Presentazione
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Non per l’onore degli antichi dèi Né per il nostro ma difendeteci. Tutto è ormai un urlo solo. Anche questo silenzio e il sonno prossimo. […] Rivolgo col bastone le foglie dei viali. Quei ragazzi mesti scalciano una bottiglia. Proteggete le nostre verità. F. Fortini, E questo è il sonno.
”
Letteratura Terzo Millennio nasce dalla nostra lunga esperienza di insegnamento nelle scuole secondarie superiori, con l’intento di avvicinare i giovani lettori ai testi più belli e significativi della tradizione occidentale, alle opere e agli autori che vorremmo portare con noi nel prossimo futuro, perché contribuiscono a fondare la nostra identità di cittadini italiani ed europei del terzo millennio. Discendono da qui le idee-chiave di questa letteratura: u centralità del testo: il cuore del libro sono i testi di autore, la loro lettura e la loro
interpretazione, non un astratto concentrato nozionistico di storia letteraria; u profondità e non enciclopedismo: sono approfonditi e sviluppati i temi e gli ar-
gomenti più significativi, senza alcuna pretesa di esaustività; vengono citati solo i nomi e le date essenziali; u opere fondamentali: degli autori più importanti, italiani e non, viene trattata in modo approfondito una sola opera (al massimo due), piuttosto che l’intera loro produzione; u dimensione europea: moltissimi tra i testi proposti sono di autori stranieri, analizzati con la stessa cura dedicata a quelli italiani, in modo da mantenere un punto di vista realmente sovranazionale; u identificazione di grandi temi: ampio spazio è dedicato alla rappresentazione letteraria e artistica di periodi, eventi e movimenti particolarmente significativi della storia e della tradizione culturali italiane ed europee; u multidisciplinarità: la filosofia, la pittura, l’architettura, la scultura, l’opera e la canzone affiancano la letteratura, con attenzione alla specificità dei diversi linguaggi, ma anche alle loro possibili intersezioni; u comprensibilità: il linguaggio adottato è quanto più possibile semplice e chiaro, alieno da tecnicismi e voli retorici; u modularità: i capitoli, tra loro indipendenti, incoraggiano la costruzione di percorsi personalizzati.
L’opera è suddivisa in tre volumi, che trattano rispettivamente i periodi Dalle origini al Cinquecento (1), Dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento (2) e Dal secondo Ottocento alla contemporaneità (3.1 e 3.2). La struttura è semplice e lineare, basata su sezioni ordinate cronologicamente, suddivise in quattro moduli che si ripetono sempre identici, in maniera da aiutare lo studente ad orientarsi facilmente: Il contesto; I temi, le idee; I modi, i generi; Le opere, gli autori.
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Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, è cominciata una nuova era: l’era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un’altra Hiroshima. Da quel giorno siamo onnipotenti in modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni momento, ciò significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti. Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest’epoca è l’ultima: poiché la sua differenza specifica, la possibilità dell’autodistruzione del genere umano, non può avere fine – che con la fine stessa. Günther Anders
La storia Il prImo dopoguerra
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Alla fine della Prima guerra mondiale l’Europa si trova in condizioni disastrose, vinti e vincitori allo stesso modo: impoverita, indebitata, con la popolazione decimata e le attività produttive paralizzate. Tutte le tensioni sociali già esistenti prima della guerra risultano esasperate: molti (i profittatori, i cosiddetti “pescecani”, coloro che sono riusciti a speculare sull’economia di guerra) si sono arricchiti, ma la stragrande maggioranza si è impoverita; i reduci stentano a tornare alla vita normale (soprattutto i giovani provenienti dalla piccola borghesia, che avevano ricoperto posti di comando e di responsabilità come ufficiali), a volte persino a trovare un’occupazione; i contadini e gli operai hanno acquisito una nuova e più combattiva consapevolezza dei propri diritti e sono più determinati di prima a lottare per farli valere. Dal punto di vista politico, la guerra segna il tracollo dell’Europa, che perde il suo primato secolare a favore di nuove potenze, soprattutto gli Stati Uniti e il Giappone; contemporaneamente, determina il tramonto definitivo dei modelli statali più tradizionalisti (l’Impero austriaco, il Regno tedesco), ma lascia aperti nuovi problemi, relativi alle funzioni (e ai limiti) dei poteri dello Stato, che durante la guerra si erano estesi a dismisura, toccando tutti gli aspetti della vita pubblica e privata: le attività
New York, Wall Street durante il crollo della Borsa nel 1929.
u I temi, le idee sono
la crisi del 1929
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«Vogliamo tutto.» Dalla contestazione agli anni Settanta
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Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento se il fuoco ha risparmiato le vostre millecento anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti.
capitoli che esplorano i temi-chiave delle diverse epoche attraverso saggi, manifesti, testi letterari, opere d’arte e canzoni.
E se vi siete detti non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente convinti che fosse un gioco a cui avremmo giocato poco provate pure a credervi assolti siete lo stesso coinvolti. […] E se credete ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.
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Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio
Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, cemento, mica, stracci (Roma, collezione privata).
di storie»: 28. «un multicolore universoneorealista la narrativa
28 “
«Un multicolore universo di storie»: la narrativa neorealista
guerra civile – che L’essere usciti da un’esperienza – guerra, un’immediatezza non aveva risparmiato nessuno, stabiliva pubblico: si era di comunicazione tra lo scrittore e il suo da raccontare, faccia a faccia, alla pari, carichi di storie aveva vissuto vite ognuno sua, ognuno aveva avuto la ci si strappava la avventurose, e drammatich irregolari fu per la gente al parola di bocca. La rinata libertà di parlare che riprendevano principio smania di raccontare: nei treni di farina e a funzionare, gremiti di persone e pacchi agli sconosciuti le bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava ogni avventore ai vicissitudini che gli erano occorse, e così nelle code dei tavoli delle «mense del popolo», ogni donna cosa d’altre sembrava quotidiane vite delle grigiore il negozi; universo di storie. epoche; ci muovevamo in un multicolore Italo Calvino
in breve
35. «vogliamo tutto.» dalla contestazion e agli anni settanta
465
in breve Dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà degli anni Settanta il mo intero è scosso da una violenta fiammata ndo rivoluzionaria. Nonostante le differenze e la specificità dei singoli casi, esistono numerosi tratti comuni: la critica nei confronti della società borghese e capitalista; la mescolanza tra pubblico e “privato”; l’adozione di nuove forme di azio ne politica e di stili di vita. In America le origini sono rappresentate dal movimento beat e hippie, ma il f determinante è costituito dall’opposizione attore alla guerra combattuta dagli Stati Uniti in Vietnam. In Italia la protesta parte dalle scuole e dalle l’arretratezza dei contenuti e dei metodi did università e si rivolge soprattutto contro attici. In un secondo momento il movimento studentesco confluisce in quello operaio, attivo in tutti i principali centri industriali. Fondamentale è la presenza delle donne e del movimento femminista, che si batte soprattutto contro i modelli che per secoli han no definito l’identità femminile e il rapporto tra i sessi, portando a importanti innovazioni nel costume sociale e nel codice civile. La seconda fase del movimento in Italia è ca ratterizzata dall’inasprirsi del conflitto tra gli opposti estremismi (di destra e di sinistra): si arriva così alle stragi, alla strategia tensione, al terrorismo. della
L’ultima rivoluzione Gli anni Sessanta e Settanta sono caratterizzati, a livello quasi planetario, da una fiammata rivoluzionaria, tanto che secondo alcuni storici si tratta dell’unica – e ultima – rivoluzione globale, dopo i moti del 1848. Nei paesi del Terzo mondo arriva a compimento la decolonizzazione: dopo anni di sottomissione, gli stati africani e asiatici riacquistano la loro indipendenza , liberandosi dalla dominazione coloniale europea a prezzo di scontri spesso feroci e di gravi squilibri interni. Nell’Europa dell’Est esplodono le ribellioni contro il dominio repressivo esercitato dall’Unione Sovietica: a Praga, in Ungheria e in Polonia studenti e intellettuali sfidano carri armati e forze militari. Contemporaneamente, i paesi occidentali sono attraversati da una violenta ondata di contestazione giovanile, che si scaglia contro tutto ciò che identifica l’ordine costituito: la scuola, l’università, gli apparati statali (istituzioni di governo, esercito, polizia), la morale pubblica, la famiglia, le convenzioni sociali. Anche se, com’è ovvio, le distinzioni sono innumerevoli e non bisogna sottovalutare la specificità di ogni singola componente, esistono evidenti legami e analogie, di cui i protagonisti stessi sono ben consapevoli: gli operai e gli studenti italiani scendono piazza per modificare la realtà concreta in in cui vivono (la scuola, la fabbrica, l’università), ma anche per manifestare contro la guerra “imperialista” degli Stati Uniti in Vietnam; il comandante guerrigliero Ernesto “Che” Guevara diventa, nel giro di pochi mesi, l’icona universale della rivoluzione, all’Est come all’Ovest, al Nord come al Sud; le stesse canzoni e gli stessi slogan viaggiano da una parte all’altra del mondo; intellettuali e cantautori americani e occidentali protestano insieme contro la feroce repressione del dissenso messa in atto dall’Urss nella zona sotto il suo controllo. Il denominatore comune sembra
Una fiammata unica e proteiforme
La consapevolezza dell’unitarietà
207
Il Neorealismo nel ricordo di Calvino
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ncreta: il desiderio e il piacere di raccontare o Il Neorealismo nasce da una situazione co oria dell’immediato dopoguerra. Tutti hann le proprie vicende, nel clima di grande euf condividerle. vissuto piccole e grandi avventure e vogliono del realismo avvenuta negli anni Trenta: sulla Questa esigenza si aggancia alla riscoperta erti, molti scrittori italiani abbandonano le scia di alcuni autori americani da poco scop di cose”, al tentativo di presa diretta sulla forme sperimentali e tornano al “racconto
realtà. o, imento spontaneo, politicamente impegnat In una prima fase il Neorealismo è un mov a Guerra fredda, lo scenario cambia e si arriva si vicino al Partito comunista. Quando, durante l porti tra intellettuali e partito si fanno più te alla contrapposizione tra i due blocchi, i rap ortavoce ufficiali della linea politica del Pci. e gli autori neorealisti sono chiamati a farsi p età degli anni i Quaranta a m reve: dagli ann La stagione del Neorealismo è comunque b ovimento abbiamo scelto quelle che potevaibili a questo m le opere ascriv Cinquanta. Tra Pavese, matiche diverse: Paesi tuoi di Cesare no rappresentare tre opzioni stilistiche e te di Vasco Pratolini. Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e Metello
Il Neorealismo descrive in in apertura, lo scrittore Italo Calvino come fatto Nella citazione che abbiamo proposto il Neorealismo: esistenziale caratteristici del clima in cui nasce maniera molto efficace gli elementi e fisiologico straordinaria e nel bene e nel male – un’esperienza la consapevolezza di aver vissuto – le proprie l’urgenza di raccontare e condividere irripetibile; la ritrovata libertà di parola; e diretto tra chi racconta e chi immediato rapporto un di storie con gli altri; il ristabilirsi e il pubblico, più alcuna distinzione tra gli scrittori esiste non o All’improvvis ascolta. racconta di aver vissuto le medesime esperienze: perché tutti sono accomunati dal fatto il Neorealismo stessi ideali. Nelle parole di Calvino, no le stesse cose e condividono gli collettibensì «un fatto fisiologico, esistenziale, non è un fatto di estetica, o di poetica, ed esprime universo di storie», anonimo e corale, vo», che parte da questo «multicolore l’euforia diverse – un sentire comune e condiviso: – sia pur attraverso voci e prospettive deside da zero un nuovo assetto sociale, il della ritrovata libertà, la voglia di ricostruire libera più nuova, società una di all’edificazione rio di partecipare con le proprie storie e l’arte possono avere un valore politico. Il problema e giusta, la certezza che anche la letteratura del Neo che l’immediatezza e la spontaneità sottolinea dello stile Calvino stesso lo Tuttavia, per con la mancanza di stile o con il disinteresse realismo non devono essere confuse «personaggi, storie sono solo il «materiale grezzo»: l’aspetto strettamente estetico. Le e amplessi non voci gergali, parolacce, lirismi, armi paesaggi, spari, didascalie politiche, , sapevamo fin troppo bene che pentagramma del note tavolozza, erano che colori della accaniti come il libretto, mai si videro formalisti così quel che contava era la musica e non che passavamo lirici così effusivi come quegli oggettivi quei contenutisti che eravamo, mai raccontare: si lega dunque al problema di “come” per essere». L’urgenza di raccontare Dopo decenni forma, nuovi stili e nuovo linguaggio. nuovi contenuti impongono nuova dei generi di consumo (e poi della appannaggio considerata stata è narrazione in cui la appena sco ad altri modelli: agli scrittori americani propaganda di regime) bisogna rifarsi (da cui il alla grande tradizione realista ottocentesca perti, o al passato, e in primo luogo scrittori russi. di Verga, Zola, Dickens e dei grandi La definizione e nome di neo – cioè “nuovo” – realismo) narrativa neorealista: l’urgenza di raccontare, l’arco cronologico Sono questi i caratteri essenziali della meridio di svolgimento la Resistenza, la condizione dei contadini l’apertura a nuovi contenuti (la guerra, letteratura. la fiducia nel valore civile e morale della nali), la ricerca di una forma adeguata, Si tratta dunque di un «concetto flessibile costel e a maglie larghe, che descrive una ma distinti, personalità e fatti lazione di e rela uniti gli uni agli altri da influenze una zioni reciproche» (B. Falcetto); non che si scuola, ma «un insieme di voci», esprime in un arco di tempo estremamen primi te breve, dagli anni della guerra ai anni Cinquanta.
