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LO G NA FR ES CA RO SA
QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNATAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 17, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.
NO V EL LA 1A st il
VALIDO PER IL 2014
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BOLOGNA FRESCA ROSA NOVELLA 1A stil novo boccaccio
LETTERATURA
NELL'ELENCO DEI LIBRI DI TESTO INDICARE L'INTERO CODICE ISBN
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Fresca rosa novella
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Dallo Stil novo a Boccaccio
— Dante Alighieri
Bologna
prudente, cioè savio: e a ciò essere si richiede buona memoria delle vedute cose, e buona conoscenza delle presenti, e buona provvedenza delle future. „
In copertina: Stefano da Verona, Madonna del Roseto, particolare, 1394-1438 ca. Verona, Museo Civico di Castelvecchio. © George Tatge per Alinari, Firenze.
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“ Conviensi adunque essere
/ LETTERATURA Corrado Bologna - Paola Rocchi
Fresca rosa 1a novella Dallo Stil novo a Boccaccio
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Sezione
Boccaccio
e il libro della “città degli uomini”
S
e Dante è ricordato per averci lasciato con la Commedia l’immagine più complessa e luminosa della “città di Dio”, su una prospettiva che potremmo definire “verticale”, Giovanni Boccaccio è l’autore che, nel Trecento europeo, si distingue per la capacità di descrivere e raccontare, in una prospettiva “orizzontale” e laica, la “città degli uomini”, con molteplici punti di vista che muovono la sua poesia. Su un fondale dipinto con i colori della realtà, in paesaggi per lo più urbani o comunque urbanizzati, prendono corpo via via le storie antiche e quelle più moderne: le storie di giostre con dame e cavalieri scritte per un pubblico ancora sensibile al gusto cortese, così come le avventure quotidiane di personaggi diversi, in una società mista, urbana e contadina, in cui le diverse classi sociali si misurano e si confrontano. Un mosaico di comportamenti e di avventure, di idee del mondo e di linguaggi, narrati per il gusto di narrare. Questo gusto è fonte di intrattenimento, colto passatempo di una società borghese e mercantile quale è quella fiorentina dei primi lettori del Decameron. Raccontare storie può salvare la vita. Questo è il messaggio su cui si struttura il capolavoro di Giovanni Boccaccio. Se la morte si traveste da epidemia, se la paura spezza le relazioni civili e umane relegando gli uomini ai più bassi istinti, allora l’uso ragionevole della parola restituisce armonia e ricrea le possibilità di un buon vivere civile.
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La peste e il Decameron
A colpo d’occhio
La peste a Firenze, si seppelliscono i morti; l’incontro di sette fanciulle e di tre giovani nella chiesa di Santa Maria Novella. Dal Decameron tradotto in francese da Laurent de Premierfait, 1430-50, miniatura (Parigi, Bibliothèque Nationale de France).
La scena presenta, come in una sorta di “fumetto”, lo sviluppo di una storia da sinistra a destra.
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A sinistra, lo scenario drammatico della peste: si notano cadaveri in attesa di sepoltura, sacerdoti nell’atto di officiare l’estrema unzione, teschi e ossa umane.
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Al centro, l’interno della chiesa di Santa Maria Novella, presso cui si radunano i novellatori.
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A destra, il gruppo dei novellatori ritratto nell’atto di uscire dalla chiesa per ritirarsi in campagna.
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Capitolo
La vita e l’opera
1 La vita 2 Il pensiero e la poetica 3 Le opere minori
1 La vita L’autore e il suo tempo Tra Firenze e Napoli 1309 Roberto d’Angiò eredita il regno di Napoli 1313 Giovanni nasce a Certaldo
1313 Fallisce in Italia l’impresa imperiale di Arrigo VII 1321 Dante muore a Ravenna 1325 ca Giotto affresca la Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze
1327-28 è a Napoli per studiare pratica mercantesca e bancaria. Il padre diviene consigliere di Roberto d’Angiò 1331-34 A Napoli studia diritto canonico 1335 Filostrato 1336 Filocolo 1337 Scoppia la guerra dei Cent’anni 1338 Il padre è costretto ad abbandonare la compagnia dei Bardi 1339-41 Teseida
1338-39 Ambrogio Lorenzetti realizza l’affresco Gli effetti del buon governo in città e in campagna (Siena)
Tra Firenze e Napoli Giovanni Boccaccio nasce probabilmente a Certaldo nel giugno o luglio del 1313, e trascorre a Firenze gli anni dell’infanzia e della scuola. Intorno al 1327-28 viene mandato a Napoli a far pratica bancaria presso la sede locale dell’importante famiglia fiorentina dei Bardi, mercanti e banchieri tra i più influenti del tempo. Il privilegio che gli deriva dall’essere figlio del direttore della sede napoletana dei Bardi si traduce, per il giovane Boccaccio, nell’occasione di trovare facile accesso alla corte di Roberto d’Angiò, dove può frequentare la nobiltà e l’alta borghesia napoletane. Tra il 1330-31 e il 1334 intraprende studi di diritto canonico. Ma gli anni napoletani, fino al 1340, rappresentano soprattutto una fase cruciale nell’apprendistato letterario di Boccaccio, che da autodidatta si accosta ai maggiori testi della cultura medioevale, e viene indirizzato alla lettura dei grandi autori dello Stil novo e delle opere del giovane Petrarca. A questo periodo risalgono anche le prime prove letterarie: scritte a Napoli, come il Filostrato (1335) e il Filocolo (1336), o qui avviate, come il Teseida (1339-41).
