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All’interno dei libri, la scheda di lavoro “ Per l’Orientamento. Verso l’e-portfolio” allena gli studenti e le studentesse alla compilazione dell’e-portfolio orientativo e personale delle competenze, di cui ricalca la struttura, i passaggi e le domande.
• 100 videointerviste a esperti e professionisti, corredate da questionari di autovalutazione e schede informative
• La Guida all’Orientamento per lo studente: contiene esercizi e attività per lo sviluppo delle competenze orientative.
La formazione
Per il docente
La Guida all’Orientamento per il docente, scaricabile tramite qrcode abbinato a tutte le Risorse per il docente Loescher D’Anna, contiene:
• una mappatura di tutte le risorse messe a disposizione da Loescher per costruire moduli di didattica orientativa;
• strumenti metodologici per la programmazione dei moduli e la verifica degli interventi.
• Webinar per docenti o per studenti, fruibili in diretta ma anche on demand.
• Corsi di formazione su misura a tema Orientamento e Life Skills.
Unire i puntini
Siamo d’accordo che questo dell’orientamento è un compito immane, lasciato alle cure dei docenti italiani?
Domanda retorica, ma solo in parte.
Intendo dire: siamo davvero consapevoli di ciò che questo comporta, al di là delle frasi di circostanza e delle tiepide formulazioni ministeriali?
Tracciare un percorso formativo che aiuti lo studente ad accumulare conoscenze, costruendo competenze e individuando vocazioni, è probabilmente il lavoro che tutti noi siamo contenti spetti a qualcun altro.
Qualcun altro che sappia attizzare scintille, incanalare egotismi, solleticare vanità e sfidare timidezze. Lo stesso qualcun altro cui ci rivolgiamo (magari bruscamente) per chiedere ragione di un voto, mentre tenta di incasellare in un percorso sensato l’ennesimo artefatto adolescenziale del pupillo di casa. Quel qualcun altro che spesso vorrebbe non toccasse a lui (o a lei), e che si accontenterebbe volentieri di verificare la «consecutio temporum» dei suoi studenti…
Eppure, non può che essere così. Dove altro potrebbe avvenire lo svelamento di destini e vocazioni se non nel luogo, fisico e virtuale, che ci vede impegnati per dieci, tredici, sedici, diciott’anni, tutti i giorni, per più ore al giorno, a leggere, scrivere, disegnare, suonare, calcolare, progettare, ricercare, dissertare, argomentare, recitare, fantasticare, correre, saltare, vivere…
Chi altri, se non l’insegnante, possiede le chiavi per aiutarci a interpretare le tracce che man mano lasciamo sul cammino? quel portfolio di esperienze che diventano presagi che aiutano a definire chi siamo? a proiettarci fiduciosi verso il chi saremo?
Il compito è immane, si diceva: spaventa senza offrire garanzie di risultati. Perché agisce sull’imprevedibilità della personalità altrui: gli studenti, che, crescendo in consapevolezza, rivendicano il diritto di decidere per sé, di sé.
A tal proposito, mi è tornata in mente una striscia a fumetti del nostro eroe familiare: Calvin, di Calvin & Hobbes, personaggi nati dalla mente genialmente perversa di Bill Watterson.
Per chi non li conoscesse, provo a sintetizzare così: lui, Calvin, è un bambino di sei o sette anni, dotato di una peculiare concezione di sé e del proprio ruolo nel mondo; Hobbes è la sua tigre di pezza, saggia e sorniona compagna di giochi e di avventure, vittima e carnefice allo stesso tempo in passatempi che producono spesso strappi e cerotti. Intorno si agitano, comprimari il più delle volte inconsapevoli, adulti e bambini: maestra, genitori, “viscide” bimbe e bulli compagni di scuola…
Nella striscia che sono andato a ricercare,Calvin si rivolge furibondo a un compassato Hobbes, per criticare il gioco grafico di una pagina di rivista. Si tratta di unire i puntini numerati, alla scoperta del disegno sotteso. Alla fine dell’operazione, ne risulta… un papero!
«Chi vuole disegnare un papero?» si domanda imbestialito il bambino. «Io certo no! Mi hanno fregato!»
Quindi, battendo il pugno sul palmo della mano: «Sono stato manipolato! Il mio naturale talento artistico è stato usato contro la mia volontà per creare un volgare stereotipo industriale di uccello acquatico! È oltraggioso!»
E conclude: «D’ora in poi unirò i puntini a modo mio!»
↑ © Bill Watterson, 1987/Universal Press Syndicate.
La striscia, come tutte quelle di Watterson, è divertente e intelligente, e offre spunti di riflessione intriganti. Come in questo caso, in cui Calvin, nella sua dissacrante anarchia, mi sembra poter assurgere a mito di un (auto)orientamento pienamente riuscito!
Sandro Invidia, direttore editoriale di Lœscher.
La ricerca
Periodico semestrale
Anno 12, Numero 26 Nuova Serie, maggio 2024 autorizzazione n. 23 del Tribunale di Torino, 05/04/2012 iscrizione al ROC n. 1480
Editore
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Direttore responsabile
Mauro Reali
Direttore editoriale
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Redazione
Beatrice Bosso, Simone Giusti, Sandro Invidia, Francesca Nicola, Ubaldo Nicola, Mauro Reali.
Hanno scritto su questo numero
Alessia Barbagli, Amelia Andreasi Bassi, Federico Batini, Paola Brunello, Giovanna Di Stefano, Simone Giusti, Lee E. Grimes, Valentina Grion, Natoya Hill Haskins, Rebecca Impellizzieri, Leonissa Johnson, Antonietta La Manna, Francesca Nicola, Candice Norris-Brown, Massimo Margottini, Autumn Joy Moore, Mauro Reali, Paola Ricchiardi, Paola Rocchi, Giorgia Slaviero.
© Lœscher Editore
via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino
https://laricerca.loescher.it/
ISSN: 2282-2836 (cartaceo)
ISSN: 2282-2852 (online)
Sommario
Paradigmi, normativa, storia
saperi
Il futuro non è più quello di una volta
Massimo Margottini
L’interazione fra orientamento e valutazione
Valentina Grion e Giorgia Slaviero
Orientare l’orientamento: rischi, confusione, opportunità
Federico Batini
L’esperienza Retravailler
Amelia Andreasi Bassi
Quanto influisce il genere sull’orientamento scolastico formativo?
Giovanna Di Stefano
Il counseling filosofico: una strategia metodologica per l’orientamento formativo
Rebecca Impellizzieri
Enea, eroe dell’orientamento
Mauro Reali
dossier
Orientarsi con i classici
Paola Rocchi
Didattica orientativa e insegnamento letterario
Simone Giusti
L’orientamento: ma non è sempre stata la mission della scuola?
Paola Brunello
Fotografia e musica rap per l’orientamento
Paola Ricchiardi
La scuola che educa a orientarsi
Antonietta La Manna
«Per conoscersi bisogna potersi immaginare»
Alessia Barbagli
Il counselor scolastico negli USA
Francesca Nicola
Riscrivere la propria storia
Natoya Hill Haskins, Leonissa Johnson, Lee E. Grimes, Autumn Joy Moore, Candice Norris-Brown
Il futuro non è più quello di una volta
L’orientamento al bivio tra l’orientare e l’orientarsi.
di Massimo MargottiniIl futuro non è più quello di una volta. Lo ricordano Soresi e Nota1, evidenziando come la globalizzazione dei mercati, le politiche economiche neoliberiste, spesso fuori controllo, e il crescente impatto dell’automazione sui sistemi produttivi abbiano favorito fenomeni di concentrazione della ricchezza, un aumento delle disuguaglianze, incertezza e nuove dinamiche nel mercato del lavoro.
Lo sguardo al futuro
Fenomeni quali il mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, conoscono oggi nuove dimensioni che vanno ben oltre la richiesta di nuove competenze professionali e che investono dimensioni esistenziali, di senso e prospettiva nella vita delle persone. Oppure quello della great resignation, dimissioni volontarie da posizioni di lavoro a tempo indeterminato, che da alcuni anni riguardano in forma rilevante anche il nostro Paese, ponendo nuovi interrogativi sul modo in cui le persone pensano al lavoro nella loro vita. Secondo l’AIDP, l’Associazione italiana per la direzione del personale, le dimissioni volontarie interessano il
60% delle aziende, riguardano decine di migliaia di posizioni e coinvolgono principalmente le aree dell’informatica e del digitale,del marketing e delle vendite. Decidono di lasciare il lavoro soprattutto giovani fra i 26 e i 35 anni (il 70% del campione analizzato) e perlopiù impiegati in aziende del Nord Italia.Ad alimentare la great resignation concorrono in modo particolare la ricerca di condizioni economiche più soddisfacenti e la speranza di trovare un migliore equilibrio fra vita privata e lavoro. E ancora, il quiet quitting, un “abbandono silenzioso” che si traduce nello svolgere il proprio lavoro facendo il minimo indispensabile, senza entusiasmo, spirito d’iniziativa e disponibilità alla collaborazione.
Altra preoccupante anomalia è quella dei NEET, acronimo di Not in Education, Employment or Training, giovani che non sono in formazione, non lavorano e non cercano lavoro. In Italia si stima interessi quasi tre milioni di persone,con un valore percentuale molto superiore rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Fenomeno che non può essere ridotto al semplice disallineamento tra competenze possedute e quelle richieste dal mercato del lavoro. Anche in questo caso è necessario interrogarsi più a fondo sulle ragioni che possono essere alla base di una tale anomalia.
In generale, si dovrebbe riflettere a fondo su tutte le altre forme di disorientamento che portano i giovani a sviluppare convinzioni e comportamenti disfunzionali che interferiscono negativamente sulla possibilità di rappresentarsi e costruire il proprio futuro, quando non finiscono per manifestarsi come vere e proprie forme di devianza.
Restano poi i problemi ben noti della dispersione scolastica, dei bassi livelli d’istruzione della popolazione, con valori percentuali di laureati che nel nostro paese sono tra i più bassi in Europa, nonché gli esiti di apprendimento che, come conferma l’ultima indagine Ocse-Pisa del 2022, continuano a presentare un segno negativo rispetto al passato pre-pandemia; con circa il 30% di studenti che non raggiunge il livello corrispondente alle competenze di base, e solo sette su 100 raggiungono i livelli più alti a fronte di una media OCSE di nove. Esiti che registrano anche forti differenze territoriali, con evidente svantaggio del Sud e delle isole.
Il rilievo strategico dell’orientamento
Si comprendono quindi le ragioni del rilievo strategico attribuito all’orientamento nelle politiche scolastiche: per contrastare ritardi e abbandoni, promuovere il successo formativo e sostenere le politiche attive del lavoro. All’interno di tale quadro possono essere lette importanti raccomandazioni del Consiglio europeo, decreti, direttive e linee guida del Ministero dell’Istruzione, rapporti, studi e ricerche di organismi nazionali e internazionali. Lo stesso PNRR all’interno della Missione 4,
relativa a Istruzione e Ricerca,delinea una Riforma del sistema di orientamento.
Pur all’interno di un dibattito scientifico molto articolato, da una decina di anni è stata condivisa una definizione di orientamento, formalmente concordata tra Governo, Regioni ed Enti locali2, che recita: «l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale e culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi ed interagire in tali realtà al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire e ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare e rielaborare un progetto di vita e sostenere le relative scelte». È una concezione dell’orientamento come processo che mette al centro la persona; le azioni di chi sostiene questo processo, sia che si tratti di docenti all’interno del sistema formativo sia di altre figure professionali dedicate, sono finalizzate a sviluppare una crescente consapevolezza del sé, nel senso più ampio, alla conoscenza ed esplorazione della realtà ambientale, e non solo in senso professionale, alle dinamiche di scelta in una prospettiva che interessa l’intero arco della vita. Quindi il problema non è solo quello di scegliere un percorso formativo o un lavoro, ma imparare a leggere sé stessi e la realtà interpretando sempre a pieno i propri ruoli esistenziali.
In questa direzione, contributi più recenti hanno ulteriormente sottolineato il ruolo dell’orientamento come «dispositivo a favore della dignità umana, della giustizia sociale e dello sviluppo sostenibile per tutti»3 mettendo in evidenza come alcune dinamiche del mercato del lavoro, caratterizzate da estrema fluidità, incertezza, precarizzazione dei ruoli professionali, si presentino come “minacce” per la progettazione di un futuro di qualità per tutti, anche in relazione alla predominanza di visioni neoliberiste che tendono a trascurare il benessere delle persone e il loro diritto all’autodeterminazione.
La valenza formativa dell’orientamento
L’approdo arriva al termine di una ben più lunga navigazione, che ha visto convergere gli esiti di ricerche provenienti da ambiti disciplinari diversi – psicologico, sociologico, pedagogico, economico –verso modelli che pongono al centro l’empowerment della persona in una prospettiva life long learning, con l’obiettivo di creare e potenziare strutture e azioni di supporto alla capacità di orientarsi delle persone rispondendo ai diversi bisogni personali, esistenziali e professionali.
E forse vale la pena ricordare che nel 1954 Pietro Braido4, nell’editoriale del primo numero della rivista «Orientamenti pedagogici», dal titolo Educare è orientare, scriveva queste parole:
Educarsi, crescere, maturare è agire. Ma non c’è agire senza una direzione.
Educarsi è agire di un essere razionale. Ma non c’è agire proprio di un essere razionale senza una direzione conosciuta razionalmente e razionalmente voluta e perseguita.
Educarsi significa precisamente questo: scoprire la giusta direzione, lo scopo, l’orientamento della propria vita e rendersi capaci di tendervi volitivamente, attivisticamente. Maturità, carattere, personalità sono i termini che esprimono la consapevolezza di tale orientamento e la capacità di raggiungerlo effettivamente.
In quegli anni la ricerca e le pratiche di orientamento erano ancora fortemente legate ad approcci psico-attitudinali, alla ricerca del matching tra tratti personali e profili professionali.Attitudine, inclinazioni, tratti della personalità e test psicometrici per misurarne il livello erano ancora al centro della ricerca e delle pratiche di orientamento.
Eppure Pietro Braido sottolineava già con forza come educare ed educarsi implichino una direzione, uno scopo per la propria vita e la capacità di agire e tendervi volitivamente.
È intorno agli anni Settanta del secolo scorso che abbiamo una svolta netta. Con il congresso UNESCO di Bratislava l’orientamento è definito «un processo che consente all’individuo di prendere coscienza di sé, di progredire con i suoi studi e la professione, in relazione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana».
La definizione costituisce ancora oggi un punto di riferimento autorevole, che ha contribuito a diffondere la consapevolezza dell’importanza dell’orientamento come strumento di crescita personale e sociale, sottolineando in particolare la sua funzione nel promuovere l’autoconsapevolezza dell’individuo e il suo diritto all’autodeterminazione.
L’orientamento, dunque, si concretizza in un insieme di azioni volte a sostenere ciascuno nel pieno sviluppo di sé in relazione ai propri bisogni, ai propri interessi e alle proprie aspettative, e a promuovere l’autodeterminazione del soggetto per la piena inclusione sociale e professionale,educandolo a monitorare il proprio percorso e compiere scelte adeguate.
Nella scuola italiana specifiche indicazioni normative per l’orientamento si sono succedute negli anni. Tappe fondamentali possono essere considerate la Direttiva Ministeriale n. 487 del 1997 e quindi una serie di circolari, direttive e Linee guida. Nel dicembre 2013, la Conferenza unificata Stato e Regioni emana le Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente, con funzione d’indirizzo, cui seguiranno a breve distanza di tempo linee
guida del MIUR, che ne contestualizzano le azioni all’interno del sistema scolastico e universitario. Infine, nel dicembre 2022, le ultime Linee guida per l’orientamento, che ne ribadiscono il rilievo strategico per contrastare ritardi e abbandoni, promuovere il successo formativo, migliorare il raccordo con il mondo del lavoro. Caratterizzate da uno spirito di concretezza e operatività, ai fini dell’attuazione della riforma dell’orientamento, presentano alcuni aspetti che possono apparire contraddittori se letti alla luce della più recente riflessione teorica sull’orientamento. Si tratta di capire se queste Linee guida si collocano realmente nel solco della concezione formativa dell’orientamento che ispirava le precedenti, che pure vengono richiamate nel testo.
Le parole e i modelli dell’orientamento
Una questione che merita un approfondimento è il modello o i modelli di orientamento ai quali queste linee guida si riferiscono. Sono in continuità con le precedenti linee guida del 2014, esito di un lungo processo che ha impegnato anche la comunità scientifica? Se sì, qual è il senso di far partire gli interventi di orientamento, come sistema strutturato e coordinato «dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti»?
Sembrerebbe di poco conto approfondire le ragioni di un richiamo a termini, in particolare «attitudini e inclinazioni», che nel corso degli anni hanno perso quella centralità che gli era invece riservata negli approcci psico-attitudinali.
In realtà, abbiamo imparato da Carroll e sperimentalmente dal mastery learning5 che le attitudini e più in generale le caratteristiche individuali non necessariamente costituiscono un limite alla propria progettualità e al conseguimento del risultato: resta quindi il sospetto che vi sia sottesa un’idea di orientamento finalizzata al miglior matching tra tratti personali e scelte formative e professionali, privilegiando un’ottica funzionalista di indirizzo produttivo, piuttosto che centrata sulla ricerca e sulla maturazione di una propria identità che richiama dimensioni esistenziali, interessi e valori.
Antonia Cunti6, a tale riguardo, ha opportunamente sottolineato che la questione «è se effettivamente talenti, attitudini, inclinazioni e merito possano essere considerati un prima e, di conseguenza, l’insegnamento come un’operazione di accompagnamento ad una sorta di disvelamento. Se si assume che l’insegnamento dovrebbe contribuire al definirsi degli studenti come soggetti, si può ipotizzare che tutto quanto viene indicato come una premessa potrebbe invece costituire un esito».
Se al principio del valore predittivo delle attitudini e delle inclinazioni si aggiunge una certa enfasi, che troviamo nelle linee guida, sulla personalizzazione dei piani di studio, e un richiamo alla
certificazione delle competenze quale strumento di riorientamento per favorire i passaggi fra i percorsi di studio del sistema nazionale d’istruzione e i percorsi dell’istruzione e formazione professionale regionali o l’apprendistato formativo, si avvalora il rischio che talenti, attitudini, inclinazioni e merito possano tradursi, in particolare per i soggetti più deboli, in strumenti di discriminazione, sia pure all’interno di una convinzione di aderenza a un principio di realtà, piuttosto che in funzione di promozione e valorizzazione.
Come è noto, nel nostro sistema scolastico l’istruzione tecnica e professionale, salvo significative eccezioni, ha perso sempre più la funzione di raccordo con il mondo del lavoro, ed è spesso percepita come percorso scolastico che richiede minore impegno rispetto ai percorsi liceali, connotandosi di fatto come percorso di grado inferiore. Anche i dati delle ultime rilevazioni OCSE-PISA (2022) ribadiscono il dato di forti differenze in tutti gli ambiti tra risultati conseguiti da studenti che frequentano i licei rispetto a quanti frequentano gli istituti tecnici e professionali. Ciò determina di fatto che istituti tecnici e professionali, alle analisi statistiche, risultino frequentati da studenti con carriere scolastiche “problematiche”, provenienti
da famiglie con status socio-economico più basso. Al tempo stesso, quella che sembrerebbe una scelta ispirata da un principio di realtà, ossia un percorso formativo che può essere più agevolmente concluso, sempre alle analisi statistiche, si dimostra palesemente falsa, giacché risulta più elevata la percentuale di abbandoni e ritardi proprio negli istituti tecnici e professionali. Nei licei il tasso di dispersione scolastica è all’1,6%, negli istituti tecnici al 3,8% mentre nei professionali al 7,6% e al 7,9 nella formazione professionale regionale.
Non dovrebbe meravigliare quindi se da alcuni anni la preferenza delle iscrizioni è per il sistema liceale. Certamente il dato conferma, anche dal punto di vista delle famiglie e degli adolescenti, la percezione di una debolezza dell’istruzione tecnica e professionale in Italia, che come opportunamente si vuole fare va rafforzata anche con una significativa estensione al livello terziario. Ma se l’orientamento viene visto come strumento utile a indirizzare verso queste scelte, magari passando per la valorizzazione di talenti, attitudini e inclinazioni, siamo ancora una volta davanti a un paradosso. Il potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale, questione emergente del nostro sistema scolastico, non ha nulla a che ve-
dere con l’orientamento. L’orientamento si occupa di aiutare le persone a migliorare la propria vita e non di distribuirle nelle caselle che di volta in volta possono risultare funzionali e produttive.
La didattica orientativa
Una questione di fondo è quella della collocazione delle attività di orientamento all’interno del curricolo. Se nelle precedenti indicazioni risultava ben chiaro, con la formula della mastery learning, che le azioni di orientamento nella scuola si connotano come processo che investe trasversalmente, sia pure con diversi gradi di specificità, l’azione educativa, e che riguarda tutti i docenti e la comunità educante nel suo complesso, nelle ultime linee guida non si percepisce allo stesso modo tale evidenza. Il riferimento all’orientamento come processo che parte sin dalla scuola dell’infanzia è appena accennato, peraltro con un richiamo al riconoscimento dei talenti e delle attitudini di cui abbiamo già evidenziato gli aspetti di criticità.Vale la pena ricordare la fecondità di molte ricerche che hanno esplorato lo sviluppo e il potenziamento delle funzioni esecutive, sin dai primissimi anni, in relazione all’orientamento7.
Le linee guida sembrano invece prioritariamente rivolte a fornire indicazioni per la scuola secondaria. E tra queste indicazioni spicca in particolare quella che impone nelle secondarie di primo e secondo grado la realizzazione di moduli curriculari di orientamento di 30 ore, che peraltro, nella secondaria di primo grado e nelle prime due classi del secondo grado, possono essere anche extra curricolari.È vero che poche righe sotto si richiama all’esigenza di non intendere i moduli come «contenitore di una nuova disciplina», evidentemente avvertendo la contraddizione di distinguere di fatto le attività di orientamento, proposte attraverso specifici moduli, dal curricolo scolastico.
Ed è quello che sta accadendo in molte scuole, una sovrabbondanza di proposte di moduli e attività di orientamento (Università, PCTO ecc.) che difficilmente trovano una efficace collocazione integrata al curricolo scolastico. E ci si domanda anche: cosa resterà di tutto questo quando verranno meno i fondi del PNRR?
E-portfolio e diritto all’oblio
In quanto all’e-portfolio, strumento di straordinaria valenza orientativa, si tratterà di vedere se nella interpretazione di queste linee guida da parte dei docenti, degli studenti e delle famiglie prevarrà quella di uno strumento finalizzato a raccogliere informazioni sul percorso scolastico, sia pure con una valutazione critica delle stesse, oppure come strumento utile a valorizzare attraverso un processo narrativo la costruzione e ricostruzione
della propria identità personale e sociale. Processo che implica un impegno riflessivo in prospettiva temporale non solo sul piano cognitivo, ma anche affettivo-motivazionale.
Anche dalle più recenti disposizioni (DL 2-4-24 n. 19) sembrerebbe invece prevalere una logica che tende alla valorizzazione della “documentazione oggettiva” con l’inserimento nel curriculum dello studente dei «livelli di apprendimento conseguiti nelle prove scritte a carattere nazionale di cui all’articolo 19, distintamente per ciascuna delle discipline oggetto di rilevazione e la certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese» così come quello di adottare un «modello nazionale di consiglio di orientamento, da integrare nell’e-portfolio» al fine di «valorizzare il consiglio di orientamento rilasciato dalle istituzioni scolastiche agli alunni della classe terza della scuola secondaria di primo grado a supporto della scelta del percorso di istruzione e formazione al termine del primo ciclo di istruzione». La logica ispiratrice sembra chiara, mettere in atto un sistema finalizzato a “orientare” studenti e famiglie verso percorsi “preferenziali” in coerenza con gli esiti scolastici precedentemente ottenuti.Ma la funzione orientatrice del portfolio è diversa, si basa sulla possibilità di ricostruire, attraverso il dispositivo narrativo, il proprio vissuto reinterpretandolo continuamente al fine di “orientarsi”, dare senso e prospettiva alle azioni del presente e autodeterminare il proprio futuro. È il potere del pensiero narrativo, che concede anche il diritto all’oblio.
La formazione dei docenti e il docente tutor
Un ruolo di primo piano anche nel supporto alla costruzione dell’e-portfolio è attribuita al “docente tutor”. Si tratta di una novità di grande rilievo non tanto l’aver previsto figure di coordinamento e supporto, docente tutor e docente alle attività di orientamento (anche le linee guida del 2014 prevedevano l’impegno di figure di sistema), ma l’averne definito meglio ruolo e funzioni, una procedura di selezione, un percorso formativo e un incentivo di carattere retributivo. Naturalmente anche in questo caso si tratterà di vedere come questa figura svolgerà il proprio ruolo, se sarà in grado di coordinare le attività incentivando e valorizzando le funzioni orientative di tutti i docenti oppure accentrerà a sé lo svolgimento di quelle azioni delineate nelle linee guida, dal supporto alla realizzazione dell’e-portfolio, alla consulenza alla scelta. Spesso nelle dinamiche scolastiche si assiste a un comportamento di delega alle figure dedicate, comportamento che contraddirebbe il senso autentico della didattica orientativa.
Il fatto di aver previsto una formazione specifica per queste figure e l’aver espressamente sottoline-
ato che «l’orientamento diviene priorità strategica della formazione, nell’anno di prova e in servizio, dei docenti di tutti i gradi di scuola» manifesta un impegno a promuovere una specifica cultura dell’orientamento nella formazione dei docenti. Tuttavia nei criteri di selezione dei docenti tutor (MIM, circolare n. 958 del 5 aprile 2023) non vi è alcun richiamo al riconoscimento di una formazione specifica, seppure diverse università abbiano attivato specifici corsi di aggiornamento, perfezionamento e master che vedono la partecipazione di molti docenti.
L’e-portfolio è anche richiamato quale «innovazione tecnica e metodologica per rafforzare, in chiave orientativa, il consiglio di orientamento, per la scuola secondaria di primo grado, e il curriculum dello studente, per la scuola secondaria di secondo grado».
Quanto al consiglio di orientamento per il primo grado, le linee guida rimandano alla normativa che lo prevede sin dall’istituzione della scuola media unica nel 1962. Sino a oggi la letteratura sul consiglio di orientamento nella scuola media ha sottolineato in larga misura i sottesi rischi di discriminazione piuttosto che la sua valenza orientativa 8. In particolare Checchi9 ha evidenziato come gli insegnanti tendano a formulare il consiglio di orientamento tenendo conto sia dei giudizi scolastici sia del possesso delle competenze, ma nel formulare i propri giudizi orientativi sembrano condizionati dall’ambiente socio-culturale di provenienza degli alunni, misurato dall’istruzione dei genitori come anche dal background culturale a livello di scuola.
Altro elemento di novità introdotto dalle linee guida è la realizzazione di una “Piattaforma digitale unica per l’orientamento”. Si tratterà prevalentemente di uno strumento informativo di supporto alle scelte. Un docente, che dovrà essere individuato dalla scuola nel proprio quadro organizzativo e finanziario, avrà il compito di svolgere una funzione di mediazione e integrazione dei dati per agevolarne l’uso da parte delle famiglie. Anche su questo punto, che riguarda esplicitamente la dimensione informativa dell’orientamento, sarà molto importante svolgere un’azione di sensibilizzazione. Troppo spesso il supporto informativo all’orientamento, quando non si collochi all’interno di un processo formativo che favorisca l’esplicitazione di una domanda d’informazione, risulta del tutto inefficace10. Mettere a disposizione l’informazione, anche se di qualità, non produce sul destinatario alcun effetto se questi non è adeguatamente attrezzato per riceverla e comprenderla ma ancor più importante se non ha maturato una piena consapevolezza rispetto all’esigenza dell’informazione che gli viene offerta. Infine, come in più punti sottolineato nelle linee guida, un aspetto fondamentale rimanda
alla formazione iniziale e in servizio dei docenti. Il decreto che detta disposizioni per la realizzazione dei percorsi abilitanti da 60 CFU per l’insegnamento nella scuola secondaria nel definire il profilo del docente abilitato richiama esplicitamente tra le competenze professionali quelle «specifiche nella didattica orientativa volta a sviluppare le risorse in possesso di tutti e di ciascuno, e ad incoraggiare la costruzione di una positiva immagine di sé e del progetto di vita». Si tratta di un obiettivo formativo di notevole complessità e c’è da augurarsi che nell’ambito degli esigui crediti di area psico-pedagogica sia possibile assicurare uno spazio adeguato a una formazione specifica.
NOTE
1. S. Soresi, L. Nota, L’orientamento e la progettazione professionale, il Mulino, Bologna 2020.
2. Conferenza unificata Governo, Regioni, Enti locali. Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente, 5 dicembre 2013.
3. Soresi, Nota, L’orientamento e la progettazione professionale, cit., p.9.
4. P. Braido, Educare è orientare, in «Orientamenti Pedagogici», n. 1, 1954, pp. 3-9.
5. H.J. Bloch, L.W. Anderson, Mastery learning in classe, Lœscher, Torino 1975.
6. A. Cunti, L’orientamento come costruzione di attitudini. Sul ruolo della scuola (a ridosso delle “Linee guida per l’orientamento”), in «Nuova Secondaria» n. 8, 2023, pp. 211-217.
7. R. Branstetter, Impara a organizzarti, Erickson, Trento 2016.
8 M. Romito, L’orientamento scolastico nella tela delle disuguaglianze? Una ricerca sulla formulazione dei consigli orientativi al termine delle scuole medie, in «Scuola democratica», n. 2, 2014, pp. 441-460.
9. D. Checchi, Orientamento verso la scuola superiore: cosa conta davvero?, in «RicercAzione», n. 2, 2010, pp. 215-35.
10. M. Margottini, Informazione e afferenza alle fonti informative, Monolite, Roma 2002.
Massimo Margottini
è professore ordinario di Didattica generale, Direttore del Master in “Consulente esperto nei servizi di orientamento e placement”, Coordinatore del CAFIS - Centro di Ateneo per la formazione e lo sviluppo professionale degli insegnanti di Scuola secondaria presso l’Università Roma Tre.
L’interazione fra orientamento e valutazione
Il necessario protagonismo di alunne e alunni nei processi valutativi a supporto della capacità di orientamento autonomo e longlife.
di Valentina Grion e Giorgia Slaviero
Da qualche anno, il tema della valutazione è ritornato ampiamente al centro di molti discorsi, sia all’interno del mondo della scuola, come spazio di confronto fra le varie posizioni e convinzioni di insegnanti e ricercatori in educazione, sia nell’ambito dell’opinione pubblica. L’emanazione dell’Ordinanza Miur n. 172 del 4 dicembre 2020 rivolta alla scuola primaria, con cui sono stati reintrodotti i giudizi descrittivi dopo oltre dieci anni di uso del voto numerico come riscontro valutativo, ha contribuito a riportare al centro delle discussioni il tema della valutazione con le sue forme e le sue funzioni.
Nel contesto di questo rinnovato e attuale dibattito, ci pare interessante proporre una lettura spesso posta a margine degli specifici discorsi sulla valutazione: il potere orientante che essa può assumere se ben progettata. Tale “potere” si realizza non solo nell’azione didattica quando la valutazione viene agita nella sua funzione formativa – discorso ben noto agli addetti ai lavori; ma soprattutto quando utilizzata come strumento per promuovere consapevolezze e per assumere decisioni autonome da parte di alunni e alunne, diventando un dispositivo di orientamento dei processi di apprendimento e di crescita, e anche, in senso più lato, in funzione dei percorsi di vita fuori e oltre la scuola e l’università.
È in questo senso che il discorso sulla valutazione s’intreccia con quello sull’orientamento, oggi al centro dell’attenzione delle scuole, in seguito alla riforma per l’orientamento scolastico prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza. Proprio in quest’ultimo contesto, in effetti, la valutazione trova uno spazio formalizzato, in particolare nella parte del documento delle Linee Guida per l’orientamento (Decreto del Ministro dell’istruzione e del merito 22 dicembre 2022, n. 328) dedicata all’ “e-Portfolio orientativo personale delle competenze”, nel quale si sollecitano gli insegnanti a promuovere nella persona in formazione «riflessioni in chiave valutativa, auto-valutativa e orientativa sul percorso svolto e, soprattutto, sulle sue prospettive». La valutazione, infatti, rappresenta un processo cognitivo di fondamentale importanza in ogni ambito e ogni momento della vita. Tale processo sta alla base della nostra capacità di capire e saperci muovere adeguatamente in un contesto, di compiere le scelte che quotidianamente e continuamente siamo chiamati a fare nella nostra vita, di discriminare ciò che risulta adeguato dall’inadeguato o l’efficace dall’inefficace nei nostri percorsi di apprendimento e/o professionali. In ultima analisi possiamo affermare che le capacità valutative e autovalutative rappresentano una componente fondamentale della capacità di orientamento autonomo delle persone lungo tutto il corso della vita. D’altra parte, essere in grado di valutare in modo
pertinente ed equilibrato non è una competenza che nasce spontaneamente, ma va intenzionalmente allenata, considerandola un obiettivo formativo indispensabile in ogni campo di esperienza.
È alla luce di queste prime riflessioni che ci si propone qui di approfondire il rapporto fra valutazione e orientamento, muovendosi su due piani: quello della valutazione come competenza da offrire a studentesse e studenti per diventare autonomi lifelong learner ed in quest’ultimo senso definita “valutazione sostenibile”, e quello relativo al portfolio, dispositivo squisitamente valutativo, ma diretto a rendere consapevoli i soggetti, degli apprendimenti raggiunti e dei propri percorsi di sviluppo nei diversi contesti, educativi, formativi, professionali di appartenenza, soprattutto a scopo auto-orientativo.
La prospettiva della “valutazione sostenibile” come spazio di sviluppo della capacità di orientamento autonomo
Considerando le potenzialità orientative della valutazione, potremmo affermare che in entrambe le funzioni, sommativa e formativa, essa giochi un ruolo fondamentale.
La valutazione sommativa, infatti, mira a fornire una direzione concreta all’apprendimento, stabilendo ciò che è rilevante, e focalizzando così l’attenzione di studentesse e studenti su tali aspetti. Tuttavia, essa non comunica in modo diretto o inequivocabile: utilizza spesso codici che solo gli studenti più “capaci” sono in grado di decodificare adeguatamente e di utilizzare tali informazioni a scopo auto-orientativo. Va rilevato, inoltre, che la valutazione sommativa, pur mirando a dare informazioni sull’apprendimento, può in realtà ostacolarlo, o perlomeno renderlo meno significativo:
Ironicamente, la valutazione sommativa scaccia l’apprendimento nello stesso momento in cui cerca di misurarlo. Lo fa togliendo la responsabilità dei giudizi sull’apprendimento all’unica persona che deve imparare (lo studente), mettendola unilateralmente nelle mani di altri1
In questa prospettiva sarebbe dunque essenziale riconsiderare l’approccio e spostare l’equilibrio verso una maggiore autonomia degli studenti nel processo di valutazione.
L’impatto orientativo della valutazione formativa è sicuramente più profondo.Essa offre un meccanismo di regolazione più raffinato riguardo a cosa e come alunne e alunni stanno apprendendo, fornendo feedback sui progressi e assicurando una guida permanente al processo di apprendimento.
Tuttavia, se anche in questo caso lasciamo che studentesse e studenti assumano una posizione più o meno passiva, come ricettori di feedback forniti via via dai docenti, allora la nostra attività di valutazione formativa non potrà rappresentare una adeguata modalità di formazione della capacità di orientamento autonomo. Per assicurare loro tale capacità, dobbiamo trovare il modo di «incorporare il pensiero della valutazione formativa»2 in tutti gli atti di apprendimento, facendo familiarizzare, per quanto possibile, con la possibilità di intraprendere autonomamente i propri processi di valutazione formativa, riconoscendo e sapendo utilizzare le risorse presenti nei contesti educativi. Come insegnanti, dovremmo cioè assicurare a bambine e bambini, studentesse e studenti, occasioni plurime per sperimentare in prima persona il processo valutativo, lavorando alla costruzione di criteri, producendo e ricercando feedback, avvalendosi dei pari, di colleghi, coetanei e amici e attingendo a fonti materiali, tecniche e informative presenti nell’ambiente di apprendimento o nel contesto in generale3. Per diventare strumento di sviluppo della competenza orientativa, dunque, la valutazione formativa dovrebbe “mettere la valutazione nelle mani di alunni e alunne»4 ponendo studentesse e studenti in condizioni di cercare e utilizzare autonomamente valutazioni e feedback formativi per i propri compiti di apprendimento.
Relegandoli ad una posizione passiva nei processi di valutazione, gli approcci tradizionali smentiscono la loro capacità di esprimere giudizi sul proprio o sull’altrui lavoro. Sotto questa luce risulta evidente che tali approcci si dimostrino esattamente antitetici all’obiettivo di far acquisire competenza valutativa e quindi di autovalutazione e auto-orientamento. Come la ricerca educativa rileva già da decenni, infatti:
se vogliamo incoraggiare gli studenti ad essere lifelong learner, essi devono essere condotti ad abbandonare qualsiasi tendenza all’eccessiva dipendenza dalle opinioni degli altri. In definitiva, nei contesti di vita reale, essi devono essere in grado di giudicare o valutare l’adeguatezza, la completezza o l’accuratezza del proprio apprendimento. Quindi laddove si vogliano proporre pratiche di valutazione, esse devono essere comprensibili e comprese dagli studenti in modo che possano essere interiorizzate come modalità per sviluppare capacità di autovalutazione.5
Dunque, bambine e bambini, attraverso una partecipazione attiva ai processi valutativi, intenzionalmente perseguita dai loro insegnanti, dovrebbero pian piano esercitare e acquisire capacità di formulare giudizi valutativi, sia su oggetti esterni (le azioni o i prodotti dei compagni, i contesti ecc. o le proprie azioni e produzioni), che su sé stessi,
le proprie azioni e i propri prodotti.
È in questa prospettiva che un sistema di «valutazione sostenibile» 6 diventa lo strumento principe non solo per attivare la capacità orientativa della valutazione in ambito scolastico, ma soprattutto per assicurare a studentesse e studenti che la capacità valutativa si traduca in uno strumento di auto-orientamento lungo tutto il corso della vita.
In questo modo è possibile creare un nuovo scenario in cui l’autovalutazione risulta una pratica autonoma e sostenibile e dove «la valutazione formativa […si ponga come] un processo di riflessione che va al di là dei risultati immediati per considerare ciò che questi risultati significano per gli obiettivi futuri dell’allievo»7
Ripensare il processo valutativo, significa innanzitutto ripensare il modello didattico della valutazione, offrendo ad allieve ed allievi contesti d’apprendimento adeguati a formare literacy valutativa, supportando apprendimenti consapevoli, promuovendo lo sviluppo della loro autonomia, responsabilità e capacità valutativa.
Formare capacità valutative
Come rileva Boud8, ogni insegnante dovrebbe considerare che la capacità valutativa va insegnata: non rappresenta uno status che si acquisisce improvvisamente a un certo punto della propria vita, ma piuttosto una competenza da affinare continuamente, da assumere come obiettivo formativo su cui lavorare fin dalla prima infanzia. Un’importante componente per diventare lifelong learner è, infatti, quella di essere efficaci lifelong assessor. Se l’educazione deve garantire la capacità di continuare ad apprendere e di costruire apprendimenti efficaci lungo tutto il corso della vita, non basta più assicurare agli allievi la possibilità di affrontare quanto è richiesto nell’immediato, ma è necessario sviluppare in loro capacità di fronteggiare adeguatamente ciò che verrà richiesto in futuro, sia che essi si trovino ancora all’interno dei percorsi formativi che oltre, fuori di essi9. In tal senso risulta evidente il ruolo della competenza valutativa, che permette di vagliare le situazioni ed operare le scelte più adeguate ai propri obiettivi. Si tratta allora di predisporre per gli allievi la possibilità di sperimentare strumenti e strategie con lo scopo di renderli capaci di elaborare giudizi valutativi. Ciò richiede molto di più che offrire loro un messaggio monodirezionale attraverso una rubrica, un feedback scritto o altre forme di comunicazione.
Si tratta di coinvolgerli in attività di co-costruzione di rubriche e di criteri; di promuovere processi valutativi e autovalutativi; d’incoraggiare discussioni e confronti sugli standard di giudizio e sulla qualità di un prodotto; di richiedere agli allievi di analizzare e valutare exemplar; di pro -
muovere la valutazione e il feedback reciproci. Carless e Boud 10 sostengono che vi sono due attività fondamentali che gli educatori possono proporre agli studenti per sviluppare una propria literacy valutativa: l’utilizzo degli exemplar e la produzione e ricezione di feedback. Gli exemplar sono intesi come «esempi di lavoro degli studenti scelti con cura e utilizzati per illustrare le dimensioni della qualità e chiarire le aspettative di valutazione»11. Gli studenti, analizzando e mettendo a confronto i vari exemplar sono in grado autonomamente di produrre una rubrica di valutazione. Questo processo di co-costruzione dei criteri di valutazione permetterà agli studenti di attivare processi metacognitivi attraverso i quali il lavoro che si sta realizzando è continuamente rivisto e migliorato, per raggiungere un livello sempre più alto di prestazione. Tale modalità diviene ancora più significativa per gli studenti se è parallelamente incoraggiato il dialogo tra pari,
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che rappresenta l’occasione per spiegare, discutere e riconsiderare il proprio lavoro seguendo i feedback forniti dai pari e da sé stessi12. Solamente permettendo agli studenti di prendere possesso del processo valutativo, attraverso la co-costruzione e l’utilizzo dei criteri valutativi, le discussioni in gruppi di pari e la produzione di feedback, si potranno sviluppare quelle capacità valutative che rappresentano «uno strumento principe in riferimento all’apprendimento lungo tutto il corso della vita»13.
Il portfolio come strumento di orientamento
È molto interessante rilevare che finalmente, dopo averlo prima ignorato e poi cancellato dal panorama scolastico italiano dove era stato introdotto dalla Ministra Moratti nei primi anni 2000, il Ministero dell’Istruzione e del Merito oggi ripresenti l’idea di portfolio, proponendolo come strumento di orientamento per alunne e alunni. In effetti, da decenni, la letteratura di settore, prendendone in considerazione l’uso in contesto scolastico 14, ne rileva ampiamente gli effetti positivi, in particolare sulle capacità riflessive e di monitoraggio e autocontrollo del proprio apprendimento.
Il termine portfolio deriva dal latino “portare” e “folio”, a indicare la funzione di questo strumento finalizzato a contenere, in modalità trasferibile da un contesto all’altro, documenti e artefatti relativi al proprio percorso scolastico, di formazione, di lavoro ecc. Seppure esistano varie tipologie di portfolio, la sua principale funzione, in ognuna di esse, dovrebbe essere quella di rendere consapevole il soggetto del proprio processo di crescita, delle proprie conquiste, del percorso di sviluppo realizzato nel contesto, educativo, formativo, professionale di appartenenza15. Proprio in questo senso, la sua funzione di auto-monitoraggio e dunque di orientamento autonomo risulta chiaramente evidente.
Le attuali linee guida sull’orientamento citano
Approfondire
• Ordinanza ministeriale del 4 dicembre 2020, n. 172: Linee Guida per la formulazione dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria
• Decreto del Ministro dell’istruzione e del merito 22 dicembre 2022, n. 328: Linee guida per l’orientamento.
l’“e-portfolio”, versione sicuramente oggi più diffusa ed utilizzata rispetto al precedente portfolio “cartaceo”. L’e-portfolio è spesso identificato come uno strumento di apprendimento costruttivo che consente agli studenti di essere attivamente coinvolti in un processo autonomo di raccolta, organizzazione e presentazione dei propri lavori attraverso una varietà di mezzi multimediali (come testi, immagini, audio e video) per una serie di scopi diversificati ed in particolare il monitoraggio dei progressi di apprendimento a scopo autovalutativo e di presa di decisioni sul prosieguo delle proprie azioni di apprendimento, nel corso di un periodo di tempo definito16. Come per il portfolio, l’e-portfolio viene impiegato soprattutto per il suo potenziale di miglioramento della capacità riflessiva degli studenti17.
Va tuttavia rilevato che portfolio e e-portfolio costituiscono strumenti potenzialmente efficaci in funzione orientativa quando utilizzati in contesti in cui vi sia comprensione profonda della natura e delle caratteristiche di tali strumenti e competenza nel riconoscerne l’effetto sugli studenti 18. Qualora, infatti, gli insegnanti non sappiano supportarne un uso adeguato, ciò che ne può derivare è un risultato superficiale di carattere descrittivo che non produce alcuna riflessione e consapevolezza, e dunque nessun effetto orientante.
