggiornamento è semplice. Ogni linguaggio appreso, che abbiamo fatto nostro (in inglese si usa la bella espressione essere “conversant” con una disciplina), sarà un limite rimosso alla nostra capacità di essere protagoniste e protagonisti nella società dell’informazione. Per esempio, se non so leggere e scrivere il linguaggio della statistica o dei mass media, quei due mondi mi saranno sempre esclusi come attore, non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche da un punto di vista socio-politico, perché sarò sempre al massimo solo un utente passivo, dipendente dalle competenze e dalle decisioni altrui. Per semplificare, bisogna insegnare a scrivere e correggere le voci su Wikipedia, non solo consultarle.
Anima e automa
Saperi / Anima e automa
12
Non esiste specificità dell’umano se non quella di essere deficitario e di doversi completare con i meccanismi: un’indagine filosofica sull’essere umano, a metà strada tra animale e automa. di Maurizio Ferraris
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
«I ↑ Modello in 3D di un robot umanoide di nuova generazione.
o ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Il replicante diviene umano nel momento in cui muore. Ma un replicante può davvero morire? E se fosse risvegliato l’anno dopo? In fondo, con una riparazione sarebbe stato possibile, e lui non si sarebbe decomposto, purché conservato in luogo acconcio (è l’intuizione che sta alla base della mummificazione negli Egizi). E inversamente, se la scena ci commuove e permette l’empatia con il replicante è proprio perché sappiamo che è come noi, che non risorgerà, e che davvero le cose che ha visto spariranno come lacrime nella pioggia. Se per il replicante è tempo di morire, dunque, per noi è tempo di pensare: e precisamente di stabilire che differenza c’è tra anima e automa. Sono innegabili le affinità che legano intelligenza umana ad apparati più o meno complessi come abachi, girarrosti, telefonini, libri. Qui vorrei sottolineare la differenza tra l’intelligenza umana e questi apparecchi. Questa differenza non dipende da qualità meccaniche, ma da proprietà organiche, ossia in parole povere dal fatto che il cervello sta in una testa e che la testa è normalmente at-
taccata a un corpo. L’essere umano è un organismo complesso, soggetto in forma essenziale a processi entropici, e perciò dotato di un senso (di una direzione, dalla nascita alla morte), che presiede alla genesi del significato, dell’autocoscienza, della capacità di avere dei fini, di prendere delle decisioni e di essere soggetto a responsabilità morale. Ciò che di diverso troviamo nell’intelligenza umana (per esempio, il fatto di manifestare degli scopi, di essere condizionata da emozioni, di avere una apertura sociale) dipende non tanto dal fatto che gli umani posseggano un cervello, ma dal fatto che quel cervello sia un organo vivente che è a sua volta parte di un organismo, che si inserisce in un conteso tecnico e sociale. È poi la corporeità con i suoi bisogni a far sì che l’intelligenza umana si sviluppi in un contesto sociale e in un rapporto essenziale con la tecnica. In quanto inserita in un corpo, l’intelligenza presenta principi finalisti che non si trovano nelle macchine.Ma in quanto il corpo umano è inserito in un contesto tecnologico e sociale, il radicamento corporeo viene potenziato attraverso il supplemento tecnologico e sociale. Quando trasferisco il mio archivio da un computer a un altro, la natura dell’archivio non cambia con il cambiare del suo supporto fisico. Ma se trapiantassi il mio cervello nel corpo di un altro non sarebbe più la stessa intelligenza, e possiamo
Virus e web
— Immagino di non essere il solo, in questi giorni di quarantena, ad aver pensato a Odradek, lo strano essere simile a un rocchetto che tormenta il protagonista di uno splendido apologo di Kafka [il racconto in cui compare Odradek è Il pensiero del padre di famiglia,del 1917,appartenente alla raccolta Un medico di campagna, N.d.R]. Il Coronavirus ne è un parente prossimo, e ragionando su Odradek possiamo capire qualcosa su di lui, noi che non siamo virologi, epidemiologi, scienziati, ma solo potenziali ospiti di questo inquilino sgradevolissimo. È vero, diversamente dal virus, Odradek riesce a muoversi da solo e non abbisogna delle nostre gambe; si aggira per le case rendendo inutile il richiamo “statevene a casa”; soprattutto,non uccide nessuno,eppure il padre di famiglia è preoccupato, e si pone due domande solo apparentemente contraddittorie. La prima, è se possa morire (dunque, se sia vivo). La seconda, è se gli sopravvivrà, e se sopravvivrà ai figli dei suoi figli. Non so Odradek, ma sicuramente Coronavirus non può morire, semplicemente perché non vive. Non sappiamo se i virus siano delle forme prece-
denti la vita, o delle vite degradate per qualche motivo; quello che è certo è che per vivere abbisognano della ospitalità di un vivente. Quello che è certo è che «Tutto ciò che muore ha avuto prima una specie di scopo, una specie di attività sulla quale si è logorato» [la citazione viene sempre dal medesimo racconto di Kafka, N.d.R.], mentre il Coronavirus non ha mai avuto scopi di sorta, né attività, e quando lo chiamiamo «nemico invisibile» cadiamo vittima di un antropomorfismo, comprensibile, certo, ma pur sempre un antropomorfismo. Solo gli organismi hanno degli scopi, dei tempi, dei fini, e il virus non ha nulla di tutto ciò, non più di quanto un orologio abbia di mira il dirci che ora è. Quella che combattiamo in queste settimane, e parla uno che sta tranquillamente nelle retrovie, il che non gli impedisce di riconoscere l’eroismo di chi muore per salvare altre vite, ha tutti gli aspetti di una guerra, ma è dunque priva di un elemento fondamentale, il Nemico. Per essere dei nemici bisogna avere delle intenzioni, e questo non è sicuramente il caso del virus. Il che, sia detto di passaggio, è un concreto motivo di conforto, perché quando la guerra sarà vinta (ci vorrà tempo ma la vinceremo) ci saranno solo vincitori e nessuno sconfitto in senso proprio, anche se delle istituzioni come l’Unione Europea, se continuano di questo passo e con questa inerzia, ne usciranno ridotte peggio che nel maggio 1945. Se dovessimo trovare un terzo, insieme a Odradek e a Coronavirus, sarebbe il Web.Anche lui non si sa bene cosa sia, che forma abbia, se sia vivo o morto (io propenderei per la seconda, ma di questo un’altra volta), ma di certo ha bisogno delle vite degli altri. E più precisamente ha bisogno delle nostre mani e dei nostri piedi, proprio come il Coronavirus, che sarebbe inerte senza tutta la mobilitazione e la vita che lo nutre. Sbagliano dunque coloro che vedono nel Web una intelligenza collettiva e temono che un giorno prenderà il potere.Non farà nulla di simile,perché per tendere verso qualcosa bisogna essere vivi, e né il virus né il Web lo sono. Sbagliano però anche quelli che, magari dopo aver pensato al Web come alla prateria delle nuove possibilità e delle nuove libertà ne fanno lo strumento di un dominio spietato del Kapitale. Animismo anche qui. Né il Kapitale, né il Web, né il Coronavirus hanno delle intenzioni, buone o cattive di sorta. Sono i singoli umani che hanno intenzioni, quelle sì buone o cattive, ma questa è un’altra storia.E sono sicuro che se dovessi scegliere tra il virus e il Web, sceglierei il Web, che prende la mia vita come il virus, ma si limita a registrarla, e almeno in parte a restituirmela, dunque esercita un prestito più o meno forzoso ma non un furto e un omicidio. La parte più profonda e profetica dell’apologo di
13 SAPERI / Anima e automa
essere certi che in breve tempo la mia responsività (percezioni, gusti, preferenze, e ovviamente anche finalità) sarebbe radicalmente trasformata dal semplice possesso di un corpo diverso. Tuttavia, ciò che determina la nostra superiorità (o almeno diversità) rispetto agli animali non umani non è la dimensione organica (siamo animali altamente imperfetti) bensì il meccanismo, il grande dispositivo di esteriorizzazione e di ritenzione terziaria (accanto alla primaria, che è la percezione, e la secondaria, che è la memoria) costituita dalla tecnologia. Gli animali non umani hanno solo l’organismo, e dunque sono irritabili; le macchine solo il meccanismo, e dunque non sono irritabili ma reattive (reagiscono in base a programmi); gli umani si pongono all’incrocio tra meccanismo e organismo, cioè hanno per l’appunto una responsività, l’irritabilità di un organismo potenziata dalle risorse di un meccanismo. È nella responsività (la cui forma basica è la sensibilità,e l’irritabilità,l’occhio che si arrossa, il prurito, la tosse, mentre quella più filosoficamente manifesta è la ragione in quanto facoltà dei fini) che va ricercata la caratteristica fondamentale dell’umano, che non consiste in un qualche supplemento d’anima spirituale, bensì nella natura animale che ci caratterizza in quanto organismi, e nell’incontro fra l’organismo e un supplemento tecnico. Siamo umani in quanto siamo animali e siamo anime più complesse degli animali non umani perché disponiamo – in noi e soprattutto fuori di noi – di automi molto potenti che si chiamano linguaggio, cultura, tecnologia.
Ma non eccedo con gli aggettivi perché significherebbe, una volta di più, peccare di animismo, proprio come coloro che vedevano nei fulmini il segno della collera di Zeus e che oggi vedono nel Coronavirus la vendetta della natura violentata dall’antropocene. La natura è indifferente a quella popolazione debole e indifesa che sono gli umani e, come diceva qualcuno, se uccide più formiche che umani, è solo perché di formiche ce ne sono di più.
Che cos’ è la vita?
— Che cos’è la vita? Chiedetelo ai morti. Qualcosa del genere voleva suggerirci Nietzsche quando ci invitava a guardare il vivo come a una specie del morto, e come una specie molto rara. O Leopardi, quando, nel coro dei morti del dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, ci invita a guardare alla vita con gli occhi della morte. Se è così, non siamo mai stati così vicini alla comprensione della vita come in quel trionfo della morte che è il Web, che capitalizza la vita raccogliendone i gesti più minuti e irrilevanti, e la restituisce come automa, ripetizione, scrittura, realizzando la frase del Valdemar di Poe che Derrida ha posto in esergo alla Voce e il fenomeno:
Saperi / Anima e automa
14
Ho parlato di suono e di voce. Voglio dire che il suono era d’una sillabazione distinta, anzi meravigliosamente distinta. Mister Valdemar parlava; evidentemente per rispondere alla domanda che gli avevo fatto qualche minuto prima. Gli avevo domandato, come si ricorderà, se dormiva sempre. Ora diceva: «Sì, – no – ho dormito…, e ora… ora sono morto».
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Metabolismo ↑ “B&W Bender”, di John Scullin (Bender è un personaggio di Futurama di Matt Groening).
Kafka sta però nella preoccupazione, apparentemente incongrua, che assilla il padre di famiglia, quella che Odradek, immortale, continui a vivere dopo che lui e i suoi figli se ne saranno andati. Perché questa è la natura: ciò che c’era prima di noi e che ci sarà dopo di noi, né benigna né maligna, ma semplicemente indifferente e infinitamente più grande e potente degli umani. Coloro che, in un empito di megalomania che non deve mancare di farci riflettere sull’immodestia dei buoni sentimenti,hanno parlato di antropocene,sono invitati alla riflessione e al silenzio. Corriamo (e da quando eravamo quattro fessi in Africa, esposti a una vita solitaria, povera, pericolosa, brutale, e breve) il concreto rischio di estinguerci come specie, ma questo sicuramente non significa la distruzione della natura, anzi. In poche occasioni a mia memoria la natura si è rivelata così potente, libera, indipendente e forte.
— Ma cos’è la vita? Un fluido misterioso, uno slancio vitale? No, è semplicemente un processo che non solo è irreversibile come tutto nell’universo, ma particolarmente sensibile alla irreversibilità perché la combatte attraverso il metabolismo. Non c’è alcuna potenza occulta. La differenza è solo tra qualcosa che può riaccendersi una volta spento, e qualcosa che invece una volta spento non si riaccende. Gli organismi, è stato detto, sono oasi di ordine in un oceano di caos. Sarebbe meglio dire che sono impegnati in una battaglia contro il caos che, diversamente che nel caso dei meccanismi, quando è persa lo è per sempre. La freccia del tempo è il risultato della vittoria finale del disordine sull’ordine. Questa freccia agisce ovunque e su qualunque essere, ma la sua azione risulta particolarmente evidente proprio in quegli esseri, gli organismi, che si definiscono per la loro lotta contro l’entropia.
Crescita, riproduzione, morte
— Una pietra non chiede di essere alimentata, una pianta sì. Il corpo manifesta attraverso il metabolismo insieme la propria libertà rispetto alla materia e la sua assoluta dipendenza rispetto a essa in quanto indifferibilità del bisogno organico. La libertà rispetto alla materia consiste nel fatto che, nel corso del processo metabolico, il corpo vivente mantiene l’essenziale della propria forma. Ma non ci vuole molto per capire che questa libertà (del resto condivisa da molti meccanismi, che non mutano forma durante l’uso che costituisce per loro l’equivalente del metabolismo) è molto meno caratteristica e determinante di quanto non lo sia la necessità. Tuttavia, si potrebbe obiettare, anche i computer, le automobili e gli asciugacapelli sfruttano energia e rilasciano calore (poco, se sono progettati bene): sono forse esseri viventi? Ovvio che no, e per almeno tre motivi. In primo luogo, gli organismi, diversamente dai meccanismi, sono in grado di adoperare l’energia non solo per mantenersi in efficienza, ma per crescere. Si sono viste molte radio spegnersi quando è mancata la corrente, ma non si è mai vista una
radio crescere semplicemente perché le viene fornita della corrente. La macchina esegue un solo programma ed è già costruita; in lei l’alimentazione serve solo per permettere il funzionamento del programma. Nel caso degli organismi, invece, serve anche per il passaggio dall’embrione all’individuo adulto, e a questo stadio non si risolve nella produzione di energia, ma nella crescita del corpo. In secondo luogo, gli organismi sono nella maggior parte dei casi capaci di riprodursi, ossia di dar vita ad altri organismi simili a loro. Anche in questo caso, inutilmente si metterebbero delle banconote nello stesso ambiente per ottenere delle nuove banconote,mentre è del tutto ragionevole attendersi che qualcosa del genere accada in un allevamento di trote. Tuttavia, se ci riferiamo al senso tecnologico che accomuna tanto la natura quanto gli artefatti, e se pensiamo alla bioingegneria, ci rendiamo conto che nemmeno questa differenza è assoluta e insuperabile. Infine, e soprattutto, gli organismi, diversamente dalla materia inorganica, sono caratterizzati dal fatto di morire. Per riprendere l’esempio fatto un momento fa, chi lasciasse delle banconote in un cassetto per un anno, le ritroverebbe uguali a prima. Mentre chi lasciasse delle trote in un secchio, un anno dopo troverebbe qualcosa di considerevolmente diverso. Certo, ci sono organismi capaci di rallentare il loro metabolismo fino a stati di morte apparente,ma,alla fine,ogni vivente muore. Ora, è proprio in quest’ultima circostanza che va ricercata la specificità dell’organismo che più ci interessa in questo contesto, che è, non dimentichiamolo, finalizzato meno a determinare la differenza tra organismo e meccanismo quanto a riconoscere la specificità della forma di vita umana.
On/off; oppure: On/off, On/off, On/off….
— Se la forma dell’organismo è definita dalla alternativa on/off, quella del meccanismo è definita dalla serie on/off, on/off, on/off…Una macchina può ripetere tantissime volte on/off, è fatta per quello. A noi, come a tutti gli altri organismi, sono date sole due opzioni, on, e poi off, per sempre. Diversamente dagli altri organismi, possiamo però articolarci con meccanismi e potenziare le nostre possibilità,dando uno scopo ai meccanismi,che di per sé non ne hanno, e a noi stessi, che come organismi non abbiamo altro fine che non sia la nostra fine. Si osserva che anche un apparato tecnico può interrompere definitivamente il proprio funzionamento, ed è in effetti ciò che per lo più accade. Ma mentre ci si lamenta di un asciugacapelli che dura troppo poco (e si ha il diritto di restituirlo se si rompe prima del periodo di garanzia, che sarebbe anche un periodo di resurrezione minima) nessuno potrebbe mai rimproverare un umano perché
15 SAPERI / Anima e automa
Una fibbia di bronzo o un vaso di vetro non hanno mai lottato per conservare la propria forma, mentre i corpi umani sono perennemente impegnati in questo combattimento. Eppure, quando gli archeologi trovano una tomba micenea, la fibbia e il vaso sono intatti, mentre del corpo restano soltanto le ossa,quando va bene.Sembra una circostanza frustrante, ma è anche la ragione per cui, diversamente dalla fibbia o dal vaso, il corpo ha potuto albergare delle speranze, delle credenze, e delle fondatissime paure. Ecco dunque cos’è la vita: una crudele dipendenza dall’assunzione di energia. Il metabolismo è una lotta contro l’irreversibile e contro il disordine. Il calore si disperde e fornisce la direzione fondamentale, l’entropia e l’andamento verso la discontinuità e il caos. Questo cambia tutto: possedere un corpo significa avere dei bisogni, perseguire degli scopi, essere consapevoli di un tempo limitato e dunque prezioso (è pensabile un computer che si annoia? Credo proprio di no, mentre sappiamo bene quanto spesso ci annoiamo). Invece che essere a metà strada tra l’animale e il superuomo o né angeli né bestie, gli umani sono a metà strada tra l’animale e l’automa. Il surplus che possiedono rispetto alle macchine è l’animalità; il surplus che manifestano rispetto agli animali è la tecnologia o, meglio, la tecnologia che è il prodotto di una strumentalità cosiddetta di second’ordine: se gli altri animali realizzano strumenti, gli umani realizzano macchine, oggetti complessi la cui funzione non deriva dalla forma bensì dall’interazione tra le parti.
muore anzitempo, e se si rimproverano i suicidi è appunto perché la loro opzione è definitiva, ossia non ha nulla in comune con l’andare in stand by di un computer. Dal fatto che l’anima una volta spenta non possa riaccendersi seguono conseguenze decisive. In particolare, il carattere di “fine” in senso proprio si può dare solo per un evento irreversibile. Questo ci dà la misura di che cosa è veramente un vivo rispetto a un morto: solo ciò che ha una fine (una sola) può avere una vita. Che si viva una volta sola non è semplicemente un detto di buon senso, ma la più esatta caratterizzazione della proprietà saliente dell’anima rispetto all’automa. Dall’alternativa tra anima e automa deriva una legge generale. Solo ciò che ha una fine (ossia le sole due posizioni acceso e spento) può avere un fine, dal momento che sente l’unicità delle scelte e la storicità dell’esistenza (se è un professore) e la pressione delle esigenze alimentari e vitali (se è un professore o un papero). È questa circostanza a determinare quelle forme di urgenza, interesse, prossimità emotiva cui si cerca di rispondere, in maniera inadeguata e mitologica, invocando l’autocoscienza e l’intenzionalità collettiva.
Saperi / Anima e automa
16
L’anima è senza perché
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
— Non sappiamo se Odradek sia un’anima o un automa, ma sappiamo con certezza che Alberto e la zecca sono anime. Come li distinguiamo? La razionalità rispetto allo scopo non è il criterio adatto,
→ Robby, il robot protagonista di Forbidden Planet (Il pianeta sconosciuto), 1956, diretto da Fred M. Wilcox.
perché su quel punto la zecca batte di gran lunga Alberto. Il fatto che la zecca non sappia contemplare il cielo stellato sopra di sé e la legge morale in sé? Non scherziamo, sappiamo troppo poco tanto della zecca quanto di Alberto per rispondere a un simile quesito. La sola e decisiva differenza tra la zecca e Alberto è che, essendo quest’ultimo dotato di mani, può dotarsi di supplementi che arricchiscono la sua pochezza come organismo con le risorse del meccanismo, anzi, dei molteplici meccanismi dotati di finalità e resistenza a cui, diversamente dalla zecca, può accedere. Alle contrapposizioni fra natura e cultura, o materia e spirito, propongo di sostituire la contrapposizione anima/automa, che si distingue per il fatto che la prima è soggetta in linea di principio a un processo irreversibile di interruzione delle funzioni vitali, cui cerca di rispondere con il metabolismo, mentre il meccanismo sopporta senza difficoltà processi di accensione e spegnimento, e in taluni casi è programmato proprio a tal fine. Il problema mente/corpo è dunque la semplice copertura del problema automa/anima. La differenza e la complementarità tra mente e corpo non sono niente più che una trasposizione in termini ontologici di un problema funzionale, che riguarda i diversi modi d’essere di un meccanismo e di un organismo: la reversibilità del primo e l’irreversibilità del secondo.
Anima
— L’anima esprime questa situazione molto meglio che la pomposa definizione di “intenzionalità”. L’anima è l’espressione di un organismo che come tale non ha fine fuori di sé, essendo un fine in sé (nozione che d’altra parte è tutt’altro che ovvia: avere per fine se stessi è avere un fine o avere una fine?). Ogni organismo è un’anima. Il che non è ilozoismo, dal momento che ci sono parti enormi di materia che non sono viventi, e che condividono in più casi le medesime caratteristiche degli apparati tecnici. La libertà dell’anima rispetto all’automa consiste nel fatto che, nel corso del processo metabolico, il corpo vivente mantiene l’essenziale della propria forma. Ma non ci vuole molto per capire che questa libertà è molto meno caratteristica e determinante di quanto non lo sia la necessità. Non vedremo mai un automa vendersi per un pezzo di pane o dare in smanie nel corso di una crisi di astinenza. Gli automi non si annoiano, non hanno paura, non hanno desideri, e nemmeno volontà di potenza. Questa atarassia apparentemente virtuosa deriva solo dal fatto che l’automa sente la pressione del tempo e del bisogno in un modo ben più tenue di quanto non avvenga a un organismo. E questo semplicemente perché l’organismo ha come unico fine sé stesso, ossia la propria sopravvivenza.
L’anima è l’irrazionale per eccellenza, dal momento che non possiede una ragione interna, è senza perché,come la rosa di Angelo Silesio.L’unica funzione dell’anima, il suo principio di ragione, è la sopravvivenza, e in ultima istanza la morte. Dunque non ha nulla di razionale. L’automa è profondamente razionale, ha una finalità esplicita, risponde a dei bisogni. Ma questi bisogni sono dettati dagli organismi, dunque non possiedono alcuna razionalità ultima.
Automa
Iterazione, alterazione, interruzione
— Se l’anima è qualcosa che ha tempo e senso, l’automa non ha né l’uno né l’altro,ma va benissimo così, è fatto per avere significato, ossia per significare qualcosa per un’anima che ha bisogno di semafori e di asciugacapelli. Si disegnano così due direzioni fondamentali: da una parte l’anima,che non risorge e subisce le urgenze del metabolismo, la fame, la stanchezza, e la singolare unicità di una vita che è una e solo una. Dall’altra, l’automa che itera, non si stanca, prima o poi si rompe, ma sino ad allora può risorgere in ogni momento, come i lampioni che ogni sera si riaccendono. Che cos’è l’iterazione? Hegel ha scritto che il significato è due volte, e in tedesco si dice «Einmal ist keinmal»: una volta sola è nessuna volta.
“
„
17 SAPERI / Anima e automa
— L’anima è un corpo vivente. Nel caso del corpo umano, da tempi immemorabili il corpo si dota di supplementi che rimediano a delle insufficienze del corpo. Se quest’ultimo ha una finalità interna, cioè una finalità dubbia e problematica, i supplementi hanno una finalità esplicita ed enfatica: il coltello è fatto per tagliare, la penna per scrivere, gli occhiali per leggere, ecc. All’altro capo dell’anima c’è l’automa, che ha delle interessanti differenze rispetto all’anima e al generico supplemento. Come il supplemento generico, ha un fine esplicito: l’orologio è fatto per mostrare l’ora,il software è fatto per far funzionare il computer, l’algoritmo per calcolare. Come l’anima, si muove da sé (“automa” significa proprio questo). Si obietterà che l’anima si muove da sé senza che nessuno le abbia dato delle istruzioni, mentre sicuramente qualcuno ha schiacciato un pulsante per far partire un automa; ma questa è una differenza controversa, giacché potrebbe darsi benissimo che, invece, qualcuno il bottone lo abbia schiacciato anche per noi, solo che non lo sappiamo e non possiamo verificarlo. Lasciata in sospeso questa faccenda, il punto è un altro, e perfettamente constatabile. L’anima, una volta spenta, non si riaccende più; l’automa, invece, è fatto per spegnersi e riaccendersi per un numero di volte più lungo possibile.
Perché, ad esempio, potrebbe essere un messaggio partito per sbaglio, o contenente un errore, ed è per questo che quando ci iscriviamo a qualche servizio ci invitano a ripetere il nostro indirizzo di posta elettronica. Ma, al di là di questa ovvia funzione pratica, l’iterazione nasconde un potere metafisico che non sempre viene tenuto nel debito conto, e che acquisisce una particolare evidenza nell’eSe l’anima è qualcosa poca in cui la tecnica, che che ha tempo e senso, è anzitutto iterazione, acl’automa non ha né quisisce una evidenza senza precedenti, pur essendo l’uno né l’altro, ma va sempre stata in noi e fuori benissimo così, è fatto per di noi in quanto animali avere significato, ossia intrinsecamente tecnoloper significare qualcosa gici. L’iterazione rafforza, per un’anima che ha come quando si ribadisce un chiodo; facilita, come un bisogno di semafori e di sentiero che diviene semasciugacapelli. pre più aperto quanto più viene calpestato; e può persino distruggere, come la goccia che scava la roccia, o costruire, come la goccia che crea una stalattite. Il problema è che gli organismi, per quanto possano iterare, prima o poi si stancano. Anche il più petulante dei bambini si stuferà di chiedere «perché?». Mentre le macchine iterano senza affaticarsi,e se questo avviene,come nei vecchi orologi meccanici, basta ricaricarli; con gli organismi non si può: un cavallo sfinito, o un ballerino che muore d’infarto in una gara di resistenza, non risorgerà. In questo senso, l’automa risponde a esigenze di iterazione, mentre l’anima si fonda sulla alterazione.A un certo punto, nella storia, nella lingua o nella natura interviene una alterazione. Un evento imprevisto, una variazione di pronuncia, un errore di copiatura del codice che porta il bene della specie o il male dell’individuo. E di fronte a ogni alterazione siamo sempre impreparati, come se non fosse una legge del mondo, e prima di tutto della vita. Metabolismo significa proprio questo, “alterazione”, così come ciò che chiamiamo “morte” è una alterazione radicale delle forme proprie dell’organismo, che si presenta infine come interruzione (avevano ragione Nabokov e Maurice Chevalier: partire è un po’ morire, ma morire è partire un po’ troppo). Ovviamente, tanto nel caso dell’organismo quanto in quello del meccanismo il risultato è uguale, ossia la dissoluzione della forma, l’interruzione radicale. Se indiscutibili sono i meriti della iterazione e della alterazione, anche dell’interruzione non si può fare a meno. E questo non solo nel mito (prima o poi è necessario che Atropo tagli il filo della vita che Cloto ha filato e Lachesi intrecciato, e che Śiva distrugga ciò che Brahmā ha creato e Visnù ha preservato), ma nel mondo. Proviamo a immaginare una vita senza fine. L’aspetto più
interessante sarebbe che si tratterebbe di una vita priva di fini. Tanto per dirne una, il precetto del non rimandare a domani quello che potresti fare oggi, e che ha il suo banale fondamento nel fatto che domani potresti essere morto,perderebbe qualsiasi Una zecca o Alberto E con lui perderebposseggono intenzionalità, senso. bero senso tutti i richiami mentre Watson, il all’urgenza, così come gli supercalcolatore, non stimoli del metabolismo e i segni della stanchezza che la possiede: la zecca e ci ricordano quanto l’immiAlberto quando muoiono nenza di una interruzione lo fanno per sempre, dia il senso della vita ma, mentre Watson una volta più profondamente, dia sispento può riaccendersi. gnificato al senso. Che senso avrebbe infatti un senso che fosse semplicemente direzione, la freccia del tempo dettata dall’entropia? Perché questo senso sia più che una semplice direzione, occorre che in quel processo siano coinvolti dei viventi per i quali il senso ha un significato, l’idea che presto o tardi, ma comunque sicuramente, l’iterazione dei gesti e del metabolismo, sempre più lenta, si fermerà definitivamente. È lì che stavi andando, ed è proprio questo il senso di tutto quello che hai fatto, les jeux sont faits, rien ne va plus.
