QdR
Didattica e letteratura
La felice impresa Letture e commenti delle opere di Gianni Rodari a cura di Benedetta Aldinucci e Vanessa Roghi
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QdR / Didattica e letteratura Collana diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti
La collana La didattica della letteratura è una disciplina ancora giovane, che dagli anni Sessanta del secolo scorso ha accompagnato con riflessioni teoriche e proposte pratiche il cambiamento della società contemporanea. Oggi, di fronte agli sconvolgimenti legati alla rivoluzione digitale e alle profonde mutazioni del contesto socio-culturale, si rende necessario stipulare un nuovo patto tra scuola e università, tra insegnamento e ricerca, al fine di individuare metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo degli studi letterari, della scrittura, della lettura, e dell’interpretazione delle opere letterarie. La collana vuole essere un punto di riferimento per coloro che, nel mondo della scuola e dell’università, sono interessati ad approfondire i problemi dell’insegnamento letterario e degli apprendimenti correlati alla fruizione della letteratura.
Comitato scientifico Paolo Giovannetti (IULM) Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari) Marielle Macé (CRAL Parigi) Francisco Rico (Universitat Autònoma Barcelona) Francesco Stella (Università degli Studi di Siena) I volumi della collana sono sottoposti a un processo di peer review.
Volumi pubblicati 1. Jean-Marie Schaeffer, Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura?, traduzione di Marina Cavarretta 2. Cinzia Ruozzi, Raccontare la scuola. Testi, autori e forme del secondo Novecento 3. Pasquale Guaragnella, Barocco e «nuova scienza». Proposte di ricerca didattica per il docente di italiano 4. Marielle Macé, La lettura nella vita. Modi di leggere, modi di essere, traduzione di Marina Cavarretta 5. Le competenze dell’italiano, a cura di Natascia Tonelli 6. Per leggere i classici del Novecento, a cura di Francesca Latini e Simone Giusti 7. Letterature e letteratura delle origini: lo spazio culturale europeo. Prospettive didattiche per la Scuola secondaria e per l’Università, a cura di Giuseppe Noto 8. Simone Giusti, Tradurre le opere, leggere le traduzioni 9. Insegnare letteratura. Teorie e pratiche di una disciplina, a cura di Ambra Carta 10. Ariosto tra gli specchi del Novecento, a cura di Clara Allasia e Carla Sclarandis 11. Sulle spalle di Atlante. Un altro Novecento, a cura di Carlo Albarello e Simonetta Teucci 12. Simone Giusti, Natascia Tonelli, Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento Volumi in preparazione - Nancie Atwell, La zona di lettura, traduzione di Alessandra Nesti
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Didattica e letteratura
La felice impresa Letture e commenti delle opere di Gianni Rodari a cura di Benedetta Aldinucci e Vanessa Roghi
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Direzione della collana: Natascia Tonelli e Simone Giusti Comitato scientifico-organizzativo del convegno “La felice impresa di Gianni Rodari”: Benedetta Aldinucci, Isabella Becherucci, Pietro Cataldi, Simone Giusti, Francesca Latini, Giuseppe Marrani, Vanessa Roghi, Natascia Tonelli. Coordinamento editoriale: Alessandra Nesti - Php srl - Grosseto Realizzazione editoriale e tecnica: Franco Cesati Editore - Firenze Progetto grafico: Fregi e Majuscole - Torino; Leftloft – Milano/New York Copertina: Leftloft – Milano/New York; Visualgrafika - Torino Stampa: Tipografia Gravinese - Via Lombardore 276/F 10040 Leinì (TO). Gli interventi di questo volume sono stati sottoposti alla revisione dei membri del Comitato scientificoorganizzativo del convegno “La felice impresa di Gianni Rodari”.
INDICE
Indice Introduzione 1.
Tutto il mondo in filastrocca. Appunti e note di ricerca su Gianni Rodari di Vanessa Roghi
2. Lo spirito del gioco: spaesamento, errore-erranza, surrealtà, in Rodari e nelle poetiche del Novecento di Marco Dallari 3.
«Tutti gli usi della parola a tutti»: la Grammatica della fantasia e le riforme dell’educazione linguistica di Laura Ricci
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4. Il libro degli errori di Gianni Rodari di Federico Batini
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5. Gianni Rodari e la tradizione della favola esopica di Lucia Rodler
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6. Le parole hanno una logica egualitaria. Una lettura demauriana intorno a Gianni Rodari e alla linguistica democratica di Patrizia Sposetti 7.
«Poesia dura senza paura». Gianni Rodari e Andrea Zanzotto tra letteratura, pedagogia e didattica di Simone Giusti
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Indice dei nomi 131 7
I. ANTICHI E MODERNI NELLA CULTURA DEL BAROCCO. INTRODUZIONE
Introduzione
Il contributo creativo e metodologico che Gianni Rodari (Omegna, 1920Roma, 1980) ha saputo dare tanto all’universo letterario quanto a quello dell’educazione ha svolto un ruolo fondamentale nell’emancipazione del linguaggio e del pensiero dagli stereotipi e dalle rappresentazioni convenzionali e nello sviluppo democratico dell’Italia del secondo dopoguerra. La proposta rodariana di giocare con le parole, di imparare divertendosi, è il trait d’union di questo volume, assieme a tutto il multiforme e complesso apparato di risvolti letterari, linguistici, socio-politici e pedagogici che essa comporta. Ci si addentra perciò dapprincipio negli eventi, negli autori e nelle letture che concorrono a formare le tecniche e i metodi creativi di Gianni Rodari (V. Roghi); per poi prendere l’abbrivio dal concetto di errore, inteso non tanto come difetto, quanto piuttosto come occasione per gettare sul mondo un punto di vista “altro” e per sottolineare il valore insostituibile dello “spirito del gioco”, che ci introduce al nonsense e alle erranze linguistiche di Rodari (M. Dallari). Queste preludono a una rilettura della Grammatica della fantasia (Einaudi, 1973) quale strumento di rifondazione dei metodi e degli obiettivi della didattica della lingua (L. Ricci), cui ci conduce anche la ricostruzione del ruolo che Rodari ha nella storia linguistica e culturale del nostro paese condotta attraverso lo sguardo interessato di Tullio De Mauro (P. Sposetti). Il libro degli errori (Einaudi, 1964) si fa specola privilegiata circa l’interesse di Rodari per i percorsi di ricerca applicati alla didattica e sulla necessità, l’utilità e la bellezza degli errori, che innescando nuovi tentativi di buona riuscita riescono sempre a far scoprire qualcosa di originale (F. Batini). La riflessione di Rodari sulla dignità del lavoro e sull’etica del risparmio ci conducono invece alle sue riscritture delle favole esopiche, a partire dall’elogio della fatica e dalla condanna del disimpegno, fino ad evolvere in risemantizzazioni in chiave egalitaria e di solidarietà sociale (L. Rodler). Il dialogo fra Rodari e Andrea Zanzotto, legati dall’interesse per la poesia e per l’infanzia e da un co-
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PICCOLA LA FELICEECOLOGIA IMPRESA DEGLI STUDI LETTERARI
mune attivismo pedagogico (S. Giusti), ci riporta infine alla funzione riformista svolta da Rodari nell’ambito dell’educazione, e non solo, da cui abbiamo preso le mosse. Questo Quaderno ha avuto origine da un convegno che si sarebbe dovuto tenere presso l’Università per Stranieri di Siena dal 16 al 17 aprile 2020, in collaborazione con l’Università degli Studi di Siena e con la rivista «Per Leggere», nella ricorrenza dei cento anni dalla nascita di Rodari. Oltre alle autrici e agli autori che con i loro saggi hanno contribuito alla Felice impresa, un ringraziamento sincero va dunque ai membri del comitato scientifico-organizzativo delle due giornate di studio, Isabella Becherucci, Pietro Cataldi, Francesca Latini, Giuseppe Marrani, Natascia Tonelli e Simone Giusti, con l’auspicio che l’occasione dell’incontro non sia perduta, ma solo rimandata: «Indovinami, Indovino, tu che leggi nel destino: l’anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà e metà?» «Trovo stampato nei miei libroni che avrà di certo quattro stagioni, dodici mesi, ciascuno al suo posto, un Carnevale e un Ferragosto e il giorno dopo del lunedì sarà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo nel destino dell’anno nuovo: per il resto anche quest’anno sarà come gli uomini lo faranno!»1
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1.