Dalla corte al Comune: il ritorno a Firenze Nell’inverno tra il 1340 e il 1341 il ritorno a Firenze, in seguito alle difficoltà economiche del padre, comporta per Boccaccio anche un
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Capitolo
La vita e l’opera
Dalla corte al Comune: il ritorno a Firenze 1340-41 Rientra a Firenze. Inizia la composizione del Decameron 1342-49 Strutturazione del Decameron in giornate 1343-44 Elegia di madonna Fiammetta 1348 La peste nera dilaga 1349-53 Invenzione della cornice e composizione del Decameron
1350 È indetto il giubileo
L’incontro con Petrarca e gli ultimi anni 1351 È ospite di Petrarca a Padova 1351-65 Svolge incarichi per il comune fiorentino, tra cui diverse missioni
1357 Scoppia in Francia la rivolta della jacquerie, repressa nel sangue
1360 Prende gli ordini minori, divenendo chierico 1361-62 Si ritira nella sua casa di Certaldo 1363 Soggiorna a lungo a Venezia 1367 Urbano V riporta temporaneamente la sede papale da Avignone a Roma 1368 Incontra per l’ultima volta, a Padova, Petrarca 1373 Pronuncia le letture che poi costituiranno le Esposizioni sopra la Comedìa di Dante 1374 Muore Francesco Petrarca 1375 Muore a Certaldo, il 21 dicembre
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significativo cambiamento di prospettive, dai fasti della corte regale napoletana alla vita tumultuosa del Comune: due mondi distanti ma non estranei, che troveranno posto entrambi, in modo significativo, nelle sue opere. A Firenze lo coglie, nel 1348, la terribile epidemia di peste nera che, dopo aver devastato l’Europa, dilaga anche in Toscana. L’evento traumatico rappresenta uno spartiacque; e infatti, tra il 1349 e il 1351, quasi antidoto alla devastazione e al caos prodotti dall’epidemia, prende forma definitiva la sua opera maggiore, il Decameron.
L’incontro con Petrarca e gli ultimi anni Tra il 1350 e il 1365 Boccaccio è chiamato a compiere diversi viaggi in qualità di ambasciatore per il Comune. In occasione di uno di questi, nel 1351, dopo averlo incontrato brevemente a Firenze l’anno precedente, è ospite a Padova di Francesco Petrarca, il quale lo introduce nei circoli intellettuali della città e gli fa conoscere le proprie opere. Negli anni successivi i due manterranno i rapporti attraverso uno scambio epistolare abbastanza fitto e talvolta polemico, e si incontreranno ancora a diverse riprese: nel 1359 Petrarca ospiterà Boccaccio a Milano, nel ’62 a Venezia, nel ’68, per l’ultima volta, nuovamente a Padova. Nel 1360, intanto, Boccaccio ha ricevuto gli ordini minori, e dal 1362 si è ritirato a Certaldo, da cui si sposterà sempre più raramente. Sono per lui anni di intenso studio, grazie anche all’influenza esercitata da Petrarca, e la sua casa diventa un autentico centro d’irraggiamento culturale, di incontro e diffusione del petrarchismo, dal quale passano diversi intellettuali dell’epoca e decine di codici. Nel 1373 accetta l’ultimo incarico pubblico, dedicandosi alle Esposizioni sopra la Comedìa di Dante, che deve però interrompere per motivi di salute. Muore a Certaldo il 21 dicembre 1375.
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Sezione
Boccaccio e il libro della “città degli uomini”
Luoghi e paesaggi letterari
Le città di Boccaccio
TIROLO 4 Milano 6
Padova 6 4 4
Avignone 5
2 Firenze
6 Venezia
Ravenna Forlì
Certaldo 1
3 Napoli
1 Certaldo Vi nasce nel 1313. Vi si ritira, dopo tentativi delusi di tornare a Napoli, nel 1362, rimanendovi fino alla morte, nel 1375. 2 Firenze Vi trascorre gli anni dell’infanzia e della scuola, e probabilmente conosce Dante. Vi rientra nel 1340-41 dopo il periodo napoletano. 3 Napoli Vi è mandato, presso la sede dei Bardi, intorno al 1327-28. Negli anni tra il 1330-31 e il 1334 è avviato agli studi di diritto canonico. Vi compone il Filostrato, il Filocolo e il Teseida. Invano cercherà di rientrarvi, presso la corte angioina, tra il 1355 e il 1362, e poi di nuovo nel 1370-71. 4 Forlì, Ravenna, Padova, Tirolo Sono alcuni dei luoghi presso cui è ambasciatore per il Comune di Firenze tra il 1350 e il 1365. 5 Avignone Come ambasciatore del Comune di Firenze, visita la corte papale nel 1354 e nel 1365. 6 Padova, Milano, Venezia Sono, oltre a Firenze, le città presso cui si incontrano Boccaccio e Petrarca, rispettivamente nel 1351 e nel 1368, nel 1359, nel 1362.