“
Saperi / Anima e automa
18
„
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
La fine e il fine
— Solo ciò che ha una fine in senso proprio può essere dotato di un fine in senso proprio. Il ragionamento è abbastanza semplice: avere una fine insuperabile è ciò che detta le urgenze, le contingenze, i tempi, le ansie, le noie, le mancanze, tutto ciò che si è oscuramente e infelicemente chiamato “intenzionalità”, e che è in effetti semplicemente il risultato della specifica condizione di un’anima che, potendo vivere solo una volta sola, è interessata e proiettata verso il mondo con una attenzione completamente diversa dall’automa. In altri termini, una zecca o Alberto posseggono intenzionalità, mentre Watson, il supercalcolatore, non la possiede. E questo non perché siano più intelligenti di Watson, e magari Alberto abbia, poniamo, scritto un libro sull’intenzionalità, ma perché la zecca e Alberto quando muoiono lo fanno per sempre, mentre Watson una volta spento può riaccendersi. La conseguenza cruciale di questo doppio radicamento (nella interiorità somatica e nella esteriorità tecnologica e sociale) è il paradosso del finalismo. In quanto parte sociale, l’essere umano infine esterna sé, e dunque condivide la finalità esterne tecnologiche degli apparati tecnici. Ma in quanto organismo, l’essere umano non ha altri fini che l’autosostentamento. Ne risulta, come ho detto più sopra, che la cosiddetta finalità interna degli organismi è in effetti una assenza di finalità. E che se di finalità si può parlare, è solo nella cor-
relazione tra un interno e un esterno, ossia, nella fattispecie, tra un organismo, da una parte, e i suoi supplementi tecnologici e sociali, dall’altra. Da questo punto di vista, l’animale umano manifesta una caratteristica particolarmente significativa che lo differenzia dagli animali non umani. Come questi ultimi, è dotato di una finalità interna, ossia di una fondamentale assenza di una qualsiasi finalità che trascenda le funzioni della nutrizione, dello sviluppo e della riproduzione. Proprio perché l’automa umano è inserito in un corpo vivente, cioè in un sistema complesso che lotta per sopravvivere ma è destinato a morire, l’automa umano è dotato di intenzioni, fini, teleologie (cose che sono presenti anche nella gallina, ma non nel computer). Ma si tratta di finalità insieme imperative (se non mangi, muori) e futili (che senso ha vivere?). Ma c’è un senso in cui gli umani sono riusciti a creare dei fini che vanno al di là della fine immanente alla vita biologica. In effetti, l’animale umano ha la caratteristica di moltiplicare le finalità esterne, sviluppando una ragione strumentale che a torto viene considerata come una forma degradata di ragione, mentre incarna la quintessenza della ragione come facoltà dei fini. Tipicamente, la continuazione della specie subisce, quando trasposta in un contesto umano, una crescita di significati: nuove braccia per coltivare i campi, carne da cannone, nuovi soggetti di imposizione fiscale. È in questo quadro che si disegna il carattere specifico dei fini dell’umano. L’umano in quanto tale ha un solo fine, cioè la propria fine, che lo spinge a quei comportamenti finalisti che difettano agli automi. Soprattutto, diversamente dagli altri organismi, l’umano è in grado di potenziare le proprie finalità esterne attraverso una serie di apparati tecnici complessi. La morte è un maestro tedesco, come nei versi di Celan, e sembra un maestro molto lontano, ma invece sta dietro a ogni nostro gesto, a ogni nostro acquisto online, a ogni nostro post. Sembra triste o iettatorio, ma non è vero: è il mondo della cultura e dello spirito,il gigantesco e divertentissimo circo che gli umani sono riusciti a mettere su mixando gli equilibrismi permessi dalla tecnica e il brivido e la motivazione donati dalla morte.
Maurizio Ferraris è vicerettore dell’Università degli Studi di Torino, professore ordinario di Filosofia Teoretica nello stesso ateneo e presidente del Laboratorio di Ontologia (LabOnt), che ha fondato nel 1999.
La sirena meccanica Donna, postumano e identità: dalla New Wave a oggi, narrazioni che indagano il rapporto tra corpo, tecnologia, immaginario, sé. di Nicoletta Vallorani
e coerente, riscrivendolo invece come un orizzonte instabile, che tende a rimodellarsi a seconda delle esigenze del contesto. In sintesi, diviene impossibile, nel tempo, considerare il corpo come un chimerico insieme organizzato. Piuttosto esso è, come spiega Peter Brooks (Body Work, 1993), un costrutto socioculturale, che si riorganizza in modi diversi a seconda del sistema più ampio nel quale è inserito. D’altro canto, scrive sempre Peter Brooks, vi sono aspetti del corpo che non sono riducibili a questa interpretazione. La sofferenza, il dolore, la felicità e la morte sono preculturali e prelinguistici, e pescano in una identità primordiale che dell’umano fa intensamente parte. Entrambe queste considerazioni sono rilevanti nel rapporto tra donna e tecnologia. In molti casi, nel postumano, quest’ultima è stata ed è utilizzata per evidenziare una storia di subalternità che nella costola di Adamo trova la sua origine. Quando scrive il Frankenstein (1818), Mary Shelley introduce nella letteratura la prima creatura postumana mai inventata. Lo fa basandosi su nozioni scientifiche che poco hanno a che vedere con la contemporaneità e pescando in un serbatoio di sperimentazioni più di tipo alchemico che riconducibili a un logos di genesi illuministica. E tuttavia, nell’ipotizzare una creatura costruita a partire da tessuti organici morti, Shelley realizza una esemplare proiezione della sua condizione di donna “anomala”, in un ambiente potentemente codificato come patriarcale, nel quale la sua vita è consumata ai margini di un mondo di uomini. Sebbene sia sempre vero che nessuna opera letteraria può essere interpretata come una semplice proiezione autobiografica, forse qualcosa di testimonial c’è nella solitudine del mostro: in essa si legge la fatale alienità di una scrittrice la cui identità si è formata sulle orme di un padre filosofo (William Godwin) e di una madre suffragetta (Mary Wollestonecraft) e in un ambiente di grandi intellettuali, ma anche potentemente maschile e maschilista.L’avventura
SAPERI / La sirena meccanica
È
complicato semantizzare in modo corretto l’aggettivo “postumano”. Come in tutti i termini con prefisso “post”, l’area di significato si sfilaccia, o quanto meno si orienta, almeno in due direzioni possibili, entrambe abbinabili all’idea di un superamento: il post può designare una progressione concettuale – ovvero una evoluzione tematica – oppure una mera successione cronologica – nel senso,appunto, della storia lineare di noi umani. Proprio questo aspetto rende interessante applicare la nozione di postumano alla donna. Biblicamente nata da una costola di Adamo, essa è, nei saperi occidentali, una creatura ibrida in partenza, che prende a prestito un segmento del corpo dell’uomo per entrare nel regno dell’esistenza. La tecnologia aggiunge complessità a questo quadro, introducendo peraltro anche la complessa questione dell’intelligenza artificiale, un altro concetto non facile da circoscrivere. Scienza sistematica per eccellenza – che combina la techne dell’arte al ruolo di riordino del logos – essa si combina in modi ambigui al “fattore umano”, con l’obiettivo esplicito di riorganizzarlo e renderlo più perfetto. Nel corso di questa operazione, finisce per incepparsi nelle componenti emotive e viscerali che entrano nel gioco quando il dato tecnologico si configura come operazione sopra e dentro il corpo, che si rifrange in modo inevitabile sui molti modi in cui questo corpo – maschile o femminile – si situa nella comunità cui appartiene, nella cultura che lo modella e nel mondo organico e inorganico col quale si relaziona. Più o meno a partire dalle teorizzazioni di Michel Foucault (Surveiller et punir, 1975), il corpo si costituisce come entità sempre iscritta in un campo politico. Esso è definito da un sistema di relazioni in gran parte regolate dalle necessità di sfruttamento economico e localizzate all’interno di una gerarchia sociale. Progressivamente, questo sistema di relazioni definisce un impatto non trascurabile sull’idea del corpo come entità coesa
19
gotica di un essere diverso da ogni altro può essere intesa come una strada laterale verso la catarsi, strada della quale, tuttavia, per molti anni viene colto soltanto l’aspetto sensazionalistico e/o le potenzialità inquietanti. Rimodellata ri-sessuata dal cinema originario nelle storie poco edificanti di Paul Wegener (Der Golem und die Tänzerin, 1917) Fritz Lang (Metropolis, 1926), la creatura-macchina, ora di sesso femminile, compare come donna robot, al meglio insensibile e al peggio crudele, poiché non umana, se non per qualche trascurabile aspetto estetico. Solo incidentalmente, già in questa fase, il corpo femminile (e non solo) viene proposto come un sistema strategico, una sorta di arena nella quale si misurano i poteri delle donne e degli uomini. Ma l’indicazione è celata e non troppo investigata. Bisognerà aspettare del tempo perché questa consapevolezza si manifesti in modo articolato, e da questo punto di vista gli anni Settanta, negli Stati Uniti,rappresentano uno spartiacque politico e artistico fondamentale. La fantascienza come genere letterario per elezione affine alla scienza e alla tecnologia è già ufficialmente nata da una trentina d’anni, ma perché essa diventi donna, occorre che il mondo cambi, o che quanto meno l’universo culturale occidentale venga riscritto dalle grandi mobilitazioni contemporanee alla guerra in Vietnam e alla destabilizzazione dei principi portanti della democrazia americana.
Saperi / La sirena meccanica
20
Puzzle postumani
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Ava in una scena del film Ex Machina, diretto da Alex Garland, 2015, premio Oscar per i migliori effetti speciali. ↓
— Il racconto di Philip K. Dick che ha innescato in modo più esplicito la questione del rapporto tra organico e inorganico è del 1968. Gli androidi sognano pecore elettriche? È, per così dire, un capolavoro accidentale, come molte opere di questo autore. Esso intercetta cioè senza troppa intenzione un problema che è sul tavolo, del tutto irrisolto, an-
cora oggi. Certo, Dick ricapitola in modo originale un rapporto uomo/macchina che già faceva parte del repertorio mitico di molti generi popolari, ma la contingenza storico-culturale enfatizza il problema, creando le premesse perché una questione del genere diventi il traghetto per parlare di molte forme di marginalità sociale, prima tra tutte quella femminile. La domanda centrale che Dick solleva ha a che fare con la qualità che definisce l’umano, e ovviamente le risposte possibili includono tutte la definizione di intelligenza (artificiale e umana), una caratteristica che di per sé stessa non è riducibile al puro dato intellettivo (probabilmente facile da ricostruire e potenziare artificialmente), ma tira in ballo questioni come le emozioni, i ricordi e la capacità di costruire connessioni lungo la linea del tempo. Della New Wave fantascientifica che vede emergere molte scrittrici di fantascienza di indubbio pregio (U.K. Le Guin, tra le altre) fa parte anche una donna che per qualche anno, e felicemente, scrive sotto pseudonimo maschile, producendo alcuni tra i racconti più riusciti del genere science fiction dalle origini a oggi.A James Tiptree Jr.– all’anagrafe Alice R. Sheldon – si deve per esempio una storia che con l’argomento affrontato in questa sede ha molto a che fare. “La ragazza collegata” (“The Girl Who Was Plugged In”, 1973) si sviluppa intorno al rapporto tra il corpo di una ragazza adolescente irreparabilmente brutta e la sua anima splendente, per lo più ignorata dai suoi coetanei.Sola come nessuno al mondo,Philadelphia Burke viene scelta per un complesso esperimento proprio perché nessuno si farà domande sulla sua sparizione. E lei stessa accetta senza problemi di essere collegata al corpo (sintetico) di una ragazza bellissima, in modo da poter vivere “per procura” la storia d’amore che ha sempre sognato. Il fatto è che la connessione a un certo punto non regge: Delphi, il corpo femminile perfetto, diventa irraggiungibile per P. Burke, che
zione, ad esempio, di un ginocchio e di come esso sia rimasto segnato da una caduta in bicicletta, oppure di come abbia perso elasticità negli anni o di come sia diventato più forte. Simbolicamente, il corpo di donna che vediamo nella prima schermata è un sistema di segni “reso parte del sistema di significazione, un corpo che fa il suo ingresso nel regno della scrittura” (Brooks 1993). Esso ha anche un’altra caratteristica interessante: la tecnologia informatica che rende possibile una narrazione di questo tipo trasforma incidentalmente il corpo in un puzzle di frammenti, un insieme fatto di tagli e suture in cui i pezzi si possono ricomporre a piacimento, secondo i desideri del lettore. La nuova creatura di Frankenstein, in altri termini, non solo è donna, ma è anche caratterizzata da una composizione metonimica che traduce una irreparabile perdita di coesione.
L’oggi che verrà
— Nel panorama che si è tracciato fin qui, l’accelerazione esponenziale dei tempi del cambiamento ha un ruolo non trascurabile. Dalla svolta del secolo a oggi, il postumano si è arricchito di potenzialità concrete – scientifiche, intendo – che hanno articolato una complessità già difficile da governare. Le suture che si vedono bene nella “ragazza patchwork” di Shelley Jackson si sono fatte sempre meno visibili, incrementando la difficoltà a individuare il problema reale implicato in questa possibilità teoricamente infinita di potenziamento e perfezionamento del corpo. L’intervento sulla nostra superficie visibile produce un impatto anche su quello che si vede meno, ovvero sulla nostra identità. Sono due facce della stessa moneta, e non possono scorporarsi senza danno. Con uno sviluppo paradossale, e quanto meno a livello immaginativo, le suture corporee hanno riportato in primo piano una questione centrale, ovvero la sutura primaria tra corpo e identità. In questa retorica del frammento che risponde alla volontà – ora diventata possibilità scientifica – di adeguare il corpo all’identità che vorremmo avere, diventa più facile dimenticare l’identità che in effetti abbiamo, ovvero chi siamo davvero. La differenza tra avere un corpo ed essere un corpo diventa lo snodo fondamentale di tante narrazioni,popolari e non – che col corpo hanno a che fare. Bay City (Richard K. Morgan, 2002) – un romanzo di indubbia appartenenza popolare di recente adattato nella serie televisiva Altered Carbon – solleva, seppure in modo molto semplificato, i mille problemi che risultano dalla possibilità di passare da un corpo all’altro, una possibilità non sempre determinata da una scelta. Il “non riconoscersi” guardandosi allo specchio non è più, come un tempo, un problema simbolico o etico, ma diventa un dato fattuale, fattualmente terrorizzante.
21 SAPERI / La sirena meccanica
muore da sola, ormai trasformata in un groviglio di cavi e carne irriconoscibile come organismo. E quel che è peggio è che P. Burke non scoprirà mai di essere stata perdutamente – e sarcasticamente – amata dal giovane tecnico che si occupava dell’esperimento. Insostenibile dal punto di vista scientifico, la narrazione è tuttavia perfettamente riuscita in termini concettuali. Essa dimostra per l’appunto non solo l’impossibilità di colmare il varco spaziale e simbolico tra un corpo fittizio e una identità distaccata da esso, ma aiuta anche a riflettere su come sia ingombrante l’obbligo di bellezza imposto al corpo femminile, che in molte culture – e per certo in quelle di impostazione patriarcale – trova la sua principale ragion d’essere. Perché la cosa venga teorizzata in modo articolato occorre aspettare ancora qualche anno, ma non a caso questa teorizzazione arriverà dalla penna di una filosofa e tecnologa. Nel 1991, Donna Haraway pubblica il suo Manifesto cyborg, un testo che di fatto rappresenta il tentativo riuscito di fare ordine in una materia complicata: il rapporto tra organico e inorganico e la necessità di una ridiscussione dello status dell’essere umano nel mondo. Identificando nel cyborg – l’organismo cibernetico – la nuova identità postumana, Haraway dimostra come lo sviluppo della tecnologia abbia prodotto sul concetto di umanità un impatto che è passato in gran parte inosservato e che ora comincia ad apparire evidente proprio perché ha raggiunto un coefficiente di integrazione molto alto con l’organico. In altri termini, sostiene Haraway, non siamo più esseri naturali dal molto tempo, e sarebbe anche il caso di prenderne atto. Qualunque minima protesi – un paio di occhiali come un supporto uditivo o una stampella – ci costringe a fare i conti con un sistema di interazione nuovo con la tecnologia, che riconfigura la mappa spaziale di funzioni “naturali” di solito attribuita al corpo, non più “semplicemente” umano, ma fatalmente ibridato. È a questo punto, io credo, che il “post” concettuale e quello cronologico si combinano in modo irreversibile,producendo una nuova ontologia. Pochi anni dopo la pubblicazione del Manifesto cyborg, è di nuovo una donna – scrittrice e artista performativa nordamericana – a ricavare una visione efficace dalle riflessioni messe in ordine da Haraway. Shelley Jackson – il cui nome intreccia un omaggio a Mary Shelley con il riferimento pop al corpo rifatto di Michael Jackson – pubblica The Patchwork Girl nel 1995. L’opera è uno dei primi ipertesti realizzati. Si tratta di una sorta di autobiografia per frammenti. L’indice è sostituito dall’immagine di un corpo femminile diviso in sezioni, un po’ come gli schizzi del corpo di animali da un macellaio. Cliccando su ciascuna delle parti, se ne ascolta la storia, che prende le forme della ricostru-
Approfondire —
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / La sirena meccanica
22
• R. Braidotti, Metamorphoses: Towards a Materialist Theory of Becoming, Polity Press, Cambridge 2002. • R. Braidotti, Transpositions. On Nomadic Ethics, Polity, London 2006. • P. Brooks, Body Work. Objects of Desire in Modern Narrative, Harvard University Press, London-Cambridge 1993. • A. Caronia, Il cyborg: saggio sull’uomo artificiale, Theoria, Roma 1985. • P. Dick, Do Androids Dream of Electric Sheep?, Weidenfeld & Nicolson, London 2012. • V. Fortunati, A. Lamarra, E. Federici (eds.), The Controversial Women’s Body. Images and Representations in Literature and Art, Bononia University Press, Bologna 2004, pp. 109-30. • D. Haraway, A Manifesto for Cyborgs: Science, Technology and Social Feminism in the 80s, in «Socialist Review», 15, 80, 1985, pp. 65-107. • U. K. Le Guin, The Dispossessed: An Ambiguous Utopia [an Astonishing Tale of One Man’s Search for Utopia], 1, Harper Voyager, New York 2011. • J. Russ, We Who Are About To--, Wesleyan University Press, Middletown, Conn 2005. • M. W. Shelley, M. Hindle, Frankenstein, or, The Modern Prometheus (1818), Rev. ed. Penguin Classics, London; Penguin Books, New York 2003. • J. Tiptree, Ten Thousand Light-Years from Home, Ace Books, New York 1978.
Non si nega il potere liberatorio di una tecnologia in grado di rendere più “bello” il corpo, soprattutto per le donne, per le quali la mancata accettazione della propria apparenza estetica rappresenta un problema più ingombrante. E tuttavia proprio nei personaggi femminili di alcune narrazioni ipertecnologiche recenti – come ad esempio il recente Blade Runner 2049 – la perdita di coesione del corpo determina una deriva spettrale che incrementa la fragilità del femminile, e la sua funzionalità al desiderio maschile. Un corpo frantumato e non accompagnato da una identità irrefutabilmente connessa a esso è più facilmente soggetto a strumentalizzazioni. È, fatalmente, un corpo che non si riconosce e che non resiste. È forse interessante che solo di recente nel contesto italiano venga pubblicata una raccolta come Le visionarie (A.& J.VanderMeer,2018),nella quale la nozione di postumano si combina felicemente, in molti dei racconti, con nuove forme di intelligenza artificiali, rizomatiche invece che linearmente connesse al potenziamento delle abilità scientifiche e intellettuali. Non vorrei comunque che questa mia riflessione venisse letta in chiave luddista. La tecnologia è un dato non prescindibile, e non si tratta di cancellarla. Occorre però essere consapevoli della sua esistenza e dei suoi rischi come dei vantaggi, soprattutto in relazione a un contesto culturale specifico nel quale la donna, come costola di Eva, continua ad avere qualche problema di integrazione egualitaria, umana e postumana. Andrebbe considerata con molta attenzione la posizione che Rosi Braidotti esprime nel suo Trasposizioni (2006), quando propone – forse in modo poco definito ma per certo interessante – di scegliere la complessità come possibile strumento per superare la frammentazione, immaginando nuovi sistemi di connessione, che aprano la strada a un immaginario sul corpo del tutto inedito. Poiché non si tratta più di scegliere se essere postumani. Lo siamo già. Tanto vale farci i conti.
Nicoletta Vallorani
• Altered Carbon (serie TV, 2002). • Blade Runner (R. Scott, 1982). • Blade Runner 2049 (D. Villeneuve, 2017). • Der Golem und die Tänzerin (P. Wegener, 1917). • Metropolis (F. Lang, 1926).
insegna Letteratura inglese e Studi culturali presso l’Università degli studi di Milano. Tra i suoi volumi pubblicati, Geografie londinesi. Saggi sul romanzo inglese contemporaneo (CUEM, Milano 2003). È anche autrice dei recenti Anti/corpi. Body politics e resistenza in alcune narrazioni contemporanee di lingua inglese (Libraccio Editore, Milano 2012) e Millennium London. Of Other Spaces and the Metropolis (Mimesis, Milano 2012). La sua pubblicazione più recente è Nessun Kurtz. Cuore di tenebra e le parole dell’occidente (Mimesis, Milano 2017). È scrittrice di noir e letteratura distopica. L’ultimo romanzo pubblicato è Avrai i miei occhi (Zona42, Modena 2020).
Intelligenza Artificiale, Educazione Speciale?
di Carlo Milani
L
a cosiddetta Intelligenza Artificiale (IA) va di moda. In Italia più che altrove: se prendiamo come termometro le ricerche online legate a questo termine, notiamo un’impennata significativa fra il 2019 e il 2020, mentre negli Stati Uniti AI (Artificial Intelligence) risulta in crescita relativamente costante negli ultimi 5 anni. I dati provengono da Google Trends, un servizio offerto da Google che è… un’Intelligenza Artificiale?! Fra le applicazioni pratiche, esaltate dagli entusiasti e sminuite dagli scettici, ricordiamo: i servizi di assistenza alla clientela (in particolare i chatbot delle compagnie telefoniche); gli acquisti, sempre più personalizzati e rapidi; i social network, in particolare le notifiche e i feed (ad esempio,la timeline di FB,costruita in base al profilo di ciascun utente); la finanza, dove gli algoritmi di trading da parecchio hanno soppiantato gli obsoleti negoziatori umani; viaggi e trasporti, dai suggerimenti del navigatore alla pianificazione degli spostamenti fino alle occasioni di ospitalità; le case furbe (smart), disseminate di sensori in grado di regolare la temperatura dell’acqua, l’illuminazione e così via; le automobili furbe (smart), con tanti accorgimenti per assistere la guida,in prospettiva delle auto a guida autonoma; la sorveglianza e il controllo, nelle strade come a casa propria, spesso attraverso sistemi di ricono-
scimento facciale e vocale; l’assistenza sanitaria, nella diagnosi precoce così come nella ricerca farmaceutica di nuove molecole, nella gestione dei dati dei pazienti, nella chirurgia di precisione. E, infine, nell’educazione: per abbassare l’ansia dell’apprendimento, personalizzare l’insegnamento, ma soprattutto controllare e monitorare, valutare, schedare… Sgombrare il campo dagli equivoci sull’IA non è banale. Spesso la discussione si concentra sugli algoritmi (per reti neurali, machine learning e così via), dei quali si chiede la regolamentazione, per evitare che decisioni rilevanti per gli umani vengano prese senza tenere in considerazione parametri etici, o estetici, ovvero la supremazia dell’umano. Ma un algoritmo è una ricetta per ottenere un certo risultato, un processo logico-formale strutturato in passaggi logici elementari: può essere economico in termini computazionali, magari elegante, senz’altro artificiale, ma non intelligente. E allora, da dove viene la parte intelligente dell’IA? A mio parere, è un’espressione allettante per indicare procedure di automazione effettuate con metodologie opache, spesso protette da segreto militare e/o industriale. In particolare designano processi particolarmente complicati a livello computazionale, ad esempio perché attingono a enormi bacini di dati ed è oneroso (o antieconomico) tenere traccia di ogni passaggio; procedure portate a termine in tempi estrema-
23 SAPERI / Intelligenza Artificiale, Educazione speciale?
Intelligenza Artificiale è un’espressione accattivante per Automazione Industriale. Abiti nuovi per una domanda antica, nelle dinamiche educative come in qualsiasi altro ambito: chi controllerà i controllori, una volta che le procedure di apprendimento, sorveglianza, monitoraggio, valutazione saranno messe in opera da macchine gestite in maniera automatica? Sulla base di quali parametri?
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / Intelligenza Artificiale, Educazione speciale?
24
↑ Un computer davanti a un negozio giapponese rammenta ai clienti la necessità di osservare le norme anticovid.
mente rapidi e con risultati certi rispetto all’esecuzione da parte di umani. Sia chiaro: l’automazione è non solamente necessaria, ma auspicabile in molte situazioni. Anche nel caso del comportamento umano: se siete intenti a eseguire un tuffo, eseguite una procedura interiorizzata, senza chiedervi cosa sta accadendo,senza dubitare,per non inficiare il tuffo stesso. Lo stesso accade durante l’interazione con macchinari,dai più semplici ai più complessi. Gli umani non si chiedono costantemente come facciano a stare in equilibrio su una bicicletta, né come funziona un’automobile. Per fortuna: altrimenti nessuno frenerebbe in tempo ai semafori, se dovesse prima calcolare le probabilità di incidente o ragionarci sopra! A maggior ragione, un chirurgo esperto, al pari di qualsiasi altro artigiano, interagisce con strumentazioni sofisticate spesso in stati di flusso1. La capacità di rimanere negli automatismi procedurali può essere vitale: si richiamano alla memoria e ripetono procedure apprese, senza pensare. Esistono però anche altre modalità di apprendimento, che non fanno ricorso a un tipo di memoria procedurale e implicito, ma dichiarativo ed esplicito: è il caso del pensiero critico, del ragionamento argomentativo, del confronto dialettico e di molte altre situazioni in cui non è evidente e calcolabile a priori, e nemmeno in corso d’opera, quale sia il comportamento migliore da tenere o la risposta più adeguata.
Vediamo ora come l’IA è legata all’esecuzione di procedure automatizzate.
In principio era la cibernetica2
— L’espressione IA pare sia stata coniata da John McCarthy nel 1955, in una proposta di finanziamento stesa insieme a Marvin Minsky e ad altri colleghi per seminari e laboratori da tenere al Dartmouth College l’estate successiva. Entrambi sarebbero diventati veri e propri guru per la neonata informatica e, appunto, l’IA. Allora si parlava di cibernetica, dal greco antico kubernetes, in italiano timoniere, in latino gubernator, colui che governa (la nave), da cui derivano i termini relativi al governo. Il matematico Norbert Wiener aveva contribuito enormemente alla diffusione di questo termine con due testi, La Cibernetica - Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina (1948) e il meno tecnico L’uso umano degli esseri umani (1950). Wiener, nato e cresciuto negli USA da famiglia ebraica, aveva vissuto l’epoca della Grande Guerra, dell’ascesa dei totalitarismi, della Grande Depressione, della Seconda guerra mondiale e aveva maturato un profondo pessimismo riguardo all’evoluzione dei sistemi di controllo e comunicazione. Vedeva il mondo come un insieme di complessi circuiti di retroazione, in cui sensori, segnali e attuatori (ad esempio i motori, che mettono in atto i segnali trasmessi dai sensori)
partire dalla seconda metà degli anni Ottanta del xx secolo, la diffusione dei Personal Computer (PC) e l’evoluzione del progetto militare di difesa DARPA in quello che oggi conosciamo come Rete di Internet, ha progressivamente portato la cibernetica davvero ovunque: ormai ribattezzata IA, oggi fa capolino nelle reti di calcolatori, negli smartphone, persino nelle lavatrici e negli altri elettrodomestici di uso quotidiano. Macchine connesse fra loro che tendono ad auto-regolarsi sulla base dei nostri bisogni e desideri, più o meno consapevolmente espressi. E ora, chi sarà il timoniere, chi governerà l’IA realizzata? E come? Enormi sforzi vengono profusi nella propaganda di forme di IA «buona» (nice), per scongiurare i moniti di Wiener, che però sembrano più che mai attuali e riguardare l’intero pianeta.