Franco Pinna, Lucania, 1952-1959, fotografia.
u I modi, i generi delineano
I modI, I geNerI
I modI, I geNerI
le trasformazioni politiche
la «guerra dei trent’anni» della modernità
il crollo del ’29 e la grande depressione Le tensioni irrisolte in cui si dibatte l’Europa sono esasperate dalla difficile situazione economica, non tanto dalla crisi dell’immediato dopoguerra (legata alle circostanze contingenti: distruzione e paralisi delle attività produttive), quanto dalla successiva crisi di sovrapproduzione. Dopo un primo periodo di grande difficoltà, l’Europa si sta infatti avviando verso la della ripresa: gli Stati Uniti sostengono la Germania con prestiti e interventi diretti, e a sua volta la Germania riesce a pagare alle altre nazioni le esose riparazioni cui era stata condannata. Questo circolo virtuoso si spezza bruscamente nel 1929, a causa di una violenta crisi di sovrapproduzione, che investe in primo luogo gli Stati Uniti: si produce troppo e il mercato non è in grado di assorbire tutto ciò che viene prodotto. Alla sovrapproduzione si lega il crollo di Wall Street, sede della Borsa di New York: i titoli “gonfiati” a dismisura negli anni precedenti perdono nel giro di poche ore tutto il loro valore, portando alla rovina milioni di piccoli risparmiatori e, con essi, tutto il sistema finanziario americano; aziende piccole e grandi, che vedono dimezzata la loro quotazio-
Una tregua momentanea l’europa distrutta
Una pace instabile
I temI, Le Idee
L’età dei totalitarismi e della Seconda guerra mondiale
introduttivo, che inquadra ogni epoca attraverso tre punti di vista: La storia, Le idee e Lo spazio letterario e artistico. Ne risulta un vero e proprio manuale sintetico di civiltà e letteratura che contiene le coordinate essenziali del periodo studiato, con aperture alle arti figurative e alla musica.
3 il contesto
24
24. l’età dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale
lavorative, la programmazione economica, l’esercizio dei diritti civili e persino le libertà individuali. Le condizioni stabilite dai trattati di pace, lungi dallo sciogliere i motivi di contrasto, in molti casi non fanno che inasprire la tensione. La Francia e l’Inghilterra impongono una pace punitiva alla Germania (considerata unica responsabile della guerra), con gravissimo danno degli equilibri complessivi; da parte loro, i tedeschi si sentono ingiustamente vessati da condizioni così gravose da risultare insostenibili e covano da subito sogni di rivalsa ai danni dei paesi vincitori; persino l’Italia – che pure si trova nominalmente tra le potenze vittoriose – accetta a malincuore concessioni che mantengono solo in minima parte le promesse siglate prima dell’entrata in guerra. Gli anni di pace tra la Prima e la Seconda guerra mondiale rappresentano, dunque, solo una tregua momentanea nell’ambito di un unico violento conflitto, che alcuni storici definiscono come la «guerra dei trent’anni» dell’era contemporanea, la cui posta sono gli equilibri di potere a livello mondiale e la scelta fra tre differenti sistemi sociali e politici: democrazia, comunismo, fascismo. Nel corso di questo scontro, l’Europa e il mondo intero hanno attraversato uno dei periodi più terribili della storia, segnato da eventi che hanno messo in discussione la civiltà occidentale moderna dalle fondamenta: la dittatura totalitaria, i campi di concentramento, la Shoah, l’uso delle armi atomiche.
I temI, Le Idee
il contesto
u Il contesto è un capitolo
l’evoluzione dei principali generi letterari a partire dalla presentazione di due o più opere esemplari.
u Le opere, gli autori
sono capitoli dedicati alle opere più importanti della tradizione letteraria italiana ed europea, con una introduzione all’autore e un’ampia scelta antologica.
Il Canzoniere, di Umberto Saba
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La poesia e il dolore
O mio cuore dal nascere in due scisso, quante pene durai per uno farne! Quante rose a nascondere un abisso! Umberto Saba
263
”
in breve Umberto Saba, nato a Trieste alla fine dell’Ottocento, è il poeta «meno novecentesco» che ci sia: rifiuta la sperimentazione dell’Avanguardia e si riallaccia ai grandi modelli della tradizione poetica italiana. Tutta la sua produzione è raccolta in un unico libro, Il Canzoniere, che, costantemente accresciuto nel corso del tempo, è una sorta di romanzo autobiografico in versi. Nel Canzoniere Saba racconta la sua vita, povera di avvenimenti esterni, ma ricca di moti interiori; l’elemento centrale in questo “racconto” è la condizione psicologica dell’“io”, caratterizzata da una perenne ambivalenza tra atteggiamenti opposti (gioia e dolore, paura di vivere e amore per la vita). Per Saba la poesia ha una funzione terapeutica fondamentale: aiuta l’uomo ad accettare la presenza ineliminabile della sofferenza nella vita individuale.
Nel panorama poetico del Novecento, Saba rappresenta un caso unico e anomalo: per lui biografia e poesia si sovrappongono, vivere significa scrivere, e fare poesia significa parlare di sé e della propria vita. Una vita priva di avvenimenti eclatanti, concentrata quasi ossessivamente su se stessa e in particolare sulla “malattia” che l’ha segnata in maniera indelebile: la nevrosi. La nevrosi è per Saba uno stato di perenne instabilità psicologica, una sensazione di disagio e di inadeguatezza individuale; ma è anche manifestazione di una condizione esistenziale generalizzata, che riguarda tutta l’umanità. Per questo il poeta, pur parlando sempre e solo di sé, in realtà parla a tutti e a nome di tutti, limitandosi a dare voce a un sentire comune e condiviso: l’esperienza del dolore; l’aspirazione incessante, e irrealizzabile, alla felicità; la paura e la gioia di amare. A dispetto delle ripetute teorie novecentesche sull’inutilità della poesia e del fare poesia (basti pensare ai crepuscolari e a Gozzano), Saba è ancora convinto che la poesia abbia un compito fondamentale e insostituibile: aiutare l’uomo a non arrendersi all’infelicità, offrirgli una possibilità di appagamento, sia pure parziale e provvisoria. La salute e la felicità sono infatti destinate a rimanere sempre vagheggiate, non possono essere mai raggiunte in maniera definitiva, cosicché i momenti di serenità si alternano necessariamente a quelli di sconforto e di disperazione. La poesia da una parte testimonia questa ricerca, dall’altra ne è parte integrante, perché proprio l’attività poetica permette all’autore di trovare, a tratti, una forma di equilibrio nel rapporto con se stesso e con gli altri: solo le «rose» della poesia possono rendere sopportabile l’«abisso» della vita. Saba attribuisce alla poesia un esplicito valore terapeutico, e crede che testimoniare la propria vicenda interiore possa essere d’aiuto anche agli altri: per questo vuole parlare la lingua di tutti e sceglie uno stile semplice e colloquiale. Per lo scrittore la poesia è una forma di autocoscienza, ma anche un tentativo di salvare l’integrità della persona, di ritrovare per l’“io” unità e armonia; esprime l’«aspirazione struggente a una reintegrazione dell’uomo con se stesso, con la società, con la natura» (R. Luperini). Ma questa «reintegrazione» è sempre parziale e temporanea: la poesia, in virtù della sua bellezza formale, può rendere sopportabile il dolore connaturato alla vita, ma non lo può eliminare. Si tratta di una battaglia strenua e disperata, dall’esito costantemente incerto. Per tutta la vita Saba, infatti, cerca di sfuggire alla sofferenza e al «male di vivere» attraverso l’attività poetica; ma alla fine l’«abisso» ha la meglio sulla poesia. Allora non rimane altro che la follia: dopo aver lottato a lungo contro di essa, il poeta si arrende, smette quasi completamente di scrivere, e trascorre gli ultimi anni della sua vita in una clinica psichiatrica dalla quale non uscirà vivo.
Poesia, vita e nevrosi
Il valore terapeutico della poesia
La poesia contro l’orrore
«Due razze in antica tenzone»
Ritratto fotografico di Ummberto Saba.
Umberto Poli (“Saba” è uno pseudonimo, adottato a partire dal 1910 e poi regolarizzato ufficialmente) nasce a Trieste il 9 marzo 1883. La madre, Felicita Rachele Coen, gestisce un negozietto di mobili e, già quarantenne e ormai con poche speranze di matrimonio, grazie alla mediazione di un sensale (personaggio che nelle comunità ebraiche si occupa di combinare matrimoni, dietro compenso), conosce Ugo Edoardo Poli, un uomo anche lui attempato, vedovo e con una figlia. I due si sposano (dopo la formale conversione di
Un matrimonio infelice
Le OPeRe, gLI AUTORI
Le OPeRe, gLI AUTORI
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29. il canzoniere, di umberto saba
Le «rose» e l’«abisso»
Strumenti di metrica e di retorica
u Ogni volume contiene delle pagine
di metrica e retorica, che forniscono gli strumenti essenziali per la comprensione e l’analisi dei testi.