La casa di Certaldo Una visione esterna e la scala interna della casa di Boccaccio a Certaldo, dopo il restauro.
Luogo chiave della vita di Giovanni Boccaccio è la sua casa, presso Certaldo Alto, in provincia di Firenze, dove egli nacque e poi fece ritorno, per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita. Ricostruita negli anni ’50 del Novecento dopo il devastante bombardamento del 1944, la Casa del Boccaccio è stata oggetto di nuove opere di restauro architettonico e di riqualificazione funzionale, ultimate nel 2011 con la costruzione del giardino. La casa è parte di un complesso edilizio posto lungo l’asse centrale di Certaldo Alto ed è costituita da una torre fiancheggiata ai due lati da due corpi di fabbrica di altezza diversa. La ristrutturazione della casa ha valorizzato le sue potenzialità a fini turistici, realizzando una Casa memoria, un Museo, una biblioteca, dei laboratori, degli spazi espositivi e un auditorium.
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L a letteratura
come visione del mondo
Una nuova visione del mondo nel Decameron di Boccaccio La prospettiva da cui Boccaccio guarda la realtà è quella del mondo terreno, rappresentato nell’ottica di una visione laica dell’esistenza umana: i protagonisti del suo capolavoro sono gli uomini che si trovano di fronte alla variabilità, mutevolezza e imprevedibilità del reale. Essi vivono nel mondo sottoposti alle forze che dominano l’universo, la fortuna e la natura su tutte, alle quali possono solo opporre le proprie facoltà, in primo luogo l’ingegno. Anche per questo si è parlato per il Decameron di «epopea dei mercanti»: l’intraprendenza e l’industriosità dei mercanti, la classe sociale che più aveva contribuito allo sviluppo della società comunale, costituivano infatti il modello esemplare di questo confronto inesausto con il mondo. Il Decameron: nuovo modello di prosa narrativa Boccaccio inventa la novella moderna e fornisce alla tradizione occidentale un modello di prosa narrativa destinato a duratura fortuna. La letteratura occidentale scopre con le novelle del Decameron un nuovo organismo, mobile, agile ed elastico, capace di accogliere al suo interno la variabilità dell’esistente e l’imprevedibilità del reale. In questa capacità di rappresentare la complessità del reale risiede l’aspetto saliente del “realismo” di Boccaccio. La parola letteraria salva Il Decameron si fonda su una vera e propria etica della parola, che emerge in diversi luoghi delle singole novelle e che informa in modo decisivo la cornice, quindi la struttura stessa dell’opera. La narrazione, che impone il suo ordine e la sua regolata misura, e il libro, con la sua struttura e le sue simmetrie, costituiscono in sé un argine al caos dell’esistente. La narrazione stessa, inoltre, scandisce le giornate della ristretta comunità dei dieci giovani novellatori, allontanatisi dalla città per fuggire alla peste: la loro esistenza, fondata su precise regole di convivenza e di ordine, si configura come autentico antidoto al disgregarsi del vivere civile innescato dalla devastazione del male. Andrea del Castagno, Giovanni Boccaccio, 1449-50, affresco (Firenze, Galleria degli Uffizi).
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Sezione
Boccaccio e il libro della “città degli uomini”
2 Il pensiero e la poetica Un intreccio di modelli culturali
Alle soglie di un cambiamento epocale, Boccaccio è testimone significativo della transizione dalla società comunale a quella signorile, consumatasi in un tempo di profondi mutamenti storici e culturali. Nella sua figura di intellettuale convivono istanze diverse, talora in contraddizione l’una con l’altra, ma segno di una ricchezza che nasce dalla compresenza di almeno tre modelli culturali: quello aristocratico-borghese, che si era espresso nella tradizione cortese e stilnovistica, quello borghese-comunale, vivo nella dimensione urbana e nella cultura dei mercanti, e infine quello umanistico, che si fonda sul culto dei classici e sui valori dell’uomo. Questi modelli sono riconoscibili nel Decameron e in tutta la sua opera, che riflette la complessità e la forza della cultura borghese comunale, ma lo fa in un’epoca in cui quella società è ormai al tramonto. Al contempo è vivo in lui il fascino che ancora esercita l’immaginario cortese, incarnato nel mondo elegante dell’aristocrazia, che Boccaccio ha conosciuto durante il suo soggiorno giovanile a Napoli. Sullo sfondo, una visione laica dell’esistenza e del mondo che danno il segno della sua modernità.