IA per l’educazione
— Passiamo brevemente in rassegna i principali ruoli che l’IA promette di svolgere nell’educazione, perlopiù attraverso l’introduzione di software e hardware (programmi informatici e apparecchiature elettroniche) che sono vere e proprie scatole nere (black box) fornite da aziende che si guardano bene dallo spiegare come funzionano questi sistemi opachi. Innanzitutto, automatizzare e normalizzare l’assegnazione di voti. Certo, uno dei compiti più invisi agli insegnanti di ogni ordine e grado dipende da quella che Angélique Del Rey definisce «la follia valutativa»3, per cui non solo ogni attività dev’essere valutata secondo standard manageL’automazione è non riali, compreso l’insegnasolamente necessaria, mento, ma le operazioni ma auspicabile in molte di valutazione intaccano profondamente lo stesso situazioni. Anche nel insegnamento-apprendicaso del comportamento mento. Perciò non stupisce umano. Si richiamano l’enfasi sulle possibilità di alla memoria e ripetono classificazione automaprocedure apprese, senza tizzata: farebbero risparmiare tempo ed energie. Al pensare. momento l’IA è in grado di automatizzare solo la valutazione di materiali a scelta multipla: quindi gli insegnanti devono produrre materiali didattici altamente standardizzati. In secondo luogo, alcuni compiti di routine possono essere gestiti da IA: è il caso della comunicazione con gli studenti. Per esempio, chatbot vengono già utilizzati in contesti universitari per comunicare con gli studenti come assistente didattici, senza che gli studenti si rendano conto che non stanno interagendo con un umano. In effetti, SE domanda = «Quando si svolgerà l’esa-
“
„
25 SAPERI / Intelligenza Artificiale, Educazione speciale?
interagiscono attraverso un intricato scambio di informazioni. Razzi, robot, linee di assemblaggio automatizzate, reti di calcolatori sono tutti derivati dalle applicazioni ingegneristiche della cibernetica. In piena Guerra Fredda, Wiener metteva in guardia dal rischio per le democrazie di combattere i totalitarismi con le armi del totalitarismo stesso: ad esempio, costruendo servomeccanismi, ovvero sistemi di retro-azione, in grado di scatenare l’apocalisse (nucleare) semplicemente pigiando un bottone. SE i sovietici avessero lanciato le loro testate, ALLORA… ALTRIMENTI…: il costrutto condizionale SE-ALLORA-ALTRIMENTI (if-thenelse) è una delle basi logiche dell’automazione e si ritrova implementato in molti algoritmi. Perché inventare una nuova locuzione? In fondo, McCarthy e Minsky studiavano proprio come migliorare i sistemi di comunicazione fra umani e macchine, in un’epoca in cui i computer occupavano intere stanze, erano meno potenti di una calcolatrice e la comunicazione avveniva con pile di schede perforate. Ma, giovani rampanti, non condividevano il pessimismo del vecchio Wiener. Erano molto più allineati con gli scienziati che avevano collaborato al progetto Manhattan per la messa a punto della bomba atomica, che si consideravano «i buoni», e cercavano di produrre applicazioni commerciabili a partire dalle ricerche cibernetiche. In primo luogo in ambito militare, oltre che civile: mi riferisco in particolare a John Von Neumann,ma anche al cosiddetto padre della teoria dell’informazione, Claude Shannon. Certo, nella visione di Wiener mancava il riferimento alla mente, al pensiero… all’intelligenza! Si discuteva di come includere l’elemento cognitivo già nel 1942, al primo di una serie di incontri interdisciplinari sul controllo di sistemi complessi che sarebbero poi diventate le Conferenze Macy. Per effettuare il collegamento con le scienze sociali vennero coinvolti gli antropologi culturali Gregory Bateson e Margaret Mead. Bateson auspicava un nuovo tipo di ecologia dei sistemi in cui gli organismi e l’ambiente in cui vivono sono un tutt’uno e dovrebbero essere considerati insieme. All’inizio degli anni Settanta, la cibernetica dei sistemi osservati (del primo ordine) era ormai intenta a considerare i sistemi osservanti (del secondo ordine): aveva incluso nel suo campo d’indagine l’osservatore. Il pensiero sistemico si diffondeva, sistemi interrelati fra loro spuntavano come funghi laddove poco prima si vedevano solo serie separate di oggetti e soggetti; insomma, la cibernetica non era più una disciplina separata e distinta dalle altre, ma stava contagiando ogni cosa. E lì rimane tutt’ora, nascosta in bella vista. Per circa trent’anni la potenza di calcolo in circolazione rimase insufficiente per realizzare ciò che i pionieri avevano immaginato. Poi, a
me?», ALLORA risposta = «Il giorno X», è un tipo di comunicazione passibile di automazione. Inoltre, secondo i sostenitori dell’IA per l’educazione, in futuro gli studenti avranno un compagno IA per l’apprendimento permanente. Per farla breve, come oggi i consumatori possono contare su algoritmi sempre più personalizzati che conoscono i loro gusti al punto da suggerire acquisti su misura che essi stessi non avrebbero scovato, le prossime generazioni di studenti potrebbero crescere con assistenti IA che conoscono la loro storia personale e la storia della scuola che frequentano, degli insegnanti e via dicendo. Così, calcolando al volo i punti di forza e le debolezze individuali di ogni studente, potranno aiutare a elaborare programmi di apprendimento personalizzati. Diversi studi concordano nel sostenere che studenti affetti da disturbi dello spettro autistico possono trarre giovamento da assistenti IA che inculcano competenze sociali: certo, per chi soffre di difficoltà simili, SE situazione = «incontro compagno», ALLORA reazione = «saluto», potreb-
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / Intelligenza Artificiale, Educazione speciale?
26
be essere un tipo di apprendimento da automatizzare e introiettare tramite ripetizione meccanica. D’altra parte, se le attività noiose e routinarie come valutare, assegnare i compiti, fornire informazioni logistiche e burocratiche saranno svolte da assistenti digitali «intelligenti», gli insegnanti potrebbero dedicarsi a ruoli di facilitazione e motivazione dell’apprendimento. Una sorta di allenatori, mentori per spingere a ottenere risultati più brillanti. Al di fuori della classe, le IA potranno fornire servizi di tutoraggio personalizzato. Ad esempio prima di una verifica: poiché le IA conosceranno gli studenti meglio di quanto loro non conoscano sé stessi, un po’ come Amazon, Facebook e Google con gli adulti, potranno fornire gli strumenti aggiuntivi per rafforzare le proprie competenze; cioè immagazzinare informazioni in maniera più efficiente per sostenere con successo un esame: solo quelle necessarie, quelle (considerate) cruciali, e così via. Infine,le IA lavoreranno per identificare i punti deboli della classe. Per esempio, potranno individuare quando e con che frequenza determinati gruppi di studenti saltano alcune domande, aiutando l’insegnante nel riallestimento e adattamento continuo del materiale didattico per migliorare le prestazioni individuali e complessive.
L’automazione dell’educazione
→ Ai-Da, androide realizzato presso l’Università di Leeds (Regno Unito) in grado di parlare e dipingere.
— Wiener definiva la cibernetica «scienza del controllo e della comunicazione nell’animale e nella macchina». L’IA nell’educazione è questo, schermata magari da interfacce accattivanti, avvolgenti e aumentate, che propongono giochi istruttivi per apprendere divertendosi, con punti, classifiche, badge, livelli, status e premi per un po’ per tutti: è la via della gamificazione, inserimento di schemi di gioco in sistemi che non sono affatto giochi4. Una lunga e purtroppo tutt’ora dominante tradizione pedagogica ritiene che l’oggetto dell’educazione sia la trasmissione di informazioni da un sistema insegnante (un libro, una professoressa, una macchina per insegnare e così via) a un sistema apprendente (ad esempio, un gruppo di allievi, una macchina capace di adattarsi o qualsiasi altro sistema in grado di mostrare comportamenti tipici dell’apprendimento). Tale processo di comunicazione si coniuga sempre con un determinato sistema di controllo: disciplina della classe, interrogazioni e così via. Grazie all’impiego di macchine digitali connesse in Rete, il paradigma dell’IA tende da un lato a standardizzare le prestazioni, introducendo un elemento di quantificazione per così dire «scientifico» in un ambito di per sé qualitativo, perché eminentemente relazionale; dall’altro aspira a personalizzare l’insegnamento
← Ai-Da mentre presenta alcune sue opere esposte alla Barn Gallery del St John’s College della Universaità di Oxford nel luglio 2019..
27
averci a che fare, per esempio per poterle riparare quando possibile. Le tecnologie conviviali, per parafrasare Ivan Illich, possono aiutare gli umani a promuovere la realizzazione della libertà individuale in seno a una società dotata di strumenti efficaci5. Ma non ci sono automazioni risolutive né procedure tecno-magiche. In ogni caso, il piacere di imparare insieme richiede un pizzico di fatica! NOTE 1. Gli stati di flusso sono stati descritti dallo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi, forse il nome più noto nella psicologia positiva. Fra i suoi lavori citiamo il seminale Beyond Boredom and Anxiety: Experiencing Flow in Work and Play, Jossey-Bass, San Francisco, 1975 e la recente raccolta dedicata all’educazione, Applications of Flow in Human Development and Education: The Collected Works of Mihaly Csikszentmihalyi, Springer, Dordrecht 2014. 2. Per approfondimenti, si veda J. Brockman (a cura di), Possible Minds Twenty-Five Ways of Looking at AI, Penguin, 2020. 3. A. Del Rey, La tirannia della valutazione, trad. it. di A. L. Carbone, Elèuthera, Milano 2018. 4. Una storia in merito: Giocare o essere giocati?, in A. Trocchi, Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri, Seconda giornata: relazioni, Ledizioni, Milano 2019. Integralmente disponibile online https://ima.circex.org. 5. I. Illich, La convivialità, trad. it. di M. Cucchi, Mondadori, Milano, 1973.
Carlo Milani collabora con alekos.net – tecnologie appropriate e con C.I.R.C.E. (Centro Internazionale di Ricerca per le Convivialità Elettriche) – pedagogia hacker @circex. org.
SAPERI / Intelligenza Artificiale, Educazione speciale?
e l’apprendimento, con l’obiettivo dichiarato di ottenere il massimo (punteggio quantificabile) da discenti e docenti. Il pedagogista brasiliano Paulo Freire lo avrebbe definito apprendimento depositario, in cui il deposito di conoscenze dal sistema insegnante al sistema apprendente può essere velocizzato, facilitato e aumentato grazie a tecniche di automazione della comunicazione e del controllo dell’avvenuto deposito conoscitivo. All’opposto, un’educazione critica e problematizzante promuove la coscienza critica in un rapporto dialogico: la conoscenza si costruisce insieme, si impara insegnando, si insegna imparando. L’IA, almeno per come viene proposta in questo scorcio di XXI secolo, nel migliore dei casi può sorvegliare in maniera continuativa docenti e discenti, sostenere un addestramento personalizzato e alleviare lo svolgimento dell’ordinaria massa di burocrazia, operazioni che nulla hanno a che fare con l’educazione propriamente detta. Non mi pare un buon viatico per lo sviluppo di consapevolezza. Questo non significa che le macchine digitali debbano essere bandite dall’insegnamento e dall’educazione tout-court. Significa però che bisogna sceglierle in maniera oculata, perché le macchine, come gli umani, non sono tutte uguali. Esistono macchine corporative, chiuse e proprietarie, strutturalmente asservite a interessi di lucro e dominio. Esistono anche macchine libere, aperte e possibili compagne di percorsi di autonomia condivisi. Per distinguerle bisogna fare attenzione ai dettagli: sono sistemi che non promettono la luna, non garantiscono prestazioni mirabolanti o superiori alla media, non ammiccano a risparmi o guadagni, ma senz’altro richiedono di porre attenzione ed energie per
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / L’uomo classico tra humanitas, machine e automata
28
L’uomo classico tra humanitas, machinae e autómata Sul rapporto dei Greci e dei Romani con la scienza e la tecnologia c’è ancora molto da dire, anche per smentire la convinzione che il mondo classico avesse sviluppato la prima più che la seconda. di Mauro Reali
C
redo che non esista epoca che più di quella “classica” (cioè quella greco-romana) venga associata all’idea del primato del fattore umano su ogni altra cosa. Non a caso l’Oratio de hominis dignitate (1486) di Giovanni Pico della Mirandola, uno dei manifesti programmatici dell’Umanesimo europeo – quell’orazione nella quale si afferma che Dio ha posto l’uomo «nel mezzo del mondo» perché possa governarlo «da nessuna barriera costretto, secondo il [proprio] arbitrio» – è piena zeppa di reminiscenze platoniche e ciceroniane. D’altronde, non è forse stato il tragediografo greco Sofocle (V sec. a.C.) a scrivere «Molti sono i prodigi e nulla è più prodigioso dell’uomo» (Antigone, vv. 332-333, trad. F. Ferrari)? E non sono forse stati i latini Terenzio (II sec. a.C.) e Cicerone (I sec. a.C.) a darci le migliori definizioni dell’humanitas, concetto quasi intraducibile che allude al primato culturale, etico e sociopolitico della nostra specie? In effetti il mondo classico (se mai si può generalizzare parlando di una civiltà durata oltre un millennio…) non manca di fiducia nel genere umano, anche se è ben lontano da un antropocentrismo stolidamente ottimistico. Esiodo (VIII-VII sec. a.C.), infatti, sa bene che sono esistite epoche (come l’età dell’oro di cui ci parla nelle Opere e i giorni) più felici di quelle storiche in cui l’uomo deve
↑ Il rilievo funebre degli Haterii, con la gru calcatoria, Città del Vaticano, Musei Vaticani.
combattere e lavorare; e che il mondo sembri talora non essere “a misura d’uomo” ce lo ricordano sia l’epicureo Lucrezio (I sec. a.C.) sia lo stoico Plinio il Giovane (I sec. d.C.), con le loro descrizioni della Natura matrigna. Insomma, l’uomo greco-romano, essere razionale e sociale, sa che è destinato a governare il mondo, ma ci deve mettere testa e cuore, spirito acuto e braccia robuste; e talora si deve ingegnare a inventare strumenti che lo aiutino in questa titanica impresa: un po’ come l’Odisseo omerico che, per accecare il Ciclope, usò sia la sua proverbiale métis (astuzia) facendolo ubriacare, sia una sapiente téchne (arte, tecnica) nel trasformare un tronco in un palo appuntito e arroventato.
Scienza e tecnologia antiche: un dibattito aperto
— Si apre qui una questione che da tempo anima il dibattito tra gli antichisti, e cioè il rapporto dei Greci e dei Romani con la scienza e la tecnologia; dibattito condizionato fino a non molti anni fa dall’idea – corroborata anche dagli studi di Moses Finley, di gran moda negli anni Settanta e Ottanta del Novecento – che il mondo classico abbia sviluppato la prima ma non la seconda, a causa della massiccia presenza di manodopera schiavile. Infatti, se hai già un instrumenti genus vocale («tipo di
Machinae al servizio dell’uomo
— Il greco mechané e il latino machina sono termini polisemici, che al significato originario di «espediente ingegnoso» vennero sempre più associando quello moderno di «macchina», se è vero che l’architetto latino Vitruvio (I sec. a.C.) scrive: Machina est continens e materia coniunctio maximas ad onerum motus habens virtutes. Ea movetur ex arte circulorum rutundationibus, quam Graeci cyclicen cinesin appellant. («Una macchina è un assemblaggio di parti fra loro continue, che ha assai grande potenza per lo spostamento dei carichi. È mossa da rotazione dei cerchi, secondo il modo che i Greci chiamano ‘movimento circolare’», De architectura, 10, 1, 1, trad. E. Romano).Vitruvio si nutre del trattato di meccanica, solo parzialmente conservato, del greco Filone di Bisanzio (III sec. a.C.), a sua volta dipendente dagli scritti dell’inventore alessandrino Ctesibio, di poco più vecchio di lui. Impossibile, anche (e soprattutto) per l’incompetenza dello scrivente, ricordare qui nel dettaglio gli esiti dell’antica tecnologia (mechniké téchne in greco o ars mechanica, alla latina). Però le “macchine” di cui abbiamo notizia rappresentano marchingegni idraulici, pneumatici, meccanici pensati per un utilizzo pratico, finalizzato ad agevolare la vita civile o militare: si pensi solo ai torchi e alle presse per produrre vino e olio, alle gru per sollevare pietre da costruzione, agli orologi o ai mulini ad acqua, all’avanzata tecnologia usata sulle scene teatrali, oppure alle macchine da guerra (torri mo-
bili, catapulte, etc.) che tanta mostra di sé fanno sovente nei film ambientati nel mondo antico. Un vero film d’antan è invece l’interminabile fregio della Colonna Traiana, la cui erezione, curata dall’architetto Apollodoro di Damasco (grandissimo esperto di meccanica), è già di per sé un capolavoro di tecnica. Qui i soldati romani sono rappresentati non solo quando combattono, ma anche quando costruiscono palizzate, muri in pietra, ponti o quando trasportano armi e vettovaglie. E, sempre parlando di iconografia, come dimenticare il rilievo tombale degli Haterii, importante famiglia di imprenditori edili dell’età dei Flavi (coinvolti anche nella costruzione del Colosseo), il quale riproduce quella gru calcatoria (cioè azionata da piedi umani) il cui uso tanto contribuì al successo dei loro affari? La loro machina, questi, se la vorrebbero portare pure nell’Aldilà…
29
Gli autómata, macchine “intelligenti”?
— Se dunque non mancano interessanti esempi di tecnologia antica, è però vero che il tema del presente numero della nostra rivista, cioè quello della “intelligenza artificiale” e dei rischi che questa può comportare, è assai più specifico e a prima vista ancora più lontano dal mondo antico. Eppure, anche in epoca classica l’idea di costru-
Il meccanismo di Antikhytera, Atene, Museo Archeologico Nazionale. ↓
SAPERI / L’uomo classico tra humanitas, machine e automata
strumento che parla»), come scriveva nel I sec. a.C. Varrone (De re rustica,1,17,1),e per di più semovente, a che ti serve una tecnologia che crei strumenti muti e passivi? E che bisogno hai di oggetti dotati di “intelligenza artificiale”, se gli déi – con l’ampia giustificazione antropologica di filosofi del calibro di Aristotele e – te ne hanno fornito altri, cioè gli schiavi, dotati di “intelligenza naturale”? Oggi, però, sappiamo molto di più sulla scienza e la tecnica degli antichi; e ciò anche per merito di importanti ricerche, alcune delle quali menzionerò in bibliografia. Mi limito qui a ricordare solo quelle di Lucio Russo,notissime,relative soprattutto alla scienza di età ellenistica, e di Giovanni Di Pasquale, che in un recente volume tratta dell’uso delle macchine dalle civiltà mesopotamiche alla Roma imperiale. E se il primo studioso conferisce la giusta importanza alle scoperte scientifiche antiche, viste come anticipatrici della scienza moderna, il secondo prova a confutare il predetto rapporto consequenziale (considerato valido soprattutto per la civiltà romana) tra l’esistenza della schiavitù e la mancata evoluzione tecnologica; e lo fa nel modo più semplice e diretto, mostrando cioè come la tecnologia antica fosse tutt’altro che arretrata.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / L’uomo classico tra humanitas, machine e automata
30 La vite di Archimede, riprodotta da Leonardo nel “Codice Atlantico”, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana. ↓
ire automi – macchine, dunque, “intelligenti” in quanto semoventi – non è mancata; anzi, Filone di Bisanzio crede che la creazione di meccanismi dotati di moto rappresenti lo stadio più evoluto della tecnologia, come ho appreso dalle pagine di un bel saggio di Monica Pugliara. Non si può poi negare come tale sforzo ideativo contenga un tentativo inconscio di imitare gli déi: non era stato infatti il dio Efesto, secondo lo pseudo-Apollodoro (Biblioteca, 1, 9, 26) a fabbricare un automa bronzeo di nome Talo, di foggia umana o taurina, perché fungesse da guardiano all’isola di Creta? È per sfuggire a lui che l’architetto Dedalo e il figlio Icaro dovettero allontanarsi da Cnosso muniti di ali! Citerò allora un paio di esempi – tra quelli tramandati – relativi a due noti scienziati greci. Anzitutto Archita di Taranto (V-IV sec.a.C.),che avrebbe ideato una colomba di legno meccanica e volante (Aulo Gellio, Notti Attiche, 10, 12). Quindi Erone di Alessandria (I sec d.C.), inventore poliedrico e autore (oltre che di altre opere matematiche, meccaniche e ingegneristiche) di un trattato intitolato Autómata, amatissimo nel Rinascimento e che noi leggiamo ancora, nel quale descrive uno
stupefacente “teatro” semovente, nel quale alcune marionette di divinità si muovono in modalità non troppo diverse da quelle dei nostri “presepi meccanici”: l’episodio messo in scena, con tanto di effetti speciali, è mitico, cioè l’annegamento da parte della dea Atena di Aiace Oileo, reo di avere ucciso Palamede, figlio di Nauplio. È però l’archeologia a stupirci maggiormente, poiché nel 1906 il mare prospiciente l’isola di Antikhytera ci ha restituito le ruote dentate e gli ingranaggi in rame di un meccanismo identificato come un planetario meccanico del II sec. d.C., oggi conservato (e ricostruito) presso il Museo Archeologico Nazionale di Atene: solo ipotetica la sua originaria fabbricazione a Rodi, ove era attivo l’astronomo Ipparco di Nicea.Si tratta di un oggetto eccezionale, in primo luogo perché alle spalle della sua avanzata “tecnologia” ci sono raffinate conoscenze astronomiche e scientifico-matematiche, in primis quelle desunte dagli studi di Eratostene di Cirene (III sec. a.C.); in secondo luogo perché la sua struttura sembra ricordare planetari simili attribuiti dalle fonti ad Archimede (III sec. a.C.), uno che di meccanica certo se ne intendeva: numerose, infatti, sono le invenzioni a lui attribuite, tra le quali la cosiddetta vite idraulica (quella che Leonardo da Vinci riprodusse nel celebre “Codice Atlantico”), o le macchine belliche che ritardarono la conquista romana della “sua” Siracusa (212 a.C.). La consapevolezza dell’umana caducità Siamo ora giunti al momento di tirare un po’ le fila di questa riflessione che, partendo dall’Umanesimo ci ha portato, saltabeccando tra Grecia e Roma, fino a parlare di automi. Mi pare che da tutto ciò emerga un uomo classico un po’ più scientifico-tecnologico di quanto abitualmente si creda; i risultati di questa applicazione, però, sono sempre visti come “mezzo” – sapientemente guidato dall’uomo – per conseguire una vita migliore,e mai come fini a sé stessi. Quanto poi ai teatrini mobili o alle colombe volanti (che sembrano quasi poter vivere di vita propria), si tratta di oggetti – per così dire – voluttuari, che non paiono offuscare in nulla il primato dell’uomo nel governo del mondo. No, non ce li vedo proprio, i Greci e i Romani, a temere una ribellione di automi come quella descritta nel film del 1968 2001Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, nel quale la disobbedienza del supercomputer Hal9000 è un primo, profetico, esempio dei pericoli nella creazione di “macchine” (scusate la banalità del lessico) modellate sulla struttura della mente umana. Oserei inoltre dire che il primato che l’uomo classico rivendica nel governo del mondo gli derivi – paradossalmente – anche dalla profonda consapevolezza della sua debolezza. E con ciò intendo, in primo luogo, la coscienza della sua natura composita, quella che Pico della Mirandola descrive come possibilità di «degenerare nelle cose inferiori
che sono i bruti», o viceversa «rigenerarsi nelle cose superiori che sono divine» (trad. E. Garin). Ma alludo soprattutto al “chiodo fisso” della fugacità della vita, e della necessità di convivere con l’idea della morte: c’è infatti un fil rouge che lega l’uomo caduco “come le foglie” di Omero (VIII sec. a.C.?) e Mimnermo (VII-VI sec. a.C.) al carpe diem di Orazio (I sec. a.C.). No, l’uomo antico, pur consapevole delle proprie facoltà, non si sente onnipotente; e se qualche volta prova a fare l’homo deus,c’è qualcuno o
• G. Di Pasquale, Le macchine nel mondo antico. Dalle civiltà mesopotamiche alla Roma imperiale, Carocci, Roma 2019. • M. Galli, G. Pisani Sartorio (a cura di), Machina. Tecnologia nell’antica Roma. Catalogo della mostra presso il Museo della Civiltà Romana, Palombi editore, Roma 2009. • M. Finley, Economia e società nel mondo antico, Laterza, Roma-Bari 1984 (prima edizione inglese 1965). • E. Lo Cascio (a cura di), Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano. Atti del Convegno, Capri 2003, Edipuglia, Bari 2006. • E. Lo Sardo (a cura di), Eureka. Il genio degli antichi, Catalogo della mostra, Electa Napoli, Napoli 2005. • F. Minonzio, Problemi di macchinismo in ambito romano. Macchine idrauliche nella letteratura tecnica, nelle fonti storiografiche e nelle evidenze archeologiche di età imperiale, in «Archeologica dell’Italia Settentrionale» n. 8, Como 2004. • M. Pugliara, Il mirabile e l’artificio. Creature animate semoventi nel mito e nella tecnica degli antichi, L’Erma di Bretschneider, Roma 2003. • L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli, Milano 2017 (prima edizione 1996). • L. Russo, Archimede. Un grande scienziato antico, Carocci, Roma 2019.
L’homuncio di Petronio: una lezione di humanitas
— Mi viene in mente, a tale proposito, una “marchingegno” del tutto particolare, ben diverso da quelli dei quali abbiamo parlato prima. Si tratta di uno «scheletro d’argento, costruito così che le sue giunture e vertebre snodate potessero piegarsi da ogni parte», che il ricco liberto Trimalchione, nel Satyricon di Petronio, mostra ai suoi convitati per invitarli a riflettere sulla caducità della vita e bere senza troppe remore l’ottimo vino Opimiano da lui offerto, dicendo: «Ahinoi miseri, com’è nulla l’intero omuncolo! / Così saremo tutti, dopo che l’Orco ci avrà rapiti. / Dunque viviamo, finché possiamo spassarcela» (Satyricon, 34, trad. L. Canali). In fondo,anche questa macabra marionetta è un prodotto tecnologico, esito della perizia di qualche ingegnoso artefice; però non si muove da sé - non è dunque un automa – ma solo se manovrata dallo stesso Trimalchione, denunciando così i limiti della sua meccanica; da ultimo, essa raffigura uno scheletro, cioè quel che resta di un homo dopo la sua morte: un homuncio («omuncolo»), insomma. Sappiamo tutti che il Satyricon è un’opera paradossale, sospesa tra realismo e parodia; eppure quell’homuncio d’argento dice forse più cose di mille discorsi filosofici (quelli che Trimalchione aborriva): se ogni tanto non guardi la pur argentea miseria di questo scheletro e non ti accorgi che questo si muove solo se agitato manualmente, finisce che ti credi immortale (e allora sono guai perché la tua superbia – quella che Erodoto nel V sec. a.C. avrebbe chiamato hýbris – ti rovinerà) oppure che ti scordi di goderti la vita (che è pure peggio). Quell’homuncio è certamente privo di “intelligenza artificiale”, ed è invece l’homo – il quale è naturaliter “intelligente” – che deve apprendere la lezione che proprio l’inerte marionetta gli offre. Il messaggio che questa gli porge è infatti chiaro: l’humanitas ci porta sì a esaltare il nostro stato e, parimenti, ad aprirci con fiducia verso gli altri, ma tale atteggiamento è tanto più nobile quanto più si realizza tra esseri che ben conoscono i loro limiti e la precarietà della loro vita. In fondo, homuncio e humanitas hanno la medesima etimologia! Mauro Reali docente di liceo, dottore di ricerca in Storia Antica, è autore di testi Lœscher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e direttore responsabile de «La ricerca».