Per favorire lo sviluppo di capacità di automonitoraggio e quindi di orientamento autonomo da parte di studentesse e studenti, non è sufficiente impiegare il portfolio in una “qualsivoglia modalità”. Proporre a studentesse e studenti, da parte dei docenti, di valutare o autovalutare i propri prodotti di apprendimento (portfolio vetrina) non sembra sufficiente per raggiungere tale scopo. Portfolio ed e-portfolio vanno impiegati piuttosto stimolando alunne e alunni a documentare le informazioni sui processi di apprendimento, sullo sviluppo di un’abilità (portfolio di sviluppo). Un portfolio di sviluppo a scopo orientativo dovrebbe contenere autovalutazioni formative delle prestazioni, riflessioni sull’esecuzione dei compiti, artefatti che indicano i fallimenti e i successi che lo studente ha sperimentato durante la messa in atto delle abilità, piani per lavorare sul miglioramento delle capacità basati sulle valutazioni delle proprie precedenti prestazioni e sulle conseguenti riflessioni, formulazione dei propri bisogni apprenditivi e selezione dei compiti di apprendimento19.
Certamente dunque bene fanno, le linee guida a richiamare l’uso dell’e-portfolio, come strumento a supporto dell’orientamento viste le sue enormi potenzialità in tal senso; a patto che esso venga conosciuto e impiegato con adeguate competenze. Ci si chiede se a questo gli insegnanti italiani siano preparati.
Conclusione: protagonismo dei ragazzi nella valutazione
Questo intervento vuole illustrare come il tema della valutazione sia strettamente connesso e interdipendente con il concetto di orientamento autonomo e lifelong learning
La valutazione, intesa come quell’azione che fornisce valore, se realizzata in una prospettiva di “valutazione sostenibile” 20 può risultare una componente fondamentale dello sviluppo cognitivo della persona, che sarà poi in grado di operare scelte consapevoli e ragionate nel suo presente e futuro.
Ogni giorno, tutti noi ci ritroviamo a dover scegliere fra più opzioni, decidere cosa riteniamo opportuno o efficace in quel determinato contesto, e continuare a rivedere alcune nostre scelte in ottica migliorativa. È necessario comprendere che tutto ciò rientra nelle capacità valutative e autovalutative che i contesti di educazione formale sono chiamati a sviluppare nei singoli.
È evidente che l’inclusione degli studenti e delle studentesse nei processi valutativi risulta necessaria e vincolante per permettere loro di sviluppare quelle capacità valutative e autovalutative che sottostanno alla capacità di orientamento.
NOTE
1. D. Boud, Sustainable Assessment: Rethinking Assessment for the Learning Society, in «Studies in Continuing Education», 22(2), 2000, pp. 151-167, p. 5.
2. Si veda Boud, Sustainable Assessment: Rethinking Assessment for the Learning Society, cit.; D. Boud, R. Soler, Sustainable assessment revisited, in «Assessment and Evaluation in Higher Education», 41(3), 2016, pp. 400413; D. Nicol,The power of internal feedback: exploiting natural comparison processes, in «Assessment and Evaluation in Higher Education, 46(5), 2021, pp. 756-778.
3. Si veda E. Restiglian, V. Grion, Assessment and peer feedback in school contexts: a case-study carried out by GRiFoVA group, in «ITALIAN JOURNAL OF EDUCATIONAL RESEARCH», 2019, pp. 195-222.
4.V. Grion, Formare competenze valutative nella scuola: il modello GRiFoVA, in «Scuol@Europa», IX(29), 2020, pp. 2-4.
5. P. Candy, G. Crebert, J. O’Leary, Developing lifelong learners through undergraduate education, Commissioned report (Australia. National Board of Employment, Education and Training), no. 28, Australian Government Publishing Service, Canberra 1994, p. 40.
6. V. Grion, A. Serbati, Valutazione sostenibile e feedback nei contesti universitari. Prospettive emergenti, ricerche e pratiche, Pensa MultiMedia, Lecce 2019
7. Y. Su, Ensuring the continuum of learning: The role of assessment for lifelong learning, in «Int Rev Educ», 61, 2015, pp. 7-20, p. 13.
8. Boud, Sustainable Assessment: Rethinking Assessment for the Learning Society, cit.
9. Boud, Soler, Sustainable assessment revisited, cit.
10. D. Carless, D. Boud, The development of student feedback literacy: Enabling uptake of feedback , in «Assessment & Evaluation in Higher Education», 43(8), 2018, pp.13151325.
11. D. Carless, K. K. H. Chan, Managing dialogic use of exemplar, in «Assessment and Evaluation in Higher Education», 42(6), 2017, pp. 930-941, p. 930.
12 Carless, Chan, Managing dialogic use of exemplar, cit.
13. A. Serbati, V. Grion, IMPROVe: six research-based principles to realise peer assessment in educational contexts, in «Form@re - Open Journal per la formazione in rete», 19(3), 2019, pp. 89-105, p. 100.
14. H. C. Barrett, Researching electronic portfolios and learner engagement: The REFLECT initiative, in «Journal of Adolescent & Adult Literacy», 50(6), 2007, pp. 436-449.
15. V. Grion, Professional portfolio come strumento di (auto) formazione professionale dei formatori , in M. Fedeli, L. Frontani, L. Mengato (a cura di), Experiential Learning. Metodi, tecniche e strumenti per il debriefing, Franco Angeli, Milano 2014, pp. 27-4.
16. Barrett, Researching electronic portfolios and learner engagement: The REFLECT initiative, cit.
17. L. Stefani, R. Mason, C. Pegler, The Educational Potential of e-Portfolios, Routledge 2007.
18. K. Zeichner, S. Wray, The teaching portfolio in US teacher education programs: What we know and what we need to know , in «Teaching and Teacher Education», 17 (5), 2001, pp. 613-621.
19. W. Kicken, S. Brand-Gruwel, J. van Merriënboer et al. Design and evaluation of a development portfolio: how to improve students’ self-directed learning skills , in «Instructional Sciences», 37, 2009, pp. 453-473
20. Grion, Serbati, Valutazione sostenibile e feedback nei contesti universitari, cit.
Valentina Grion
è professoressa associata di Pedagogia Sperimentale presso l’Università di Padova. I suoi interessi di ricerca riguardano in particolare la valutazione intesa come strumento a supporto dell’apprendimento e dell’autonomia di studentesse e studenti. Su questi temi, svolge un’intensa attività di formazione nelle scuole e nei centri di formazione della docenza universitaria.
Giorgia Slaviero
è dottoranda di ricerca presso la scuola di dottorato in Scienze pedagogiche dell’educazione e della formazione dell’università di Padova. I suoi interessi di ricerca riguardano la valutazione nella scuola con una focalizzazione particolare sulle esperienze delle scuole secondarie che hanno scelto di utilizzare una valutazione narrativa senza uso del voto in itinere.
Orientare l’orientamento: rischi, confusione, opportunità
Se intendiamo l’orientamento come un processo formativo progressivo, volto a facilitare la conoscenza di sé, a esercitare un controllo sulla propria vita e a diventare cittadini attivi e responsabili, la scuola è il luogo privilegiato dove praticarlo. A patto di conoscerne paradigmi, strumenti, e anche un po’ di storia.
di Federico Batini
«Cosa ti piacerebbe fare da grande, figliolo?
Venni colto alla sprovvista. Non avevo mai avuto dubbi su cosa avrei fatto. Avrei continuato a fare il contadino.Avrei coltivato quello che era possibile e me la sarei cavata nel migliore dei modi, proprio come aveva fatto papà. Mi resi conto che forse avevo la possibilità di scegliere e, di fronte a quella domanda, mi accorsi anche di avere una risposta».1
L’emersione del paradigma formativo
La citazione è tratta da uno dei brani utilizzati per comporre tre fortunati volumetti da leggere e compilare, preferibilmente in gruppo, che, nel 2013, con Simone Giusti, abbiamo pubblicato per l’editore Loescher, Non mi vedo, Non so che fare, Non mi importa di voi. Si tratta di piccoli libri che propongono l’utilizzo di storie con la scelta di brani antologici, e insieme l’invito a riferirsi ai testi completi, per sviluppare e/o allenare le competenze di orientamento, di quelle emotive, e per sollecitare l’auto-orientamento, la riflessività e le
competenze di cittadinanza. Per ognuno dei brani proposti si fa corrispondere un’attività da svolgere insieme, a scuola, e sulla quale poi confrontarsi attraverso attività di socializzazione, nel quadro del metodo dell’orientamento narrativo. I testi sollecitano e attivano immedesimazioni e associazioni con la propria esperienza, le attività consentono di parlare di sé e di riflettere, sollecitano e allenano le proprie competenze e permettono un confronto con gli altri a un livello profondo, con il guadagno delle numerose opzioni a disposizione, con l’acquisizione delle strategie di azione e dei modi di guardarsi degli altri, con la moltiplicazione dei punti di vista.
L’orientamento narrativo è un metodo di orientamento nato in Italia alla fine degli anni Novanta, che si inquadra pienamente all’interno dell’attuale paradigma dominante la ricerca e la riflessione sull’orientamento: il paradigma formativo. Pensare all’orientamento oggi significa rappresentare un processo formativo e progressivo, volto a facilitare la conoscenza di sé, delle proprie rappresentazioni (le attribuzioni di significato) nel contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, delle strategie (consapevoli o inconsapevoli) che ciascuno di noi mette in atto per rela-
zionarsi e intervenire sulla propria realtà, con una finalità complessiva di sviluppo delle competenze necessarie a definire autonomamente obiettivi personali e professionali legati alle proprie aspirazioni e motivazioni e a progettare i percorsi per raggiungerli. Questi obiettivi dovranno fare i conti con la realtà nella quale viviamo o con la nostra disponibilità e possibilità di modificare quella realtà e di spostarci per aderire ai nostri progetti. Le competenze sollecitate dai processi di orientamento dovrebbero metterci in grado di elaborare (e di ripensare, rielaborare) un progetto di vita e agire in modo conseguente alle scelte relative.
L’orientamento formativo ha origine dai modelli educativi sviluppatisi fin dagli anni Settanta del secolo scorso, ma ha conosciuto importanza e sviluppi sempre maggiori negli ultimi due decenni, trovando progressive consonanze anche da sguardi disciplinari differenti. L’obiettivo comune a quanti aderiscono a questo paradigma, pur nella pluralità dei metodi, è quello di sviluppare o rinforzare le competenze orientative delle persone con le quali si lavora, dare occasioni e strumenti per la costruzione della propria identità, svilupparne l’autonomia, in modalità prevalentemente, ma non esclusivamente, gruppale (senza dubbio in una logica processuale possono essere rilevanti momenti di consulenza, sostegno, monitoraggio e approfondimento individuale). Per semplificare: anziché accompagnare o informare qualcuno rispetto a fare una scelta, si cerca di facilitare lo sviluppo e l’allenamento di quelle competenze che consentono di progettare il proprio futuro e di renderlo praticabile.
Una storia lunga 120 anni
Se la riflessione e la ricerca sull’orientamento sono relativamente giovani, l’orientamento, inteso come un insieme di discorsi e di pratiche finalizzate a guidare e sostenere il soggetto nel proprio progressivo collocarsi nella società e nella comunità, spesso tradotto nella scelta del proprio percorso formativo, poi lavorativo-professionale e di inserimento sociale, è sempre stato presente nelle comunità umane (e anche in alcune comunità animali). L’obiettivo iniziale, far diventare il singolo “utile” e “produttivo”, si accompagnava a un bisogno, nemmeno troppo implicito, di conservazione e preservazione dell’ordine sociale. In epoca pre-industriale, la funzione di orientare era svolta a seconda delle organizzazioni sociali dal nucleo familiare,in particolare dai membri più anziani dello stretto nucleo familiare, o da soggetti ritenuti più “esperti” della piccola comunità di riferimento o del gruppo. Storicamente, specie in paesi come l’Italia, una funzione fondamentale in questo senso è stata rivestita dalla Chiesa, con il surplus della caratterizzazione valoriale dei con-
sigli e delle indicazioni fornite e con la scivolosa ambiguità dell’incrocio tra precetti morali e desideri e aspirazioni individuali, a tutto vantaggio dei primi. Le aspirazioni, si può forse azzardare, nemmeno esistevano: l’orizzonte dei desideri, infatti,veniva sgombrato attraverso la limitazione delle possibilità e la reiterazione di modelli di vita e di scelte. I figli, tanto per semplificare, seguono le orme dei padri (prima di parlare di figlie e madri passeranno decenni). I modelli di orientamento, fin qui, sono assolutamente impliciti, e possiamo rintracciarne vari gradi di direttività e una maggiore o minore esplicitazione del carattere adattivo. Siamo all’interno di un quadro e di un paradigma dell’orientamento volto al (supposto) interesse dichiarato della società nel suo complesso, in realtà destinato a perseguire l’interesse della coalizione dominante e alla conservazione dei vantaggi e dei privilegi ascritti.
Possiamo parlare di direttività in quanto la famiglia e il contesto culturale e istituzionale di riferimento indicano la strada che l’individuo dovrà percorrere, senza prendere in considerazione in alcun modo le motivazioni e i desideri del soggetto né le sue possibilità. Possiamo parlare di modelli adattivi, in quanto la realizzazione dell’individuo fin qui può avvenire esclusivamente all’interno
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Primi anni del Novecento
Approccio DiagnosticoAttitudinale
L’idea dell’uomo giusto al posto giusto. Individuazione delle attitudini, concepite come tratti stabili. Finalità di matching tra attitudini e mansione lavorativa.
Anni TrentaCinquanta
Approccio Caratteriologico-Affettivo
Approccio finalizzato a individuare interessi, aspirazioni, inclinazioni e aspetti caratteriali del soggetto per farli coincidere con la mansione lavorativa.
Anni Dal 1945 al 1960
Approccio ClinicoDinamico
Il lavoro come occasione per la realizzazione dei bisogni profondi del soggetto e quindi come possibile fonte di soddisfazione.
Anni SessantaSettanta
Approccio dello Sviluppo Vocazionale
Tale approccio considera la scelta professionale basata su tappe evolutive da superare in maniera adeguata.
Dagli anni Sessanta a fine secolo
Approccio MaturativoProfessionale
La centralità del soggetto diviene punto cardine dell’azione orientante. Il professionista supporta il soggetto nel percorso di orientamento.
21° secolo Oggi
Orientamento formativo
L’orientamento come educazione continua, per promuovere nel soggetto le capacità autoriflessive e di auto-orientamento a cui il soggetto possa accedere per tutto l’arco della sua vita.
• Curricoli Orientativi Verticali
• Progetto di vita
• Orientamento come promozione di competenze e abilità atte a gestire il proprio progetto di vita.
del contesto socio-economico di origine (spesso anche nello stesso spazio geografico). Migliorare la propria condizione socio-economica di provenienza o determinare il proprio futuro rappresenta un’eccezione. Con l’avvento della famiglia mononucleare, il compito di orientare i giovani si colloca con maggiore precisione all’interno della coppia genitoriale: in particolare, è un compito del padre.
L’orientamento inteso come area di ricerca e riflessione, con l’emersione di un campo di attività professionale, nasce in concomitanza del secondo processo di industrializzazione, e muove i primi passi in aree altamente industrializzate nei primi del Novecento. Nella sua prima fase, l’orientamento come pratica strutturata non è legato allo scopo di sviluppare e supportare il soggetto, piuttosto a ottimizzare il funzionamento e il profitto industriale: si tratta dunque di collocare il soggetto dove si pensa che possa “rendere” meglio.
Nei 120 anni che ci separano dalla nascita e dall’origine dell’orientamento come “scienza” sono stati affrontati e superati paradigmi e modelli di diverso tipo, che hanno lasciato, in modo variegato e non uniforme nel mondo, tracce di sé nelle pratiche. Nei diversi periodi storici, diverse aree disciplinari si sono interessate all’orientamento: la psicologia (con sguardi differenti), le scienze dell’educazione e, in particolare, la pedagogia, la sociologia, l’economia.
Molto spesso,a sguardi disciplinari diversi corrispondevano idee di orientamento diverse, finalità
diverse, diverse modalità operative in cui tradurlo. Gli ultimi venti anni hanno visto il progressivo affermarsi anche in Italia del paradigma formativo dell’orientamento, con la straordinaria convergenza dei vari sguardi disciplinari, ma una fatica ancora evidente dal punto di vista delle pratiche.
Il paradigma formativo nella scuola
La scuola, in particolare la scuola pubblica, è il luogo nel quale una società democratica garantisce il proprio funzionamento e la possibilità, per tutti e tutte, di diventare cittadini a pieno titolo e di poter esercitare un controllo sulla propria vita. Risulta dunque evidente il ruolo centrale, esplicito o implicito, della scuola rispetto all’orientamento. La produzione normativa, le circolari e i documenti fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, richiamano la scuola all’assunzione di una funzione orientativa non occasionale e non limitata al supporto informativo nei momenti di scelta formativa socialmente definiti né, tantomeno, alla funzione di “indirizzo”, che pratiche come “il consiglio orientativo” paiono suggerire. Proprio nella scuola (e paradossalmente nelle università) si vede all’opera lo scarto tra le finalità assegnate all’orientamento, le conoscenze che abbiamo acquisito sui processi orientativi e le pratiche. Sopravvivono infatti pratiche saldamente agganciate a modelli informativi, direttivi e adattivi di orientamento. Da questo punto di vista appare, ad esempio, ancora ampiamente da
esplorare il ruolo svolto da alcune modalità di valutazione nell’orientamento direttivo implicito dei soggetti.
Il Decreto n° 328 del 22 dicembre 2022 riforma l’orientamento a scuola e introduce e stabilisce delle Linee guida per l’orientamento. Le Linee guida rappresentano, per le istituzioni scolastiche, l’occasione per il ripensamento complessivo dell’azione didattico-valutativa e orientativa. Queste traducono operativamente la riforma dell’orientamento disegnata dal PNRR, con lo scopo esplicito di rafforzare il raccordo tra primo e secondo ciclo di istruzione e formazione e di diminuire la dispersione scolastica.
Il documento assume esplicitamente una centratura sul paradigma formativo dell’orientamento. Si propone infatti come occasione per ridefinire complessivamente le pratiche didattiche e valutative, collocando le studentesse e gli studenti al centro, ascoltando, offrendo occasioni per la crescita, lo sviluppo e l’empowerment e rovesciando, finalmente, il rapporto tra studenti e discipline.
La novità importante costituita dalle Linee guida è la definizione specifica di un monte orario rilevante, trenta ore per ciascun anno nell’intero percorso delle secondarie di primo e secondo grado, dedicato all’orientamento, scelta che è, tuttavia, in continuità con i documenti e le direttive che dagli anni Novanta assegnano alla scuola un ruolo fondamentale nel sostenere lo sviluppo della conoscenza di sé, della capacità di immaginare e progettare il proprio futuro liberi da vincoli e predeterminazioni, e la maturazione delle competenze di auto-orientamento.
La definizione di un percorso di formazione orientativa per ciascun anno dalla classe prima della secondaria di primo grado e l’esplicitazione del bisogno di attivare sollecitazioni e stimoli in questa direzione fin dalla scuola dell’infanzia richiamano, implicitamente, alla definizione di curricoli di orientamento in verticale, che favoriscano l’emersione di progettualità consapevoli e ponderate, che valorizzino le potenzialità e le identità degli studenti, nonché contribuiscano alla riduzione della dispersione scolastica e favoriscano l’accesso alle opportunità formative dell’istruzione terziaria.
Sciogliere le confusioni, gestire i rischi e cogliere le opportunità: le Linee guida
L’opportunità di definire curricoli di orientamento in verticale costituisce, potenzialmente, un dispositivo in grado di esercitare una retroazione potente sull’intera esperienza scolastico-formativa rimettendo al centro ragazze e ragazzi, che non sono soltanto i destinatari e il motivo per cui progettiamo e realizziamo il sistema di istru-
Il progetto "OrientaMenti"
Le Linee guida sono state accompagnate dal progetto “OrientaMenti” affidato a Indire, che sul sito lo descrive così: «un piano formativo nazionale online in partenza nel secondo trimestre del 2023 sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito» e ha «l’obiettivo di fornire agli insegnanti che ricoprono il ruolo di docenti tutor dell’orientamento e di docenti orientatori le competenze e le conoscenze necessarie per svolgere al meglio il loro ruolo.
In particolare, il programma formativo intende fornire agli insegnanti conoscenze riguardo a:
• processo di orientamento e figure coinvolte;
• metodologie e tecniche utilizzate nell’orientamento scolastico;
• normative e politiche educative nazionali e locali;
• strumenti utilizzati nel processo di orientamento;
• elementi di cornice culturale utili ad attualizzare i processi di orientamento.
Inoltre, il piano di formazione punta a promuovere negli insegnanti lo sviluppo di competenze trasversali come la capacità di comunicazione e di ascolto attivo, essenziali per svolgere efficacemente i ruoli di tutor e di docente orientatore, e la capacità di valutare l’efficacia del sistema di orientamento scolastico, al fine di apportare eventuali miglioramenti e di garantire un supporto adeguato agli studenti.
Infine, il programma formativo vuole favorire la collaborazione tra insegnanti, famiglie e comunità, per promuovere un sistema di orientamento scolastico inclusivo e orientato al successo degli studenti».
Fondazione Scuola, Associazione Pratika, Dipartimento Dfclam dell’Università di Siena e Dipartimento FISSUF dell’Università di Perugia hanno realizzato una serie di seminari gratuiti (consultabili online) per promuovere un avanzamento delle pratiche orientative nella direzione indicata nella parte conclusiva dell’articolo: si vedano i video https://www.youtube.com/watch?v=1DA5_LPvmUM (oltre 132.000 visualizzazioni) e https://www.youtube.com/playlist?list=PLsVHBMnrdScpxuKivbbe-jHgIZU0xRBrp.
zione, ma debbono esserne, perché l’istituzione scuola possa rispondere alle proprie finalità, i protagonisti.
Le confusioni rispetto all’orientamento rimangono quelle già enunciate negli ultimi venticinque anni: la sovrapposizione tra orientamento e informazione e il quasi esaurimento in essa (giornate di presentazione delle scuole o delle università, saloni di orientamento, open day, libretti informativi ecc); la confusione e sovrapposizione tra pratiche di orientamento e di marketing dei percorsi formativi secondari o terziari; la con-
non sostituisce l’azione specifica e specialistica dell’orientamento stesso.
↑ © Phototechno/ iStockphoto.
Le Linee guida , correttamente intese, possono invece essere interpretate come occasione per:
• marcare un superamento della collocazione dell’orientamento nell’accompagnamento alle scelte” socialmente definite;
• definire il superamento delle principali confusioni circa l’orientamento;
fusione, nel sistema formativo, tra il rendimento disciplinare contestuale e la disposizione verso un’area disciplinare/formativa; il mantenimento di costrutti scientificamente deboli come quello di attitudine (disposizione naturale di un soggetto nei confronti di un campo di attività); il peso attribuito, volontariamente o meno, al contesto di provenienza per “orientare” il percorso futuro. Non dovrebbe riuscire difficile comprendere come queste confusioni, che arrivano alla limitazione del diritto effettivo di scelta (si pensi alle pratiche, palesemente fuori dalla legalità, di alcune scuole secondarie di permettere l’iscrizione solo a chi ha indicato quel tipo di scuola nel consiglio orientativo fornito dalle secondarie di primo grado), siano discriminatorie e segreganti. È indispensabile sgombrare il campo dagli equivoci, e per questo occorre prevedere, nella formazione iniziale degli insegnanti, il racconto e la condivisione delle evidenze relative e il chiarimento circa gli effetti di pratiche confusive come quelle richiamate sopra. Proprio la presenza di queste confusioni deve avvertire dei rischi antidemocratici presenti in certe pratiche di orientamento. Concetti come “talento” o “merito” rappresentano un rischio tangibile di “premiare” la provenienza socio-economica e di esercitare la funzione orientativa contraddicendo alla funzione stessa assegnata all’orientamento. Ulteriori rischi sono rappresentati dalla denominazione di “orientative” ad attività con altra finalità e dalla sovrapposizione tra orientamento e didattica orientativa. Se infatti la didattica orientativa (che valorizza il portato orientativo delle discipline senza dimenticarne gli obiettivi specifici) contribuisce in modo significativo a stimolare ed allenare le competenze orientative, essa
• costituire l’occasione per la progressiva e partecipata costruzione di un curricolo orientativo in verticale che sia centrato sull’individuazione di obiettivi di sviluppo di competenze orientative e sulla pianificazione delle azioni specifiche dell’orientamento e del contributo della didattica orientativa;
• favorire il dialogo tra i vari attori con la regia dell’istituzione scolastica e il coinvolgimento attivo delle risorse territoriali e di professionisti dell’orientamento;
• consentire il recupero della componente motivazionale e dell’immaginazione e creatività dei soggetti in ottica trasgressiva e trasformativa. L’orientamento così inteso diventa una pratica di empowerment che offre supporto alla realizzazione del progetto di vita di ciascuno, diventa occasione per diminuire la predestinazione socio-economica determinata dalle condizioni di partenza, diventa pratica attivante, responsabilizzante e valorizzante.
«Se si crede che sia giusto, utile e possibile per ciascuno esercitare autonomia, responsabilità e controllo sulla propria vita, tenendo conto delle conseguenze sugli altri, sul proprio futuro e sul pianeta dei propri progetti e delle proprie scelte»2, è il momento per lavorare in quella direzione.
NOTE
1. J. Lansdale, L’ultima caccia, trad. it. di S. Pezzani, Einaudi, Torino, 2018, p. 15.
2. G. Guglielmini, F. Batini (a cura di), Orientarsi nell’orientamento, il Mulino, Bologna 2024; il volume può essere sfogliato gratuitamente sulla piattaforma Darwinbooks.
Federico Batini
è professore di Pedagogia sperimentale, di Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione e di Metodi e tecniche della valutazione scolastica all’Università degli Studi di Perugia, dove dirige i Master «Lettura ad alta voce a scuola, nei contesti educativi, di sviluppo, assistenziali, riabilitativi e organizzativi» e «Orientamento narrativo e prevenzione della dispersione scolastica». È coordinatore scientifico del Dottorato di Ricerca sull’Educazione alla lettura, gli effetti e i benefici della lettura e della lettura ad alta voce. Per Loescher è autore del Quaderno della Ricerca #24 Costruire futuro a scuola.
L’esperienza Retravailler
Il contesto in cui nasce, l’approccio sociologico, le basi di metodo, l’organizzazione, gli scopi e la realtà italiana di un percorso che ha molto a che vedere con l’orientamento, anche con quello scolastico: vediamo perché.
di Amelia Andreasi BassiSolo considerando il momento storico e le circostanze socio-economiche che l’hanno ispirata e resa possibile si può comprendere un’esperienza formativa che ha coinvolto in circa quarant’ anni diverse centinaia di migliaia di adulti, soprattutto donne, e che dalla Francia si è espansa in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Svizzera, Belgio, Canada e Giappone.
Lo sviluppo economico successivo alla Seconda guerra mondiale aveva profondamente modificato la situazione occupazionale francese. Grazie a una crescita molto sostenuta del settore terziario e alle nuove forme di produzione indotte dallo sviluppo tecnologico si assiste tra gli anni Sessanta e Settanta a un ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro e alla corrispondente svalutazione del ruolo economico del lavoro casalingo.
Scrive Évelyne Sullerot, ideatrice della metodologia e fondatrice dei centri Retravailler:
Per secoli le donne in casa sono state delle “produttrici”, il ruolo economico della casalinga si è profondamente ridotto dopo la seconda guerra mondiale. Ogni prodotto è sempre più consegnato “pronto per l’uso”, manipolato, preparato in modo da non richiedere più alla donna del lavoro (di produzione e di trasformazione). Un tempo la presenza della donna in casa era indispensabile economicamente ed altamente redditizia. Oggi in casa la donna è diventata un’utilizzatrice di prodotti già preparati e di macchine… E in modo confuso la donna si rende conto che se vuole contribuire al benessere familiare potrà farlo più efficacemente guadagnando del denaro all’esterno.1
Lo choc petrolifero del 1973 determina però l’inizio di una lunga crisi. La Francia, come altri Paesi europei, entra in una fase di ristrutturazione industriale e interi settori produttivi scompaiono o crollano. La disoccupazione aumenta, come aumentano gli uomini e le donne in cerca di lavoro, che tuttavia appaiono poco preparati ai cambiamenti in atto, cam-
biamenti sostenuti da una dirompente rivoluzione tecnologica. In questi sconvolgimenti emergono nuovi bisogni: se prima la disoccupazione implicava la ricerca di un nuovo datore di lavoro, ora spesso obbliga alla ricerca di una nuova professione; come sono indispensabili le riconversioni delle aziende,lo sono altrettanto i perfezionamenti professionali. In questa lotta contro la disoccupazione viene quindi data priorità alla formazione professionale degli adulti perché, mentre spariscono interi segmenti professionali, per contro, diventano necessarie nuove conoscenze e si uniscono professionalità un tempo separate che richiedono una formazione di maggior livello (ad esempio contabilità e informatica). E così, l’apparire di nuovi prodotti e di nuove forme di distribuzione richiede nuove competenze e apre la via a nuove professioni.
L’approccio sociologico
In questo contesto socio-economico prende il via l’orientamento professionale degli adulti, che da quel momento non cesserà di crescere, attraverso una pluralità di pratiche ed esperienze.
Ricordiamo che in Francia l’orientamento professionale nasce alla fine della Prima guerra mondiale, anch’esso periodo di cambiamenti e di crisi economiche, e trova la sua definizione in un decreto del 26 settembre del 1922 come «l’insieme delle operazioni che precedono l’inserimento dei ragazzi e delle ragazze nel commercio e nell’industria e che hanno lo scopo di mettere in luce le loro attitudini morali, fisiche e intellettuali».
Mentre ancora alla vigilia della Seconda guerra mondiale mantiene le caratteristiche di una pratica di transizione tra la scuola primaria e l’apprendistato, negli anni Cinquanta l’orientamento si allontanerà dall’insegnamento tecnico per integrarsi sempre di più nel sistema scolastico. Tanto è vero che i centri di orientamento scolastici e professionali saranno inseriti nelle competenze del Ministero dell’Istruzione e sempre più associati, a tutti i livelli,
al processo di orientamento degli studenti. Negli anni Settanta l’orientamento professionale degli adulti non sembra una pratica diffusa, ed è di competenza dell’A.N.P.E (l’agenzia nazionale per l’occupazione), ente istituito nel luglio del 1967, che si ritroverà negli stessi anni ad affrontare bisogni ben più complessi e generalizzati rispetto a quelli incontrati in una situazione di piena occupazione. Scrive ancora Évelyne Sullerot in un suo report relativo ad una ricerca del 1979 sull’orientamento professionale e il reinserimento degli adulti:
[…] risulta che gli adulti sopra i 25 anni costituiscano la maggior parte degli utenti dell’A.N.P.E. che pongono all’agenzia i problemi più difficili. Le loro richieste sono caratterizzate dall’urgenza, la maggior parte ha familiari a carico. Per questi utenti un’occupazione è una questione vitale, una necessità imperiosa, un’occasione importante di ritrovare un’identità confusa. Hanno un passato, un’esperienza, delle abitudini, dei vincoli: per loro la ricerca di un nuovo posto di lavoro, soprattutto se deve essere diverso da quello precedente, non costituisce una tappa normale ma uno choc.2
Dai risultati di questa ricerca deriveranno delle raccomandazioni per indirizzare l’impiego di risorse economiche sulla formazione dei consiglieri di orientamento e sul potenziamento di azioni di accoglienza, valutazione e consulenza orientativa. Da questo momento il campo dell’orientamento si struttura e si organizza attraverso esperienze diversificate.Imprese e strutture pubbliche che operavano prevalentemente per i giovani aprono spazi agli adulti, e nascono i CIO (Centri di informazione e orientamento).
Poiché la Francia, per accompagnare le trasformazioni economiche, ha introdotto un sistema di formazione professionale continua incentrato sugli occupati, per le donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro remunerato dopo un’interruzione più o meno lunga o che vogliano entrarvi per la prima volta si presentano varie e profonde difficoltà.Ne possiamo ricavare un breve sunto da una relazione del 1975 di Sullerot sull’occupazione femminile, in cui scriveva:
[…] sono emerse gravi lacune nella formazione professionale delle donne, il solo strumento per vivere le rapidissime trasformazioni. La loro istruzione di base si è rivelata scarsa e inadatta e questo svantaggio non pesa solo sulle ragazze e sulle giovani donne che iniziano la loro vita lavorativa, ma anche, e spesso più duramente, sulle donne che hanno superato i 35 anni, costrette da motivi diversi ad interrompere per molti anni la loro attività e che desiderano e molto spesso, devono, riprendere a lavorare 3
Tutti elementi che vanno ad aggiungersi alla discontinuità di carriera, caratteristica della vita
lavorativa delle donne già di per sé causa di difficoltà nell’accesso al lavoro per quante cercano di reinserirsi. La ricerca di Sullerot intendeva dunque approfondire come le donne vivevano questo reinvestimento,le loro incertezze e gli interrogativi sulle loro capacità e ambivalenze. Per contro, se il lavoro fuori casa si rivela economicamente interessante, avere un’attività extra familiare assume anche un carattere di valorizzazione del sé, perché conferisce alle donne un’identità sociale in un mondo che è sempre più determinato dall’economia, e nel quale ognuno definisce sé stesso mediante la risposta alla domanda «che lavoro fai?».
Le basi metodologiche
Da indagini e ricerche sociologiche e da confronti con altre realtà europee che presentavano gli stessi dati vengono individuate le aree problematiche sulle quali verrà strutturata la démarche [cammino, strada, N.d.R.] offerta alle donne che intendono rientrare nel mondo del lavoro retribuito e che saranno alla base dell’esperienza Retravailler:
• dopo anni dedicati alla famiglia e all’educazione dei figli, una donna non è più in grado di valutare le proprie capacità in rapporto al mondo del lavoro;
• essendo totalmente priva di allenamento, non è in grado di affrontare con sicurezza le prove per l’accesso al lavoro, si sente arrugginita;
• è priva di informazioni adeguate sulla vita economica e amministrativa, sui profili professionali e sull’offerta formativa;
• ha un’immagine del mondo del lavoro condizionata dall’emotività: talvolta ne ha timore profondo, diversamente ne ignora obblighi e vincoli.
Il percorso orientativo Retravailler viene dunque concepito come un breve periodo di adattamento, uno spazio tra vita familiare e vita professionale della durata di qualche settimana; un tempo in cui fattori psicologici, familiari, istituzionali, sociali ed economici possano essere presi in considerazione e portati a fondare una progettualità professionale, realista e consapevole.
Évelyne Sullerot definiva questo luogo “un crocevia”, in quanto punto di incontro tra l’insieme delle possibilità, aspirazioni e competenze professionali dell’individuo e, dall’altra parte, la situazione del sistema formativo e del mercato del lavoro e dei suoi sistemi di accesso.
Negli stessi anni in cui in Francia si va costruendo il sistema di orientamento degli adulti, in Canada nel 1974 i consiglieri di orientamento, attraverso un confronto pluridisciplinare composto da pedagoghi, ricercatori sociali, psicologi e sociologi, si interrogano sul proprio ruolo e definiscono le tematiche dell’orientamento come punto di convergenza in cui si intreccia la doppia dinamica della trasforma-
zione del mondo socio-economico e dell’evoluzione personale dell’individuo. Si faranno interpreti di tale confronto tra gli altri C. Bujold, C. Noiseaux, D. Pellettier, che rafforzeranno l’elaborazione teorica francese con l’approccio denominato A.D.V.P. (Activation du Développement Vocationnel Personnel) con il quale si offrirà ai professionisti una concezione operativa dello sviluppo vocazionale e un modello di intervento in grado di favorire un rinnovamento importante nell’esercizio dell’orientamento.
Questa fertile osmosi tra studi, analisi, ricerche ed esperienze, testimone di un’autentica passione per uno strumento in evoluzione com’era l’orientamento degli anni Settanta, consente a Retravailler di tradurre nella sua pratica professionale le acquisizioni teoriche che si andavano definendo di qua e di là dall’oceano Atlantico.
Individuando quindi l’orientamento come un percorso di accompagnamento di un soggetto ricco di esperienze verso la consapevolezza dei propri affetti, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti per concettualizzarli, organizzarli e trarne un significato, vengono posti alla base della metodologia Retravailler alcuni punti fermi, quali:
• la centralità della persona considerata come l’oggetto e il soggetto responsabile di tutto il processo;
• la consapevolezza per l’orientatrice/tore di doversi limitare a fornire alle/ai partecipanti gli strumenti per orientarsi puntando all’auto-orientamento ed evitando pilotaggi o forme di assistenza;
• lo sviluppo dell’autonomia della persona, considerandola un’esploratrice in grado di scoprire le potenzialità personali e professionali, di conoscere le caratteristiche del contesto e di valutarle non come elementi immutabili e definitivi, ma come dati in evoluzione e in interazione;
• l’apprendimento attraverso l’esperienza di saperi, di saper fare e saper essere, utili nel futuro personale e professionale;
• la socializzazione come processo che si realizza attraverso il gruppo e fa emergere la persona nella sua triplice dimensione di oggetto, soggetto e agente della socializzazione stessa.
Nel quadro di un percorso di orientamento attivo così concepito, gli interrogativi sulla scelta lavorativa vengono considerati problemi che richiedono alla persona di raccogliere delle informazioni ampie sulle proprie potenzialità, sulle possibilità offerte dal contesto socioprofessionale, e che le faccia interagire per poter operare delle selezioni, formulare delle ipotesi ed effettuare delle scelte. Secondo Piaget, «Le nostre conoscenze non provengono dalle sensazioni o dalle percezioni considerate singolarmente, ma da tutta l’azione, in cui la percezione ha solo la funzione di segnale. È proprio dell’intelligenza non tanto il contemplare ma il trasformare, e il suo meccanismo è essenzialmente operativo…»4: la
persona dunque impara a conoscere e si costruisce attraverso l’azione. Da qui l’offerta alle partecipanti agli stage Retravailler di un certo numero di compiti, di passi da compiere, di esperienze favorevoli alla scoperta. Saranno inoltre invitate a classificare, a dare un ordine e un senso alla propria esperienza. In altri termini,saranno accompagnate a elaborare cognitivamente un insieme di informazioni e vissuti.
Al fine di raggiungere l’obiettivo di offrire a tutti gli adulti la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità per trovare una collocazione nell’ambiente di lavoro prescelto e l’individuazione di sé nel proprio percorso personale, Retravailler si dà una strategia pedagogica basata su strumenti quali:
• il gruppo: riconosciuto come un ambiente protetto in cui imparare relazioni diverse e come spazio di transizione verso un’organizzazione lavorativa. Concepito come uno strumento di conoscenza di sé attraverso lo sguardo dell’altro e come mezzo in grado di rinnovare dinamiche interattive divenendo quindi luogo di scambio e di sostegno psicologico tra i/le componenti.
• la trasparenza: come condizione per impegnare le persone in un percorso attivo, per mobilitare le energie, per suscitarne l’interesse. Il percorso definito all’inizio serve come punto di ancoraggio e dà un significato ai diversi compiti che verranno proposti. Consente una valutazione continua e prefigura la meta.
• il fattore tempo: una dimensione indispensabile da tenere presente attentamente per accompagnare i ritmi individuali, la sperimentazione di tempi definiti e la maturazione delle diverse tappe del processo di orientamento e di presa di decisioni.
• la conduzione d’aula: l’accompagnamento delle/dei singole/i partecipanti e del gruppo è concepito come una mediazione che sollecita la partecipazione di tutti, facilita la comunicazione verbale, porta il gruppo verso il raggiungimento degli obiettivi.
• l’autovalutazione: intesa come appropriazione di quanto emerge di sé e delle proprie potenzialità, costituisce il valore essenziale dell’autonomia ed è quindi un mezzo per diventare protagoniste/i del proprio orientamento nel contesto in cui si vive.
La struttura metodologica comprende di conseguenza contenuti che, a partire da esercizi e attività individuali e collettive, permetteranno la conoscenza di sé e la riattivazione delle attitudini come l’attenzione concentrata, la memoria, la percezione, l’organizzazione spaziale, il ragionamento logico, l’immaginazione, il senso pratico, operazioni matematiche, il lessico, abilità manuali e, a partire da metà degli anni Ottanta,l’avvicinamento all’informatica.
È importante sottolineare che il materiale d’aula viene presentato in forme inconsuete; vengono assicurati momenti ludici, spesso sorprendenti, che ingenerano piacere, curiosità, meraviglia: tutti
fattori stimolanti tanto il gruppo quanto le singole componenti. Il gioco, secondo la valenza che Winnicott gli attribuisce, viene ad assumere anche nell’adulto un valore formativo.
Il lavoro sulle attitudini, sugli interessi, sulle qualità favorisce in modo evidente la ripresa della fiducia in sé, che però si rafforza e cresce nel momento della presa di contatto con il contesto socio-lavorativo. La figura della consigliera professionale, che ad un certo punto del percorso affianca l’orientatrice/ tore, o le altre figure esperte invitate di volta in volta allo scopo di fornire le informazioni basilari sugli ambiti economici e le principali strutture d’impresa, il mercato del lavoro e il suo funzionamento, le professioni in termini di attività e accesso, rappresentano solo uno stimolo e una facilitazione per quella che sarà la conoscenza del contesto che il soggetto si costruirà andando incontro a esso. È per questa scelta pedagogica che le/i partecipanti al percorso Retravailler sono accompagnate/i a imparare a informarsi e a costruire in autonomia le proprie rappresentazioni del mondo del lavoro, delle professioni e della formazione, secondo tempi propri di ciascun individuo.
L’accompagnamento post-stage, il cosiddetto Suivi, rappresenta infatti lo spazio, individuale o collettivo, nel quale si osserva la realizzazione del progetto professionale elaborato, se ne analizzano i passi compiuti, si perfezionano le piste, si individuano meglio i fattori di successo o insuccesso, ci si rimette in moto verso vie differenti. Succede, ad esempio, che ulteriori informazioni o una diversa opportunità incontrata a conclusione dello stage permettano al progetto di ridefinirsi e realizzarsi.
Retravailler in Italia
L’estrema flessibilità e adattabilità dimostrata dalla metodologia anche in contesti regionali e nazionali diversi, perché pensata per i periodi di cambiamento economico (in Francia da Parigi si diffonde in poco tempo in più di 200 città), consente ad alcune donne in riconversione professionale di avviare a Milano nel 1986 il primo Centro Retravailler. L’iniziativa registra in Italia un notevole sviluppo. Nel corso di 5 anni si è già costituita una fitta rete di Centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, che operano in stretta connessione tra loro attraverso un proprio coordinamento formalmente istituito. Nella rete sono presenti sia centri pubblici sia privati, di varia natura giuridica (per lo più piccole associazioni non riconosciute e cooperative), dove operano orientatrici debitamente formate alla metodologia attraverso percorsi in affiancamento a orientatrici senior.
La struttura organizzativa
A fronte della costante crescita quantitativa e qua-
litativa delle attività e delle realtà locali, si presenta ben presto l’esigenza di strutturare in modo stabile le relazioni che, all’interno della rete e verso l’esterno, si sono nel frattempo moltiplicate. Considerato inoltre che le sue componenti hanno già messo in comune, oltre alle finalità sociali, anche tutto il patrimonio didattico e progettuale, vi è contemporaneamente la necessità di caratterizzare la rete attraverso un insieme di servizi che irrobustiscano la comunicazione interna e sostengano lo sviluppo locale delle attività, tanto più che stanno diventando strutturali le azioni di servizio esterno conseguenti alle richieste di collaborazione di interlocutori pubblici e privati relativamente a progetti molto impegnativi.
Nel 1992 a Bologna viene dunque operata la scelta di costituire l’Associazione Cora (Centri di Orientamento Retravailler Associati), al momento composta da 15 centri attivi in 9 regioni. Sebbene la metodologia importata abbia già subìto rielaborazioni e arricchimenti da altri contributi teorici, viene mantenuto il nome Retravailler, riconoscendo in questa scelta la matrice comune con la Francia.
Cuore metodologico e asse portante dell’associazione è il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) che riunisce tutte le figure professionali presenti nei centri associati, dalle orientatrici alle consigliere professionali, alle formatrici, e attraverso il quale vengono realizzati scambi e confronti periodici sulle pratiche e sulle esperienze in atto; si confrontano apporti teorici innovativi; si elaborano, si sperimentano e si approfondiscono nuove metodologie, tecniche e supporti didattici; si rendono omogenei e si omologano moduli derivati dalla metodologia; si selezionano le orientatrici e gli orientatori,le formatrici e i formatori e le/i consigliere/i professionali; si organizzano moduli formativi e di aggiornamento in risposta ai bisogni espressi dai centri; si elaborano banche dati aggiornate in tempo reale che facilitino l’informazione interna ed esterna. In ogni centro, sia pubblico sia privato, le figure professionali si diversificano con l’aumentare delle dimensioni del centro stesso (la responsabile del centro con funzioni organizzative e gestionali, le formatrici, le orientatrici e le consigliere professionali che gestiscono la progettazione,il lavoro d’aula e l’accompagnamento post-stage, oltre alle esperte che intervengono su problematiche diverse come informatica, mercato del lavoro, statistica); è condizione indispensabile per la costituzione di un nuovo centro che voglia aderire a Cora la presenza di almeno un’orientatrice/tore che risponda al profilo definito e abbia compiuto l’iter formativo di base, che prevede: tirocinio di formazione, con affiancamento in aula di una formatrice senior della durata di 120 ore; modulo di verifica con la formatrice dopo la gestione di un primo stage; seminario annuale di 2/3 giorni di confronto sul ruolo, sugli strumenti e sulla gestione d’aula; for-
mazione complementare all’ADVP.