I. La poesia: versi, rime, strutture La caratteristica più evidente della poesia consiste nella particolare segmentazione del discorso: l’andare a capo prima del margine può anche essere considerato, da un certo punto di vista, l’elemento fondante della poesia. Il termine “verso”, che indica l’unità minima di ogni poesia (ogni riga di testo), deriva infatti dal latino vertere, che significa “voltare, tornare indietro, andare a capo”. Tuttavia la particolare segmentazione del discorso è un carattere fondamentale ma non sufficiente; il verso non è solo una riga di scrittura interrotta, ma si basa sulla combinazione di due elementi: il numero delle sillabe e la posizione degli accenti (per questo la metrica italiana si definisce sillabicoaccentuativa). La prima operazione da compiere è dunque quella di dividere in sillabe le parole che compongono ogni verso. Quando le sillabe sono composte da una sola vocale e da una o più consonanti la scansione è facile (ca-sa, ta-vo-lo). Se ci sono due o più vocali vicine all’interno della stessa sillaba, abbiamo due possibilità:
Quando si incontrano due vocali appartenenti a due parole diverse, (la fine di una parola e l’inizio della successiva) si ha: sinalefe quando le due vocali contano come una sillaba (A-mor - ch’a - nul-lo a-ma-to a-mar per-do-na). dialefe quando le due vocali rimangono distinte (caso raro, che costituisce l’eccezione alla regola). L’altro carattere che determina la qualità del verso, oltre al numero di sillabe, è la disposizione degli accenti. Per identificare lo schema accentuativo del verso è necessario riconoscere le sillabe accentate, cioè quelle pronunciate con più energia, chiamate “toniche”. Nella maggior parte delle parole italiane l’accento cade sulla penultima sillaba (la parola si dice piana): can-ti-na, pen-nel-lo. Più raramente cade sull’ultima sillaba (le parole si dicono tronche: pe-rò, per-ché) o sulla terz’ultima (parole sdrucciole: ta-vo-lo, vi-cen-de-vo-le). Ancora più raro è l’accento in quart’ultima posizione (parole bisdrucciole: prendi-me-ne). Poiché in italiano le parole sono per la maggior parte piane, i versi prendono il nome dalla loro forma più comune: il settenario si chiama così perché quando è piano (cioè termina con una parola piana) ed è di sette sillabe; ma un settenario tronco (terminante con una parola tronca) è di sei sillabe; un settenario sdrucciolo (terminante con una parola sdrucciola) è di otto sillabe. Per questo dire che un settenario è un verso di sette sillabe è corretto solo in parte. È meglio dire che un settenario è un verso in cui l’ultima sillaba accentata è la sesta. Per individuare gli accenti di un verso bisogna riconoscere le sillabe toniche; ma tra gli accenti alcuni sono principali e sono determinanti per individuare il verso, altri sono secondari, di minore importanza. Bisogna saper riconoscere dunque gli accenti principali: solo questi individuano infatti lo schema accentuativo del verso. In alcuni casi è abbastanza facile: ad esempio, si considerano di solito privi di
il contesto
sineresi, quando le due vocali si considerano come una sola sillaba, nei seguenti casi: - tutti i dittonghi, cioè tutti i casi in cui una vocale debole (i-u) si incontra con una vocale forte (a-e-o) o con un’altra vocale debole. Attenzione: quando il dittongo cade in fine di verso ed è accentata la prima vocale, per convenzione si contano due sillabe (mi-o, fu-i, ma-i, su-o, lu-i); - il nesso costituito da due vocali deboli più una vocale forte (giuo-co). dieresi, quando le due vocali si considerano come due sillabe (la dieresi è segnalata da due puntini sulla vocale solo quando rappresenta un’eccezione alla regola), nei seguenti casi: - il nesso vocale forte + vocale forte (pa-e-se); - il nesso di due vocali separate da ‘i’ consonantica (gio-ia, no-ia).
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24. l’età dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale
la prima metà del novecento
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tavole sinottiche
il contesto
apparati
A tutti i livelli dell’opera (sezioni, moduli e capitoli) abbiamo riservato grande attenzione agli apparati didattici ed esplicativi:
gli autori e le opere Bertolt Brecht » Terrore e miseria del Terzo Reich, p. 74 » Santa Giovanna dei Macelli, p. 352 Michail Bulgakov » Il Maestro e Margherita, p. 85 Italo Calvino » Il sentiero dei nidi di ragno, p. 103 » Ultimo viene il corvo, p. 125 Italo Calvino e Sergio Liberovici » Oltre il ponte, p. 140 Emilio Casalini e Luciano Rossi » Dalle belle città date al nemico, p. 140 Benedetto Croce » Una risposta al manifesto degli intellettuali fascisti, p. 42
Beppe Fenoglio » I ventitre giorni della città di Alba, p. 125 » Una questione privata, p. 378 Franco Fortini » Foglio di via, p. 138 Carlo Emilio Gadda » La cognizione del dolore, p. 57 Giovanni Gentile » Manifesto degli intellettuali del Fascismo, p. 42 Antonio Gramsci » Lettere dal carcere, p. 51 Renato Guttuso » Gott mit uns, p. 110 Nazim Hikmet » Alle porte di Madrid, p. 69
spagna
italia 1920 1930
Carlo Levi » Cristo si è fermato a Eboli, p. 230 Primo Levi » I sommersi e i salvati, p. 178 Luigi Meneghello » I piccoli maestri, p. 145 Elsa Morante » Menzogna e sortilegio, p. 428 Eugenio Montale » Ossi di seppia, p. 306 » Le occasioni, p. 328 George Orwell » La fattoria degli animali, p. 84 Cesare Pavese » Paesi tuoi, p. 214
paesi anglosassoni
1925 Gentile, Manifesto degli intellettuali del Fascismo; Croce, Una risposta al manifesto degli intellettuali fascisti; Montale, Ossi di seppia 1926-1936 Gramsci, Lettere dal carcere
germania / europa centrale
turchia
1929-1932 Brecht, Santa Giovanna dei Macelli 1937 Picasso, Guernica
1937-1939 Vittorini, Conversazione in Sicilia 1938-1941 Gadda, La cognizione del dolore 1939 Montale, Le occasioni
Pablo Picasso » Guernica, p. 70 Vasco Pratolini » Metello, p. 243 Roberto Rossellini » Roma città aperta, p. 111 Umberto Saba » Il Canzoniere, p. 262 Aleksandr Solženicyn » Arcipelago Gulag, pp. 92 e 162 Renata Viganò » L’Agnese va a morire, p. 117 Elio Vittorini » Conversazione in Sicilia, p. 64 » Uomini e no, p. 109
1938 Brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich
unione sovietica / paesi nordici
1928-1940
1937 Hikmet, Alle porte di Madrid
Bulgakov, Il Maestro e Margherita
24. l’età dei totalitarismi 194033 1941 Pavese, Paesi tuoi e della seconda guerra mondiale la prima metà del novecento
tavole sinottiche aree tematiche Affetti familiari / vita familiare
» Gramsci, Lettere dal carcere, T 169 » Pavese, Paesi tuoi, T 196-198 » Pratolini, Metello, T 202 e 204 » saba, Il Canzoniere, T 205 Amore / eros » calvino e liberovici, Oltre il ponte, T 186 » Pavese, Paesi tuoi, T 197 » Pratolini, Metello, T 202 » saba, Il Canzoniere, T 205 » montale, Le occasioni, T 219-224 » FenoGlio, Una questione privata, T 230 » morante, Menzogna e sortilegio, T 236-237
e 239
Campi di concentramento / olocausto genocidio » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » bulGakov, Il Maestro e Margherita, T 176 » solženicyn, Arcipelago Gulag, T 188-191 » levi P., I sommersi e i salvati, T 192-195
/
Città / ambiente urbano » saba, Il Canzoniere, T 206-207 Città / campagna » vittorini, Conversazione in Sicilia, T 171 » Pavese, Paesi tuoi, T 196-198 Colpa / peccato / responsabilità » Gadda, La cognizione del dolore, T 170 T 174 brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich,
» » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » bulGakov, Il Maestro e Margherita, T 176 » vittorini, Uomini e no, T 179 » rossellini, Roma città aperta, T 181 » viGanò, L’Agnese va a morire, T 182 » FenoGlio, I ventitré giorni della città di Alba, » »
T 184 solženicyn, Arcipelago Gulag, T 190 levi P., I sommersi e i salvati, T 192
/ Condizione del poeta / dell’artista dell’intellettuale » Gentile, Manifesto degli intellettuali del Fascismo, T 168 » Gadda, La cognizione del dolore, T 170
» bulGakov, Il Maestro e Margherita, T 176 » calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, T 178 » vittorini, Uomini e no, T 179 » meneGhello, I piccoli maestri, T 187 » saba, Il Canzoniere, T 205-211 » montale, Ossi di seppia, T 212-213 » montale, Le occasioni, T 224 » FenoGlio, Una questione privata, T 230 » morante, Menzogna e sortilegio, T 236-239 Condizione umana » saba, Il Canzoniere, T 208 » montale, Ossi di seppia, T 214-215 » montale, Le occasioni, T 219-224 Conflitti di classe » brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich, T 174 » calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, T 178 » Pratolini, Metello, T 203 » brecht, Santa Giovanna dei Macelli, T 225-229
» calvino e liberovici, Oltre il ponte, T 186 » meneGhello, I piccoli maestri, T 187 » FenoGlio, Una questione privata, T 230-235 Guerra » hikmet, Alle porte di Madrid, T 172 » Picasso, Guernica, T 173 » vittorini, Uomini e no, T 179 » viGanò, L’Agnese va a morire, T 182 » calvino, Ultimo viene il corvo, T 183 » FenoGlio, I ventitré giorni della città di Alba,
T 184 casalini e rossi, Dalle belle città date al nemico, T 186 » calvino e liberovici, Oltre il ponte, T 186 » meneGhello, I piccoli maestri, T 187 » montale, Le occasioni, T 219 e 224
Malattia / morte » vittorini, Uomini e no, T 179 » viGanò, L’Agnese va a morire, T 182 » calvino, Ultimo viene il corvo, T 183 » FenoGlio, I ventitré giorni della città di Alba,
Emarginazione » brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich, T 174 » brecht, Santa Giovanna dei Macelli, T 225-229
» Fortini, Canto degli ultimi partigiani, T 185 » Pavese, Paesi tuoi, T 198 » saba, Il Canzoniere, T 208
» Picasso, Guernica, T 173 » brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich, T 174 » calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, T 178 » vittorini, Uomini e no, T 179 » Guttuso, Gott mit uns, T 180 » rossellini, Roma città aperta, T 181 » viGanò, L’Agnese va a morire, T 182 » calvino, Ultimo viene il corvo, T 183 » FenoGlio, I ventitré giorni della città di Alba, » »
T 184 T 185 Fortini, Canto degli ultimi partigiani, casalini e rossi, Dalle belle città date al nemico, T 186
simbolica
1950
1960
Società borghese » brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich, T 174 1970 » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, T 178 1980 » brecht, Santa Giovanna dei Macelli, T 225-229 » FenoGlio, Una questione privata, T 230-235
»
Contrasto poesia / valori borghesi » FenoGlio, Una questione privata, T 230
Fascismo / Antifascismo / Resistenza » Gentile, Manifesto degli intellettuali del Fascismo, T 168 » croce, Una risposta al manifesto degli intellttuali fascisti, T 168 » hikmet, Alle porte di Madrid, T 172
Simbolismo / rappresentazione della natura » Pavese, Paesi tuoi, T 196-198
T 184
Miracolo /normalità » montale, Le occasioni, T 220-222 Poesia (valore della) » saba, Il Canzoniere, T 209-210 » montale, Ossi di seppia, T 212-214 e 216 Psicoanalisi » saba, Il Canzoniere, T 205-211 Questione meridionale » vittorini, Conversazione in Sicilia, T 171 » levi c., Cristo si è fermato a Eboli, T 199-201 Rivoluzione marxista » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » bulGakov, Il Maestro e Margherita, T 176 » calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, T 178 » brecht, Santa Giovanna dei Macelli, T 225-229
1944 Casalini e Rossi, Dalle belle città date al nemico 1944-1946 Saba, Il Canzoniere 1945 C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli; Vittorini, Uomini e no; Guttuso, Gott mit uns; Rossellini, Roma città aperta 1946 Fortini, Foglio di via 1947 Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno 1948 Morante, Menzogna e sortilegio 1949 Viganò, L’Agnese va a morire; Calvino, Ultimo viene il corvo
il contesto
il contesto
32
1952 Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba 1955 Pratolini, Metello 1959 Calvino e Liberovici, Oltre il ponte 1963 Fenoglio, Una questione privata 1964 Meneghello, I piccoli maestri
1945 Orwell, La fattoria degli animali
1958-1968 Solženicyn, Arcipelago Gulag
1986 P. Levi, I sommersi e i salvati
1990
Tempo » montale, Ossi di seppia, T 217 » montale, Le occasioni, T 223 Totalitarismo / sistema totalitario » Gentile, Manifesto degli intellettuali del Fascismo, T 168 » croce, Una risposta al manifesto degli intellettuali fascisti, T 168 » Gadda, La cognizione del dolore, T 170 » vittorini, Conversazione in Sicilia, T 171 » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » bulGakov, Il Maestro e Margherita, T 176 » Guttuso, Gott mit uns, T 180 » solženicyn, Arcipelago Gulag, T 188-191 » levi P., I sommersi e i salvati, T 192-195 » levi c., Cristo si è fermato a Eboli, T 199
»
montale, Le occasioni, T 224
Violenza » hikmet, Alle porte di Madrid, T 172 » Picasso, Guernica, T 173 » brecht, Terrore e miseria del Terzo Reich, T 174 » orwell, La fattoria degli animali, T 175 » vittorini, Uomini e no, T 179 » Guttuso, Gott mit uns, T 180 » rossellini, Roma città aperta, T 181 » viGanò, L’Agnese va a morire, T 182 » calvino, Ultimo viene il corvo, T 183 » FenoGlio, I ventitré giorni della città di Alba,
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T 184 T 185 Fortini, Canto degli ultimi partigiani, al casalini e rossi, Dalle belle città date nemico, T 186 186 calvino e liberovici, Oltre il ponte, T 195 T salvati, i e levi P., I sommersi
u Tutte le sezioni sono introdotte
da tre tavole sinottiche che ne illustrano e sintetizzano il contenuto (autori e opere; collocazione geografica e cronologica dei testi; raggruppamento per aree tematiche).