31 SAPERI / L’uomo classico tra humanitas, machine e automata
Approfondire —
qualcosa che gli ricorda che potrebbe trasformarsi in un homuncio («omuncolo»), e che forse almeno in potenza già lo è.
Sette poesie di Roberto Balò
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Saperi / Sette poesie di Roberto Balò
32
Tutte le poesie sono tratte dal libro Saga di Roberto Balò (Porto Seguro 2019): le prime cinque dalla prima sezione del volume, che raccoglie testi scritti tra il 1999 e il 2001; le altre dalla seconda sezione, Preludio a Saga, 2015-2019. «Epos e pop si fondono» ha scritto Elisa Biagini in una nota introduttiva al libro, e il viaggiatore solitario che impersona l’io lirico è di volta in volta Ulisse (Nessuno) e Han Solo, Douglas Quaid – protagonista di Total Recall, film tratto da un racconto di Philip Dick – e David Bowman, l’astronauta di 2001: Odissea nello spazio. Il futuro, in questa rara se non unica saga poeticofantascientifica, non è altro che una permanente e insistente promessa di immortalità e, soprattutto, di smemoratezza.
Boberto Balò è francesista, insegna italiano come lingua straniera e scrive di didattica dell’italiano, di arte e di musica. Legge in pubblico le sue poesie dai primi anni Novanta, da solo o in collaborazione con artisti e musicisti. Le sue opere poetiche sono: Rispetta il macellaio, Il dio placebo e Nuovi complementi al dio placebo, La perdita del tempo e Cartografie, Saga.
falsa partenza la mia astronave è partita solo per cercar conferme a quello che già sapeva inutile partire inutile restare penny lasciata a casa mi dimenticherà mille volte ma non ha detto niente anche lei sapeva itaca morbida troppo comoda per il mio culo troppo facile morire tra i tuoi seni teneri anche se questo viaggiare è pur sempre una prigione
una brutta bonaccia navigare nel futuro con l’astronave piena di ricordi o restare bloccato nella bonaccia costretto a vivere gli stessi giorni gli stessi minuti la stessa tristezza calda che mi rode da secoli anche gli ologrammi di te mi sono astiosi così m’imbevo di liquidi e mi trastullo ché neanche questa robottina di carne qui accanto può competere coi miei abietti pensieri
ad occhi aperti conta ciò che voglio sentirmi dire i precognitivi lo confermano si cerca quel che si vuole trovare anche se fino a un attimo prima non esisteva nemmeno
mentre il tempo passa scansare meteoriti schizzare negli iperspazi girovagare sotto droghe aliene che differenza tra il fresco condizionato di questa astronave e quello dei boschi che frequenti tra le piscine spaziali e i mari pescosi in cui ti bagni penny abilissima sarta dalla tela troppo piccola per la mia pazzia enorme vent’anni sono troppi per chiunque abbia un po’ di vita addosso
33 SAPERI / Sette poesie di Roberto Balò
richiamo totale viaggio su e giù millenni avanti e indietro finché un giorno vado troppo lontano mi trovo in un posto fatto di nulla e dico a me stesso non tornare indietro così niente accadrà resta qui non ci sarà passato solo questo futuro che sarà come un presente ma all’improvviso sento uno strappo e torno indietro con qualcosa in meno
↑ Francesco Falciani, “Testa di una dea”, 2017, tecnica mista su tavola.
probabilità le stelle non esistono sono solo teste di dèi che specolano l’universo come statue sotto il sole greco come soprammobili dei miei neuroni questi sono i miei dèi beati sulla consolle sopra una bussola attratta da troppi poli un buddha cinese col rossetto una madonnina ripiena d’acqua di lourdes un sanfirmino senza gambe santarita e padrepio per mano sotto la neve una balena di plastica tra cristincroce sofferenti capitan al varo appena sveglio un sifone del seltz senza gas
monoliti e miti corro nella stiva e prendo a calci e sputi e testate il parallelepipedo sanguino ma ho tanto fiato da sprecare e rabbia con tutta la forza che ho lo spingo fino all’espulsore lo sgancio giù nel buio sotto gli occhi vuoti delle stelle allora ti vedo insieme a me racchiusa nella pietra stiamo con i piedi nell’acqua verde di un lago di ninfee ci sono tre pietre e sopra queste dei bambini in posa e pezzi semisommersi di statue bianche la robottina mi trattiene per la tuta proprio nel momento in cui sto per autoespellermi
dossier
Insegnanti robot? I robot sociali diventano compagni di classe e docenti. 34
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Dossier / Insegnanti robot?
di Amanda J.C. Sharkey
N
on parlo in questo articolo di robot come oggetti manipolabili e gestibili dagli studenti, diventati ormai comuni nelle scuole come strumenti di intermediazione per spiegare concetti matematici e scientifici. Parlo invece dei robot “sociali”, finalizzati ad agire come insegnanti o come compagni di classe. Un esempio è Saya, un robot umanoide telecomandato; un operatore in una sala di controllo può ascoltare e osservare gli studenti mediante videocamere,una delle quali è attaccata a Saya.Da tempo attiva nelle scuole elementari giapponesi, ha un aspetto femminile; è capace di muovere la testa e di assumere espressioni facciali. Quando viene utilizzata in modalità interattiva, può articolare brevi frasi e accompagnarle con un’espressione appropriata: se le si ordina «Taci!» si mostra anche arrabbiata (Hashimoto 2011). Più spesso, i robot assumono il ruolo di compagni di classe. È il caso di Rubi, un robot socievole a basso costo, finalizzato a migliorare il vocabolario dei bambini più piccoli. Funziona automaticamente e può cantare, ballare, prendere e restituire oggetti usando i suoi attuatori fisici. Può quindi proporre ai bambini giochi mirati allo sviluppo del lessico, passando da un esercizio all’altro in base a un algoritmo, un “rilevatore dell’interesse” che tiene conto del numero di volti rilevati e dei tocchi ricevuti nell’ultimo minuto. Movellan (2009) lo ha testato per due settimane in un asilo, rilevando un miglioramento del 27% nelle conoscenze linguistiche dei bambini. Kanda (2004) ha descritto un esperimento di 18 giorni in cui due robot Robovie hanno autonomamente interagito con gli alunni di una scuola elementare giapponese. I robot Robovie potevano identificare i bambini tramite i tag wireless [etichette-sensori senza fili. N.d.T.] da loro indossati e
35 Dossier / Insegnanti robot?
Il robot umanoide Simon gioca con dei blocchi alla XXIV Conferenza sull’Intelligenza Artificiale, Atlanta, 2010.
Dossier / Insegnanti robot?
36
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
↑ Il robot Sophia mentre parla al pubblico del GOOD Global Summit, International Communication Union, a Ginevra nel giugno 2017.
quindi potevano chiamarli per nome incoraggiando così l’interazione. Parlavano inglese con un vocabolario di circa 300 frasi e 50 parole chiave. Utilizzando un test di abbinamento fra parole immagini, sono stati riscontrati miglioramenti in quei bambini che interagivano più spesso con il robot. Tre anni dopo (Kanda 2007) l’esperimento è stato ripetuto per un periodo più lungo (otto settimane) e con robot più evoluti, capaci di rilevare la frequenza con cui i singoli bambini interagiscono con essi. Robovie si intrattiene con i bambini anche durante la pausa pranzo e suscita il loro interesse promettendo di rivelare un segreto se trascorrono più tempo con loro (qual è, ad esempio, la sua squadra di baseball preferita). Altri ricercatori hanno esplorato le interazioni dei piccoli con i robot progettati per suscitare comportamenti di cura. Tanaka (2007) ha osservato le interazioni tra il robot QRIO e i bambini molto piccoli, fra i 18 e 24 mesi. QRIO
era governato da un operatore umano che specificava la direzione di marcia,la direzione della testa e sei diversi comportamenti: danzare, sedersi, alzarsi, sdraiarsi, muovere le mani ed emettere risatine (quando i bambini gli accarezzavano la testa). Attraverso un’osservazione prolungata (45 sessioni in cinque mesi), ha trovato prove di un legame a lungo termine tra il robot e i bambini, che hanno sviluppato nei loro confronti rapporti di cura. Vi sono poi ricerche in cui sono i bambini che insegnano a un robot. Tanaka (2012) ha introdotto in una scuola di inglese per bambini giapponesi tra 3 e 6 anni un robot di piccole dimensioni che interagisce con loro ma compie anche parecchi errori e sembra quindi aver bisogno del loro aiuto. Risulta che i verbi inglesi sono memorizzati molto meglio quando i bambini si impegnano nell’insegnarli al robot. Analogamente, in una ricerca condotta da Hood (2015) un gruppo di alunni fra 6 e 8 anni ha
insegnato a scrivere a un robot Nao, programmato per fare gli errori più tipici e per migliorare gradualmente le sue prestazioni in base agli esempi da loro disegnati su un tablet. Anche se non è chiaro se ciò abbia migliorato la loro calligrafia, i bambini erano desiderosi di insegnare al robot. Vi sono poi i robot di telepresenza, utilizzati per comunicare tra alunni e insegnanti in classi diverse. Tanaka (2013) riporta uno studio in cui un robot di telepresenza gestito da bambini tra 6 e 8 anni è stato utilizzato per collegare due classi in Australia e Giappone. È risultato che quando i bambini controllavano un robot remoto per interagire con un insegnante di inglese distante erano più coinvolti rispetto a quando interagivano con lui tramite uno schermo di Skype. Nelle scuole elementari della Corea del Sud è attivo il robot EngKey che insegna l’inglese tramite telepresenza. Ha un aspetto a forma di uovo ed è progettato per sembrare amichevole e accessibile. Consente a insegnanti filippini di insegnare l’inglese agli studenti sudcoreani, migliorandone le prestazioni (Yun 2011). Sebbene abbiano quasi tutti un aspetto antropomorfico, i robot utilizzati in queste ricerche sono fra loro diversi. Alcuni, come Robovie, sono progettati per funzionare autonomamente, senza input umano, altri si presentano come autonomi ma sono controllati da remoto, come Saya.Altri ancora funzionano in modo semi-autonomo, ammettendo un’eventuale supervisione umana. QRIO, per esempio, mostra un comportamento autonomo ma può anche essere diretto da un operatore umano per rispondere in modo appropriato a ciò che avviene in classe. Risulta da questa recensione che l’idea degli insegnanti robot non è fantascientifica,ma anche che le loro capacità di operare
I robot sociali: le preoccupazioni etiche —
Esaminiamo prima di tutto le preoccupazioni etiche da tempo sollevate riguardo i robot sociali in genere. La prima riguarda la privacy. I robot sociali possono raccogliere informazioni personali cui possono accedere altre persone. La privacy sarebbe violata se fossero usati per consentire la
sorveglianza diretta. Calo (2012) sottolinea la loro capacità di registrare il mondo che li circonda, anche perché è possibile che ad essi sia consentito accesso a spazi storicamente protetti come la casa.Inoltre,approfittando della loro apparente natura sociale, possono estorcere confidenze dalle persone. Una seconda preoccupazione concerne il rapporto fiduciario che può instaurarsi con il robot. Se questo è costruito per assomigliare a un uomo, o almeno a un essere con emozioni, gli utenti potrebbero aspettarsi che sia in grado di prendersi cura di loro. Ma è una conclusione ingannevole, da tempo discussa nel caso del loro uso nell’assistenza agli anziani, la cui dignità deve essere salvaguardata (Coeckelbergh 2010). Sono questioni rilevanti anche per gli i robot destinati all’assistenza dei bambini. Sharkey (2010) ha considerato i Robot Nannies, usati per sostituire le baby sitter, mettendo in questione l’attaccamento particolare che i bambini instaurano con loro. Anche se le tate robot differiscono per molti aspetti dagli insegnanti robot (perché usate in casa,non in classe,quasi sempre con neonati o bambini molto piccoli), è importante che siano rilevati rischi di danni psicologici nel caso di un loro uso prolungato. Altri hanno espresso preoccupazioni sull’uso dei robot come animali domestici, e Wallach (2009) ha suggerito che le tecniche da essi utilizzate per rispondere ai segnali umani sono «probabilmente forme di inganno». Altre hanno denunciato la perdita di contatto umano che potrebbe derivare dall’uso massiccio di robot sociali Sparrow (2006). Altri ancora, infine, hanno sollevato questioni relative al controllo e alla responsabilità. Fino a che punto possiamo credere che i robot sappiano prendere decisioni giuste riguardo
ai comportamenti umani? E in che misura li si può considerare responsabili di tali decisioni?
Il problema della privacy nelle classi —
Consideriamo ora come queste preoccupazioni generali si articolano riguardo agli insegnanti robot, cominciando dal problema della privacy. La capacità di un robot di interagire con i bambini è abilitata dai sensori, e se questi vengono utilizzati per registrare le informazioni ciò genera preoccupazioni: quali possono essere archiviate e chi è autorizzato ad accedervi? Ma l’uso di questi sensori potrebbe essere pericoloso anche in assenza di registrazioni. Già oggi,infatti,i robot sono in grado di riconoscere i singoli alunni, chiamarli per nome e rilevare i loro spostamenti tramite etichette elettroniche applicate ai loro abiti. Usando queste funzioni, il robot studiato da Kanda (2007) è in grado di tracciare una mappa delle relazioni di amicizia che si formano fra gruppi di bambini. È inverosimile immaginare che in futuro i robot possano monitorare le relazioni sociali degli alunni, classificare i comportamenti disdicevoli e quindi avvisare l’insegnante? Negli Stati Uniti questi problemi sono stati sollevati nel 2015 dal presidente Obama e oggi è in programma l’introduzione di uno Student Digital Privacy Act, finalizzato a disciplinare l’uso delle informazioni sugli studenti raccolte nella somministrazione di servizi educativi personalizzati. Si vieta ad esempio la pubblicità mirata e la vendita dei dati. Nel Regno Unito la gestione delle informazioni personali è regolata dal Data Protection Act, ma per rispondere alle nuove sfide della robotica è più che mai necessario un aggiornamento dei criteri stabiliti. Vi sono anche pericoli di violazioni più intime della privacy
37 Dossier / Insegnanti robot?
autonomamente sono ancora limitate, spesso aiutate da interventi umani palesi o nascosti. L’obiettivo di questi studi è capire il grado di accettazione dei robot, più che loro efficacia nell’insegnamento. Al momento, quindi, si stanno ancora esplorando i fattori che influenzano l’interesse dei bambini nei robot, come il sentirsi chiamare per nome o la possibilità di accedere a informazioni privilegiate. In ogni caso, questi studi dimostrano che i bambini possono imparare dai robot, in particolare nell’area linguistica. Tuttavia non vi sono ancora sufficienti studi comparativi tra l’efficacia di un insegnante umano e uno robotico e neppure sono chiari i fattori che determinerebbero una maggiore efficacia. Un’altra questione che deve essere esplorata è la misura in cui i bambini si fidano dei robot insegnanti e i fattori che influenzano tale fiducia. Koenig (2013) sottolinea ad esempio che «i bambini non si fidano ciecamente delle parole degli altri», ma mostrano un apprendimento selettivo, e un robot incapace di rispondere a tutte loro domande, anche lontane dalla disciplina insegnata, susciterebbe probabilmente il loro scetticismo. La fiducia nei robot sembra influenzata dall’aspetto e dal suo comportamento, ma conta anche l’argomento, con un massimo per questioni funzionali e tecniche (ad esempio il peso degli oggetti) e un minimo per quelle sociali. [...]
Dossier / Insegnanti robot?
38
suscitate da programmi in grado di riconoscere le espressioni facciali dei bambini e quindi tracciare il loro stato emotivo. E lo stesso obiettivo è conseguibile con altri metodi: già oggi esiste un braccialetto biometrico chiamato Q-sensor, sviluppato da Affectiva (una società collegata al MIT), finalizzato a misurare la galvanic skin response, l’eccitazione emotiva di chi lo indossa. Potrebbe misurare quando e quanto gli studenti sono coinvolti o annoiati. Naturalmente, monitorare il coinvolgimento dell’uditorio può essere utile e Mutlu (2012) ha costruito una situazione sperimentale per verificarlo. Ha monitorato in tempo reale l’attenzione degli studenti utilizzando segnali neurali acquisiti con un auricolare EEG wireless mentre un robot umanoide, Wakamaru, raccontava una storia. Il robot era in grado di ravvivare la loro attenzione annuendo con la testa, entrando in contatto visivo, alzando la voce e facendo gesti con le braccia. I problemi, però, sono numerosi. Alti livelli di eccitazione potrebbero nascere anche da eventi che nulla hanno a che fare con la materia studiata.I comportamenti entusiasmanti del robot potrebbero non comportare affatto una migliore comprensione. E tutto il sisteUn robot troppo bravo a emulare l’uomo ma educativo potrebbe potrebbe suscitare evolvere vereccessive aspettative o so una forma essere usato per scopi di edutainment in cui educativi per i quali sono evitati non è adatto. argomenti potenzialmente noiosi. Per concludere,anche lo stesso obbligo di indossare sensori emozionali potrebbe essere visto come un’invasione della privacy, capace di indurre di per sé una pesante distorsione nella condizione psicologica degli alunni.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
“
„
Inganno e perdita del contatto umano
— Vi sono infine questioni che nascono dall’illusione che un robot sia in grado di relazionarsi con l’uomo. I sensori possono consentirgli di interagire favorendo la parvenza di una reale comprensione e apparirà effettivamente reattivo se, rilevando le espressioni dell’interlocutore, risponderà con commenti appropriati. Se poi lo guarderà negli occhi sembrerà addirittura senziente e la capacità di rilevare quando gli si presta attenzione può dare l’illusione che capisca cosa sta succedendo. Conta naturalmente anche l’aspetto, soprattutto se imita quello umano evitando d’essere troppo simile a un individuo specifico: è infatti inevitabile proiettare sui robot la nostra straordinaria abilità di valutare rapidamente gli atteggiamenti umani e rilevare segni di anomalia. Ad esempio Meah (2014) sottolinea l’importanza che la voce del robot sia ben coerente con il suo aspetto. Sebbene siano molti ad auspicare robot sempre più interattivi e divertenti, altri sostengono che tale sviluppo sia intrinsecamente ingannevole. Trattando dell’uso dei robot per l’assistenza agli anziani, Sparrow (2006) sostiene che «l’intenzione di ingannare gli altri, anche per il loro beneficio soggettivo, non è mai etica». Wallach (2009) considera anche la capacità dei robot di rilevare segnali sociali e rispondere con gesti appropriati concludendo che «tutte queste tecniche sono probabilmente forme di inganno». Anche Sharkey (2006) sottolinea che molte ricerche sull’intelligenza artificiale dipendono dalla creazione di illusioni e da inganni. Naturalmente, in questi contesti il termine «inganno» non implica un’intenzione malvagia, e i ricercatori impegnati in
questo campo altro non fanno che proseguire nello storico tentativo di costruire automi simili all’uomo. Inoltre il danno creato dai robot sociali non sarà immediatamente evidente, e infine l’inganno su cui si basano non potrebbe realizzarsi senza la collaborazione attiva di coloro che interagiscono con essi, data la ben nota tendenza della psicologia umana a interpretare persino gli oggetti in senso antropomorfo. Ciò nonostante, esiste il rischio che attribuire ai robot competenze maggiori di quelle che possiedono possa risultare dannoso. Un robot troppo bravo a emulare l’uomo potrebbe suscitare eccessive aspettative (ad esempio un’autorità pari a un insegnante) o essere usato per scopi educativi per i quali non è adatto. Se un robot viene presentato come un compagno amichevole, i bambini potrebbero immaginare che si preoccupi per loro. Potrebbero sentirsi ansiosi quando è assente o scegliere di trascorrere più tempo con il robot che con i coetanei. Invece di giocare potrebbero abituarsi a dire al proprio compagno robot cosa fare. Un bambino potrebbe anche sviluppare atteggiamenti crudeli verso un robot pur senza accorgersene. Di conseguenza, potrebbe imparare che i comportamenti cattivi non portano a conseguenze. E, come nota Tanaka (2009), le persone che trattano gli oggetti non viventi con rispetto tendono agire allo stesso modo anche verso gli esseri viventi. Inoltre, supponiamo che un bambino tratti male un robot: qual è l’impatto che un simile trattamento potrebbe avere sul comportamento dello stesso robot verso gli altri bambini? C’è anche la possibilità che la fiducia di un bambino nelle relazioni possa essere indebolita dalla scoperta che l’amico robot è solo un’entità programmata. Ri-
Controllo e responsabilità
— L’idea che i robot possano esercitare un controllo sugli umani, anche (o specialmente) quando sono bambini, dovrebbe essere controversa. Tuttavia, è difficile immaginare come un robot possa funzionare come insegnante senza essere in grado di esercitare una propria autorità. Dovrebbe riconoscere e prevenire comportamenti distruttivi? E dovrebbe premiare quelli positivi? Si è tentati di pensare che i
39 Dossier / Insegnanti robot?
uscirà poi a stringere amicizia con i coetanei? E come influiranno le abitudini relazionali acquisite con la macchina? Una relazione con un robot somiglia a quella con uno psicopatico: qualsiasi sentimento empatico che provi per lui non è assolutamente ricambiato. Si potrebbe sostenere che l’attaccamento verso un robot non sia diverso da quello per un peluche. Ma un peluche non si muove e qualsiasi sentimento che il bambino prova per esso si fonda sull’immaginazione. Anche un robot non è un’entità vivente, ma è programmato per comportarsi come se lo fosse e ciò genera confusione. Vi sono ragioni per credere che sia difficile resistere a un robot apparentemente vulnerabile e bisognoso di cure. Si può paragonare questo attaccamento a quello per un animale domestico. Ma questo è una creatura vivente con la quale il bambino può davvero instaurare una relazione. Anche se non dovremmo immaginare che gli animali provino sentimenti, un cane o un gatto conoscono il bambino e saranno direttamente influenzati dalle sue azioni. Il robot, invece, sarà solo in grado di simulare una risposta affettiva. Forse in futuro anche i robot saranno in grado di provare emozioni, ma nulla ci fa pensare che ciò accadrà presto [...].
robot sarebbero più giusti degli umani.Chi durante l’infanzia ha avuto relazioni negative con gli insegnanti può sostenere che un robot non sarebbe mai prevenuto, vendicativo o arrabbiato. Discussioni simili sono state fatte in altri contesti, dall’assistenza all’ambito militare. Borenstein (2013) suggerisce che i robot potrebbero essere preferibili agli umani perché, se è vero che non conoscono l’empatia, non conoscono neppure il sadismo e l’indifferenza. In un contesto militare, Arkin (2009) ha sostenuto che i soldati robot potrebbero essere più etici degli umani perché privi del desiderio di vendetta. Vi è bisogno, a suo avviso, un protocollo etico per i soldati robot, che li vincoli in modo tale da minimizzare i danni collaterali. Un insegnante robot potrebbe essere programmato in modo simile per prendere decisioni etiche in classe, ad esempio lo-
dare o castigare i bambini per il loro comportamento? Il problema è che prendere una decisione nel contesto di una classe dipende dalla capacità di discriminare tra i diversi tipi di comportamento e di comprenderne le intenzioni. Riconoscere quali bambini si comportano male richiede una buona comprensione delle motivazioni che li muovono. Un bambino tranquillo potrebbe voler solo studiare e rifiutare imbarazzato di partecipare alla vita sociale. Un bambino scalmanato potrebbe sia contribuire attivamente alla discussione in classe sia interferire con essa. Il problema è aggravato dalla rapidità con cui i bambini cambiano; un ragazzo che prima studiava può trasformarsi in fannullone. Affinché un robot eserciti un controllo efficace (ed equo) sul loro comportamento dovrebbe riuscire a prevedere le loro probabili azioni successive
↑ Il robot NAO mentre si allena per la RoboCup, un’iniziativa avviata nel 1997 con l’obiettivo di realizzare entro il 2050 una squadra di robot in grado battere la squadra di calcio campione del mondo.
Dossier / Insegnanti robot?
40
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
↑ Misy II, un robot facilmente programmabile anche dai non esperti e usabile per molteplici esigenze.
e avere strategie per incoraggiare atteggiamenti virtuosi. Sono abilità che i migliori insegnanti sfruttano in modo efficace. Potrebbe averle un robot? Sembra improbabile nel prossimo futuro. E ci sono buoni motivi per pensare che non accadrà neanche in quello lontano. Il punto decisivo è che è che si può distinguere fra comportamenti buoni e cattivi solo in base al senso morale, che a sua volta non può prescindere da un sostrato biologico. Churchland (2011) ricorda come la moralità dipenda dalla biologia dei processi cerebrali: la propensione alla cura degli altri, la condivisione empatica dei loro stati psicologici e gli
atteggiamenti socialmente costruttivi sono comportamenti da una parte condivisi da tutti i mammiferi e ben radicati nella loro costituzione biologica, dall’altra in stretta relazione con la neurochimica dei loro cervelli, tanto da essere modificati da sostanze come i neuropettici, l’ossitocina, l’arginina e la vasopressina. Di fatto, quando sanno che i loro bambini sono al sicuro, gli esseri umani provano un effettivo piacere, e sviluppano ansia anche quando è minacciato il benessere degli altri, non il loro. Questo implica che i robot non hanno la necessaria natura biologica richiesta per un senso di moralità. E senza questo, come potrebbero prendere decisioni eque? L’insegnante robot dovrebbe decidere mediante regole programmate, ma la loro efficacia dipenderà dalla capacità del programmatore di prevedere le situazioni che potrebbero sorgere. E in una classe queste possono cambiare a una velocità tale da rendere impossibile le previsioni. I robotisti hanno iniziato a considerare lo sviluppo dell’empatia artificiale, ma questa ricerca è in una fase iniziale. Nel frattempo, la mancanza di comprensione del comportamento dei bambini costituisce un grosso handicap per gli insegnanti robot. Inoltre i robot non sono necessariamente equi e imparziali. Dato che sono sviluppati da esseri umani, possono riproporre i loro pregiudizi. Nel 2009, ad esempio, si è scoperto che gli algoritmi di tracciamento dei volti delle webcam Hewlett-Packard funzionavano solo con facce bianche e non con quelle nere. Il problema è stato successivamente risolto e di certo la Hewlett-Packard non aveva intenzioni razziste; semplicemente gli sviluppatori non avevano notato che i loro algoritmi non funzionavano be-
ne con la pelle nera. Per garantire che un robot tratti tutti allo stesso modo, i programmatori dovrebbero considerare anche le eventuali disuguaglianze che i sensori del robot potrebbero generare. Infine, gli insegnanti robot sollevano problemi legali connessi alla responsabilità. Ai sensi del Children Act del 1989, gli insegnanti hanno il dovere di prendersi cura degli alunni, di premiarli o punirli sulla base di un concetto legale denominato in loco parentis. Sebbene non vincolati dalla responsabilità parentale, devono comportarsi come farebbe un genitore ragionevole. Questo principio giustifica un uso ragionevole delle punizioni, con esclusione di quelle corporali, ormai fuorilegge nella maggior parte dell’Europa. È improbabile che questo venga applicato a un robot, ma d’altra parte se lo si assume come insegnante bisogna conferirgli un potere sanzionatorio. Potrebbe ad esempio dover impedire a un bambino di compiere azioni pericolose, di ferire i compagni o il robot stesso. Ma non è chiaro quali tipi di sanzioni potrebbe usare in modo accettabile. La bibliografia di questo articolo è reperibile online sul sito de «La ricerca»,all’indirizzo https:// laricerca.loescher.it/insegnanti-robot/. Tratto da: A.J.C. Sharkey, Should we welcome robot teachers?, in «Ethics Inf Technol», 18, pp. 283– 297, 2016. Traduzione di Francesca Nicola.