Il Comitato Tecnico Scientifico alla fine degli anni Novanta arriverà a essere composto da un centinaio di operatrici/tori provenienti dai 30 centri Cora distribuiti in tutte le regioni del Paese, si doterà di un proprio codice etico, sottoscritto da tutte le operatrici, nel quale si definiscono alcune basilari norme di comportamento professionale, allestirà un albo professionale per garantire omogeneità sia nella qualità della formazione conseguita sia nell’accesso alla professione, e costruirà una banca dati in grado di offrire una lettura sociologica della partecipazione alle attività sviluppate nelle differenti aree socio-economiche del Paese.
Il codice etico adottato dall’Associazione Cora merita di essere riportato nella sua interezza, in quanto espressione della mission associativa:
I target e le tipologie di intervento
Osservando lo sviluppo della rete attraverso le statistiche elaborate dall’associazione si può rilevare quanto la domanda di orientamento sia andata diversificandosi, e con essa i target e le tipologie di intervento, sempre più adattate alle diverse età, generi, contesti lavorativi e formativi.
Allo stage classico di 120 ore per donne adulte in cerca di lavoro tra i 25 e i 55 anni, si affiancano quelli per giovani donne e uomini dai 18 ai 29 anni della durata di 80/100 ore, dove il peso delle componenti formative risulta molto ampio, così come si osserva che la domanda di orientamento da parte dei ragazzi e delle ragazze degli ultimi anni delle superiori porta rapidamente a offerte orientative molto diversificate, che passano da semplici incontri informativi su corsi universitari o professionali a veri e propri percorsi orientativi della durata media di 40 ore per gruppi di 10-15 studenti.Trovano molto spazio anche esperienze con insegnanti che già si occupano di orientamento, mirate ad ampliare e approfondire aspetti metodologici e teorici, e che si attestano su una durata che va da un minimo di 10/12 ore fino a 20 ore.
Sebbene, soprattutto nella prima fase, l’attività dei centri Cora fosse prevalentemente rivolta a donne disoccupate, alcuni centri hanno ben presto cercato di dare risposte anche ai bisogni delle persone che già lavorano e non sono soddisfatte del proprio lavoro o intendono sviluppare la propria posizione professionale. Vengono pertanto offerte consulenze individuali o forniti moduli di tecniche per la ricerca attiva del lavoro.
Progressivamente l’orientamento Retravailler ha visto l’allargarsi dell’esplorazione verso il lavoro autonomo, facendo registrare una crescente attenzione ai temi dell’imprenditoria
e dell’autoimpiego: dapprima attraverso moduli introdotti negli stages classici, poi con l’organizzazione di moduli specifici. Sono molti i centri che progettano e promuovono orientamento e formazione all’imprenditorialità, interventi di sostegno alla creazione d’impresa, corsi propedeutici alla costituzione di strutture associative autogestite.
Come il colloquio di orientamento e il bilancio di competenze diventano nel tempo momenti fondamentali dell’attività dei centri, altrettanto avviene per i servizi di supporto informativo costituiti da biblioteche, audiovisivi, banche dati, documentazione su mercato del lavoro, professioni, profili professionali, formazione, legislazione, bandi di
La metodologia Retravailler
La metodologia Retravailler si fonda su alcuni princìpi adottati nell’intera rete italiana:
1. Ogni persona è accolta nella sua globalità e nella sua specificità di genere.
2. Ogni persona è capace di evoluzione e di cambiamento a partire dalle esperienze, conoscenze e potenziale emotivo.
3. Ogni persona deve poter trovare il senso e la direzione della sua evoluzione personale e professionale: può diventare l’esperto di sé grazie ad un percorso guidato di auto-valutazione e di auto-orientamento.
La pratica deriva dai seguenti princìpi:
- l’orientamento risponde alle esigenze di crescita personale e di realizzazione professionale degli uomini e delle donne in una società in continuo mutamento, al fine di permettere scelte consapevoli;
- l’orientamento deve tener conto della persona nel suo insieme come soggetto-attore delle scelte della propria vita e come portatrice di potenzialità che si possono valorizzare.
Per raggiungere questi obiettivi la metodologia Retravailler fa riferimento:
1. al gruppo
• il gruppo come luogo di interazione
• il gruppo come spazio per sperimentare altri tipi di relazione
• il gruppo come conoscenza di sé attraverso lo sguardo dell’altro
• il gruppo come supporto formativo
2. al desiderio/motivazione
• come motore dell’azione
• come riattivazione delle attitudini
• come spazio al sogno e all’ampliamento delle “possibilità” che facilitano l’elaborazione del progetto
3. al tempo
• come riconoscimento del ritmo personale
• come elemento di maturazione delle differenti tappe del processo di orientamento
• come riconoscimento della fase di transizione nella quale si trova la persona.
concorso, inquadramenti lavorativi.
Fin dai primi anni Novanta si osserva il crescere impetuoso della progettualità della rete, impegnata sia in realtà territoriali e target locali, sia nella dimensione nazionale e interregionale. Ne sono un esempio gli interventi realizzati nelle Case circondariali, finalizzati, oltre che alla motivazione o ri-motivazione al lavoro, anche alla costruzione di bilanci di competenze dei/delle detenuti/e, interventi circoscritti che rappresenteranno la base per la successiva evoluzione in programmi di dimensione interregionale riguardanti più Istituti detentivi aventi il medesimo interesse a confrontarsi sulle metodologie per accompagnare i propri detenuti e detenute verso il fine pena.
Tra gli altri, un significativo esempio di progettualità teorico-metodologica su scala nazionale, capace di ingaggiare l’intera rete, lo si può osservare con il Progetto “Fasce deboli-Progetto donna”, un intervento sperimentale per persone espulse dal mercato del lavoro e in cassa integrazione da oltre 10 anni che raggiungerà 2.185 donne residenti in Abruzzo,Basilicata,Calabria,Campania,Lazio,Molise, Puglia, Sardegna. L’intera esperienza del Progetto verrà resa oggetto di studio attraverso una ricerca di cui, nel gennaio del 1997 a Roma, Cora presenta i risultati nel suo primo convegno nazionale, dal titolo “La città invisibile. I soggetti e i percorsi di orientamento”.
La ricerca riconosce quale elemento cruciale per le molte ricadute del Progetto l’attenzione ai sistemi territoriali e il loro coinvolgimento nelle azioni di orientamento, elemento che CORA porta nel suo know how grazie alla metodologia “Retravailler”, ma che nella specifica esperienza trova occasione di emergere in termini di progettualità originale e costituirà uno dei fattori di rafforzamento della sua identità organizzativa.
Identità che trova alimento in primo luogo dalla sua prassi operativa contenuta in uno schema così identificabile: esperienza-analisi degli esiti-contestualizzazione-valutazione-riprogettazione, e, secondariamente, dalla progettualità europea sviluppata grazie all’appartenenza ad EWA, la rete dei Centri Retravailler sorti in più Paesi a partire dal 1988.
La rete Ewa (Europe Work Action)
La rete europea dei Centri Retravailler nasce per iniziativa dell’Unione nazionale dei centri francesi per raggruppare e coordinare i centri europei nati sull’onda del successo espansivo della metodologia Retravailler il cui scopo è, in primo luogo, di capitalizzare le pratiche pedagogiche, e, in secondo luogo, di formare e aggiornare le formatrici e i formatori con attenzione alla diffusione dei contenuti e delle metodologie maturate nei singoli contesti socio-economici di appartenenza dei centri.
Il suo Consiglio di Amministrazione è composto
da rappresentanti di tutti i Paesi aderenti, mentre gli organi esecutivi, a cominciare dalla presidenza, vedono ruoli e responsabilità assegnati a turno a singole rappresentanti nazionali elette in seno all’assemblea dei centri associati.
Da questo livello organizzativo si svilupperà ben presto un forte impulso alla progettualità proposta dai diversi programmi dell’UE su tematiche di cui, a titolo d’esempio, citiamo la “Valorizzazione e riconoscimento delle competenze personali e professionali delle donne in Europa - l’individualizzazione dei percorsi”, e quelle relative al contrasto agli stereotipi di genere con il progetto: “Stere/o: dare la caccia agli stereotipi di sesso che agiscono sulla divisione del lavoro nell’Europa allargata”, fino all’influenza della dimensione economica nelle scelte di vita di donne e uomini con “Dow Jane: le rappresentazioni di donne e uomini dei valori del lavoro e del denaro”. Progetti realizzati in partenariati, all’interno dei quali EWA, in qualità di capofila, ha potuto apportare contributi metodologici forti di un’esperienza condivisa da molte realtà operative che ne avevano potuto vagliare la validità e, allo stesso tempo, ricevere stimoli da esperienze, ricerche e culture differenti per realizzare innovazioni metodologiche finalizzate a sostenere i diversi soggetti in transizioni lavorative ed esistenziali, il tutto in un mondo del lavoro in rapide e continue trasformazioni.
La vasta capacità progettuale di EWA si protrae per oltre vent’anni; di ogni progetto europeo sono stati prodotti report dettagliati oggi rintracciabili negli archivi del Polo del Novecento e ai quali sarà possibile, entro l’anno in corso, accedere più facilmente attraverso il suo portale.
NOTE
1. E. Sullerot, La femme dans le monde moderne, Hachette, Paris 1970.
2. E. Sullerot, L’orientation professionnelle et la reconversion des adultes, rapport remis à R. Boulin, ministre du travail et de la participation, Paris 1979.
3. E. Sullerot, Retravailler après 35 ans, étude sur une expérience de stages courts de formation préliminaire et d’orientation professionnelle pour les femmes qui n’ont jamais travaillé ou se sont longuement interrompues et qui désirent entrer dans la vie active entre 35 et 55 ans, Paris 1975.
4. J. Piaget, Le mythe de l’origine sensorielle des connaissances scientifiques, Actes de la Société helvétique des Sciences naturelles, Neuchâtel 1957
Amelia Andreasi Bassi
formatrice, ha fondato l’Associazione Idea Lavoro Onlus che ha diffuso in Piemonte la metodologia Retravailler e ADVP (Activation du Développement Vocationel Personel). È Presidente di CORA (Centri di Orientamento Retravailler Associati). È stata consulente del progetto "Bottega Scuola" e Presidente della Commissione Regionale per le Pari Opportunità.
Quanto influisce il genere sull’orientamento scolastico formativo?
Riflessioni su evoluzione e limiti della funzione orientativa delle istituzioni scolastiche e dei docenti in ottica di genere.
di Giovanna Di StefanoFino a qualche decennio fa l’orientamento scolastico aveva un’accezione e un raggio d’azione ridotti: nei momenti cruciali della vita di uno studente, ossia il passaggio verso e dalle scuole superiori, si limitava all’erogazione di elementi informativi (tipologie di scuole e percorsi universitari, offerta formativa, possibilità di inserimento professionale) o dei consigli “orientanti” dei professori. Consigli che spesso venivano dati sulla base della combinazione dei dati sui voti e della situazione socioeconomica della famiglia di origine dello studente. Oggi la situazione sembrerebbe, almeno all’apparenza, profondamente mutata: la persona con i suoi desideri, bisogni, risorse e limiti ha acquisito centralità; non viene più considerata come un individuo neutro e indifferenziato, ma è esortata a ricercare la propria identità personale e a fare emergere la sua diversità.
La crescente importanza dell’orientamento formativo
—
Negli ultimi anni, quindi, l’orientamento formativo scolastico ha acquistato una rilevanza sempre maggiore tra le attività dedicate agli alunni e alla
progettazione del loro futuro.
Per quanto riguarda il ruolo del corpo docente, nelle scuole da anni è presente la funzione strumentale dell’orientamento, che opera già a partire dalla primaria, ma che si è sempre limitata a favorire e organizzare gli incontri con i vari istituti superiori/università (che pubblicizzano la loro offerta formativa) piuttosto che orientare realmente le ragazze e i ragazzi sulla base di quella individualità cui si accennava prima: ciò che ricevono le e gli studenti sono quindi soltanto informazioni sulle attività presenti nell’istituto di volta in volta presentato, anche attraverso la spiegazione di eventuali competenze/abilità che andrà a sviluppare, e nei gradi più alti, anche a quali sbocchi lavorativi porterà.
Nei consigli di classe, invece, tutto è fondamentalmente rimasto come prima, anzi: nelle scuole superiori sembra esistere solo il consiglio orientativo, senza che rispetto al passato sia cambiato nulla nella modalità di relazione con l’alunno/a.
Normativa sull’orientamento formativo di genere e istituzione delle figure di orientamento nelle scuole
— Nel dicembre 2022 è stato firmato dal ministro
Valditara il decreto che approva le linee guida per l’orientamento1. Nel testo si fa riferimento a moduli curriculari di orientamento per gli studenti delle secondarie di I e II grado, con la creazione di un e-portfolio, a corsi di formazione per i/le docenti e all’istituzione della figura del docente tutor. Si parla insomma di pratiche che,in sinergia con le famiglie, aiutino gli studenti a
valorizzare i loro talenti e le loro potenzialità; contrastare la dispersione scolastica; favorire l’accesso all’istruzione terziaria.
Incredibilmente, però, non si fa cenno all’orientamento formativo di genere, al perseguimento delle pari opportunità per tutti e tutte, anche al di là delle differenze socioeconomiche e culturali. L’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 sull’uguaglianza di genere, insomma, viene completamente ignorato.
La figura del docente orientatore2 dovrebbe poi guidare gli studenti nella costruzione del loro futuro nell’ambito degli studi e in campo professionale «affinché l’apprendimento diventi una modalità di scoperta e di valorizzazione dei propri talenti, passaggio necessario per scelte consapevoli in grado di costruire un solido progetto di vita», attivando un «percorso personalizzato e inclusivo, che nasca da una nuova alleanza tra scuola e famiglia».
Anche in questo caso, al di là della formazione dei docenti tutor, ancora non chiaramente definita perché di recentissima istituzione, si parla di “formazione” in maniera neutra, senza considerare che esiste una diseguale distribuzione delle risorse di ciascuno/a, sulla base delle caratteristiche ascritte alle persone, come se le differenze di vissuto (anche di genere) fossero del tutto ininfluenti nella percezione, nella scelta e nelle aspettative delle ragazze e dei ragazzi, dimenticando la lezione di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé.
Le iniziative per superare stereotipi e condizionamenti legati al genere in Italia però ci sono e ci sono state – già a partire dai primi tentativi, negli anni Settanta – sebbene distribuite in maniera non uniforme sul territorio italiano, perché più legate all’iniziativa degli enti locali che a un programma nazionale; in generale le regioni che hanno maggiormente attuato delle politiche di orientamento sono state quelle del centro-nord, ma con due limiti:
• sono state finalizzate al superamento di certi stereotipi di genere e i condizionamenti che ne sono derivati, in riferimento quasi esclusivo alle donne, ma non considerando i condizionamenti e le pressioni sociali che pesano sui maschi, molto spesso vincolati ad un modello di maschilità che non permette scostamenti3;
• si sono concentrate soprattutto sugli stereotipi di genere connessi alle donne affinché le studentesse
scegliessero percorsi di studi indirizzati alle materie cosiddette S.T.E.M. ma poco hanno fatto rispetto alle scelte formative degli studenti maschi.
In qualche modo, nonostante le buone intenzioni, queste iniziative sembrano rispecchiare un modello in cui il maschile e le attività (anche lavorative) a esso connesse risultano preferibili e rappresentano quindi ciò a cui tendere, automaticamente rubricando come inferiori e poco desiderabili le attività storicamente associate al femminile, quali quelle di cura, che comprendono anche quelle legate all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e primaria.
Ruoli di genere, orientamento formativo, educazione di genere, stereotipi e pregiudizi
Al di fuori della scuola, si impara a diventare uomini e donne attraverso l’educazione informale, che opera in apparenza di normalità/naturalità e categorizza maschi e femmine nei cosiddetti ruoli di genere: essi indirizzano l’identità maschile e femminile attraverso aspettative e desideri (sorti prima della nascita del neonato), immaginari propri e altrui, esperienze, scelte.
La scuola, luogo dell’educazione formale per eccellenza, può però fare la differenza tanto nel decostruire quanto nello strutturare e rafforzare tali ruoli di genere.
In riferimento alla differenza di genere, quella che ancora agisce nella permanenza di tali ruoli, rimanendo nell’ombra perché invisibile, è la presenza del cosiddetto curriculum nascosto, che porta poi a quel fenomeno che viene definito “segregazione formativa di genere”.
Il curriculum nascosto convive, infatti, con il curriculum esplicito (i programmi didattici, gli obiettivi, le finalità, i metodi e la valutazione, che sono indicati nel Piano dell’offerta formativa) e riguarda l’interiorizzazione, da parte degli individui-alunni, di atteggiamenti, valori, regole e pratiche trasmesse dall’organizzazione scolastica, spesso in linea con il contesto socioeducativo e la famiglia.
Ne è un esempio l’idea che le ragazze siano più portate per le materie umanistiche e i ragazzi per quelle scientifiche, o che i ragazzi siano naturalmente meno responsabili, anche nello studio, e le ragazze più studiose e che, quindi, risaltino per l’impegno e la volontà piuttosto che per inclinazione.
Queste idee sono supportate anche da un linguaggio falsamente neutro 4 e dai testi scolastici (di tutti gli ordini di scuola) che in maniera costante rappresentano e perpetuano 5 modelli di vita, atteggiamenti, luoghi considerati più adatti a uno o all’altro genere, e in cui le donne, intese
2011/2012
2016/2017
Sanitaria e Agro-Veterinaria
Economica, Giuridica e Sociale
Artistica, Letteraria e...
Sanitaria e Agro-Veterinaria
Economica, Giuridica e Sociale
Artistica, Letteraria e...
Sanitaria e Agro-Veterinaria
2021/2022
Economica, Giuridica e Sociale
Artistica, Letteraria e...
Tab. 1. Percentuale di iscritti per sesso e tipo di università. Fonte: elaborazione su dati Anagrafe Nazionale Studenti (www.anvur.it/wp-content/ uploads/2024/01/Focus-equilibrio-di-genere-2023.pdf.
come generatrici di cambiamento (nelle società, nella cultura, nella storia in genere), e i loro contributi nel campo dell’arte, della letteratura, della pedagogia e della scienza sono stati costantemente ridimensionati.
Esiste una stretta relazione tra il mondo e la sua rappresentazione attraverso le parole, che possono riconoscere o rendere invisibili (usando termini o desinenze non adatte) possibilità e futuri, e che perciò hanno conseguenze sulla vita delle persone.
Nello specifico, la lingua, lungi dal possedere una sua presunta neutralità, non è mera descrizione, ma creazione, trasformazione, deformazione della realtà – nonché spia della visione del mondo e della cultura di ciascuna società. Può, cioè, essere limitata dalla cultura o, se considerata immutabile, diventare essa stessa un limite, per esempio cristallizzando stereotipi.
I/le docenti, come tutti noi, spesso non sfuggono a pregiudizi e stereotipi, perché non ne sono consapevoli, ma li ritengono verità evidenti e “naturali”: se non riconoscono i condizionamenti cui il genere (femminile ma anche maschile) è sottoposto riproporranno modelli che loro stessi/e hanno inconsapevolmente seguito o subìto e continueranno a esserne condizionati/e, pur magari riconoscendone le conseguenze nella società.
Quando viene loro chiesto se la parità di genere sia stata raggiunta, sono unanimi nel rispondere di no: è chiaro a tutti che in Italia permane un divario di genere, in termini di prestigio sociale, retribuzione, posizioni lavorative, tempo trascorso a svolgere lavori domestici e di cura – lo si può facilmente verificare grazie ai report presentati da diversi siti istituzionali6 – ma a volte ritengono ancora che gli uomini e le donne siano differenti per natura, giustificando in parte tale situazione; sebbene registrino un interesse sul gap gender , confermano poi un divario tra interesse per il tema e conoscenza del tema7.
È come se mancasse la comprensione del punto preciso in cui il meccanismo risolutivo – che va dalla comprensione del problema (parità di genere) a quello che riguarda una delle fondamentali soluzioni al problema (educazione di genere) passando per la causa (i ruoli di genere sclerotizzati presenti nella società) – si blocca, e questo impedisce un reale cambiamento all’interno della comunità scolastica.
I risultati sono visibili anche, e soprattutto, nelle scelte formative pre e post-diploma; nelle scuole secondarie di secondo grado, nel 2019
si conferma la vocazione femminile per gli studi liceali (60,5% dei nuovi iscritti) con picchi che riguar-
dano la sezione Coreutica del Liceo musicale (90,6%) e le Scienze Umane (88,6%). Negli Istituti tecnici la situazione si ribalta e il 70% degli iscritti è di sesso maschile; quota che raggiunge l’83% per gli indirizzi del settore tecnologico. La preferenza dei maschi per le materie tecnico-scientifiche si evidenzia, inoltre, nel Liceo scientifico, dove la presenza femminile scende al di sotto della metà.8
La tendenza si rafforza poi nelle scelte universitarie: è evidente che nel corso degli anni il trend di iscrizione delle donne nelle facoltà di tipo umanistico e che preparano ai lavori di cura si sia rafforzato, mentre rimane stabile quello nelle discipline S.T.E.M.,nonostante le iniziative volte a modificare gli squilibri di genere.
È necessario, dunque abbattere gli ostacoli che impediscono al sapere educativo di leggere il funzionamento di prescrizioni (invisibili) che vincolano la libertà di scelta degli individui.
Il docente come divulgatore e decostruttore di stereotipi e modelli
È chiaro come la scuola rivesta un ruolo strategico di primo piano nel lavoro di decostruzione degli stereotipi e di educazione verso il rispetto di ogni forma di differenza (non solo di genere), perché insegna che la differenza, in tutte le sue accezioni, non ha gerarchie, è un arricchimento e non rappresenta un ostacolo alla crescita e all’apertura verso l’altro.
Le opinioni delle/degli insegnanti, l’eventuale reiterazione di luoghi comuni e pregiudizi, l’utilizzo di sussidi (libri di testo in primis) discriminanti o critici risultano elementi decisivi nelle relazioni con alunni e alunne, ne legittimano l’accesso ai saperi e di conseguenza alle professioni, con tutto ciò che questo implica in termini di possibilità di autodeterminazione, libertà di scelta e di carriera9
Se ci addentriamo all’interno della relazione tra docenti curriculari e studenti, affinché si possa adempiere a questa funzione fondamentale è importante che gli insegnanti (tralasciando qui le figure istituzionalizzate per l’orientamento) siano consapevoli, competenti, riflessivi
Consapevoli che l’educazione al genere10 è condizione necessaria per impedire la reiterazione di disparità, squilibrio e violenza di genere, e che dovrebbe essere impartita dalla più tenera età (scuola dell’infanzia) poiché proprio durante quest’epoca di sviluppo si formano e si consolidano le nozioni sul genere.
Competenti perché ciò che spesso manca più della consapevolezza è una formazione specifica che permetta di acquisire le necessarie competenze sul tema delle differenze; ne deriva la
necessità di prevedere percorsi formativi per docenti e educatori di ogni ordine e grado scolastico, affinché possano essere preparate e preparati a gestire la crescente complessità e a educare le giovani generazioni al riconoscimento della parità tra i generi11.
Riflessivi perché rielaborando in pensiero la propria esperienza biografica (i vissuti e il sé, che diversamente rimarrebbero impensati) – ricercando un contatto con sé stessi e prendendo atto di ciò che si vive, possono farsene carico e diventare responsabili dell’accrescimento del loro e altrui sapere.
Perché non ci sono più i maestri
Secondo le recenti statistiche 12 gli uomini insegnanti, già in netta minoranza, sono diminuiti ulteriormente nel corso degli ultimi anni, rappresentando nelle scuole dell’infanzia e primaria rispettivamente l’1% e poco più del 3%.
Le motivazioni risiedono nella bassa retribuzione e nell’(ulteriormente) ridottosi prestigio sociale, ma non solo: anche in questo caso pregiudizi, valori eteronormativi e stereotipi (i maschi non sarebbero “bravi” come le donne nei lavori di cura, a cui l’insegnamento nei segmenti educativi che riguardano i primi anni di vita è equiparato) influiscono sulla scelta di non intraprendere questo tipo di studi e percorsi professionali. Agisce qui ancora il mito dell’autonomia e della realizzazione maschile, che implica che gli uomini siano più attenti alla cura del sé che dell’altro.
Eppure, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, il “Comitato pari opportunità” operante presso il Ministero della Pubblica Istruzione elaborava un progetto di «Educazione alla cura» i cui fini erano relativi a un mutamento delle relazioni fra i generi e alla trasformazione dei rapporti tra pari a scuola. Tale progetto ebbe, però, una diffusione modesta e scomparve, forse perché i tempi non erano ancora maturi, e forse non lo sarebbero neppure oggi, in un’epoca in cui la società moderna svilisce il valore della cura, considerata da destinarsi a donne improduttive e prive di prestigio sociale, nonostante essa sia fulcro della società.
Si crea, inoltre, un sistema per cui non avendo modelli maschili di riferimento nel corpo docente maschile, non si instaura nei ragazzi la consapevolezza delle loro capacità/possibilità di prendersi cura degli altri13. Questo dato è confermato anche dalla ricerca condotta da Biemmi e Leonelli (2017) in cui ragazzi che hanno scelto carriere non conformi al proprio genere, ritengono che a spingerli verso questa direzione siano stati modelli maschili incontrati nei vari contesti di educazione formale e informale (maestri, educatori, capi scout ecc.).
Quali soluzioni per i docenti?
Per uscire dal determinismo di genere che ancora influenza le scelte formative, le e i docenti dovrebbero però innanzitutto recuperare ottimismo e fiducia nel loro ruolo sociale di promozione delle pari opportunità, e successivamente avviare un’analisi – nel proprio foro interiore – dei valori, degli atteggiamenti, degli stereotipi rispetto all’identità di genere di cui si possono essere portatrici e portatori inconsapevoli14.
È necessario che le e i docenti acquisiscano le competenze per orientare, anche ripercorrendo la propria biografia, rielaborando i propri vissuti, condividendoli con gli altri e le altre e «aprendosi allo scambio con il diverso affinché ognuno sia testimone del proprio percorso e dei saperi che rappresentano il proprio patrimonio personale»15; si può insegnare e imparare a scegliere con consapevolezza rivelando i pregiudizi che ognuno ha interiorizzato nonché attraverso l’autonarrazione, esplicitando il proprio percorso di formazione e condividendo quegli aspetti della propria biografia che sono stati significativi sotto il profilo del genere, come per esempio le letture, gli incontri, i problemi, i successi ecc.
La cultura tradizionale ha radici difficili da estirpare, e vincola a scelte che spesso non sono libere pur sembrando tali, perché l’identità di ognuno si è formata all’ombra di stereotipi, pregiudizi e aspettative che si ritrovano in tutti i luoghi della vita quotidiana (il curriculo nascosto) e che si impongono su entrambi i sessi.
D’altro canto, per le alunne e gli alunni, l’essere consapevoli che appartenere a un genere può segnare destini differenti permette di entrare in relazione con chi ci ha preceduto, di comprendere che si può avviare un proprio progetto di vita e che i destini assegnati possono trasformarsi, di avviare percorsi di individuazione (o percorsi di sviluppo personale) per costruire il proprio futuro; l’appartenenza al genere diventa così base conoscitiva iniziale per scegliere percorsi di individuazione (o percorsi di sviluppo personale) che partano dal prendersi cura di sé, perché i cambiamenti individuali esistono in relazione al mutare collettivo di culture e ruoli di genere.
NOTE
1. Si veda sul sito del ministero: https://www.miur.gov. it/-/pnrr-il-ministro-valditara-ha-firmato-le-linee-guida-per-l-orientamento-scolastico.
2. Si veda l’Allegato B della nota 2790 dell’11 ottobre 2023.
3. Per un approfondimento sul tema si rimanda a S. Ciccone, nello specifico: S. Ciccone, Essere maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino 2009.
4. Su questo tema sono di fondamentale importanza i testi di Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine. L’in-
fluenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano 1973; di A. Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana (1986) e Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) – Presidenza del Consiglio dei ministri; di L.Irigay,Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991.
5. Riguardo a questo tema cfr. I. Biemmi, Educazione sessista: Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, Torino 2017 (disponibile all'indirizzo: https://books.openedition.org/res/4626), e Progetto Polite: https:// www.aie.it/Portals/38/Allegati/CodicePolite.pdf.
6.Tra gli altri: https://eige.europa.eu,www.weforum.org, www.oecd.org.
7. I. Biemmi, B. Mapelli Pedagogia di genere. Educare ed educarsi a vivere in un mondo sessuato, Mondadori, Milano 2023.
8. Si veda https://www.miur.gov.it/-/scuola-pubblicati-i-dati-definitivi-sulle-iscrizioni-al-nuovo-anno-scolastico.
9. E. Musi, A scuola di pari opportunità. il sistema scolastico: un circuito decisivo –ma trascurato– per educare al rispetto dell’identità e della differenza di genere, in «Raudem - Revista de Estudios de las Mujeres», Vol. 3, 2015.
10. Cfr. C Gamberi, M. G. Maio, G. Selmi, Educare al genere, Carocci, Roma, 2010; le autrici propongono una distinzione tra educazione di genere – nel senso di assunzione di un’ottica sessuata e adozione di una metodologia basata sul riconoscimento della differenza sessuale – ed educazione al genere – nel senso di decostruzione degli stereotipi e di elaborazione del vissuto personale in relazione a quello collettivo.
11. V. Guerrini, L’educazione alla parità di genere nella formazione dei docenti. L’esperienza del Progetto europeo “Generi alla pari a scuola”, in «Annali online della Didattica e della Formazione Docente», Vol. 14, n. 23/2022, pp. 113-127.
12. Fonte: MIUR, si veda: https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/catalogo/elements1/leaf/?area=Personale%20Scuola&datasetId=DS0600DOCTIT.
13. A onor del vero, da qualche anno anche gli uomini si riconoscono delle qualità di cura, soprattutto nei campi di paternità.
14. M. S. Sapegno, La differenza insegna. La didattica delle discipline in una prospettiva di genere, Carocci, Roma 2014. 15. Si veda Saperi irrinunciabili, in M. Zambrano, El sueño creador, Turner, Madrid 1986.
Giovanna Di Stefano
è docente di scuola secondaria a Palermo. Si è occupata di contrasto alla dispersione scolastica e di discriminazione; attualmente sta svolgendo un dottorato sull’orientamento formativo di genere presso l’Università Kore di Enna.
Il counseling filosofico: una strategia metodologica per l’orientamento formativo
La filosofia offre importanti contributi teorici e concettuali in termini di esplorazione del sé, di strumenti per la critica e la decostruzione degli stereotipi, di elaborazione di possibili paradigmi esistenziali. L’approccio illustrato in questo articolo attinge alla tradizione filosofica per proporre un modello di relazione di aiuto e di consulenza che ha per obiettivo lo sviluppo delle life skills, competenze fondamentali per co-costruire in classe percorsi di orientamento efficaci.
diRebecca Impellizzieri
Le più recenti Linee guida ministeriali relative all’orientamento sottolineano la natura sistemica, integrata e continuativa che i processi orientativi dovrebbero assumere come condizione della loro stessa efficacia; come osserva Federico Batini, l’orientamento ha come obiettivo la promozione dell’empowerment, ossia dello sviluppo dell’autoefficacia della persona.
Gli approcci all’orientamento formativo possono essere molteplici, ma non tutto ciò che ha a che fare con il potenziamento delle competenze personali costituisce di per sé “orientamento”. Per parlare di “orientamento”, le pratiche di ascolto, consulenza,reperimento e attivazione delle risorse interiori dovrebbero essere collocate nell’ambito di una progettualità esplicita: il fine deve essere dichiarato ed è importante che siano sottolineati i passaggi della metodologia applicata, perché il processo di auto-esplorazione diventi consapevole e si possa così effettivamente parlare di auto-orientamento.
Vi sono molte strategie possibili per fare orientamento a scuola, che fanno riferimento ad ambiti disciplinari diversi, come ad esempio la letteratura o la storia, e da questi ambiti specifici attingono strumenti trasversali: una tra le possibili è il counseling filosofico. Secondo la definizione di Lodovico Berra, psichiatra, psicoterapeuta, counselor filosofico e direttore della Scuola di Specializzazione di Torino, il counseling filosofico è un intervento di aiuto all’individuo, finalizzato alla risoluzione di problemi esistenziali attraverso l’uso di metodi di pensiero, di ragionamento e di analisi di tipo filosofico. In analogia alla maieutica socratica, il counselor filosofico stimola i processi di pensiero logici e razionali del soggetto, agendo con una funzione di chiarificazione e di facilitazione, tesa alla risoluzione o alla risposta a domande o problemi dell’esistenza. Questo avviene utilizzando le personali risorse dell’individuo, che devono essere attivate e condotte.
La metodologia del counseling filosofico di ispirazione esistenzialista offre una cornice teorica e
strumenti metodologici per lavorare in particolare sull’attivazione delle life skills il cui sviluppo, come vedremo, è implicato e sollecitato nell’ambito dei processi di orientamento. Tre concetti operativi risultano particolarmente efficaci: la visione del mondo, il progetto esistenziale, il pensiero condiviso.
Il concetto di “visione del mondo” assume fondamentale importanza nell’ambito del counseling filosofico. Per una nutrita corrente di pensatori, l’esplorazione e chiarificazione della visione del mondo personale, unica e irripetibile in ciascuno, rappresentano l’obiettivo principale di una consulenza di tipo esistenziale. Ma che cosa si intende per “visione del mondo” (Weltanschauung)? Si tratta di una sorta di rete, costituita da pensieri, credenze, modi di vedere il mondo e attribuirgli significato, che costruiamo e continuiamo incessantemente a tessere nel corso della nostra esistenza. Alla base di qualsiasi nostra scelta e del modo in cui ci approcciamo alle diverse situazioni e sfide poste dalla vita quotidiana vi è un sistema di coordinate, una sorta di mappa delle idee e dei valori, della quale possiamo essere più o meno consapevoli.
Ogni problema e questione necessita di essere letta e interpretata alla luce della visione del mondo di ciascuno, ossia della concezione che una persona ha di sé stessa, del mondo e del significato della propria esistenza.Attraverso un’indagine che ha nella domanda il suo strumento fondamentale, la persona può maieuticamente «partorire» la propria visione del mondo e diventarne consapevole.
L’autoconsapevolezza è una delle life skill indicate dalle Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e «comprende il riconoscimento di noi stessi, del nostro carattere, dei nostri punti di forza e delle nostre debolezze, desideri e preferenze» (Educazione alle life skills per bambini e adolescenti nelle scuole, 1994). Nei termini del counseling filosofico, l’autoconsapevolezza coincide con la conoscenza della propria visione del mondo. Diventando consapevole della propria visione del mondo, l’individuo apprende a essere autonomo e in grado di affrontare conflitti e crisi esistenziali, acquisendo sempre maggiore fiducia in sé stesso.
La visione del mondo personale è composta da una serie di “pezzi” di natura diversa: da un lato, idee ereditate in modo acritico dall’educazione e rafforzate da valori frutto di costruzione sociale; si pensi anche al ruolo delle piattaforme e dei social network nel plasmare oggi l’immaginario di studenti e studentesse. Dall’altro, da giudizi che ci rispondono e ci corrispondono in modo diverso, ossia che siamo in grado di fondare e argomentare in modo autentico, coerente con la nostra “filosofia personale”. Il contrasto tra le diverse parti che compongono la visione del mondo può generare un senso di contraddizione ed essere alla base di aspetti cruciali e irrisolti. Si rivela allora necessario
compiere un lavoro ermeneutico sui pregiudizi interiorizzati o bias cognitivi che agiscono in noi inconsapevolmente, attivando un’altra importante life skill, ossia il pensiero critico.
Il pensiero critico è «la capacità di analizzare informazioni ed esperienze in modo oggettivo. Il pensiero critico può contribuire alla salute aiutandoci a riconoscere e valutare i fattori che influenzano gli atteggiamenti e i comportamenti, come i valori, la pressione sociale e i mezzi di comunicazione» (OMS, 1994). Il filosofo Ran Lahav invita a uscire dalla propria «caverna di Platone», intesa come il perimetro di idee, convinzioni, presupposti che ci condizionano senza che ce ne rendiamo conto. La nostra tendenza usuale è quella di vivere in uno stato superficiale, ma la possibilità di una trasformazione che ci porti da questo a un modo di vivere più pieno e profondo è un tema portante di quelli che Lahav definisce i «filosofi della trasformazione». I filosofi della trasformazione, tra i quali Nietzsche e Rousseau, descrivono il nostro stato superficiale come governato da schemi rigidi di comportamento, di pensiero, di desiderio, di emozione. Questi schemi sono il risultato di potenti meccanismi psicologici o sociali che operano dentro di noi, che conducono a modi di essere riduttivi e sono distaccati dalla pienezza della nostra vera realtà1. L’orientamento è, o dovrebbe essere, prima di tutto un processo di trasformazione.
Potremmo chiederci a questo punto quale sia il ruolo delle emozioni nell’ambito di un paradigma epistemologico che assuma come centrale il lavoro sul pensiero: il counseling filosofico si applica principalmente alle idee che compongono la visione del mondo, ma così facendo agi-
sce anche sulle emozioni, facendo propria la teoria neostoica elaborata da Martha Nussbaum, nell’opera L’intelligenza delle emozioni2. Si tratta di una teoria ricca e ampia, che tiene conto della complessità delle emozioni, attingendo ai lavori di ricerca della psicologia e dell’etologia. La tesi centrale sostenuta dalla filosofa è che le risposte emotive agli eventi che ci provocano sofferenza e confusione abbiano spesso alla loro base una serie di giudizi normativi, in cui si mescolano molto facilmente le proprie credenze con quelle ereditate o frutto di convenzioni sociali. Un esame razionale dei giudizi a esse sottostanti può aiutare ad affrontare il problema e a individuare le risposte cercate nell’ambito della propria visione del mondo.Anche le emozioni, quindi, possono essere analizzate in termini di idee che compongono la nostra visione del mondo. Ad esempio, il senso di colpa per una scelta o desiderio diversi da ciò che vorrebbero i nostri genitori per noi può basarsi su una precisa idea o concezione di “famiglia” come luogo armonico e immune da conflitti profondi, idea che può essere sottoposta a un preciso esame razionale proprio partendo da una concettualizzazione: “Che cos’è per te la famiglia? Quali ne sono i valori fondanti?”.
Alcuni teorici, come Gerd Achenbach, individuano la natura essenziale della consulenza proprio nell’investigazione critica, ossia nella messa in discussione del perimetro di valori e credenze della persona, allo scopo di “fare pensiero”, decostruendo stereotipi e individuando fallacie di ragionamento e aporie. In questo senso, il consulente avrebbe come obiettivo quello di suscitare dubbi, “mettere alla prova” in forma di domanda. Un diverso filone della consulenza filosofica individua invece il ruolo del consulente non tanto nella messa in discussione di valori fuorvianti della persona o nell’individuazione di contraddizioni o aporie, quanto nella chiarificazione delle idee e del processo di pensiero. La funzione principale del consulente diviene in questo caso la “restituzione” ossia il momento in cui egli riporta i concetti espressi dal suo interlocutore all’interlocutore stesso, in modo sistematico ed esplicitando nessi e connessioni. Su questa base, lo studente/studentessa potrà poi portare avanti in autonomia una valutazione critica, ma questa è affidata a lui/lei.
Entrambe le procedure sono condotte attraverso il dialogo, il cui obiettivo principale è fare in modo che lo studente o studentessa divenga autoriflessivo/a, ascoltando in primo luogo sé stessa.
Nell’opera Teoria e pratica del counseling filosofico3 , Peter Raabe individua quattro possibili varianti della tecnica dialogica:
1) L’approccio socratico, per cui si pongono domande che non conducono a una particolare conclusione né suggeriscono un particolare punto di vista. Si ritiene che questo approccio aiuti a svilup -
pare un’attitudine riflessiva e quindi a maturare autoconsapevolezza e competenza di risoluzione dei propri stessi problemi o questioni irrisolte.
2) Lo scambio basato sul principio dell’“uguaglianza delle opinioni”: in questo scambio il consulente/docente non si limita nell’esprimere le proprie opinioni, ma le mette sul piatto in modo non direttivo,considerandole parte di uno scambio tra pari. L’idea di fondo è che, presentando la propria opinione come personale, e non come quella corretta, si stimoli lo studente o la studentessa a definire meglio il proprio punto di vista, argomentando e confrontandolo con delle alternative. In questo tipo di dialogo esiste la possibilità che entrambi gli interlocutori giungano a revisioni e chiarificazioni relative alla propria visione del mondo.
3) Il dialogo asimmetrico: sebbene in generale, nel supporto ai processi di orientamento, l’insegnante sia chiamato a porsi come consulente, perciò a servizio dello studente/studentessa, il suo ruolo può assumere connotazioni di maggiore partecipazione in senso direttivo qualora lo studente gli richieda informazioni relative ad approcci e teorie per orientarsi, o quando l’insegnante stesso percepisca come essenziale offrire informazioni supplementari per la risoluzione del problema.
4) La discussione in gruppo, che può essere svolta attraverso diverse pratiche filosofiche, come il Dialogo socratico, il Dilemma Training, la Philosophy for children. Il consulente/docente in questo caso può assumere il ruolo di facilitatore, che non partecipa alla discussione del gruppo classe, oppure avere un ruolo più attivo o ancora intervenire con un intento pedagogico.
Il dialogo non risponde solo alla necessità di risolvere un problema urgente e immediato: apre la porta all’acquisizione di un atteggiamento filosofico verso sé stessi e verso il mondo.È importante sottolineare questo aspetto anche per ribadire la necessità di non limitare l’azione orientativa ai momenti cardine decisionali, vissuti come problemi urgenti da risolvere. In questo senso, Lou Marinoff afferma che le persone
indirizzate nella loro filosofia personale […] sono in grado di elaborare un contesto dentro il quale affrontare le questioni del momento e quelle future con un più solido fondamento 4
Il lavoro di chiarificazione e revisione della visione del mondo è preliminare all’elaborazione del progetto di vita, che, nei termini del counseling filosofico di ispirazione esistenzialista,si definisce progetto esistenziale: una sorta di mappa o disegno, all’interno del quale possono essere inseriti gli obiettivi a medio e lungo termine. Il progetto esistenziale corrisponde in qualche modo al senso
della nostra vita; lo psichiatra e filosofo Michele Torre teorizza e approfondisce questo concetto nel saggio Esistenza e progetto, in cui afferma:
con la dizione “progetto esistenziale” intendo dire ciò che l’uomo vuol fare di se stesso nel mondo; [...] dunque progetto esistenziale è la scelta di se stesso.5
La nostra direzione di vita risente dei significati che attribuiamo al mondo e alla vita stessa; in questo senso visione del mondo e progetto esistenziale sono reciprocamente connessi. In Essere e tempo, Heidegger analizza le strutture fondamentali dell’esistenza dell’esserci. Da questa analisi emerge come l’essenza dell’esserci consista nell’aver-da-essere, ossia nella possibilità di essere sé stesso, di diventare sé stesso. L’esserci è “gettato” nel mondo delle possibilità e l’uso della forma passiva da parte di Heidegger fa riferimento al fatto che non solo abbiamo “possibilità di” ma siamo anche “obbligati a” progettare, non possiamo stare fermi. Siamo costretti a scegliere. Anche non scegliere è una scelta.
L’esserci dell’individuo ha per Heidegger nell’“avanti a sé” un momento primario e costitutivo: in questo senso, è sempre in cerca di qualcosa che manca, che lo completi, e questa incompletezza determina la sua costante proiezione verso il futuro. Osserva ancora Michele Torre:
una delle determinazioni del progetto esistenziale, che lo accomuna al modo d’essere, con cui probabilmente in generale ci si identifica, è che non ha mai fine sin che l’esserci esiste. Non potrebbe essere altrimenti. Se il progetto esistenziale avesse un termine, l’uomo a quel punto sarebbe senza futuro e dovrebbe ripiegare, per proteggersi dall’inevitabile angoscia, su difese inautentiche o patologiche.6
L’assenza di una prospettiva futura può evolvere verso una forma di depressione esistenziale, dal momento che non possiamo esistere senza futuro (si pensi a quella causata oggi, ad esempio, dalla così detta “eco-ansia”, in cui a essere in gioco è l’assenza di futuro del pianeta stesso): la nostra vitalità consiste proprio nella proiezione verso l’avanti, nella progettualità. Come osserva Lodovico Berra, l’individuazione di una direzione della propria vita (nella forma di un macro progetto e di micro progetti con esso coerenti) è di per sé qualcosa che offre serenità, stabilità, senso. Quella relativa al senso della nostra vita può essere infatti considerata la domanda filosofica per eccellenza; una vita priva di senso, di significato, è viceversa davvero difficile da vivere7. In questo senso, il lavoro della docente che si occupa di orientamento si concentra principalmente sulla dimensione temporale del futuro: la docente può approfondire elementi della storia della studentessa o dello studente, ma è fondamentale individuare la direzione verso la quale si vuole camminare.