VASILIJ KANDINSKIJ
OSSERVIAMO INSIEME
Risonanze
FORME E COLORI IN LIBERTÀ
Il gioco di tensioni tra forme e colori
Il russo Vasilij Kandinskij è uno dei principali esponenti dell’Astrattismo pittorico. Anche se le sue prime opere propongono ancora rappresentazioni quasi realistiche, poco per volta nei suoi dipinti gli oggetti e le figure tendono a perdere la loro consistenza e a diventare pure macchie di colore, fino a scomparire completamente. Kandinskij rinuncia così al principio della raffigurazione e arriva a teorizzare esplicitamente la superiorità dell’arte astratta, sostenendo nei suoi scritti che l’arte possiede naturalmente una dimensione spirituale e che esiste un legame immediato tra colori e stati d’animo: i colori sono come suoni, oguno dei quali è in grado di produrre una vibrazione diversa (il giallo è follia vitale ed eccitazione, l’azzurro lontananza, il rosso energia razionale, il verde desiderio di quiete ecc.). La composizione pittorica nasce dalle infinite possibilità di disporre i colori in forme precise: non risponde ad alcuna esigenza di rappresentazione, ma solo a un principio interno di necessità. Risonanze, quadro dipinto nel 1924, è una delle opere più significative di Kandinskij; il titolo si rifà al linguaggio musicale; in più, quello originale in tedesco (Gegenklänge, la cui traduzione letterale è “suoni contrapposti”) evoca l’idea di un intersecarsi di elementi visivi contrastanti.
Vasilij Kandinskij, Risonanze, 1924, olio su cartone (Parigi, Musée National d’Art Moderne).
549
Nel quadro preso in esame abbiamo una superficie chiara (leggermente giallina) su cui si dispongono vari elementi geometrici (cerchi, triangoli, linee rette o curve, angoli) e alcune figure estremamente stilizzate (dei veri e propri ideogrammi), solo in parte sovrapposti, senza legami specifici tra loro: non c’è insomma un soggetto unitario, ma una molteplicità di forme singole e apparentemente disaggregate. Tuttavia, attraverso la loro disposizione sulla superficie, Kandinskij dichiara di volere indagare e rappresentare una serie di tensioni elementari (i suoni contrapposti a cui si riferisce il titolo originario): tra orizzontale e verticale (alcune figure puntano verso l’alto, come ad esempio la linea centrale nera in diagonale; altre contrastano questa spinta e rimandano invece verso il basso, come ad esempio il triangolo nero capovolto sul vertice); tra i due cerchi che si trovano ai margini della composizione; tra i cerchi (forme precise ma instabili e morbide) e i rettangoli e i quadrati (imprecisi ma rigidi e definiti); tra le forme di colore chiaro e le altre di colore scuro; tra linee curve e linee rette (o spezzate a zig-zag).
Ricostruire il senso? All’interno di questa composizione astratta, giocata esclusivamente sulla tensione tra forme e colori, è possibile però riconoscere alcuni oggetti, sia pure estremamente stilizzati. Anzitutto, la scacchiera posizionata sul margine destro, da sempre utilizzata a livello figurativo per rappresentare la contrapposizione fra elementi basilari: la vita e la morte, il bene e il male, l’ordine e il caos, la ragione e l’irrazionalità, e così via. In basso a sinistra abbiano inoltre una barca – sempre stilizzata (un semicerchio blu e rosso, con una piccola vela marrone) – che oscilla pericolosamente su un minaccioso mare in tempesta (il blu e il nero sono per Kandinskij i colori della tragedia e della sofferenza) e che è una specie di ideogramma ricorrente nella pittura dell’autore, allusivo alla vita umana come a una difficile navigazione su acque inquiete. Proprio al centro del quadro si trova invece un semicerchio giallo che può rappresentare una collina, su cui è situata una città, di cui si riconoscono le torri (gli stretti rettangoli di colore blu e rosso chiaro); più in alto, il cerchio blu e giallo potrebbe essere una luna di cui si vede solo uno spicchio, mentre l’altra parte non illuminata dal sole rimane in ombra. Infine, la linea nera che taglia quasi a metà la tela è stata interpretata come l’ennesima variazione di un motivo ricorrente, soprattutto nei primi quadri dell’autore: la lancia del cavaliere. Vasilij Kandinskij, Il cavaliere azzurro, prova di copertina per l’almanacco “Der Blaue Reiter”, 1911, tecnica mista su carta (Monaco, Staedtliche Galerie).
Il riemergere di elementi figurativi, sia pure così stilizzati, ci conduce a uno dei limiti dell’Astrattismo: secondo lo stesso Kandinskij un’arte astratta allo stato puro è inconcepibile, perché il bisogno di rappresentare e comunicare qualcosa attraverso il dipinto (così come quello di ricostruire un significato e un messaggio) è innato e ineludibile. La possibilità di godere esteticamente dell’opera (cioè di riconoscerne, sentirne e apprezzarne la bellezza) è legata sì alle “risonanze” che i colori e le forme, per la loro disposizione e tensione reciproca, suscitano istintivamente nell’animo dello spettatore; ma dipende anche dalla ricostruzione di un possibile significato, espresso sempre attraverso quelle forme e quei colori. Nel nostro caso, abbiamo una ricca, sebbene stilizzata, simbologia: la scacchiera, la barca, la città, il mondo celeste lunare e il mondo degli inferi (il cerchio nero con i due angoli acuti, a forma di corna). Non possiamo ricostruirne con esattezza il significato, ma possiamo coglierne – ognuno a suo modo – le allusioni fondamentali: la precarietà della vita umana, sospesa eternamente tra il bene e il male, tra l’ascesa al mondo celeste, o la caduta nel mondo infernale; la necessità di affrontare con coscienza vigile i pericoli della navigazione, senza smettere di tenere la barra del timone in direzione dell’ideale città dell’uomo.
I TEMI, LE IDEE
TESTO 100
I TEMI, LE IDEE
15. uccidere il chiaro di luna. la rivoluzione delle avanguardie
dall’ottocento al primo novecento
Kandinskij Risonanze T100
548
VASILIJ KANDINSKIJ
OSSERVIAMO INSIEME
Risonanze
FORME E COLORI IN LIBERTÀ
Il gioco di tensioni tra forme e colori
Il russo Vasilij Kandinskij è uno dei principali esponenti dell’Astrattismo pittorico. Anche se le sue prime opere propongono ancora rappresentazioni quasi realistiche, poco per volta nei suoi dipinti gli oggetti e le figure tendono a perdere la loro consistenza e a diventare pure macchie di colore, fino a scomparire completamente. Kandinskij rinuncia così al principio della raffigurazione e arriva a teorizzare esplicitamente la superiorità dell’arte astratta, sostenendo nei suoi scritti che l’arte possiede naturalmente una dimensione spirituale e che esiste un legame immediato tra colori e stati d’animo: i colori sono come suoni, oguno dei quali è in grado di produrre una vibrazione diversa (il giallo è follia vitale ed eccitazione, l’azzurro lontananza, il rosso energia razionale, il verde desiderio di quiete ecc.). La composizione pittorica nasce dalle infinite possibilità di disporre i colori in forme precise: non risponde ad alcuna esigenza di rappresentazione, ma solo a un principio interno di necessità. Risonanze, quadro dipinto nel 1924, è una delle opere più significative di Kandinskij; il titolo si rifà al linguaggio musicale; in più, quello originale in tedesco (Gegenklänge, la cui traduzione letterale è “suoni contrapposti”) evoca l’idea di un intersecarsi di elementi visivi contrastanti.
Vasilij Kandinskij, Risonanze, 1924, olio su cartone (Parigi, Musée National d’Art Moderne).
549
Nel quadro preso in esame abbiamo una superficie chiara (leggermente giallina) su cui si dispongono vari elementi geometrici (cerchi, triangoli, linee rette o curve, angoli) e alcune figure estremamente stilizzate (dei veri e propri ideogrammi), solo in parte sovrapposti, senza legami specifici tra loro: non c’è insomma un soggetto unitario, ma una molteplicità di forme singole e apparentemente disaggregate. Tuttavia, attraverso la loro disposizione sulla superficie, Kandinskij dichiara di volere indagare e rappresentare una serie di tensioni elementari (i suoni contrapposti a cui si riferisce il titolo originario): tra orizzontale e verticale (alcune figure puntano verso l’alto, come ad esempio la linea centrale nera in diagonale; altre contrastano questa spinta e rimandano invece verso il basso, come ad esempio il triangolo nero capovolto sul vertice); tra i due cerchi che si trovano ai margini della composizione; tra i cerchi (forme precise ma instabili e morbide) e i rettangoli e i quadrati (imprecisi ma rigidi e definiti); tra le forme di colore chiaro e le altre di colore scuro; tra linee curve e linee rette (o spezzate a zig-zag).