G. Rodari, L’anno nuovo, in Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi, 1960.
I. ANTICHI E MODERNI NELLA CULTURA DEL BAROCCO. INTRODUZIONE
1. Tutto il mondo in filastrocca. Appunti e note di ricerca su Gianni Rodari di Vanessa Roghi
Molti anni fa mio figlio venne da me e mi disse: “Papà i cavalli non hanno le corna”. Così un bambino scopre la vita. Scopre la farfalla, il colore dell’abete, la cupa, insana emozione del traghetto su una zattera. I bambini nascono tutti uguali, i poeti sorgono diversamente. Viktor Sklovskij, Majakovskij Nessuno possiede la parola magica: dobbiamo cercarla tutti insieme, in tutte le lingue, con modestia, con passione, con sincerità, con fantasia; dobbiamo aiutare i bambini a cercarla, lo possiamo fare anche scrivendo storie che li facciano ridere: non c’è niente al mondo di più bello della risata di un bambino. Gianni Rodari, Ringraziamento per il conferimento del Premio Andersen
I bambini non nascono tutti uguali, anche se allo stesso modo scoprono il mondo e si stupiscono e dicono la prima parola, e imparano a riconoscere la farfalla e l’abete. La prima differenza per loro la fanno i genitori, se li mettono al mondo amandoli oppure no. Se hanno di che nutrirli, vestirli, se possono dare loro scarpe calde o li mandano in giro scalzi. Che non vuol dire che non li amino, ma solo che sono poveri. Che non vuol dire nulla, per certo, del momento in cui diventano poeti. Di Gianni Rodari sappiamo di una prima infanzia felice, con scarpe calde, trascorsa in riva a un lago; sappiamo che da bambino ha letto Jules Verne, sognando viaggi fantastici nello spazio o nel cuore della terra; sappiamo che, a 9 anni, ha perso suo padre, per una broncopolmonite, per cui, orfano, con la madre e il fratello, ha lasciato le rive del lago d’Orta, in cerca di una vita mi11
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gliore o solo possibile1. Nessun addio ai monti, nemmeno nel ricordo, rimasto muto al punto che ci vorranno anni per scrivere la parola Crusinallo, senza riuscire però a trovarle una rima. La parola «Crusinallo», quando mi succede di leggerla o di pensarla, rigetta tutte le rime che le addosso, da «ballo» a «cavallo», a «caciocavallo», per restare a lampeggiare tutta sola nella più dolente intersezione tra la fantasia e la memoria. Ed eccomi in tram, bambino, di ritorno da Crusinallo verso Omegna, una sera buia e piovosa, ed ecco divampare il cielo sopra il muro del Cobianchi, il rosso riverbero della colata mi si stampa per sempre nel cuore, ogni volta che penserò «Omegna» sarà quel tram a sferragliare nelle mie membra, sarà quella fiamma a illuminare drammaticamente la mia notte. Dovrei parlare di quel bambino, di suo padre e di sua madre, dei suoi fratelli e compagni di scuola, dei gatti che abitavano il suo cortile. Ma io non sono fatto per l’autobiografia. Mi converrà regalare lo studente di Crusinallo e la rima che lo mette in azione ai bambini di Ferrara o di Bari, per i quali Crusinallo è solo un suono e forse loro sapranno vedere dove va a finire la storia2.
1.1. Infanzia Alcuni bambini ricevono in dono dalla sorte gli stessi dolori, ma nemmeno della qualità di questi possiamo essere certi. Chissà se infatti, da adulto, Rodari si è riconosciuto in quanto ha scritto Maksim Gor’kij, anche lui orfano di padre, costretto a viaggiare su un fiume con la mamma e la nonna per raggiungere una nuova casa (amica, nemica?). Chissà se il giorno del funerale del padre anche lui, bambino, ha notato qualcosa di ancora più atroce della morte che lo ha distratto: raccontai al marinaio come avevano coperto di terra delle rane vive, nel seppellire mio padre. Lui mi prese in braccio, mi strinse forte a sé e mi diede un bacio. «Eh, figliolo, tu non capisci ancora niente!» disse. «Non devi aver compassione delle rane, che vadano con Dio! Abbi compassione di tua madre, non vedi come l’ha distrutta il dolore!»3.
Amante dei russi, della loro letteratura, per una triste coincidenza, Rodari ha condiviso la sorte anche di un altro poeta, Vladimir Majakovskij. Di lui Viktor Sklovskij ha scritto:
1. 2.
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3.
M. Argilli, Gianni Rodari. Una biografia, Torino, Einaudi, 1990. Mi permetto di rinviare anche a V. Roghi, Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, Roma-Bari, Laterza, 2020. G. Rodari, Ricordi e fantasie tra Nigoglia e Mottarone, in «Lo Strona», 1979, 4, ora in P. Macchione, Storia del giovane Rodari, Varese, Macchione, 2013, p. 402. M. Gor’kij, Infanzia, Milano, Rizzoli, 2009, p. 10.
1. TUTTO IL MONDO IN FILASTROCCA. APPUNTI E NOTE DI RICERCA SU GIANNI RODARI
ecco, il padre muore. Il Rion scorre, sul Rion sono sempre le stesse grosse travi, irsute a forza di battere nei sassi. Le case sono coperte di spuma lilla. I libri sugli indiani non sono ancora stati letti, né son finiti di leggere gli opuscoli rivoluzionari editi a Rostov, nel Caucaso sparano ancora. Qui egli si sente a casa sua, ma deve partire, non ha di che vivere. In famiglia rimangono tre rubli4.
Venduto il forno paterno, anche alla mamma di Rodari rimangono poche lire, troppo poche per far studiare due figli, Gianni e suo fratello, Cesare. Vede molte cose, allora, il bambino Gianni Rodari; anche lui, come Gor’kij, come Majakovskij, ha molto da ricordare: vede il dolore della madre, e il lavoro silenzioso e costante che lo fa crescere, e la scuola, la mattina, dove impara le storie scritte nei libri, e la stalla, la sera, dove nelle veglie (non sentite l’eco di Gogol’?) ascolta fiabe che fanno paura5. Ma ancora potrebbe essere un bambino di ogni tempo, fino a quando il Novecento non gli si para davanti. In Italia c’è il fascismo, negli anni della nascita della società di massa, così tutto acquista un sapore autarchico, provinciale, e gli eroi, dall’America, arrivano a lui addomesticati. Sono eroi come Tom Mix, idolo del cinema western, ma anche i fumetti del «Corriere dei Piccoli», che formano il primo sguardo di Gianni Rodari sul mondo, fuori da casa6. Che sia stato così per molti bambini – anche se non per tutti, perché l’Italia che legge è davvero una società ristretta – lo ricorda anche Italo Calvino. Il mio mondo immaginario è stato influenzato per prima cosa dalle figure del «Corriere dei Piccoli», allora il più diffuso settimanale italiano per bambini. Parlo d’una parte della mia vita che va dai tre anni ai tredici, prima che la passione per il cinema diventasse per me una possessione assoluta che durò per tutta l’adolescenza. Anzi, credo che il periodo decisivo sia stato tra i tre e i sei anni, prima che io imparassi a leggere. Negli anni Venti il «Corriere dei Piccoli» pubblicava in Italia i più noti comics americani del tempo: Happy Hooligan, the Katzenjammer Kids, Felix the Cat, Maggie and Jiggs, tutti ribattezzati con nomi italiani7.