Ma come individuare lo slancio individuale, il “verso-dove” autentico, rispetto alle tante spinte ad agire, ad apparire, a performare che sono invece il risultato di pressioni esterne (famigliari, sociali, ecc.)? Già Rousseau, nel Discorso sull’origine e il fondamento della disuguaglianza tra gli uomini, osservava che «l’uomo della società, sempre al di fuori di sé, sa vivere unicamente dell’opinione degli altri ed è (...) soltanto dal loro giudizio che egli trae il sentimento della propria esistenza»8.
Le dinamiche sociali, competitive e conflittuali, spingono l’individuo a estraniarsi da sé stesso e a costruire una falsa immagine di sé. Pur cogliendo bene, come molta parte della filosofia moderna, la scissione dell’io generata dal bisogno di apparire, Rousseau presuppone però l’unità e l’integrità
← © Mananya Kaewthawee/ iStockphoto.
dell’Io originarie, che non sono mai completamente perdute, ma che anzi costituiscono il fondamento che rende possibile un recupero dell’autenticità. Al concetto di amor proprio, inteso come spinta ad apparire e a primeggiare snaturandosi, è contrapposto quello di amore di sé, in cui
diventare se stessi (...) richiede una distanza critica dall’esistente e dal proprio Io in quanto complice più meno consapevole dell’esistente. (...) L’interiorità non è un’evidenza immediata, bensì la meta finale di un difficile percorso di autoconoscenza.9
Pur muovendosi nell’ambito di un paradigma concettuale e semantico molto diverso, Heidegger giunge a una conclusione analoga: siamo “gettati” in un mondo di possibilità, ma proprio la possibilità è condizione necessaria della scelta, ciò che fa sì che il progetto possa effettivamente risultare autentico; il progetto è autentico quando definisce l’identità della persona, è scelto in sintonia con il suo modo di essere e questo presuppone che sia possibile una scelta.
L’inautenticità consiste invece nel fatto che l’Esserci si pone sul piano della semplice presenza, nel modo del “si” inautentico, il “si dice”, “si fa” impersonale, capace di offrire, attraverso risposte e valori precostituiti, una sorta di tranquillità rassicurante. Scegliere è faticoso, mentre seguire un percorso già tracciato perché “si è sempre fatto così” è rassicurante, riduce i conflitti esterni ed interiori; ma la strada per l’autenticità non può prescindere da questa fatica e si rivela la più appagante sul lungo periodo.
La scelta autentica non può escludere l’altro, ma al contrario si basa sul riconoscimento del ruolo che l’altro può assumere nel proprio progetto di vita. Si pensi ad esempio, nel caso di studenti e studentesse, ai genitori. Esiste spesso il rischio che i genitori carichino i figli e le figlie del pesante fardello di costituire il loro proprio progetto esistenziale. Nel saggio Fissando il sole, lo psicoterapeuta esistenzialista Irvin Yalom racconta il caso di Susan. Susan percepisce una crisi nella vita del figlio adulto come un terribile affronto personale, che la logora e la affligge in modo apparentemente spropositato. Racconta Yalom:
le descrissi come, per molti genitori, i figli spesso rappresentino un progetto d’immortalità. Questa idea risvegliò il suo interesse. Riconobbe che aveva sperato di estendersi nel futuro attraverso George, ma che adesso sapeva che avrebbe dovuto rinunciare all’idea. “Non è abbastanza solido per una cosa del genere” disse. “Esiste un figlio abbastanza solido per una cosa del genere?” chiesi. “E, quel che più conta, George non ha mai preso un impegno in tal senso… ed è per questo che il suo comportamento, la sua ricaduta, non hanno nulla a che fare con lei. 10
L’illusione di essere “genitori onnipotenti”, in grado di sconfiggere la morte e proiettarsi nel futuro attraverso i propri figli in misura più o meno consapevole, porta a porre al centro il figlio e a farlo diventare il proprio progetto di vita: questa soluzione inautentica è spesso la spia dell’assenza di un proprio progetto esistenziale e alimenta un circolo vizioso di genitori insoddisfatti e figli sovraccaricati di aspettative. In questo senso può essere di stimolo far riflettere studenti e studentesse sul ruolo che l’altro, in particolare i famigliari, sta assumendo nel loro progetto di vita, per evitare che questo provochi “tappi” o forzature a energie che naturalmente sarebbero portate a incanalarsi altrove.
Se mettere a fuoco il proprio progetto di vita significa tracciare delle strade, individuare un macro percorso e dei micro percorsi ad esso coerenti, vediamo come ad essere attivata sia ancora una importante life skill, decision making, ossia la capacità di prendere decisioni consapevoli, scegliendo tra due o più alternative. Quando riflettiamo su che cosa voglia dire prendere una decisione ci concentriamo sempre sulla scelta intrapresa e non su tutte le altre, le scartate. Ma prendere una decisione implica chiudere la porta ad altre strade, rinunciare a delle parti di sé a favore di altre. La consapevolezza di questa situazione genera angoscia, Kierkegaard definisce addirittura “vertigine” la sensazione che l’individuo prova di fronte all’infinità delle possibilità contrapposta alla propria finitezza. Ogni scelta rappresenta una piccola morte a noi stessi, intesi come coloro che avrebbero potuto compiere in quel momento tutte le altre; nella scelta ci sperimentiamo nella nostra finitezza. Con le parole di Yalom,
la scelta è un’esperienza di confine. Non solo ci mette a confronto con il punto fino al quale noi creiamo noi stessi, ma anche con i limiti delle nostre possibilità. Prendere una decisione ci taglia fuori da altre possibilità. [...] Più ci troviamo di fronte ai nostri limiti, più dobbiamo abbandonare il mito di essere persone speciali, di avere potenzialità illimitate, di essere imperituri, immuni alle leggi del normale destino biologico. 11
Prendere decisioni presuppone che si sia condotto l’esame di sé stessi e dei propri pensieri; che si conoscano gli aspetti emotivi legati alla propensione verso una scelta o verso un’altra; che si abbia una buona comprensione di eventuali giudizi normativi “nascosti” dietro le nostre emozioni, per una loro corretta comprensione. Oltre alle competenze più analitiche, di autoconsapevolezza e pensiero critico, che consentono la chiarificazione e la “pulizia” della visione del mondo, nel processo decisionale interviene anche un’altra importante competenza, che si attiva quando immaginiamo gli sviluppi
delle strade che intendiamo percorrere. Il progetto esistenziale di ciascuno è composto dalle possibilità e dall’anticipazione delle possibilità e ciò che rende attuabile questa anticipazione è il pensiero creativo.
Anche nelle Linee guida dell’OMS, si osserva come la life skill “pensiero creativo” «agisca in modo sinergico rispetto alle due competenze Decision making e Problem solving, mettendo in grado di esplorare le alternative possibili e le conseguenze che derivano dal compiere e dal non compiere determinate azioni».Questa competenza di vita rimanda al cosiddetto pensiero “laterale” o “divergente”, un pensiero non lineare, che esplora direzioni e possibilità alternative e dal quale deriva l’elaborazione di nuove idee. Nel saggio Il mito dell’intelligenza, Galimberti sostiene l’importanza di non privilegiare a scuola l’intelligenza convergente, ossia «quella forma di pensiero che non si lascia influenzare dagli spunti dell’immaginazione, ma tende all’univocità della risposta, a cui tutte le problematiche vengono ricondotte».Molto più interessante è «l’intelligenza divergente, tipica dei creativi, capaci di soluzioni molteplici e originali, perché, invece che accontentarsi della soluzione dei problemi, tendono a riorganizzare gli elementi, fino a ribaltare i termini del problema per dar vita a nuove ideazioni».12
Il lavoro di chiarificazione e di elaborazione della visione del mondo e del progetto esistenziale di ciascuno si co-costruisce nel contesto della pratica dialogica, richiamando all’ultimo dei tre concetti operativi enunciati in questo articolo, ossia il “pensiero condiviso”. Il concetto di “pensiero condiviso” emerge come una prospettiva filosofica e pedagogica che pone al centro dell’esperienza umana l’intersoggettività e la costruzione collaborativa del significato. La filosofa contemporanea Marina Santi ne ha esplorato le radici teoriche e le implicazioni pratiche nel saggio Ragionare con il discorso. Il pensiero argomentativo nelle discussioni in classe13.La tesi sostenuta è quella secondo cui la nostra comprensione del mondo non è un processo solitario e individuale, ma piuttosto un’attività condivisa e intersoggettiva. Ciò che pensiamo, conosciamo e crediamo è modellato e influenzato dalle interazioni sociali e dalla comunicazione con gli altri individui. Questo concetto ribalta l’immagine tradizionale del pensiero come un’attività solitaria e autonoma, riconoscendo piuttosto la centralità delle relazioni umane nella formazione delle nostre idee e dei nostri valori. I processi mentali sono fondamentalmente operazioni cognitive che coinvolgono più individui e si distribuiscono tra essi. Pertanto, non possiamo considerare il pensiero di un singolo individuo come un nucleo isolato, separato e costante, ma piuttosto come un insieme di contributi partecipativi. Ogni individuo diviene protagonista di queste azioni di partecipazione in diversi contesti culturali.
Ogni “altro” rappresenta una fonte di sviluppo per le nostre mappe mentali ed un possibile modello. […] Apprendere vuol dire far proprio qualcosa che prima non si aveva, essere diversi da come si era precedentemente […] Se i processi di pensiero sono partecipati la quantità e la qualità del feedback è maggiore, le operazioni mentali vengono meglio controllate e vagliate, il confronto con altri punti di vista può mettere meglio in luce i limiti del proprio 14
L’esperienza dei filosofi greci, delle scuole platoniche, aristoteliche, stoiche è il racconto di un pensare collettivo che ha portato allo sviluppo di nuove idee e alla trasformazione di chi le ha elaborate. In questo senso, il pedagogista russo Vygotskij considera la famiglia e la scuola “laboratori culturali” per eccellenza, ossia “ambienti sociali specificamente predisposti per modificare il pensiero” e per operare in esso cambiamenti, in altre parole: per fare orientamento.
NOTE
1. R. Lahav, Uscire dalla caverna di Platone. Consulenza filosofica, pratica filosofica e auto-trasformazione, trad. it. di V. Quintabà, Loyev Books, 2017.
2. M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni, trad. it. di R. Scognamiglio, il Mulino, Bologna 2009.
3. P. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica, trad. it di N. Pollastri, Apogeo, Milano 2006.
4. L. Marinoff, Platone è meglio del Prozac, trad. it. a cura di F. S. Sardi, Edizione speciale per GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Roma 2020, p. 13.
5. M. Torre, Esistenza e Progetto. Fondamenti per una psicodinamica, Edizioni Medico-scientifiche, Torino 2015, p. 108.
6. M. Torre, Esistenza e Progetto cit., p. 109.
7. L. Berra, Manuale di Psicoterapia esistenziale, Edizioniuniversitarie.it, 2012.
8. E. Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, Roma 2001, p. 94.
9. Pulcini, L’individuo senza passioni cit., pp. 100-101.
10. I. D.Yalom, Fissando il sole, trad. it. di S. Prina, Neri Pozza Editore, Vicenza 2017. Edizione digitale, posizione 352.
11. I. D. Yalom, Il dono della terapia, trad. it. di P. Costa, Neri Pozza Editore, Vicenza 2014.
12. U. Galimberti, I miti del nostro tempo, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2012, p. 79.
13. M. Santi, Ragionare con il discorso. Il pensiero argomentativo nelle discussioni in classe, Liguori Editore, Napoli 2006.
14. Santi, Ragionare con il discorso, cit., posizione 647 di 2611 nell’edizione digitale.
Rebecca Impellizzieri
è responsabile del settore Orientamento di Loescher Editore, coordinatrice editoriale, counselor filosofica e membro dell’ISFiPP (Istituto Superiore di Filosofia, Psicologia, Psichiatria di Torino).
Enea, eroe dell’orientamento
Come l’esule troiano, le sue peripezie e il suo viaggio possano essere un esempio e un simbolo della conquista di sé.
di Mauro Reali
Poiché nel presente numero trattiamo di «orientamento», immagino che i nostri lettori possano comprendere come chi scrive, cui è affidato il compito di parlare di questioni relative al mondo antico, abbia avuto qualche attimo di incertezza. Eppure – tra le righe delle varie disposizioni normative – non è mancato qualche utile spunto ispiratore, laddove si afferma che «l’orientamento è un processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale culturale ed economico di riferimento» finalizzato a «elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte relative»1. Mi è infatti venuto in mente un bellissimo saggio di Massimo Gioseffi sul viaggio di Enea, nel quale questo studioso afferma che – oltre che una dimensione geografica e temporale – le peripezie marinaresche (e non) dell’esule troiano abbiano quella spirituale della «conquista di sé»2. Ho subito battezzato allora Enea come una sorta di «eroe dell’orientamento»; eroe tanto più caro ai tempi nostri quanto quei suoi percorsi (geografico,temporale,spirituale) non sono né lineari, né semplici, né scontati, ma costellati da errori, dubbi, incertezze.
Perché non Odisseo?
Domanda legittima, quella contenuta nel titolo. In fondo «orientare» e «orientamento» sono termini etimologicamente connessi con «oriente», cioè il punto cardinale donde sorge il sole. E di grandi marinai, esperti nel trovare le rotte, il mito classico ne aveva prodotti almeno due prima di Enea,
cioè Giasone e Odisseo. Soprattutto quest’ultimo era assurto già in antico a paradigma di grande navigatore, se è vero ciò che ha scritto il filologo Joachim Latacz:
Tutto ciò che i marinai nei loro viaggi a volte lunghi pensavano di avere visto, maghi e giganti, ninfe e geni delle acque, tutte le avventure in paesi stranieri e isole lontane che ritenevano di aver superato vittoriosamente, erano state trasferite nel personaggio di Odisseo che era ritornato in patria, scampando a qualsiasi pericolo.3
Non solo. Viaggiando per mare Odisseo aveva avuto modo di mettere alla prova la sua nota métis («astuzia») e di affinare numerose téchnai («arti») per superare ogni ostacolo, costruendo così un personale bagaglio di saperi e competenze che l’Odissea aveva reso pubblico nella forma di «enciclopedia tribale», secondo la ormai nota formula coniata dall’omerista Erick A. Havelock4. In fondo anche per Odisseo – come per Enea – si può parlare di un viaggio spirituale accanto a quello reale, anche se tra le peregrinazioni dei due eroi vi è una differenza sostanziale.Infatti la meta del primo era certa, ben conosciuta, cioè Itaca; così come certo era il ruolo che egli doveva riprendersi, quello di wánax («signore assoluto») della sua isola, marito e padre affettuoso rispettivamente di Penelope e Telemaco, nonché figlio devoto del vecchio Laerte. Insomma, Odisseo – riprendendo la formula un po’ burocratica già citata – non doveva ex novo «elaborare o rielaborare un progetto di vita», come spetterà invece al troiano in fuga dalla patria distrutta: per quest’ultimo infatti non solo era in-
certa – secondo Virgilio – la meta viarum («meta dei lunghi viaggi», Eneide, 3, 714), ma tutti da costruire erano sia il suo futuro ruolo politico-militare (era inizialmente solo il leader di un gruppo di guerrieri sconfitti), sia la sua condizione familiare (era vedovo, con un figlio piccolo e un anziano padre morto durante il viaggio). E nessuno ha descritto meglio tale precarietà di Gian Lorenzo Bernini, con la sua straordinaria, quasi acrobatica, statua Enea, Anchise e Ascanio (1618-19) ora alla Galleria Borghese.
“Ricercate l’antica Madre”
C’è da sperare che i tutor e gli «orientatori» cui i nostri studenti debbono affidarsi siano un po’ meno oscuri dell’oracolo di Delo cui Enea e i suoi compagni – profughi da Troia – si rivolgono per sapere dove «orientare» il proprio viaggio. Virgilio, infatti, fa dire loro dal dio Apollo antiquam exquirite matrem (cioè «ricercate l’antica Madre», Eneide, 3, 96), il che li conduce in un primo tempo sulla rotta sbagliata. Infatti il vecchio Anchise – padre dell’eroe – pensa che l’«antica madre» dei Troiani sia Creta, patria di Teucro, loro presunto capostipite. In realtà si tratta di una «falsa partenza» – secondo la felice definizione di Mario Lentano5 – perché la stirpe troiana discendeva invece da un altro personaggio, Dardano, originario dell’Italia e in particolare dell’Etruria: sono gli stessi Penati di Troia a rivelarlo in sogno a Enea, dopo che a Creta è scoppiata una violenta pestilenza, con queste parole:
Devi mutare la sede. Non sono queste le spiagge che ti accennò il dio di Delo, non a Creta ti ordinò d’insediarti Apollo. C’è un paese – Esperia i Grai la chiamano di nome, – terra antica, potente per armi, ma anche per fertili zolle; gli Enotri l’abitarono; ora è fama che i loro nipoti chiamarono Italia dal nome di un loro condottiero quella nazione. Essa è per noi la nostra propria residenza, di là Dardano discese e Iasio, il padre, prima origine della nostra nazione. (Eneide, 3, vv. 161-168, trad. C. Carena)6
Le tappe di un difficile percorso
Impossibile ora ricordare tutte le tappe che porteranno il Nostro nel Lazio, a fondare quella città – Lavinio – che il mito ha consacrato a embrione della futura potenza di Roma. Però, nell’ottica di quella «conquista di sé» cui si accennava mi pare opportuno segnalarne almeno qualcuna.
Anzitutto la sosta a Butroto (odierna Albania), dove – incontrando Eleno e Andromaca, anch’essi fuggiti da Troia – Enea scopre che si può, si deve, rialzarsi dagli orrori della guerra e costruire una comunità pacifica (Eneide, 3).
Quindi,dopo un primo approdo in Italia sulle coste pugliesi (del quale riparleremo dopo) ecco che in Sicilia l’eroe perde l’amato padre Anchise (Eneide,
3). Il doloroso evento, però, è anche l’inizio di una nuova consapevolezza: egli è ora un leader senza più ombre o tutele, che deve smettere i panni di figlio per assumere quelli carichi di responsabilità di padre del giovane Ascanio. Ad Anchise – pure se morto – spetta comunque ancora un compito importante nell’«orientare» il figlio: l’anima paterna, infatti, gli apparirà nell’Aldilà per predire il glorioso futuro suo e della stirpe cui darà origine (Eneide, 6).
Che dire poi della sosta a Cartagine, dopo il naufragio? Qui Enea è chiamato a scegliere tra le responsabilità di capo e di padre e l’amore per Didone: come sia finita è noto a tutti, e cioè con il suicidio della regina abbandonata (Eneide, 4).
Il senso profondo del viaggio
Da ultimo, Enea avverte che attraversare ancora dolore, lutto e guerra è indispensabile per portare a termine il suo compito; è lo stesso Virgilio però –
↑ Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise, Ascanio (1618-19), Roma, Galleria Borghese (Wikipedia).
↑ Atena Iliaca, statua marmorea trovata a Castro (LE), Museo Archeologico “Antonio Lazzari” di Castro (foto gentilmente concessa dal Museo).
secondo la profonda intuizione del grande studioso Antonio La Penna7, collocabile nel solco delle interpretazioni pessimistiche («pessimistic readings») dell’ Eneide riscontrate da Craig Kallendorf già a partire dall’Umanesimo8 – a non comprendere, addirittura a non giustificare, tutto questo male. Perché la morte di giovani eroi,come Palinuro,Miseno, o – in prospettiva – del mancato Augusto Marcello? Perché sposare Lavinia comporta affrontare la coalizione italica di Turno e ucciderlo, controvoglia, a duello? Ripeto – nonostante le titubanze del suo stesso autore – l’eroe ha accettato il senso di tutto ciò, un senso che non saprei definire meglio di come già ha fatto Massimo Gioseffi:
Una conquista che, prima ancora, e cosa più importante ancora, Enea deve compiere entro di sé e su di sé, convincendosi del ruolo che l’aspetta, con le limitazioni e gli onori che esso comporta. Questa è, a mio parere, la massima novità dell’Eneide, oserei perfino dire il suo maggiore elemento di modernità. Enea deve viaggiare per persuadersi del proprio ruolo, del proprio compito, delle doti che gli consentiranno di portare a termine questo compito, ossia di una virtus che non comporta mirabolanti imprese di gran nome, come pensava all’inizio, ma il labor dell’impegno continuo e controvoglia, per il
bene di tutti. Che è poi la morale che, nel sottofinale del poema (12, 435-440), Enea trasmette al figlio, e con lui al lettore.9
Non è poco, e non è male come messaggio – mi pare – realizzare che il proprio «progetto di vita» consista non già – come è avvenuto per Odisseo –nel ripristinare la propria autorità, ma nel mettersi con umiltà al servizio degli altri; e che il motto «conosci te stesso» inciso sul tempio di Apollo a Delfi sia «orientato» in una prospettiva collettiva e non individuale, e veda in quella la sua piena realizzazione. Anche questo è eroismo.
A margine di Virgilio: due romanzi…
Che le vicende di Enea abbiano ispirato nel tempo letterati, artisti, musicisti etc. è cosa nota a tutti, se è vero che già l’umanista lombardo Maffeo Vegio aggiunse di suo pugno un tredicesimo libro all’Eneide (edito postumo nel 1471)10 nel quale – finalmente – l’eroe celebra uno sfarzoso matrimonio con Lavinia prima di ascendere al cielo.E a nessuno studente liceale è stata risparmiata la lettura di almeno qualche verso del melodramma di Pietro Metastasio Didone abbandonata (1724), nel quale il nostro eroe è ridotto a una meschina “spalla” della coraggiosa regina punica. Gli esempi sarebbero infiniti…
Mi permetto allora solo due brevissimi spunti ultra-contemporanei, a beneficio dei docenti che vogliano arricchire con qualche elemento innovativo la trattazione dell’Eneide nelle loro classi.
Personalmente ho sempre fatto leggere ai miei studenti il bellissimo romanzo di Sebastiano Vassalli, Un infinito numero, Einaudi, Torino 1999 (ora riedito da BUR, Milano 2023, a cura di C. Nesi), che ci propone Enea nelle insolite vesti di violento predone. Ora a questa lettura ho affiancato l’altrettanto interessante libro di Irene Vallejo, Il mio arco riposa muto, Bompiani, Milano 2023 (trad. it. di M. Bedana), nel quale il Nostro è un inquieto pacifista11. Solo un eroe dal percorso così incerto e travagliato poteva avere riletture tanto diverse, in due romanzi che consiglio vivamente a tutti e che trovano di solito un buon gradimento nei giovani lettori.
… e una statua di Minerva
C’è poi un’ultima suggestione, stavolta archeologica, che è contemporanea per modo di dire perché si tratta di una statua del IV secolo a.C. ricomposta da due parti trovate in momenti diversi (2015 e 2022) durante le campagne di scavo condotte da Francesco D’Andria in una struttura templare a Castro Marina, in Salento: è ora conservata nel locale Museo12. Essa raffigura Atena Iliaca (cioè «di Ilio», antico nome di Troia), una divinità di importazione microasiatica, documentata anche da un
bronzetto reperito in loco nel 2008. Possibile, allora, pensare proprio a Castro come luogo ove si coltivava la memoria dello sbarco in Italia di Enea, la sede di quel castrum Minervae («cittadella di Minerva») che apparve ai Troiani dal mare? Direi proprio di sì, alla luce di questi versi di Virgilio:
E già cominciava a rosseggiare di fronte alle stelle fuggenti l’Aurora, quando, lontano, delle oscure colline e una bassa distesa vediamo, l’Italia. “L’Italia!” per primo grida Acate, “Italia” è dei compagni il lieto saluto. Allora il padre Anchise un grande cratere d’una corona avvolse, lo riempì di vino puro e gli dèi invocò, ritto all’estremità della poppa: “O dèi del mare e della terra, signori delle tempeste, procurateci la via col vento, facile, e soffiate favorevoli!”
S’intensificano i bramati soffi dell’aria e il porto si allarga via via, già più vicino, e il tempio appare sulla cittadella di Minerva. Le vele raccolgono i compagni e le prore volgono verso la spiaggia. Il porto sotto la spinta d’euro i flutti hanno incurvato ad arco; incontro spumeggiano agli spruzzi salini gli scogli, ma quello si nasconde: lanciate come braccia due muraglie gemelle di rocce turrite, e ritratto lontano dalla spiaggia il tempio . (Eneide , 3, vv. 521-536, trad. C. Carena).
In fondo anche qui parliamo di «orientamento», perché quella rocca fu per i mitici marinai troiani un segnale orientativo della “terra promessa” cui aspiravano, e il testo virgiliano ha invece «orientato» gli archeologi a scavare proprio lì e scovare tanta bellezza. Sì, con l’Eneide in mano – per così dire – si sono trovati il tempio di Castro Marina e la statua di Atena-Minerva, proprio come Heinrich Schliemann scoprì Troia sulla scorta dei versi di Omero. Ed è proprio la menzione di Troia, città da cui Enea era partito – diventando, da principe che era, «straniero»13 – che mi suggerisce di terminare il mio contributo, che spero possa «orientare» qualcuno a ripensare questo personaggio in una prospettiva che forse non è del tutto scontata.
NOTE
1. Queste definizioni provengono dal D.M. 328 del 22.12.2022 nel quale si cita un documento del 2012 condiviso da Governo, Regioni ed Enti locali.
2. M. Gioseffi, I luoghi e le simbologie del viaggio di Enea, in «Atti del XX Certamen Vergilianum», 22 aprile 2016, Nocera Inferiore, Paolo Loffredo Editore, Napoli 2017, pp. 31-52.
3. J. Latacz, Omero. Il primo poeta dell’Occidente, Laterza, Roma-Bari 1990 (con numerose riedizioni), p. 134.
4. Il concetto è ribadito spec. in questo libro, recentemente riedito: E. A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, Laterza, Roma-Bari 2022.
5. M. Bettini - M. Lentano, Il mito di Enea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Einaudi, Torino 2013, spec. pp. 134-143.
6. Le traduzioni virgiliane derivano da: Publio Virgilio Marone, Opere, a cura di Carlo Carena, Utet, Torino 1971
(l’ebook dell’Eneide è del 2015).
7.A. La Penna, L’impossibile giustificazione della storia. Un’interpretazione di Virgilio, Laterza, Roma-Bari 2005.
8. C. Kallendorf, The Virgilian Tradition. Book History and the History of Reading in Early Modern Europe, Routledge, London and New York, 2007.
9. Gioseffi, I luoghi, cit., p. 43.
10. Una recente edizione è: M. M. Fidanza (a cura di), Il Supplementum all’Eneide di Maffeo Vegio. Testo, traduzione e commento, «Asterischi di Anazetesis» 6 (2013), Pacini Editore, Pisa.
11. Dei due libri ho già scritto sulla versione online di questa rivista: https://laricerca.loescher.it/a-ciascuno-il-suo-enea-romanzesco/.
12. Ho visto la statua nel gennaio 2023, quando il secondo “pezzo” era ancora in restauro, come scrivo qui: https:// laricerca.loescher.it/nel-salento-classico/.
13. Su questo concetto insiste G. Guidorizzi, Enea, lo straniero Le origini di Roma, Einaudi, Torino 2020.
↑ Odisseo, testa marmorea da Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga (da Wikipedia).
Mauro Reali
docente di liceo, dottore di ricerca in Storia Antica, è autore di testi Lœscher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e direttore responsabile de «La ricerca».
Il counselor scolastico negli USA
Nel corso dell’ultimo secolo il ruolo dei consulenti scolastici negli Stati Uniti è passato dall’orientamento professionale all’abbracciare ogni aspetto della vita studentesca. Questa espansione delle responsabilità non è stata supportata da un incremento proporzionale delle risorse, costringendo i consulenti a fronteggiare una pressione senza precedenti.
di Francesca NicolaContrariamente alla varietà di interventi e alla mancanza di una figura con un ruolo definito nel sistema scolastico italiano, il panorama educativo statunitense si distingue per un approccio consolidato al counseling . Gli school counselor americani rappresentano una componente imprescindibile del sistema educativo, assumendo un ruolo vitale nel guidare gli studenti attraverso il loro iter formativo. Questi specialisti dell’orientamento forniscono un contributo essenziale non solo per il progresso scolastico, ma svolgono anche un ruolo fondamentale nel supportare lo sviluppo sociale ed emotivo degli studenti, affiancandoli in ogni fase della loro crescita personale e scolastica.
Supporto accademico
Il primo e forse più ovvio dei compiti di uno school counselor è fornire un supporto scolastico. Questo si traduce nella guida della scelta dei corsi, assicurandosi che corrispondano alle attitudini, capacità e aspirazioni di ogni studente. Attraverso la pianificazione individuale, gli school counselor lavorano per massimizzare le potenzialità degli alunni, aiutandoli a definire e raggiungere i loro obiettivi scolastici.
Orientamento professionale e post-secondario
Orientare gli studenti verso le opportunità future è un altro aspetto fondamentale del ruolo degli school counselor , i quali mettono a disposizione degli studenti strumenti e risorse per navigare nel mare delle opzioni post-diploma, siano esse l’accesso all’istruzione superiore, l’entrata nel mondo del lavoro o il servizio militare. Il loro supporto è cruciale nell’assistere gli studenti nella comprensione delle molteplici vie a loro disposizione e nel prendere decisioni consapevoli in merito al loro percorso professionale futuro.
Supporto emotivo e sociale
Uno degli aspetti meno immediatamente percepibili ma altrettanto fondamentali del lavoro degli school counselor è il loro ruolo nel nutrire il benessere emotivo e sociale degli studenti. Questi professionisti dovrebbero fornire un ambiente protetto in cui gli studenti possono liberamente discutere le proprie preoccupazioni, affrontare questioni personali o relazionali e intraprendere un percorso di crescita personale. Gli school counselor si dedicano a offrire consulenze mirate e, se necessario, orientano gli stu-
denti verso risorse più specialistiche per un supporto a lungo termine, assicurando così una rete di sicurezza emotiva che favorisce l’equilibrio psico-sociale nell’ambiente scolastico.
Sviluppo delle competenze di vita
Impartire competenze vitali per la vita quotidiana rappresenta un’ulteriore area di impegno per gli school counselor.Tra queste competenze figurano la gestione efficace dello stress, la risoluzione dei conflitti, lo sviluppo di abilità decisionali e la comunicazione assertiva. Queste abilità sono considerate imprescindibili per il successo personale e professionale degli studenti e vengono trasmesse attraverso workshop interattivi, sessioni di gruppo e programmi mirati, con l’obiettivo di equipaggiare i ragazzi degli strumenti necessari per affrontare con fiducia le sfide del quotidiano.
Promozione della salute mentale
Promuovere la consapevolezza e il sostegno riguardo alla salute mentale costituisce un aspetto sempre più essenziale del mandato degli school counselor. Essi devono farsi promotori dell’importanza di riconoscere e affrontare i problemi di salute mentale, provvedendo assistenza diretta agli studenti e facilitando l’accesso a risorse adeguate. Collaborando strettamente con altri specialisti, sono chiamati a lavorare alla creazione di reti di sostegno che possano intervenire efficacemente a favore del benessere psicologico della comunità studentesca. Ad esempio, lavorando in collaborazione con il personale scolastico, gli school counselor aiutano a implementare programmi per promuovere un ambiente scolastico sicuro e inclusivo, affrontando tematiche quali il bullismo e la violenza.
Collaborazione con famiglie e comunità
Una componente cruciale dell’opera degli school counselor è il loro ruolo di mediatori tra le istituzioni scolastiche e le famiglie degli studenti. Mediante incontri programmati e una comunicazione costante, lavorano a stretto contatto con le famiglie per favorire il successo scolastico e personale degli studenti. Questo dialogo continuo dovrebbe contribuire a creare un ambiente educativo collaborativo, tale da valorizzare il coinvolgimento familiare come risorsa fondamentale nel percorso di crescita degli alunni.
La preparazione dello school counselor
Per adempiere a un incarico così fondamentale, la preparazione richiesta per questi professionisti è estesa e articolata, combinando formazione accademica avanzata con competenze interpersonali e professionali.
La formazione di base per uno school counselor inizia tipicamente con un Bachelor’s degree (laurea triennale) in psicologia, educazione o un campo correlato. Tuttavia, il percorso non si conclude qui: è richiesto un Master’s degree (laurea magistrale) in orientamento scolastico o in counseling scolastico, durante il quale i candidati approfondiscono tematiche quali teorie del counseling , psicologia dello sviluppo, educazione e gestione dei casi, oltre a tecniche di valutazione e intervento.
Una parte cruciale della formazione è rappresentata dall’esperienza pratica. Gli aspiranti school counselor devono completare tirocini e praticantati supervisionati, che possono arrivare fino a 3000 ore, a seconda delle normative statali. Questi periodi di formazione pratica sono fondamentali per acquisire esperienza diretta con gli studenti e per affinare le abilità necessarie
per gestire situazioni reali all’interno dell’ambiente scolastico.
Dopo aver completato la formazione accademica e il tirocinio, i counselor devono ottenere una certificazione o una licenza per esercitare la professione. Questo processo include di solito il superamento di un esame statale e il rispetto di standard etici e professionali severi. Gli standard di certificazione e le norme per la pratica variano da Stato a Stato, ma comunque riflettono un impegno verso l’alta qualità del servizio fornito.
Lo school counseling è un campo dinamico e in continua evoluzione; di conseguenza, la formazione continua è un requisito essenziale per mantenere la licenza e per restare aggiornati sulle ultime ricerche e pratiche migliori. La formazione continua può includere workshop, seminari, corsi aggiuntivi e conferenze professionali.
L’evoluzione
storica dello school counselor
La professione dello school counselor negli Stati Uniti è un capitolo affascinante che si dipana attraverso un secolo di storia,
testimoniando mutamenti sostanziali a livello sociale e culturale che hanno lasciato un segno in campo educativo. Così come la conosciamo oggi, ha avuto inizio come vocational guidance,ossia come orientamento professionale, nei primi anni del Novecento, quando con l’avanzare dell’industrializzazione e l’avvento di innovazioni tecnologiche, emergeva negli USA l’esigenza di una forza lavoro più qualificata e preparata. Gli school counselor hanno fatto la loro comparsa in risposta a questa necessità, inizialmente incarnando ruoli svolti da insegnanti o dirigenti scolastici che assumevano il compito supplementare di guidare gli studenti nella scelta di carriere professionali e di fornire consulenza vocazionale. Con il passare del tempo, questa figura ha acquisito un’identità distinta, evolvendosi in un supporto complesso e strutturato, essenziale nel tessuto educativo degli Stati Uniti.
Gli anni Venti e Trenta: dalla vocazione alla persona
—
I primi decenni del ventesimo secolo segnano una trasforma-
zione significativa per la consulenza scolastica. In questo periodo, si assiste a un passaggio dall’orientamento di natura economica a uno di stampo psicologico. Emergono nuove correnti di pensiero come l’igiene mentale e la psicometria, che spostano l’attenzione dalle questioni economiche a quelle psicologiche, portando a una maggiore considerazione del benessere e dell’adattamento degli studenti.
È in questo contesto storico che si precisa ulteriormente la figura professionale dello school counselor. Questo segna un cambiamento verso una formazione specializzata e una definizione più chiara e strutturata dei loro compiti e responsabilità. Nasce così una nuova struttura organizzativa chiamata " Pupil personnel services ", ovvero i servizi per il personale scolastico.
All’interno di questa struttura, emerge il concetto di guidance services, ossia i servizi di orientamento. Questo implica un cambiamento nel campo dell’orientamento scolastico: da una prospettiva basata su un elenco di compiti, si passa a un’altra in cui tali compiti sono organizzati
e gestiti dai servizi di orientamento, il tutto all’interno della struttura più ampia dei servizi per il personale scolastico.
L’espansione nel dopoguerra
Nel periodo postbellico, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale,il campo del counseling scolastico guadagna un riconoscimento più ampio e si adegua per far fronte alle necessità di
un’inflazione di veterani che ritornano nel sistema educativo in cerca di una nuova direzione professionale. La professione si arricchisce ulteriormente grazie agli impulsi dati da finanziamenti federali, come quelli previsti dal National Defense Education Act (NDEA) del 1958, che incentivano la formazione di counselor scolastici per rispondere alle sfide imposte dal contesto della guerra fredda, sottolineando la crescente
La carenza di personale scolastico negli USA. I dati di un problema
Negli ultimi anni una delle sfide più pressanti nell’ambito dell’istruzione negli Stati Uniti è stata la crescente carenza di personale scolastico qualificato. Questa crisi, che coinvolge sia il personale docente sia non docente, ha raggiunto proporzioni allarmanti, mettendo a rischio la qualità dell’istruzione offerta nelle scuole pubbliche di tutto il paese.
Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti, all’inizio dell’anno scolastico 2022-23, il 45% delle scuole pubbliche ha operato senza un organico docente completo. Questo significa che quasi la metà non aveva abbastanza insegnanti per coprire tutti i ruoli necessari. Le carenze sono state più comuni nelle materie di educazione speciale, scienze e lingue straniere. La situazione è aggravata dal fatto che il 40% delle scuole pubbliche ha segnalato posti vacanti per il personale non docente, ossia consulenti scolastici, psicologi, assistenti sociali, terapisti occupazionali, bibliotecari, logopedisti. La posizione in assoluto più difficile da coprire è quella degli addetti al trasporto degli studenti (autisti di scuolabus): solo l’8% delle scuole considera “facile” trovare personale.
Le ragioni dietro queste carenze sono molteplici e complesse. Una delle principali è rappresentata dal basso stipendio offerto, insieme al carico amministrativo e alle crescenti preoccupazioni per la sicurezza nelle scuole. Inoltre, requisiti di formazione rigorosi e mancanza di coerenza nei ruoli da distretto a distretto scoraggiano i potenziali candidati, come evidenziato dai dati forniti da Indeed. com. La pandemia non ha fatto altro che aggravare un trend già in atto: attualmente nelle scuole pubbliche americane ci sono 567.000 insegnanti in meno rispetto a prima della pandemia.
La crisi è particolarmente grave per quanto riguarda i consulenti scolastici. Secondo lo studio ASCA (American School Counselor Association) sullo stato della professione del 2020, il 39% dei consulenti ritiene di essere stato assegnato a compiti che non rientrano nel loro ambito di competenza. A livello statale, più del 75% dei coordinatori della consulenza scolastica ha segnalato che non ci sono abbastanza consulenti per coprire i posti disponibili. La situazione è particolarmente critica nelle zone rurali, dove le carenze possono essere ancora più significative.
La carenza di insegnanti è talmente importante che si assiste a un crescente interesse per la possibilità di utilizzare educatori a distanza. Gli studenti si riuniscono di persona e imparano da un insegnante che si collegano da remoto, spesso da un altro stato. Se possibile, un adulto (ma non un docente) dovrebbe essere fisicamente presente in aula. Non è la soluzione ideale ma una scelta inevitabile.
importanza della consulenza nella preparazione e nell’orientamento di individui attrezzati per contribuire alla società in un periodo di tensioni internazionali e di rapidi cambiamenti tecnologici.
Gli anni Settanta: un approccio strutturato
Negli anni Settanta, il concetto di programma per l’orientamento scolastico comincia a prendere forma. Questo periodo vede un’evoluzione verso un approccio più strutturato e organizzato nel gestire l’orientamento nelle scuole. Molti Stati sviluppano modelli statali e vengono avviati programmi di formazione per aiutare il personale dei distretti scolastici a pianificare, progettare e implementare programmi completi di orientamento. Questo periodo vede inoltre la proliferazione di programmi di counseling a livello delle scuole primarie, introducendo un approccio più globale e strutturato al counseling scolastico, il quale mira a un intervento onnicomprensivo e sistematico che si adatta al contesto unico di ogni istituzione scolastica e alle specifiche necessità del suo corpo studentesco.
Inizio del XXI secolo: focus e responsabilità
Durante gli anni Ottanta e Novanta, il ruolo e le funzioni dei consulenti scolastici sono oggetto di discussione e analisi approfondite. Alcuni autori propongono ruoli specializzati come quello di "specialista dello sviluppo umano" o di "agente di cambiamento". Anche la questione della terminologia, se utilizzare guidance, counseling o school counseling, è al centro del dibattito.
All’inizio del XXI secolo, si registra un notevole progresso nello sviluppo, nell’implementazione e nella valutazione dei programmi di counseling scola-
stico. Tuttavia, la discussione continua sui propositi dei programmi e sul ruolo dei consulenti scolastici. Si dibatte se il focus debba essere sull’educazione accademica, sulla formazione professionale o sull’aspetto sociale/emotivo. Inoltre, emerge un’urgenza riguardo alla responsabilità e alla necessità di valutare l’efficacia dei programmi per migliorare il lavoro dei consulenti scolastici.
Con l’avvento del XXI secolo, la professione si trasforma grazie all’integrazione di metodi basati su dati e ricerche, rendendo i counselor scolastici professionisti altamente specializzati. La valutazione dell’impatto delle loro azioni diventa fondamentale, non solo per attestare l’efficacia dei loro interventi, ma anche per informare e affinare le strategie future. È in questo contesto che si afferma il Modello Nazionale dell’ASCA (American School Counselor Association), che stabilisce standard e pratiche di eccellenza per i programmi di counseling, garantendo che ogni studente abbia accesso a servizi di consulenza di alta qualità che supportano e migliorano il percorso educativo.
Oggi gli school counselor sono visti come figure chiave nel sostenere lo sviluppo integrale degli studenti,lavorando su aspetti accademici, professionali e socio-emotivi. È richiesto loro di applicare un approccio olistico al benessere dei ragazzi, assicurandosi che tutte le loro esigenze siano soddisfatte in maniera integrata e completa.
Promotori di equità e inclusione sociale —
Un’area che sta guadagnando sempre più importanza nella formazione degli school counselor è la competenza culturale. È essenziale che questi professionisti possano lavorare in modo efficace in contesti diversificati e siano sensibili alle varie esigenze culturali, etniche e so -
cioeconomiche degli studenti. Questo perché essi hanno nel loro status etico l’attenzione verso l’equità e l’inclusione sociale degli studenti.
L’inclusione non si limita solo all’integrazione di studenti con diversi background e bisogni speciali, ma anche alla valorizzazione attiva della diversità come fonte di forza e arricchimento. Gli school counselor dovrebbero fornire un sostegno personalizzato a coloro che si sentono emarginati dalla comunità scolastica per una serie di motivi, tra cui fattori socioeconomici, razziali, di genere o di appartenenza a minoranze. Lavorano per garantire che ogni studente abbia pari opportunità di successo scolastico.
L’analisi critica delle disuguaglianze è quindi una parte integrante del lavoro quotidiano degli school counselor . Utilizzano dati e osservazioni per identificare modelli di esclusione o disparità e sviluppano programmi mirati per contrastare queste tendenze, promuovendo così l’equità.
Essenziale è anche il loro impegno nell’educare studenti, staff e famiglie ai principi della giustizia sociale e dell’inclusione. Mediante iniziative pedagogiche e di advocacy , sollevano consapevolezza sulle questioni di discriminazione e pregiudizio, fomentando un dialogo costruttivo che favorisce la comprensione e l’empatia reciproca.
La terminologia in questione
Nel corso degli anni, la professione degli school counselor ha vissuto una trasformazione sostanziale non solo nella pratica, ma anche nella terminologia utilizzata per definire il loro ruolo. Storicamente, il termine guidance counselor era ampiamente diffuso per indicare i professionisti che fornivano supporto agli studenti nelle scuole, con-
centrandosi principalmente sull’orientamento vocazionale e accademico. Tuttavia, con il passare del tempo, il ruolo degli school counselor si è notevolmente ampliato, abbracciando una gamma più ampia di servizi che includono supporto emotivo, sviluppo di competenze di vita e benessere psicologico. Il termine guidance sembrava dunque limitativo e non più veramente rappresentativo della complessità delle attività svolte.
Per rispecchiare meglio la natura olistica e multidimensionale del loro lavoro, l’ American School counselor Association (ASCA) ha promosso l’adozione del termine school counselor. Questo cambiamento mira a allineare la professione con il suo impegno verso lo sviluppo integrale degli studenti e il loro successo in tutte le molteplici sfaccettature della vita scolastica.
Il dibattito sulla terminologia va oltre la semplice questione accademica e ha implicazioni concrete sulla pratica professionale e sull’identità stessa degli school counselor . La scelta della terminologia non solo definisce la natura del lavoro svolto, ma informa anche gli stakeholder , inclusi studenti, genitori e amministratori, sull’importanza e sul valore dei servizi offerti. L’utilizzo del termine school counselor sottolinea quindi la responsabilità educativa e preventiva di questi professionisti, anziché una visione limitata all’orientamento.