Ricostruire il senso? All’interno di questa composizione astratta, giocata esclusivamente sulla tensione tra forme e colori, è possibile però riconoscere alcuni oggetti, sia pure estremamente stilizzati. Anzitutto, la scacchiera posizionata sul margine destro, da sempre utilizzata a livello figurativo per rappresentare la contrapposizione fra elementi basilari: la vita e la morte, il bene e il male, l’ordine e il caos, la ragione e l’irrazionalità, e così via. In basso a sinistra abbiano inoltre una barca – sempre stilizzata (un semicerchio blu e rosso, con una piccola vela marrone) – che oscilla pericolosamente su un minaccioso mare in tempesta (il blu e il nero sono per Kandinskij i colori della tragedia e della sofferenza) e che è una specie di ideogramma ricorrente nella pittura dell’autore, allusivo alla vita umana come a una difficile navigazione su acque inquiete. Proprio al centro del quadro si trova invece un semicerchio giallo che può rappresentare una collina, su cui è situata una città, di cui si riconoscono le torri (gli stretti rettangoli di colore blu e rosso chiaro); più in alto, il cerchio blu e giallo potrebbe essere una luna di cui si vede solo uno spicchio, mentre l’altra parte non illuminata dal sole rimane in ombra. Infine, la linea nera che taglia quasi a metà la tela è stata interpretata come l’ennesima variazione di un motivo ricorrente, soprattutto nei primi quadri dell’autore: la lancia del cavaliere. Vasilij Kandinskij, Il cavaliere azzurro, prova di copertina per l’almanacco “Der Blaue Reiter”, 1911, tecnica mista su carta (Monaco, Staedtliche Galerie).
Il riemergere di elementi figurativi, sia pure così stilizzati, ci conduce a uno dei limiti dell’Astrattismo: secondo lo stesso Kandinskij un’arte astratta allo stato puro è inconcepibile, perché il bisogno di rappresentare e comunicare qualcosa attraverso il dipinto (così come quello di ricostruire un significato e un messaggio) è innato e ineludibile. La possibilità di godere esteticamente dell’opera (cioè di riconoscerne, sentirne e apprezzarne la bellezza) è legata sì alle “risonanze” che i colori e le forme, per la loro disposizione e tensione reciproca, suscitano istintivamente nell’animo dello spettatore; ma dipende anche dalla ricostruzione di un possibile significato, espresso sempre attraverso quelle forme e quei colori. Nel nostro caso, abbiamo una ricca, sebbene stilizzata, simbologia: la scacchiera, la barca, la città, il mondo celeste lunare e il mondo degli inferi (il cerchio nero con i due angoli acuti, a forma di corna). Non possiamo ricostruirne con esattezza il significato, ma possiamo coglierne – ognuno a suo modo – le allusioni fondamentali: la precarietà della vita umana, sospesa eternamente tra il bene e il male, tra l’ascesa al mondo celeste, o la caduta nel mondo infernale; la necessità di affrontare con coscienza vigile i pericoli della navigazione, senza smettere di tenere la barra del timone in direzione dell’ideale città dell’uomo.
I TEMI, LE IDEE
TESTO 100
I TEMI, LE IDEE
15. uccidere il chiaro di luna. la rivoluzione delle avanguardie
dall’ottocento al primo novecento
Kandinskij Risonanze T100
548
Il cavaliere inesistente e Le città invisibili, di Italo Calvino
Lo «scoiattolo della penna» Una vita all’insegna del rigore intellettuale
“
– Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite. Per certo non esisteranno più. Perché ti trastulli con favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, […]. Perché non mi parli di questo? Perché menti all’imperatore dei tartari, straniero? […] – Sì, l’impero è malato e, quel che è peggio, cerca d’assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora s’intravvedono, ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane. Italo Calvino
in breve
771
”
Italo Calvino è uno dei più grandi autori italiani del secondo Novecento, famoso in tutto il mondo e tradotto nelle maggiori lingue straniere.
La sua produzione letteraria si snoda per quasi quarant’anni, dall’immediato dopoguerra agli anni Ottanta, e subisce nel corso del tempo numerose trasformazioni. Calvino rimane per tutta la vita un umanista (perché non rinuncia ad attribuire un valore importante alla letteratura) e un illuminista (perché crede nel valore imprescindibile della razionalità). Per rappresentare il suo atteggiamento esistenziale e le sue scelte letterarie egli si identifica con il personaggio mitologico di Perseo, l’eroe che riesce a sconfiggere la terribile Medusa grazie al cavallo alato e allo specchio, e che è per Calvino l’emblema della leggerezza.
Scrivere la biografia di Italo Calvino significa sfidare la sua dichiarata reticenza: secondo lo scrittore ligure, infatti, i dati biografici sono quanto uno ha di più privato, e dichiararli è come andare dal confessore o dallo psicanalista, due pratiche da lui guardate con lo stesso sospetto ed egualmente eluse. Calvino non parla mai volentieri di sé e tutte le volte che si presta a rispondere, lo fa con distacco e ironia, divertendosi a confondere le idee e a mettere in crisi gli improvvisati biografi: «io sono ancora di quelli che credono che di un autore contano solo le opere (quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli, da una volta all’altra. Mi chieda pure quello che vuole sapere, e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura». In un mondo dominato dal culto dell’immagine, dal desiderio esasperato di apparire a tutti i costi e di attrarre l’attenzione su di sé, trasformando la propria vita privata in un enorme e continuo battage pubblicitario, la pertinace ritrosia di Calvino a fare di sé un personaggio pubblico e il desiderio di rimanere invisibile dietro la pagina scritta (quasi cercando di scomparire completamente nell’opera) rappresentano una scelta di grande eticità e rigore intellettuale. Il fatto di mettere le opere in primo piano non deve essere considerato un atto di esibizionismo, perché è semplicemente l’espressione di un’elementare etica del dovere, secondo la quale «il senso di tutto è il lavoro. E il lavoro è qualcosa d’intersoggettivo, che stabilisce una comunicazione con gli altri. Per cui si capisce che si muore, ma attraverso il lavoro altre persone che usano oggetti da te costruiti, prodotti, vivono ancora». Solo attraverso il lavoro ogni individuo si conquista il diritto di vivere: «il diritto di vivere ce lo si guadagna duramente e molte persone che conosco non hanno nessun diritto di vivere, io non sono mica sicuro di avere questo diritto. Me lo devo dimostrare, e non sempre ci riesco. Anzi». Lo scrupolo con cui Calvino si è dedicato per tutta la vita al suo “mestiere” di scrittore, la cura che ha dedicato ai suoi libri e a quelli degli altri è il modo che egli ha scelto – l’unico ritenuto a lui congeniale e possibile – per guadagnarsi il diritto di vivere.
Il cavaliere inesistente fa parte della trilogia dei Nostri antenati, scritta nel corso degli anni Cinquanta, e racconta la storia di un misterioso cavaliere che è solo un’armatura vuota, rifacendosi al modello del poema cavalleresco. Le città invisibili, opera scritta all’inizio degli anni Settanta, si rifà al Milione, in cui il mercante veneziano Marco Polo racconta il suo straordinario viaggio in Oriente, alla corte del Gran Kan. Ritratto fotografico di Italo Calvino.
Contro la biografia
L’etica del lavoro
LE OPERE, GLI AUTORI
LE OPERE, GLI AUTORI
43
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
Il cavaliere inesistente e Le città invisibili, di Italo Calvino
Lo «scoiattolo della penna» Una vita all’insegna del rigore intellettuale
“
– Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite. Per certo non esisteranno più. Perché ti trastulli con favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, […]. Perché non mi parli di questo? Perché menti all’imperatore dei tartari, straniero? […] – Sì, l’impero è malato e, quel che è peggio, cerca d’assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora s’intravvedono, ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane. Italo Calvino
in breve
771
”
Italo Calvino è uno dei più grandi autori italiani del secondo Novecento, famoso in tutto il mondo e tradotto nelle maggiori lingue straniere.
La sua produzione letteraria si snoda per quasi quarant’anni, dall’immediato dopoguerra agli anni Ottanta, e subisce nel corso del tempo numerose trasformazioni. Calvino rimane per tutta la vita un umanista (perché non rinuncia ad attribuire un valore importante alla letteratura) e un illuminista (perché crede nel valore imprescindibile della razionalità). Per rappresentare il suo atteggiamento esistenziale e le sue scelte letterarie egli si identifica con il personaggio mitologico di Perseo, l’eroe che riesce a sconfiggere la terribile Medusa grazie al cavallo alato e allo specchio, e che è per Calvino l’emblema della leggerezza.
Scrivere la biografia di Italo Calvino significa sfidare la sua dichiarata reticenza: secondo lo scrittore ligure, infatti, i dati biografici sono quanto uno ha di più privato, e dichiararli è come andare dal confessore o dallo psicanalista, due pratiche da lui guardate con lo stesso sospetto ed egualmente eluse. Calvino non parla mai volentieri di sé e tutte le volte che si presta a rispondere, lo fa con distacco e ironia, divertendosi a confondere le idee e a mettere in crisi gli improvvisati biografi: «io sono ancora di quelli che credono che di un autore contano solo le opere (quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli, da una volta all’altra. Mi chieda pure quello che vuole sapere, e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura». In un mondo dominato dal culto dell’immagine, dal desiderio esasperato di apparire a tutti i costi e di attrarre l’attenzione su di sé, trasformando la propria vita privata in un enorme e continuo battage pubblicitario, la pertinace ritrosia di Calvino a fare di sé un personaggio pubblico e il desiderio di rimanere invisibile dietro la pagina scritta (quasi cercando di scomparire completamente nell’opera) rappresentano una scelta di grande eticità e rigore intellettuale. Il fatto di mettere le opere in primo piano non deve essere considerato un atto di esibizionismo, perché è semplicemente l’espressione di un’elementare etica del dovere, secondo la quale «il senso di tutto è il lavoro. E il lavoro è qualcosa d’intersoggettivo, che stabilisce una comunicazione con gli altri. Per cui si capisce che si muore, ma attraverso il lavoro altre persone che usano oggetti da te costruiti, prodotti, vivono ancora». Solo attraverso il lavoro ogni individuo si conquista il diritto di vivere: «il diritto di vivere ce lo si guadagna duramente e molte persone che conosco non hanno nessun diritto di vivere, io non sono mica sicuro di avere questo diritto. Me lo devo dimostrare, e non sempre ci riesco. Anzi». Lo scrupolo con cui Calvino si è dedicato per tutta la vita al suo “mestiere” di scrittore, la cura che ha dedicato ai suoi libri e a quelli degli altri è il modo che egli ha scelto – l’unico ritenuto a lui congeniale e possibile – per guadagnarsi il diritto di vivere.