4. 5. 6. 7.
V. Sklovskij, Majakovskij, Milano, il Saggiatore, 1967, p. 13. Buonasera con di Nico Orengo e Donatella Ziliotto, 7 giugno 1979, Rai Due; Rodari, Ricordi e fantasie tra Nigoglia e Mottarone cit., pp. 401-408. Buonasera con di Nico Orengo cit. I. Calvino, Lezioni americane, in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, p. 708.
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LA FELICE IMPRESA
1.2. Giovinezza Dagli 11 ai 13 anni Rodari entra in seminario; ne esce per iscriversi all’Istituto Magistrale Alessandro Manzoni di Varese8. Giovane impegnato nell’Azione cattolica, incontra il male di vivere e scrive racconti: Si sente così diverso e così uguale. Qualche cosa è mutata in lui: ed egli se la vede davanti come un oggetto perduto. Ogni stato d’animo che si supera lo si considera un oggetto perduto. Gli rincresceva un po’, tuttavia, di rinnegarsi così. Pensa di nuovo: «Romanticherie!»9.
Gianni Rodari vuole scrivere, ma vuole anche aiutare la madre: scrivere e mangiare, insieme, sono però un lusso per pochi, casomai si deve fare un altro mestiere – il maestro, per esempio – e coltivare in privato le proprie passioni: il surrealismo, l’ermetismo, i russi, la filosofia, la rivoluzione10. Così Rodari diventa maestro, ma non è ancora diventato poeta. Un grande poeta sorge dalle contraddizioni del suo tempo. Conosce prima degli altri l’ineguaglianza delle cose, il loro spostamento, il corso del loro mutamento. Gli altri ancora ignorano il dopodomani. Il poeta lo definisce, ne scrive11.
Rodari legge i surrealisti, e leggendoli scopre le loro tecniche; con loro intuisce che la creatività può diventare un metodo, una disciplina: appunti di Gianni Rodari, anno 1942, quaderno dello scolaro Zaffaroni Giampiero12: Cose da scrivere: «(Trattatelli 1) Sulla vergogna 2) Sulla fantastica (Manuale di Fantastica ad uso degli scrittori e delle guardie campestri). Die Kunst Bücher zu schreiben ist noch nicht erfunden. Sie ist aber auf dem Punkt, erfunden zu werden. (da Blütenstaub) Hätten wir auch eine Pantastik, wie eine Logik, so wäre die Erfindungskunst erfunden. Zur Phantastik gehört auch die Ästhetik gewissermaßen, wie die Vernunftlehre zur Logik. (da fram-
8. 9.
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Sul seminario cfr. Macchione, Storia del giovane Rodari cit., pp. 31-72. Sugli anni giovanili il fondamentale contributo delle edizioni di Varese di Pietro Macchione: Gianni Rodari e la signorina Bibiana: i racconti e gli scritti giovanili 1936-1947, a cura di C. Zangarini, P. Macchione, A. Vaghi, Varese, Macchione, 2010. 10. Cfr. P. Diamanti, Da Breton a Rodari… passando per Marx. Il surrealismo fonte della “Grammatica della fantasia”, in Gianni Rodari: una favola di pace, a cura di G. Diamanti, in «Il calendario del popolo», 60, 720, giugno 2007, pp. 16-20. Il lavoro di Pina e Giorgio Diamanti smonta l’impianto interpretativo di Argilli relativo all’invenzione di una genealogia: Argilli nega infatti la possibilità dell’ispirazione surrealista di Rodari a partire dalle sue prime filastrocche di sapore neorealista (al limite debitrici verso il realismo magico di Bontempelli o l’ironia di Palazzeschi), e arriva addirittura a negare l’esistenza del frammento stesso di Novalis, che invece esiste. 11. Sklovskij, Majakovskij cit., pp. 15-16. 12. Sulla Fantastica cfr. Diamanti, Da Breton a Rodari… passando per Marx cit., pp. 16-20.
1. TUTTO IL MONDO IN FILASTROCCA. APPUNTI E NOTE DI RICERCA SU GIANNI RODARI
menti filosofici) Traduzione: L’arte di scrivere libri non è stata ancora inventata. Essa però è sul punto di essere inventata (da Blütenstaub). Se avessimo una Fantastica come una Logica, sarebbe scoperta l’Arte di inventare. Alla Fantasia apparterrebbe anche l’Estetica, come la Dottrina dell’intelletto appartiene alla Logica (dai frammenti filosofici) (5)»13.
Attrezzi del mestiere ai quali farà seguito la scintilla della creazione, ma solo a guerra finita, ché gli anni fra il 1943 e il 1945 sono un doloroso e frammentato puzzle di ricordi, di cui qualche tassello continua a mancare14. La creazione, dunque, dicevamo: «Voi volete sapere come si scrive un racconto, no? Semplicissimo. Ci sono parecchi sistemi. Il primo è un’applicazione diretta della legge d’inerzia. Conoscete la legge d’inerzia, no? Un corpo persevera nello stato di moto o di quiete fin quando non intervengano altre forze, ecc. ecc. Prendete due parole qualunque, imprimete loro un movimento qualsiasi, descrivetelo. Facciamo un esempio. Ditemi due parole, due parole qualsiasi.» «Non saprei… pane… pascolo…». «Facile. Pane, pascolo: un ragazzo che porta al pascolo delle pecore prendendo con sé la colazione, non vi pare? Cercate di vedere cosa fa, cosa gli succede: il racconto è fatto. Oppure una fanciulla, questo è più romantico: fa pascolare la mucca, e lei seduta su un masso addenta il suo pane nero. Può venire un cacciatore, vi pare? Cosa le dirà? E lei cosa risponderà? E poi? E poi eccetera, eccetera, voi avete fantasia. Altre due parole.» «Fiore, pista.». «Fiore… pista. Gettiamo queste due parole una contro l’altra, lasciamole rotolare… Che ne direste di una pista ciclistica in mezzo alla quale cresca un fiore?»15.