Dante e Petrarca
I modelli su cui si forma Boccaccio sono essenzialmente due: da un lato Dante e dall’altro Petrarca. Dante è per lui esempio di ricerca etica e civile e la sua lezione è fondata soprattutto sul culto della Commedia. Del capolavoro dantesco, Boccaccio fece personalmente alcune copie; una di queste inviò in dono a Petrarca, esortandolo a condividere con lui l’amore per il poema. A Dante Boccaccio è legato da una “lunga fedeltà”, confermata dalle Esposizioni sopra la Comedìa (commento pubblico dei primi diciassette canti dell’Inferno) e dalla scrittura del Trattatello in laude di Dante, con il quale ci consegna la prima biografia del poeta. L’amicizia e il legame culturale con Petrarca furono determinanti, invece, nell’indirizzare in senso pre-umanistico le scelte e gli interessi di Boccaccio, che venne spinto dall’amico a farsi copista della propria opera, persino in forma “illustrata”, al fine di offrirla a chi volesse leggerla, anticipando così quella cura materiale dei testi che avrebbe caratterizzato i nuovi circoli umanistici quattrocenteschi. Ma l’influenza petrarchesca fu decisiva soprattutto nell’avviarlo allo studio e all’amore per i classici, la cui lezione viene innestata sulla grande tradizione del pensiero cristiano e medioevale. Il ruolo di Boccaccio, come quello di Petrarca, è dunque un ruolo ponte tra due epoche.
Maestro di Jacques de Besançon, Boccaccio allo scrittoio, 1410, miniatura.
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Capitolo
La vita e l’opera
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L’arte di raccontare Boccaccio modello di prosa
Boccaccio è l’autore che ha consegnato alla cultura europea il primo grande modello di prosa narrativa: è grazie a lui che fa il suo trionfale ingresso nella nostra letteratura l’arte del raccontare. Basti ricordare che il Decameron è il libro su cui per secoli si definirà il canone della nostra prosa letteraria. Bisognerà attendere Manzoni con I Promessi Sposi – quindi quasi cinque secoli – perché la letteratura italiana conosca un modello in grado di sostituire quello impostosi con Boccaccio. Ma se Boccaccio fonda una canone, lo fa immettendosi, a sua volta, su una strada già esistente. Come Dante, che nella Commedia aveva raccolto e rielaborato la cultura letteraria e filosofica precedente per consegnarla alle civiltà future, così Boccaccio nel Decameron fa convergere modi e generi del narrare già vivi nelle culture latina e volgare per far sbocciare la novella moderna.
Scrittura e realtà
Altro aspetto fondamentale consiste nella capacità di Boccaccio di aprire l’arte del racconto alla rappresentazione del reale e di registrare gli infiniti casi umani, su cui agisce in modi sempre diversi l’azione della fortuna. Lo sguardo dell’autore si distende sul terreno vastissimo della “città degli uomini”, i cui confini sono appunto quelli del mondo abitato dagli esseri umani. Questi, con la diversità dei comportamenti, con le loro avventure, i loro linguaggi e punti di vista sono i veri protagonisti del Decameron.
La tradizione novellistica
Con Boccaccio la novella diventa lo strumento malleabile ed elastico che trasforma in racconto il mosaico incessantemente vario e variabile del reale. Un reale che, proprio per la sua imprevedibilità, non può essere costretto entro i rigidi schemi di causaeffetto che avevano caratterizzato sia i racconti a scopo pedagogico-morale in latino (gli exempla) sia la novellistica in volgare (ad esempio, il Novellino). Nel Decameron i personaggi acquistano spessore “realistico”, anche se ciò accade in una prospettiva diversa da quella che contraddistingue la moderna categoria di “realismo”. I personaggi decameroniani sono “realistici” perché i loro comportamenti non sono più riconducibili a modelli fissi e ripetitivi, e soprattutto perché il loro valore etico scaturisce di volta in volta dal “contingente”, cioè dall’insieme multiplo delle forze in gioco nell’esistenza (la fortuna e l’amore su tutte).
Una morale laica
Ogni azione umana risponde a una morale laica e terrena che, pur non negando una prospettiva trascendente e divina, reclama una sua autonomia e trova nell’istinto naturale – che Boccaccio chiama natura – il suo fondamento e la sua spiegazione. La morale boccacciana, dunque, rifiuta categorie rigide e si qualifica come una morale aperta, in cui guida e orientamento per l’uomo è la ragione chiamata a valutare di volta in volta quali scelte e comportamenti l’individuo può adottare.
Il piacere del racconto e il valore etico della parola
Alla nuova forma della novella corrisponde anche un nuovo fine del narrare: l’intento pedagogico della novella antica lascia il posto al valore del racconto in sé e al piacere della narrazione. Non si tratta però di una pura evasione ludica, di un divertimento fine a se stesso. Le novelle sono parte di un’opera che prende spunto dal panorama di devastazione causato nella città di Firenze dall’epidemia di peste, e all’interno di questo scenario va inquadrato e definito il senso ultimo del narrare. Boccaccio affida ad esso il compito di offrire un rimedio alla noia, un antidoto contro quella paralisi dei valori della vita e della civiltà di cui è metafora la peste. Il valore etico della parola e l’“ordine” della narrazione si costituiscono dunque come argine possibile al caos del mondo.