Il cavaliere inesistente fa parte della trilogia dei Nostri antenati, scritta nel corso degli anni Cinquanta, e racconta la storia di un misterioso cavaliere che è solo un’armatura vuota, rifacendosi al modello del poema cavalleresco. Le città invisibili, opera scritta all’inizio degli anni Settanta, si rifà al Milione, in cui il mercante veneziano Marco Polo racconta il suo straordinario viaggio in Oriente, alla corte del Gran Kan. Ritratto fotografico di Italo Calvino.
Contro la biografia
L’etica del lavoro
LE OPERE, GLI AUTORI
LE OPERE, GLI AUTORI
43
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
820
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
Le città invisibili. il percorso testuale
L’ultimo dei classici Credo illuminista e umanista Come atteggiamento esistenziale
Rifiuto dello scontro diretto Strategie di distanziamento
Come cifra stilistica
Esattezza e precisione del linguaggio Predilezione per le costruzioni geometriche Scelta di un registro ironico
Esaltazione della leggerezza
IL PERCORSO DI CALVINO
Adesione al Neorealismo Rappresentazione dell’esperienza partigiana Entusiasmo politico Fiducia nel valore impegnato della letteratura Realismo e stile fiabesco
La letteratura e il «labirinto» Crisi e involuzione degli anni Cinquanta Allontanamento dalla politica attiva Letteratura come sfida al labirinto Costruzione geometrica del racconto
Il cavaliere inesistente
Ripresa del modello ariostesco Ambientazione e personaggi Centralità del desiderio Meccanismo della quête Costruzione della trama Ironia
Un’indagine sull’identità individuale: Il cavaliere inesistente come romanzo di formazione Rappresentazione della realtà degli anni Cinquanta Crisi dell’impegno politico e difesa dell’individualità Riflessione sul rapporto tra racconto e vita
Gioco «combinatorio» e difesa della letteratura Letteratura autoriflessiva, che parla esclusivamente di sé Tecniche postmoderne: pastiche, intertestualità
Le città invisibili
Abbassamento e degradazione del modello cavalleresco Messa in rilievo della fisicità Insistenza sulla caoticità insensata della guerra Imperfezione dei paladini
Agilulfo e Gurdulù / Don Chisciotte e Sancho Panza, due estremi nella scala dell’essere: – coscienza senza esistenza – esistenza senza coscienza
A distanza di quasi quindici anni dal Cavaliere inesistente Calvino pubblica, nel 1972, Le città invisibili. Anche in questo caso è evidente il riferimento a un modello letterario del passato: si tratta del Milione di Marco Polo, resoconto dello straordinario viaggio compiuto da un mercante di origini veneziane negli sterminati territori dell’impero mongolo (che comprende, oltre alla Cina, quasi tutta l’Asia centrale e il Medio Oriente) alla fine del milleduecento. Il testo duecentesco offre però solo lo spunto di partenza: la situazione (uno straniero in viaggio, lontano dalla sua patria), i due protagonisti (Marco Polo, viaggiatore ed esploratore, e Kublai Kan, potente imperatore) e il rapporto che si instaura tra i due (il primo riferisce all’altro tutto ciò che osserva nel corso dei suoi viaggi). Ma i resoconti dettagliati e realistici che compongono Il Milione lasciano il posto alla descrizione, allo stesso tempo meticolosa e fantastica, di città che non esistono (sono infatti «invisibili», o meglio, visibili solo con gli occhi della mente), perché sono immagini di stati d’animo, paure, desideri, atteggiamenti psicologici, ideali politici e letterari… Molti anni dopo, afferma Calvino nelle Lezioni americane (1988, pubblicate postume): «Un simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane è quello della città. Il mio libro in cui credo di aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate». Concretamente, l’opera è divisa in nove capitoli, ognuno dei quali è aperto e chiuso dal dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan; ciascun capitolo contiene la descrizione di cinque città (eccetto il primo e l’ultimo, che ne propongono dieci); a loro volta le città sono catalogate in undici serie diverse («le città e la memoria», «le città e il desiderio», «le città e i segni», «le città sottili», «le città e gli scambi», «le città e gli occhi», «le città e il nome», «le città e i morti», «le città e il cielo», «le città continue», «le città nascoste»), che si alternano nei singoli capitoli secondo una complessa struttura d’insieme. Anche se la disposizione dei singoli testi segue un rigoroso schema geometrico, l’autore stesso ci avverte che la «successione non implica una consequenzialità»: non bisogna leggere Le città invisibili secondo l’ordine lineare, ma come «una rete», all’interno della quale è possibile «tracciare molteplici percorsi». Come vedremo meglio in seguito, questo vale soprattutto per le città, mentre i testi d’apertura e di chiusura dei capitoli (segnalati graficamente dall’uso del corsivo) raccontano pur sempre una storia: la storia di Marco Polo e di Kublai Kan, e del loro particolare viaggio alla ricerca della conoscenza e del significato delle cose, viaggio di cui le città, anche se leggibili in ordine sparso, rappresentano le tappe essenziali.
Le città invisibili e Il Milione
La struttura dell’opera
LE OPERE, GLI AUTORI
LA MAPPA
LE OPERE, GLI AUTORI
821
820
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
Le città invisibili. il percorso testuale
L’ultimo dei classici Credo illuminista e umanista Come atteggiamento esistenziale
Rifiuto dello scontro diretto Strategie di distanziamento
Come cifra stilistica
Esattezza e precisione del linguaggio Predilezione per le costruzioni geometriche Scelta di un registro ironico
Esaltazione della leggerezza
IL PERCORSO DI CALVINO
Adesione al Neorealismo Rappresentazione dell’esperienza partigiana Entusiasmo politico Fiducia nel valore impegnato della letteratura Realismo e stile fiabesco
La letteratura e il «labirinto» Crisi e involuzione degli anni Cinquanta Allontanamento dalla politica attiva Letteratura come sfida al labirinto Costruzione geometrica del racconto
Il cavaliere inesistente
Ripresa del modello ariostesco Ambientazione e personaggi Centralità del desiderio Meccanismo della quête Costruzione della trama Ironia
Un’indagine sull’identità individuale: Il cavaliere inesistente come romanzo di formazione Rappresentazione della realtà degli anni Cinquanta Crisi dell’impegno politico e difesa dell’individualità Riflessione sul rapporto tra racconto e vita
Gioco «combinatorio» e difesa della letteratura Letteratura autoriflessiva, che parla esclusivamente di sé Tecniche postmoderne: pastiche, intertestualità
Le città invisibili
Abbassamento e degradazione del modello cavalleresco Messa in rilievo della fisicità Insistenza sulla caoticità insensata della guerra Imperfezione dei paladini
Agilulfo e Gurdulù / Don Chisciotte e Sancho Panza, due estremi nella scala dell’essere: – coscienza senza esistenza – esistenza senza coscienza
A distanza di quasi quindici anni dal Cavaliere inesistente Calvino pubblica, nel 1972, Le città invisibili. Anche in questo caso è evidente il riferimento a un modello letterario del passato: si tratta del Milione di Marco Polo, resoconto dello straordinario viaggio compiuto da un mercante di origini veneziane negli sterminati territori dell’impero mongolo (che comprende, oltre alla Cina, quasi tutta l’Asia centrale e il Medio Oriente) alla fine del milleduecento. Il testo duecentesco offre però solo lo spunto di partenza: la situazione (uno straniero in viaggio, lontano dalla sua patria), i due protagonisti (Marco Polo, viaggiatore ed esploratore, e Kublai Kan, potente imperatore) e il rapporto che si instaura tra i due (il primo riferisce all’altro tutto ciò che osserva nel corso dei suoi viaggi). Ma i resoconti dettagliati e realistici che compongono Il Milione lasciano il posto alla descrizione, allo stesso tempo meticolosa e fantastica, di città che non esistono (sono infatti «invisibili», o meglio, visibili solo con gli occhi della mente), perché sono immagini di stati d’animo, paure, desideri, atteggiamenti psicologici, ideali politici e letterari… Molti anni dopo, afferma Calvino nelle Lezioni americane (1988, pubblicate postume): «Un simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane è quello della città. Il mio libro in cui credo di aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate». Concretamente, l’opera è divisa in nove capitoli, ognuno dei quali è aperto e chiuso dal dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan; ciascun capitolo contiene la descrizione di cinque città (eccetto il primo e l’ultimo, che ne propongono dieci); a loro volta le città sono catalogate in undici serie diverse («le città e la memoria», «le città e il desiderio», «le città e i segni», «le città sottili», «le città e gli scambi», «le città e gli occhi», «le città e il nome», «le città e i morti», «le città e il cielo», «le città continue», «le città nascoste»), che si alternano nei singoli capitoli secondo una complessa struttura d’insieme. Anche se la disposizione dei singoli testi segue un rigoroso schema geometrico, l’autore stesso ci avverte che la «successione non implica una consequenzialità»: non bisogna leggere Le città invisibili secondo l’ordine lineare, ma come «una rete», all’interno della quale è possibile «tracciare molteplici percorsi». Come vedremo meglio in seguito, questo vale soprattutto per le città, mentre i testi d’apertura e di chiusura dei capitoli (segnalati graficamente dall’uso del corsivo) raccontano pur sempre una storia: la storia di Marco Polo e di Kublai Kan, e del loro particolare viaggio alla ricerca della conoscenza e del significato delle cose, viaggio di cui le città, anche se leggibili in ordine sparso, rappresentano le tappe essenziali.
Le città invisibili e Il Milione
La struttura dell’opera
LE OPERE, GLI AUTORI
LA MAPPA
LE OPERE, GLI AUTORI
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43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
ITALO CALVINO
L’inferno in terra: le città continue
[LEONIA]
LE OPERE, GLI AUTORI
Le città continue. 1. La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi1, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi2 sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di 3 10 porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità4. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai5 devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito6 aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro 20 più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro7 di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri8. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale9, immondezzai d’altre città, che anch’esse 30 respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
1. intonsi: intatti. 2. tersi: puliti, trasparenti. 3. opulenza: ricchezza. 4. il mondarsi … impurità: l’atto di pulirsi da una sporcizia che si riforma sempre.
5. 6. 7. 8. 9.
immondezzai: discariche di rifiuti. gettito: quantità di rifiuti prodotti. acrocoro: altopiano. lustri: periodi di cinque anni. crinale: linea dei rilievi di una catena montuosa.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato10 rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida11 catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo 40 territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai. [TRUDE]
Le città continue. 2. Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi 50 bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano. Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire. – Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto. [PENTESILEA]
Le città continue. 5. Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l’ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d’avvicinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri12 che già guatano13 storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l’hai raggiunta ne 60 sei fuori; passi sotto un archivolto14 e ti ritrovi dentro la città; il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli. Se credi questo, sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, così Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in prati ispidi15, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri terreni vaghi, poi un sobborgo arrugginito d’officine e depositi, un cimitero, una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe macilente16 70 che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata. 10. spagliato: privato del rivestimento di paglia. 11. sordida: sporca. 12. gabellieri: ufficiali incaricati di riscuotere i dazi doganali. 13. guatano: fissano.
14. archivolto: motivo ornamentale che decora un arco. 15. ispidi: dall’aspetto sgradevole. 16. macilente: povere.
T309 Calvino Le città invisibili
TESTO 309
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LE OPERE, GLI AUTORI
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43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
ITALO CALVINO
L’inferno in terra: le città continue
[LEONIA]
LE OPERE, GLI AUTORI
Le città continue. 1. La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi1, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi2 sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di 3 10 porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità4. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare. Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai5 devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito6 aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro 20 più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro7 di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri8. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale9, immondezzai d’altre città, che anch’esse 30 respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
1. intonsi: intatti. 2. tersi: puliti, trasparenti. 3. opulenza: ricchezza. 4. il mondarsi … impurità: l’atto di pulirsi da una sporcizia che si riforma sempre.