1.3. Ritratto del giovane intellettuale Nel 1946, iscritto al Pci, diventa giornalista del giornale di Varese «L’Ordine Nuovo», che in molti confondono con l’omonimo giornale fondato nel 1919 da Antonio Gramsci, ma quello di Rodari è solo una copia in sedicesimo, un omaggio della provincia lombarda16. In quell’anno, infatti, ovunque, fra i comunisti, si legge Antonio Gramsci. E con lui Bertolt Brecht. Entrambi insegnano a Rodari un metodo, uno sguardo. Anche se poi verranno tutti gli altri:
13. Cfr. C. Zangarini, Scritto e firmato da Gianni Rodari, Varese, Macchione, 2020, pp. 40-43. 14. Argilli, Gianni Rodari cit., p. 24; cfr. anche Macchione, Storia del giovane Rodari cit., p. 199 sgg. Interessante l’autobiografia che Rodari stesso scrive quando diventa giornalista de «L’Unità», nel 1947, ora pubblicata in Macchione, Gianni Rodari e la signorina Bibiana cit., pp. 232-328. 15. F. Aricocchi (in realtà G. Rodari) «Corriere Prealpino», 4 giugno 1946, ora in Macchione, Gianni Rodari e la signorina Bibiana, cit., pp. 196-201. 16. A. Vaghi, Insieme alla redazione de L’Ordine nuovo, in Gianni Rodari: una favola di pace cit., pp. 34-37.
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LA FELICE IMPRESA
Anton Makarenko, Ludwig Wittgenstein, Giacomo Leopardi, Lev Semënovič Vygotskij, Bruno Ciari, Loris Malaguzzi, per citare solo qualche astro della costellazione entro cui nasce e diventa luminosa la stella Rodari17. Gramsci, che muore per gli stenti sofferti nei lunghi anni di carcere, serve ai comunisti come Gianni Rodari per dire a tutti coloro che ne contestano la legittimità in Italia che, prima di Lenin e dell’Ottobre rosso, ci sono stati l’idealismo, il marxismo, Benedetto Croce, e la vita e cultura nazionale18. Le sue parole vengono alla luce quando la guerra è da poco finita e il Pci non è più clandestino e nemico del governo (anche se ancora per poco). Gramsci disegna la figura del nuovo intellettuale militante, organico al Partito. Scrive il giovane Rodari: in Gramsci vive un tipo nuovo di «uomo di cultura». […] parli di Croce o di Bucharin, di filosofia o di storia, il suo obiettivo rimane la creazione di una cultura integrale, che sia filosofia e vita, pensiero per azione, che non evada mai dalla realtà sociale, che non pretenda mai di avere esaurito il suo compito «fotografando» tale realtà, che non si illuda di raggiungere punti fermi universali, ma riconosca e attui continuamente, pazientemente, ostinatamente, il suo destino di essere una cultura di parte, impegnata in una lotta di parte. Questo non significa che Gramsci non presti attenzione ai problemi teoretici, anzi, tutto il suo sforzo è teso alla conquista di strumenti teorici e teoretici, ma proprio per il loro valore di «strumenti», di armi: e la sua lotta contro Croce è un continuo smascheramento di posizioni teoriche e teoretiche che si presentano come posizioni universali e disinteressate dello spirito, per rilevarne il significato ed il valore storico di strumenti della conservazione sociale19.
Essere una cultura di parte, impegnata in una lotta di parte: questo il destino che si dà, da questo momento, Gianni Rodari, con un costante, instancabile lavoro sul metodo che, attraverso lo strumento della Fantastica, chiede lo svelamento delle posizioni «teoriche e teoretiche ci si presentano come posizioni universali e disinteressate dello spirito» e che invece sono storicamente datate e hanno come unica funzione quella di conservare le cose così come sono20. Una postura intellettuale che Rodari non abbandonerà mai, fino al suo ultimo intervento su Goldrake quando, nel 1979, ironizzerà ancora
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17. Cfr. Rodari A-Z, a cura di P. Boero, V. Roghi, Milano, Electa, 2020. 18. F. Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari: tre immagini d’infanzia, Bari, Dedalo, 1985, p. 117; Id., Rodari e l’infanzia, in «Scuola e città», 1980, p. 11; Id., L’immagine ‘formale’ della pedagogia nell’opera di Rodari, in Se la fantasia cavalca con la ragione. Atti del convegno nel decennale della Grammatica della fantasia (Reggio Emilia, 10-12 novembre 1982), a cura di C. De Luca, Bergamo, Juvenilia, 1983, pp. 45-52. 19. G. Rodari, L’uomo nella realtà, in «Adamo», 20 febbraio 1948. Cfr. V. Roghi, Antonio Gramsci, in Rodari A-Z cit., pp. 114-116. 20. Cambi, Collodi, De Amicis, Rodari: tre immagini d’infanzia cit., p. 117.
1. TUTTO IL MONDO IN FILASTROCCA. APPUNTI E NOTE DI RICERCA SU GIANNI RODARI
una volta su chi «presenta un’opinione personale come un dato universale», barattando impressioni per verità, impressioni che «diventano scientifiche quando sono presentate con lo stile che si riserva alle citazioni scientifiche»21. Lo stesso anno in cui scopre Gramsci, Gianni Rodari traduce, di Bertolt Brecht, La linea politica, insieme a un amico poeta di Varese, Giuliano Carta. La linea politica è un testo nel quale si stigmatizza l’estremismo, la «malattia infantile del comunismo», e si esaltano il partito e il lavoro collettivo, silenzioso, spesso anonimo. Compagni, è bello/ parlare alle folle agitando la lotta di classe/. Con voce alta e tonante chiamare le masse alla lotta/, gli oppressori distruggere, liberare gli oppressi, è bello/. Ma il lavoro minuto, l’opera paziente d’ogni giorno/, come è difficile questa, e come è feconda di frutti 22 .
Il paradosso di Brecht, che Rodari abbraccia per intero, è in quella scelta di esaltare l’anonimato levando una voce potente, chiara, riconoscibile, che su quella del poeta tedesco tornerà spesso a modellarsi, soprattutto quando in gioco c’è la storia, come in Storia degli uomini che esce a puntate su «Vie nuove» nel 1958, nella quale Rodari risponde alla domanda: Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?23 Tema ripreso anche nella Storia universale: la storia è opera degli uomini, non dei re: sono gli uomini che si rimboccano le maniche e creano il mondo. In principio la Terra era tutta sbagliata/, renderla più abitabile fu una bella faticata/. Per passare i fiumi non c’erano ponti/. Non c’erano sentieri per salire sui monti/. Ti volevi sedere?/ Neanche l’ombra di un panchetto./ Cascavi dal sonno?/ Non esisteva il letto./ Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali./ Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali./ Per fare una partita non c’erano palloni:/ mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni./ Anzi a guardare bene mancava anche la pasta./ Non c’era nulla di niente./ Zero via zero, e basta./ C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare/ e agli errori più grossi si poté rimediare./ Da correggere, però, ne restano ancora tanti:/ rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti 24.
21. G. Rodari, Buttiamo via il televisore, in «Paese sera», 28 gennaio 1979, p. 1. 22. G. Rodari, La linea politica, in «L’Ordine Nuovo», 25 aprile, 17 maggio e consecutivamente dall’11 ottobre al 6 dicembre 1947, ora in Gianni Rodari e la signorina Bibiana cit., pp. 355-381. 23. B. Brecht, Fragen eines lesenden Arbeiters (Domande di un lettore operaio), in Id., Poesie, Torino, Einaudi, 1992, pp. 156-157. 24. G. Rodari, Storia universale, in Id., Favole al telefono, Torino, Einaudi, 1962, ora in Id., I cinque libri, a cura di P. Boero, Torino, Einaudi, 1993, p. 313.