Amanda J. C. Sharkey insegna al Department of Computer Science, presso la Università di Sheffield, Inghilterra.
Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento Quando si parla di intelligenza artificiale vi è la tendenza a proiettarsi nel lontano futuro e immaginare scenari avveniristici. Ma il problema è capire come già oggi le nuove tecnologie possano migliorare il lavoro dei docenti.
41
D
obbiamo rivedere cosa e come insegniamo e garantire che l’intelligenza artificiale sia progettata e utilizzata come strumento per rendere i nostri studenti (e noi stessi) più intelligenti, non come una tecnologia che sostituisce le attività umane e ci appiattisce culturalmente e cognitivamente. È necessario dunque concentrarci sullo sviluppo di una scuola che, oltre a trasmettere le conoscenze relative alle diverse materie in modo flessibile, interdisciplinare e accessibile a tutti, sappia promuovere le capacità specificatamente umane dei nostri studenti. Per questo abbiamo bisogno di assistenti artificiali che alleggeriscano gli insegnanti dai loro compiti più routinari, consentendo loro di concentrarsi sulla comunicazione, sullo scaffolding [in pedagogia l’aiuto dato da una persona a un’altra per svolgere un compito, N.d.T] e sul rafforzare il benessere degli
studenti, irrobustendo la loro consapevolezza e autoefficacia, qualità che garantiranno di svolgere al meglio la professione che sceglieranno.
Valutare ciò che non può essere automatizzato
— Gli obsoleti sistemi di valutazione impiegati ancora oggi in tutto il mondo utilizzano test e misurazioni della conoscenza che potrebbero essere automatizzate con facilità. Questi sistemi di valutazione sono inefficaci, richiedono molto tempo e generano ansia in studenti, genitori e insegnanti. Una possibile alternativa potrebbe essere fornita dalle informazioni ottenute combinando tutti i possibili dati informativi con l’intelligenza artificiale e applicandoli alla valutazione. Vi è una certa ironia nel fatto che, sebbene incapace di autocomprensione e di autoconsapevolezza, l’intelligenza artificiale possa aiutare a conoscere me-
glio noi stessi, nei nostri ruoli di studenti, insegnanti e lavoratori. Ecco qualche esempio per chiarire cosa intendo: • l’analisi dei dati raccolti attraverso l’uso della tecnologia ci fornisce una ricca fonte di informazioni su come gli studenti progrediscono cognitivamente, metacognitivamente ed emotivamente; • il continuo sviluppo scientifico della psicologia, delle neuroscienze e della scienAbbiamo bisogno di za dell’eduassistenti artificiali cazione ha che alleggeriscano gli aumentato la insegnanti dai loro nostra comprensione compiti più routinari, su come avconsentendo loro di v i e n e l’ a p concentrarsi sulla prendimento comunicazione, umano. È un sullo scaffolding e corpus di conoscenze che sul benessere degli può essere studenti. usato per specificare i tratti significanti o i comportamenti che evidenzia-
“
„
Dossier / Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento
di Rose Luckin
no il progresso di uno studente; • le nostre conoscenze sull’apprendimento possono essere utilizzate per progettare algoritmi e modelli in grado di analizzare i dati relativi agli studenti, riconoscere gli elementi significativi dell’apprendimento Possiamo usare e costruire l’intelligenza artificiale modelli dinaper fare visualizzare mici dei loro agli studenti la progressi in traiettoria dei loro modo olistiprogressi, aumentando co, così da ricostruire non la loro autosolo la mera consapevolezza. padronanza dei contenuti ma anche lo sviluppo della loro consapevolezza e autoefficacia; • infine vi è la possibilità di progettare rappresentazioni dei dati analizzati per definire i progressi di ogni studente sul piano cognitivo, metacognitivo ed emotivo che potrebbero essere utilizzate da studenti, educatori e genitori per comprendere in modo dettagliato i bisogni dei ragazzi. Un sistema di questo tipo, che grazie all’intelligenza artificiale mostra a tutti gli studenti i loro progressi in un formato accessibile, supporterebbe la valutazione continua non solo delle conoscenze specifiche delle varie materie ma anche di abilità e capacità come la negoziazione, la comunicazione e la soluzione collaborativa dei problemi. Sarebbe un sistema più accurato ed economico rispetto ai quelli attualmente in vigore, che consentirebbe di risparmiare tempo prezioso per l’insegnamento.
“
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Dossier / Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento
42
„
Affrontare il divario tra studenti
— L’intelligenza artificiale potrebbe anche contribuire a rendere il sistema educativo più equo. L’istruzione è la chiave per cambiare la vita delle persone, ma gli studenti con qualche forma di disabilità e quelli più poveri generalmente scontano qualche forma di svantaggio iniziale. Le
famiglie più ricche, ad esempio, possono pagare insegnanti privati che aiutano i ragazzi a superare i test e ad accedere di conseguenza alle scuole migliori. L’intelligenza artificiale fornirebbe un sistema di valutazione più equo in grado di valutare gli studenti per un periodo di tempo più lungo e secondo una prospettiva concreta. Non si tratterebbe di insegnare ai ragazzi a superare una prova specifica, poiché la valutazione avverrebbe nel corso del tempo, non in un momento specifico. Ad esempio, si potrebbe misurare quanto e come uno studente affronta argomenti difficili, la sua costanza nello studio e la sua rapidità di apprendimento. Uno dei vantaggi principali di questo sistema sarebbe la possibilità per gli studenti di capire di più su loro stessi individuando gli aspetti della materia che padroneggiano bene e quelli invece in cui hanno bisogno di aiuto, i loro punti di forza e di debolezza. La consapevolezza metacognitiva è un concetto complesso, ma in generale si riferisce a qualsiasi conoscenza o processo cognitivo che fa riferimento, monitora o controlla un aspetto del processo conoscitivo. Gli studiosi distinguono tra la conoscenza dei propri processi cognitivi e le procedure usate per monitorare e regolare il proprio apprendimento. Queste ultime comprendono diverse funzioni e strategie esecutive, come la pianificazione, l’allocazione di risorse, il monitoraggio, il controllo e la capacità di rilevare e correggere gli errori. Una buona consapevolezza e regolazione metacognitiva migliora le prestazioni cognitive, tra cui l’attenzione e la risoluzione dei problemi, e aumenta i risultati di apprendimento. Gli studenti migliori valutano, pianificano e regolano continuamente i loro progressi, cosa che li rende consapevoli del loro apprendimento e promuove
l’apprendimento profondo. Una serie di studi condotti utilizzando una simulazione software chiamata Ecolab ha dimostrato che l’intelligenza artificiale potrebbe essere ben impiegata per aiutare gli studenti a capire quando devono chiedere aiuto e a selezionare le attività in base alla difficoltà. I risultati hanno dimostrato che gli studenti le cui conoscenze e abilità erano state valutate al di sotto della media hanno ottenuto particolari benefici e risultati significativamente migliori rispetto agli studenti più capaci,i quali hanno comunque ottenuto buoni risultati. Possiamo usare l’intelligenza artificiale per fare visualizzare agli studenti la traiettoria dei loro progressi, aumentando la loro auto-consapevolezza. Ad esempio è possibile fornire loro una mappa dettagliata del curriculum che stanno svolgendo, degli argomenti già affrontati e del loro livello di difficoltà, degli aiuti che hanno ricevuto e dei nodi problematici che dovranno affrontare nell’immediato futuro.
Rendere più efficace l’insegnamento
— Immagina una classe tra dieci anni in cui i dati sui movimenti, le espressioni vocali e facciali di ogni studente siano automaticamente registrati da dispositivi interni all’aula. Queste informazioni verrebbero combinate con i dati sul loro rendimento forniti dal sistema di valutazione della scuola, dagli insegnanti, dai genitori e dallo stesso studente. Insieme, tutti questi dati verrebbero utilizzati per aggiornare i registri e fornire informazioni a un assistente artificiale che tenga traccia dei progressi cognitivi, emotivi e metacognitivi di ogni ragazzo. L’assistente didattico libererebbe l’insegnante da tutte le attività di registrazione dei dati e sarebbe in grado di dare infor-
abilità umane uniche coinvolte nelle interazioni intersoggettive in atto nell’insegnamento e che l’intelligenza artificiale non possiede (ancora?).
Formare all’intelligenza artificiale
— Se vogliamo trarre il massimo beneficio dall’AI tre elementi chiave vanno introdotti nel curriculum educativo in tutte le sue fasi, dall’educazione primaria all’educazione degli adulti. Il primo è che tutti devono padroneggiare l’intelligenza artificiale abbastanza da essere in grado di lavorare con essa. Solo così l’AI e l’intelligenza umana (HI) si aumenteranno a vicenda e stabiliranno una relazione simbiotica. Ad esempio, occorre che sia chiaro a tutti che l’intelligenza artificiale non ha a che fare solo con la tecnologia, ma anche con l’analisi e la progettazione di soluzioni a problemi specifici. Il secondo è che tutti dovreb-
bero essere coinvolti in una discussione su ciò per cui l’AI dovrebbe e non dovrebbe essere sviluppata. Bisogna formare soggetti capaci di approfondire l’etica dell’AI e di aiutare gli sviluppatori a ragionare attentamente sul suo impatto. Infine, bisogna padroneggiare l’AI abbastanza bene da lavorare sulla prossima generazione di sistemi di intelligenza artificiale. Vi sono poi le abilità che si rivelano utili nei luoghi di lavoro, spesso definite le abilità del XXI secolo, che consentiranno a un individuo di essere uno studente capace di apprendere per tutta la vita, permettendogli di collaborare alla soluzione di problemi sia con l’intelligenza artificiale che con quella umana. Prima ho accennato all’importanza della metacognizione e dell’autoefficacia. Aggiungo semplicemente che questi due concetti sono interconnessi ed essenziali per l’apprendimento permanente. Il problem solving collaborativo mette insieme due
43
Il robot Pepe sarà ospite d’onore alla Swiss Handicap Fair che si terrà a Lucerna nei primi giorni di dicembre 2021. ↓
Dossier / Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento
mazioni continuamente affiorante su ogni studente attraverso un’interfaccia basata sulla voce attivata dal docente o tramite un’applicazione software. Gli insegnanti potrebbero anche chiedere al proprio assistente artificiale di identificare un’applicazione di tutoraggio adeguata per un gruppo di studenti che necessitano di un supporto particolare o in un’area specifica del curriculum scolastico. L’assistente artificiale potrebbe cercare risorse o media che supportino la lezione o identificare e contattare gli imprenditori locali disposti a discutere con gli allievi sulle future opportunità di lavoro. Le applicazioni possibili sono tantissime e comprendono tutte le attività di routine, che coinvolgono un grande volume di dati e dispendiose in termini di tempo, essenziali per il buon funzionamento della classe, ma che non richiedono l’esperienza degli insegnanti, che così potrebbero concentrarsi sulle
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Dossier / Sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare l’insegnamento
44
↑ NAO,sviluppato dalla Aldebaran Robotics, è un robot di compagnia, un compagno di giochi specializzato nell’assistenza ai malati.
concetti, la collaborazione e il problem solving, ognuno con una storia di ricerca alle spalle. La risoluzione collaborativa dei problemi è un’abilità chiave nel mondo del lavoro e la sua importanza è destinata a crescere con l’aumentare dell’automazione. Esiste una discrepanza tra l’efficacia, ormai assodata nella letteratura, della soluzione collaborativa dei problemi e dell’apprendimento collaborativo e gli approcci usati attualmente nelle scuole. Questi ultimi non stanno preparando gli studenti né all’università né al lavoro. In un dibattito sul futuro dell’educazione tenutosi durante il forum di Davos del 2016,uno studente di Hong Kong ha dichiarato che l’attuale sistema scolastico produce: «genietti sfornati in serie dall’industria dei test», bravissimi a superare gli esami ma che «vengono messi a terra con facilità quando sono costretti ad affrontare sfide lavorative». Abbiamo bisogno che i lavoratori siano in grado di collaborare con gli altri per risolvere i problemi, non di genietti che si sbriciolano sotto la pressione del mondo reale.
Il problem solving collaborativo non avviene spontaneamente. Sia gli insegnanti sia gli studenti devono acquisire una formazione specifica, eppure è evidente che viene fatto molto poco per prepararli. Per questo motivo quando gli insegnanti tentano di impiegare questo metodo, la qualità delle interazioni e del dialogo di gruppo in genere è piuttosto scarsa. È estremamente difficile isolare la natura precisa dei fattori chiave che incidono sull’efficacia o meno del problem solving collaborativo. Tuttavia, possiamo citare quelli che spesso sono indicati come i fattori chiave: l’ambiente in cui si svolge la soluzione collaborativa; la composizione, la stabilità e le dimensioni del gruppo e la formazione degli insegnanti. Per essere efficaci nel problem solving collaborativo, le persone devono essere in grado di articolare, chiarire e spiegare il loro pensiero; di ristrutturare, spiegare e nel frattempo rafforzare le loro idee: di sviluppare la consapevolezza di ciò che sanno e di ciò che non sanno, aggiustando le loro tesi, cosa che ri-
chiede la capacita di apprezzare le proposte altrui: di impegnarsi attivamente in un processo di co-costruzione di soluzioni; di risolvere i conflitti e rispondere a sfide specifiche attraverso spiegazioni complesse, contro-prove e contro-argomentazioni; e di cercare nuove informazioni per risolvere il conflitto cognitivo interno che deriva da discrepanze nella comprensione degli altri. Tratto da Rose Luckin, The implications of Artificial Intelligence for teachers and schooling, intervento all’Education for a Changing World Symposium, 2017, https:// knowledgeillusion.blog/2017/ Traduzione di Francesca Nicola.
Rose Luckin è docente di Learning with Digital Technologies presso l’University College London Institute of Education’s Knowledge.
Il teatro dei robot Inventare un’opera teatrale in cui a recitare sono attori robot. Può sembrare un’idea sconclusionata, ma chi ha già provato a metterla in atto assicura che i risultati sono dal punto di vista educativo molto interessanti. L’uso dei robot obbliga ad affrontare in modo concreto questioni che altrimenti rimarrebbero astratte.
45
U
n potente strumento di apprendimento e di insegnamento delle materie scolastiche non tecniche è il teatro-educazione fatto con robot. Esso combina il potenziale del teatro educazione, della robotica educativa e delle strategie di interazione robot-uomo. È ormai assodato che il teatro educazione rafforza la conoscenza collaborativa, lo sviluppo delle competenze del XXI secolo e l’apprendimento degli studenti. I robot educativi offrono un modo concreto e tangibile per comprendere istantaneamente concetti e idee astratti. Inoltre, l’interazione uomo-robot fornisce alcune strategie utili per l’apprendimento. In particolare due tipi di spettacoli risultano particolarmente utili. In primo luogo vi sono gli spettacoli che mettono in scena una storia: il loro scopo è ricreare eventi e situazioni che aiutino gli studenti a sviluppare la comprensione profonda di una situazione o di un problema e ad esplorare diverse alternative e le relative conseguenze. Possono essere storie sulla conservazione dell’ambiente, oppure storie che aiutano a sondare e reagire
a situazioni di conflitto, ingiustizia e oppressione, ma in un ambiente sicuro. Un vantaggio significativo di questo tipo di spettacoli è che offre agli studenti l’opportunità di esprimere le loro idee, pensieri ed emozioni attraverso l’azione, il dialogo e le espressioni non verbali con gli attori robot. In secondo luogo vi sono gli spettacoli che simulano un fenomeno o un processo: mirano a creare simulazioni arricchite di fenomeni e processi attraverso il movimento e i comportamenti dei robot, i quali offrono un modo concreto e tangibile per fare visualizzare ai ragazzi fenomeni e processi che non potrebbero altrimenti sperimentare direttamente. Lo scopo di questo tipo di attività consiste nell’aiutare gli studenti a comprendere fenomeni e processi astratti o non familiari confrontandoli con comportamenti (analogia funzionale) e aspetti (analogia strutturale) degli attori robot.Ad esempio, i ragazzi possono instaurare analogie tra il comportamento sociale delle formiche e il comportamento cooperativo di più robot che trasportano oggetti. O capire come funziona un atomo ascoltando un un
attore robot che interpreta un elettrone. Il teatro con i robot offre agli studenti e agli insegnanti diverse opportunità di interagire con i robot. Questi possono avere il ruolo di strumento, di pari e di tutor (Mubin 2013). Quando sono uno strumento, gli studenti costruiscono una produzione teatrale usandoli come attori. Nel ruolo di pari, agiscono insieme agli attori umani. Infine, come tutor, aiutano uno studente a lavorare e mettere in scena uno spettacolo.
La progettazione dello spettacolo —
Il processo educativo drammaturgico di solito prevede le seguenti fasi: • scelta dell’argomento; • generazione di idee su personaggi, luoghi, oggetti dello spettacolo; • creazione di una storyboard; • creazione dei personaggi; • sceneggiatura; • prove e performance; • riflessione finale. Questo processo potrebbe essere adattato alle attività teatrali con robot,che potrebbero essere divise a grandi linee in due momenti:
Dossier / Il teatro dei robot
di Flor Bravo, Alejandra M. González, Enrique González
Dossier / Il teatro dei robot
46
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
↑ Il robot giapponese ASIMO si presenta a una scolaresca.
• progettazione dello spettacolo; • messa in scena dello spettacolo. Lo scopo di questa prima fase è creare una sceneggiatura e metterla in scena usando attori robot. Comprende a sua volta diversi passaggi: • scelta dell’argomento; • selezione della strategia drammaturgica (gioco di ruolo, storytelling, story drama, Teatro Forum, monologo o pantomima); • creazione della storyboard e pianificazione di quando e dove si svolgerà lo spettacolo, quante scene avrà, cosa accadrà in ogni scena e quali personaggi saranno presenti; • analisi del profilo fisico, so-
ciale, psicologico e morale dei personaggi (tratti psicologici, stato emotivo,personalità,umore, aspetto, movimenti, modo di esprimersi, relazioni sociali, comportamento etico e credo morale); • scelta degli elementi visivi (costumi e oggetti di scena) e dell’atmosfera fisica e sonora (musica, illuminazione, effetti sonori e decorazioni).
Personaggi, set e oggetti di scena
— Lo scopo di questa fase è personalizzare gli attori robot con le caratteristiche dei loro personaggi e costruire il set e gli oggetti di scena. È essenziale avere a disposizione alcuni robot che
saranno usati nello spettacolo. Studenti e insegnanti possono progettare e costruire il loro robot attraverso kit di costruzione robotici, come LEGO Mindstorms (Laamanen 2015) o dal nulla (Alfordet 2013). Tuttavia, questa fase implica una conoscenza preliminare nella costruzione di robot. Uno degli svantaggi del farlo usando le piattaforme robotiche esistenti come Lego Mindstorm o Vex Robotics è la difficoltà di creare comportamenti verbali e non verbali che trasmettano emozioni e intenzioni (Laamanen 2015). Un’altra opzione è usare robot già assemblati come NAO, Pleo, Zoomer, Romom,Robosapien, ROBOTIS-OP2 e Aisoy1. Noi abbiamo usato i robot Quemes, che sono line follower mobili su ruote sviluppati dal gruppo di ricerca SIDRe presso la Pontificia Universidad Javeriana (González, 2013). Gli attori robot possono essere personalizzati con le caratteristiche dei loro personaggi attraverso materiali artigianali, adesivi, pezzi Lego, pezzi stampati in 3D o burattini (Alford 2013). Ci sono addirittura robot con uno schermo che consente agli utenti di cambiarne l’aspetto.Ad esempio, RoboMe di WowWee utilizza lo schermo di un dispositivo cellulare per visualizzare una faccia e un’interfaccia grafica. L’utente interagisce con il robot tramite una app mobile ed è in grado di personalizzarne le caratteristiche del viso. In questa fase, studenti e insegnanti possono anche costruire il set e gli oggetti di scena.Le tecnologie della realtà mista possono essere un’opzione interessante. Ad esempio una tabella multi-touch permetterebbe agli studenti di disegnare gli elementi della storia in maniera collaborativa.
Creare la sceneggiatura
— Completata la fase di pianificazione iniziale, bisogna lavorare sulla sceneggiatura, tenendo
Scrivere la sceneggiatura
— La scrittura della sceneggiatura può seguire due livelli di astrazione: • una descrizione dettagliata, che specifica ogni piccola azione dell’attore robot (programmazione procedurale); • una descrizione che definisce il comportamento generale di un robot e la sua interazione con gli altri agenti (programmazione del comportamento). Per rafforzare l’apprendimento e l’insegnamento di materie non tecniche, bisognerebbe lavorare a una sceneggiatura che segua il secondo approccio. Questa può
essere fatta da studenti e insegnanti (da zero, con o senza assistenza, modificando altre sceneggiature predefinite o create da altri utenti), dall’attore robot o da un software, o da studenti e insegnanti con l’aiuto di un sistema autonomo (attore robot o software esterno). In questo ultimo tipo di creazione collaborativa, il robot può rivestire il ruolo di tutor, di pari, o di studente (Fridin 2014). Studenti e insegnanti possono creare una sceneggiatura con una o più situazioni (sceneggiatura interattiva). Nel secondo caso, un attore robot potrebbe cambiare il percorso della storia in base al feedback del pubblico, di altri attori o dell’ambiente, una possibilità che rappresenterebbe un efficace strumento di apprendimento. I ragazzi esplorerebbero differenti finali alternativi e ne analizzerebbero le conseguenze durante la performance. Poiché gli attori robot possono modulare, arricchire e persino aggiungere nuove azioni in base alle caratteristiche dei personaggi e alla trama (Fernandez 2014) è possibile lavorare a una sceneggiatura parziale. L’attore robot può improvvisare la restante parte durante la messa in scena, a seconda della reazione del pubblico. Le interazioni uomo-robot in questa fase potrebbero essere: • tramite interfaccia: studenti e insegnanti creano la sceneggiatura attraverso un programma di testo o grafico caricato su un computer o dispositivo mobile (Laamanenet 2015); con modelli 3D di attori robot e del palcoscenico (Buhaiciuc 2013); usando oggetti concreti (programmazione concreta) che rappresentano elementi sul palco; interagendo virtualmente con avatar di attori robot; • dirette: studenti e insegnanti lavorano alla sceneggiatura interagendo con il robot. Quest’ultimo impara una sceneggiatura usando esempi forniti da studenti e insegnan-
ti (apprendimento per dimostrazione). Gli input potrebbero consistere in suoni o comandi visivi, tattili e linguistici (Rouanet 2013).
Interpretare la sceneggiatura
— Una volta creata la sceneggiatura, l’attore robot deve sapere come eseguire i gesti o la postura. Esistono tre livelli di autonomia nell’interpretazione della sceneggiatura: • interpretazione manuale. Gli studenti o gli insegnanti programmano o insegnano all’attore robot come eseguire comportamenti e azioni; • interpretazione automatica. Attori robot autonomi o un software sono in grado di comprendere la descrizione della sceneggiatura (Fernandez 2014). Un attore robot autonomo può anche arricchire la descrizione del copione. Ad esempio, se vi è scritto che l’attore robot cammini ma non viene specificato come,il robot può scegliere il modo di camminare a seconda della personalità e dello stato emotivo del personaggio che interpreta, senza istruzioni aggiuntive; • interpretazione collaborativa. Studenti o insegnanti insieme a robot interpretano e arricchiscono la sceneggiatura (Lu 2012). Ad esempio, un essere umano potrebbe insegnare a un robot come eseguire un’azione, che il robot potrebbe poi modificare o aggiungere ad altre.
Il corpo del robot
— Una sfida interessante è creare comportamenti robotici leggibili dall’uomo. Il pubblico e gli attori umani dovrebbero poter capire le sue intenzioni e i suoi stati emotivi, in modo da prevedere ciò che farà e interagire con lui in modo efficace (Knight, 2011). Il corpo di un attore robot è il suo strumento principale. I mezzi che ha a disposizione per
47 Dossier / Il teatro dei robot
conto di quattro parametri: • descrizione del personaggio. Chi effettua l’azione e le sue principali caratteristiche, come personalità, umore, gesti e movimenti caratteristici, relazioni sociali e background (età, famiglia); • descrizione delle azioni. Cosa fa o dice un personaggio nel gioco.Ad esempio, le espressioni verbali e non verbali, l’interazione con gli oggetti di scena (raccoglie un oggetto, preme un pulsante) e altri movimenti (danza,si siede,sta in piedi,batte le mani, si guarda intorno); • durata temporale. Quando si verifica l’azione. Questo parametro coordina tutte le diverse azioni stabilendo alcune specifiche pre-condizioni e post-condizioni (Fernandez 2014).Il robot esegue un’azione quando rileva determinati modelli in atto sul palco (pre-condizioni) e finisce l’azione quando rileva un particolare posto sul palco (post-condizioni); • blocco. Dove si svolge l’azione, ossia il posizionamento e il movimento dei personaggi sul palcoscenico. Un aspetto fondamentale per lo spettacolo teatrale è conoscere la posizione del robot (Laamanen 2015). Un modo facile è far sì che gli attori robot seguano una linea nera o una griglia.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Dossier / Il teatro dei robot
48
Una dimostrazione di robot NAO all’Università Jaime I, in Spagna, nel 2011. ↓
trasmettere significati sono: • Espressioni non verbali: secondo lo psicologo Albert Mehrabian (1972) nella comunicazione uomo-uomo il 55% delle informazioni è fornito dalle espressioni non verbali: attraverso le espressioni del viso, i gesti, la postura, l’allineamento del corpo e la prossemica si può illustrare, rafforzare o smentire un messaggio verbale. A questo scopo un attore robot dovrebbe cambiare improvvisamente direzione, velocità, dimensioni, forma e frequenza dei gesti (Cohen 2011). • Espressioni verbali. Anche le espressioni verbali sono un elemento essenziale per trasmettere significati. Un attore robot deve esprimere le emozioni attraverso il contenuto emotivo del linguaggio, ad esempio usando la prosodia, il volume, il tono e la qualità della voce (livello, variazione, gamma). • Aspetto fisico. Le persone
maturano aspettative sul comportamento di un robot in base al suo aspetto. L’abbigliamento, gli accessori e i materiali indossati dai personaggi riflettono la loro personalità o il loro status sociale. I costumi, inoltre, rimandano al periodo e allo stile della rappresentazione. • Suoni e luci. Un attore robot potrebbe esprimere intenzioni ed emozioni attraverso il colore e l’intensità della luce. Ad esempio, arrabbiato quando la luce intorno agli occhi è rossa o triste quando è blu scuro (Buhaiciuc 2013). Tuttavia, al momento non vi è consenso su quali colori esprimano determinate emozioni, perché esistono troppe variabili legate alla cultura (Park 2010).
Le emozioni dell’attore robot
— Un’altra sfida importante sta nel creare personaggi credibili.