Una professione sotto pressione
Il periodo post-pandemia ha messo in luce una crisi senza precedenti nella professione dei counselor scolastici, portando a una riflessione urgente su una situazione sempre più critica. Questi professionisti si trovano ad affrontare un’ondata di responsabilità in costante crescita e un’emergenza legata alla salu-
te mentale dei giovani.
La pandemia ha esacerbato una serie di problematiche preesistenti nel sistema educativo, soprattutto riguardo alla salute mentale. Il distanziamento sociale,la transizione alla didattica a distanza e l’incertezza generale hanno influito notevolmente sul benessere psicologico degli studenti di tutte le età, provocando un aumento dei casi di ansia, depressione e altri disturbi.
In un rapporto consultivo del 2021, Vivek Murthy, il chirurgo generale degli Stati Uniti (che si occupa a livello federale di tutte le questioni connesse alla salute pubblica, N.d.T.), ha evidenziato una crisi "diffusa" della salute mentale che colpisce bambini, adolescenti e giovani adultiuna crisi che è stata accelerata dalla pandemia. Più recentemente, Murthy ha avvertito sui potenziali effetti negativi che l’uso dei social media può avere sulla salute mentale dei giovani, come sintomi di depressione e ansia.
In molti Stati americani, il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti. Secondo l’Indiana Youth Institute, nel 2021 uno studente su tre dal 7° al 12° grado ha riportato di provare tristezza persistente e disperazione, mentre uno studente su sette ha pianificato il suicidio. In questa difficile situazione, non ci si dovrebbe aspettare che i counselor forniscano consulenza a lungo termine per affrontare disturbi psicologici. Gli psicologi scolastici si concentrano sulla valutazione e sulla consulenza psicologica, gli psichiatri scolastici offrono interventi farmacologici quando necessario e i counselor forniscono supporto emotivo e consulenza, con un’enfasi sulla prevenzione e sul benessere emotivo. Ma è indubbio che essi siano il primo punto di riferimento per gli studenti in difficoltà, specialmente quando le liste di attesa per vedere uno psicologo o uno psichiatra sono molto lunghe.
Il sovraccarico di responsabilità
Anche prima della pandemia, molti counselor scolastici si trovavano ad affrontare un carico di lavoro al limite della sostenibilità. Tuttavia, nel periodo post-pandemico, molti professionisti si trovano a gestire anche interventi in situazioni di crisi acuta. Questo sovraccarico di responsabilità, spesso senza un adeguato aumento delle risorse, ha portato a un allarmante tasso di burnout
Ad esempio, i counselor scolastici possono essere sottoposti a diverse pressioni legali in relazione all’aumento dei casi di suicidio tra gli studenti. Possono essere ritenuti legalmente responsabili se non forniscono una valutazione adeguata o un supporto appropriato agli studenti che manifestano segni di rischio suicidario. In alcuni Stati, esistono normative che impongono alle scuole di implementare programmi di prevenzione del suicidio o di fornire formazione ai counselor scolastici sulla gestione dei rischi suicidari.
Nonostante la chiara necessità di un maggiore supporto alla salute mentale degli studenti, la risposta istituzionale è stata in molti casi insufficiente. Budget limitati e priorità concorrenti hanno impedito a molte scuole di assumere un numero sufficiente di counselor, mantenendo rapporti studente-counselor che superano di gran lunga le raccomandazioni nazionali.
Il rapporto medio studenti-consulenti è di 491 a 1 (National Center for Education Statistics, 2016), ben oltre il limite raccomandato di 250 a 1 dall’American School Counselor Association (ASCA).
Un caso emblematico è quello dell’Indiana, dove il rapporto studenti-counselor è attualmente il più alto del Paese: le scuole impiegano solo 1.494 counselor per oltre 1 milione di studenti.
Il burnout
Secondo un rapporto del 2019 dell’American School counselor Association (ASCA), il 74% dei counselor scolastici sperimenta livelli elevati di stress lavorativo. Questo stress cronico può portare al burnout, compromettendo la qualità del lavoro, aumentando l’assenteismo e, in alcuni casi, portando al licenziamento o all’abbandono della professione. Tuttavia, ottenere dati specifici sul numero di counselor scolastici che si sono licenziati a causa del burnout è complesso, poiché dipende da una serie di fattori, inclusi i processi di assunzione e licenziamento delle scuole.
Data l’importanza di prevenire questo fenomeno, gli standard etici dell’American School counselor Association (ASCA; 2016) sottolineano che i counselor scolastici sono responsabili del mantenimento della propria salute, sia fisica che emotiva, per garantire la loro pratica efficace. Gli standard etici dell’American Counseling Association (2014) aggiungono che i counselor scolastici hanno la responsabilità etica di monitorare i loro sentimenti e di porre rimedio quando questi influenzano potenzialmente la loro capacità di fornire servizi di qualità ai propri stakeholder.
Per monitorare il burnout , i counselor devono comprendere i sintomi e adottare misure preventive, mantenendo il proprio benessere psicologico. È fondamentale che siano supportati da politiche e risorse che promuovano il loro benessere e riducano il rischio di burnout, garantendo così un ambiente lavorativo sano e sostenibile per tutti gli operatori della salute mentale nelle scuole.
Francesca Nicola redattrice de «La ricerca».Riscrivere la propria storia
Attraverso la terapia narrativa i consulenti scolastici possono guidare gli studenti a creare una nuova narrazione di sé.
di Natoya Hill Haskins, Leonissa Johnson, Lee E. Grimes, Autumn Joy Moore, Candice Norris-Brown
Negli anni Cinquanta, le scuole alternative hanno cominciato a diffondersi come risposta alle difficoltà delle istituzioni scolastiche tradizionali nel farsi carico delle esigenze educative di alcuni studenti (Caroleo, 2014). Gestite dai distretti scolastici o dalle autorità statali, sono state concepite principalmente per gli studenti con difficoltà di apprendimento e problemi emotivi o comportamentali, a rischio di abbandono scolastico o bisognosi di un approccio educativo personalizzato (Porowski, O’Conner e Luo, 2014). Al contrario, le scuole tradizionali sono istituzioni pubbliche gestite dai distretti scolastici, e gli studenti vengono ammessi principalmente in base alla loro residenza nel distretto scolastico e all’età, senza un processo selettivo basato sulle loro esigenze educative individuali (Turton et al., 2011). Secondo il National Center for Education Statistics, il 64% dei distretti scolastici negli Stati Uniti ospita almeno una scuola o un programma alternativo per studenti che non si adattano ai contesti scolastici tradizionali (Carver, Lewis e Tice, 2010). In totale, i programmi alternativi negli Stati Uniti servono circa
645.500 studenti di scuola superiore, con una significativa percentuale di studenti di colore, oltre un terzo del totale (Carver et al., 2010).
Nonostante le scuole alternative riescano a ridurre i tassi di abbandono scolastico,a promuovere approcci educativi alternativi e a preparare gli studenti al loro futuro universitario (Hoye & Sturgis, 2005), molti ragazzi alla fine ritornano a un ambiente scolastico tradizionale. Il 63% dei distretti scolastici ha politiche che permettono agli studenti di tornare in una scuola tradizionale se mostrano miglioramenti comportamentali, motivazione al ritorno o progressi nelle performance scolastiche e se hanno il benestare sia del personale delle scuole alternative sia di quelle tradizionali (Carver et al., 2010). Il 68% circa degli alunni inseriti in programmi alternativi alla fine ritorna a frequentare una scuola tradizionale (Carver et al., 2010).
Una difficile transizione
La transizione dalle scuole alternative a quelle tradizionali può essere difficile, in quanto può comportare discriminazione, difficoltà sociali e preoccu-
pazioni scolastiche e personali (McNulty Roseboro, 2009).
Questo vale particolarmente per gli adolescenti, che nel ritorno alle scuole tradizionali devono riadattarsi a un ambiente più grande e più dispersivo di quello delle scuole alternative. Le scuole tradizionali infatti generalmente hanno un numero maggiore di studenti, una struttura più complessa e una varietà di programmi e attività più ampia rispetto a quelle alternative, che di solito sono più piccole e offrono un ambiente più controllato e personalizzato.
Gli studenti che ritornano nelle scuole tradizionali affrontano livelli elevati di stress e ansia, dovuti alla discontinuità dell’ambiente educativo e alla necessità di adattarsi alle nuove dinamiche (Benner & Graham, 2009).
Per i ragazzi afroamericani e latini, che spesso costituiscono una minoranza nelle scuole tradizionali, l’esperienza di transizione può essere ancora più stressante, per via del senso di disorientamento e della percezione di non appartenenza che possono sentire. La mancanza di rappresentanza e supporto da parte della comunità scolastica può accentuare questi senti-
menti negativi. Inoltre, possono sorgere tensioni culturali e sociali che rendono il passaggio ancora più difficile. Lo spaesamento spesso genera isolamento, rabbia ed emarginazione (Lagana-Riordan et al., 2011).
La terapia narrativa
La terapia narrativa si basa sull’idea che la realtà sia soggettiva e che i problemi siano influenzati da fattori sociali e culturali (Combs & Freedman, 2012).
In altre parole, anziché considerare i problemi come entità oggettive e indipendenti, questo approccio riconosce che le persone attribuiscono un senso alla realtà attraverso storie e narrazioni personali, a loro volta influenzate dalle loro esperienze e convinzioni e dai contesti culturali in cui vivono. Il presupposto è che i problemi non siano fissi o universali, ma nascano da interazioni complesse tra gli individui e il loro ambiente sociale e culturale.
Terapia narrativa e giustizia sociale
La terapia narrativa si focalizza sulla rielaborazione delle narrazioni personali delle persone negative o limitanti, riscritte in modo da evidenziare i propri punti di forza e la propria resilienza. In altre parole, la terapia narrativa mira a guidare le persone a reinterpretare le loro esperienze in modo più positivo e costruttivo, consentendo loro di affrontare i problemi in modo più efficace e di sviluppare una prospettiva più ottimistica sulla loro vita (Murdock et al., 2012).
Un concetto fondamentale della terapia narrativa è quello della separazione dei problemi dalla persona (Combs e Freedman, 2012). Questo implica il tentativo di distanziare gli individui dai problemi che stanno affrontando, consentendo loro di percepirli non come parte integrante della propria identità,
ma come fenomeni separati che possono essere analizzati e risolti.
La terapia narrativa considera anche la dimensione sociale; si propone di decostruire i messaggi culturali dominanti che possono contribuire ai problemi degli individui. In questo senso si configura come una pratica di giustizia sociale: aiuta gli individui a riconoscere e affrontare le ingiustizie presenti nel contesto culturale e sociale in cui vivono.
Costruzione del rapporto
Il processo della terapia narrativa si articola in diverse fasi.Il primo passo consiste nella costruzione di un rapporto terapeutico solido e di fiducia tra terapeuta e studente. Questo ambiente sicuro e accogliente fornisce la base necessaria per esplorare le esperienze del paziente in modo aperto e onesto. Allo stesso modo, il consulente scolastico deve adottare una posizione collaborativa che permetta allo studente di essere l’esperto della propria storia (White, 1994). Egli dimostrerà collaborazione dando priorità all’ascolto rispetto al fare domande e mostrando apertura e accettazione verso le intenzioni e i valori dell’alunno.
Esteriorizzazione del problema
Una volta instaurata una relazione collaborativa, si procede con l’esplorazione della narrazione dominante: il terapeuta incoraggia lo studente a raccontare la sua storia in modo dettagliato, identificando le narrazioni dominanti che possono influenzare i suoi problemi e la sua visione del mondo. Questa fase aiuta a mettere in luce i modelli di pensiero e di comportamento che possono essere diventati problematici.
È cruciale che il consulente aiuti lo studente a percepirsi come distinto e separato dal problema, attraverso domande
mirate su come il problema ha influenzato le sue esperienze di vita e relazionali, ponendo domande quali “Come ti senti rispetto alle conseguenze della tua rabbia sulle relazioni? Quali fattori hanno contribuito al senso di disagio che hai sperimentato durante la transizione da una scuola all’altra?” (White, 1995). Questo dialogo aiuta lo studente a sviluppare un senso di controllo sulla sua vita e di agency, aprendo la possibilità di trasformare la storia dominante, caratterizzata dalla presenza di un problema. In questo modo egli può percepirsi come autore della propria storia, non solo come semplice spettatore o coautore (Madigan, 2004).
Ricerca delle eccezioni e delle risorse
Il terapeuta a questo punto guida il ragazzo o la ragazza nella ricerca di momenti o esperienze che sfidino la narrazione dominante e mettano in evidenza i suoi punti di forza, le risorse e le capacità di fronteggiare le difficoltà. Questo processo aiuta a costruire una nuova prospettiva su sé stessi, più equilibrata e resiliente.
Per favorire lo sviluppo di un senso di agency , è cruciale che gli studenti identifichino le eccezioni, cioè i momenti in cui il problema non si è manifestato ed essi si sono invece sentiti responsabilizzati. Il consulente dovrebbe incoraggiarli a riconoscere le azioni, le motivazioni e le credenze presenti in questi momenti che si discostano dalla narrazione dominante e hanno portato a risultati diversi e unici. Ad esempio, potrebbe chiedere: “Riesci a ricordare un momento in cui questo problema non ha avuto un impatto negativo sulla tua vita?”. Questo dovrebbe aiutare i ragazzi a identificare le loro risorse personali e a rafforzare la fiducia nelle loro capacità di affrontare le avversità (White, 1995).
Approfondimento della storia
Per riconoscere la complessità della storia di uno studente bisogna mettere in moto un processo di “approfondimento”. Nel contesto della terapia narrativa è importante distinguere tra rappresentazioni thin e thick. Le rappresentazioni “sottili” (thin) sono poco strutturate, deboli e poco influenti sulla vita di una persona. Spesso si concentrano principalmente su caratteristiche generali come l’età, il genere, l’etnia o la disciplina di studio, senza tener conto della ricchezza e della varietà dell’esperienza umana. Al contrario, le rappresentazioni “dense” (thick) includono descrizioni contestualizzate, dinamiche e interpretative delle persone e dei loro contesti sociali. Attraverso le rappresentazioni dense è possibile comprendere i valori, le credenze, le intenzioni,le aspettative e le motivazioni dello studente (White, 1994). Per ottenere questo risultato è importante incoraggiarlo a riflettere sul significato che egli attribuisce a determinati eventi, esaminando le implicazioni che questi hanno avuto sulle sue relazioni passate. Le informazioni emerse in questo processo possono essere utilizzate dal consulente per guidare lo studente a riflettere in modo più approfondito e consapevole sulla sua storia.
Riscrittura della storia
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In una successiva fase della terapia, terapeuta e studente collaborano per riscrivere la storia del secondo in modo più costruttivo e liberatorio. Utilizzando tecniche narrative creative, si esplorano nuove interpretazioni, significati alternativi e possibilità di cambiamento.
Il consulente metterà in evidenza gli aspetti della narrazione trascurati dell’alunno, che spesso sono stati oscurati o ignorati dalla narrazione do -
minante e che diventeranno il punto di partenza per creare o migliorare una nuova narrazione. Questo permetterà al ragazzo di allontanarsi dal passato e di avvicinarsi alla persona che desidera diventare. Il consulente terapeutico accompagna lo studente in questo viaggio, aiutandolo a comprendere e a dare forma alla sua nuova storia, in un modo che rispecchi i suoi valori, obiettivi e aspirazioni (Hall, McLean e White, 1994).
Ricerca di
testimoni
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Una volta che una nuova narrazione più positiva è stata identificata e sviluppata, il terapeuta aiuta lo studente a incorporarla in modo efficace nella sua vita quotidiana.
Una delle strategie utilizzate è la ricerca di testimoni, che consiste nel coinvolgere membri significativi della comunità per convalidare e sostenere la nuova narrazione. Quando persone esterne, come amici, familiari o altri membri della comunità, riconoscono e supportano la trasformazione personale, la fiducia e la motivazione nel continuare a seguire il nuovo percorso aumentano (White, 1995). Il sostegno e la validazione dalla comunità sono particolarmente importanti perché possono proteggere gli studenti dalla ricaduta nei vecchi modelli di comportamento e aiutarli a superare le sfide che possono emergere durante il processo di adozione della nuova narrazione. Il sostegno esterno offre loro una rete di supporto significativa che li incoraggia a perseverare nei cambiamenti positivi e a mantenere una visione ottimistica del futuro.
Scrittura
L’uso della scrittura per consolidare i progressi ottenuti è un elemento cruciale all’interno della pratica della terapia narrativa. Questa tecnica offre un
modo tangibile per riflettere sui processi di apprendimento e trasformazione durante il percorso terapeutico. Scrivere lettere o messaggi consente di interiorizzare in modo più profondo gli insegnamenti e le scoperte emersi durante le sedute.
Attraverso la scrittura gli studenti hanno l’opportunità di approfondire in dettaglio la natura esterna di un problema specifico, descrivendolo con precisione e riflettendo sull’effetto che ha avuto su di loro. Mettere nero su bianco le proprie esperienze e i propri pensieri può aiutare a individuare strategie per affrontarlo in modo più efficace. In base alla ricerca di McKenzie e Monk (1997), l’uso di questa tecnica si è dimostrato efficace nel supportare il processo terapeutico e nel favorire la crescita personale degli studenti.
Illustrazione di un caso
Derrick,un ragazzo afroamericano di 14 anni, sta attraversando una difficile transizione da una scuola alternativa a una tradizionale. Ora si ritrova in un ambiente in cui gli studenti bianchi costituiscono la maggioranza, seguiti da afroamericani, latini e altri. Questa diversità ha aumentato il suo senso di isolamento e la percezione di essere trascurato dagli insegnanti.
La madre di Derrick, impegnata con due lavori per sostenere la famiglia, si sente sopraffatta dalla situazione e fa del suo meglio per fornire supporto al figlio. Tuttavia, Derrick deve affrontare anche episodi di razzismo e discriminazione, che hanno ulteriormente alimentato il suo senso di emarginazione. Questi problemi hanno avuto un impatto significativo sul suo rendimento scolastico e sulla motivazione ad andare a scuola. Nonostante i test psicologici confermino la sua “normalità” in termini di QI e capacità emotive, la sua situazione scolastica complessiva
continua a peggiorare. Il padre è poco presente e la madre si sente impotente nel fronteggiare la situazione. Derrick, nel frattempo, continua a mostrare segni di disagio e alienazione,come evidenziato dalle sue frequenti assenze scolastiche.
Prima sessione: identificazione del problema
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Durante la prima sessione il consulente scolastico si impegnerà ad ascoltare la storia di Derrick, senza emettere giudizi. Ponendo domande aperte lo guiderà a identificare e a dare un nome al problema che sta affrontando. Per aiutarlo a definire o nominare il problema, utilizzerà domande a risposta aperta, come ad esempio “Quali pensi siano le difficoltà che stanno influenzando la tua vita?” (Lambie e Milsom, 2010). Questo tipo di domanda permette al ragazzo di esplorare e identificare le sfide che sta affrontando, senza sentirsi limitato da risposte predefinite. Insieme,Derrick e il consulente scolastico cercheranno di dare un nome al problema,avviando il processo di separazione di Derrick dal problema stesso. In questo caso il problema viene identificato come legato alle “abitudini inutili” (Madigan, 2011), indicando che le difficoltà del giovane sono associate a comportamenti o modelli di pensiero che potrebbero non essere più utili o funzionali nella sua attuale situazione.
Seconda sessione: esteriorizzazione del problema —
Nella seconda sessione il consulente continua a guidare Derrick nel processo di esternalizzazione del problema, consentendogli di separare nettamente le “abitudini non utili” dalla sua persona. Per favorire questa separazione, lo incoraggia a creare un simbolo che rappresenti le "abitudini non utili". Questo simbolo può essere
un’immagine o un oggetto concreto che rappresenti visivamente il problema. Durante la sessione, Derrick ha l’opportunità di aggiungere elementi al simbolo, riflettendo sulle caratteristiche o sugli aspetti delle abitudini non utili che vuole esplorare o modificare.
Questo processo gli consentirà di distanziarsi dal problema. Creando un simbolo tangibile per le “abitudini non utili”, egli inizierà a prendere coscienza del problema in modo più distaccato e concreto, rendendolo più gestibile e suscettibile di cambiamento.
Al termine della sessione, il simbolo potrà essere utilizzato come riassunto visivo del lavoro svolto e dei progressi compiuti. Derrick lo potrà portare con sé come un promemoria tangibile del suo impegno nel superare le “abitudini non utili” e nel lavorare per realizzare un cambiamento positivo.
Un’importante strategia utilizzata per esteriorizzare il problema durante il processo terapeutico è l’articolazione di domande mirate (Madigan, 2011; White, 1995). Il consulente scolastico porrà domande che aiutano l’alunno a riflettere sul modo in cui le “abitudini non utili” influenzano la sua vita. Ad esempio, potrebbe chiedere a Derrick quanto tempo ha vissuto con queste “abitudini non utili”,o come sia stato persuaso ad adottarle. Inoltre, potrebbe chiedere di riflettere sui potenziali benefici che crede di aver ottenuto da queste “abitudini non utili”, o su come esse influenzino i rapporti con gli insegnanti e i compagni di classe. Domande come queste permettono a Derrick di esplorare le implicazioni delle sue “abitudini non utili” e il loro impatto sul suo benessere generale.
Infine, il consulente potrebbe chiedere a Derrick quanto dolore pensa che le “abitudini inutili” gli abbiano causato nel tempo. Questa domanda mira a far emergere le emozioni e i sentimenti legati al problema.
Terza sessione: individuare le eccezioni
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Una volta che Derrick ha acquisito la consapevolezza che il problema è separato dalla sua identità, il consulente scolastico si concentrerà sulle eccezioni, cioè sui comportamenti che mettono in discussione la narrazione delle “abitudini non utili”. Durante la terza sessione, egli porrà a Derrick domande mirate a esplorare queste eccezioni. Ad esempio, chiederà di descrivere un momento in cui ha superato le “abitudini non utili” e cosa lo ha motivato a farlo (White, 1994). Oppure chi o cosa lo ha supportato in questo processo di cambiamento, o quando ha realizzato che il suo cambiamento ha portato a un’esperienza diversa. Queste domande aiuteranno Derrick a riflettere su come ha affrontato e superato le difficoltà legate alle “abitudini non utili”, evidenziando i suoi punti di forza e le sue risorse.
Per mantenere Derrick focalizzato sulla narrazione delle “abitudini utili”, il consulente gli chiederà di registrare ogni occasione in cui egli metterà in atto tali abitudini prima della sessione successiva.Un esercizio che permette al ragazzo di monitorare i progressi e di riflettere sulle sue capacità di adottare comportamenti più positivi e funzionali.
Quarta sessione: re-authoring
All’inizio della quarta sessione il consulente scolastico chiederà a Derrick di condividere l’elenco delle “abitudini utili” che ha identificato, e di ripercorrere i momenti della settimana in cui ha messo in pratica queste abitudini (ad esempio se ha salutato un suo compagno, o si è rivolto con gentilezza a un insegnante).
Si concentrerà specificamente sui successi di Derrick, ponendo domande quali “Come sei riuscito a trascorrere la giornata
senza che le abitudini non utili ti disturbassero?”, o “Come hai fatto a evitare che le abitudini non utili ti creassero problemi?” (Madigan, 2011).
Enfatizzerà il processo di re-authoring (riscrittura della propria storia, N.d.T), ponendo domande come “Cosa ti dice questo di te stesso?” o “Vedi queste abitudini utili come positive o negative per te... E come?”; e ancora “Puoi immaginare di continuare queste abitudini nei prossimi giorni/ settimane/mesi?”.
Man mano che Derrick fornisce risposte positive, il consulente scolastico porrà ulteriori domande che l’aiutino a sviluppare una nuova storia, per esempio individuando alcune persone che potrebbero sostenere la sua nuova narrazione: “chi sarebbe meno sorpreso del fatto che stai utilizzando queste abitudini utili?”, o “chi potrebbe aver notato per primo le tue abitudini utili?”.
Infine, nella parte conclusiva della sessione, il consulente incoraggerà Derrick a elaborare una linea temporale per il mese successivo, insieme a un piano d’azione per condividere la sua nuova storia con gli altri. Questa linea temporale dovrebbe aiutare Derrick a visualizzare i passaggi necessari per mantenere viva la nuova narrazione nel tempo, indicando obiettivi concreti da raggiungere e strategie da adottare.
Una volta completata la linea temporale, il consulente chiederà a Derrick se è disposto a condividerla con persone significative della sua vita, come ad esempio sua madre. Questa fase del processo è cruciale, perché coinvolge l’invito di testimoni esterni alla sessione finale, persone che sono importanti per Derrick e che possono supportarlo nel suo percorso di cambiamento.
Le persone invitate alla sessione finale fungeranno da testimoni della nuova storia di Derrick, rafforzando il suo impegno nel mantenere i progressi
raggiunti e nel perseguire i suoi obiettivi. Una pratica che non solo fornisce un sostegno sociale importante, ma che rappresenta anche un’opportunità per celebrare i suoi successi e condividere la sua crescita con coloro che gli sono vicini.
Quinta sessione: condivisione della nuova storia
Nell’ultima sessione Derrick ha l’opportunità di condividere la sua nuova storia con un gruppo selezionato di testimoni, ad esempio con sua madre, con alcuni insegnanti o con membri della comunità che lo conoscono bene, figure religiose o altri amici e parenti. I testimoni sono incoraggiati a condividere i loro sentimenti positivi su Derrick e a offrirgli incoraggiamento. Prima di concludere la sessione, il gruppo discuterà sulle migliori strategie per sostenerlo nei prossimi mesi. Il consulente può introdurre questa discussione con una domanda del tipo: “Derrick, di quale tipo di supporto hai bisogno da parte nostra mentre continui a utilizzare le abitudini utili?” (Madigan, 2011).
Collaborare con gli altri stakeholder
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I fattori familiari e scolastici possono influenzare significativamente la transizione degli studenti da contesti alternativi. Gli adolescenti che mantengono legami con la scuola, partecipano alle attività di club e organizzazioni sportive e ricevano il sostegno degli insegnanti e dei genitori, oltre a essere meno esposti alla violenza, mostrano risultati più positivi durante il passaggio da scuole alternative a scuole tradizionali (Frey et al., 2009). Per questo motivo coinvolgere tutti gli altri stakeholder (tutte le parti interessate o coinvolte, N.d.T) nel processo narrativo è fondamentale, affinché Derrick riesca a riscrivere la sua storia.
Strategie con i genitori
Un modo per continuare a sostenere Derrick durante e dopo il periodo di passaggio è coinvolgere attivamente i suoi genitori nella terapia narrativa. Il consulente scolastico deve ascoltare attentamente il racconto della madre sugli eventi che hanno portato il figlio a frequentare una scuola alternativa.Allo stesso tempo dovrebbe sollevare domande sulle possibili esperienze di oppressione e depotenziamento che entrambi possono aver affrontato, esplorando molteplici aspetti dell’identità di Derrick, come il suo background etnico, lo status socioeconomico, l’acquisizione del linguaggio o le sue condizioni di salute. Madigan (2011) raccomanda di porre domande come “Pensi che l’appartenenza etnica abbia influenzato il modo in cui
Derrick è stato trattato?” oppure “cosa provi nel vedere tuo figlio inserito in un sistema educativo in cui può essere discriminato a causa del colore della pelle?”.
È fondamentale che il consulente mostri empatia e creda nella storia della madre, riconoscendo l’esperienza difficile vissuta e offrendo sostegno per affrontarla. Inoltre, il consulente dovrebbe invitare la donna a individuare alcune azioni concrete che potrebbero far sentire sia Derrick sia lei supportati dalla comunità scolastica.
Per favorire un cambiamento positivo nelle percezioni della comunità scolastica su Derrick,può suggerire di scrivere lettere agli insegnanti e agli amministratori della scuola, evidenziando i problemi di oppressione emersi dalle storie del ragazzo. Infine, può incoraggiare Derrick e la madre a coinvolgere alcuni membri della comunità scolastica, chiedendo loro di scrivere lettere di sostegno e incoraggiamento sui contributi di Derrick alla comunità e sulle sue prospettive di miglioramento. Queste azioni mirano a creare un ambiente di sostegno per Derrick mentre
Approfondire
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• A. Porowski, R. O’Conner, J. L. Luo, How do states define alternative education? REL 2014–038, Washington, DC: U.S, Department of Education, 2014.
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•M. White, D. Epston, Narrative means to therapeutic ends, WW Norton & Company, New York, NY 1990.
lui continua il suo percorso di crescita e di integrazione nella comunità scolastica.
Strategie con gli insegnanti
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Un altro modo per assistere Derrick durante il periodo di transizione è facilitare la relazione con i suoi insegnanti. Il consulente scolastico deve porre domande come: “tra tutti gli insegnanti, chi sarebbe meno sorpreso dal fatto che tu stia mettendo in pratica abitudini utili?” Se consentito, il consulente può invitare questi insegnanti a prendere parte alla nuova storia di Derrick; una volta che egli avrà condiviso con loro la sua nuova storia, gli insegnanti potranno suggerire modi utili per aiutarlo e allo stesso tempo potranno integrare la sua esperienza nelle loro lezioni, trasmettendola ad altri studenti.
Tratto da: N. H. Haskins, L. Johnson, L. E. Grimes, A. J. Moore, C. Norris-Brown, School counselor use of narrative therapy to support students of color transitioning from an alternative school setting , in «National Youth Advocacy and Resilience Journal», 2(1), pp. 4960, 2016.
Traduzione di Francesca Nicola.
Natoya Hill Haskins
insegna alla University of Virginia.
Leonissa Johnson
insegna alla Clark Atlanta University, Georgia.
Lee E. Grimes
insegna alla Valdosta State University, Georgia.
Autumn Joy Moore
è school counselor in una scuola media di Athens, Georgia.
Candice Norris-Brown
è counselor e insegna all’Indiana Wesleyan University.
Le responsabilità dei consulenti scolastici
Riportiamo le linee guida dell’ASCA, l’organizzazione che rappresenta i counselor scolastici negli Stati Uniti, che evidenziano la complessità delle funzioni di questa figura professionale, in particolare per quanto riguarda l’inclusione e la giustizia sociale nella comunità scolastica.
di ASCA (American School Counselor Association)
Nell’esercizio delle loro funzioni, i consulenti scolastici devono:
A. Fornire un programma di consulenza scolastica che tenga conto delle differenze culturali, etniche, linguistiche e socio-economiche degli studenti, in modo da promuovere lo sviluppo accademico, professionale e sociale/emotivo di tutti.
B. Collaborare con tutti i soggetti coinvolti nel contesto scolastico (genitori, studenti e comunità) per garantire miglioramenti equi e vantaggiosi per tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro provenienza, background o abilità. Si tratta di creare un ambiente inclusivo in cui ogni alunno abbia l’opportunità di raggiungere il suo pieno potenziale.
C. Utilizzare strumenti di raccolta dei dati aderenti agli standard di riservatezza.
D. Analizzare e utilizzare i dati raccolti dalla scuola e relativi agli studenti per valutare e rispondere ai loro bisogni. Ciò significa individuare sia i punti di forza degli studenti, sia le disparità che possono sorgere
in base a fattori come genere, etnia, status socioeconomico, disabilità e altri fattori rilevanti.
E. Offrire interventi basati sulla ricerca e che mirino a colmare le lacune riscontrate in diversi aspetti dell’esperienza educativa degli studenti, come i risultati scolastici, l’apprendimento, la partecipazione, il comportamento, l’utilizzo delle risorse disponibili e le opportunità di crescita.
Pianificazione scolastica, professionale e socio-emotiva
A. Lavorare insieme a diversi stakeholder (genitori, studenti, istituzioni educative, aziende e altre organizzazioni) per sviluppare un ambiente scolastico e comunitario che promuova e supporti la vita dopo la scuola secondaria.
B. Fornire e promuovere attivamente la consapevolezza, l’esplorazione e la pianificazione del percorso post-secondario per tutti gli studenti, sondando una vasta gamma di opzioni di carriera e post-secondarie, che possono includere, ma non sono
limitate a, college/università, istruzione tecnica e professionale, carriere militari o l’ingresso nel mondo del lavoro.
C. Individuare e analizzare le disparità nell’accesso all’istruzione universitaria e alle opportunità di carriera e affrontare sia i pregiudizi intenzionali sia quelli non intenzionali che possono influenzare il processo di consulenza post-secondaria e professionale. Ciò include esaminare criticamente i modelli di consulenza che si mettono in atto e assicurarsi che siano equi e inclusivi, evitando discriminazioni basate su caratteristiche personali come etnia, genere, status socioeconomico o abilità.
D. Incoraggiare gli studenti a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dell’apprendimento, spronandoli a essere motivati, impegnati e ottimisti riguardo alle sfide e alle opportunità che incontrano. È importante far capire loro che l’apprendimento continuo è una parte essenziale del successo professionale a lungo termine.
E. Riconoscere e affrontare i
propri pregiudizi personali che potrebbero influenzare il modo in cui gli studenti vengono consigliati nelle loro scelte post-secondarie. Ad esempio, potrebbero essere all’opera pregiudizi inconsci riguardo al valore o al prestigio delle diverse opzioni di istruzione post-secondaria, come preferire il percorso universitario rispetto a una formazione tecnica o professionale.
F. Affrontare le politiche e le pratiche sistemiche all’interno del sistema educativo che possono essere ingiuste o che possono creare disparità nelle scelte post-secondarie degli studenti. Ad esempio, potrebbero esservi politiche che favoriscono in modo sistematico alcune opzioni educative rispetto ad altre.
Sostenere relazioni sane e gestire i confini
A. Assumere ruoli professionali e stabilire relazioni con gli studenti e le parti interessate (genitori, colleghi, membri della comunità) che siano focalizzati sulla promozione del benessere e del successo degli studenti.
B. Riconoscere che per stabilire una credibilità e un rapporto efficace con alcuni studenti e le parti interessate, può essere necessario andare oltre il contesto scolastico tradizionale. Ciò può includere il partecipare ad eventi, organizzazioni o iniziative tese a migliorare attivamente la comunità locale.
C. Prendere in considerazione attentamente i possibili rischi e benefici prima di ampliare le relazioni al di fuori dell’edificio scolastico e dell’orario scolastico. Partecipare a attività extrascolastiche fuori sede, come celebrazioni in onore degli studenti, visite in ospedale o funerali, può offrire una buona opportunità di mostrare connessione e supporto verso gli studenti e le loro famiglie. Tuttavia, è importante valutare attentamente i potenziali rischi associati a queste interazioni (problemi di sicu -
rezza, confidenzialità delle informazioni personali o possibili implicazioni legali).
D. Registrare e documentare in modo accurato la natura delle estensioni delle relazioni che si sviluppano al di fuori dell’ambiente scolastico tradizionale. Questa documentazione dovrebbe includere la ragione per cui l’estensione della relazione è stata considerata appropriata, i potenziali benefici previsti per lo studente e per il consulente scolastico, nonché le possibili conseguenze o i rischi associati.
E. Adottare azioni concrete per eliminare o ridurre qualsiasi potenziale danno che potrebbe derivare da relazioni o interazioni con gli studenti e le parti interessate. Queste azioni possono includere l’implementazione di misure di salvaguardia come il consenso informato, la consultazione con colleghi o supervisori, la supervisione delle interazioni e la documentazione accurata di tali relazioni. Ad esempio, prima di stabilire un rapporto o un’interazione con uno studente al di fuori dell’ambiente scolastico, potrebbe essere richiesto il consenso informato da parte dei genitori o dell’autorità competente.
F. Adottare misure preventive per evitare possibili danni agli studenti e alle parti interessate quando il giudizio del consulente scolastico potrebbe essere influenzato da relazioni personali o da vincoli familiari, come nel caso di familiari o figli di amici intimi. Ad esempio, se un consulente scolastico ha una relazione personale con uno studente o con una parte interessata che potrebbe compromettere il suo giudizio oggettivo, potrebbe essere necessario indirizzare lo studente verso un altro professionista o una risorsa alternativa.
G. Aderire alle politiche e alle linee guida legali, etiche, distrettuali e scolastiche relative ai rapporti con gli studenti e le parti interessate.
H. Astenersi dall’uso di social
media, account ed e-mail personali per interagire con gli studenti a meno di non essere autorizzati dal distretto scolastico. I. Evitare di assumere ruoli o di stabilire relazioni che possano essere considerati inappropriati all’interno del contesto della consulenza scolastica. Ad esempio, evitare di impartire disciplina diretta agli studenti, in quanto questo ruolo spetta generalmente agli amministratori o al personale designato per tale compito. Evitare di insegnare corsi in cui gli studenti sono soggetti a valutazione da parte del consulente scolastico, poiché ciò potrebbe compromettere l’oggettività e la neutralità del consulente nel fornire supporto agli studenti. Infine, è necessario evitare di accettare compiti amministrativi in assenza di un amministratore, poiché ciò potrebbe creare confusione nei ruoli e nelle responsabilità all’interno della scuola.
J. Fare attenzione a non favorire un conflitto di interessi attraverso un’autopromozione che potrebbe portare a vantaggi personali o finanziari per il consulente scolastico. Ad esempio, pubblicizzare i propri prodotti o servizi potrebbe mettere in discussione l’obiettività e l’integrità del consulente e potrebbe essere interpretato come un tentativo di trarre vantaggio finanziario o personale dalla posizione professionale.
Collaborazioni, patrocini e rinvii appropriati
A. Lavorare insieme a tutte le persone coinvolte nel benessere e nell’educazione degli studenti (studenti, docenti/personale scolastico e genitori/tutori) quando si presentano situazioni in cui gli studenti necessitano di assistenza, anche quando si notano i primi segnali di disagio.
B. Fornire agli studenti e ai genitori/tutori una lista di agenzie e di risorse esterne alla scuola in caso ci fosse bisogno di ul -
teriore supporto. I consulenti scolastici devono proporre una gamma diversificata di opzioni di riferimento senza favorire o promuovere una specifica agenzia o risorsa. L’elenco delle opzioni di riferimento è solitamente controllato o approvato dal distretto scolastico e include informazioni su servizi come consulenti psicologici, terapisti, gruppi di supporto, centri di salute mentale, servizi sociali, organizzazioni senza scopo di lucro, ecc.
Inoltre, i consulenti scolastici devono comunicare ai genitori/ tutori l’importanza di effettuare ricerche autonome sulle competenze ed esperienze dei professionisti esterni per garantire che le loro decisioni siano informate e basate su informazioni accurate.
C. Assicurarsi di mantenere una conoscenza aggiornata sulle leggi statali e sulle politiche distrettuali locali relative agli studenti con bisogni speciali.
D. Creare un piano dettagliato per garantire una transizione fluida dei servizi di consulenza primaria in modo che vi sia una interruzione minima dei servizi per gli studenti. Il piano dovrebbe essere progettato per garantire che i ragazzi ricevano un supporto continuo e adeguato durante il processo di transizione, sia che si tratti di passare da un consulente scolastico a un altro o di trasferirsi a servizi di consulenza esterni.
Gli studenti hanno il diritto di scegliere se continuare a ricevere servizi di consulenza o se interromperli. Occorre rispettare la volontà degli studenti e delle loro famiglie nel processo decisionale riguardo alla continuazione o alla cessazione dei servizi di consulenza, assicurandosi che vengano forniti altri supporti adeguati, se necessario.
E.Evitare di indirizzare gli studenti basandosi esclusivamente sulle loro convinzioni personali o valori culturali, religiosi, etnici o individuali. È cruciale mante-
nere il massimo rispetto verso le identità culturali e le visioni del mondo degli studenti, evitando di imporre i propri valori o credenze personali. I consulenti scolastici devono essere consapevoli dei loro valori e delle loro convinzioni, e quando tali valori possono essere discriminatori, per esempio rispetto all’orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere, diritti riproduttivi, etnia, religione o abilità, sono tenuti a intraprendere una ulteriore formazione e una supervisione per affrontare tali questioni in modo appropriato e non discriminatorio.
F. Cercare di creare un rapporto collaborativo con i fornitori di servizi esterni (terapisti, medici, assistenti sociali, tutor o altri esperti) al fine di fornire il miglior supporto possibile agli alunni. Prima di iniziare qualsiasi forma di collaborazione con questi professionisti, è importante ottenere il consenso informato attraverso una liberatoria firmata dallo studente stesso e/o dai genitori/tutori, a seconda dell’età e della situazione specifica.
G. Dotare i fornitori di servizi interni ed esterni di dati accurati e significativi per valutare, consigliare e assistere adeguatamente gli studenti.
H. Garantire che non ci sia un conflitto di interessi: se lavorano anche in uno studio di consulenza privato, i consulenti scolastici non dovrebbero indirizzare o accettare alcuna consulenza per uno studente della loro scuola.
Situazioni di grave e prevedibile danno a sé stessi o agli altri
A. Informare genitori/tutori e amministrazione scolastica se uno studente presenta un rischio grave e prevedibile di danno a sé o agli altri. Questo avviene dopo un’attenta valutazione e consultazione con altri
professionisti, garantendo che siano coinvolti i necessari servizi di supporto e assistenza.
B. Valutare il rischio di suicidio.Anche se la valutazione rivela un rischio basso, è importante comunicare ai genitori/tutori la necessità di un intervento, evitando di negare il potenziale rischio.
C. Collaborare con l’amministrazione scolastica per garantire che lo studente riceva supervisione e supporto adeguati. Se i genitori/tutori non forniscono il supporto necessario, il consulente deve adottare misure che includono la segnalazione ai servizi di protezione dell’infanzia, se necessario.
D. Fornire risorse per la salute mentale che tengano conto della diversità culturale degli studenti e delle loro famiglie, garantendo che siano accessibili e pertinenti alle loro esigenze.
E. Segnalare all’amministrazione e/o alle autorità competenti le minacce al benessere fisico o mentale fatte verso un altro studente, come abusi verbali o fisici, violenza sessuale, bullismo o molestie, seguendo le leggi federali e statali applicabili e la politica scolastica e distrettuale.
Popolazioni marginalizzate
A.Creare un ambiente scolastico inclusivo, sicuro, equo e positivo, in cui tutti i membri della comunità dimostrino rispetto e accettazione reciproca.
B. Identificare e sostenere le risorse necessarie per ottimizzare le opportunità di sviluppo accademico, professionale e sociale/emotivo delle popolazioni marginalizzate.
C. Collaborare con i genitori/ tutori, quando appropriato, cercando di stabilire una comunicazione bidirezionale coerente e costruttiva nella lingua che questi preferiscono.
D. Difendere il diritto di tutti gli studenti ad essere trattati in
modo rispettoso e libero da discriminazioni basate sulla loro identità ed espressione.
E. Sostenere il diritto di tutti gli studenti ad avere accesso a un’istruzione pubblica gratuita e adeguata senza essere stigmatizzati o isolati in base a diversi fattori.
F. Sostenere attivamente i cambiamenti sistemici necessari per garantire una partecipazione equa e risultati equi nei programmi educativi, riducendo le disuguaglianze esistenti.
G. Riconoscere e fornire sostegno agli studenti con disabilità, rilevandone sia i punti di forza sia le difficoltà.
Bullismo, molestie, discriminazione, pregiudizi e odio
A. Riconoscere che il bullismo, la discriminazione, i pregiudizi e gli episodi di odio radicati nel genere, nell’orientamento sessuale e nell’etnia costituiscono violazioni della legge federale e di molte leggi statali e locali, oltre che delle politiche scolastiche distrettuali.
B. Sostenere lo sviluppo di politiche, protocolli e programmi di formazione a livello scolastico per rispondere in modo efficace agli episodi di bullismo, molestie e pregiudizi. Questi sforzi dovrebbero essere centrati sulla promozione della sicurezza degli studenti, sulla creazione di un senso di appartenenza per tutti gli individui nella comunità scolastica e sull’assicurarsi che vi sia giustizia per coloro che sono stati vittime di comportamenti negativi.
C. Garantire che gli studenti e la comunità abbiano a disposizione strumenti che siano facilmente accessibili e efficaci per segnalare episodi di bullismo, odio o pregiudizio, ad esempio, linee telefoniche di assistenza, moduli online per le segnalazioni, scatole di segnalazione anonime o altre forme di comunicazione.
D. Segnalare tutti gli episodi di bullismo, violenza sessuale o molestie all’amministrazione scolastica. Tali comportamenti possono violare leggi federali come il Titolo IX degli emendamenti sull’istruzione del 1972, che proibisce la discriminazione basata sul genere nelle scuole che ricevono fondi federali.
E. Essere consapevoli del fatto che gli episodi di pregiudizio possono avere effetti molto negativi non solo sugli studenti, ma sull’ambiente scolastico nel suo complesso, creando disagio e tensioni di vario tipo.