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Brecht sarà sempre amato da Rodari, fino a fargli intitolare un suo libro del 1972 Gli affari del signor gatto, omaggio dichiarato agli Affari del signor Giulio Cesare25. Tutta la bibliografia di Rodari può essere letta alla luce di Gramsci e Brecht: un esercizio sicuramente riduttivo, per molti versi, ma utile per svelare alcuni inediti risvolti ideologici della sua opera anche là dove sembra perdere quello che, a lungo, è stato considerato il suo carattere originale, ovvero l’aver portato, nella poesia per bambini, i mestieri umili, le classi sociali, la realtà. L’intellettuale che si dedica al lavoro minuto, all’opera paziente di ogni giorno, lo fa con voce alta (anche se non tonante) per chiamare (i bambini) alla lotta, in un modo sempre meno didascalico, che per alcuni, quindi, diventa meno politico. Puntando tutto sul metodo e non sul contenuto, che varia inevitabilmente a mano a mano che la storia procede; mettendo a punto il come e non il cosa26. Si tratta di una prima affermazione di indipendenza dal coevo pensiero di compagni che si occupano di infanzia – penso a Marcello Argilli, per esempio –: Rodari considera l’infanzia uno spazio autonomo e non il prodromo di qualcosa ancora da venire, perché nel bambino, prima di esserci l’uomo, c’è il bambino. Il gioco allora viene prima del senso, il ragionamento sulla lingua prima della morale. In una delle lettere scritte all’editore Einaudi per presentare il Libro degli errori, molti anni dopo, Rodari si dichiarerà consapevole che la sua è la «via sbagliata al socialismo»27. Una via che non smetterà mai di percorrere pur restando nel Pci: Siamo noi, il Partito. Tu, e io, e voi – noi tutti! Si mette nel tuo vestito, compagno, e pensa con la tua testa! […] Può darsi che noi sbagliamo e che tu abbia ragione: resta con noi e prova a convincerci. Che la strada corta sia migliore di quella lunga, nessuno lo nega. Ma se uno conosce questa strada e non fa il possibile per farla conoscere anche agli altri, e se ne va da solo a chi serve la sua sapienza?28
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25. La storia degli uomini era uscita a puntate su «Vie nuove» dal 25 ottobre 1958 al 25 luglio 1959. Cfr. C. Bermani che ha raccolto La storia degli uomini scritta da Gianni Rodari per i ragazzi ma dedicata anche ai grandi, Omegna, Amministrazione comunale di Omegna, 1990. 26. V. Roghi, Rodari e la scuola del “come”. Tecniche e contenuti per l’educazione democratica, in «Annali di storia dell’educazione», 2021, in corso di pubblicazione. 27. G. Rodari, Caro Paolo, 7 settembre 1964, AST, AE, f. 170. Cfr. Lettere a don Julio Einaudi. Hidalgo editorial e ad altri queridos amigos (1952-1980), a cura di S. Bartezzaghi, Torino, Einaudi, 2008, p. 45. 28. La linea politica. Tragedia comunista di Bertold Brecht tradotta da Giuliano Carta e Gianni Rodari, in Macchione, Gianni Rodari e la signorina Bibiana cit., pp. 355-381.
1. TUTTO IL MONDO IN FILASTROCCA. APPUNTI E NOTE DI RICERCA SU GIANNI RODARI
Scrive Rodari: Dopo la pioggia viene il sereno,/ brilla in cielo l’arcobaleno:/ è come un ponte imbandierato/ e il sole vi passa, festeggiato./ È bello guardare a naso in su/ le sue bandiere rosse e blu./ Però lo si vede – questo è il male –/ soltanto dopo il temporale./ Non sarebbe più conveniente/ il temporale non farlo per niente?/ Un arcobaleno senza tempesta,/ questa sì che sarebbe una festa./ Sarebbe una festa per tutta la terra/ fare la pace prima della guerra 29.
Il richiamo a Giacomo Leopardi, poeta tanto amato, è quello più evidente: il piacere non deve essere per forza figlio d’affanno, la quiete non deve venire per forza dopo la tempesta. Ma c’è anche Bertolt Brecht, che afferma con forza che pace e guerra non sono alternative, se nascono dalla stessa materia prima. Lì troviamo l’ispirazione politica di Rodari. Chi sta in alto dice: pace e guerra/ sono di essenza diversa/ La loro pace e la loro guerra/ sono come il vento e la tempesta/ La guerra cresce dalla loro pace/ come il figlio dalla madre./ Ha in faccia/ i suoi lineamenti orridi./ La loro guerra uccide/ quel che alla loro pace/ è sopravvissuto30.
La pace deve avere un’altra essenza, essere fatta di un’altra materia che va tutta inventata: questo il compito degli adulti. Ancora una volta Rodari, questo, lo traduce da Brecht: I bambini giocano alla guerra./ È raro che giochino alla pace/ perché gli adulti/ da sempre fanno la guerra,/ tu fai “pum” e ridi;/ il soldato spara/ e un altro uomo/ non ride più./ È la guerra./ C’è un altro gioco/ da inventare:/ far sorridere il mondo,/ non farlo piangere./ Pace vuol dire/ che non a tutti piace/ lo stesso gioco,/ che i tuoi giocattoli/ piacciono anche/ agli altri bimbi/ che spesso non ne hanno,/ perché ne hai troppi tu;/ che i disegni degli altri bambini/ non sono dei pasticci;/ che la tua mamma/ non è solo tutta tua;/ che tutti i bambini/ sono tuoi amici./ E pace è ancora/ non avere fame/ non avere freddo/ non avere paura31.
Quante filastrocche di Rodari rimandano a questa poesia: far sorridere il mondo, non avere freddo, fame, paura, essere tutti lo stesso uomo: 29. G. Rodari, Dopo la pioggia, in Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi, 1960, p. 67. 30. B. Brecht, Per chi sta in alto, in Poesie e canzoni, a cura di R. Leiser e F. Fortini, Torino, Einaudi, 1959, p. 259 (ed. digitale). Espressione forse ripresa dal socialista francese Jean Jaurès: «il capitalismo porta con sé la guerra come la nube porta l’uragano», citato in F. Battistelli, L’interpretazione dei marxisti, in La grande sociologia di fronte alla Grande guerra, a cura di C. Cipolla e A. Ardissone, Milano, FrancoAngeli, 2015, p. 151. Cfr. D. Santarone, Guerra alla guerra, in «L’ospite ingrato», www.ospiteingrato.unisi.it/ guerra-alla-guerra-brecht-e-fortini/. 31. B. Brecht, I bambini giocano alla guerra, in Poesie e canzoni cit., p. 76.
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Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo32 .