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Sezione
Boccaccio e il libro della “città degli uomini”
3 Le opere minori Boccaccio e Napoli
Gli anni giovanili trascorsi a Napoli sono, per Boccaccio, tempo di un apprendistato letterario sul quale influiscono gli ambienti ch’egli frequenta. Da un lato la cerchia della corte angioina, fortemente segnata dalla letteratura della tradizione cortese e romanza, cui Boccaccio ha accesso diretto grazie alla fornitissima biblioteca reale di Roberto d’Angiò; dall’altro gli ambienti universitari, che costituiscono un contatto con la cultura scolastico-giuridica, e nei quali incontra alcuni fra i più vivi ingegni del tempo. Fra questi, tra il 1330 e il 1331, il poeta Cino da Pistoia, ultimo grande rappresentante della stagione dello Stil novo, che gli raccomanda le opere di Cavalcanti e Dante, e gli fa conoscere quelle di Petrarca.
Sperimentatore e “inventore” di forme
Questa vivacità e varietà di interessi porta Boccaccio a sperimentare molti generi e a cimentarsi con diversi codici espressivi, anche distanti tra loro: dal romanzo al poema epico, dal poema allegorico all’autobiografia di tono elegiaco. Molte di queste . In particolare il Filostrato, poema narrativo esperienze confluiranno nel in ottave, svolge un ruolo decisivo nella genesi dell’ottava narrativa, ovvero di quella forma che avrebbe poi caratterizzato i grandi modelli della narrazione romanzesca per almeno due secoli, dall’Orlando innamorato di Boiardo al Furioso di Ariosto, fino alla Gerusalemme liberata di Tasso.
Intorno al Decameron Il Filostrato
Testi da leggere •P rotasi e tema della narrazione, Filostrato •L a citazione di Cino da Pistoia, Filostrato
Il Filocolo
Testi da leggere •F iammetta “committente” del libro, Filocolo •L etteratura e amore: i libri galeotti, Filocolo
Il Filostrato, poema in ottave (la stanza di otto endecasillabi con schema rimico ABABABCC) scritto da Boccaccio a Napoli intorno al 1335, deve la sua importanza soprattutto alla scelta della forma metrica, ma è anche testimone degli interessi dell’autore in questi anni. Dopo un proemio in prosa, nelle nove parti in versi che seguono è raccontata la vicenda sentimentale di Troilo e Criseida, caratterizzata dalla tensione verso un «amore per diletto» rapidamente consumato nel «piacere intero» (II, 45, 3) e reciproco dei due amanti. Secondo quanto viene spiegato nel Proemio, la storia è rappresentativa della vicenda personale dell’autore stesso, la cui identità resta celata sotto lo pseudonimo parlante Filostrato: il “vinto da amore” (dal greco filos, termine legato al concetto di amore, e dal latino stratus, “abbattuto”). Il tema scelto rimanda però anche al mondo omerico della guerra di Troia, noto a Boccaccio probabilmente attraverso la mediazione di opere latine e di testi romanzi che egli poté presumibilmente leggere presso la ricca biblioteca di Roberto d’Angiò a Napoli. Il Filocolo racconta la tormentata e avventurosa vicenda dell’amore tra Florio e Biancofiore. Scritto a Napoli probabilmente intorno al 1336, il romanzo rappresenta il primo tentativo di narrazione in prosa da parte di Boccaccio. Il titolo è fondato su un’etimologia grecizzante, secondo la quale Filocolo significherebbe “fatica d’amore”: la narrazione sarebbe stata infatti intrapresa su richiesta e per amore di una donna indicata con il nome di Fiammetta, figura in cui sembra riflettersi, rovesciata, la Francesca di Dante (Inferno, V), non più vittima ma ispiratrice del romanzo. Interessante è la struttura dell’opera, in cui le numerose digressioni che interrompono il filo della storia consentono a Boccaccio di stabilire un legame tra la vicenda dei due amanti, che si svolge all’origine dell’età cristiana, e l’ambiente della Napoli angioina.
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Capitolo
La vita e l’opera
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Filostrato di Boccaccio, codice bolognese del terzo decennio del xv secolo, con ritratto di Filostrato a mezzo busto.
Filocolo di Boccaccio, Mantova, 1463-64: preziosissima pagina miniata con capolettera e cornici a intreccio su fondo oro, stemma con le armi dei Gonzaga e una miniatura con quattro eleganti giovani in un giardino cinto da mura.