F. Collaborare attivamente con i team amministrativi per garantire che siano prese misure appropriate in seguito a un episodio di odio o pregiudizio, come la discriminazione o l’incitamento all’odio. Queste azioni possono includere: garantire la sicurezza degli studenti coinvolti, adottando misure per prevenire ulteriori episodi di violenza o discriminazione; fornire sostegno agli studenti presi di mira, offrendo un supporto emotivo e pratico per aiutarli a gestire le conseguenze dell’episodio; facilitare una comunicazione efficace tra gli studenti, il personale e i genitori, assicurandosi che siano informati in modo chiaro e tempestivo sugli sviluppi relativi all’incidente; fornire istruzione agli studenti e al personale sulla natura del pregiudizio, sull’importanza della diversità e dell’inclusione e su come contrastare l’odio e la discriminazione; collegare gli studenti alle risorse disponibili, come servizi di consulenza o organizzazioni comunitarie che possono offrire ulteriore supporto e assistenza; promuovere la guarigione e il recupero all’interno della comunità scolastica, lavorando per ripristinare un clima di sicurezza, rispetto reciproco e accettazione.
G. Sostenere le vittime coinvolte, fornendo loro il sostegno necessario per affrontare l’esperienza traumatica e promuo -
vendone la crescita personale. Allo stesso tempo, è importante fornire strumenti per la responsabilità e il cambiamento ai perpetratori dell’episodio, incoraggiandoli a riflettere sulle loro azioni, assumersi la responsabilità per esse e impegnarsi in pratiche riparative per correggere il danno causato alla comunità scolastica.
Abusi su minori
A.Segnalare alle autorità competenti, come richiesto dallo Stato, tutti i casi sospetti di abuso e abbandono di minori, tenendo presente che non è necessario avere prove concrete di abuso o abbandono per segnalare un caso alle autorità. Basta avere un ragionevole sospetto, anche se non c’è certezza assoluta. Per via della loro posizione privilegiata nel sistema educativo e della loro prossimità ai minori, i consulenti scolastici sono soggetti a norme più rigide o aspettative più alte rispetto ad altri professionisti riguardo al dovere di segnalare sospetti di abuso o abbandono.
B.Aggiornare continuamente le competenze necessarie per riconoscere i segni di abuso e di abbandono sui minori, siano essi fisici, emotivi o comportamentali, e per identificare a chi segnalare tali sospetti (autorità locali, servizi sociali, polizia, agenzie specializzate nella protezione dei minori).
C. Prendere misure appropriate e proporzionate per proteggere la privacy degli studenti coinvolti, assicurandosi che le informazioni sensibili siano accessibili solo a coloro che sono autorizzati e che hanno un legittimo bisogno di conoscerle per affrontare il caso in modo adeguato.
D. Essere a conoscenza delle leggi locali o statali che regolamentano la segnalazione di abusi e negligenze sui minori. Occorre inoltre essere a conoscenza delle procedure interne
della scuola o del distretto scolastico per gestire tali segnalazioni in conformità con la legge.
E. Mettere in contatto gli studenti che hanno subito abusi sia con i servizi forniti dal distretto scolastico (consulenti scolastici, psicologi, assistenti sociali o programmi di supporto specifici per studenti vittime di abusi) sia con le varie agenzie e associazioni della comunità che si occupano del problema (centri di assistenza per le vittime di violenza domestica, servizi di assistenza sociale ecc.).
Valutazione e interpretazione
A. Utilizzare strumenti di valutazione che siano stati sviluppati e validati in modo accurato e che abbiano dimostrato di misurare in modo attendibile ciò che si propongono di misurare. I test devono essere basati sulla ricerca, ossia supportati da prove empiriche e da ricerche scientifiche che dimostrino la loro efficacia nel misurare le abilità o i risultati di apprendimento degli studenti. Devono inoltre essere privi di elementi che potrebbero discriminare o penalizzare gli alunni appartenenti a determinati gruppi culturali o etnici. Devono essere somministrati nella lingua madre o nella lingua preferita degli studenti, in modo che possano esprimere appieno le proprie conoscenze e abilità senza essere penalizzati dalla barriera linguistica.
B. Seguire rigorosamente le linee guida e le normative professionali stabilite per l’uso degli strumenti di valutazione. Questi standard possono riguardare aspetti etici, legali, tecnici e metodologici. In particolare i consulenti devono limitare la loro scelta agli strumenti di valutazione che sono pertinenti e rilevanti per la loro area di competenza e per le necessità degli studenti che assistono. Devono essere autorizzati o abilitati a utilizzare gli strumenti di valu-
tazione, avere le certificazioni necessarie ed essere competenti nell’applicarli correttamente.
C. Rispettare le normative sulla privacy quando utilizzano strumenti e programmi di valutazione, sia che siano in formato cartaceo che elettronico.
D. Considerare diversi fattori, tra cui l’età dello studente, le sue abilità linguistiche, la lingua parlata a casa e il livello di competenza, al fine di determinare se una valutazione è adeguata.
E. Utilizzare una combinazione di dati quantitativi e qualitativi per fornire una comprensione completa e accurata delle esigenze e delle prestazioni degli studenti, così da promuovere il loro benessere complessivo.
F. Fornire un’interpretazione, nella lingua preferita dello studente, della natura, dello scopo, dei risultati e del potenziale impatto delle misure di valutazione in termini comprensibili agli studenti e ai genitori/tutori.
G. Monitorare l’utilizzo dei risultati della valutazione e dell’interpretazione e adottare misure per prevenire l’abuso o l’utilizzo improprio delle informazioni raccolte.
H. Usare cautela quando si selezionano o si utilizzano tecniche di valutazione, si effettuano valutazioni e si interpreta la performance di popolazioni non rappresentate nel gruppo di riferimento su cui è standardizzato uno strumento di valutazione. Questo perché le caratteristiche e le esperienze delle popolazioni non rappresentate potrebbero differire da quelle del gruppo di riferimento, influenzando di conseguenza la validità e l’affidabilità delle valutazioni.
Cittadinanza tecnica e digitale
A. Sostenere un accesso equo alla tecnologia per tutti gli studenti: questo implica garantire che tutti gli studenti abbiano la possibilità di accedere alle risorse tecnologiche necessarie
per il loro apprendimento, come l’accesso a dispositivi quali computer, tablet e connessione a internet, nonché a software e piattaforme online pertinenti al loro percorso educativo.
B. Scegliere attentamente le risorse digitali che rispettano la diversità culturale degli studenti e che sono in grado di offrire un supporto significativo al loro sviluppo in vari ambiti, come quello scolastico, professionale e sociale/emotivo.
C. Adottare misure adeguate e ragionevoli per mantenere la riservatezza delle informazioni sugli studenti e dei documenti didattici archiviati o trasmessi attraverso l’uso di computer e altre tecnologie elettroniche.
D. Educare sia gli studenti sia le loro famiglie all’uso responsabile della tecnologia, compresi gli aspetti legati alla sicurezza e alla privacy online.
E. Educare gli studenti agli aspetti positivi delle tecnologie appropriate, e allo stesso tempo informarli sui limiti, in modo da favorire un uso consapevole e responsabile della tecnologia.
F. Utilizzare canali di comunicazione che sono stati approvati dalla scuola per comunicare con gli studenti, mantenendo confini chiari e sani nelle interazioni, ed educando gli studenti all’importanza di rispettare i confini appropriati nelle comunicazioni.
Tratto da: ASCA,Ethical Standards for School Counselors , consultabile alla pagina https://www. schoolcounselor.org/getmedia/44f30280-ffe8-4b41-9ad8f15909c3d164/EthicalStandards. pdf.
Traduzione di Francesca Nicola.
ASCA
American School Counselor Association.
Orientarsi con i classici
Qualche riflessione e (modesta) proposta per la valorizzazione del potenziale orientativo del testo letterario nella didattica dell’italiano per lo sviluppo di competenze chiave.
di Paola RocchiL’italiano, o meglio l’insegnamento di lingua e letteratura italiana, fa parte dell’asse dei linguaggi, come il latino e le lingue straniere. Queste materie, per i loro statuti disciplinari specifici, abbracciano tanto l’area linguistico-espressiva quanto l’area umanistico-letteraria. In termini di competenze chiave europee, e quindi anche di competenze orientative, le più prossime a essere coinvolte sono l’alfabetizzazione linguistica e multilinguistica funzionale, gli ambiti di cittadinanza e di consapevolezza ed espressione culturale. Ma, data la sua natura profondamente trasversale, l’insegnamento dell’italiano contribuisce a pieno titolo allo sviluppo anche delle altre competenze chiave. Un ruolo fondamentale in questa prospettiva lo rivestono il rapporto con il testo, e nello specifico con il testo letterario, e la funzione della scrittura. In questo articolo toccherò in modo più sintetico la dimensione orientativa del testo letterario e della letteratura in genere, per cui mi permetto di rinviare al
La metamorfosi di Dafne in alloro raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi [trad. P. Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1979
«Aiutami, padre, – dice. – Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, trasformandola, questa figura per la quale sono troppo piaciuta!»
Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza. Anche così Febo la ama, e poggiata la mano sul tronco sente il petto trepidare ancora sotto la corteccia fresca, e stringe fra le sue braccia i rami, come fossero membra, e bacia il legno, ma il legno si sottrae ai suoi baci. E allora dice: «Poiché non puoi essere moglie mia, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre io ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra, sulla mia faretra. Tu sarai con i condottieri latini quando liete voci intoneranno il canto del trionfo e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu starai pure, fedelissimo custode, ai lati della porta della dimora di Augusto, a guardia della corona di foglie di quercia. E come il mio capo è sempre giovanile con la chioma intonsa, anche tu porta sempre, senza mai perderlo, l’ornamento delle fronde!»
Qui Febo tacque. L’alloro annuì con i rami appena formati, e agitò la cima, quasi assentisse col capo.
recente contributo Orientarsi con i classici a firma mia e di Tommaso Gennaro 1, al fine di concentrare maggiore attenzione al versante – spesso trascurato – del valore formativo e orientativo della scrittura.
Attivare le competenze attraverso il lavoro sui testi letterari
Su un piano teorico-metodologico, si può sostenere che l’esperienza con/sul testo, in particolare nella dimensione letteraria, consente a studentesse e studenti di collocarsi nella prospettiva affettiva, cognitiva e comunicativa dell’apprendimento al fine di:
• acquisire il dominio della grammatica del discorso dei generi testuali sotto l’aspetto lessicale, semantico, sintattico e di registro;
• sviluppare una relazione col testo in termini di risonanza sul piano emotivo, estetico e critico;
• sperimentare il piacere di un ap -
proccio personale che favorisce nello studente la motivazione a essere, in fasi anche successive, soggetto partecipe, coautore del testo e produttore autonomo;
• comprendere le relazioni tra testo e contesto in termini spazio-temporali relative alla fase di produzione e quella di fruizione;
• instaurare un processo dialogico con una visione “altra” di cui il testo è portatore, e con le diverse interpretazioni a cui può dar vita in un processo di interazione e ricostruzione del senso e del valore in termini di negoziazione e rielaborazione critica.
Si tratta, senza dubbio, di condizioni fondamentali per rafforzare i processi di conoscenza e costruzione di sé in rapporto al mondo esterno.
La lezione di COMPITA
La didattica orientativa trova dunque nel testo letterario uno spazio virtuale di lavoro e condivisione nel quale possono avere luogo apprendimento e acquisizione. In questa prospettiva, diventano particolarmente importanti le due competenze linguistico-letterarie che nel Progetto COMPITA 2 sono definite come riappropriazione e valutazione.
In entrambi i casi, si colloca in primo piano la dimensione interpretativa, che pone il soggetto in una posizione strategica al pari dell’oggetto (centralità del lettore e centralità del testo), soggetto «che diventa protagonista nel ricostruire il significato profondo del testo e nel ricondurre a sé – al suo immaginario e ai suoi stili comunicativi – il senso della lettura individuale e sociale di un’opera letteraria».
Vediamo come queste due competenze possono essere attivate ed esercitate sul piano della prassi didattica.
Nel caso della riappropriazione entrano in gioco:
• la manipolazione testuale;
• la contestualizzazione;
• l’interpretazione fondata sulla storicità del testo e su quella del lettore.
Nel caso della valutazione (da intendersi come «l’assunzione consapevole da parte del lettore della propria vicinanza o distanza dal testo-contenuto-forma»), viene valorizzata appieno la centralità del lettore attraverso:
• vicinanza a / distanza dal testo;
• capacità di esprimere e motivare
giudizi di valore;
• aspetto collaborativo dell’apprendimento attraverso il confronto tra la propria lettura e quella altrui. Entrambe le competenze implicano una didattica basata sulla lezione euristica, ovvero su un’attività di ricerca, un’indagine, da cui si generi un risultato che attiva un confronto, sull’apprendimento cooperativo e sulla laboratorialità, attraverso “prove esperte” e studi di caso, che possano mettere in moto anche processi di ricerca delle fonti e l’utilizzo di strumenti digitali.
La letteratura orienta?
Possiamo, credo, porci legittimamente questa domanda, anche e soprattutto in tempi in cui lo studio delle discipline letterarie sembra non in grado di competere con saperi e linguaggi di più immediata spendibilità sul mercato della formazione. Ho usato volutamente (provocatoriamente ?) formule come “spendibilità” e “mercato della formazione” non solo perché ormai incistate nel linguaggio della scuola 4.0, ma perché sono
le stesse che vengono evocate quando si parla della scuola dell’orientamento nella dimensione prevalente dell’avviamento alle scelte future e delle capacità dei singoli di adattarsi alle regole del sistema produttivo.
Se intendiamo i processi di orientamento unicamente in questa prospettiva, la letteratura può ben poco, ed è il caso di dire per fortuna . Ma l’incontro con i grandi testi letterari ha molte altre frecce al suo arco.
Quando è presente e contemporanea a lettori e lettrici, la letteratura è fatta per orientare: con Ulisse, Omero indirizza i viaggiatori del mondo antico nel Mediterraneo; attraverso il suo pellegrinaggio ultramondano, Dante accompagna l’umanità del suo tempo a vedere il proprio futuro per aggiustare la rotta esistenziale; grazie alla visione distorta di Don Chisciotte, Cervantes indica a chi lo legge una prospettiva ulteriore con la quale rivolgersi alla realtà; in Una stanza tutta per sé (1929), Virginia Woolf indica a tutte le donne del mondo sue contemporanee strade nuove, mai battute prima di allora e tutte da esplorare.
Galleria Borghese.
→ Anselm Kiefer, Daphne, 20082011.
Ma quando invece ci parla dal passato, anche se non smette di durare e risuonare nel nostro presente, la letteratura può ancora orientare? E in che modo un’opera può mantenere inalterata la sua capacità di orientare, dopo secoli se non millenni?
La letteratura non è come una bussola che si smagnetizza col passare degli anni; è, piuttosto, come una costellazione in cielo che non smette di brillare: le stelle continuano a illuminare; col tempo, semmai, possono cambiare il nostro modo di osservarle e i significati che attribuiamo loro. È in fondo quanto accade quando un’immagine artistica, un tema, un personaggio, per quanto prodotti in un tempo molto lontano dal nostro, continuano a parlarci, o meglio a provocarci, chiedendoci insistentemente di dare ad essi un senso rinnovato, che si radica nel passato ma reclama di abitare anche il nostro presente.
Prenderò a prestito solo un esempio dalla letteratura e dall’arte per mostrare quanta potenza d’interrogazione possa sprigionarsi dai testi e dalle immagini nel momento in cui chiamano a raccolta i nostri sensi, la nostra dimensione emotiva ed empatica, le nostre capacità cognitive e intellettuali (in nessun modo scindibili gli uni dalle altre). Parto da un mito famosissimo, quello di Apollo e Dafne, concentrandomi solo su alcuni passaggi, colpevole di omissioni eccellenti (Petrarca, Marino, D’Annunzio in letteratura, e di altrettante in ambito figurativo). Il percorso tematico, intertestuale e inter-
disciplinare, non è solo un’occasione per ragionare sulla persistenza di un mito e delle sue implicazioni antropologico-culturali, ma può diventare uno strumento molto stimolante per convocare studentesse e studenti a un incontro di riflessione sul nostro modo di guardare e dare senso al rapporto tra noi e il mondo. Quale valore e quali possibili significati acquistano ai nostri occhi quei testi, quelle immagini? Quanto e cosa ci dicono del passato e del presente? Perché la metamorfosi ci riguarda?
Dafne diventa in questo modo un vettore formidabile, capace di attraversare mondi e trasferirci da un tempo all’altro rinnovando a ogni appuntamento il nostro modo di osservarne le metamorfosi, fino a puntare diritto al cuore del problema: la metamorfosi come atto fondativo della nostra stessa persona, del nostro modo di stare al mondo e di rappresentarci nel cambiamento, gesto insieme traumatico ed esistenzialmente vitale e salvifico del nostro crescere.
La scrittura come pratica di orientamento e auto-orientamento
—
Al pari della lettura e dell’incontro motivante con il testo, anche le pratiche di scrittura svolgono un ruolo importante nei processi di orientamento e auto-orientamento.
In appoggio teorico a questa affermazione, basterebbe riflettere su almeno tre aspetti della questione:
• la scrittura, nella sua qualità di discorso, è un potente strumento di conoscenza; sin dagli esordi, la parola scritta, prima ancora di essere utilizzata per comunicare, ha permesso agli esseri umani di denominare le cose, di prenderne possesso e di conoscerle;
• la scrittura si è imposta come un mezzo per mettere in relazione il soggetto con l’alterità, sia questa identificabile con il mondo fenomenico sia con gli altri soggetti;
• la scrittura è uno dei canali più potenti per conoscere sé stessi, dando forma e rielaborazione a emozioni, stati affettivi e psicologici, pensieri.
In un’ottica specificamente orientativa e in supporto alla compilazione dell’e-portfolio, strumento di autovalutazione introdotto dalle recenti Linee guida sull’orientamento (D.M. 328 del 22 di-
cembre 2023), acquistano una particolare rilevanza in chiave metacognitiva e di supporto ai processi decisionali attività di scrittura come le liste delle idee, dei “pro” e dei “contro”, le mappe decisionali, i planning, le schede di valutazione e di autovalutazione, i diari di bordo, le relazioni di PCTO, il curriculum vitae e le lettere motivazionali.
Nelle proposte che seguono non prenderò in esame gli aspetti tecnico-funzionali della scrittura per orientarsi, ma proporrò dei percorsi che privilegino la scrittura come autoesplorazione e come confronto con la realtà complessa.
Per far sì che la scrittura possa contribuire ad attivare percorsi di conoscenza di sé, bisogna in primo luogo sgomberare il campo dagli obblighi della valutazione tradizionale e dagli adempimenti ufficiali. Occorre pertanto liberare spazio e, soprattutto, proporre alla classe attività meno convenzionali, in cui lo scrivere venga vissuto come un’occasione per esprimere pensieri, per operare riscritture, transcodificazioni, narrazioni in forma individuale e collettiva.
All’interno dei moduli di orientamento è possibile inserire delle attività in cui la scrittura, a cavallo tra dimensione creativa e autobiografica, possa aiutare le ragazze e i ragazzi a rielaborare l’esperienza di sé in chiave di conoscenza e consapevolezza.
Gli esempi che fornisco di seguito sono applicabili a diversi livelli di approfondimento, con classi di biennio e/o di triennio.
Proposta 1. Scrittura
(e strumenti per scrivere) come autoconoscenza
Secondo anno / Terzo anno
Durata: 2-3 ore (1 h di presentazione del tema e di lettura ad alta voce dei testi; 1 h di discussione collettiva e interpretazione delle immagini metaforiche delle poesie di Magrelli; 1h di elaborazione scritta – anche come attività assegnata per casa da riportare e mettere in comune poi in aula con realizzazione di padlet o cartelloni digitali condivisi).
Io voglio soltanto attraverso a queste pagine arrivare a capirmi meglio. L’abitudine mia e di tutti gl’impotenti di non saper pensare che con la penna alla mano 3 […] mi obbliga a questo sacrificio. Dunque ancora una volta, grezzo e rigido strumento, la penna m’aiuterà ad arrivare al fondo tanto complesso del mio essere. Poi la getterò per sempre e voglio saper abituarmi a pensare nell’attitudine stessa dell’azione. ( Pagine di diario).
Nella strenua professione di fede verso la scrittura come strumento di conoscenza profonda di sé, spicca un oggetto, la penna, «gretto e rigido strumento» capace però di scavare come una sonda nel fondo complesso dell’essere umano.
La familiarità degli scrittori con gli strumenti indispensabili per svolgere la propria attività non nasce con Svevo, ma ha antecedenti antichi ed illustri. Il poeta Guido Cavalcanti, ad esempio, ha dedicato un celebre sonetto, Noi siàn le triste penne isbigotite, ai suoi ferri del mestiere: le penne (d’oca, in questo caso), le cesoiuzze, usate per tagliare obliquamente la punta della penna, il coltellino che serviva per farle la punta.Il poeta stilnovista chiama a raccolta i suoi strumenti e, personificandoli, dà loro voce per esprimere lo stato di prostrazione in cui versa il poeta colpito da amore.
Un poeta contemporaneo, Valerio Magrelli, sembra ripartire proprio da queste immagini quando incentra alcuni suoi versi sull’atto dello scrivere e ancor più sugli oggetti che gli consentono di farlo.
Nella raccolta Ora serrata retinae (Einaudi, Torino 1980) ci imbattiamo in queste due brevi poesie, da proporre in un percorso sul valore dell’atto della scrittura:
1.
Nel 1902 lo scrittore triestino Italo Svevo scriveva questa nota nel suo diario:
La penna non dovrebbe mai lasciare la mano di chi scrive, ← Dafne in una campagna pubblicitaria per la linea Mediterranea di
ormai ne è un osso, un dito, come un dito gratta, afferra ed indica, È un ramo del pensiero e dà i suoi frutti: offre riparo ed ombra.
2.
Questo quaderno è il mio scudo, trincea, periscopio, feritoia. Guardo da una stanza buia nella luce; non visto vedo; vergognosa scienza della spia.
Assegno che ad ogni riga cresce, miracolo dei pani moltiplicati, libro mastro di perdite e guadagni nel lungo arco dei commerci umani. Superficie di carne su cui gratto. prima di prender sonno, e che carezzo come un piede dopo il cammino del giorno.
Attività 1
Nel primo caso, la penna è pensata come tutt’uno con la mano di chi scrive: è un osso, un dito, di cui prolunga le funzioni (grattare, afferrare, indicare). Da strumento esterno, separato dall’uomo, si umanizza nel senso fisico del termine perché diventa parte inseparabile dal nostro corpo. Ma il suo valore strumentale si sublima al massimo quando, attraverso la metafora dell’albero, la penna si fa ramo del pensiero: mentre subisce questa nuova metamorfosi, in tal caso di segno vegetale, esplica appieno la sua capacità di fruttificare , di dare forma e volume, attraverso le parole, al pensiero.
Nella seconda lirica l’oggetto metaforico dell’operazione dello scrivere è il quaderno: scudo, trincea, periscopio, feritoia. Già soffermarsi su queste quattro metafore potrebbe aprire a una riflessione collettiva sul significato implicato dalle immagini scelte da Magrelli.
Scudo perché?
Trincea perché?
Periscopio perché?
Feritoia perché?
Quali movimenti suggeriscono? Quali funzioni della scrittura autobiografica sono sottese a ciascuna immagine?
Un brainstorming in aula potrà aiutarci a leggere i possibili significati suggeriti da tutte le parole-immagini utilizzate da Magrelli per definire il quaderno, fino a comporre una mappa in cui rappresentarli graficamente.
Attività 2
Il gioco potrebbe quindi essere rilanciato tra studentesse e studenti, invitati a pensare individualmente agli strumenti che usano abitualmente per scrivere e a creare – al modo di Magrelli – immagini metaforiche che ne esprimano il significato. Le immagini e i significati connessi dovranno collegarsi comunque all’idea di fondo di questo breve percorso: la scrittura come strumento di indagine di sé stessi. I risultati di questa produzione creativa potranno avvalersi di linguaggi vari in appoggio a quello verbale (grafica, disegno, collage ecc.).
Proposta 2.
Scrittura come esplorazione di sé
Biennio / Terzo anno
Durata: 2 ore (1 h di presentazione del video e sua spiegazione + progettazione del testo creativo; 1h per la messa in comune dell’esperienza).
Questo percorso prende le mosse dal testo di una canzone del cantautore contemporaneo Caparezza, che nel 2014 firma il pezzo China Town (dove China si pronuncia come si scrive, con chiara allusione all’inchiostro). Un vero e proprio inno alla scrittura:
Non è la fede che ha cambiato
La mia vita ma l’inchiostro
Che guida le mie dita, la mia mano, il polso
Ancora mi scrivo addosso amore corrisposto
Scoppiato di colpo come quando corri Boston
Non è la droga a darmi la pelle d’oca ma Pensare a Mozart in mano la penna d’oca là
Sullo scrittoio a disegnare quella nota Fa. 4
Attività 1
Si comincia con la visione collettiva del videoclip [https://www.youtube.com/ watch?v=zW2_PdTNTNM], di cui è particolarmente apprezzabile la composizione e l’animazione.
Quindi, si può risalire allo spunto che, secondo le dichiarazioni di Caparezza, ha dato avvio al progetto musicale: il dipinto Quadrato nero (1915) del pittore russo Kazimir Malevič. Dovendo spiegare il rapporto tra quest’opera figurativa e la sua canzone, il cantautore afferma: «È
una canzone d’amore per l’inchiostro e per la scrittura. Se ne sta lì, nero su bianco, come il quadrato di Malevich».
Dentro il quadrato nero su fondo bianco Caparezza vede le infinite possibilità che l’inchiostro (metonimia per la scrittura) gli offre per esplorare le vie della creatività e della realizzazione di sé.Tutto contenuto in un perimetro quadrato,vuoto solo in apparenza.
Attività 2
Concludiamo il breve percorso proponendo a ragazze e ragazzi di affacciarsi a loro volta sul bordo di quel quadrato nero e di esplorarlo per liberare ciò che spesso resta silenziato dentro di noi. Lasciamo libertà di esecuzione per far sì che ciascuno trovi il suo modo, il suo stile (anche grafico) per far saltare fuori le parole, le frasi che raccontano, esprimono meglio le sensazioni, le emozioni, i sogni, i desideri, i conflitti irrisolti a cui la scrittura può dare finalmente voce.
Un punto di partenza per riflettere con la classe su questo aspetto della scrittura può essere quello di tornare a dare la parola direttamente agli scrittori e alle scrittrici.
Proposta 3.
Scrittura come definizione di sé rispetto alle scelte complesse
Quarto/quinto anno
Durata: 3-4 ore in aula e alcune ore di attività singole e di gruppo a casa (1 h di presentazione del percorso e visione del video + 1 h di presentazione dei risultati dell’indagine sulle pagine Instagram; 1-2 ore per il personal purpose).
Ancora una volta, ci soccorre Italo Svevo. Lo scrittore triestino, in una pagina diaristica datata 2 ottobre 1899, annota:
Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiare giornalmente . Si deve tentar di portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia puro pensiero, che sia o non sia puro sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolo-
re, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più. Altrimenti facilmente si cade, – il giorno in cui si crede d’esser autorizzati di prender la penna – in luoghi comuni e si travia quel luogo che non fu a sufficienza disaminato. Insomma fuori della penna non c’è salvezza 5
Svevo pensava a una scrittura giornaliera come strumento di scavo e di autoanalisi, con lo scopo non tanto di conoscersi per guarire dalle proprie nevrosi (per lui incurabili), ma come antidoto alla facile caduta nei luoghi comuni, nelle formule stereotipate e inautentiche in cui spesso ci si rifugia per superficialità e omologazione. Uno scribacchiare per sé stessi, una sorta di diario intimo attraverso cui esercitarsi per vedere più chiaro dentro di noi. Ma è proprio vero?
Possiamo partire dalla lezione di Svevo per riflettere insieme su alcune questioni: quanto le parole che usiamo, i racconti in cui rielaboriamo le nostre vicende ed emozioni sono veritieri? In realtà, le parole sono in grado di manifestare ma anche di simulare e dissimulare, possono trasformarsi in vere e proprie maschere, artefici di autoinganni dettati dalle convenzioni, dalle mode o anche dalla paura di svelarsi agli altri e a sé stessi.
In fondo, è un po’ quello che accade al protagonista del romanzo sveviano, Zeno Cosini, che viene indotto dal suo psicanalista a scrivere un diario in cui ripercorrere la sua vita, mosso dai ricordi, dai sogni e dalle libere associazioni
Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadro nero, embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. È il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporta un contributo culturale fondamentale alla pittura» (lettera di Kazimir Maleviĉ a Matyshin in M. Emmer, Visibili armonie, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 108).
dei pensieri. Ma quanto di quello che Zeno ci racconta di sé corrisponde alla realtà? Pochi altri personaggi di romanzo sono capaci di mentire in modo tanto inconsapevolmente spudorato come lui. In questo caso, la scrittura svela o véla chi siamo? L’una e l’altra cosa: la verità si può dire anche mentendo, ma quando le vittime di questo meccanismo finiamo per essere noi, il gioco può avere conseguenze negative sulla nostra autostima e sulle nostre motivazioni.
Al posto del diario col lucchetto, lontano ormai anni luce, oggi sperimentiamo sui social media un’esposizione pubblica quotidiana di ciò che ci accade (o che vorremmo ci accadesse). E lo facciamo non solo attraverso immagini e video, ma anche attraverso la scrittura di post e di storie che, raccontando e commentando, mettono in vetrina narrazioni spesso artefatte e ingannevoli.
Attività 1
Consigliamo a questo punto la visione del cortometraggio del registra di origine norvegese Shaun Higton, intitolato What’s on your mind? («A cosa stai pensando?») reperibile in rete (https:// filmnosis.com/shortfilms/whats-onyour-mind/).
Il video, il cui titolo è ispirato alla consueta domanda che appare agli utenti di Facebook (in quello italiano è «A cosa stai pensando?»), è incentrato sul contrasto tra realtà e desideri, vita vera e vite immaginate, descritte e rilanciate sul web a caccia di like, attraverso le immagini e le parole ingannevoli con cui migliaia di utenti mostrano di sé stessi un’immagine filtrata e spesso assai lontana da quella reale. Il protagonista del corto riscrive letteralmente le vicende spesso deludenti della sua vita trasformandole in frasi e slogan da vincente. La rimozione sistematica delle frustrazioni crea un effetto straniante e impedisce all’individuo di confrontarsi con le proprie debolezze e di elaborare le sconfitte, processo necessario per crescere e vedere più chiaro in sé stessi.
Attività 2
(in appoggio alla visione del video di Higton)
Un’attività potenzialmente interessante da affiancare alla riflessione suggerita dal video consiste nel chiedere alla classe, divisa in gruppi di lavoro,
di seguire per almeno una settimana la pagina Instagram di un personaggio pubblico (appartenente al mondo politico, a quello dello spettacolo ecc.) e ricostruire la ’narrazione’ di sé che egli ci propone attraverso i post e le storie pubblicati, studiandone il linguaggio e il rapporto tra immagine e parola, e le principali reazioni degli utenti. I risultati di questa indagine verranno condivisi e confrontati.
Attività 3
Con la terza attività proviamo a ribaltare in positivo gli stimoli ricavabili dal passaggio precedente: scriviamo di noi in modo da presentare, prima a noi stessi e poi agli altri, quello che sentiamo di potere e voler essere. Cerchiamo di essere efficaci ma anche sinceri.
Ce ne fornirà lo spunto di nuovo uno scrittore, questa volta l’anglopakistano Hanif Kureishi, che, in occasione di una manifestazione culturale (La Milanesiana 2013), parlando della creatività umana e di come possa orientare le nostre scelte, si è espresso con queste parole:
Che ci piaccia o no, siamo tutti condannati a essere artisti.
Siamo i creatori e gli artisti delle nostre vite, del futuro e del passato, se per esempio vediamo il passato come cadavere, come una risorsa o qualcos’altro.
Siamo artisti nel modo in cui vediamo, interpretiamo e costruiamo il mondo.
Siamo artisti quotidiani di giochi, conversazioni, camminate, cibo, amicizie, sesso e amore. Ogni bacio, ogni lavoro o pasto, ogni parola scambiata o ogni cosa sentita ha in sé un po’ d’arte, oppure nessuna.
Non esiste alcuna unanimità interessante sul modo in cui è il mondo. Alla fine, là fuori, non c’è nulla tranne quello che noi ne facciamo.
E che noi ne facciamo qualcosa di più o qualcosa di meno, dipende dalla risposta a un interrogativo quotidiano, una semplice domanda: come vogliamo vivere e chi vogliamo essere (il contributo è apparso sul quotidiano “La Repubblica”, 22 giugno 2013).
La lettura del passo di Kureishi può essere accompagnata da una serie di proposte-stimolo:
• Come ti immagini tra 5 anni?
• Sei in grado di segnare almeno tre obiettivi che vorresti aver conseguito?
• A quali aspetti di te non saresti di-
Laboratorio dell’argomentazione
Classe Secondo anno del primo biennio / triennio.
Docente/i Docenti di varie aree (umanistica, storico-sociale, scientifica).
Azioni Percorso di lettura di testi argomentativi condotto in parallelo da docenti del consiglio di classe su:
• tematiche legate alla società contemporanea e in particolare modo alla realtà dei giovani (secondo anno primo biennio).
• uno stesso tema-problema affrontato da punti di vista e linguaggi specifici differenti a secondo delle aree disciplinari coinvolte (un esempio tra tutti: le questioni dell’Antropocene) con possibili ricadute anche in termini di interessi e di orientamento.
I docenti attraverso i testi proposti da loro e/o dalla classe potranno creare un laboratorio con attività di comprensione e analisi e di produzione scritta individuale e/o collaborativa in cui mettere a frutto gli spunti offerti dai testi e approfondire ulteriormente.
Particolare attenzione sarà dedicata alle tecniche di composizione, organizzazione e argomentazione, mettendo in rilievo anche gli approcci diversi a seconda dell’area disciplinare e dei relativi linguaggi.
L’attività potrà dar luogo a testi indirizzabili a un Drive condiviso, al giornale di Istituto, ad aree dedicate sul sito della scuola, alla preparazione di un dibattito ecc.
Metodologia Didattica orientativa, laboratoriale, compiti autentici.
Valenza Pluridisciplinare
Competenze europee
Competenze disciplinari
Competenza alfabetica funzionale.
Competenza multilinguistica (in caso di azione concordata anche il docente L2).
Imparare a imparare.
Competenza in area STEM.
Competenza in materia di cittadinanza: agire e partecipare in maniera responsabile in base alla comprensione di temi rilevanti come le questioni dei diritti e della sostenibilità.
Consapevolezza ed espressioni culturali (come sopra).
Competenza imprenditoriale: capacità di sviluppare la creatività e lo spirito critico; capacità di lavorare in modalità collaborativa.
Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale: capire, sviluppare ed esprimere le proprie idee e il senso della propria funzione o del proprio ruolo nella società in una serie di modi e contesti.
Leggere comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo.
Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi.
Imparare a formulare ed esporre la propria opinione riguardo tematiche specifiche.
Partecipare a una discussione in modo propositivo, individuando il punto di vista dell’altro e rispettando i turni verbali, l’ordine dei temi e l’efficacia espressiva nel tono e nel registro.
Durata N° di ore flessibile e da concordare (minimo 10 ore complessive).
sposta/o a rinunciare per conseguirli?
• Quali cose ti mancherebbero di più se fossi costretta/o a cambiare radicalmente il tuo attuale modello di vita?
• Indica almeno una cosa che faresti se non fossi condizionata/o dallo sguardo e/o dal giudizio degli altri.
• Quali pensi siano i tuoi talenti migliori? In quali campi ti ritieni particolarmente “forte”?
• Cosa ti appassiona di più fare?
Rileggi le tue risposte e traccia un tuo profilo personale. Potrebbe risultare interessante farlo leggere a qualcuno che ti conosca bene per ottenerne un riscontro.
Attività 4
Sul piano tecnico, spesso quando ci si presenta per candidarsi a un tirocinio, a un’esperienza di studio e/o di lavoro o per ricoprire una posizione, ci viene chiesto di presentarci e di dichiarare le nostre motivazioni in accompagnamento al nostro curriculum vitae. In pratica, siamo chiamati a scrivere un testo non più lungo di una pagina, che si basi sul cosiddetto personal purpose (letteralmente “scopo personale” di vita), ben sapendo che – come tutto ciò che riguarda l’essere umano –anche quello è in evoluzione e soggetto a cambiamenti nel corso del tempo. Dopo aver fornito uno schema simile a quello che proponiamo di seguito, si può richiedere a studentesse e studenti di formulare una prima bozza di personal purpose, aiutandoli progressivamente a migliorarlo e ad affinarne stile e linguaggio.
Primo passaggio Io sono (indica ciò che fai, il tuo percorso formativo, le tue competenze certificate)
Secondo passaggio Con (esplicita i valori e le caratteristiche che ti contraddistinguono)
Argomentazione, problem posing e problem solving —
Per concludere, un breve affaccio sulla scrittura argomentativa. Ci allontaniamo da una dimensione della scrittura autobiografica per guadagnare terreno verso un processo di decentramento dal self, imprescindibile nella fascia d’età 1618. Potremmo pensare che decentrare le pratiche di scrittura dall’analisi e dall’espressione di sé comporti una minore valenza orientativa. Ma non è così.
In primo luogo dovremo ricordare che le due tipologie testuali (esposizione-argomentazione e narrazione) non si danno mai come forme pure e impermeabili tra loro. Inoltre, come emerge dagli studi in campo antropologico, neurocognitivo e linguistico, l’argomentazione – al pari della narrazione – si basa sulla selezione, la ricomposizione e ricombinazione di idee, pensieri, fatti, elementi, in grado di indicare una direzione e al contempo di attribuire un senso a eventi ed esperienze, ordinandoli, collegandoli e disponendoli in gerarchia. Tanto le attività di problem posing che quelle di problem solving sono strettamente implicate in questo processo.
Argomentare infatti significa:
• interrogare un tema e interrogarsi intorno a esso: perché entrare in dialogo con la realtà significa non subire passivamente le informazioni che arrivano dall’esterno;
• problematizzare nel senso critico del termine, ovvero saper cogliere l’importanza di una questione e l’aspetto che la rende contendibile;
• avere il coraggio di fare scelte consapevoli e di maturare un’opinione: prendere posizione, insomma, dopo aver letto e aver pensato, e non sull’onda dell’emotività o peggio ancora del pregiudizio;
• documentarsi, acquisire informazioni certe e fondate, individuare esempi, attingere alla dimensione esperienziale, istituire rapporti logici e analogici, procedere dal particolare al generale e viceversa; in altri termini: “vaccinarsi” contro i luoghi comuni, gli stereotipi, le fake news;
Terzo passaggio Cerco di fare (dichiara i tuoi obiettivi e le tue aspirazioni)
• mettere in ordine e in gerarchia le idee, procedendo non in modo casuale o per puro elenco: un connettivo ben scelto, una paragrafazione efficace, una “mossa argomentativa” felice implica l’esistenza di una strategia tesa a risol-
vere un problema;
• vagliare i punti di forza e quelli di debolezza delle nostre posizioni nell’ottica di un esercizio del pensiero critico che non si rivolge solo alle posizioni altrui ma anche alle proprie; in poche parole: non siamo infallibili, e dobbiamo mettere in discussione continuamente le nostre idee;
• adottare il punto di vista degli altri e quindi entrare in una dimensione dialogica in cui l’altro non è la “controparte da demolire”, ma viene “preso sul serio”; perché solo riconoscendo legittimità e valore alle sue posizioni se ne possono discutere gli argomenti;
• immaginare la “battaglia delle idee” come luogo in cui il conflitto viene ricomposto attraverso la parola, che è alla base di una cultura della convivenza democratica.
Per passare dalla riflessione teorica all’aula, perché non pensare a un laboratorio dell’argomentazione su temi collegati all’esperienza dell’orientamento formativo?
La proposta del Laboratorio dell’argomentazione che trovate a p. 71, diversamente calibrata, può essere messa in pratica in un secondo anno del primo biennio come nel triennio, convocando docenti di più aree disciplinari a collaborare con l’insegnante di italiano.
Sarebbe, tra l’altro, un’occasione preziosa per tradurre in atto le raccomandazioni delle Indicazioni nazionali che in più luoghi invocano una reale trasversalità della didattica della scrittura, trasformando l’attuale vicolo cieco in cui queste raccomandazioni si sono incagliate in una strada da percorrere insieme.
NOTE
1. P. Rocchi, T. Gennaro, Orientarsi con i classici. Moduli di didattica orientativa e letteratura, Loescher, Torino 2024. 2. Il progetto Compita. Competenze dell’italiano è un progetto pilota nato da un protocollo d’intesa del 2013 tra alcune università italiane e l’allora MIUR, e che ha coinvolto varie scuole superiori italiane. Tra i contributi più rilevanti del progetto, finalizzato all’innovazione didattica dell’italiano nel triennio della scuola superiore, si segnala la sinossi delle competenze letterarie scaricabile al link http://www.compita.it/wp-content/ uploads/2015/02/Sinottica-Competenze-letterarie.pdf. Sul progetto Compita si veda il
Quaderno della Ricerca n. 6, Per una letteratura delle competenze, e il QdR / Didattica e letteratura n. 5, Le competenze dell’italiano, entrambi a cura di N. Tonelli.
3. L'enfasi nei testi proposti è mia.
4. Si riportano qui i primi versi del testo di China Town, brano musicale scritto dal rapper italiano Caparezza, pubblicato il 29 agosto 2014; fa parte dell’album Museica
5. I. Svevo, Saggi e pagine sparse , Mondadori, Milano 1954, p. 287.
insegna materie letterarie e latino presso il liceo ginnasio “Socrate” di Roma e si occupa di didattica e formazione, in particolare per l’ADI-Scuola del Lazio e nell’ambito del progetto Atlante del Novecento. È autrice, insieme a Corrado Bologna e Giuliano Rossi, delle storie e antologie della letteratura edite da Loescher: Letteratura visione del mondo (2020), Rosa fresca aulentissima, Fresca rosa novella e di un’edizione integrale, con apparati didattici, dei Promessi Sposi (2019).
Ha pubblicato inoltre: Esame di Stato, competenze, orientamento (2024, con Claudia Mizzotti, Lucia Olini, Marianna Villa), Guida all’orientamento (2024, con Annarita Di Benedetto).
Didattica orientativa e insegnamento letterario
Prendendo le mosse dalla metodologia dell’orientamento narrativo e dalla convinzione che sia possibile ricorrere all’esperienza della lettura e della scrittura letteraria per sviluppare le competenze di auto-orientamento, l’Università di Siena sta realizzando un progetto di ricerca che si propone di mettere a disposizione delle scuole secondarie di primo e secondo grado dei kit per la didattica orientativa.
di Simone Giusti
In Italia si parla e si discute animatamente sulla funzione orientativa della scuola fin dal 1962, quanto venne approvata la legge sulla scuola media unica, che all’articolo 1 recitava: «La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti della Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva». La scuola media, possiamo leggere nei programmi del 1963, «senza perdere il proprio carattere essenzialmente formativo, […] assurge in pari tempo a una funzione orientativa», di fatto ricorrendo – questo era quanto almeno veniva auspicato – all’adozione di «processi induttivi, che muovano dalla esperienza vissuta dagli alunni, dal loro mondo morale e affettivo, dall’osservazione dei fatti dei fenomeni per passare progressivamente a sempre più organiche e consapevoli sistemazioni delle cognizioni acquisite». Sappiamo che la storia è andata in un’altra direzione, e che il consiglio orientativo, istituito tre anni dopo proprio per supportare coloro che uscivano dalla nuova media unificata, ha contribuito alla cristallizzazione di un’idea tutt’altro che educativa di orientamento, da intendersi piuttosto come una sorta di indirizzamento e di guida alla scelta, la cui funzione selettiva e segregazionista è oggi evidenziata da numerosi studi1 Eppure, nonostante le difficoltà incontrate nell’introduzione di quella didattica attiva e valutazione formativa che avrebbero favorito quella che in ambito francofono viene chiamata “educazione all’orientamento” (éducation à l’orientation), anche in Italia già da oltre venticinque anni si parla di orientamento in quanto «attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado», e come «parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale,del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia»,che dovrebbe esplicarsi «in un insieme di attività che mirano a formare e a potenziare le capacità delle studentesse e degli studenti di conoscere se stessi,l’ambiente in cui vivono,i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di
un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile»2. È in questo quadro normativo – a cui si devono aggiungere le successive linee guida ministeriali che hanno cercato di ribadire e di precisare quanto stabilità nel 19973 – che si colloca il concetto di didattica orientativa, a cui si ricorre nel contesto italiano per descrivere quelle azioni didattiche che, nell’ambito dei diversi insegnamenti disciplinari, mentre perseguono il conseguimento dei risultati di apprendimento attesi per la materia di insegnamento, mirano anche allo sviluppo delle competenze di auto-orientamento e, più in generale, all’acquisizione di una crescente consapevolezza dei propri processi di apprendimento.