5. 6. 7. 8. 9.
immondezzai: discariche di rifiuti. gettito: quantità di rifiuti prodotti. acrocoro: altopiano. lustri: periodi di cinque anni. crinale: linea dei rilievi di una catena montuosa.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato10 rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida11 catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo 40 territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai. [TRUDE]
Le città continue. 2. Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi 50 bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano. Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire. – Puoi riprendere il volo quando vuoi, – mi dissero, – ma arriverai a un’altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto. [PENTESILEA]
Le città continue. 5. Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l’ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d’avvicinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri12 che già guatano13 storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l’hai raggiunta ne 60 sei fuori; passi sotto un archivolto14 e ti ritrovi dentro la città; il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli. Se credi questo, sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, così Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in prati ispidi15, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri terreni vaghi, poi un sobborgo arrugginito d’officine e depositi, un cimitero, una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe macilente16 70 che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata. 10. spagliato: privato del rivestimento di paglia. 11. sordida: sporca. 12. gabellieri: ufficiali incaricati di riscuotere i dazi doganali. 13. guatano: fissano.
14. archivolto: motivo ornamentale che decora un arco. 15. ispidi: dall’aspetto sgradevole. 16. macilente: povere.
T309 Calvino Le città invisibili
TESTO 309
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LE OPERE, GLI AUTORI
834
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
1.6 Qual è la prima impressione di Marco Polo, nello sbarcare all’aeroporto di Trude?
3. INTERPR ETAZ IO NE CO MPL ESSIVA
1.7 Perché Pentesilea è diversa dall’immagine di città a cui il viaggiatore è preparato?
3.1 Calvino, con il seguente passo, allude in maniera chiara a una serie di problematiche di grandi attualità: quali? E in che modo?
1.8 Pentesilea è «una zuppa di città diluita nella pianura»: che cosa vuol dire Marco Polo con queste parole? 1.9 Qual è l’angosciata domanda su cui si chiude la descrizione di Pentesilea? 2. A NALISI
La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: «Qui», oppure: «Più in là», o: «Tutt’in giro», o ancora: «Dalla parte opposta». – La città, – insisti a chiedere. – Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine, – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire. – Ma la città dove si vive? – chiedi. – Dev’essere, – dicono, – per lì, – e alcuni levano il braccio obliquamente verso una concrezione di poliedri17 opachi, all’orizzonte, mentre altri indicano alle tue spalle lo spettro d’altre cuspidi18. – Allora l’ho oltrepassata senza accorgermene? – No, prova a andare ancora avanti. 80 Così prosegui, passando da una periferia all’altra, e viene l’ora di partire da Pentesilea. Chiedi la strada per uscire dalla città; ripercorri la sfilza dei sobborghi sparpagliati come un pigmento lattiginoso19; viene notte; s’illuminano le finestre ora più rade20 ora più dense. Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario21 esista una Pentesilea riconoscibile e ricordabile da chi c’è stato, oppure se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi a uscirne? (da I. Calvino, Le città invisibili, capp. VII, VIII e IX passim, in Romanzi e racconti, op. cit.)
LE OPERE, GLI AUTORI
17. concrezione di poliedri: agglomerato di edifici dai molti lati (il “poliedro” è una figura solida geometrica i cui lati sono dei poligoni).
18. cuspidi: sommità degli edifici. 19. pigmento lattiginoso: sostanza liquida simile al latte per aspetto e consistenza. 20. rade: rare.
21. slabbrato circondario: periferia disordinata, senza confini precisi.
VERSO L ’ESAME Prima prova. A - Analisi del testo 1. COM PR E NS IO N E 1.1 «La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni»: che cosa significa questa affermazione? Qual è la caratteristica specifica della città di Leonia? 1.2 Da che cosa si misura l’«opulenza» di Leonia?
1.3 Perché gli «spazzaturai» sono oggetto di silenziosa ammirazione?
2.1 Lo stile di vita degli abitanti di Leonia è caratterizzato da uno sfrenato consumismo. Secondo te che cosa vuole farci capire Calvino tramite la rappresentazione di Leonia? 2.2 «Il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto»: spiega il significato di questa affermazione. 2.3 Qual è la caratteristica essenziale di Pentesilea? Che cosa vuole sottolineare Calvino con questa descrizione?
E APPRO F O NDIMENTI
«Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni.» 3.2 Leonia, Trude e Pentesilea rappresentano tre aspetti diversi delle metropoli contemporanee: quali? Sei d’accordo con una rappresentazione così negativa, oppure no? Perché? 3.3 Descrivi la tua “città continua”.
2.4 «Le città continue» sono molto diverse dalle altre città che abbiamo conosciuto: per quali aspetti?
TESTO 310
ITALO CALVINO
L’utopia pulviscolare: le città nascoste
[RAISSA]
Le città nascoste. 2. Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole1, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi2. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è 10 saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola3, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare,
1.4 Che cosa c’è al di fuori di Leonia? 1.5 Qual è il pericolo che incombe su Leonia e sulle altre città?
1. zinco delle bettole: banconi (fatti di «zinco») delle osterie povere. 2. torvi: minacciosi.
3. pergola: tettoia coperta di viti o piante rampicanti.
T310 Calvino Le città invisibili
Maurits Cornelis Escher, Metamorfosi 2, 1939-1940 (Fondazione M.C. Escher).
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LE OPERE, GLI AUTORI
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43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
dal dopoguerra a oggi
1.6 Qual è la prima impressione di Marco Polo, nello sbarcare all’aeroporto di Trude?
3. INTERPR ETAZ IO NE CO MPL ESSIVA
1.7 Perché Pentesilea è diversa dall’immagine di città a cui il viaggiatore è preparato?
3.1 Calvino, con il seguente passo, allude in maniera chiara a una serie di problematiche di grandi attualità: quali? E in che modo?
1.8 Pentesilea è «una zuppa di città diluita nella pianura»: che cosa vuol dire Marco Polo con queste parole? 1.9 Qual è l’angosciata domanda su cui si chiude la descrizione di Pentesilea? 2. A NALISI
La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: «Qui», oppure: «Più in là», o: «Tutt’in giro», o ancora: «Dalla parte opposta». – La città, – insisti a chiedere. – Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine, – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire. – Ma la città dove si vive? – chiedi. – Dev’essere, – dicono, – per lì, – e alcuni levano il braccio obliquamente verso una concrezione di poliedri17 opachi, all’orizzonte, mentre altri indicano alle tue spalle lo spettro d’altre cuspidi18. – Allora l’ho oltrepassata senza accorgermene? – No, prova a andare ancora avanti. 80 Così prosegui, passando da una periferia all’altra, e viene l’ora di partire da Pentesilea. Chiedi la strada per uscire dalla città; ripercorri la sfilza dei sobborghi sparpagliati come un pigmento lattiginoso19; viene notte; s’illuminano le finestre ora più rade20 ora più dense. Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario21 esista una Pentesilea riconoscibile e ricordabile da chi c’è stato, oppure se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi a uscirne? (da I. Calvino, Le città invisibili, capp. VII, VIII e IX passim, in Romanzi e racconti, op. cit.)
LE OPERE, GLI AUTORI
17. concrezione di poliedri: agglomerato di edifici dai molti lati (il “poliedro” è una figura solida geometrica i cui lati sono dei poligoni).
18. cuspidi: sommità degli edifici. 19. pigmento lattiginoso: sostanza liquida simile al latte per aspetto e consistenza. 20. rade: rare.
21. slabbrato circondario: periferia disordinata, senza confini precisi.
VERSO L ’ESAME Prima prova. A - Analisi del testo 1. COM PR E NS IO N E 1.1 «La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni»: che cosa significa questa affermazione? Qual è la caratteristica specifica della città di Leonia? 1.2 Da che cosa si misura l’«opulenza» di Leonia?
1.3 Perché gli «spazzaturai» sono oggetto di silenziosa ammirazione?
2.1 Lo stile di vita degli abitanti di Leonia è caratterizzato da uno sfrenato consumismo. Secondo te che cosa vuole farci capire Calvino tramite la rappresentazione di Leonia? 2.2 «Il mondo è ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome all’aeroporto»: spiega il significato di questa affermazione. 2.3 Qual è la caratteristica essenziale di Pentesilea? Che cosa vuole sottolineare Calvino con questa descrizione?
E APPRO F O NDIMENTI
«Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni.» 3.2 Leonia, Trude e Pentesilea rappresentano tre aspetti diversi delle metropoli contemporanee: quali? Sei d’accordo con una rappresentazione così negativa, oppure no? Perché? 3.3 Descrivi la tua “città continua”.
2.4 «Le città continue» sono molto diverse dalle altre città che abbiamo conosciuto: per quali aspetti?
TESTO 310
ITALO CALVINO
L’utopia pulviscolare: le città nascoste
[RAISSA]
Le città nascoste. 2. Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole1, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi2. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è 10 saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola3, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare,
1.4 Che cosa c’è al di fuori di Leonia? 1.5 Qual è il pericolo che incombe su Leonia e sulle altre città?
1. zinco delle bettole: banconi (fatti di «zinco») delle osterie povere. 2. torvi: minacciosi.
3. pergola: tettoia coperta di viti o piante rampicanti.
T310 Calvino Le città invisibili
Maurits Cornelis Escher, Metamorfosi 2, 1939-1940 (Fondazione M.C. Escher).
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LE OPERE, GLI AUTORI
836
dal dopoguerra a oggi
U I
UNT
L P
Le città invisibili L’ultima delle utopie
O S
La letteratura tra gioco e autenticità La letteratura come «gioco combinatorio»
«Gli spasimi d’un io» e il tempo storico
Le città invisibili è un’opera difficilmente classificabile: non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è un pamphlet filosofico, non è un racconto di viaggi e di esplorazioni, non è un’«utopia» nel senso tradizionale del termine. La sua raffinatissima costruzione geometrica è stata oggetto di infinite interpretazioni (per esempio k lo schema di Claudio Milanini a p. 822) e rivela l’interesse di Calvino per l’attività di un gruppo di scrittori francesi, a lui molto cari, che propugnavano l’idea della letteratura come «gioco combinatorio» e avevano fondato alcuni anni prima l’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle [leggi: “uvrièr de litteratiur potansièll”], “laboratorio di letteratura potenziale”). Secondo questi autori, la creazione letteraria è in primo luogo un’attività ludica, e può essere ridotta a un gioco combinatorio, all’applicazione meccanica di una serie di regole prestabilite (per esempio, si può decidere di raccontare in cento stili diversi lo stesso episodio, come fece uno dei fondatori del gruppo, lo scrittore Raymond Queneau [leggi: “reimón cnó”]). In Calvino, tuttavia, l’interesse per queste sperimentazioni rimane sempre ancorato all’esigenza di trovare un senso e uno scopo all’attività letteraria, che non può essere un gioco gratuito e fine a se stesso: come afferma in un suo scritto di questi anni, nessuna creazione artistica può funzionare senza «gli spasimi d’un io immerso in un tempo storico», senza la sua «rabbia da dar la testa contro i muri». Alla base di ogni opera ci deve essere l’urgenza, quasi la necessità, di esprimere un contenuto ben preciso: gli «spasimi», cioè i tormenti interiori, di un «io» ben determinato – quello dell’autore – che riflettono ed esprimono le ansie, i desideri e le angosce del suo tempo.