Proprio la comparsa del personaggio di Fiammetta, insieme alla scelta della prosa, introduce elementi che arriveranno a maturazione nel Decameron. La fanciulla è infatti presentata come regina di una «corte d’amore» in cui si discutono argomenti di carattere amoroso e nella quale si può intravedere, a uno stato embrionale, l’antecedente della situazione che farà da cornice al libro di novelle.
in sintesi: Il Filostrato Datazione
1335
Modelli
modello omerico, conosciuto con la mediazione di opere latine e testi romanzi
Struttura
proemio in prosa seguito da nove parti in versi
Temi
la vicenda di Troilo e Criseida durante la guerra di Troia
Genere
poema in ottava rima
Lingua
volgare
in sintesi: Il Filocolo Datazione
1336
Modelli
la produzione di provenienza cortese (in particolare un romanzo che narra la storia di Fiore e Biancofiore)
Struttura
proemio in prosa seguito da sette libri
Temi
l’amore con sovrapposizione di elementi eterogenei, di cultura cristiana e pagana; eventi miracolosi e magici; descrizioni fantastiche di luoghi remoti
Genere
romanzo d’amore in prosa
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Sezione
Boccaccio e il libro della “città degli uomini”
Il Teseida
Testi da leggere •L ’invocazione alle Muse e l’approdo, Teseida
Al Teseida, poema epico in ottave composto di 12 libri (fedele al modello classico dell’Eneide di Virgilio), Boccaccio inizia a lavorare probabilmente a Napoli intorno al 1339, per poi concluderlo nel 1341, dopo il ritorno a Firenze. Anche in quest’opera l’elemento centrale è costituito da una vicenda amorosa ambientata nell’antica Grecia, ma al mondo mitologico e classico si aggiungono elementi di tradizione medioevale francese (come i connotati “cavallereschi” di alcuni personaggi) e della poesia italiana (con riferimenti ai temi di Cavalcanti), che testimoniano una certa varietà di interessi. Boccaccio dichiara di aver scritto il Teseida con l’intenzione di “resuscitare” la poesia epica e di offrire un primo esperimento di poesia epica in volgare. Notevole è il ritorno della figura di Fiammetta, destinataria della lettera di dedica che accompagna l’opera.
in sintesi: Il Teseida Datazione
1336
Modelli
• l’Eneide virgiliana • Guido Cavalcanti e lo Stil novo per la fenomenologia amorosa
Struttura
12 libri
Temi
• motivi lirici e d’amore • mitologia e riferimenti al mondo classico
Genere
poema epico in ottave
Lingua
volgare
L’Elegia di madonna Fiammetta
Una pagina dal Teseida Teseida, codice emiliano del terzo quarto del xvi secolo, disegno a inchiostro nero rialzato in ocra raffigurante la battaglia di Palemone e Arcita per Emilia.
Dopo il ritorno a Firenze, dove scrive la Comedia delle ninfe fiorentine e l’Amorosa visione, Boccaccio compone una nuova opera di ambientazione napoletana, l’Elegia di madonna Fiammetta, che si caratterizza soprattutto per l’attenta e approfondita analisi di ogni aspetto psicologico della vicenda, a fronte di uno sviluppo narrativo minimo. Come lungo dialogo interiore in forma di lettera, l’opera dà voce direttamente alla protagonista Fiammetta, che parlando in prima persona svela gli umori variabili, i ragionamenti ossessivi, la gelosia impetuosa e le fantasie di suicido maturati dopo esser stata abbandonata dal giovane amante Panfilo (dietro cui è possibile intravedere l’autore e che sarà, come Fiammetta, anche il nome di uno dei dieci giovani narratori del Decameron). Oltre al nome della protagonista, elementi interessanti in vista del Decameron si trovano nella dedica alle donne contenuta nel Prologo, dove la narratrice dichiara: «mi piace, o nobili donne, ne’ cuori delle quali amore più che nel mio forse felice dimora, narrando i casi miei, di farvi, s’io posso, pietose». Al pubblico femminile sarà indirizzata anche la dedica contenuta nel Proemio del Decameron.
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Capitolo
La vita e l’opera
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in sintesi: L’Elegia di madonna Fiammetta
Le opere della maturità
Datazione
1343-44
Modelli
Dante e i romanzi francesi (in particolare il Roman de la Rose)
Struttura
9 capitoli
Temi
l’amore come esperienza intima e psicologica, narrata in prima persona dalla protagonista
Genere
romanzo in prosa
Lingua
volgare
Gli anni che seguono la scrittura del Decameron sono segnati da un ripensamento della figura e del ruolo dell’intellettuale, testimoniato dalla scelta prevalente della lingua latina e dal carattere principalmente erudito della produzione letteraria: dal De mulieribus claris (Delle donne famose), repertorio di storie femminili che “risponde” al De viris illustribus di Petrarca, alle Genalogie deorum gentilium (Genealogie degli dèi pagani), un’antologia di storie mitologiche. Un atteggiamento in cui si possono scorgere, naturalmente, tratti di emulazione del grande maestro Petrarca, di cui nel frattempo Boccaccio aveva approfondita la conoscenza e intensificata la frequentazione. Alla metà degli anni ’60 (anche se non mancano proposte di una datazione più alta, intorno al 1355) sembra poter essere ricondotto anche il Corbaccio, l’ultima opera narrativa in volgare, che colpisce soprattutto per il contenuto misogino. Il titolo del testo è di dubbia interpretazione: forse rinvia al “corvo”, uccello che annuncia sventura, riferibile all’autore stesso o alla vedova protagonista dell’opera. Il testo, sotto uno schema di chiara matrice dantesca, sembra prendere spunto da una vicenda autobiografica di Boccaccio che, in vecchiaia, avrebbe subito lo scherno di una vedova di cui si era invaghito. Ma al di là dei riferimenti biografici, il Corbaccio conferma, nello schema trattatistico e nelle scelte stilistiche, l’inesausto gusto di Boccaccio per la sperimentazione letteraria.