La didattica orientativa con approccio narrativo
Nel maggio del 2022, alcuni mesi prima che il governo italiano emanasse le nuove Linee guida per l’orientamento, ho presentato all’Università degli Studi di Siena un progetto di ricerca finalizzato ad accompagnare e favorire l’introduzione di attività di orientamento formativo nei percorsi curricolari delle scuole secondarie di primo e secondo grado. L’idea, che è stata poi finanziata dallo stesso ateneo senese, era quella di progettare e realizzare in classe dei percorsi di orientamento con approccio narrativo e dei percorsi di formazione da mettere a disposizione di docenti di Italiano della secondaria di I grado e di Lingua e letteratura italiana di Licei, Tecnici e Professionali4.
Nell’ideazione del progetto ho potuto contare su almeno due decenni di elaborazione teorica e di ricerca condotta a partire dal lavoro di Federico Batini e dall’orientamento narrativo, una metodologia di orientamento formativo che si può collocare nell’ambito dei metodi qualitativi, non direttivi, centrati sull’utente. Uno degli assunti alla base della metodologia è la convinzione che ciascun essere umano, se adeguatamente supportato (se gli si consente, cioè, di sviluppare le competenze necessarie alla redazione della “sceneggiatura” del proprio futuro), è in grado di governare e gestire la propria esistenza, di essere autore e interprete del “romanzo” della propria vita5. Nei percorsi di orientamento narrativo assumono dunque grande rilievo la lettura ad alta
voce, le diverse forme della riscrittura e della rimediazione, la condivisione dei testi prodotti con gli altri partecipanti: una serie di pratiche che mobilitano le competenze narrative e linguistiche, spingendo i soggetti a compiere esperienze simulate che, potenzialmente, contribuiscono a far acquisire e consolidare un lessico sempre più specifico per parlare di sé e della propria esperienza e per costruire ipotesi e schemi di azione per il futuro. Queste pratiche, che dal punto di vista della ricerca educativa e delle scienze sociali e psicologiche definiremmo dei comportamenti narrativi o narrazioni, se osservate dal punto di vista dell’insegnamento letterario e della teoria letteraria possono essere considerate degli atteggiamenti estetici, ovvero esperienze letterarie condotte su un corpus di opere molto eterogeneo e variegato, che non tiene conto dei valori letterari consolidati (l’appartenenza a una determinata tradizione, la canonicità, la qualità formale o stilistica eccetera), bensì delle potenzialità trasformative dei dispositivi testuali: romanzi e racconti di genere, ma anche opere della tradizione e della letteratura per l’infanzia e per l’adolescenza, e poi fumetti,poesie,canzoni,ma anche spezzoni di film e serie tv, selezionati con cura al fine di favorire un’interazione letteraria tutt’altro che neutra o asettica.
La lettura letteraria come esperienza trasformativa
Anche nel settore della didattica della letteratura, intesa non come sinonimo di insegnamento letterario ma come campo di ricerca autonomo, situato all’intersezione tra teoria letteraria, didattica generale, didattica delle lingue, ricerca sociale ed educativa, si sono sviluppati negli ultimi decenni alcuni concetti operativi e metodi didattici che hanno in comune l’idea che la letteratura abbia delle potenzialità cognitive che vanno al di là dell’apprendimento linguistico, come già aveva prospettato Remo Ceserani parlando di educazione dell’immaginario, o secondo quanto auspicato da Jerome Bruner circa la necessità di mettere a frutto il potere della lettura letteraria in quanto fruizione di storie o narrazione6
Alcune idee sviluppate nell’ambito della teoria letteraria, in particolare da Louise Rosenblatt in ambito anglofono e da Michel Picard per l’area francofona7,
hanno aiutato a superare la centralità del testo e della sua analisi e interpretazione critica, portando al centro dell’attenzione di chi insegna il soggetto lettore e la lettura letteraria come esperienza estetica frutto di un’interazione o transazione tra il soggetto e il dispositivo testuale. Altrettanto importante è la concezione istituzionale, funzionalistico-relazionale e pragmatica della letteratura 8 , che in Italia si è irradiata a partire dalla scuola milanese di Franco Brioschi e di Vittorio Spinazzola, grazie alla quale oggi è possibile parlare con agio di un valore d’uso della letteratura e assumere un atteggiamento laico e aperto nei confronti dei comportamenti di lettura, che vanno indagati e promossi senza esitazioni, ricorrendo alla grande varietà e ricchezza di testi, di situazioni e di dispositivi che possono contribuire a far intendere per prova cosa significhi oggi leggere e scrivere letterariamente.
Già nel 2013, in un libro intitolato Imparare dalla lettura, a partire da queste stesse premesse teoriche evidenziavo la necessità di «tener fermo il principio della necessità di attivare le opere, ovvero di farle funzionare nella mente e nel corpo delle persone, affinché possano avere un ruolo nella loro vita», mettendo tra parentesi le pratiche di analisi e commento in auge nella scuola secondaria, per dedicare del tempo a creare le condizioni affinché sia possibile per chi frequenta la scuola «insediarsi nell’opera; e che l’opera s’insedi, con tutti i rischi che comporta, nel lettore»9.
La lettura letteraria, se intesa come un’esperienza di vita, può svolgere una funzione importante per la crescita della persona, consentendole di esplorare sé stessa e le proprie emozioni e di mettere alla prova i sistemi di credenze che danno senso alla realtà, in un continuo processo di trasformazione che è probabile che chi legge questo articolo abbia sperimentato sulla propria pelle, ma che è impossibile da spiegare a parole a una persona che non lo ha mai provato. E dunque pare proprio che il solo modo che abbiamo per convincere qualcuno del valore trasformativo dell’esperienza letteraria consista nel farla provare, ovviamente con il consenso e la piena disponibilità e fiducia da parte del soggetto, che altrimenti non metterebbe mai a disposizione le proprie risorse attenzionali ed emotive.
La scelta dei brani
Affinché la lettura letteraria sviluppi le sue potenzialità trasformative sui corpi di chi legge, è importante che l’insegnante provveda a un’adeguata selezione dei testi e poi, in seconda battuta, dia a ogni studente l’occasione di attivare, annotare e riflettere sulla vita personale e sulle esperienze di lettura anche attraverso attività di scrittura e, inoltre, di condividere verbalmente queste esperienze con la classe.
Per dare supporto agli insegnanti nella fase di scelta dei testi, il progetto Orientare con la letteratura ha messo a frutto due risorse fondamentali: il censimento dei testi selezionati per i percorsi di orientamento narrativo già progettati e pubblicati nel corso degli ultimi venti anni, e le conoscenze dei colleghi e delle colleghe del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne, intervistati da Andrea Siragusa, il borsista di ricerca che per alcuni mesi ha lavorato alla costruzione di un’ideale biblioteca scolastica da mettere a disposizione di chi deve progettare e realizzare la didattica orientativa.
Sempre allo scopo di reperire opere e brani utili alla progettazione delle attività didattiche, durante il progetto si è scelto di coinvolgere insegnanti, autrici e autori in grado di estendere il raggio d’azione a settori, temi e generi della letteratura meno esplorati, ma ritenuti importanti: la letteratura working class, ripercorsa insieme allo scrittore Alberto Prunetti, la letteratura “controcanonica” delle persone escluse o marginalizzate, indagata attraverso la voce di Johnny L. Bertolio.
Un seminario sulla scrittura poetica con Elisa Biagini ha inoltre permesso di definire meglio l’approccio alla lettura letteraria nell’ambito del progetto di ricerca, che procede da un incontro diretto e non mediato con il testo per poi concludersi con una sorta di assunzione di responsabilità da parte dell’insegnante, che prima di chiudere ogni incontro dovrebbe focalizzare l’attenzione su chi ha scritto l’opera e sulle sue qualità stilistiche e formali.
La progettazione delle attività didattiche
Una volta conclusa la raccolta dei testi,si è
proceduto alla progettazione di tre diversi kit didattici, destinati rispettivamente a classi di scuola secondaria di primo grado, del primo biennio e poi del triennio del secondo grado di licei, istituti tecnici e professionali.
Diversamente da quanto accade nell’orientamento narrativo, che preferibilmente ricorre a percorsi basati su un’unica narrazione guida, che può essere un romanzo – per esempio, Il racconto dell’isola sconosciuta di Saramago, oppure Il conte di Montecristo di Dumas10, – da cui vengono ricavati più brani da leggere ad alta voce, e quindi più esercizi e prodotti da realizzare in classe, nel caso della didattica orientativa si è preferito preparare dei percorsi meno strutturati, che ruotano intorno alle stesse esperienze – la scelta, l’incontro con l’altro, l’affrontare situazioni inattese o la risoluzione di un problema – ma che lasciano a chi insegna un certo margine di libertà, oltre che la responsabilità di individuare, tra i materiali forniti con ogni kit didattico, quelli più adatti alla propria situazione11.
Per la realizzazione di ogni singolo kit didattico – che contiene le istruzioni, un brano letterario e le eventuali schede didattiche per le e gli studenti – si è proceduto in questo modo:
• individuazione del brano ritenuto più adatto allo svolgimento di un’attività didattica in grado di promuovere le competenze di auto-orientamento;
• progettazione delle attività didattiche e dei relativi strumenti;
• scrittura della microprogettazione didattica, ovvero delle istruzioni dettagliate da fornire all’insegnante.
A titolo di esempio, si riporta di seguito il contenuto della microprogettazione di un’attività articolata in tre parti: la lettura ad alta voce condivisa di un brano narrativo, funzionale a favorire un’esperienza estetica, portando metaforicamente ogni studente ad abitare provvisoriamente nel mondo narrato; un esercizio di rielaborazione dell’esperienza, cui segue la condivisione dei propri testi e delle proprie riflessioni; un momento conclusivo, durante il quale si fa un rapido bilancio e si sollecitano eventuali domande sull’autrice o sull’opera, in modo da creare a posteriori un nesso con l’attività più propriamente disciplinare. Questo kit didattico, intitolato La prova di me , è suggerito per il primo biennio della scuola secondaria di secondo grado.
1) Narrazione e lettura comune (10 minuti)
L’insegnante prepara la lettura del brano scelto – un passo dalla prima parte dell’Isola di Arturo di Elsa Morante (1957) – raccontando oralmente la trama del romanzo, in modo da fornire le informazioni necessarie a comprendere il brano. Si tratta del passo in cui il padre di Arturo perde l’orologio durante un bagno in mare, e finalmente al ragazzo si presenta l’occasione giusta per compiere un’impresa e ottenere l’ammirazione e la gratitudine del genitore12
Immediatamente dopo la lettura ad alta voce condivisa del brano è utile fare domande che stimolino l’immersione nel mondo narrato e la condivisione delle immagini e delle eventuali emozioni («Come vi è sembrato?», «C’è un punto più emozionante degli altri?», «Avete visto i personaggi?» «E l’ambiente?», «Che ne pensate di Arturo?»).
2) Un esercizio scrittura (40 minuti)
Alla lettura segue un esercizio di scrittura. Ogni studente scrive una storia in una scheda che contiene l’incipit. L’attività può essere svolta anche in piccoli gruppi. Queste sono le indicazioni da fornire agli/alle studenti: «Come Arturo, adesso anche tu stai per avere la tua occasione. Scegli un’ambientazione per il tuo racconto, di cui sei il personaggio protagonista. Accanto a te si trova un altro personaggio, una persona a cui tieni molto, davanti alla quale hai occasione di compiere un’impresa importante, che possa rivelare il tuo valore. Quando hai immaginato la situazione e i personaggi, scrivi una storia che inizia con questa frase: «Finalmente, un giorno, io credetti arrivata l’occasione che avevo sempre aspettato,di dargli la grande prova di me!…».
I testi prodotti vengono condivisi con la lettura ad alta voce. La condivisione è volontaria e deve essere sollecitata e coadiuvata da un atteggiamento non giudicante. È utile in questa fase dare riscontri positivi e puntuali dopo ogni lettura («Mi è piaciuto questo aspetto…», «Molto interessante il passaggio…») e fare eventuali domande sul processo di scrittura («Come è andata?», «L’avete scritto volentieri?», «Vi siete sentiti Arturo almeno per un po’?»).
3. Conclusioni e connessioni (10 minuti)
L’insegnante fornisce alcune informa-
zioni sul romanzo letto e sull’autrice, sollecita domande sull’autrice o sull’opera e se necessario cerca le informazioni su internet insieme alle/agli studenti. È utile fornire possibili connessioni con argomenti trattati o da trattare durante il percorso scolastico (per es. il romanzo di formazione, il narratore omodiegetico, storie di personaggi adolescenti, l’isola di Procida ecc.).
Compilazione del diario di bordo e archiviazione dei testi.
La sperimentazione
Al fine di verificare l’efficacia dei kit didattici nell’ambito della didattica orientativa si è scelto di individuare, su base volontaria, tredici diverse istituzioni scolastiche distribuite sul territorio nazionale: quattro istituti comprensivi e nove tra licei e istituti tecnici e professionali. In tutto sono stati coinvolti cinquantacinque docenti, che hanno svolto le attività di formazione – tre videolezioni accompagnate da esempi dei kit didattici – e hanno realizzato i kit di didattica orientativa nelle loro classi, oltre millecinquecento studenti di sessantaquattro classi che hanno partecipato alle attività e trecentocinquanta studenti di diciannove classi interessati esclusivamente come gruppo di controllo. Prima e dopo l’inizio delle attività previste dal progetto sono stati infatti somministrati in tutte le classi (gruppo campione e gruppo di controllo) due distinti questionari, uno elaborato dal gruppo di ricerca (“Come mi oriento”) e volto a indagare
la percezione delle proprie competenze nell’area dell’auto-orientamento, e il Questionario di ricezione letteraria di Miall e Kuiken, in grado di fornire informazioni sull’approccio alla lettura letteraria di ogni studente13
In questa fase è stata fondamentale la collaborazione di Maria Alessandra Molè, dottoressa di ricerca in Teoria e Ricerca Educativa e Sociale, che ha gestito i rapporti con le scuole e che durante il mese di aprile sta ancora lavorando alle interviste a docenti e studenti.
I risultati, che saranno comunicati a ottobre nel corso di un seminario, dovranno fornire indicazioni circa l’efficacia delle attività e, soprattutto, sulla percezione dei loro protagonisti, esplicitamente chiamati in causa al fine di aiutarci a perfezionare i kit didattici e il percorso di formazione. Lo scopo di tutto il progetto è dare a chi insegna materie letterarie la possibilità di prendere consapevolezza delle potenzialità della didattica orientativa con approccio narrativo e di fornire a chi ne abbia bisogno – a titolo completamente gratuito, sul sito dell’Università degli Studi di Siena – il necessario per procedere in tempi rapidi con la realizzazione di moduli di orientamento di almeno dodici ore.
Le aspettative e il lavoro da portare a compimento
In attesa di affrontare l’analisi dei dati raccolti, è possibile intanto parlare di un impatto positivo dell’iniziativa, che è stata fin qui utile a diffondere un’idea di
orientamento meno retriva della vulgata e, soprattutto, più vicina ai bisogni e ai diritti delle e degli studenti. Il successo del seminario organizzato a Siena nel maggio del 2023, che ad oggi conta oltre centrotrentamila visualizzazioni su You Tube14, testimonia quanto meno l’esistenza di tante persone che sono alla ricerca di interpretazioni e di strumenti utili a dare un senso a quell’orientamento formativo che dovrebbe essere ormai da quasi trent’anni uno degli elementi fondamentali del curricolo scolastico. Le reazioni positive e interessate di docenti e studenti, la loro disponibilità al confronto e la loro partecipazione attiva al progetto spingono a credere che il metodo individuato abbia funzionato, e che questa forma di collaborazione tra scuola e università sia ritenuta rispettosa e promettente. Ciascuna delle istituzioni, d’altronde, svolge la sua funzione senza mettere in discussione il ruolo dell’altra, in un rapporto in cui ciascuno mette a disposizione dell’altro le proprie risorse, perseguendo insieme lo scopo di creare le condizioni affinché in futuro sia possibile collaborare sempre meglio e con maggiore soddisfazione di entrambe le parti.
È auspicabile, infine, che dopo la pubblicazione dei materiali rivisti e dei risultati della ricerca si crei una comunità di persone interessate a proseguire nella progettazione di altri kit didattici e nella ricerca di altri brani e libri utili ad ampliare la biblioteca del progetto.
NOTE
1.Si rinvia almeno a D.Checchi,Il passaggio dalla scuola media alla scuola superiore, «RicercAzione», n. 2, 2010, pp. 215-235; M. Romito, L’orientamento scolastico nella tela delle disuguaglianze? Una ricerca sulla formulazione dei consigli orientativi al termine delle scuole medie, «Scuola democratica», 2, 2014, pp. 441-460; G. Argentin, G. Barbetta, E. Manzella, Un consiglio che orienta alla disuguaglianza, «lavoce.info», 28 giugno 2023.
2. Articolo 1 della Direttiva sull’orientamento delle studentesse e degli studenti (487/1997).
3. Questi sono i tre documenti ministeriali di riferimento: Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita (C.M. 43/2009); Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (2014); Linee guida per l’orientamento (D.M. 328/2022).
4. Il progetto Orientare con la letteratura (Orienta. Le) è stato finanziato con fondi F-Cur dell’Università degli Studi di Siena. Al momento in cui l’articolo va in stampa le attività nelle classi
sono concluse ed è in corso l’analisi dei dati raccolti, che saranno diffusi gratuitamente insieme a tutti i materiali didattici.
5. Si veda almeno F. Batini, Costruire futuro a scuola. Che cos’è, come e perché fare orientamento nel sistema di istruzione, I Quaderni della Ricerca n. 24, Loescher, Torino 2015.
6. R. Ceserani, Come insegnare letteratura, in O. Cecchi e E. Ghidetti (a cura di), Fare storia della letteratura, Editori Riuniti, Roma 1986, pp. 153171; J. Bruner, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola , trad. it. di L. Cornalba, Feltrinelli, Milano 1997 (ed. or. 1996).
7. L. Rosenblatt, The Reader, the Text, the Poem, Southern Illinois University Press, Carbondale 1978; M. Picard, La Lecture comme jeu. Essai sur la littérature, Editons des Minuits, Paris 1986.
8. B. Falcetto, Conoscere le cornici. Per una didattica reattiva della letteratura, in S. Giusti, N. Tonelli (a cura di), Le risorse della letteratura per la scuola democratica, QDR / Didattica della letteratura n. 17, Loescher, Torino 2024.
9. S. Giusti, Introduzione. L’esperienza della lettura, in S. Giusti, F. Batini (a cura di), Imparare dalla lettura, I Quaderni della Ricerca n. 5, Loescher, Torino 2013, pp. 15-16.
10. F. Batini, S. Giusti, L’orientamento narrativo a scuola. Lavorare sulle competenze per l’orientamento dalla scuola dell’infanzia all’educazione degli adulti, Erickson, Trento 2008.
11.Sul modello di F.Batini,S.Giusti,Non so che fare,Loescher,Torino 2013 e altri volumi analoghi.
12. E. Morante, L’isola di Arturo, in Ead., Opere,vol. I, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, Mondadori, Milano 1998, pp. 985-987.
13. Ci si è avvalsi della collaborazione di Paolo Di Nicola, che sta procedendo alla validazione del questionario per il contesto italiano.
14. Il video del seminario, organizzato in collaborazione con Fondazione per la Scuola e con “Le storie siamo noi”, è disponibile sul canale YouTube del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne.
Simone Giuisti
insegna Didattica della letteratura italiana all’Università di Siena. È autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana moderna, sulla traduzione, sulla lettura e sull’insegnamento letterario. I suoi ultimi libri sono “A viso a viso”. Corpi che si incontrano nei Promessi sposi (Quodlibet, 2023) e Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Insieme a Natascia Tonelli è autore per Lœscher editore del manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, e condirettore della collana QdR / Didattica e letteratura.
L’orientamento: ma non è sempre stata la mission della scuola?
Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia recente di quello che potrebbe essere considerato uno degli obiettivi principali dei percorsi di istruzione: formare le persone, cittadini e cittadine, promuovendo la coscienza di sé e del proprio rapporto col mondo.
di Paola BrunelloL’uscita delle Linee guida per l’orientamento nel dicembre del 2022, con applicazione a partire dall’anno scolastico 2023/24, richiede alle scuole una riflessione attenta sul significato dell’orientamento. Per inquadrare meglio la questione può essere utile ripercorrere alcuni nodi fondanti espressi dalle normative precedenti.
Il D.M. 9 febbraio 1979, che stabiliva i nuovi Programmi, orari di insegnamento e prove di esame della scuola media, traccia un profilo esauriente e sistematico della nuova scuola media, e ne mette in risalto le caratteristiche specifiche ai fini dell’orientamento.
Tale peculiarità viene, infatti, fortemente evidenziata nella premessa generale, parte I, par. 3 («Principi e fini generali della scuola media»). Essa viene così definita:
• Scuola della formazione dell’uomo e del cittadino, che favorisce la «progressi-
va maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno»;
• Scuola che colloca nel mondo e che aiuta l’alunno «ad acquisire progressivamente una immagine sempre più chiara e approfondita della realtà sociale» e «a comprendere il rapporto che intercorre tra le vicende storiche ed economiche, le strutture, le aggregazioni sociali e la vita e le decisioni del singolo»;
• Scuola orientativa, «in quanto favorisce l’iniziativa del soggetto per il proprio sviluppo e lo pone in condizione di conquistare la propria identità di fronte al contesto sociale tramite un processo formativo continuo» e tende al «consolidamento di una capacità decisionale che si fonda su una verificata conoscenza di sé»1.
Con la Direttiva Ministeriale sull’orientamento n. 487 del 6 agosto 1997, si stabilisce che l’orientamento costituisce parte integrante del processo educativo e formativo a partire dalla scuola dell’infanzia:
• si attribuisce all’orientamento un valore formativo, finalizzato allo sviluppo
delle competenze di autorientamento e all’empowerment dei soggetti;
• l’orientamento diventa parte integrante dei curricoli di studio e del processo educativo e formativo della scuola a partire dall’infanzia.
La prima iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione in seguito a tale direttiva è la nota del 19 dicembre 1997 intitolata “PROGETTO ORIENTAMENTO E CONTINUITÀ - OR.M.E. ORientamento nella scuola Materna ed Elementare”. Accogliendo l’invito esplicito di considerare l’orientamento «parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia» (D.M. 487/1997), la Direzione Generale Istruzione Elementare e il Servizio per la Scuola Materna dà il via una serie di azioni che mettono in evidenza alcuni capisaldi:
• continuità: «si ritiene pertanto necessario e urgente diffondere la nuova cultura dell’orientamento al fine di dare corso a iniziative concrete nelle scuole di ogni ordine e grado, iniziative che dovendo fondarsi sul presupposto teorico dell’orientamento come processo continuativo, nella loro realizzazione dovranno comprendere un reale coordinamento fra gradi di scuole contigui. In considerazione di ciò è necessario che pur nell’attuale segmentazione della scuola in ordini diversi si realizzi una continuità d’interventi congruente con la continuità della persona e della sua crescita»;
• dalla parte delle bambine e dei bambini : «realizzare un progetto di orientamento scolastico che coinvolga la scuola materna e la scuola elementare significa individuare il carattere formativo e processuale dell’orientamento, significa sottolineare che l’apprendimento tutto, anche quello più precoce, concorre a formare individui in grado di elaborare un proprio progetto di vita, di saper scegliere responsabilmente e razionalmente, sulla base di una matura consapevolezza delle proprie propensioni e possibilità, di fare valutazioni serie e razionali delle situazioni, di saper decidere anche in condizioni di scarse conoscenze»;
• strumenti «che aiutino le bambine e i bambini di oggi a vivere la globalizzazione come risorsa e a contribuire alla trasformazione della società del bisogno nella società delle opportunità». Entrato nel vivo del suo percorso attuativo con il Seminario nazionale, tenutosi
nel novembre 1998 nella scuola polo nazionale – il Circolo didattico di Follonica, in provincia di Grosseto –, e con la successiva individuazione di scuole e centri territoriali di coordinamento, il progetto OR.M.E. ricorre a una pluralità di approcci e strumenti che hanno in comune l’intento di coinvolgere i diversi attori – dirigenti, docenti, responsabili amministrativi e genitori – in un percorso di trasformazione del sistema scolastico, secondo i principi della ricerca-azione.
Ecco che si cominciano a delineare elementi che saranno i punti cardine dell’azione delle scuole che attivano processi e percorsi di orientamento con i loro studenti: la co-progettazione, il lavoro in rete, l’uso sistematico della formazione per aumentare la consapevolezza culturale e la capacità di cooperare delle diverse figure professionali.
La didattica si delinea come didattica orientativa, come uno strumento di empowerment dell’individuo. La didattica orientativa viene definita nelle Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita , emanate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel 2009, come «una didattica laboratoriale (componente strutturale dell’offerta formativa e non episodica) fondata sul coinvolgimento attivo degli studenti, centrata su attività concrete (anche manuali) connesse con la quotidianità dei bambini/ragazzi, volta a realizzare un prodotto/esito concreto, interdisciplinare, volta a produrre informazioni e competenze anche riferite al mondo del lavoro».
La didattica corrente, pertanto, acquisisce funzione orientativa se il docente accompagna, stimola e supporta lo studente nel processo di apprendimento. Questo accade però solo se il processo di apprendimento è concepito come un percorso continuo di ricerca e scoperta, in cui lo studente è protagonista attivo e si esercita nell’assumere decisioni rispetto a un problema, apprende ad applica le soluzioni individuate e ne valuta l’adeguatezza.
Lo studente è implicato in un processo di decision making costante.
La didattica orientativa deve puntare ai traguardi di apprendimento previsti dalle singole discipline e al tempo stesso deve contribuire intenzionalmente allo sviluppo di competenze orientative, funzionali ad acquisire una capacità di
attivazione critica nei confronti dei problemi, di canalizzazione delle energie rispetto a obiettivi, di responsabilizzazione verso gli impegni.
Proviamo a mettere in evidenza alcuni elementi chiave per procedere nella direzione della didattica orientativa recuperando gli elementi sopra descritti:
• lavorare in continuità, attraverso una progettazione a partire dalla scuola dell’infanzia;
• rafforzare il raccordo tra il primo e il secondo ciclo di istruzione;
• effettuare azioni intenzionali e progettate consapevolmente;
• progettare per competenze.
Il curricolo è lo snodo principale per la realizzazione di una didattica orientativa.
Il DPR 275/99, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, consente alle istituzioni scolastiche di definire il proprio curricolo attraverso l’esercizio dell’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, quindi consente alle scuole di organizzare il proprio curricolo in modo che la visione di scuola orientativa diventi l’asse portante dell’azione educativa, e permette di rivoluzionare l’impostazione didattica e metodologica, dal momento che si passa dalla logica dei programmi alle Indicazioni nazionali per ogni ordine di scuola, sia del primo ciclo sia della secondaria di secondo grado.
Il curricolo verticale è il cuore della progettualità scolastica. Si tratta di costruire, negli Istituti Comprensivi per gli studenti e le studentesse dai 3 ai 14 anni e nella scuola secondaria di secondo grado dai 14 ai 19 anni, un percorso con una logica di continuità verticale, di creare un itinerario di lavoro che individui un filo conduttore orientante che garantisca la piena consapevolezza di sé e delle proprie competenze.
Ecco che il nodo della questione diventano le competenze. Un approccio per competenze mette al centro il soggetto, si focalizza sugli obiettivi di apprendimento che dovrebbe conseguire e cerca le azioni didattiche appropriate.Al tempo stesso crea le condizioni per consentire a ogni studente di realizzare pienamente le proprie capacità dimostrando, attraverso i comportamenti adottati, ciò che realmente ha imparato a fare, a pensare e a dire nel percorso formativo dalla scuola dell’infanzia.
Ma come si costruisce un curricolo
verticale orientativo?
È di fondamentale importanza lavorare tutti insieme: non un compito affidato ad un piccolo gruppo di docenti, ma un compito per tutto il collegio dei docenti. Quindi docenti che lavorano suddivisi per dipartimenti disciplinari in verticale: tutti coinvolti nel percorso e nel processo, tutti responsabili del prodotto.
In un Istituto Comprensivo, per esempio, i vari ordini e gradi di scuola, pur nella diversità, sono strettamente connessi l’un l’altro.
Per ogni disciplina, partendo dai traguardi di competenza, possono essere definiti gli obiettivi di apprendimento dai tre anni della scuola dell’infanzia alla classe terza della scuola secondaria di primo grado, tenendo presente due elementi fondamentali:
• rispetto degli obiettivi di apprendimento già definiti dalle Indicazioni Nazionali;
• costruzione di un percorso in continuità.
Il curricolo verticale fissa gli obiettivi di apprendimento e i traguardi di competenze per ogni annualità in un’ottica di sviluppo progressivo e verticale che attraversa le dimensioni nelle quali si struttura la conoscenza e propone un percorso curricolare condiviso, unitario, graduale, coerente, continuo e progressivo:
• infanzia ‒ campi di esperienza
• scuola primaria ‒ ambiti disciplinari
• scuola secondaria di I grado ‒ discipline.
Si tratta di individuare linee culturali comuni per giungere alla definizione di veri e propri obiettivi cerniera su cui lavorare in modo coordinato, rispettando le differenze di ogni ordine e grado di scuola.
La scelta degli obiettivi per competenze, come complesso processo delle tappe e delle scansioni dell’apprendimento, è una parte essenziale del curricolo. La loro natura prenderà in considerazione le metodologie innovative che i docenti sapranno mettere in campo, individuando strumenti e ambienti adeguati.
È necessario superare la logica delle programmazioni disciplinari a favore di una progettazione organica e integrata, che si struttura a più livelli e che opera secondo una didattica a spirale, in modo che i concetti vengano ripresi e approfonditi negli anni. Si tratta di progettare percorsi sulla base di criteri di gradualità rispetto ai bisogni formativi individuali, che ab -
biano elementi di continuità trasversale e longitudinale2
Con l’istituzione di moduli orientativi, previsti dalle Linee guida del dicembre 2022, la didattica orientativa assume un valore ancora più forte, in quanto istanza che impregna tutto il curricolo scolastico e attraversa trasversalmente le diverse discipline,in un processo costante che accompagna l’apprendimento e la crescita delle persone.
Le/gli insegnanti devono avere sempre presente il “filo rosso” che guida le loro attività. Nella didattica orientativa la consapevolezza del ruolo che ogni azione formativa assume nel percorso è di fondamentale importanza e intenzionalità è la parola chiave.
In questa ottica è importante avere chiaro che i moduli orientativi, le 30 ore previste dalle Linee guida per ogni anno della secondaria di primo e secondo grado, non devono costituire un’aggiunta, un adempimento in più: semmai sono momenti di approfondimento, di ulteriore riflessione. Momenti in cui si porta a sistema il percorso che viene svolto quotidianamente.
I moduli non vanno intesi come il contenitore di una nuova disciplina o di una nuova attività educativa aggiuntiva e separata dalle altre. Sono invece uno «strumento essenziale per aiutare gli studenti a fare sintesi unitaria, riflessiva e interdisciplinare della loro esperienza scolastica e formativa, in vista della costruzione in itinere del personale progetto di vita culturale e professionale, per sua natura sempre in evoluzione». In generale è possibile affermare che la scuola dovrebbe proporre una didattica orientativa nella sua prassi quotidiana e che i moduli di 30 ore dovrebbero configurarsi come momenti di approfondimento, come opportunità per i ragazzi e le ragazze di riflettere sulle proprie competenze orientative.
Per concludere questa riflessione, appare opportuno evidenziare ancora due questioni che giocano un ruolo essenziale nel progettare una scuola orientativa.
In primo luogo il PTOF – Piano triennale dell’Offerta Formativa – istituito dall’art. 3 del DPR 275/99 e ripreso dalla Legge 107/2015 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, dove viene definito come «il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni
scolastiche che esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi, determinati a livello nazionale […], e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa».
Ecco che ogni collegio dei docenti può trasformare la stesura (o la revisione annuale) del PTOF da un adempimento formale a un momento di riflessione: a che punto siamo rispetto alla didattica orientativa?
La seconda questione è la costruzione di una rete solidale con il territorio, o come meglio viene definita oggi, la costruzione di “patti educativi di comunità”.
Se la comunità educante può essere definita come l’insieme degli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita delle ragazze e dei ragazzi (si veda il rapporto di Save The Children del 2020), costruire patti educativi di comunità può essere considerata l’evoluzione del concetto di rete con il territorio.
Ne dà indicazione il Ministero dell’Istruzione nel Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021, emanato per la riapertura delle scuole nel periodo del Covid.
In cosa consiste un patto educativo di comunità? Quali sono gli elementi che lo costituiscono?
Non ci sono regole definite, ma un buon inizio potrebbe essere attivare un processo integrato tra pubblico (istituti scolastici, amministrazione comunale, aziende sanitarie locali) e privato/terzo settore (associazioni, società sportive e di volontariato, imprese, cooperative ecc.) e condividere alcuni di questi elementi3:
• valorizzare e rafforzare la scuola pubblica: individuare processi educativi e formativi che possano diventare pratiche quotidiane anche al di fuori della scuola, che escano dalle stanze e dal tempo in cui i docenti le praticano per diventare patrimonio comune;
• pensare a percorsi di continuità educativa da 0 a 18 anni orientati sulla valorizzazione delle diversità dei vari soggetti: l’ente locale dovrebbe assumere un ruolo di regia per promuovere una rete
di servizi educativi e scolastici in grado di configurare una continuità formativa basata su omogeneità di obiettivi e di offerte, garantendo però nello stesso tempo il rispetto delle diversità di stili e modelli pedagogici di riferimento;
• creare un sistema di relazioni coordinato e disciplinato: provare a delineare degli obiettivi comuni ai quali si chieda liberamente di contribuire, monitorandone però i percorsi e scegliendo quelli che si ritengono essere i più efficaci; può diventare una sana prassi di crescita e di ricerca della qualità;
• mettere a valore i percorsi già avviati tra l’ente pubblico e la scuola: delineare alcuni progetti che sono cresciuti fino a diventare autonomi e renderli pratica quotidiana;
• definire una strategia dell’orientamento: il tema dell’orientamento è di fondamentale importanza per definire le politiche formative;
• favorire il protagonismo e la partecipazione attiva delle fasce d’età più grandi: non è sufficiente costruire legami forti con le scuole primarie e secondarie di primo grado, ma è necessario avviare un dialogo di co-progettazione e compartecipazione con le fasce di età più grandi (scuola superiore) affinché si possa costruire un rapporto di fiducia e in particolare si offrano opportunità di costruzione di luoghi di aggregazione giovanile;
• favorire la nascita di spazi di aggregazione giovanile, di supporto allo studio, di cura delle fragilità, di sportello informativo (per ragazzi, famiglie, insegnanti, educatori...): costruzione di uno spazio ibrido capace di fornire una moltitudine di servizi al cittadino il più diversificati possibile. Oggi le nuove generazioni si confrontano più facilmente con spazi ibridi, non definiti, nei quali si sentono maggiormente a loro agio e proprio per questo diventa importante inserirvi servizi particolari a cui altrimenti non avrebbero accesso (consultori, psicologi, ma anche orientamento al lavoro o all’università...);
• sviluppare nuovi modelli di didattica: favorire il ripensamento di alcune modalità di educazione
Attuare le Linee guida per l’orientamento, pertanto, non è un nuovo adempimento, ma la costruzione di un percorso scritto a più mani, che permette a soggetti diversi, con compiti istituzionali diversi,
di intervenire in rete per rispondere ai bisogni degli studenti e delle studentesse e in senso più ampio dei cittadini, sostenendo:
• la centralità dell’individuo;
• la centralità della collaborazione e la cooperazione tra servizi;
• il potenziamento, la crescita, lo sviluppo continuo della dimensione orientativa della scuola e non solo.
Agendo in tal modo, sarà possibile realizzare quanto previsto dall’art.1 delle Linee guida stesse: «attuare la riforma dell’orientamento, disegnata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza , che ha la finalità di rafforzare il raccordo tra il primo ciclo di istruzione e il secondo ciclo di istruzione e formazione, per una scelta consapevole e ponderata, che valorizzi le potenzialità e i talenti degli studenti, nonché di contribuire alla riduzione della dispersione scolastica e di favorire l’accesso alle opportunità formative dell’istruzione terziaria», e ottemperare alla mission di sempre della scuola: essere una scuola orientativa.
NOTE
1. Si veda L’orientamento nella scuola media, in “Annali della Pubblica Istruzione”, n. 62, Le Monnier, Firenze 1993.
2. Si veda P. Brunello e G. Guglielmini, Normativa e governance: strumenti della dirigenza scolastica per orientare, in G. Guglielmini e F. Batini (a cura di), Orientarsi nell’Orientamento, il Mulino, Bologna 2024, pp. 159-161.
3. Gli elementi sono tratti dal patto educativo di comunità che si sta concretizzando nel territorio di Follonica, comune della Provincia di Grosseto.
Paola Brunello
è dirigente dell’Istituto Comprensivo “Leopoldo II di Lorena” di Follonica. Ha coordinato la Conferenza Provinciale per l’Orientamento delle Scuole della Provincia di Grosseto e collabora all’organizzazione del Convegno “Le storie siamo noi”, convegno biennale sull’orientamento Narrativo. Ha pubblicato insieme a Giulia Guglielmini Normativa e governance: strumenti della dirigenza scolastica per orientare, in Orientarsi nell’Orientamento, a cura di G. Guglielmini e F. Batini, il Mulino, Bologna 2024
Fotografia e musica rap per l’orientamento
Un affondo nelle rappresentazioni di ragazzi e giovani rispetto a sé, ai modelli adulti e al futuro.
di Paola RicchiardiL’orientamento formativo sta riscuotendo nuovamente grande interesse, soprattutto grazie alle modifiche introdotte dalle Linee Guida per l’orientamento (DM n. 328 del 22 dicembre 2022), che introducono sistematicamente nelle scuole secondarie di primo e secondo grado moduli dedicati all’orientamento di 30 ore l’anno,con un consistente numero di ore complessive. Si tratta di una misura importante per supportare i ragazzi nel processo di acquisizione di consapevolezza personale e professionale, processo reso sempre più complesso dalle importanti trasformazioni avvenute nella società, nel mondo formativo e del lavoro. L’ampia articolazione delle opportunità post-diploma, la fluidità del mondo del lavoro, l’incertezza del futuro di fronte alla crisi della stessa idea di progresso1, la crisi economica, la complessa situazione internazionale, connessi con l’immaturità progettuale dei giovani2, rendono d’altra parte sempre più necessario un supporto di tipo orientativo. Occorre però che questo si configuri come empowerment delle potenzialità della persona in connessione con la sua comunità, come supporto allo sviluppo di consapevolezza di sé, come opportunità di costruire o ricostruire la fiducia verso un futuro possibile. Si dovrebbe trattare inoltre di un’occasione per sviluppare la capacità di comprendere, ragionare, anche in modo critico e autonomo, sulle informazioni ricevute o ricercate e per esplicitare il mondo che si desidererebbe e si vorrebbe contribuire a costruire. Gli interventi orientativi all’interno della scuola acquisiscono (almeno in parte) dunque una connotazione pienamente educativa, come processo che accompagna l’individuo, anche all’interno delle stesse discipline scolastiche (attraverso la didattica orientativa). Per favorire questo processo di esplorazione e analisi di sé, delle proprie aspettative, sogni, desideri, rappresentazioni del futuro e del lavoro, i percorsi di orientamento formativo, privilegiano, da sempre, l’uso di strumenti e metodologie evocative (ad esempio la narrazione3), che consentono alle e agli studenti di riflettere, condividere e comunicare con il gruppo, non permanendo prudentemente in superficie. In quest’ottica abbiamo pianificato e realizzato due interventi di orientamento formativo per studenti delle secondarie, che partono da linguaggi oggi molto utilizzati dalle fasce più giovani: la musica (rap) e la fotografia 4. Li descriveremo di seguito con alcuni esiti qualitativi.
La musica rap per l’orientamento
La musica consente l’espressione emotiva e favorisce il coinvolgimento attivo e profondo delle persone. In specifico «la musica è fondamentale nella vita di molti adolescenti, giocando un ruolo nello sviluppo socio-emozionale, interpersonale, e intellettuale-artistico, e anche come canale per l’espressione di sé e la manifestazione delle proprie emozioni»5. I diversi generi musicali risultano più o meno adeguati a seconda
anche dell’età delle persone coinvolte. La musica rap è considerata oggi una delle principali modalità di espressione delle e dei giovani e strumento privilegiato di contatto con loro. Per questo si stanno ampiamente diffondendo progetti educativi che coinvolgono ragazze e ragazzi nell’ascolto, nella riflessione e nella produzione di musica rap6. Dato che una delle principali mission dell’orientamento formativo è lo sviluppo della consapevolezza di sé, la musica rap può costituire un canale privilegiato anche per attivare una riflessione che assume un carattere orientativo7. Da studi precedenti emerge che i percorsi di tipo terapeutico ed educativo, fondati sulla fruizione e produzione di musica rap, possono promuovere nei ragazzi alcune dimensioni che sono alla base dell’ empowerment-based youth development: stima di sé; resilienza; senso di appartenenza e connessione con la propria comunità; percezione della necessità di portare cambiamento8. I brani rap realizzati all’interno di questi percorsi consentono infatti di esprimere e narrare sé stessi, nella propria unicità (con effetti positivi, come è noto, sulla stima di sé). Ricorrono inoltre nei brani rap (sia in quelli commerciali che in quelli prodotti in percorsi educativi) frasi connesse alla resilienza dell’individuo, alla capacità/ possibilità di affrontare gli ostacoli, una valorizzazione dei legami con il proprio contesto di vita e la propria comunità (anche se spesso minoritaria), ma anche la denuncia della situazione attuale e il desiderio di cambiamento, verso un mondo migliore. Si è ritenuto dunque utile sperimentare percorsi di rap educativo specificatamente dedicati allo sviluppo orientativo. La metodologia utilizzata all’interno del progetto dell’Università di Torino è quello messo a punto dall’Associazione di promozione sociale Large Motive9 (Laboratorio Rap), elaborata dal rapper torinese Marco Zuliani. Il percorso educativo parte dalla musica per arrivare alla narrazione individuale e collettiva e tornare poi alla musica,con la produzione di un brano musicale sui temi della scelta, del futuro, delle aspettative degli adulti. Nello specifico, i percorsi orientativi (sperimentati a oggi con 18 classi terze di scuola secondaria di secondo grado) si aprono con la richiesta alle ragazze e ai ragazzi di raccontarsi, a partire da un brano scelto, con un focus sull’associazione tra musica ed emozioni e tra la dimensione
emotiva e i pensieri (tra mente e cuore). I ragazzi vengono poi condotti a riflettere sulle domande chiave del percorso: “Come mi vedo? Come mi vedono gli altri? Che cosa gli altri si aspettano da me? Come vedo il futuro? Come mi rappresento io nel futuro?”. Segue la scrittura creativa individuale, secondo le regole della scrittura rap, ovvero utilizzando rime e metafore. Il brano collettivo viene costruito poi a partire dagli scritti individuali. Segue la realizzazione del brano e poi la registrazione dello stesso a più voci.Il percorso termina con un bilancio personale e la stesura di un progetto orientativo. La profondità delle riflessioni che vengono stimolate durante il percorso, emerge anche dalla semplice lettura dei brani finali. Riportiamo alcuni esiti.
Rispetto alle dimensioni orientative, nei brani ricorre innanzitutto l’idea che i ragazzi e le ragazze hanno dei loro punti di riferimento adulti: rifiuto di alcuni modelli («Non sarò come papà sento il peso sulla schiena») o al contrario apprezzamento incondizionato («Seguirò le orme di mio papà, perché apprezzo tutto quello che fa»), delusione letta negli occhi degli altri («Ho fatto del mio meglio e tu l’hai distrutto, se non sono all’altezza la tua è incoerenza, negli occhi tuoi quanta indifferenza»), ricerca di apprezzamento («Io darei la vita solo per farti fiera»), smarrimento o carenza di riferimenti adulti («Più interrogativi che riferimenti») 10 Esplicitare i modelli adulti, positivi o negativi che siano, è una parte importante dell’orientamento, perché consente di analizzare in modo consapevole le aspettative e le rappresentazioni degli altri che incidono sulla progettualità individuale, specie se poco consapevoli. Sempre dal medesimo brano emergono alcune riflessioni su argomenti di tipo valoriale su cui il progetto ha focalizzato l’attenzione, quale l’importanza del denaro in una società che sembra non vedere altro: «Flash vedo una proiezione, cash sono o no la soluzione?» (Correnti).
I brani fanno emergere inoltre in modo forte la percezione di incertezza verso il futuro. Riportiamo qualche esempio (brano Pagine bianche11):
Ho mille modi per riempire queste pagine bianche, le responsabilità mi travolgono come valanghe
Scommetto a scatola chiusa,
ho ancora troppe domande, vorrei fermarmi a pensare, vorrei sentirmi più grande
Sempre paura e incertezza verso il futuro evidenziano alcune strofe dal brano Migliore12:
Se penso al futuro poi mi manca il fiato perciò non stupirti se sono agitato. Lancette che scorrono e penso al domani non riesco a pensarci perché non ho piani.