1.4. Un poema pedagogico Formatosi all’istituto magistrale negli anni del fascismo, Rodari, come tanti suoi coetanei, scopre nel 1946 la nuova pedagogia che arriva dall’URSS, soprattutto Anton Semenovic Makarenko, che, con il suo Poema pedagogico e i suoi consigli per i genitori, è fondamentale per la formazione di una nuova coscienza educativa nei primi anni Cinquanta33. Nel Poema è centrale il rapporto fra individualità e collettivo: quando Makarenko scrive, infatti, da un lato ha in mente Tolstoj e il suo programma pedagogico improntato sulla libertà, ma, dall’altro, i problemi di gestione di una colonia per ragazzi difficili nella Russia dei primi anni Venti: le riflessioni del maestro Makarenko scavano profondamente nella coscienza di molti maestri italiani che si domandano come tenere insieme quel “fatto nuovo” che è la democrazia e l’educazione delle classi più povere. Educare cittadini, insomma, e non sudditi34. Makarenko si appella alla «co-esistenza, alla com-passione, la collaborazione, ogni tanto il con-flitto. Tale prefisso “co, con” rende forse al meglio l’essenza stessa del Poema ed echeggia l’ideologia gork’iana che sottende tutta l’opera e che possiamo condensare nella massima «un uomo solo, per quanto grande, è pur sempre solo»35. La coralità non annulla il ruolo del singolo «esiste una reciprocità tra “collettivo” e “singolo” che espunge o perlomeno “smussa” l’im-
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32. Rodari, Uno e sette, in Favole al telefono cit., p. 277. 33. Il primo testo di Makarenko tradotto in Italia è: Consigli ai genitori: l’educazione del bambino nella famiglia sovietica, prefazione di G. Berti, trad. di Pietro Zveteremich, Italia-URSS, Noi Donne, 1950. I suoi scritti appaiono prima su «Rassegna sovietica», poi vengono recensiti da «Noi donne» che si occupa di pubblicarli. Così Rodari li conosce e li prende come spunto per redigere il suo Manuale del Pioniere. Cfr. M. Venturini, L’educazione sessuale dei giovani, in «Noi donne», 1950, 42, p. 11. Nel 1952 «Rinascita» pubblica il Poema pedagogico da cui Rodari desume l’importanza della pedagogia del collettivo. Cfr. D. Bertoni Jovine, Recensione a Makarenko, il poema pedagogico, in «Rinascita», 1952, 4, pp. 250-251. 34. M. Lodi, La scuola di fantasia, in Gianni Rodari e la scuola della fantasia, a cura di L. Righetti, Cesena, Società Editrice del Ponte Vecchio-Casalini, 2012, p. 4. Su Lodi cfr. J. Meda, Educare all’umanità, in A&B la parola ai bambini. Storia e attualità di un giornale-progetto educativo ideato da Mario Lodi, a cura di M. Bufano, T. Colombo, C. Lodi, A. Pallotti e E. Platè, Drizzona, Casa delle Arti e del Gioco-Mario Lodi, 2019, pp. 28-33. 35. T. Federovna Korableva, E. Mettini, Scegliere Makarenko, in A. Semënovič Makarenko, Poema pedagogico, a cura di Nicola Siciliani de Cumis, Roma, L’albatros, 2009, p. XI.
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ponenza immanente del tutto sull’uno»36. «Ogni individuo è un mondo a sé: unico, irripetibile, irriducibile. E tuttavia, non si dà problema dell’individuo che si esaurisca tutto nei suoi termini individuali»37. La ricezione di Makarenko in Italia è un capitolo appassionante della storia dell’educazione del dopoguerra, forse solo la Lettera a una professoressa ha provocato tanto fermento e discussioni, non solo a sinistra38. Il Poema diventa presto la chiave di volta su cui i comunisti italiani costruiscono le basi di una critica all’attivismo di stampo deweyano – attivismo che si diffonde nel dibattito pedagogico italiano nei primi anni Cinquanta39. Un attivismo, del resto, di cui si parla molto, ma che si pratica assai poco in classe. Perché, in concreto, nella maggior parte delle scuole si insegna con metodi che vedono nella bacchetta più che nella “libertà del fanciullo” il principale strumento educativo, come raccontano le tirocinanti del professor Aurelio Pace che fa parte della Cooperativa della tipografia a scuola, ovvero del primo nucleo del Movimento di cooperazione educativa: D’Am. La prima volta che la mia compagna ed io siamo entrate in quella classe abbiamo subito notato una riga sulla cattedra. Domandammo al maestro se per caso la usasse. C’è mancato poco che ci dicesse: signorine accomodatevi fuori. Io. A me stesso chissà com’è andata veramente. Devo insistere con queste ragazze perché si comportino come ospiti e non come ispettrici. D’Am. Poi ci ha fatto un discorso: voi signorine, studiate pedagogia filosofia. Altroché! Avete voglia ad applicare la pedagogia, specialmente se andate in campagna40.
36. Ibidem. 37. F. Ferrarotti, Sul Poema pedagogico di A. S. Makarenko, ivi, p. XXI. 38. Ibidem. Cfr. V. Roghi, La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, Roma-Bari, Laterza, 2017, p. 119 sgg. 39. Il dibattito sull’attivismo dopo la Guerra è ben ricostruito. Cfr. M. Galfré, Tutti a scuola. L’istruzione nell’Italia del Novecento, Roma, Carocci, 2017, p. 144 sgg. Cfr. anche L. Canfora, Il sovversivo, Roma-Bari, Laterza, 2019, p. 810 sgg. Sulla svolta del 1955 cfr.A. Vittoria, La commissione culturale del Pci dal 1948 al 1956, in «Studi Storici», XXXI (1990), 1, pp. 135-170. Per una sintesi F. Pruneri, La politica scolastica del Partito comunista italiano dalle origini al 1955, Brescia, La Scuola, 1999. Cfr. il saggio di A. Santoni Rugiu, L’arrivo di Makarenko in Italia: «in un certo senso Makarenko fu usato come arma polemica contro il permissivismo, contro l’educazione naturalistica child centered e contro altre novità pedagogiche per dire: “Altro che attivismo, qui bisogna rientrare nei ranghi e restare sottomessi al quia!”. Naturalmente era un’interpretazione di comodo, così come era una forzatura attribuire il lassismo e anche il lavativismo alla recente versione italica del cosiddetto attivismo pedagogico», in A. Semënovič Makarenko, Poema pedagogico cit. p. XXXIX. 40. Molto interessanti i resoconti delle tirocinanti riportati nei Bollettini dell’MCE. Archivio MCE, Roma. Sul MCE cfr. A. Pettini, Celestin Freinet e le sue tecniche, Firenze, La nuova Italia, 1968; R. Rizzi, Pedagogia popolare: un itinerario di ricerca e azione cooperativa: memoria e identità di un Movimento innovativo di “maestri”: note storiche sul M.C.E., Ortacesus, Sandhi, 2015.
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Cosa dice il Poema pedagogico agli insegnanti che cercano un modo nuovo di insegnare, realistico, utile, di fronte a classi rurali di 35 o 40 bambini che del maestro hanno solo paura? Dice che l’attivismo, la “libertà del fanciullo”, possono essere un’utile prospettiva di fondo, ma che più di tutto occorre un metodo. Anzi, non un metodo, perché questa parola può indurre in errore e far sembrare sempre valido qualcosa che nasce, invece, in un contesto specifico. Più che un metodo servono delle tecniche e un educatore in grado di insegnarle, un maestro41. Su questo punto, forte risuona la voce di Célestin Freinet che Gianni Rodari conoscerà in seguito, grazie all’opera dell’MCE. Freinet insiste su un fatto: nessuno può fare per noi le nostre esperienze, ma l’individuo non può essere lasciato solo nel compierle. Abbandonati a loro stessi i bambini sarebbero costretti a ripetere le stesse esperienze, a ripercorrere strade già percorse da altri, con gli stessi rischi di errore42. Come talvolta le strade di campagna sono provviste di staccionate sulle quali ci si può appoggiare, se c’è necessità, ma che si possono facilmente sorpassare per andare a correre nei prati, così un ambiente educativo non dovrà mancare di quelli che Freinet chiama i «soccorsi barriera», non troppo lontani perché i fanciulli possano appoggiarvisi, non troppo vicini, però, affinché il fanciullo conservi, malgrado tutto, spazio sufficiente per sbocciare. L’adulto serve al bambino come la staccionata: dà un limite ma non ostacola, e soprattutto si può scavalcare. Gianni Rodari preferirà usare la metafora della scala, prendendola in prestito dalla linguistica, ma è evidente che è nel confronto con Freinet e Makarenko, innanzitutto, che matura la sua “idea di infanzia”, come ha scritto Franco Cambi. Un’idea che lo porterà a poco a poco a scrivere veri e propri testi di pedagogia, come gli editoriali per il «Giornale dei genitori», che racchiudono alcune delle riflessioni più belle di Rodari43. Il concreto, nell’educazione, è il bambino: non il progetto educativo, non il programma scolastico, non la tecnica didattica in sé. Sono cose banali, ma ce ne dimentichiamo ad ogni passo, perché ci fa comodo, perché l’idea che la rieducazione continua dell’adulto sia la premessa di ogni attività educativa, è difficile da accettare nella pratica. Essa genera l’impres-
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41. Dal Poema pedagogico, Gianni Rodari trae ispirazione per la scrittura del Manuale del Pioniere: è il 1950, e il testo serve per dare una regola condivisa ai Pionieri d’Italia, sorta di scout comunisti molto attivi nel centro nord. 42. Cfr. W. Benjamin, Programma per un teatro proletario di bambini, in E. Fachinelli, Il bambino dalle uova d’oro, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 158. 43. «Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’è salito)», L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Torino, Einaudi, 1968, pp. 79-82.