Miniatura per il De mulieribus claris Scuola francese, miniatura con scena galante, 1460. Da un’edizione del De mulieribus claris.
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Sezione
Boccaccio e il libro della “città degli uomini”
T1
Elegia di madonna Fiammetta, I
L e esitazioni di Fiammetta e l’apparizione di Venere
La prima parte del capitolo è dedicata all’amore nascente di Fiammetta. Secondo uno schema consueto nella narrativa medioevale, la donna chiede consiglio alla vecchia e fedele balia, che la invita a desistere. In un primo momento Fiammetta respinge il suggerimento, ma poi, rimasta sola, si fa esitante e comincia a pensare che la balia potrebbe avere ragione. L’apparizione e il discorso di Venere la spingeranno ad accantonare ogni reticenza e ad abbandonarsi all’amore per Panfilo: il passo qui riprodotto narra la comparsa della dea.
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Già s’era, senza più favellarmi, partita la cara balia1, li cui conI consigli della balia sigli male per me2 rifiutai, e io, sola rimasa3, le sue parole nel Si tratta di un tópos già sollecito petto fra me volgea4; e ancora che abbagliato5 fosse il classico e destinato a lunga fortuna: si pensi al ruolo mio conoscimento6, di frutto le7 sentiva piene e quasi ciò che che avrà la balia nel Romeo 8 assertivamente avea davanti a lei detto di voler pur seguire, e Giulietta di Shakespeare. pentendomi, nella mente mi vacillava, e già cominciando a pensare di volere lasciare andare le cose meritevolmente dannate9, lei voleva richiamare alli miei conforti; ma nuovo e sùbito accidente10 me ne rivolse11, però che12 nella secreta mia camera, non so onde venuta13, una bellissima donna s’offerse agli occhi miei, circundata da tanta luce che appena la vista la sostenea14. Ma pure stando essa ancora tacita15 nel mio cospetto, quanto potei per lo lume gli occhi aguzzare tanto li pinsi16 avanti, infino a tanto che alla mia conoscenza17 pervenne la bella forma, e vidi lei ignuda, fuori solamente d’uno18 sottilissimo drappo purpureo, il quale, avvegna che19 in alcune parti il candidissimo corpo coprisse, di quello non altramente toglieva la vista a me mirante20, che posta figura sotto chiaro vetro21, e la sua testa, li capelli della quale tanto di chiarezza l’oro passavano22, quanto l’oro de’ nostri passa li vie più23 biondi, avea coperta d’una ghirlanda di verdi mortine24, sotto l’ombra della quale io vidi due occhi di bellezza incomparabile, e vaghi a riguardare oltremodo, rendere mirabile luce25; e tanto tutto l’altro viso26 avea bello quanto quaggiù27 a quello simile non si trova. Ella non dicea alcuna cosa, anzi o forse contenta ch’io la riguardassi, ovvero me vedendo di riguardarla contenta28, a poco a poco tra la fulvida29 luce di sé le belle parti m’apriva30 più chiare, per che io bellezze in lei da non potere con lingua ridire, né senza vista pensare intra’ mortali31, conobbi.
1 Già
s’era … balia: Già si era allontanata (partita), senza dirmi altro (senza più favellarmi), la mia cara balia. 2 male per me: a mio danno. 3 rimasa: rimasta. 4 le sue parole … volgea: riflettevo, tra me e me, sulle sue parole. 5 abbagliato: accecato. 6 conoscimento: discernimento. 7 le: si riferisce alle parole della balia, che ora Fiammetta riconosce “fruttuose”. 8 assertivamente: con decisione. 9 meritevolmente dannate: giustamente condannate, dalla balia. 10 nuovo … accidente: uno straordinario e improvviso evento. 11 me ne rivolse: mi fece cambiare idea.
12 però che: perché. 13 onde venuta: giunta da dove. 14 che appena … sostenea: che
a malapena riuscivo a vederla; di fronte alla luminosità straordinaria della donna che le è apparsa, Fiammetta è quasi accecata e non riesce a tenere aperti gli occhi. 15 tacita: in silenzio. 16 pinsi: spinsi; Fiammetta cerca di guardare intensamente, quanto più le è possibile, la donna che ha davanti. 17 conoscenza: comprensione; ovvero, la forma avvolta in un alone luminoso, si fa ora più definita e visibile. 18 fuori … d’uno: salvo che per un. 19 avvegna che: sebbene. 20 mirante: che la guardavo.