Tra Marco Polo e Dante
LE OPERE, GLI AUTORI
Il ritratto di una generazione
La ripresa del Milione
Ciò vale in particolare per Le città invisibili, che si propongono come una rappresentazione emblematica del percorso artistico e ideologico dell’autore stesso: un ritratto che non è strettamente individuale (Calvino si è sempre dichiarato poco interessato alle questioni psicologiche e alle sottigliezze sentimentali), ma riguarda un’intera generazione intellettuale, formatasi nel periodo della guerra e dell’antifascismo e costretta, negli anni della maturità, a fare i conti con una realtà ben diversa da quella immaginata in gioventù. Viaggiando attraverso le sue «città invisibili», Calvino riflette sul passato (ciò che ha desiderato e sperato, ciò che ancora può salvare delle sue illusioni politiche e artistiche), sul presente (la realtà invivibile del capitalismo avanzato, rispetto alla quale non esistono più alternative) e sul futuro (un mondo travolto dalla sua voracità di consumi, dal suo stesso irrefrenabile sviluppo), mettendo alla prova diversi modelli interpretativi e vagliando differenti ipotesi filosofiche, alla ricerca di un qualche appiglio che possa ancora permettergli di non arrendersi al caos informe dell’esistente. Nel mettere in atto un progetto così ambizioso, Calvino si rifà al Milione per creare l’impalcatura formale dell’opera: la situazione di partenza e la definizione dei personaggi principali (il potentissimo imperatore cinese e il viaggiatore veneziano da lui prediletto), una serie di stilemi e di formule narrative (riguardanti soprattutto la descrizione delle città). Inoltre, la ripresa funziona da strategia di distanziamento: anche se Calvino parla di sé e del presente, le allusioni al Milione danno alla narrazione un tocco fantastico, sia per
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
la lontananza cronologica sia per quella geografica. Con una differenza fondamentale: il viaggio è ormai esclusivamente “immaginario” (a un certo punto il Kan arriva a dubitare che Marco si sia mai allontanato dal palazzo in cui si ritrovano a conversare) e le città sono diventate «invisibili» perché esistono solo nei suoi racconti. Dalla descrizione realistica di città realmente visitate si passa, dunque, alla trasposizione meravigliosa, alla messa in scena di città che presentano caratteri tipicamente mitologici o fiabeschi (città sotterranee popolate solo da morti, costruite come un’unica fittissima ragnatela, che nascondono mostri di ogni tipo e assomigliano a un immenso luna-park…). Il modello più pertinente, anche se mai dichiarato esplicitamente, è tuttavia, forse, quello del viaggio allegorico, sull’esempio della Commedia dantesca: così come Dante viaggia nei regni ultraterreni (dall’Inferno al Paradiso) – guidato prima da Virgilio, poi da Beatrice – per meglio comprendere e interpretare la sua esperienza personale e storica, anche Kublai Kan si affida ai racconti di Marco Polo con la speranza di riuscire a cogliere l’essenza del suo impero e di sopravvivere alla sua stessa rovina. La rappresentazione di una dimensione diversa da quella reale serve, dunque, da schermo per parlare, in maniera figurata e indiretta, della propria realtà, per tentare una definizione e un’interpretazione complessiva della propria epoca, dei sistemi di valori su cui si regge, dei modelli di conoscenza a cui si affida.
847
Il modello dantesco
La costruzione delle città «invisibili» Fulcro di questa complessa costruzione allegorica sono, ovviamente, le città descritte da Marco Polo a Kublai Kan. Si tratta di “descrizioni” molto particolari: le città immaginarie non contano per le loro caratteristiche fisiche, ma per il fatto di offrire una risposta a una domanda implicita: «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra». Ogni città è dunque un testo “a chiave”: enuncia un desiderio o una paura, rimanda sempre a un significato nascosto. Non è sempre facile capire questi riferimenti: a dispetto della loro apparente limpidezza, Le città invisibili è un’opera di difficile lettura e comprensione, che ancora oggi è stata decifrata solo parzialmente; proprio come i testi allegorici medievali, può essere letta a diversi livelli: se il significato letterale è abbastanza immediato, il significato “ulteriore” richiede un considerevole bagaglio di conoscenze filosofiche e storiche. Tuttavia, come è tipico dell’allegoria, il rimando a un significato nascosto si lega a una grande attenzione per l’aspetto letterale, che si traduce in una minuziosa cura formale delle descrizioni, per cui ogni città ha un suo inconfondibile aspetto esteriore e presenta delle caratteristiche uniche.
Khublai Kan, il primo imperatore degli Yuan.
Il significato nascosto
Letterale e simbolico
LE OPERE, GLI AUTORI
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dal dopoguerra a oggi
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Le città invisibili L’ultima delle utopie
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La letteratura tra gioco e autenticità La letteratura come «gioco combinatorio»
«Gli spasimi d’un io» e il tempo storico
Le città invisibili è un’opera difficilmente classificabile: non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è un pamphlet filosofico, non è un racconto di viaggi e di esplorazioni, non è un’«utopia» nel senso tradizionale del termine. La sua raffinatissima costruzione geometrica è stata oggetto di infinite interpretazioni (per esempio k lo schema di Claudio Milanini a p. 822) e rivela l’interesse di Calvino per l’attività di un gruppo di scrittori francesi, a lui molto cari, che propugnavano l’idea della letteratura come «gioco combinatorio» e avevano fondato alcuni anni prima l’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle [leggi: “uvrièr de litteratiur potansièll”], “laboratorio di letteratura potenziale”). Secondo questi autori, la creazione letteraria è in primo luogo un’attività ludica, e può essere ridotta a un gioco combinatorio, all’applicazione meccanica di una serie di regole prestabilite (per esempio, si può decidere di raccontare in cento stili diversi lo stesso episodio, come fece uno dei fondatori del gruppo, lo scrittore Raymond Queneau [leggi: “reimón cnó”]). In Calvino, tuttavia, l’interesse per queste sperimentazioni rimane sempre ancorato all’esigenza di trovare un senso e uno scopo all’attività letteraria, che non può essere un gioco gratuito e fine a se stesso: come afferma in un suo scritto di questi anni, nessuna creazione artistica può funzionare senza «gli spasimi d’un io immerso in un tempo storico», senza la sua «rabbia da dar la testa contro i muri». Alla base di ogni opera ci deve essere l’urgenza, quasi la necessità, di esprimere un contenuto ben preciso: gli «spasimi», cioè i tormenti interiori, di un «io» ben determinato – quello dell’autore – che riflettono ed esprimono le ansie, i desideri e le angosce del suo tempo.
Tra Marco Polo e Dante
LE OPERE, GLI AUTORI
Il ritratto di una generazione
La ripresa del Milione
Ciò vale in particolare per Le città invisibili, che si propongono come una rappresentazione emblematica del percorso artistico e ideologico dell’autore stesso: un ritratto che non è strettamente individuale (Calvino si è sempre dichiarato poco interessato alle questioni psicologiche e alle sottigliezze sentimentali), ma riguarda un’intera generazione intellettuale, formatasi nel periodo della guerra e dell’antifascismo e costretta, negli anni della maturità, a fare i conti con una realtà ben diversa da quella immaginata in gioventù. Viaggiando attraverso le sue «città invisibili», Calvino riflette sul passato (ciò che ha desiderato e sperato, ciò che ancora può salvare delle sue illusioni politiche e artistiche), sul presente (la realtà invivibile del capitalismo avanzato, rispetto alla quale non esistono più alternative) e sul futuro (un mondo travolto dalla sua voracità di consumi, dal suo stesso irrefrenabile sviluppo), mettendo alla prova diversi modelli interpretativi e vagliando differenti ipotesi filosofiche, alla ricerca di un qualche appiglio che possa ancora permettergli di non arrendersi al caos informe dell’esistente. Nel mettere in atto un progetto così ambizioso, Calvino si rifà al Milione per creare l’impalcatura formale dell’opera: la situazione di partenza e la definizione dei personaggi principali (il potentissimo imperatore cinese e il viaggiatore veneziano da lui prediletto), una serie di stilemi e di formule narrative (riguardanti soprattutto la descrizione delle città). Inoltre, la ripresa funziona da strategia di distanziamento: anche se Calvino parla di sé e del presente, le allusioni al Milione danno alla narrazione un tocco fantastico, sia per
43. il cavaliere inesistente e le città invisibili, di italo calvino
la lontananza cronologica sia per quella geografica. Con una differenza fondamentale: il viaggio è ormai esclusivamente “immaginario” (a un certo punto il Kan arriva a dubitare che Marco si sia mai allontanato dal palazzo in cui si ritrovano a conversare) e le città sono diventate «invisibili» perché esistono solo nei suoi racconti. Dalla descrizione realistica di città realmente visitate si passa, dunque, alla trasposizione meravigliosa, alla messa in scena di città che presentano caratteri tipicamente mitologici o fiabeschi (città sotterranee popolate solo da morti, costruite come un’unica fittissima ragnatela, che nascondono mostri di ogni tipo e assomigliano a un immenso luna-park…). Il modello più pertinente, anche se mai dichiarato esplicitamente, è tuttavia, forse, quello del viaggio allegorico, sull’esempio della Commedia dantesca: così come Dante viaggia nei regni ultraterreni (dall’Inferno al Paradiso) – guidato prima da Virgilio, poi da Beatrice – per meglio comprendere e interpretare la sua esperienza personale e storica, anche Kublai Kan si affida ai racconti di Marco Polo con la speranza di riuscire a cogliere l’essenza del suo impero e di sopravvivere alla sua stessa rovina. La rappresentazione di una dimensione diversa da quella reale serve, dunque, da schermo per parlare, in maniera figurata e indiretta, della propria realtà, per tentare una definizione e un’interpretazione complessiva della propria epoca, dei sistemi di valori su cui si regge, dei modelli di conoscenza a cui si affida.
847
Il modello dantesco
La costruzione delle città «invisibili» Fulcro di questa complessa costruzione allegorica sono, ovviamente, le città descritte da Marco Polo a Kublai Kan. Si tratta di “descrizioni” molto particolari: le città immaginarie non contano per le loro caratteristiche fisiche, ma per il fatto di offrire una risposta a una domanda implicita: «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra». Ogni città è dunque un testo “a chiave”: enuncia un desiderio o una paura, rimanda sempre a un significato nascosto. Non è sempre facile capire questi riferimenti: a dispetto della loro apparente limpidezza, Le città invisibili è un’opera di difficile lettura e comprensione, che ancora oggi è stata decifrata solo parzialmente; proprio come i testi allegorici medievali, può essere letta a diversi livelli: se il significato letterale è abbastanza immediato, il significato “ulteriore” richiede un considerevole bagaglio di conoscenze filosofiche e storiche. Tuttavia, come è tipico dell’allegoria, il rimando a un significato nascosto si lega a una grande attenzione per l’aspetto letterale, che si traduce in una minuziosa cura formale delle descrizioni, per cui ogni città ha un suo inconfondibile aspetto esteriore e presenta delle caratteristiche uniche.
Khublai Kan, il primo imperatore degli Yuan.
Il significato nascosto
Letterale e simbolico
LE OPERE, GLI AUTORI
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