I brani toccano però anche, in accordo con gli studi di Travis, alcune dimensioni dell’empowerment-based positive youth development, quali la “resilienza” e la “fiducia in sé”. Nel brano Per tutto quello che ho13 per esempio, i ragazzi cantano:
Incontrare nuovi ostacoli, col timore di non superarli trasformarli in opportunità, imparando dagli sbagli
In sintesi, si rintraccia nei brani scritti e cantati una voglia di riscatto e un forte desiderio di poter sognare («voglio avere la rivincita e seguire le mie passioni»14), ma anche una grande paura di un futuro sempre più incerto,elementi che emergono anche dal percorso fotografico.
La fotografia per l’orientamento
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Se i percorsi “Rap per l’orientamento” utilizzano la musica come canale, quelli “Photovoice” usano invece la fotografia.
L’immagine è oggi più che mai una delle principali modalità di espressione giovanile, benché molto legato all’esposizione social di sé, dei propri sentimenti ed esperienze.Il suo utilizzo a scopi educativi può avere dunque vantaggi, ma anche rischi rispetto a che cosa si intende mostrare di sé, alla possibile discrepanza tra quanto si sente e quanto si vuole mostrare, quanto la narrazione di sé corrisponde poi alla reale percezione. L’immagine catturata con la fotografia può dunque anche essere fuorviante, se non c’è alla base un’educazione e una preparazione dello scatto, perché non sia scontato, di “facciata”, ma sia profondo, simbolico, significativo. La metodologia utilizzata è quella del Photovoice. Benché questa appartenga in origine alle pratiche di ricerca sociale15, l’adattamento della stessa a scopi formativi ha fatto rilevare esiti promettenti16. Dal-
la metodologia vengono assunti alcuni punti di riferimento fondamentali: ogni scatto va preparato e nasce da una discussione preliminare, da uno stimolo (anche provocatorio) visivo o non, da un lavoro di gruppo, in coppia o da una riflessione individuale; gli scatti effettuati diventano opportunità di riflessione collettiva e richiedono l’illustrazione e la narrazione individuale. Nei percorsi orientativi lo scatto può essere sostituito dalla scelta di fotografie sul web che rappresentano bene lo stato d’animo o il pensiero del ragazzo o della ragazza. Il progetto segue un percorso che procede dall’analisi di sé (“Chi sono io?”) e delle rappresentazioni altrui (“Come mi vedono gli altri?”), alle rappresentazioni del futuro e del proprio futuro in particolare (professione). Sono privilegiate le rappresentazioni simboliche capaci di attivare una riflessione più in profondità.
Nello specifico, nel primo incontro viene preparato lo scatto relativo alla rappresentazione di sé. Le fotografie scattate sono poi oggetto di riflessione collettiva nell’incontro successivo. Alcuni faticano però a realizzare degli scatti simbolici, perché richiedono capacità di riflessione non sempre molto stimolate. Si cerca tuttavia di fuggire la tentazione di realizzare un semplice selfie.
Nel secondo incontro si analizzano le immagini relative al sé. In questo caso la prima riflessione avviene in coppia: ogni studente racconta i motivi per cui ha scattato quella foto e in che modo quello scatto simbolico la o lo rappresenta. Ogni membro della coppia presenta poi lo scatto del partner al grande gruppo, con l’obiettivo di permettere alla persona di “risentirsi dall’esterno” e quindi di riflettere ulteriormente su di sé. Dopo la discussione collettiva sulla prima immagine, si procede alla preparazione dello scatto successivo con un’attività che porta a esplicitare: “Come mi vedono gli altri?” (aspettative e rappresentazioni di genitori, insegnanti, compagni, amici…).
Si riflette quindi sull’influenza dell’opinione degli altri sulle nostre scelte. Le rilevazioni di processo evidenziano che alcuni ragazzi faticano molto ad esplicitare le aspettative che gli altri hanno su di loro.
In alcuni casi è stato necessario attivare una preliminare consultazione di amici e genitori. Riportiamo alcuni esempi particolarmente significativi, da cui emerge anche il lavoro educativo svolto in classe,
Fig. 1. Forza e indecisione:
«Le persone mi vedono come una persona forte (la montagna) però con tante insicurezze e indecisioni (le mille vie che ci sono ai lati)».
Fig. 2. Collaborazione:
«Secondo me questo formicaio rappresenta un po’ il modo in cui mi hanno descritto i miei compagni ovvero disponibile, e molto lavoratore».
Fig. 4. Un mondo che brucia: «In futuro la società sarà assorbita dalla guerra, intestina ed estera. Non importerà il nostro titolo di studi o le nostre qualifiche, ma solamente quanto rapidamente sapremo sparare con un fucile e uccidere il "nemico" che avremo di fronte».
esplicitato nella spiegazione dell’immagine scattata o scelta (fig. 1, fig. 2).
Gli scatti e/o le immagini scelte dalla rete fanno emergere prevalentemente una rappresentazione positiva di sé. Poche sono le fotografie che contengono elementi negativi. Ne riportiamo un esempio (fig. 5). L’immagine rappresenta una mela per metà marcia. Lo studente, nella spiegazione, afferma di essere visto come una “mela marcia”. Osservando la fotografia si può vedere però che c’è una parte buona, forse non colta da tutte le persone che circondano il ragazzo: dipende dal punto di vista!
Il terzo scatto consente di esplorare le rappresentazioni del futuro dei ragazzi.
Diversi studenti rappresentano il loro futuro come “nero”, “grigio”, “un salto nel vuoto”. Altri invece scelgono immagini più rassicuranti come un viaggio verso una meta non nota,ma non preoccupante (fig. 3) o un cantiere in costruzione.
Le fotografie realizzate vanno a for-
Fig. 3. Il viaggio: «Non si percepisce e vede nessuna immagine questo vuol dire che non ho niente di sicuro ma è un futuro limpido e tranquillo come il cielo».
Fig. 5. Le due facce della mela: «Nessuno direbbe che una mela marcia sia buona».
mare un “album del futuro” che, nel suo complesso, rappresenta la percezione di quella piccola comunità che è la classe,ma anche un determinato periodo storico. Si constata, per esempio, che nell’a.s. 2023-24 hanno cominciato a comparire immagini di guerra (fig. 4) nelle rappresentazioni del futuro che invece non erano state scelte nell’anno scolastico precedente, pur essendo già presente la guerra in Ucraina.
Se l’immagine e la spiegazione della stessa che lo studente ha voluto dare fanno percepire il senso di impotenza e di sconforto nei confronti del futuro, aumentano però anche le fotografie che rappresentano in vario modo la solidarietà e i riferimenti ad un lavoro che si può svolgere solo insieme.
L’ultimo scatto risponde alla domanda: “Come vedo il mondo del lavoro e/o quale professionista vorrei essere?”. La preparazione prevede una sessione di self-assessment relativa ai valori e agli interessi professionali, un approfondimen-
to nell’Atlante delle professioni e una riflessione sui “valori professionali” che porta la classe a discutere su quali sono le istanze irrinunciabili per ciascuno. Le rappresentazioni mettono bene in luce innanzitutto i diversi stili decisionali: emerge per esempio la contrapposizione tra adolescenti già molto decisi, che scelgono da internet le fotografie dei professionisti che vorrebbero diventare, e altri che non sono in grado di proiettarsi neppure in una gamma o categoria ampia di professionisti. Ambedue le tipologie di soggetti necessitano di un supporto orientativo: i primi hanno bisogno di rivedere la propria scelta (per evitare scelte troppo “impulsive” o “vocazionali” non sottoposte a vaglio critico), mentre gli altri di iniziare a “pre-occuparsi” del loro percorso di vita.
Il progetto “Photovoice per l’orientamento” si conclude con la stesura di un “progetto di orientamento”, focalizzato sugli aspetti da approfondire per poter costruire la propria vita professionale, e con l’individuazione del proprio “motto” personale. Quest’ultimo riassume l’insegnamento più prezioso da conservare.
Conclusione —
Gli esiti qualitativi dei due interventi fanno emergere numerosi spunti di riflessione rispetto ai modelli adulti e ai punti di riferimento che offriamo alle persone giovani, alle rappresentazioni del futuro preoccupanti, ma anche alla loro capacità di scegliere valori come solidarietà, motivazione, collaborazione… per sé e per il futuro collettivo.
NOTE
1. V. Pellegrino, I futuri possibili, Ombre corte, Verona 2019.
2. S. Polenta, Cosa sognano i giovani, oggi? , in «Consultori familiari oggi», n. 26, 2018, pp. 66-79.
3. Si vedano F. Batini, G. Del Sarto, Narrazioni di narrazioni. Pagine di orientamento narrativo, Erickson,Trento 2005; F. Batini, S. Cini, L. Lambruschi,A. Paolini, Storie e orientamento. Percorsi per l’orientamento narrativo di gruppo, Lecce, Pensa Multimedia, 2011.
4. Gruppo di lavoro dell’Università di Torino: Paola Ricchiardi, Emanuela Torre, Chiara Ghislieri, Silvia Gattino, Teodora Lattanzi, Paola Torrioni.
5. S.N. Armstrong, R.J. Ricard, Integrating Rap Music Into Counselling With Adolescents in a
Disciplinary Alterntive Education Program , in «Journal of creativity in mental Health», n. 11, 3-4, 2016, pp. 423-435.
6. R. Travis, Rap Music and the Empowerment of Today’s Youth: Evidence in Everyday Music Listening, Music Therapy, and Commercial Rap Music, in «Child Adolescence Social Work Journal», n. 30, 2013, pp, 139-167.
7. P. Ricchiardi, T. Lattanzi, Educational, Vocational and Career Orientation Pathways for High School Students. Percorsi di educazione alla scelta e consulenziale per la scuola secondaria di secondo grado , in «Form@re - Open Journal Per La Formazione in Rete», 23(2), 2023, pp. 209–227, https://doi.org/10.36253/form-14643.
8.Travis, Rap Music and the Empowerment of Today’s Youth, cit.
9. Laboratorio RAP®RapTerapia è un marchio registrato da Marco Zuliani e Terra Mia Onlus, validato dal Dipartimento di salute dell’ASL2 di Savona (https://www.facebook.com/largemotive/). L’efficacia degli interventi con finalità educative sono oggetto di monitoraggio da parte dell’Università di Torino (Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’educazione).
10. Strofe tratte dal brano “Correnti” (3R –Istituto Boselli – Torino): https://www.youtube.com/playlist?list=PLh0rLRpyOULdQcK3d2WQhDgHUATjrA18P.
11. Brano composto dalla classe 3A dell’Istituto “Giancarlo Vallauri” di Fossano (Cn).
12. Brano composto dalla classe 3P dell’Istituto “Boselli” di Torino).
13. Brano composto dalla classe 3B dell’Istituto “Giancarlo Vallauri” di Fossano (Cn).
14. Brano composto dalla classe 3S dell’Istituto “Sella Aalto Lagrange” di Torino.
15. M. Santiello, A. Surian, M. Gaboardi, Guida pratica al photovoice. Promuovere consapevolezza e partecipazione sociale, Erickson, Trento 2022 16. P. Ricchiardi, E.M.T.Torre,T. Lattanzi, Percorsi di educazione alla scelta: valutazione dell’efficacia differenziale, in «Lifelong, Lifewide Learning», n. 20, 43, 2023, pp. 246-266.
Paola Ricchiardi
è professoressa associata di Pedagogia Sperimentale all’Università di Torino, dove insegna anche “Ricerca educativa per il potenziamento cognitivo, il metodo di studio e l’orientamento”. È referente per l’Ateneo torinese del progetto “OrientaUnito”, che ha raggiunto negli ultimi due anni circa 16.000 studenti.
La scuola che educa a orientarsi
Che cosa significa educare a orientarsi?
Che cosa significa sviluppare competenze orientative a scuola e imparare a raccontarsi?
Un’esperienza.
di Antonietta La MannaMi capita spesso di sentir dire agli adulti o di leggere in commenti su Facebook frasi come: «Quando andavo a scuola io tutte queste sciocchezze, la pedagogia, la didattica, l’orientamento nessuno le nominava eppure ce la siamo cavata lo stesso». Un tempo restavo in silenzio: siccome non ero stata quella che propriamente si dice una studentessa modello, tutt’altro, addossavo a me sola le responsabilità, e non mi passava lontanamente per la testa di mettere in discussione il sistema: ero io che non avevo fatto il mio dovere. Intorno ai 30 anni sono diventata insegnante, iniziando come tutor per ragazzi con difficoltà scolastiche, ruolo che ho svolto per un intero anno in un istituto paritario di Bologna. Nessuno dei tre ragazzi che seguivo mostrava difficoltà di apprendimento, il loro problema semmai era quello di non riuscire a star fermi e zitti, di annoiarsi durante le lezioni e di non trovare nessuna utilità nello studiare 5, 10, 15 pagine del libro da ripetere all’insegnante per portare a casa un voto decente. Quindi i primi studenti che ho incontrato corrispondevano, più o meno, alla studentessa che ero stata. Dopo Bologna, mi sono trasferita in provincia di Ancona, e siccome di punti in graduatoria ne avevo davvero pochi, poche erano anche le speranze di essere chiamata da una scuola statale: presentai allora il mio curriculum in un istituto paritario – per intenderci, in uno di quegli istituti che tanti si limitano a liquidare, con fare sprezzante, “diplomifici”, e che io invece, dopo averci lavorato per qualche anno, ho cominciato a chiamare “l’ultima speranza”. L’ultima speranza per una parte dei ragazzi che la scuola respinge con “non sei portato”, “questa scuola non fa per te”: glielo hanno ripetuto talmente tante volte che alla fine si sono arresi e, per chi se lo può permettere, il diplomificio resta l’ultima speranza per aggiudicarsi il pezzo di carta. Per gli altri esiste l’agenzia interinale, non ci sono altre strade.
Diventare insegnante mi ha permesso di osservare le cose da un altro punto di vista, e ho scoperto che sì, anche la me studentessa “mediocre” aveva le sue responsabilità, ma la me insegnante ne ha molte di più. Per cui oggi, a chi inizia con «quando andavamo a scuola noi…», rispondo che quando andavo a scuola io le cose andavano malissimo, poiché nessun insegnante si è mai preoccupato di cercare di capire cosa non funzionasse per me: sono stata bocciata in prima superiore, e posso dire per esperienza diretta che la bocciatura non aiuta, ma devasta. Dopo il diploma ho continuato gli studi, mi sono iscritta all’Università (e sono contenta di averlo fatto, anzi: credo sia stata, inconsapevolmente, una delle migliori scelte della mia vita), ma allora ciò che mi spingeva era soprattutto un desiderio di riscatto: dovevo dimostrare ai miei insegnanti che avevano sbagliato tutto,che non avevano capito nulla di me,e che questo aveva reso il mio percorso di studi tanto faticoso. Ci ho messo anni prima di riuscire a dire nel luogo dove lavoro che sono stata bocciata. L’ho detto una mattina di giugno durante uno scrutinio, a un
Themacx/ iStockphoto.
mio collega che tentava di convincermi che le bocciature possono fare bene. Gli ho chiesto: sei mai stato bocciato? – Chi, io? No, mai! – Io sì, invece, quindi parlo con cognizione: le bocciature devastano. Tra tanti studenti che ho incontrato alla paritaria, ricordo D.: arrivò in quinta da un liceo statale, era stato bocciato insieme ad altri compagni perché avevano ripreso in classe, con il cellulare, un docente durante la lezione (giravano allora i primi smartphone). D. era un ragazzo molto intelligente, laconico e allo stesso tempo molto ironico, e nutrivo una grande simpatia per lui. Un giorno arrivò a scuola più imbronciato del solito, capii che qualcosa non andava quando gli rivolsi una domanda e lui mi rispose in maniera brusca, cosa che non aveva mai fatto. Lo lasciai stare, ma alla fine della lezione gli chiesi se avesse voglia di venire fuori a parlare un po’ con me. Lo portai in sala docenti, cominciammo a conversare, e la prima cosa che fece fu chiedermi scusa per la risposta che mi aveva dato a lezione: lo tranquillizzai dicendogli che capivo che era una giornata-no, e lui, con mia enorme sorpresa, scoppiò a piangere, singhiozzando, come un bambino, e mentre piangeva mi diceva: non ne posso più, io volevo andare al tecnico, invece i miei genitori non hanno voluto, non mi hanno permesso di scegliere, o il liceo o niente. Qualche anno dopo – in un professionale alberghiero, l’IIS “Einstein–Nebbia” a Loreto, dove ancora lavoro, in provincia di Ancona – M. una mattina, annoiato più del solito, mi dice:
- Prof, ma io che ci faccio qui?
- In che senso?
- Nel senso che io non voglio fare il cuoco, mi spiega allora lei perché sto in questa scuola?
- Non so, dimmelo tu.
mi hanno suggerito di iscrivermi a un professionale, e tra tutti i professionali questo mi è sembrato quello più adatto a me.
M. oggi non fa il cuoco e non si è nemmeno iscritto all’università, come a un certo punto sembrava volesse fare; lavora invece con il padre in una ditta edile. Cosa raccontano queste due storie? Che spesso noi adulti ci sostituiamo ai ragazzi, non lasciamo che siano protagonisti delle loro vite ma solo spettatori delle “loro” scelte: spesso tendiamo, noi adulti, a vedere i ragazzi troppo giovani!, incapaci di decidere da soli, consideriamo il loro bagaglio di esperienze troppo leggero per poter fare scelte sensate. Forse questo è quello che ci raccontiamo. Credo invece sia più probabile ciò che dice Matteo Lancini in Sii te stesso a modo mio:
Ci troviamo a fare i conti con un’infanzia costellata non di ideali ma di forme di iperadattamento o, addirittura, di microtraumi cumulativi dovuti alla sensazione di dover essere sempre se stessi nel modo di qualcun altro, dei genitori, della scuola e di una società ricca di contraddizioni.1
Ma è compito della scuola occuparsi delle scelte dei ragazzi? Credo sia compito della scuola educare i ragazzi a fare scelte consapevoli e offrire – qui prendo in prestito le parole di Federico Batini – «un contributo all’incremento del potere e del controllo di un soggetto sulla propria vita e sulle proprie scelte» 2. Quindi dovremmo educare i ragazzi a conoscersi, a osservare e conoscere ciò che li circonda, insomma a essere soggetti responsabili della loro vita e del loro futuro (empowerment3). Qualcuno penserà: ecco, ulteriori incombenze per i docenti. Ma non è così: inserire nel proprio curricolo attività di didattica orientativa 4 non significa ag→
- Perché alle medie ero un casino e quindi
→ © Dmitry Kovalchuk/ iStockphoto.
giungere lavoro a quello che già si fa: chi insegna lettere, come me, potrà servirsi della letteratura anche in chiave orientativa, seguendo per esempio i principi dell’orientamento narrativo5
Da lettrice, che ha tratto dalle storie grandi insegnamenti e rivelazioni, quando sono diventata insegnante è stato per me naturale dare alla lettura un ruolo da protagonista. Così quando mi sono imbattuta in Insegnare con la letteratura di Simone Giusti6 (era tra i libri da studiare per uno degli esami per conseguire l’abilitazione all’insegnamento), e da quando a Le storie siamo noi7 ho seguito un seminario sul Writing and Reading Workshop, le mie classi hanno assunto sempre più un assetto laboratoriale. Oggi durante le mie lezioni le storie raccontate, lette, condivise, scritte sono imprescindibili, e in questo contesto l’orientamento narrativo ha trovato una sua collocazione naturale. Come ho detto, lavoro in un istituto professionale, dove da anni la didattica è improntata al raggiungimento, a conclusione dei vari percorsi, di una serie di obiettivi in termini di competenze, per cui ogni anno, tra settembre e novembre, noi docenti ci riuniamo in gruppi di lavoro e progettiamo le UdA. Una di queste, ideata ormai quasi dieci anni fa, ha come titolo “Scelta consapevole”: corrisponde all’esigenza di progettare un percorso indirizzato alle classi seconde che abbia come obiettivo competenze orientative, in quanto ci si è resi conto, noi docenti, che i ragazzi alla fine del biennio sceglie-
vano l’indirizzo per i successivi tre anni senza alcuna consapevolezza. In realtà, sembrava che molti avessero scelto quella scuola come ripiego e non fossero felici della scelta.
L’UdA prevede il coinvolgimento di più discipline tra cui italiano, ovviamente, e qui il lavoro è improntato seguendo i dettami dell’orientamento narrativo. Nel triennio, con il fine di consolidare le competenze orientative, il percorso prosegue con altre UdA, e l’ultima, in quinta, ha il titolo “Come sono diventato”.
Ma stando all’UdA “Scelta consapevole”, provo a illustrare come si è deciso di impostare il lavoro nelle ore di italiano: si parte da una serie di letture attraverso cui fornire ai ragazzi spunti di riflessione per scrivere brevi testi che poi si condividono con i compagni: la scelta dei brani è fondamentale, e qui ricordo che inizialmente, quando stavamo ancora imparando come funziona l’orientamento narrativo, ci hanno molto aiutato tre piccole antologie: Non so che fare, Non mi importa di voi, Non mi vedo 8, dove i brani, corredati da una serie di attività, permettono al docente di avviare discussioni o attività di scrittura, tutte allo scopo di permettere ai ragazzi di riflettere su sé stessi, di imparare a conoscersi, e a compiere scelte sempre più consapevoli.
Quest’anno, inoltre, in alcune classi seconde l’UdA si è legata a un progetto, finanziato dall’Università di Siena, dal titolo Orientare con la letteratura9. Lo scopo del progetto è realizzare un protocollo di
formazione e dei kit didattici per insegnanti di Lingua e letteratura italiana che permetterà loro di creare in autonomia percorsi di orientamento formativo.
Negli anni, ciascun docente ha organizzato la propria personale biblioteca per l’orientamento, fatta di racconti, poesie, canzoni, albi illustrati, podcast. Tra i miei titoli, per citarne solo alcuni, compaiono Nodi al pettine10 di Marie-Aude Murail, Mike11 di Andrew Norriss, Cris12 di Manuela Salvi e l’albo Come sono diventato Marc Chagall13 di Bimba Landmann, il cui testo è liberamente tratto dall’autobiografia La mia vita 14 di Marc Chagall. Lo scorso anno insegnavo in due classi seconde e ho iniziato il percorso leggendo proprio quest’ultimo albo. Il racconto è in prima persona, l’artista narra della sua infanzia in Russia all’interno di una famiglia ebrea, parla dei sogni che aveva da bambino e di quello che i genitori desideravano per lui, del suo rapporto con la scuola, di quanto si annoiasse, della disperazione dei genitori davanti al suo desiderio di diventare pittore e della sua determinazione: «Ma io continuavo a pensare alla pittura. Questa volta sognavo di entrare alla Scuola di Belle Arti di Pietroburgo. E anche questa volta riuscii a convincere papà». Perché proprio quest’albo? Perché leggendolo si possono aprire tante piste per riflettere, su sé stessi, su chi siamo, su cosa vorremmo per noi, su cosa invece desiderano gli altri per noi. Di solito funziona così: leggo io una prima volta l’albo per intero, chiedo loro di ascoltarmi e di appuntare sul taccuino, se ce ne sono, domande/impressioni/connessioni 15: c’è sempre qualcuno che annota qualcosa, e così, dopo la lettura integrale dell’albo, chiedo, a chi ha voglia, di condividere con i compagni le domande, le curiosità, le connessioni. Accade quasi sempre che nasca una discussione animata dove ci si confronta, ci si racconta, si negozia significato. La seconda lettura dell’albo invece è a stazioni, nel senso che ci soffermiamo su alcune tavole, ne analizziamo i disegni e poi rileggo io alcuni passi e do un’attività di scrittura rapida. Porto qui un esempio: «I miei genitori mi avevano mandato a studiare alla scuola russa per farmi diventare contabile o fotografo. Sognavano per me un buon impiego, una buona paga». Partendo da questo passo, ho fornito lo stimolo per scrivere un quickwrite: «È successo anche a te che altri abbiano scelto per te? Quando è successo?
Come ti sei sentita? Come hai reagito?»
Il percorso prosegue con altre letture e altri spunti di scrittura, e per tutta la sua durata gli studenti utilizzano il taccuino per raccogliere le riflessioni e le altre loro attività. A conclusione del percorso, chiedo di comporre un testo, in prosa o in versi, a loro scelta, in cui raccontino cosa significa scegliere consapevolmente.Tutto questo lavoro confluisce poi nella composizione di un prodotto finale, di solito multimediale, che presenteranno alla classe e ai docenti delle discipline coinvolte: racconteranno di sé, del percorso svolto e infine comunicheranno, se hanno già deciso, la scelta dell’indirizzo per il triennio.
È evidente che in questo percorso la competenza orientativa non è l’unica che si persegue.
È grazie al lavoro della Dirigenza e della funzione strumentale per la didattica e grazie all’impegno di tante colleghe e colleghi che da anni a scuola proviamo a praticare, accanto alla didattica per competenze, anche una didattica orientativa; e così, quando quest’anno è stata inserita la nuova figura del docente tutor orientatore, non è stato difficile per noi che, appunto, non eravamo completamente all’oscuro di ciò che dovevamo fare: si è trattato più che altro di organizzare la gestione delle trenta ore, e di capire cosa prevede e come funziona la piattaforma UNICA16. A ciascun docente è stato assegnato un gruppo di studenti con i quali, attraverso la piattaforma, fissare incontri individuali o,più di rado,in piccoli gruppi, o anche con i genitori.
Durante gli incontri i colloqui sono improntati all’ascolto attivo e non giudicante17, non diamo consigli e non suggeriamo scelte, perché le scelte spettano ai ragazzi, e noi, semmai, li sosteniamo e li educhiamo a compiere scelte, in sé né giuste né sbagliate, ma che siano consapevoli.
Ora, al rientro dalle vacanze pasquali i miei studenti di terza sono in alternanza scuola-lavoro, la maggior parte in strutture turistiche della zona eccetto due, partiti per Valencia grazie al progetto Erasmus. Prima di salutarci, ho dato loro una consegna: Dovrete tenere un diario di bordo, anche digitale, in cui raccontare giorno per giorno le esperienze più significative che vivrete nelle prossime settimane: non vi preoccupate di essere dettagliati, accompagnate il racconto con delle foto, con un disegno o comunque con un’immagine magari creata con
l’aiuto dell’intelligenza artificiale . Finito il PCTO, appena ritornati in classe, dovranno prepararsi per l’esame di qualifica in cui una delle prove prevede il racconto dell’esperienza appena vissuta; al di là di questo, è importante che ricostruiscano l’esperienza appena vissuta per, come dice Paolo Jedlowski, «riconsiderare quel che si è vissuto e trarne partito»18
A questo proposito, vorrei aggiungere soltanto una considerazione sulla piattaforma UNICA. Nei primi incontri con i ragazzi, come docente tutor ho presentato la piattaforma e poi, insieme a loro, dopo aver recuperato le credenziali di accesso o,in alcuni casi, dopo aver creato il profilo individuale sul sito del Ministero, siamo entrati e insieme abbiamo controllato quello che era menzionato per ognuno nella sezione e-portfolio: qui, rivedere tutto il proprio percorso scolastico dalla primaria fino ad oggi, per un verso li ha sorpresi («prof, ma come fanno a sapere tutto di noi?») e io ho provato allora a spiegare come lavorano le segreterie scolastiche, come vengono gestite le informazioni che li riguardano. Qualcuno invece si è soffermato sui ricordi personali, del tipo «prof, lo sa che in prima media sono stato bocciato», «prof, le ho mai detto che ho frequentato i primi tre anni della primaria a Palermo?». Negli incontri successivi, partendo da quegli stessi ricordi, abbiamo provato a ricostruirne le esperienze, nell’ottica di «trarne partito». Non si tratta di analizzarle in chiave psicoanalitica, bensì più semplicemente di raccontare le esperienze, di “rivedere il film” di ciò che si è vissuto da un’altra angolazione, per dargli un ordine e assumerne consapevolezza. Quando io andavo a scuola tutto questo non c’era, purtroppo: quello che importava era soltanto che io e i miei compagni conoscessimo la storia della letteratura, che sapessimo tradurre un brano di Cicerone, che sapessimo risolvere un problema di matematica. Non dico, ovviamente, che tutto questo non possa essere utile (anche se ho seri dubbi che possa servire a qualcosa studiare la letteratura esclusivamente in un’ottica storico-letteraria), ma credo sia di particolare importanza, oggi, porre al centro dell’azione educativa la persona e i suoi bisogni.
Per concludere, prendo di nuovo in prestito le parole di Paolo Jedlowski, che ben sintetizzano quanto sia importante imparare a raccontarsi: «Non è che la vita non raccontata sia meno vissuta (anche
se a molti, a dire il vero, pare proprio così): ma è una vita meno compresa, e probabilmente anche più vulnerabile»19.
NOTE
1. M. Lancini, Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta, Raffaello Cortina Editore, Milano 2023, p. 20.
2. F. Batini, Costruire futuro a scuola, I Quaderni della Ricerca #24, Loescher, Torino 2015, p. 7.
3. Batini, Costruire futuro a scuola cit., p. 21.
4. Batini, Costruire futuro a scuola cit., pp. 27–30.
5. «Si tratta di un metodo sviluppatosi in Italia dalla fine degli anni ’90 (precisamente a partire dal 1997), che si pone la finalità di sviluppare nei soggetti la strumentazione atta all’esercizio di un maggiore controllo e di un maggior potere sulla propria vita e sulle proprie scelte, fissando il focus sull’empowerment». Tratto da L’orientamento narrativo di F. Batini, su La ricerca online, 30 agosto 2013.
6. S. Giusti, Insegnare con la letteratura, Zanichelli, Bologna 2011.
7.Convegno biennale sull’orientamento narrativo diretto da Federico Batini e Simone Giusti, online: www.lestoriesiamonoi.eu.
8. Curate da F. Batini e S. Giusti e edite da Loescher Editore nel 2013.
9. A proposito del progetto si veda in questo numero l’articolo Didattica orientativa e insegnamento letterario, di Simone Giusti.
10. M.A. Murail, Nodi al pettine, trad. it di F. Angelini, Giunti, Milano 2018.
11. A. Norriss, Mike, trad. it. di S. Bandirali, Uovonero, Crema 2020.
12. M. Salvi, Cris, Fandango Weird Young, Roma 2022.
13. B. Landmann, Come sono diventato Marc Chagall, Arka, Cornaredo (MI) 2015.
14. M. Chagall, La mia vita, trad. it. di M. Mauri, SE, Milano 2012.
15. F. Serafini, Around the Reading Workshop in 180 Days: A Month-by-Month Guide to Effective Instruction, Heinemann, Portsmouth 2006.
16. Si veda https://unica.istruzione.gov.it.
17. Batini, Costruire futuro a scuola cit., p. 27.
18. P. Jedlowski, Esperienza, narrazione e vita quotidiana, in F. Batini e S. Giusti (a cura di), Le storie siamo noi, Liguori, Napoli 2009, p. 4.
19. Jedlowski, Esperienza, narrazione e vita quotidiana cit., p. 6.
Antonietta La Manna
campana di nascita, è docente di materie umanistiche negli istituti professionali e insegna all’IIS “Einstein-Nebbia” di Loreto in provincia di Ancona. Ha una rubrica sulla scuola, I ferri del mestiere, sul blog «Le parole e le cose».
«Per conoscersi bisogna potersi immaginare»
Il racconto di sé come pratica didattica dell’orientamento narrativo
di Alessia Barbagli
«Per me orientamento significa trovarsi» ha detto Alice, 13 anni, durante una discussione sull’orientamento che abbiamo fatto in classe, una terza della secondaria di primo grado.
Mi è sembrata una definizione molto bella perché propone un’idea di orientamento come un percorso che non conduce altrove, ma presuppone (anche) un movimento di avvicinamento a sé stessi.
A pensarci bene, come scrive Franco Lorenzoni, “trovarsi” dovrebbe essere l’obiettivo principale di ogni insegnamento scolastico: «al centro di ogni azione educativa non può che esserci […] un continuo dialogo e scambio tra i ragazzi e le generazioni, alimentato da un necessario corpo a corpo con gli oggetti culturali,nei quali rispecchiarci per conoscere meglio il mondo, noi stessi e gli altri»1
Ci proviamo spesso, noi insegnanti, a rendere i percorsi di apprendimento un’occasione per conoscersi: a volte ci riesce meglio, altre un po’ meno a seconda dei gruppi classe, dei contesti, di noi stessi e di altre variabili.
Le parole di Alice mi hanno, però, riportato a un’attività che da qualche anno propongo alle mie classi,ovvero un percorso di scrittura autobiografica che,in effetti ha molto a che fare con il “trovarsi”. Si tratta di una pratica didattica piuttosto diffusa in forme differenti. Ho iniziato a proporla in modo strutturato ai miei alunni e alle mie alunne da quando,nel 2018, ho partecipato per la prima volta a un laboratorio di scrittura autobiografica tenuto dal gruppo guidato da Gabriella De Angelis presso il Circolo LUA Clara Sereni di Roma2. Quando, come in quel caso, mi capita di partecipare a un percorso laboratoriale che trovo particolarmente coinvolgente e generativo, lo propongo sempre alle mie classi, magari mediato o trasformato perché sia adatto a loro: cerco, cioè, di non ripetere in
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modo pedissequo uno schema svolto, ma prendo le mosse dalla mia esperienza per immaginarmi un’attività diversa cercando di mantenere le caratteristiche di fondo di quella originale.
Ho pensato che il tipo di scrittura autobiografica sperimentata dal gruppo dietro la guida di Gabriella De Angelis avrebbe potuto rappresentare per i miei alunni e le mie alunne un’occasione per utilizzare la narrazione scritta come strumento di riconoscimento di sé e di elaborazione della propria storia.
Di solito propongo questo percorso al secondo anno perché, a mio avviso, è adatto a chi ha già, in parte, praticato la narrazione, orale e scritta, come strumento espressivo nei testi di fantasia, come i racconti fantastici oppure i racconti mitologici o le fiabe che spesso caratterizzano l’attività didattica del primo anno della secondaria di primo grado.
Inoltre in seconda gli alunni e le alunne attraversano un passaggio di crescita molto importante: arriva la pubertà,inizia la trasformazione del corpo e dei rapporti; in questo periodo i ragazzi e le ragazze possono disorientarsi e, a volte, fanno
fatica a riconoscersi. Per questo motivo utilizzare la scrittura come strumento di rielaborazione della propria storia può essere un modo per renderli consapevoli e protagonisti di questo cambiamento, può essere, cioè, uno strumento per orientarli in un presente che cambia.
Non si può, però, iniziare subito a raccontarsi, è invece importante procedere con gradualità; serve, per citare di nuovo Franco Lorenzoni, dissodare un terreno che spesso si presenta molto compatto3 , smuoverlo per renderlo fertile di immagini e racconti.
In genere si inizia con una sorta di allenamento della memoria: si scrivono i nomi di oggetti comuni su dei bigliettini e poi ognuno ne pesca uno a cui, poi, dovrà pensare per costruirci intorno il racconto di un ricordo. La prima attività a volte può risultare un po’ ostica, perché generalmente non siamo abituati a ricordare: l’attività di recupero della memoria è un’abitudine che si costruisce con calma, passo dopo passo.
In questo percorso la condivisione rappresenta un momento importante che ha un effetto molto forte: quando i racconti vengono letti a voce alta, spesso in cerchio, capita sovente che l’ascolto delle storie degli altri faccia emergere altre memorie che erano sommerse; memorie legate agli oggetti raccontati, oppure ad altri oggetti, e queste memorie, a loro volta,vengono reimmesse nel gruppo. Inizia, quindi, la partecipazione di tutta la classe al meccanismo dell’affioramento della memoria. È molto importante che questo primo momento avvenga in modo collettivo, e lo è per molti motivi. Innanzitutto perché, come scrive bell hooks, «Raccontare storie, soprattutto quelle personali, è uno dei modi più potenti che esistono per educare e creare comunità in classe […] Prestare attenzione alle reciproche esperienze personali favorisce un clima di cooperazione e di ascolto profondo» 4 . L’ascolto, quando è attivo e profondo, è generatore di memorie e di racconti.
Inoltre la condivisione con i pari permette di riconoscere la propria storia insieme a quella degli altri, di sceglierne e individuarne le differenze, ma anche coglierne le affinità e non sentirsi soli. Gli altri non sono nemici o giudici con cui misurarsi, ma diventano una risorsa per riconoscersi.
In questa prima fase si comincia a comprendere quanto la scrittura e l’atto
della narrazione siano strumenti fondamentali per la costruzione di un bagaglio di memoria che senza essere detta e scritta non esisterebbe.
Cerchiamo, poi, di arricchire questo bagaglio sperimentando attività differenti, come l’uso dei sensi come sentinelle della memoria oppure la stesura di liste: la lista delle prime volte, dei giochi preferiti o dei luoghi più amati.
Le attività sono molte e varie e cambiano a seconda del gruppo classe, non manca mai però l’uso di linguaggi diversi come le fotografie, che sono molto utili per lavorare sui punti di vista, sull’osservazione dei dettagli e diventano poi una sorta di allenamento dello sguardo.
Ogni passo del nostro percorso, poi, prevede la lettura di brani di letteratura del repertorio classico oppure del repertorio Young Adult relativi all’argomento affrontato.Normalmente cerco di non porre la lettura dei brani all’inizio dell’attività, ma preferisco farlo durante lo svolgimento del lavoro, in modo da non proporre il testo come un modello da imitare davanti alla pagina bianca,ma come un esempio a cui ispirarsi in fase di revisione o stesura del testo. Oltre al brano letterario che per antonomasia ci parla di memoria – quello della madeleine di Proust –, ne leggiamo altri, come l’inizio dell’ Isola di Arturo di Morante, in particolare il passaggio sul significato del nome, o alcune poesie, come quelle tratte dal libro Bambina nera sogna di Woodson o, ancora, estratti da autobiografie di personaggi noti, come quella di Charlie Chaplin o di Road Dahl.
In questo caso la letteratura viene “usata” 5 come strumento per favorire la conoscenza di sé stessi e, quindi, la crescita personale. Questa fase del recupero dei ricordi è un momento importante per i ragazzi e le ragazze perché permette loro di sperimentare in prima persona il potere della narrazione e della scrittura. Si scoprono, infatti, ricchi di esperienze molte delle quali erano ignorate fino al momento in cui non sono state nominate e raccontate. Una volta raccontate le esperienze vanno a comporre un immaginario in cui riconoscersi per iniziare quel percorso di ritrovamento di cui parlava Alice.
Arriva, infine, il momento in cui i ragazzi e le ragazze diventano veri e propri autori delle loro storie, quando, cioè, cominciano a scegliere i contenuti da organizzare per raccontare.
L’operazione più difficile per tutti, più grandi e più piccoli, è sempre la selezione del materiale e il taglio da dare a questa selezione, il criterio di scelta. È proprio lì che lo sguardo di ognuno agisce sulla capacità di scegliere la linea narrativa della propria vita.
Inevitabile il riferimento agli studi di Federico Batini sull’orientamento narrativo:
Nei processi di orientamento è come se si chiedesse a ciascun soggetto di diventare “autore” della propria vita e si ritenesse dunque che per “ricordarla”, per “scriverla”, per crearla […] siano necessarie alcune competenze che possiamo denominare narrative, competenze attraverso le quali le storie sono comprese, interpretate, completate.6
Per quanto l’intero percorso di scrittura autobiografica rappresenti un’attività utile ai fini dell’orientamento formativo, è proprio nel momento della rielaborazione della narrazione della propria vita che, come scrive Batini, ci si fa “autori” della propria storia,in questo caso proprio in modo letterale. Questo significa costringersi a distinguere i propri punti di forza dagli aspetti più fragili, riconoscere i contesti che ci hanno reso più contenti di noi stessi cominciando a sviluppare quella consapevolezza che è un elemento fondamentale per pensarsi nel futuro.
La progettazione dell’autobiografia è preceduta da una scrittura particolarmente importante: il racconto della propria nascita. Quando la propongo si crea sempre un certo scompiglio: «Io non mi ricordo come sono nata…», «I miei genitori non mi hanno mai raccontato niente».
Ci confrontiamo insieme e cerchiamo di capire che si tratta di raccontare un’immagine che ci portiamo dentro senza che sia un ricordo diretto dell’esperienza vissuta, ma che rappresenta il risultato di tante narrazioni differenti che ci sono state fatte da altri e che poi noi, in modo più o meno consapevole, abbiamo rielaborato.
È un esercizio molto importante, perché aiuta a realizzare che per raccontare una vita, la propria nello specifico, immaginare è fondamentale.
«Per conoscersi bisogna potersi immaginare», dice Gianni Rodari7
È su questa base che si comincia, poi, a organizzare il materiale raccolto nelle fa-
si precedenti, sapendo che nel ripensare e riproporre i ricordi e i momenti della propria vita alcune libere rielaborazioni personali riescono a rappresentare la verità interna delle cose più di descrizioni fedeli. L’obiettivo, quindi, diventa non tanto la cronaca dei fatti, ma la rappresentazione di quella che in quel momento corrisponde all’immagine del proprio vissuto che ognuno si è rielaborato. Immaginare sé stessi diventa una chiave importante per pensarsi nel futuro.
La narrazione della propria vita ha caratteristiche particolari: per esempio si amplifica quell’azione di congiuntivizzazione della realtà che Bruner8 diceva essere una caratteristica della narrazione e che consiste nel potere di farci entrare nel mondo delle possibilità. Quando, infatti, il racconto ha come oggetto la propria esistenza, le possibilità immaginate ri-
Approfondire
• F. Batini, Costruire futuro a scuola. Cos’è, come, perché fare orientamento nel sistema di istruzione, I Quaderni della Ricerca n. 24, Loescher, Torino 2015.
• J. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, trad. it. di M. Carpitella, Laterza, Bari 2002.
• C. Chaplin, La mia autobiografia, Mondadori, Milano 1964.
• D. Demetrio, Il gioco della vita. Kit autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi. Guerini e associati, Milano 1999.
• R. Dahl, Boy, trad. t. di D. Ziliotto, Salani, Milano 2008.
• b. hooks, Insegnare il pensiero critico, trad. it. di Feminoska, Meltemi, Roma 2022.
• E. Morante, L’isola di Arturo, Einaudi, Torino 1957-2014.
• S. Giusti., N. Tonelli, Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento, QdR / Didattica e letteratura n.12, Loescher, Torino 2021.
• S. Giusti, Didattica della letteratura italiana, Carocci, Roma 2023.
• V. Roghi, Un libro d’oro e d’argento, Sellerio, Palermo 2024.
• J. Woodson. Bambina nera sogna, trad. it. di C. Baffa, Fandango, Roma 2022.
guardano sé stessi e le proprie possibilità proiettate nel futuro.
Riuscire a raccontare la propria storia è senz’altro trovarsi, o, almeno è uno dei tanti ritrovamenti che capita di fare nel corso della propria esistenza; forse non è la prima volta che accade ai miei alunni e alle mie alunne, ma quello che è importante è pensare che non ci sarà mai un trovarsi definitivo, ma una continua ricerca, come ha scritto Maddalena nella storia della sua nascita: «Questa è la prima volta che sono nata, spero di nascere tante altre volte».
NOTE
1. F. Lorenzoni, Dentro le mura, in E adesso? L’Italia del post- Emergenza , «Rivista il Mulino» 3/2000, p. 476.
2. LUA è la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari fondata da Duccio Demetrio e Saverio Tutino.
3. Si tratta di una delle suggestioni che Franco Lorenzoni, insieme a Roberta Passoni, Lucio Mattioli e Oreste Brondo,danno durante i corsi di narrazione orale “Le sorgenti del narrare” che si tengono annualmente a Casa laboratorio Cenci.
4. b. hooks, Insegnare il pensiero critico, trad. it. Feminoska, Meltemi, Roma 2022, p. 83.
5. Per il concetto di “uso” della letteratura si veda S. Giusti, Didattica della letteratura italiana, Carocci, Roma, 2023, pp. 167-168 e S. Giusti, N. Tonelli, Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento, QdR / Didattica e letteratura n. 12, Loescher, Torino 2021.
6. F. Batini, Costruire futuro a scuola. Cos’è, come, perché fare orientamento nel sistema di istruzione I Quaderni della Ricerca n. 24, p. 25.
7. G. Rodari, in V. Roghi Un libro d’oro e d’argento, Sellerio, Palermo 2024, p. 57.
8. Cfr J. Bruner, La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita, trad.it.di M.Carpitella,Laterza, Bari 2002.
Alessia Barbagli
è nata a Firenze e vive a Roma. Dottoressa di ricerca in Ricerca educativa, insegna lettere nella secondaria di primo grado, si occupa da tempo di educazione linguistica e fa parte del Coordinamento per la Valutazione Educativa di Roma. È curatrice del libro Scrivere per resistere. Il Decameron ai tempi del Covid, 2021, e autrice del saggio Imparare e stare bene a scuola, in Ripensare il welfare per le nuove generazioni, a cura di Chiara Agostini, 2024, entrambi per L’asino d’oro edizioni.
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