21 che
posta … vetro: che una figura posta al di là di un vetro trasparente. 22 passavano: superavano. 23 li vie più: i più. 24 mortine: mortella; è il diminutivo di mirto. 25 rendere … luce: spandere una luce straordinaria. 26 l’altro viso: il resto del viso. 27 quaggiù: in terra. 28 o forse contenta … contenta: forse contenta che io la ammirassi, o forse vedendomi contenta di ammirarla. 29 fulvida: fulgida. 30 m’apriva: mi mostrava. 31 né senza vista … intra’ mortali: pensare senza bisogno di vedere, fra le creature della terra.
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Capitolo
La vita e l’opera
Guida all’analisi
T1
L’apparizione di Venere Questo brano dell’Elegia di madonna Fiammetta è tutto incentrato su un unico evento: l’apparizione di Venere al cospetto della donna esitante tra l’amore nascente e il suggerimento della vecchia e fidata balia di respingere quel sentimento. Si tratta di un evento di solida tradizione letteraria, che proprio per questo, con il lessico e le immagini che mobilita, offre al lettore una preziosa occasione per sondare il ricco e vario patrimonio culturale di cui si nutre l’immaginario di Boccaccio.
Boccaccio e Dante 1 Il «drappo purpureo di Venere»: la dea appare a Fiammetta vestita «d’uno sottilissimo drappo purpureo». È la stessa immagine utilizzata da Dante nella Vita nova nel punto in cui descrive la prima apparizione di Beatrice, «vestita di nobilissimo colore […] sanguigno». La relazione, apparentemente labile, è rafforzata dalla continua presenza in filigrana di Dante nei testi di Boccaccio.
2 La «mirabile luce» che «appena la vista la sostenea»: Fiammetta è accecata dalla luminosità dell’apparizione e pronuncia parole che evocano immagini della Commedia: «e per la viva luce trasparea / la lucente sustanza tanto chiara / nel mio viso, che non la sostenea» (Paradiso, XXIII, 31-33). Ma all’amore sacro che in Dante si associa alla luminosità accecante, nell’Elegia è sostituito l’amore profano.
Boccaccio e i romanzi francesi 1 Lo spazio dell’amore: non è casuale che l’apparizione della dea avvenga nel chiuso della
Laboratorio sul testo Comprensione 1 inferenze dirette Quali emozioni suscita in Fiammetta l’apparizione della dea?
Analisi e interpretazione 2 interpretazione Che tipo di narratore è Fiammetta? Interno o onnisciente? Motiva la risposta con riferimenti al testo.
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camera di Fiammetta. Boccaccio, infatti, riproduce un elemento tipico dell’amore cortese, per definizione aristocratico e prevalentemente adultero. Esso, per sua stessa natura, nasce e fiorisce in uno spazio protetto, da cui sono esclusi il mondo esterno, le invidie degli altri corteggiatori e la gelosia del marito tradito.
2 Il conflitto di Amore e Ragione: il conflitto tra gli avveduti suggerimenti della vecchia balia e l’amore nascente della donna per Panfilo altro non è che una rappresentazione dei movimenti contraddittori del cuore innamorato. Si tratta, dunque, di una variante dello scontro tra Ragione (= la balia) e Amore (= Venere), presente in una lunga tradizione letteraria d’argomento amoroso.
L’Elegia: tradizione e modernità La ricca presenza di un patrimonio letterario tradizionale nell’opera di Boccaccio, chiarisce in che cosa consista la sua modernità: l’Elegia rimane un’opera del suo tempo, caratterizzata da temi e da un linguaggio fortemente medioevali, ma anticipa per certi versi il romanzo psicologico. Va infatti messo in risalto come Boccaccio rinunci al narratore onnisciente per adottare il punto di vista interno dell’io narrante, che per giunta è una donna. Siamo così immessi nel mondo interiore della protagonista e condotti a scrutarne le emozioni e le oscillazioni dell’animo, che sono celate invece agli altri personaggi della vicenda, ad esempio al marito di lei, che nulla sa né intuisce del tradimento della moglie e delle sue pene. Si viene così a creare una sorta di divaricazione tra l’immagine sociale di Fiammetta, legata agli stereotipi e alle convenzioni imposte alle donne nella società tardo-medioevale, e l’immagine più intima, nota a lei sola e ai lettori.
T1 Testi a confronto 3 valutazione Fiammetta afferma che la bellezza della dea è tale «da non potere con lingua ridire» (rr. 21-22). In questo caso Boccaccio ricorre a un tópos – quello dell’ineffabilità – molto usato da Dante, soprattutto nella Commedia. Si tratta però di contesti assai diversi. Spiega perché, dopo aver esplicitato quali sono i punti in comune.
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