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sione che non esistano punti fermi. La sensazione di una scala che sale soltanto, senza possibilità di scendere, senza pianerottoli per riposare. Ma questa è la vita, se non vogliamo illuderci: un lavoro da cui non si può andare in pensione, se non con la fine. Tutto questo potrebbe venire scambiato per un discorso sullo spontaneismo. Invece è proprio il contrario. Chi punta sullo spontaneismo non si preoccupa di aiutare il bambino: gli basta lasciarlo fare, vada dove vada. Puntare sul bambino è diverso, impone attenzione, spirito di servizio, impegno costante a essere, per lui, le cento cose di cui ha bisogno: il compagno di crescita, di gioco e di scoperta, l’animatore, l’esperto, il potere che gli procura gli strumenti che gli servono, l’adulto che lo provoca, gli rivela nuovi orizzonti, nuove direzioni di movimento. Noi siamo i gradini della scala che il bambino sale. Non c’è niente di mistico, in questo. Di fatto siamo quei gradini anche quando non ce ne accorgiamo: allora, s’intende, siamo gradini sconnessi, pericolanti e pericolosi44.
Molte delle questioni poste da Makarenko, comunque, seppur legate a un momento specifico della vita di Rodari, resteranno al centro della sua riflessione fino agli anni della Grammatica della fantasia, come dimostrano i suoi interventi sul modello scolastico di Reggio Emilia, o sulla partecipazione attiva dei genitori alla vita della scuola. Riflessioni che presto si arricchiranno dell’apporto ermeneutico di Vygotski e di Bruner, che Rodari conosce grazie all’amicizia con Loris Malaguzzi45. Sarà, anzi, proprio Malaguzzi, e le “sue” scuole dell’infanzia, a incarnare, per Rodari, la possibilità di declinare democraticamente quella pedagogia del collettivo nata in Unione Sovietica, nelle scuole di Reggio Emilia. E sarà dal confronto con quell’esperienza, oltreché con la pluriennale riflessione di Ada Marchesini Gobetti, che Gianni Rodari partirà per fondare il Coordinamento dei genitori democratici nel 1976. lo credo che proprio qui in Emilia-Romagna, il discorso sulla qualità della scuola sia andato avanti prima che altrove e più avanti che altrove. È un discorso fatto nella scuola per l’infanzia essenzialmente, perché questa era la linea che i Comuni democratici potevano usare, il campo nel quale potevano dare spazio alla iniziativa popolare, ma secondo me la sua importanza va riferita a tutta la scuola. La scuola dell’infanzia creata dai Comuni democratici in Emilia-Romagna a me sembra oggi già la prefigurazione più completa di cui noi disponiamo di ciò che può diventare domani la scuola unitaria di base, la scuola di base degli italiani dai tre ai quattordici anni o ai sedici anni, se la vorremo più lunga46.
44. G. Rodari, Dalla parte del bambino, in «Il giornale dei genitori», 1976, 7, p. 3. 45. Cfr. G. Rodari, La grammatica della fantasia, Torino, Einaudi, 1973, pp. 95-98 e pp. 182-183. 46. G. Rodari, Perché ho dedicato il mio ultimo libro alla città di Reggio Emilia. Conferenza a un anno dagli “Incontri con la Fantastica” (Reggio Emilia, 17 aprile 1974), ora in G. Rodari, Scuola di fantasia, Milano, La Nave di Teseo, 2020, p. 61.
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1.5. Gli usi della parola Un altro filone importante del Novecento che precipita nella poesia di Rodari lo troviamo ancora una volta, ritornando ai primi anni Cinquanta, quando l’interesse per la teoria linguistica, mutuato dai surrealisti, porta lo scrittore ad approfondire lo studio del formalismo: la pubblicazione in Italia delle opere di Vladimir Propp distoglie l’intellettuale comunista dal seguire fino in fondo una via che, comunque, la passione letteraria già gli mostra come troppo stretta, cioè quella del neorealismo, che tenta soltanto nel romanzo Piccoli vagabondi, non a caso da lui mai più ripubblicato 47. Pinocchio è una creazione di pura fantasia. De Amicis, per scrivere il suo Cuore si è documentato nelle scuole torinesi del suo tempo a lungo e con uno scrupolo filologico e pedagogico veramente eccezionale. Pinocchio è di legno; Garrone e Coretti o il Muratorino sono di carne e d’ossa. Ma credo che sarete d’accordo con me se penso che Pinocchio sia cento volte più vivo e più vero dei personaggi di De Amicis. Pinocchio ubbidisce alle leggi delle favole che si costruisce tutta in piena libertà su un dato fantastico liberamente scelto. Per esempio: se Collodi avesse fatto un burattino di pezza anziché di legno, le leggi della sua storia sarebbero state del tutto diverse. Le avventure di Pinocchio nascano in buona parte dal legno con cui è fatto; il De Amicis, invece, ubbidiva ad una ispirazione realistica, documentaria. Eppure troviamo più realtà in Pinocchio (realtà della vita popolare, dell’immaginazione popolare e anche degli ideali educativi popolari di quel tempo); più realtà in Pinocchio dicevo, che in buona parte delle pagine di De Amicis48.
Un punto di vista già chiaro fin dalla lettera che scrive a Italo Calvino nel 1952: «Pinocchio mi sembra un esempio perfetto di favola e un esempio perfetto di realismo: vedo in esso, personalmente, una strada della narrativa non solo infantile. È legittima? È ripetibile?»49. Favola e realismo, non realismo magico, ma qualcosa di nuovo e diverso che attinge, appunto, da Gramsci e da Propp e dagli studi sulle tradizioni popolari che Rodari stesso contribuisce a fondare con i suoi articoli sui canti delle mondine: gli stornelli di Gelsomina
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47. Il recupero del Rodari neorealista di Marcello Argilli coincide con la sua svalutazione del periodo successivo alla collaborazione con Einaudi, una svalutazione che non riguarda solo lui ma anche parte della sinistra radicale. Cfr. Argilli, Gianni Rodari cit., p. 84 sgg. 48. Rodari parla della sua attività di scrittore, dattiloscritto inedito, conferenza tenuta a Ferrara il 25 maggio del 1962. 49. G. Rodari, Caro Calvino, 4 agosto 1952. Cfr. Lettere a don Julio Einaudi cit., p. 3.