Gli attori robot devono sembrare al pubblico e agli attori umani intelligenti, realistici e sensati (Mateas 1999). Per questo sono indispensabili: • Emozioni. L’attore robot dovrebbe avere la capacità di esprimere le emozioni e di rispondere a quelle altrui (Breazeal 2003). Il suo stato emotivo dovrebbe avere un’influenza sulle sue azioni e sui suoi comportamenti (Fernandez 2014). L’effetto di una risposta emotiva dovrebbe durare poco, dopo di ché il robot tornerebbe allo stato emotivo “di base”, fino a un ulteriore evento. I fattori che influenzano l’intensità e il tipo di emozione includono la personalità, l’empatia (Leite 2013), la situazione sociale (il livello di intensità emotiva deve essere adeguato al contesto) (Fernandez 2014) e l’atteggiamento (apprezzare o meno una persona o un oggetto può servire da stimolo). • Personalità. Si tratta dell’in-
empatiche come “Congratulazioni!” o “ Ben fatto!” quando un altro personaggio condivide una buona notizia. Oppure cambiare la trama in base alla sua risposta empatica. • Evoluzione. Le caratteristiche dei vari personaggi e le loro relazioni sociali cambiano nel tempo e a seguito delle interazioni con gli altri (Mateas 1999). La risposta empatica di un interlocutore deve cambiare la relazione che si ha con lui, per esempio trasformandolo da sconosciuto ad amico. • Backstory. Si tratta della storia di un personaggio, che include dettagli sulla sua età, famiglia, situazione di vita, lavoro e così via (Simmons 2011). • Naturalezza dei movimenti. I movimenti degli attori robot dovrebbero sembrare il più possibile naturali (Fernandez 2014). I ricercatori nel campo dell’animazione al computer e della robotica hanno usato le teorie della performance artistica, ad esempio i Disney Animation Principles (DAP) e la Laban Movement Analysis (LMA) (Sunardi, 2010). Anche le tecniche del teatro de burattini possono servire per creare personaggi credibili. Il potere espressivo di un burattino non è determinato da quanto imita bene il comportamento umano, ma dalla capacità di astrarre e di rappresentare artisticamente i movimenti umani (Jochum 2014). • Autonomia dei comportamenti.Anche se non ha un ruolo attivo, l’attore robot non dovrebbe essere immobile per non dare la sensazione di non avere vita. Un attore ha sempre uno stato interno che viene mostrato attraverso le espressioni del corpo (Fernandez 2013). Per essere il più possibile credibile, il robot dovrebbe avere comportamenti autonomi, anche piccoli, come respirare o sbattere le palpebre. Per simulare questi comportamenti è stato spesso usato il metodo di generazione del rumore di Perlin (Simmons 2011).
• Sguardo. Lo sguardo aiuta ad aumentare la credibilità del personaggio. Il contatto visivo dà l’impressione che il robot stia ascoltando e prestando attenzione a ciò che gli altri dicono o fanno (Andrist 2014). • Coerenza tra stato interno ed espressioni non verbali. L’attore robot dovrebbe scegliere i gesti, le pose del corpo o le azioni fisiche che descrivono al meglio il suo stato interno e il contesto in cui si trova (Hoffman 2011). • Coerenza tra espressioni verbali e non verbali. Le persone sono sensibili alla tempistica e alla fluidità del coordinamento fra il comportamento verbale e non verbale (Hoffman 2011). Di conseguenza, è importante che un attore robot mostri coerenza tra le parole e i gesti. • Reattività in tempo reale. L’attore robot dovrebbe reagire in tempo reale alle azioni degli attori umani e del pubblico (Hoffman 2011). La bibliografia di questo articolo è reperibile online sul sito de «La ricerca», all’indirizzo https://laricerca.loescher.it/il-teatro-dei-robot/. Tratto da: F. Bravo,A. González, E. González, Interactive Drama With Robots for Teaching Non-Technical Subjects, in «Journal of Human-Robot Interaction», vol. 6, n. 2, 2017, pp. 48-69. Traduzione di Francesca Nicola.
Flor Bravo è dottorato in Ingegneria, presso la Pontificia Universidad Javeriana, Bogotá, Colombia.
Alejandra M. González è docente presso la Pontificia Universidad Javeriana, Bogotá, Colombia.
Enrique González è docente presso la Pontificia Universidad Javeriana, Bogotá, Colombia.
49 Dossier / Il teatro dei robot
sieme dei tratti psicologici che rendono unico un personaggio. La personalità ha un’influenza sul comportamento dei personaggi, da come si muovono a come parlano (Mateas 1999). Gli attori robot devono dare vita alle personalità descritte in una sceneggiatura in modo coerente e credibile usando le espressioni verbali e non verbali (Rousseau 1998). • Atteggiamento. L’atteggiamento è l’insieme dei sentimenti (positivi o negativi) verso una persona, un oggetto, un animale o un luogo. Essi compaiono e cambiano in risposta a stimoli specifici, ad esempio l’antipatia verso una persona ostile (Moshkina 2011). • Umore. Gli eventi o gli stimoli del contesto dovrebbero cambiare l’umore del personaggio (positivo, neutro o negativo). Questo effetto deve attenuarsi nel tempo, riportando l’attore robot al suo stato “base” (Gockle 2006). I fattori che influenzano l’intensità e il tipo di umore includono i cambiamenti dello stato fisiologico (malattie, dolore, mancanza di sonno, affaticamento e fame), lo stato emotivo e gli scambi sociali (una interazione positiva modula un umore positivo, e viceversa). • Empatia. L’empatia è stata concettualizzata in due modi, come empatia cognitiva e come empatia affettiva (Leite 2013). L’empatia cognitiva, nota anche come presa di prospettiva, è la capacità di capire i sentimenti, i pensieri e le situazioni altrui (stare nei panni di un altro). L’empatia affettiva, nota anche come contagio emotivo, è stata considerata la facoltà di provare emozioni o sentimenti sperimentati da altri. L’empatia affettiva può consentire agli attori robot di esprimere emozioni in accordo con lo stato emotivo di altri personaggi. Attraverso essa un robot attore dovrebbe inserire comportamenti sociali nella sua performance (Leite 2013), ad esempio usare espressioni
SCUOLA
Materialità in trasformazione Scuola / Materialità in trasformazione
50
Una riflessione su un impiego critico delle nuove tecnologie digitali in ambito didattico, che parte dall’assunto di scuola come ambiente di apprendimento socialmente e tecnologicamente “denso”, e che si interroga sulle trasformazioni della materialità educativa in uno scenario storico caratterizzato dall’emergenza legata all’attuale pandemia.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
di Alessandro Ferrante
L
a pandemia causata dal virus Covid-19 e le misure adottate per contrastarla, come ben sappiamo, hanno repentinamente scosso le nostre certezze consolidate e hanno stravolto l’organizzazione dell’esistenza individuale e collettiva, rispetto ai tempi, agli spazi, alle relazioni, alle abitudini che contrassegnavano la nostra quotidianità. L’emergenza sanitaria è divenuta presto anche un’emergenza economica, sociale, politica, culturale, che ha costretto a ridefinire in profondità e radicalmente l’assetto di intere società, i modi di curare e di curarsi, di usufruire dei servizi, di spostarsi, di socializzare,di comunicare,di produrre,acquistare e consumare beni materiali e immateriali. Non è dato sapere oggi se tale scenario abbia provocato e provocherà delle conseguenze rilevanti, ma per molti aspetti solo temporanee e circoscritte ad alcuni Paesi e ad alcuni ambiti della vita associata, o se determinerà l’emersione di un nuovo (dis) ordine globale. L’incertezza sugli esiti di questa
51 Scuola / Materialità in trasformazione
ASIMO, sviluppato dalla Honda, è considerato il robot più intelligente del mondo, ma può anche camminare, girarsi, correre a 9 km all’ora, salire e ComposizioneIldiflash pietre d’inciampo o Stolpersteine scendere le scale, dirigere mob è un modo perballare, condividere unouna nella Repubblica Ceca. orchestra, spostare ilgliproprio oggetticorpo e molto spazio pubblico utilizzando altro ancora. come strumento espressivo.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Materialità in trasformazione
52
Un gruppo di robot IPAL, specializzati nell’assistenza agli anziani e nell’educazione infantile, si esibisce a una mostra mercato di Las Vegas, 2018. ↓
crisi nel medio e lungo periodo è un tratto caratterizzante il momento che tutti stiamo vivendo.Qualunque sarà lo sbocco socio-economico e politico, comunque, è facile prevedere che quanto accaduto lascerà delle tracce irreversibili in ciascuno di noi e nella memoria collettiva. Tracce che possono e devono divenire oggetto di ricerca scientifica e di riflessione comune e condivisa, anche rispetto all’impatto dell’attuale emergenza sui sistemi formativi, sia scolastici che extrascolastici. Il presente scritto vuole dunque essere un contributo – seppur certamente modesto – in questa direzione, per provare a interrogarsi sul senso pedagogico di quanto è avvenuto e sta avvenendo, mantenendo un focus specifico sulla scuola.
La scuola ai tempi del Coronavirus —
In Italia – ma evidentemente si può supporre anche altrove – la sospensione delle attività didattiche in presenza e il cosiddetto lockdown hanno riconfigurato molto rapidamente la fisionomia dei processi
di insegnamento-apprendimento negli atenei di tutto il Paese e nelle scuole di ogni ordine e grado. All’improvviso, senza che vi sia stato tempo per prepararsi, tutto è cambiato: l’organizzazione delle giornate e degli spazi, le procedure amministrative e formative, le strategie relazionali e comunicative, i meccanismi di valutazione, i materiali didattici utilizzati, i rituali quotidiani. La consueta liturgia del fare scuola, insomma, è del tutto saltata ed è stata sostituita da nuove modalità di didattica a distanza, che inevitabilmente hanno portato a enfatizzare il ruolo primario delle tecnologie digitali e hanno obbligato alunni e insegnanti a impegnarsi per reinventare giorno per giorno routine, regole, gesti educativi, modi di relazionarsi. I media digitali, da semplici mezzi educativi più o meno integrati nella didattica erogata in aula, sono diventati degli attori essenziali, che hanno consentito di poter continuare a fare scuola senza recarsi fisicamente negli istituti. Ciò ha permesso agli studenti di non perdere l’anno scolastico e alla maggior parte di loro di proseguire il proprio
nei diversi territori si sono mosse all’interno dei vincoli normativi e materiali per erogare formazione di qualità (anche se a distanza) e per offrire un effettivo supporto a famiglie e alunni, specialmente nei casi di maggiore difficoltà. Pur potendo constatare ovunque un considerevole e ammirevole sforzo da parte di dirigenti scolastici, docenti, educatori, personale tecnico-amministrativo, sembra esserci una certa disomogeneità e frammentazione sul territorio nazionale, che dipende da molti fattori eterogenei, tra cui le competenze digitali degli insegnanti, la loro creatività pedagogica e la loro capacità di riprogettazione delle attività, la flessibilità organizzativa delle istituzioni, le risorse tecniche e le abilità mediatiche possedute dagli alunni, dai genitori e dagli stessi insegnanti, oltre che la tipologia di infrastrutture tecnologiche disponibili nei luoghi di residenza e di lavoro. In sintesi, l’odierna emergenza si rivela essere anche un’emergenza educativa, che ha aggravato problematiche di varia natura già presenti prima che si diffondesse l’epidemia e al contempo ha fatto deflagrare delle nuove forme di disagio e di povertà, rendendo sempre più accentuato, visibile e tangibile il divario tra generazioni, tra territori, tra plessi scolastici, tra classi sociali, tra culture, tra individui che possiedono risorse e abilità estremamente differenziate o che necessitano di sostegni ad hoc in virtù di bisogni educativi speciali. Sotto il profilo strettamente pedagogico si può inoltre affermare che sia in atto un’imponente trasfigurazione della scena educativa, che ha prodotto anche un reciproco sconfinamento tra scuola e famiglia. Tempi, spazi, oggetti, materiali, figure di riferimento degli studenti si mescolano e si confondono in un continuum esperienziale casa-scuola che rende assai complicato distinguere e far interagire dialetticamente il sistema scolastico con quello familiare.Tali sistemi finiscono per sovrapporsi e per collassare l’uno sull’altro, rischiando di far vivere a bambini e a bambine, così come a ragazzi e ragazze, un’esperienza totalizzante e asfittica, in cui peraltro si possono generare infinite interferenze tra docenti e genitori. La scuola colonizza l’ambito domestico e la famiglia invade in modo permanente lo spazio protetto della formazione. Tutto ciò a mio parere crea un cortocircuito negativo, che andrebbe accuratamente
53 Scuola / Materialità in trasformazione
percorso di apprendimento, nonché di restare connessi con compagni e docenti, arginando così (forse) una drammatica impennata della dispersione scolastica. Al contempo, anche grazie all’attivazione di reti di solidarietà e a un cospicuo e fecondo scambio sul web di idee, modelli, documenti, metodologie, strumenti digitali, narrazioni di “buone pratiche” e di progetti educativi, molte scuole hanno dato vita a interessanti e in alcuni casi innovative esperienze didattiche1. Tuttavia,l’adozione diffusa delle tecnologie digitali per far fronte alla situazione di emergenza non solo ha creato le condizioni per mantenere e per promuovere un’inclusione sociale e formativa, ma ha anche generato – seppur involontariamente – in alcuni contesti e rispetto ad alcuni casi particolari delle nuove forme di disagio, di povertà educativa, di discriminazione e di esclusione sociale. Il modo in cui il sistema di istruzione si è riorganizzato, infatti, ha comportato notevoli difficoltà a una vasta platea di soggetti. Ad esempio: a coloro che non possiedono le competenze digitali necessarie per utilizzare proficuamente gli strumenti proposti per fare lezione e per esercitarsi, a coloro che per le più svariate ragioni (economiche, o dovute a carenze infrastrutturali, o per scelte culturali) nelle proprie abitazioni non hanno la possibilità di accedere al web o di utilizzare dei dispositivi (pc, smartphone, tablet, ecc.), a coloro che hanno uno stile di apprendimento e una dieta mediale che si adattano con grande fatica a modalità didattiche digitalizzate, a coloro che già prima dell’emergenza avevano problemi di apprendimento e in generale a tutti quegli alunni che manifestano delle fragilità o hanno dei deficit fisici e cognitivi e che ora rischiano di non poter essere supportati adeguatamente da docenti, educatori e insegnanti di sostegno. Oltre a ciò, occorre considerare il peso enorme che in questo frangente probabilmente più che in altri hanno i genitori degli alunni, in termini di capacità di ascolto e di dialogo, di tempo e disponibilità nell’aiutare attivamente i propri figli a studiare, ma anche e soprattutto a comprendere e a elaborare dal punto di vista cognitivo e affettivo quanto sta avvenendo e a orientarsi nella complessità di questa situazione inedita e spiazzante. Un’altra variabile imprescindibile concerne poi il modo in cui le singole scuole
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Materialità in trasformazione
54
↑ Eagle, il robot utilizzato come assistente presso la Indus International School, Bangalore, India.
monitorato, al fine di mettere in campo delle strategie volte a presidiare, sua pur simbolicamente, i confini tra scuola e famiglia, regolando per quanto possibile il passaggio tra attività didattiche e attività informali e domestiche. Per quanto detto, sarebbe importante che nel pensare a come reagire alle contingenze e a come agire nella crisi, gli insegnanti tenessero conto anche delle problematiche enucleate (disagio diffuso, incremento della povertà educativa, esclusione sociale, discriminazione, fragilità individuali, sconfinamento tra scuola e famiglia), che peraltro ritengo siano già piuttosto note alla maggioranza del corpo docente. In questo scenario, il compito educativo della scuola diventa quello di comprendere come poter allestire esperienze e processi che possano contribuire a risignificare quanto è accaduto e sta accadendo e a ricucire un tessuto sociale che si sta lacerando. Oggi più che mai, la scuola è chiamata a essere pienamente un presidio democratico, civile, inclusivo.
La scuola come ambiente tecnologicamente denso —
Il repentino “cambio di scena” a cui si è fatto riferimento (dalla didattica in presenza alla didattica a distanza), mostra altresì quanto è andato temporaneamente perduto e che prima dell’epidemia si dava per scontato, vale a dire tutto ciò che contraddistingue la materialità del fare scuola quotidiano2. Ed è su questo snodo fondamentale che intendo soffermarmi. In termini generali, si può definire
la materialità dell’educazione come un intreccio dinamico di corpi, tempi, spazi, tecnologie, artefatti, oggetti, materiali, rituali, routine, relazioni interpersonali, affetti, parole. Nei discorsi più comuni che riguardano le pratiche didattico-educative, tuttavia, essa sovente risulta una dimensione poco considerata, residuale e misconosciuta, qualcosa di talmente ovvio e banale che sfugge all’attenzione. Come se la scuola avesse a che fare soltanto con delle nozioni astratte, dei programmi e delle menti disincarnate che insegnano e apprendono muovendosi in un vuoto pneumatico. La scuola, invece, è caratterizzata «da una materialità specifica e diffusa che travalica e condiziona tutto questo,da una vita sotterranea,da routine esistenziali e processi di socializzazione latenti che vengono misconosciuti nel momento in cui se ne è coinvolti massicciamente»3. Se eliminassimo dall’esperienza scolastica i corpi, gli odori, i suoni, i colori, i corridoi, gli atri, le mense, le porte, le finestre, le scale, i banchi, le sedie, i quaderni, le lavagne, gli zaini, i computer non potremmo realmente comprenderla, tantomeno ambire a rinnovarla.Non si tratta di celebrare la materialità oggettuale che di fatto popola gli spazi della formazione, ma di rilevarne il peso specifico nella produzione dell’esperienza che a scuola ogni giorno vivono i soggetti. Perché è proprio questo genere di esperienza che in questi mesi è venuta meno. Le scuole e le università durante il lockdown sono dei luoghi semideserti. La maggior parte delle attività si svolge a distanza. Questa situazione, come detto, ha comportato un radicale “cambio
da una miriade di mediatori materiali, che possono essere considerati in senso ampio delle tecnologie, nella misura in cui condizionano i processi di apprendimento e le modalità di socializzazione. La struttura architettonica degli istituiti e delle aule, le lavagne d’ardesia, i giardini, i cortili, le cattedre, gli zaini, i libri, i cartelloni appesi alle pareti, gli armadi, gli scaffali,i registri,gli astucci,gli strumenti didattici, i quaderni, gli ausili, sono tutti dei dispositivi artificiali e dei mediatori materiali che caratterizzano tecnologicamente la scuola tanto quanto i media digitali. Ciò che a mio avviso è interessante di questa concezione di scuola come ambiente tecnologicamente denso è che ci invita a svincolare lo sguardo dalle sole tecnologie informatiche, per considerare per l’appunto tutta la materialità del fare scuola, ricomprendendo i media digitali in un sistema di relazioni più esteso, complesso e articolato, che prende forma attraverso una pluralità di elementi e di mediatori dell’apprendimento. Ed è proprio questa pluralità di materiali che dal punto di vista metodologico va salvaguardata, incrementata, presidiata, se si intende educare e istruire in modo pedagogicamente fondato e inclusivo, poiché è grazie a essa che diviene possibile progettare delle pratiche didattico-educative che rispettano e favoriscono una molteplicità di linguaggi,di modalità espressive e comunicative differenti. Centrarsi solo sull’utilizzo delle tecnologie digitali può essere una buona soluzione didattica in un momento di emergenza come quello che stiamo attraversando, ma non può essere a mio parere una strategia efficace sempre e comunque.Una scuola che punta tutto sui media digitali rischia paradossalmente di impoverire l’esperienza di studenti e docenti, perché si attesta su un’unica tipologia di mediatore, non sfruttando appieno la propria strutturale densità tecnologica. Vorrei rimarcare quest’ultimo punto, in quanto occorre porre grande cura ai futuri sviluppi della scuola, relativizzando sin da subito certi impulsi entusiastici rispetto alla possibilità di usare come unico mediatore didattico le tecnologie digitali, in distanza e/o in presenza. Ritengo invece che sia molto più proficuo iniziare a interrogarsi su come poter rinnovare l’assetto sociale e tecnologico della scuola, riconfigurandone profondamente la materialità – il groviglio di spazi, tempi,
55 Scuola / Materialità in trasformazione
di scena”. Evidentemente, insegnare e apprendere immersi nella materialità di un’aula concreta, a contatto diretto con i corpi degli altri e con spazi, oggetti, artefatti, relazioni sociali che mediano a ogni passo ciò che si fa, non è lo stesso che fare lezione nella propria abitazione e (quando va bene) connettersi agli altri – compagni e docenti – tramite dei software, vedendoli e ascoltandoli attraverso gli schermi dei dispositivi digitali. Nella didattica a distanza ciò di cui si avverte la mancanza è proprio quella materialità a cui prima non si prestava attenzione e che restava invisibile e silente, come uno sfondo inerte. La socialità diffusa, la battuta scambiata con il compagno di classe, le attività “sottobanco”, i giochi durante l’intervallo, la possibilità di spostarsi da e verso la scuola e al suo interno, le urla e gli schiamazzi tra un’ora e l’altra,gli odori, i suoni, i rumori, gli anfratti in cui “nascondersi” allo sguardo sorvegliante degli adulti, la possibilità di disporre di oggetti e spazi che nel contesto domestico non sono accessibili, la gestualità incarnata dei docenti,la materializzazione del sapere tramite un sistema di segni distribuito nell’aula e nell’intera scuola. Proprio in virtù della sua assenza, il groviglio sociale e materiale che qualifica l’esperienza scolastica e che solitamente si ignora esce dal cono d’ombra e finalmente diventa significativo. Portare in primo piano la materialità permette di interpretare la scuola come un ambiente socialmente e tecnologicamente denso,un “laboratorio pedagogico” che ogni giorno prende forma tramite un insieme di reti socio-tecniche composte da molteplici connessioni fra le persone, fra le cose e fra le persone e le cose4. Asserire che la scuola sia un ambiente tecnologicamente denso comporta certamente il riconoscimento del ruolo formativo delle tecnologie digitali utilizzate per fini didattici, ma non si limita a questo. La densità tecnologica non dipende unicamente dalla quantità di tecnologie presenti in un certo contesto, né da quanto queste sono avanzate e complesse, bensì da quanto e come esse mediano le relazioni tra i soggetti e incidono qualitativamente sull’organizzazione delle pratiche. La scuola, in questo senso, è sempre stata un ambiente tecnologicamente denso, ancor prima dell’ingresso dei nuovi media digitali. Ciò che in essa avviene, infatti, è reso possibile, sostenuto, vincolato, influenzato
corpi, oggetti, affetti, discorsi, saperi – sulla base di quanto maturato in questi difficili mesi. Si tratta di comprendere come articolare gli strumenti tecnici usati in questo periodo di emergenza con altre strategie e altri mediatori sociomateriali, digitali e non, di modo da offrire agli studenti delle risposte sensate ed efficaci, capaci di intercettare il loro disagio e il loro smarrimento e di accompagnarli in un processo di rielaborazione dell’esperienza vissuta.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Materialità in trasformazione
56
Verso una rielaborazione dell’esperienza —
In conclusione, dal mio punto di vista, quando sarà cessata l’emergenza sanitaria, ma si sconteranno ancora gli effetti di quella socio-economica ed educativa, nei contesti formativi si potrà ragionare individualmente e collettivamente (anche insieme ai bambini e ai ragazzi) su diversi ambiti tematici e sulle loro interrelazioni, a partire da alcune questioni trasversali che possono favorire un processo riflessivo di ripensamento dell’esistente. Provo a porle in forma di domanda, dividendole per punti: • Che cosa si è appreso durante e in seguito al lockdown in relazione all’uso delle tecnologie e a una metodologia didattica alternativa? Come poter condividere questi guadagni formativi con docenti e alunni, mettendo a disposizione degli altri la propria esperienza per costruire nel tempo un modo diverso di fare scuola? • Che cosa è mutato rispetto alla situazione della scuola pre-pandemia? Che cosa si è imparato sul proprio modo di insegnare e di apprendere, anche grazie a un periodo di distacco forzato da abitudini consolidate? Che cosa si desidera e si può concretamente cambiare di queste abitudini ora? • Che cosa si è appreso in termini pedagogici ed esistenziali su se stessi, sugli altri, sulla società e che cosa può essere opportuno condividere con colleghi e alunni per ragionare sull’esperienza scolastica? • Come poter rielaborare dal punto di vista cognitivo e affettivo l’accaduto, per esprimere e per comunicare agli altri come ci si è sentiti, che tracce a più livelli quest’esperienza drammatica ha lasciato in ciascuno di noi? Come aiutare gli alunni a dare un senso a ciò che hanno vissuto?
• Come trasformare l’ambiente scolastico per renderlo maggiormente accogliente, accessibile e inclusivo, così che possa rispondere alle nuove esigenze di insegnanti, studenti e famiglie? Credo che valga la pena soffermarsi riflessivamente su tali questioni di fondo, eventualmente anche in contesti di consulenza e di supervisione pedagogica, per poter riprendere a insegnare e a educare facendo tesoro delle risorse e delle consapevolezze acquisite faticosamente in questo particolare momento e al contempo senza ignorare il carico di incertezza, dolore, angoscia, smarrimento che tutto ciò che è successo ha provocato in ognuno di noi. NOTE 1. Una parte di queste esperienze, di questi documenti e di questi strumenti, ad esempio, è resa disponibile gratuitamente sui siti del Ministero dell’Istruzione e dell’INDIRE: https://www.miur.gov.it/; http://www.indire.it/ (consultati il 30/04/2020). 2. Sul concetto di materialità in ambito pedagogico, cfr. in particolare: P. Barone, La materialità educativa. L’orizzonte materialista dell’epistemologia pedagogica e la clinica della formazione, Unicopli, Milano 1997; R. Mantegazza, Unica Rosa. Cinque saggi sul materialismo pedagogico, Ghibli, Milano 2001; E. Sørensen, The Materiality of Learning. Technology and Knowledge in Educational Practice, Cambridge University Press, New York 2009; A. Ferrante, Materialità e azione educativa, FrancoAngeli, Milano 2016. 3 R. Massa, Cambiare la scuola, Unicopli, Milano 1997, p. 79. 4. Rispetto alla definizione di ambiente tecnologicamente denso, cfr.: A. Bruni, T. Pinch e C. Schubert, Technologically Dense Environments: What For? What Next?, “Tecnoscienza: Italian Journal of Science & Technology Studies”, vol. 4, n. 2, pp. 51-72, 2013; R. Landriscina. e A.Viteritti, Sociomaterialità in classe. Pratiche di innovazione didattica, in «Scuola Democratica. Learning for Democracy», vol. 7, n. 1, pp. 93-115, 2016.
Alessandro Ferrante è ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove insegna Pedagogia dell’Inclusione Sociale. Tra le sue pubblicazioni: Che cos’è un dispositivo pedagogico? (FrancoAngeli, 2017), Materialità e azione educativa (FrancoAngeli, 2016), Pedagogia e orizzonte post-umanista (LED, 2014).
Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti? Creare intelligenze artificiali significa sostanzialmente programmare, cioè scrivere sequenze di istruzioni. A cosa pensiamo quando parliamo di intelligenza artificiale in ambito scolastico? Cos’è il machine learning, e perché non è machine teaching?
Se è scritto in Python, è Machine Learning, se è scritto in Power Point è Intelligenza Artificiale.1
T
ra le illustrazioni sulla vita dell’anno 2000 di Jean-Marc Côté, commissionate inizialmente per la World Exibition di Parigi del 1900 e poi regalate nelle confezioni di sigari e sigarette, ce n’è una sulla scuola: gli studenti sono collegati tramite cuffie a un dispositivo a manovella al quale l’insegnante dà in pasto i libri. Come le altre cartoline, anche questa è permeata da uno Zeitgeist caratteristico: la fanno da padrona un rampante positivismo, un’estetica da belle époque e l’idea, per fortuna oggi superata, di didattica come travaso di conoscenze dall’insegnante ai discenti; non c’è ovviamente traccia di intelligenza artificiale, ed è proprio per questo interessante, perché ci permette di vedere chiaramente, almeno nell’immaginario, qual è la misura del cambiamento quando le macchine iniziano a pensare, perché in quel momento iniziano davvero a fare qualcosa di nuovo: sostituiscono gli insegnanti umani. Il 1951 è l’anno di inizio del sotto1-genere fantascientifico “Intelligenze artificiali e didattica”: a questa data risale il racconto scritto da Isaac Asimov (che un decennio prima aveva inventato i cervelli positronici2 e usato per la prima volta il termine “robotica”) Chissà come si divertivano, in cui i bambini del futuro sono scolarizzati in casa da macchine; l’incrocio tra intelligenza artificiale e didattica rappresenta un punto di arrivo che anticipa di pochi anni la nascita, come espressione e come disciplina dell’Intelligenza Artificiale (1956, convegno del Dartmouth College), e la prima famiglia di linguaggi di programmazione pensata per questo specifico ambito, il LISP (1958)3. Nel 1995 Neal Stephenson scrive invece L’era del Diamante, o il sussidiario della giovinetta, un romanzo di fantascienza in cui un dispositivo, che a posteriori ricorda un iPad, è in grado di capire il mondo che circonda la sua proprietaria e di aiutarla a cavarsi d’impiccio, mentre la istruisce. Il sussidiario della giovinetta è un costrutto finzionale che “vede” il contesto della sua discente e lo connette alla sua funzione educativa: il modello didattico soggiacente è significativamente più raffinato di quello del calcolatore di Asimov, ma è interessante anche perché l’ultimo grido in fatto di intelligenza artificiale, il Deep Learning, muove i primi passi proprio dalla visione artificiale e da sistemi di calcolo parallelo sviluppati per i processori grafici. Questa immagine dell’IA che si sostituisce ai docenti in carne ed ossa è la prima critica che fu levata nel 2011 quando lanciammo, prima come sperimentazione con il patrocinio dell’INDIRE e della Fondazione Agnelli poi come prodotto commerciale, un software per la didattica della traduzione dal latino. Cicero “recitava” una sceneggiatura in cui poneva domande e si aspettava risposte dall’utente: il suo scopo era
Scuola / Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
di Adriano Allora
57
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
58
quello di indurre, con l’iterazione di task semplici,l’acquisizione di buone pratiche traduttive4. L’intelligenza di Cicero era nascosta dove pochi l’avrebbero cercata, per esempio eseguiva uno stemming5 delle parole nel testo italiano di destinazione, quindi distingueva errori di traduzione — nei morfemi lessicali — ed errori grammaticali — nei morfemi flessionali. Anche se questo comportamento era il frutto di una progettazione intelligente, non applicava nessun algoritmo o tecnica di intelligenza artificiale e non basava la sua valutazione su grandi quantità di dati: si trattava di azioni regolate da una serie di espressioni regolari e funzioni che venivano applicate linearmente. O ancora, sulla base delle risposte dosava l’informazione nelle domande successive sullo stesso argomento6, ma anche in questo caso il suo comportamento era guidato da istruzioni rigide e immodificabili. Dov’era allora la sua intelligenza? Chiedeva conferma al docente delle sue valutazioni e, se veniva rilevato un suo errore da almeno tre docenti, estendeva a tutti la nuova valutazione (altrimenti la applicava solo a tutti gli e le studenti del docente che aveva emendato il suo comportamento)7. Senza ricorrere a reti neurali, si trattava comunque di un rudimentale sistema di supervised (grazie al contributo dei docenti) learning. Nonostante la sua intelligenza nascosta, doveva tuttavia avere qualcosa di inquietante: forse perché interagiva più o meno dialogicamente con gli e le studenti (ma senza nessun artificio per passare il test di Turing: ci eravamo limitati a scrivere in maniera più friendly istruzioni tipo «isola il periodo» e «trova tutti i predicati presenti»…niente di raffinato come uno dei chatbot che si stanno affacciando sul panorama dell’edtech di oggi), diversi docenti non vi si avvicinarono neppure, inorriditi dall’idea che si potesse pensare di sostituirli con un’algida, limitata macchina.
A cosa pensano i tecnici quando parlano di IA
— L’intelligenza artificiale è un’idea affascinante o temibile, indefinibile e inafferrabile, almeno finché non ci si sporca un po’ le mani per realizzarla, allora magari rimane ancora inafferabile, ma certo diventa meno indefinita.
Creare intelligenze artificiali significa sostanzialmente programmare (il linguaggio che va per la maggiore in questo settore oggi si chiama Python8), cioè scrivere sequenze di istruzioni. Grosso modo dagli anni Ottanta del secolo scorso la locuzione intelligenza artificiale, negli ambienti in cui non poteva riferirsi a un’idea troppo mutevole, è stata gradualmente sostituita da Machine Learning: il Machine Learning (d’ora in poi ML) è una raccolta di algoritmi e tecniche per progettare sistemi che possano imparare dai dati usati per il training e che di conseguenza siano in grado di elaborare predizioni o individuare pattern in altri dati9. La prima caratteristica del ML è quindi la ricerca di pattern all’interno di grandi quantità di dati. Se al sistema di ML è stato detto che cosa cercare è Supervised Learning, altrimenti, a seconda che stia cercando di raggiungere un obiettivo attraverso prove ed errori oppure no, si tratta di Reinforcement Learning oppure Unsupervised Learning. In tutti questi casi, il sistema potrebbe appoggiarsi a una rete neurale artificiale, in tal caso si chiamerà Deep Learning, che è l’astro emergente delle IA dallo scorso decennio. Per semplificare le cose, si può aggiungere che una rete neurale artificiale è una rete di unità di elaborazione distinte in nodi di input,che ricevono gli stimoli,nodi nascosti, di solito organizzati in strati che comunicano l’uno con l’altro, e nodi di output. La rete neurale è un sistema adattivo che cambia la propria struttura in base alle informazioni che scorrono attraverso la rete stessa durante la fase di training.
A cosa pensiamo quando parliamo di IA e insegnamento
— Ancora oggi, quando parliamo di applicazioni di IA alla didattica, il pensiero va naturalmente alla vulgata che ci ha fornito la fantascienza, ignorando che oggi l’intelligenza artificiale è sostanzialmente il Machine Learning il quale, come dice il nome è appunto learning, e non teaching. Le macchine possono quindi imparare, il che non le mette necessariamente in grado di insegnare.A patto di definire che cos’è l’insegnamento, perché del complesso sistemico delle attività didattiche sono state già, almeno in parte, subappal-
ML e studenti
— Il campo di applicazione di alcuni software è focalizzato sul rapporto con lo o la studente. Le analisi predittive sono alla base dei progetti che mirano a personalizzare l’erogazione dei contenuti: l’Intelligent Tutoring System di Pearson prova a erogare il miglior contenuto per ogni studente (funziona bene per cose basiche e propedeutiche); il progetto della repubblica del Niger per la formazione degli insegnanti UTIFEN sulla base dei bisogni e dei progressi degli utenti può aggiungere o togliere contenuti. I prodotti della finlandese Sanalabs analizzano i risultati dei discenti e suggeriscono loro percorsi di studio personalizzati. Il software Edsight interagisce via cha-
tbot con gli e le studenti riguardo alla loro “vita scolastica”, analizza i loro comportamenti e aiuta a non abbandonare gli studi suggerendo azioni specifiche per ogni individuo. Questo tipo di intervento potrebbe diventare essenziale, in un panorama che preveda periodiche chiusure degli spazi scolastici e delle pratiche che vi sono associate (le quali rappresentano con la loro stessa presenza un freno alla dispersione), anche se vale la pena di annotare due cose: • per individuare buona parte della dispersione a cui docenti di tutta la nazione hanno assistito probabilmente non è necessario il ML: basta la conoscenza che hanno i docenti dei loro studenti e soprattutto delle loro famiglie; • quando i motivi dell’abbandono dipendono da pratiche individuali sui quali il singolo studente minorenne non ha pieno controllo (a titolo esemplificativo e non esaustivo: in una situazione di lockdown in famiglia non c’è disponibilità di dispositivi adeguati, di accesso di banda, di competenze specifiche dei genitori),un software come questo è semplicemente inutile.
59 Scuola / Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
tate alle macchine: • la preparazione e la messa a disposizione di materiali formativi e sommativi; • la pianificazione; • la registrazione dei voti e delle assenze; • la comunicazione con docenti e colleghi. (Ognuno farà la stima di quali dispositivi software usa per compiere queste azioni e altre che qui non menzioniamo). Se le macchine raccolgono, analizzano e confrontano i dati in maniera più efficace ed efficiente degli esseri umani, quali possono essere i contributi del ML alla didattica? La domanda è tanto più ficcante dopo l’emergenza sanitaria che ha sparigliato pratiche didattiche abitudinarie (senza connotazioni di sorta) e costretto docenti e studenti a parlarsi per mezzo di schermi.
Studenti, ML e docenti
— Altre applicazioni raccolgono dagli e dalle studenti i dati (risultati, tempi d’uso, ordine delle lessìe consultate), li analizzano e poi li inviano ai docenti: è quello che fanno Happy Numbers con la matematica per la primaria e Century, che in più suggerisce ai docenti dei percorsi di studio personalizzati per gli studenti. Al di là dell’ambito dell’automated grading, il chatbot Hubert.ai (che ha anche applicazioni nel settore della sondaggi-
Un robot che insegna ad altri robot (forse in un prossimo futuro). ↓
stica) è progettato per interagire con gli studenti, raccogliere feedback su lezioni e corsi e valutarli. Lexplore, un complesso di software e hardware, analizza il movimento delle pupille nel corso della lettura per riconoscere DSA e permettere ai docenti interventi mirati. Forse, questa è una riflessione suggerita dalla quarantena, potrebbe valere la pena di iniziare a considerare il ruolo di docenza di cui si sono dovute far carico le famiglie (quelle che hanno potuto) e si potrebbe iniziare a pensare un qualche strumento che metta in relazione l’attività di docenza portata avanti sui due fronti: familiare e scolastico.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
60
ML e docenti Il robot che accoglie i visitatori al Toyota Commemorative Museum of Industry and Technology di Nagoya, in Giappone, sa suonare il violino e la tromba. ↓
— Il più comune strumento che utilizza il ML usato dai docenti non ha nulla a che fare con la didattica (e non è usato solo dai docenti): i motori che dato un video/prodotto te ne consigliano un altro, e quelli che somministrano pubblicità, ricorrono ad algoritmi intelligenti (ambito delle recommendation of resources: utile tuttavia quando un docente cerca risorse online per le proprie spiegazioni).
Ma non mancano progetti più orientati alla didattica in senso stretto: Parallel Education confronta prove parallele e suggerisce, sulla base delle informazioni date dai docenti stessi, le pratiche di insegnamento più efficaci rilevate sullo stesso argomento in classi comparabili.
ML e… software?
— Nel 2014, anche complice la prepotente diffusione degli smartphone e dei mobile games10, decidemmo di fare quello che in un certo lessico aziendale si dice pivotare: invece di indirizzarci agli editori di scolastica come unici clienti provammo a rivolgerci direttamente agli utenti finali, docenti e discenti, per un prodotto che “parlasse” la lingua dei dispositivi mobili. Alatin applica una diversa declinazione di adattività rispetto a Cicero: invece di riproporre il medesimo quesito cambiandone la formulazione e la quantità di informazione/supporto, aumenta il numero di quesiti. Questa trasformazione era indotta da due vincoli del canale: • riduzione dello spazio (riprogettare i contenuti in modo che non ponessero problemi di ergonomia sui piccoli schermi dei dispositivi mobili); • riduzione del tempo (atomizzare i contenuti e i task associati a ogni contenuto atomico per garantire pacing e massimizzazione del carico cognitivo rilevante a danno,semplificando,del carico cognitivo estraneo e di quello intrinseco). Ma certo riprogettare contenuti non ha nulla a che fare, per sé e per ora, con l’intelligenza artificiale. La prima occasione di confronto con il ML ci si è presentata mentre cercavamo di capire come fronteggiare il problema delle varianti nelle traduzioni libere: in tutti i task nei quali era richiesto ai e alle discenti di scrivere una traduzione libera avevamo affrontato la questione con il corrispettivo informatico dell’uso della forza bruta: un gran numero di traducenti possibili. Per chiarire, una proposizione come «Non supplicium deprecarer», conta nel nostro database 655 traducenti, che vanno da «non scongiurerei il supplizio» a «non pregherei che egli venisse sottratto al castigo» passando per tutti i sinonimi anche multilessicali di scongiurare e supplizio e per le variazioni sintattiche e semantiche (articoli determinativi vs. indeterminativi, preposizioni articolate vs. semplici). Il tutto senza la garanzia di
Conclusione, anzi, no
— Alatin e la famiglia di prodotti collegati (Itaca, Lyceum, Alex) si stanno affacciando all’universo del Machine Learning; abbiamo iniziato a lavorarci e fare esperimenti, ma realizzare l’idea di un software che sia in grado di decidere se una particolare forma è il frutto di un errore di digitazione o meno è un lavoro che richiede la costruzione di un training corpus significativo, la scelta degli algoritmi più promettenti, un certo numero di prove, tentativi, test, riscritture. Navigando nel sito paperswithcode. com, che non è l’unico riferimento per il ML al mondo ma un buon punto di riferimento, è possibile valutare vari ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale, considerare quali linguaggi di programmazione, tecniche e raccolte di algoritmi sono più efficaci per i vari ambiti presi in esame e, in definitiva, rendersi conto di quanto questa disciplina sia ancora in evoluzione e lontana dalla human-like intelligence propagandata dalla fantascienza. Se è vero che le macchine raccolgo-
no, analizzano e confrontano i dati in maniera più efficace ed efficiente degli esseri umani, gli esseri umani capiscono gli altri esseri umani (o dovrebbero farlo) e il rapporto che intercorre tra docenti e studenti è quella parte dell’esperienza di apprendimento che difficilmente potrà essere sostituita, per quanto sia abile la macchina a imparare. NOTE 1. Questo esergo dovrebbe forse stare in coda, perché se non è chiaro adesso lo diventerà dopo la lettura del testo. Per ora basterà annotare che si tratta di una battuta che circola in ambito informatico e che suona un po’ come: «Se lo sa, è il tuo ragazzo; se non lo sa, è una dolce fantasia». 2. La più famosa, se non la prima, descrizione in termini moderni di intelligenza artificiale nella narrativa. 3. Mentre è del 1950 il celebre articolo di Alan Turing Computer Machinery and Intelligence. 4. Una commistione originale tra il caro vecchio drill and practice e l’authentic assessment di scuola canadese. 5. Distinzione della radice e della flessione delle parole non grammaticali. Nel caso specifico mettemmo nella radice anche i morfemi derivazionali. 6. Una delle possibili declinazioni del concetto di adattività del software nell’interazione umano-macchina. 7. Questo è un sistema in grado di apprendere e riapplicare quanto appreso, consulta grandi quantità. 8. Inventato nel 1991 dal programmatore tedesco Guido van Rossum e chiamato così in onore dei Monty Python. 9. Il che, a ben pensarci, è esattamente il primo grado di apprendimento: applicare altrove quello che si è imparato. Imparare a imparare nuove cose e imparare a decidere che cosa imparare è più complicato e per ora rientra, insieme alla human-like intelligence, nel dominio della fantascienza. 10. I videogiochi progettati per smartphone hanno caratteristiche specifiche.
Adriano Allora cofondatore di MaieuticalLabs, dopo un dottorato in Ingegneria linguistica ha insegnato per alcuni anni Grammatica italiana, Linguistica generale e Informatica applicata alla Comunicazione presso l’Università di Torino e la “Guglielmo Marconi” di Roma.
61 Scuola / Le macchine sostituiranno gli e le insegnanti?
aver trovato ogni possibile variante. Abbiamo quindi iniziato a ragionare sulla possibilità di un software in grado di distinguere autonomamente gli errori dai falsi negativi, che quindi agisse non in diretta relazione con utenti umani, ma con altri software (anche se ovviamente la valutazione delle risposte ha un effetto sull’esperienza utente). Poi ci siamo resi conto che classificare i tipi di Errori/Variazioni, o almeno distinguerli in Errori/Variazioni di tipo ortografico e sintattico avrebbe reso più efficace il sistema. Poi abbiamo dovuto fronteggiare il problema di avere un numero relativamente piccolo di testi ideali per il training della ML (che sono tanto più efficaci quanto più ricco e meglio costruito è il corpus di addestramento). Poi abbiamo iniziato a discutere di come gestire nell’interazione umano-macchina quel 15% di casi che si sottraevano alla capacità del sistema di individuare una compitazione apparentemente sbagliata (avevamo deciso di concentrarci sugli errori ortografici per iniziare) perché qualsiasi strumento didattico deve prevedere un certo grado di trasparenza rispetto all’utente finale.
“Programmo anch’io” Introdurre il coding nella didattica attraverso un progetto territoriale in Piemonte e Valle d’Aosta: un progetto inclusivo e di successo, di learning by doing, usando il linguaggio a blocchi Scratch. di Maria Stella Perrone e Alberto Barbero
Scuola / “Programmo anch’io”
62
L
a proposta “Programmo anch’io”1, giunta nell’anno scolastico 2019-20 alla sua sesta edizione,è indirizzata agli studenti delle classi della scuola secondaria di primo grado e del biennio delle scuole secondarie di secondo grado, e consiste nell’organizzazione di seminari hands on, ovvero con attività pratiche svolte in laboratorio, con l’obiettivo di introdurre il coding, cioè i concetti di base della logica della programmazione. La partecipazione agli incontri, considerato il numero di ore totali di 6 ore per classe, intende fornire gli elementi sia base sia di approfondimento utili anche per la produzione di semplici applicazioni ludico-educative sviluppate con Scratch. I migliori elaborati delle classi vengono in seguito selezionati a cura dell’Associazione Dschola e presentati in eventi a cura della Fondazione CRT.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Modello formativo proposto —
Gli interventi nelle classi sono di tipo learning by doing, svolti nei laboratori di informatica in cui gli studenti partecipanti al progetto svolgono direttamente sui computer a disposizione le attività proposte dai formatori. In questo modo ci si pone l’obiettivo di far capire ai ragazzi che cosa si intende per programmazione facendo provare loro a progettare e sviluppare from scratch (da zero) progetti ludico-educativi adatti alla loro età e al tipo di scuola frequentato. La programmazione non è l’unica competenza informatica fondamentale cui dovrebbero essere introdotti un po’ tutti gli studenti ma, a patto di usare strumenti opportuni, è la più caratteristica per chi non ha nessuna o pochissime conoscenze di informatica; è la più concreta, facile e anche gradevole per capire la logica degli algoritmi e quindi dei computer. Può essere infatti acquisita in modo “amichevole” perché permette di produrre risultati soddisfacenti con poco sforzo: basta appunto usare ambienti di sviluppo adatti allo scopo. Uno di questi è sicuramente rappresentato dal linguaggio a blocchi Scratch, sviluppato nel 2007 dai ricercatori del Lifelong Kindergarten Group dell’M.I.T. MediaLab di Boston guidati dal professor Mitchel Resnick. Si tratta di un linguaggio creato proprio con l’obiettivo di introdurre a studenti nella fascia dell’obbligo scolastico i concetti di base del coding e del computational thinking attraverso uno strumento che a un primo approccio sa molto di ludico, ma che in realtà esercita i discenti alla logica e al ragionamento. Permette infatti di elaborare variabili e liste di valori, offre controlli per la selezione e l’iterazione, permette di realizzare animazioni via via più complesse, offre la possibilità di far eseguire più processi contemporaneamente e di farli interagire,permette l’implementazione del paradigma a eventi, permette la gestione della messaggistica tra processi e molto altro ancora. Nella nuova versione 3.0, disponibile dal gennaio 2019, Scratch offre anche una serie di estensioni per la gestione della sintesi vocale, per la traduzione automatica in diverse lingue, per la robotica educativa ecc. La codifica del programma avviene sovrapponendo blocchi di forma e colore diverso, a seconda della funzione e della categoria di appartenenza, che vanno a incastrarsi come nel gioco del Lego.
Metodologie e strategie didattiche —
Partendo da semplici esercitazioni i formatori Dschola del progetto “Programmo anch’io” introducono i concetti di base della logica degli algoritmi sviluppando attività che coinvolgano gli studenti in prima persona, interrogandoli su come procedere quando si incontra un problema, su quali scelte effettuare per migliorare il progetto realizzato,su come correggere eventuali errori di programmazione. Le attività sono principalmente di tipo ludico-educative nel caso di intervento in classi delle medie inferiori, mentre nelle classi del biennio delle superiori è possibile sviluppare progetti legati alle discipline di studio o comunque che richiedono conoscenze più complesse. L’interazione tra formatore e discenti è molto forte e questo costituisce un punto di forza dell’intervento educativo, perché permette di controllare l’andamento della formazione e i risultati che si vogliono raggiungere3. Per fare in modo che tutti gli interventi siano svolti secondo un approccio condiviso, Dschola organizza incontri per tutti i formatori, sia prima di iniziare con gli interventi nelle classi sia al termine, durante i quali ci si confronta sulle metodologie da adottare e sui risultati ottenuti a fine corso. Sono momenti molto importanti perché dalla condivisione di esperienze, nella stragrande maggioranza positive, è possibile trovare quali sono i punti di forza e le criticità degli interventi nelle classi.
Per facilitare il lavoro dei formatori, e per uniformare al meglio le metodologie e le strategie didattiche da mettere in campo, e per far sì che le competenze acquisite durante gli interventi in classe possano essere portate avanti dagli studenti e dai loro professori presenti alle lezioni, l’associazione Dschola ha preparato una guida 4 per gli studenti (ultima edizione 2019-20). La guida si pone l’obiettivo di offrire un supporto ai ragazzi per esercitarsi autonomamente per consolidare le abilità e le competenze acquisite durante le attività laboratoriali. Nella guida per gli studenti si possono trovare decine di progetti per lo più di tipo ludico,graduati secondo le difficoltà di risoluzione, risolti passo dopo passo e correlati ciascuno dall’elenco dei concetti di programmazione veicolati. La guida è distribuita con licenza Creative Commons (CC BY) ed è scaricabile gratuitamente dal sito dell’associazione Dschola nella pagina dedicata al progetto “Programmo anch’io”.
Il bando di selezione dei migliori progetti —
Nell’ambito del Progetto Diderot “Programmo anch’io” viene anche proposto alle classi aderenti la partecipazione ad un bando per la realizzazione di progetti scratch, finalizzato a: • acquisire nuove competenze inerenti il pensiero computazionale; • stimolare la creatività; • realizzare la continuità delle azioni formative proposte alle classi. Sono destinatari del bando tutti gli studenti degli istituti di istruzione secondaria di primo grado e del biennio degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado del Piemonte e della Valle d’Aosta che hanno aderito alla linea progettuale “Programmo anch’io”. Il bando è riservato a gruppi di 3 o 4 studenti delle classi che hanno partecipato ed è ammessa la presentazione sino a tre progetti per classe. In ogni edizione è prevista la premiazione dei migliori progetti realizzati dagli studenti secondo due categorie di partecipazione: • categoria JUNIOR: scuole secondarie di I grado; • categoria SENIOR: scuole secondarie di II grado. Il bando desidera dare continuità
63 Scuola / “Programmo anch’io”
Scratch inoltre è un prodotto free, e quindi scaricabile gratuitamente2, oppure è utilizzabile attraverso la sua I.D.E. “web based”, stabile, potente, versatile e ideale per lo sviluppo di applicazioni ludiche, animazioni grafiche, ipertesti ma anche per l’implementazione delle classiche applicazioni che si sviluppano quando si impara la programmazione da zero. Il sito di Scratch, in pieno stile web 2.0, è diventato il punto di riferimento di una vera e propria comunità virtuale che può trovare e condividere manuali gratuiti, gallerie di progetti, materiali informativi, video esplicativi, forum di discussione e permette di scaricare milioni di progetti completamente gratuiti con licenza Creative Commons o di caricare i propri progetti condividendoli con gli altri utenti sparsi per il mondo.
Scuola / “Programmo anch’io”
64
Edizione
Il progetto “Programmo anch’io” nello svolgimento per l’anno scolastico 201920 è alla sesta edizione. Fondazione CRT, partner del progetto, continua a credere in un’iniziativa che ogni anno riscuote un numero di adesioni sempre più elevato, tale da riuscire a soddisfare sono il 25%30% delle richieste pervenute da parte delle scuole. Riteniamo importante rendere noti alcuni dati che possono evidenziare la portata dell’azione messa in atto sul territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta:
N. studenti
N. classi
N. docenti
2014-2015
3460
154
133
2015-2016
4471
221
197
2016-2017
4524
201
67
2017-2018
3095
144
113
2018-2019
2974
141
45
2019-2020
3756
141
60
TOTALE
22280
1002
615
Città
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Le edizioni del progetto —
a quanto svolto in occasione delle lezioni, dare la possibilità alla massima espressione per gli studenti particolarmente interessati e/o predisposti. La partecipazione a gruppi vuole essere di incentivo alla collaborazione e al lavoro di squadra. Nonostante gli studenti abbiamo un tempo ridotto per la presentazione dei lavori (mediamente solo due mesi), nell’edizione 2018-19 abbiamo avuto 10 progetti presentati ammissibili, 37 studenti partecipanti, 33 studenti per la categoria junior, 4 studenti per la categoria senior5.
N. studenti
N. classi
N. docenti
N. interventi per provincia
ALESSANDRIA
257
12
4
22
AOSTA
304
15
5
23
ASTI
331
15
5
33
BIELLA
277
12
3
27
CUNEO
334
15
5
22
NOVARA
313
15
4
15
TORINO
607
30
11
84
VERBANIA
284
15
4
31
VERCELLI
267
12
4
14
TOTALE
2974
141
45
271
Punti di forza e trasferibilità dell’esperienza —
In tutte le edizioni messe in campo è stato coinvolto un gruppo di formatori consolidato con esperienza pluriennale di formazione e di attività di coding applicata alla didattica. La proposta progettuale è di tipo laboratoriale e mette da subito lo studente in grado operare in modo autonomo. L’attività si sviluppa su soli due incontri da tre ore (o tre incontri da due ore) nei quali gli studenti sono guidati in tutte le fasi di progettazione e sono chiamati a mettere in gioco fantasia e creatività, a scoprire le funzionalità dell’ambiente e a modificare quanto realizzato per ottenere l’ottimizzazione del lavoro o versioni più complesse. Il tempo in laboratorio passa veloce, pur avendo spesso di fronte classi composte da 20 a 30 studenti: l’unica vivacità che si percepisce è quella partecipativa, gli occhi dei ragazzi sono sempre “sorridenti”, accesi; per esperienza diretta in tutte le edizioni non si è mai sentito nessuno che chiedesse di uscire o che percepisse le attività come una costrizione. Si tratta inoltre di un’attività inclusiva, che valorizza le singole attitudini degli studenti e che annulla le difficoltà di apprendimento perché ogni studente riesce a trovare la strategia adeguata per imparare. In alcune occasioni i docenti referenti avevano preventivamente segnalato casi di studenti “difficili”, ossia studenti che,
a parer loro, avrebbero creato disturbo, incapaci di seguire una lezione in modo continuativo e prestando attenzione. In realtà tutti questi casi di studenti BES (Bisogni Educativi Speciali) in tali contesti di apprendimento hanno trovato un ambiente favorevole che li ha resi attivi, partecipativi e soprattutto felici di essere coinvolti nell’esperienza. Alcuni studenti hanno inaspettatamente realizzato progetti originali, magari proprio quegli studenti che normalmente ottengono a scuola risultati insoddisfacenti. Al termine dei due o tre incontri formativi la frase più ricorrente da parte dei ragazzi è stata: «No… Come, è finito? Non ci vediamo più? Possiamo fare altre lezioni?». Ci si lascia con il sorriso, ma anche con un po’ di malinconia, nella speranza di aver lanciato idee e sfide ai docenti referenti per continuare a sperimentare in classe, proponendo le attività in contesti disciplinari differenti. Nei questionari di soddisfazione i docenti sono chiamati a evidenziare i punti di forza dell’esperienza. Ecco alcune indicazioni raccolte nell’edizione 2018-19: • esperienza certamente positiva e coinvolgente; • utile per lo sviluppo della creatività e delle capacità di lavoro autonomo e in gruppo; • lo studente è al centro del proprio apprendimento; • efficace per lo sviluppo del pensiero computazionale e delle capacità logiche; • sono numerosi i possibili collegamenti con le discipline curricolari; • si tratta di un utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica in modo innovativo; • l’attività risulta entusiasmante; • le attività hanno inciso sulle seguenti competenze: digitale, imparare a imparare, spirito d’iniziativa e imprenditorialità; • l’attività è importante per l’orientamento futuro. In seguito agli stimoli forniti in occasione degli incontri nelle scuole partecipanti sono nate nuove idee e progetti che classi, docenti o anche singoli studenti hanno dichiarato di voler sviluppare in momenti successivi; ecco citati alcuni esempi: • applicazioni in ambito matematico e scientifico; • applicazioni in ambito pluridisciplinare;
65 Scuola / “Programmo anch’io”
Nella pagina a fianco un prospetto generale di tutte le cinque passate edizioni e una tabella che si riferisce all’edizione 2018-19 per la quale abbiamo i dati definitivi suddivisi per provincia6. L’impianto organizzativo che sostiene le diverse edizioni non è semplice, e vede dalla progettazione alla rendicontazione finale diverse fasi di lavoro intermedie nelle quali sono impegnate più figure di riferimento dell’Associazione Dschola. Oltre ai divulgatori responsabili della formazione, ci sono incarichi per il coordinamento generale e territoriale, per la documentazione dell’attività svolta, per il monitoraggio in itinere e finale, per la raccolta costante dei dati, per l’aggiornamento sistematico dello sito web dedicato, per la selezione dei migliori progetti presentati dagli studenti partecipanti al bando afferente.
Progetto Diderot - Programmo anch’io - Sintesi questionari soddisfazione docenti. Edizione 2018-2019. Media risultati positivi 98% 100%
89% 79%
76%
75%
69% 69%
66%
50% 28%
25%
21%
32%
28%
20% 11%
0%
Scuola / “Programmo anch’io”
66
1% Giudizio comples- Chiarezza espositiva sivo sull’attività e preparazione del divulgatore
ottimo
3% 4% Quanto ritiene che Quanto ritiene che l’attività sia stata uti- gli studenti abbiano le per i suoi studenti apprezzato l’attività
buono
sufficiente
• applicazioni di geometria analitica; • simulazioni nel settore economico; • creazione di fumetti e storytelling; • sviluppo di progetti in ambito storico; • applicazioni di supporto alla realizzazione di lezioni CLIL, e in generale alle lezioni per lo studio delle lingue straniere; • creazione di giochi. Per meglio comprendere l’azione progettuale può essere interessante leggere alcuni post documentativi delle attività nello spazio web dedicato al progetto.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Ostacoli e criticità —
Considerato l’alto numero di adesioni e il budget assegnato al progetto in tutte le edizioni, non sono state soddisfatte le richieste di moltissime scuole. Un’altra criticità evidenziata dai docenti referenti è il tempo ridotto dedicato alle attività, in quanto sarebbe loro desiderio che fossero programmati altri incontri di approfondimento. E nella filosofia stessa di progetto è inserito l’obiettivo di lanciare sfide alle scuole partecipanti in modo che possano proseguire in modo autonomo sviluppando la propria creatività e adattando esperienze al singolo contesto educativo.
Valutazione del progetto —
Una possibile valutazione della formazione può essere effettuata dai risultati di soddisfazione proposti al termine delle attività a ogni docente referente per ogni classe partecipante. Si riportano i grafici relativi all’edizione 2028-19, ma i dati di
2% Quanto ritiene che l’attività sia comprensibile per gli studenti
scarso
2% Quanto ritiene che l’attività si integri con l’offerta scolastica contribuendo ad arricchirla
insufficiente
soddisfazione appaiono similari in tutte le edizioni monitorate – media soddisfazione positiva 98%: NOTE 1. Si veda online http://www.associazionedschola.it/programmoanchio/. 2. Dal sito https://scratch.mit.edu. 3. Si veda a titolo di esempio il video report dei momenti formativi dell’edizione 2016: https:// youtu.be/yEb4iCc0Dqs. 4.Consultabile all’indirizzo web www.associazionedschola.it/programmoanchio/download/guida-docenti-2019/. 5. Su «La Stampa» la notizia dell’evento di premiazione del 30 ottobre 2019, consultabile sul sito https://bit.ly/salviamo_pinguino. 6. La dislocazione territoriale delle scuole partecipanti si può visionare accedendo alla mappa edizione 2019-20 consultabile sul sito http://bit.ly/mappa1920.
Maria Stella Perrone è dirigente scolastica presso l’IIS “V. Alfieri” di Asti e fa parte dell’Associazione Dschola.
Alberto Barbero è docente di Informatica presso l’IIS “Vallauri” di Fossano (CN) e fa parte dell’Associazione Dschola.
SCUOLA L’associazione Dschola L’Associazione Dschola1 con la linea “Programmo anch’io” è partner di Fondazione CRT2Cassa di Risparmio di Torino che da tredici anni realizza il Progetto Diderot3 per offrire agli studenti di tutti gli Istituti di istruzione primaria e secondaria di I e II grado del Piemonte e della Valle d’Aosta una duplice opportunità: avvicinarsi in modo creativo e stimolante a discipline non sempre inserite nei programmi curricolari e, nello stesso tempo, approfondire le materie tradizionali con metodologie innovative. Il Progetto si articola in workshop, laboratori,video-lezioni,visite, seminari, incontri, dibattiti con esperti e testimonial, e perfino concerti e rappresentazioni teatrali, in ambiti quali l’arte e la matematica, l’economia e il computing, la tutela della salute e dell’ambiente, la filosofia. La partecipazione è gratuita per tutte le scuole. Il progetto ha interessato finora, sino alla edizione attuale 2019-20, la 14ma, oltre 1 milione di studenti, 49.000 classi e 65.000 insegnanti. La Fondazione CRT è un ente privato non profit nato nel 1991. Da oltre 25 anni è uno dei “motori” dello sviluppo e della crescita del Piemonte e della Valle d’Aosta in tre macro-aree: Arte e Cultura, Ricerca e Istruzione, Welfare e Territorio. Interviene con progetti e risorse proprie per la valorizzazione dei beni artistici e delle attività culturali, la promozione della ricerca scientifica e della formazione dei giovani, il sostegno all’innovazione e all’imprenditoria sociale, l’assistenza alle persone in difficoltà, la salvaguardia dell’ambiente, il sistema di protezione civile e di primo intervento. Nata su iniziativa del CSP – Innovazione nelle ICT, Organismo di ricerca regionale riconosciuto dal MIUR, per favorire l’innovazione nelle scuole come parte del progetto ICT finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e successivamente dalla Regione Piemonte sino al 2005, la rete dei poli DSchola, denominati Centri di Servizio, Animazione e Sperimentazione (CSAS), è un’esperienza unica a livello nazionale, apprezzata a livello europeo e replicata in alcuni Paesi dell’America Latina. La rete si è costituita in Associazione Dschola dal 18 ottobre 2004 e da allora è il punto di riferimento sia per l’Ufficio Scolastico Regionale sia per i diversi soggetti operanti in Piemonte interessati all’innovazione nella scuola. L’Associazione ha operato in questi anni con un modello che ha favorito la condivisione dei saperi e la formazione fra pari: le competenze tecnologiche, le sperimentazioni didattiche e l’organizzazione di seminari e corsi di formazione gratuiti.Per l’assistenza,consulenza e formazione si avvale di tecnici e docenti esperti, in possesso delle necessarie competenze ed appartenenti al mondo della scuola. L’Associazione ha sperimentato negli anni soluzione tecnologiche scalabili ed efficaci per la connettività delle classi (modello wireless campus), per la gestione di laboratori informatici e navigazione protetta (Manutenzione zero e Asso Dschola), per l’ospitalità gratuita dei siti delle scuole (Share Dschola), per l’uso di netbook in classe (1 computer per ogni studente). L’Associazione lavora anche per l’innovazione didattica attraverso lo sviluppo di comunità di pratiche sull’e-learning, sulle mappe mentali e concettuali, sulla media education (Dschola TV), in collaborazione con reti e Associazione europee (Media and Learning Association), sull’introduzione della programmazione,promuovendo l’utilizzo del linguaggio Scratch dal 2012 attraverso il progetto “Scratch 4 Disability” e l’organizzazione dell’Italian Scratch Festival e, da quest’anno, del Festival Italiano del Coding5. Sulla base della positiva esperienza dell’Italian Scratch4 Festival e della constatazione dell’efficacia dell’utilizzo di Scratch per l’apprendimento della programmazione, l’Associazione intende proseguire nella diffusione di questo linguaggio pensato per finalità didattiche. 1. http://www.associazionedschola.it/ 2. http://www.fondazionecrt.it/ 3. http://www.fondazionecrt.it/attivit%C3%A0/ricerca-e-istruzione/progetto-diderot/ 4. http://www.associazionedschola.it/isf/ 5. http://www.associazionedschola.it/fico/
67
Cittadinanza digitale consapevole a scuola
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
68
Essere buoni cittadini nell’onlife significa conoscere i principi base dell’informatica e maturare la consapevolezza digitale: per comunicare in rete in modo sicuro, navigare proteggendo i propri dati, contrastare il ciber-bullismo. Gli obiettivi di “Programma il futuro”, iniziativa del MIUR nelle scuole nata nel 2014, e i risultati dell’ultimo monitoraggio. di Isabella Corradini e Enrico Nardelli
I
n questi ultimi anni, il tema della consapevolezza in rete e quello più ampio della cittadinanza digitale hanno acquisito sempre più rilevanza in ambito scolastico. Il partecipare alla società online è una priorità per qualsiasi cittadino, dal momento che sempre più si fa ricorso alle tecnologie digitali per lo svolgimento di attività negli ambienti lavorativi e nel privato. Vengono richieste specifiche capacità e conoscenze per accedere al mercato del lavoro e le competenze digitali sono tra quelle fondamentali per l’apprendimento permanente che tutti i cittadini devono possedere1. La scuola, pertanto, rappresenta il principale veicolo per sviluppare tali competenze. Diventare buoni cittadini digitali significa acquisire anche le competenze per muoversi in modo responsabile in Internet attraverso un’adeguata igiene digitale2. È noto, infatti, che i cosiddetti nativi digitali usano con sorprendente abilità gli strumenti tecnologici, senza però avere un’adeguata consapevolezza dei rischi che vi si associano. Minacce e rischi, tanto discussi nell’ambito della sicurezza informatica (cybersecurity), possono essere affrontati con successo solo se si diffonde una cultura della sicurezza a 360 gradi. Considerato che l’approccio alle tecnologie è sempre più precoce, è quindi strategico cominciare fin dalla scuola il percorso di educazione all’uso consapevole delle tecnologie digitali. Lavorare in questa direzione risponde non solo a esigenze di sicurezza, ma anche alla necessità di far comprendere le tante opportunità offerte dalle tecnologie digitali, promuovendo al contempo un pensiero critico rispetto al loro uso. Rinunciare al loro impiego è oggi impensabile. Diversi progetti sul territorio nazionale sono impegnati a sensibilizzare studenti e cittadini sui temi dei pericoli e dei rischi della rete. Tuttavia, per poterli affrontare in modo adeguato, occorre coniugare la conoscenza dei principi base dell’informatica (la scienza che permette la realizzazione di dispositivi, sistemi e infrastrutture digitali)
Partecipazione —
Le risposte al questionario di monitoraggio sono pervenute da un campione di 2 229 insegnanti di ogni ordine di scuola, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, con una larga rappresentanza della primaria (59,98% dei partecipanti). Anche se in percentuale ridotta (3,01%), appare comunque interessante il fatto che ci sia una partecipazione delle scuole dell’infanzia. Per quanto riguarda la composizione
del campione, si tratta di insegnanti di età principalmente compresa nelle fasce 41-50 (34,19%) e 51-60 (51,91%). Rispetto al genere vi è una larga rappresentanza femminile (82,01%), in linea con la distribuzione nazionale dei docenti nelle scuole. La maggioranza dei partecipanti ha lunga esperienza di insegnamento, considerato che più dell’85% ha un’anzianità di servizio superiore ai 10 anni. Si conferma la forte presenza di docenti di materie scientifiche (informatica, matematica, scienze), anche se cresce la partecipazione di insegnanti di altre discipline, quali ad esempio italiano, storia e geografia, musica, educazione motoria.
Sezione cittadinanza digitale consapevole —
Il questionario utilizzato per l’attività di monitoraggio è composto da circa 40 domande con risposte a scelta multipla. In diversi casi è possibile fornire più di una risposta alla stessa domanda. La sezione “cittadinanza digitale consapevole” comprende 15 domande,la maggior parte a risposta multipla con l’aggiunta di una domanda a risposta aperta. L’obiettivo di questa specifica sezione è investigare tre macro aree: • valutazione da parte degli insegnanti delle guide sulla cittadinanza digitale consapevole; • significato dell’uso responsabile delle tecnologie digitali; • supporto agli insegnanti sulle tematiche dell’uso consapevole delle tecnologie digitali e loro esigenze di formazione. Di seguito vengono riportati i principali risultati queste tre macro aree.
Valutazione delle guide sulla cittadinanza digitale consapevole —
In quest’area viene richiesto agli insegnanti di valutare l’utilità di ciascuna delle guide realizzate da Programma il Futuro per il percorso educativo in materia di “cittadinanza digitale consapevole”. L’obiettivo di questo materiale didattico è quello di sensibilizzare gli studenti su un uso responsabile delle tecnologie digitali, favorendo un pensiero critico che li induca ad avere un ruolo attivo e a diventare consumatori consapevoli. In questo modo, si vuole favorire la capacità
69 Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
con gli aspetti di consapevolezza. Partendo dal principio che non può esserci consapevolezza senza la conoscenza di come funzionano gli strumenti digitali, Programma il Futuro3 propone percorsi di formazione ai concetti fondamentali dell’informatica insieme all’attivazione di percorsi didattici ad hoc sul tema della cittadinanza digitale consapevole. Un team di esperti ha reso disponibile per gli insegnanti della scuola primaria e secondaria materiali didattici per la preparazione degli studenti su argomenti rilevanti per lo sviluppo delle competenze digitali4. Alcuni esempi: come comunicare in rete in modo sicuro, come visitare siti in rete proteggendo i propri dati personali, cosa fare per contrastare il ciber-bullismo ecc. Parallelamente al materiale per gli insegnanti, sono previste apposite schede per genitori per introdurre tali tematiche in famiglia. Il monitoraggio del progetto, condotto annualmente dal Centro Ricerche Themis5 con un apposito questionario inviato agli insegnanti attraverso la piattaforma del progetto, mira a valutare i dati di partecipazione e la qualità degli strumenti e servizi offerti ai partecipanti. Inoltre, da dicembre 2018, nello strumento di rilevazione è stata inserita una sezione specifica dedicata alla cittadinanza digitale consapevole. Giunto al quinto anno di attività, il progetto ha coinvolto più di 30000 insegnanti e oltre 2 milioni di studenti. In questo articolo vengono presentati i principali dati derivanti dall’ultimo monitoraggio 6, effettuato nel periodo dicembre 2019-gennaio 2020. Dopo una prima panoramica sulla partecipazione degli insegnanti, sono riportati i risultati della sezione “cittadinanza digitale consapevole”.
degli studenti di riconoscere situazioni di rischio, quali, ad esempio, atti di bullismo in rete, notizie non attendibili (fake news), espressioni inappropriate e violente (hate speech). La maggior parte delle guide realizzate è pensata per gli alunni della scuola pri-
maria, ma considerato che gli insegnanti hanno una conoscenza costante e precisa delle loro classi, saranno in grado di valutarne adeguatamente l’uso. Infatti, in taluni casi il materiale per le primarie potrebbe rivelarsi utile, con alcuni adattamenti, all’età e agli interessi di raIl potere delle parole
Super cittadino digitale 60%
60%
60,4%
40%
Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
70
20%
1%
23,4%
15,2%
20%
0% sufficientemente utile
utile
poco utile
molto utile
Comunicare in rete in modo sicuro 55,1% 0,9%
34,2%
9,9%
sufficientemente utile
utile
1,8% poco utile
molto utile
Il mio quartier generale
17,2%
23,4%
sufficientemente utile
utile
molto utile
Segui le tracce digitali
60%
60% 56,7%
40% 1,9%
17%
24,4%
59,1%
40% 20%
0%
2.1%
18,6%
20,3%
0% poco utile
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
molto utile
0% poco utile
sufficientemente utile
utile
molto utile
poco utile
sufficientemente utile
utile
molto utile
Scaccia le cattiverie dallo schermo
40%
0%
utile
57,7%
40% 20%
0%
20%
sufficientemente utile
60%
40%
60%
13,6%
Dati personali e altri dati
60%
20%
1%
26,8%
0% poco utile
20%
58,6%
40%
1,6% poco utile
52,6%
34%
utile
molto utile
11,8%
sufficientemente utile
Figura 1. Utilità delle guide sulla “cittadinanza digitale consapevole”.
Uso responsabile delle tecnologie digitali —
In quest’area viene richiesto agli insegnanti che cosa ritengono necessario per usare in modo consapevole le tecnologie digitali; quali attività gli alunni realizzano principalmente con tali tecnologie; quanto è importante che gli studenti siano formati su specifici argomenti, quali ad esempio l’attendibilità delle notizie, regole di comportamento online ecc. Per un uso responsabile delle tecnologie digitali gli insegnanti ritengono che sia necessario soprattutto una “conoscenza dei rischi associati al loro uso” (66%), confermando i risultati dei precedenti monitoraggi7. A seguire (vedi figura 2), altre opzioni vengono ritenute importanti, come la “capacità di usare le tec-
71
Necessari per un uso responsabile delle tecnologie 60% 40% 20%
41%
45%
49%
36%
66%
5%
38%
0% uso delle versioni conoscenza più aggiornate dei rischi legati al loro uso Figura 2. Che cosa gli insegnanti ritengono necessario per un uso consapevole delle tecnologie digitali.
senso di responsabilità
conoscenza di come funzionano
capacità di spirito usarle critico efficacemente
nologie digitali in modo efficace” (49%), comprendere il loro funzionamento (45%) e il “senso di responsabilità” (41%). Riguardo alle attività che gli alunni realizzano con le tecnologie digitali (figura 3), esse vengono usate dagli studenti principalmente per “giocare” (85%), poi per “comunicare/condividere con amici/ compagni”(56%), “sentire/vedere/scaricare musica” (54%); in misura minore per “studiare o fare ricerche” (28%) e da una minoranza per “informarsi” (11%). Per comprendere il significato di questi risultati, va ricordato che il campione degli insegnanti rispondenti al questionario è in larga parte proveniente dalle scuole primarie: il fatto che queste tec-
nologie siano impiegate principalmente per giocare e poco per informarsi è perciò legato alle specifiche esigenze naturali degli studenti di tale fascia di età. Gli strumenti digitali hanno comunque una rilevanza sociale, dal momento che permettono di condividere e comunicare con i propri coetanei. Gli insegnanti ritengono importante che gli studenti siano formati su specifici argomenti per un uso responsabile delle tecnologie digitali (vedi figura 4).Se da un lato si conferma l’interesse per argomenti sui quali da anni c’è molta attenzione, come le “molestie online” (84%) (tra le quali probabilmente il ciber-bullismo è la più nota), vi è anche una notevole
condivisione di esperienze
Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
gazzi più grandi. Nella figura 1 si vedono le valutazioni fornite dagli insegnanti rispetto all’utilità delle guide proposte. I grafici di figura 1, relativi agli insegnanti che hanno utilizzato le diverse guide, evidenziano un giudizio molto positivo riguardo alla loro utilità per diffondere tra gli studenti consapevolezza del mondo digitale. Coloro che, invece, non le hanno ancora usate, hanno comunque manifestato l’intenzione di applicarle nelle loro classi appena possibile, considerata l’importanza degli argomenti trattati. L’interesse riguarda in particolare i temi della comunicazione in rete, come renderla sicura e come gestire insulti e molestie, non solo quindi ciber-bullismo. Tale interesse è confermato anche dalle osservazioni libere che gli insegnanti hanno riportato alla fine del questionario.
Uso principale delle tecnologie digitali secondo gli insegnanti 80% 60% 40% 20%
28%
0%
56%
studiare/ fare ricerche
Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
72
comunicare/condividere con amici/compagni
85%
informarsi
54%
giocare
sentire/vedere/ scaricare musica/video
Figura 3. Come gli studenti usano le tecnologie digitali secondo la percezione dei loro docenti.
Molestie online
Riservatezza dati personali (privacy)
80%
80%
60%
60%
40%
40%
20%
20%
0%
1% per niente
80%
1,1%
14,4%
84%
poco
abbastanza
molto
0%
Truffe online
15,9%
87,2%
poco
abbastanza
molto
Attendibilità delle notizie (fake news)
40%
40% 1%
1,1%
25,1%
70,5%
20%
0,5%
0,9%
15,9%
87,2%
poco
abbastanza
molto
0% per niente
poco
abbastanza
molto
per niente
Modalità di comunicazione online
Regole di comportamento online
80%
80%
60%
60%
40%
40%
20%
20%
0%
0,9%
80% 60%
0%
0,5% per niente
60%
20%
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
11%
1% per niente
1,1% poco
25,1% abbastanza
70,5% molto
0%
0,5% per niente
0,9%
15,9%
87,2%
poco
abbastanza
molto
Figura 4. Livello di importanza di specifici argomenti per la consapevolezza digitale degli studenti.
la sensibilità per altri temi che hanno rilevanza anche per gli adulti,come la “riservatezza dei dati” (82,7%) e la “attendibilità delle notizie” (72%). Va inoltre evidenziato che sommando le percentuali delle risposte “abbastanza” e “molto” si ottengono percentuali superiori al 95% per tutti gli argomenti indicati in tabella. Per “le regole di comportamento online” e le “modalità di comunicazione online” la somma delle riposte “abbastanza” e “molto” sfiora il 100%.
Supporto agli insegnanti e loro formazione —
73 Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
In quest’area viene richiesto agli insegnanti di valutare l’importanza di alcune specifiche azioni di supporto alla loro attività di promozione della consapevolezza del mondo digitale. Viene anche loro chiesto di valutare i loro bisogni di formazione inerenti al a tale tematica.
La “condivisione di esperienze” (65%) rappresenta l’attività che i docenti dichiarano più utile per diffondere consapevolezza nei loro studenti (figura 5), seguita dalla “formazione in aula” (53%) e dal “coinvolgimento dei genitori” (48%). Tali richieste confermano l’importanza di coinvolgere diversi soggetti e svolgere iniziative varie per sviluppare una più ampia cultura della consapevolezza digitale. Allo stesso tempo, gli insegnanti dichiarano di aver bisogno di una formazione adeguata anche su argomenti che permettano loto di usare in modo sicuro le tecnologie digitali (vedi figura 6). Tra gli argomenti che dovrebbero essere oggetto di formazione vengono soprattutto indicati “uso dei social media” (70%), “attendibilità delle notizie” (57%) e “molestie in rete” (56%). A seguire, “furto d’identità” (48%) e “protezione dei dispositivi digitali” (41%).
Azioni per supportare gli insegnanti nella creazione di consapevolezza digitale negli studenti 60% 40% 20% 0%
29% attività di comunicazione
39%
53%
13%
23%
webinar
formazione in aula
manuali e guide
interventi di testimonial
43% coinvolgimento dei genitori
65% condivisione di esperienze
Figura 5. Azioni importanti per supportare i docenti nel creare consapevolezza digitale negli studenti. Argomenti di formazione per gli insegnanti sull’uso sicuro delle tecnologie 60% 40% 20% 0%
33%
36%
truffe online
gestione delle password
70% utilizzo dei social media
57% attendibilità delle notizie (fake news)
48% furto di identità
41% strumenti di protezione dei propri dispositivi (p. es. antivirus)
Figura 6. Argomenti di formazione per gli insegnanti sull’uso sicuro delle tecnologie digitali.
56% molestie in rete
← Accadrà mai? Un’immagine che illustra le potenzialità oggi attribuite alla didattica robotica.
La ricerca / N. 18 Nuova Serie. Settembre 2020
Scuola / Cittadinanza digitale consapevole a scuola
74
Conclusioni —
Considerando che la digitalizzazione continuerà a crescere, con tutte le problematiche di privacy e di sicurezza che essa comporta, è necessario avviare un percorso di cittadinanza digitale consapevole fin dalle scuole primarie, da realizzarsi con opportune metodologie e strumenti. Allo stesso tempo, è necessario supportare gli insegnanti anche attraverso una specifica formazione su questi temi. Il team di esperti del progetto Programma il Futuro, che unisce alla formazione sui concetti scientifici di base dell’informatica l’attenzione agli aspetti di uso responsabile e consapevole delle tecnologie digitali, continuerà a produrre materiali didattici sulla base delle specifiche esigenze rilevate dai monitoraggi del progetto.
zione, Università e Ricerca) in collaborazione con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica). 4. Le lezioni e i relativi video originali sono forniti da Common Sense Education, tradotti e adattati dal team di esperti del progetto. 5. Themis è un centro ricerche socio-psicologiche e criminologico-forensi: https://themiscrime.com. 6. Alla pagina https://programmailfuturo.it/ progetto/monitoraggio-del-progetto è possibile consultare tutti i rapporti periodici di monitoraggio del progetto. 7. I. Corradini, E. Nardelli, Awareness in the online use of digital technologies of Italian students, intervento al 11th International Conference of Education, Research and Innovation (ICERI-2018), Siviglia, Spagna, novembre 2018.
NOTE 1. Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, COM(2018) 22 final, Gennaio 2018. 2. http://link-and-think.blogspot.com/2017/04/ igiene-digitale-norme-base-di.html. 3. Programma il Futuro è un’iniziativa promossa nel 2014 dal MIUR (Ministero dell’Istru-
Isabella Corradini è psicologa sociale e direttrice del Centro Ricerche Themis, Roma.
Enrico Nardelli è professore ordinario di informatica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
I QUADERNI Quaderni della Ricerca: proposte metodologiche e aggiornamento didattico.
QdR / Didattica e letteratura L
a collana scientifica, dedicata a scuola e università, per riflettere su metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo degli studi letterari, della scrittura, della lettura e dell’interpretazione delle opere.
DIRETTA DA Natascia Tonelli Simone Giusti COMITATO SCIENTIFICO Paolo Giovannetti (IULM) Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari) Marielle Macé (CRAL Parigi) Francisco Rico (Universitad Autònoma Barcelona) Francesco Stella (Università degli Studi di Siena)
I libri pubblicati nella collana sono reperibili in libreria o presso le agenzie di zona. Indice e prime pagine sono disponibili sul sito de «La ricerca».
I Quaderni della Ricerca sono anche online https://laricerca.loescher.it/quaderni/
RI19_cover.indd 4-5
I libri pubblicati nella collana sono reperibili in libreria o presso le agenzie di zona. Indice e prime pagine sono disponibili sul sito de «La ricerca».
La collana QdR / Didattica e letteratura è anche online https://laricerca.loescher.it/qdr-didattica-e-letteratura/
23/09/20 01:12
RI19 - La cucina spaziale, scena da 2001 Odissea nello spazio, 1968, diretto da Stanley Kubrick su sceneggiatura scritta insieme ad Arthur Clarke. © Metro-Goldwyn-Mayer 1968/George Rinhart/Corbis via Getty Images Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale-D.L. 353/2003 (conv. In L 27/20/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NO/Torino – n. 18 anno 2020
https://laricerca.loescher.it/
Su Facebook: La ricerca
Su Twitter: @LaRicercaOnline
LA RICERCA È ANCHE ONLINE Rivista e contenitore per dire, fare, condividere cultura
I
RI19_cover.indd 2-3
Settembre 2020 Anno 8 Nuova Serie – 6 Euro www.laricerca.loescher.it
N°18
Umano, postumano, artificiale Il futuro della scuola è nelle macchine?
SAPERI
Corpi, menti, web
DOSSIER
L’insegnante robot
SCUOLA
Macchine e apprendimento
RI19
n contatto diretto e quotidiano scambio con i suoi lettori, per ampliare le prospettive, accogliere le notizie più attuali in tempo reale, arricchire il dibattito, captare e rilanciare nuovi argomenti. Il sito contiene gli articoli scritti per La ricerca cartacea e il pdf scaricabile, articoli di attualità, istruzione, cultura, la sezione Scritto da voi, un’area dedicata alle normative riguardanti l’istruzione e tutti i Quaderni della Ricerca.
La ricerca
23/09/20 01:12