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e Vandea, l’articolo in cui riproduce il canzoniere delle mondariso di Bentivoglio, è stato pubblicato su «l’Unità» di Milano il 10 luglio 194950. Quando, nel 1960, inizia la collaborazione di Gianni Rodari con la casa editrice Einaudi, lo scrittore recupera tutto il bagaglio accumulato fino a quel momento e lo sistema all’interno di un’opera destinata a rivoluzionare la letteratura per l’infanzia in Italia, le Filastrocche in cielo e in terra51. Tutto il mondo diventa filastrocca, come aveva scritto Alberto Jacoviello nella prima recensione alle sue rime nel 195152. La parola si pone al centro della sua opera per non spostarsi più: ed è sovvertimento delle regole, è nonsense, tutto in nome di una nuova grammatica della fantasia ancora da scrivere53. «Le parole, nella loro perpetua disponibilità all’uso e all’infrazione dell’uso, sono patrimonio davvero di tutti, non solo di alcuni. Chiunque, con esse, può costruire nuovi mondi e realtà, può disintegrare i presenti. Solo, bisogna imparare a farlo»54. Allora la fiaba diventa indispensabile perché, in quanto luogo di tutte le possibilità, consente all’immaginazione di crescere e, attraverso la parola, contribuire al cambiamento del mondo. Mi arresto sulla soglia, e chiudo questa mia introduzione con la presentazione che Gianni Rodari fa delle sue filastrocche sul mensile «Noi donne», al quale a lungo collabora. Una presentazione che è una dichiarazione di intenti, un punto a capo. Il Rodari che viene dopo sarà approfondito da molti dei saggi presenti in questo volume, ai quali passo il testimone, convinta che per Rodari servano molte voci, molti punti di vista, molti approcci disciplinari. Cari bambini (con i genitori tra parentesi), è molto comodo, per me, presentarvi le mie filastrocche. Se lo facesse un altro potrebbe dirvi che sono brutte, noiose, inutili; e che in-
50. Su Rodari e il realismo magico cfr. P. Boero, Una storia tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari, Torino, Einaudi, 2020, pp. 16-17. Per gli studi etnografici cfr. C. Bermani, O carcerier che tieni la penna in mano. La ricerca sul canto sociale di Gianni Rodari e Ernesto De Martino (1949-1953), Omegna, Edizioni città di Omegna, 1990. 51. Sull’opera rimando a Boero, Una storia, tante storie cit., e bibliografia ivi indicata. 52. A. Jacoviello, Tutto il mondo in filastrocca, in «L’Unità», 19 gennaio 1951, p. 3. «La prima raccolta di poesie è Il libro delle filastrocche, illustrazioni di V. Berti, Toscana nuova, 1950 (di questo libro esiste anche un’edizione, introvabile, pubblicata dal “Pioniere”). Seguono Il treno delle filastrocche, Ed. cultura sociale, 1952; Le carte parlanti, Toscana nuova, 1952 (poi Mursia 1963 Il castello di carte), i due dépliant cartonati Cipollino e le bolle di sapone e Il libro dei mesi, Edizioni di Cultura sociale, 1952. Il Libro e Il treno delle filastrocche sono indubbiamente i due più bei libri che Rodari abbia pubblicato»: Argilli, Quando Rodari era il diavolo cit., p. 35. 53. Cfr. il contributo di P. Sposetti in questo volume, p. 95. 54. S. Gensini, Il cosmo che non tiene, in Leggere Rodari, supplemento di «Educazione oggi», Pavia, Ufficio scuola dell’Amministrazione provinciale, gennaio 1981, p. 73; e T. De Mauro, Al centro sta la parola, in «Riforma della scuola», 1980, 9, p. 10.
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vece di scriverle sarebbe stato meglio che io fossi andato per funghi. Essendo io a parlarne, posso invece dire che le mie filastrocche sono bellissime, divertenti e utili quasi come il pane. Questa è proprio la mia opinione, ed è anche l’opinione di mia figlia: almeno, lei lo dice, e io le insegno continuamente che non si debbono dire bugie. Sono ormai tredici anni che scrivo filastrocche, e ne ho fatte certamente più di cento, e ho un sacco di buone idee per farne delle altre, un po’ alla volta. È difficile farne, in media, più di una al mese, perché l’idea deve essere veramente buona, e a maturare ci mette un pezzo, e poi le righe bisogna sceglierle una per una, fare in modo che non si somiglino troppo, che tutte dicano qualcosa e che le parole formino la giusta musichetta. Inoltre in ogni filastrocca c’è una novità, e certe novità, per saperle e per capirle, non basta leggere il giornale tutte le mattine. Ho fatto molte filastrocche spaziali ed astronautiche, com’era giusto, perché voi siete quelli che andrete sulle stelle: uno sarà ammiraglio di un’astronave, e l’altro radiotelegrafista di bordo e io sarò così vecchio che mi dovrò accontentare di guardarvi a naso per aria, da una panchina terrestre, in qualche giardino pubblico di questo pianeta. Ci sono filastrocche piene di cose moderne: televisori, frigoriferi, frullini, motoscooter; ed anche questo è giusto: le cantilene di una volta saranno belle, ma non sanno andare nemmeno in monopattino. Altre filastrocche parlano di mestieri, di gente che lavora: il lavoro è la cosa più seria che ci sia al mondo, e voi lo sapete meglio di me. Altre insegnano che la guerra è brutta e stupida, e spero che sarete d’accordo anche su questo. La pace bisogna farla prima della guerra, non dopo, quando tutto è andato a pezzi. Suggerendo questa piccola furberia a tutti i governanti di questa terra, non ho fatto che il mio dovere. Ci sono filastrocche allegre e ce ne sono tristi, proprio come nel calendario si incontrano giornate d’oro e giornate nere; ma filastrocche senza speranza non ce ne sono, non le so fare. La speranza e l’erba voglio, secondo me, crescono dappertutto, ai bordi delle strade, nei vasi sui balconi, sui cappelli della gente: basta allungare la mano e volere e il mondo diventerà più abitabile. Già si sa che una volta la terra era tutta sbagliata: c’erano i fiumi e non c’erano i ponti per passarli, c’erano montagne e non c’erano né strade né gallerie, e non c’erano nemmeno scarpe per non pungersi i piedi. Col coraggio e la buona voglia, gli uomini hanno rimediato a tanti errori; ma ne restano ancora parecchi, dovrete dare una mano anche voi a correggerli. Io spero che le mie filastrocche vi facciano venire la voglia di rimboccarvi le maniche. Alle mamme, ai maestri, desidero soltanto dire “grazie”; se avranno la pazienza di leggere le filastrocche ai bambini che non sanno ancora leggere ma che, essendo bambini del giorno d’oggi, capiscono già tutto e anche qualcosa di più55.
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55. G. Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, in «Noi Donne», 9 aprile 1961, p. 3.
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FE LI CE IM PR ES A
QdR / Didattica e letteratura La felice impresa Il contributo creativo e metodologico che Gianni Rodari (Omegna, 1920 - Roma, 1980) ha saputo dare tanto all’universo letterario quanto a quello dell’educazione è stato fondamentale, così come il suo ruolo nell’emancipazione del linguaggio e del pensiero dagli stereotipi e dalle rappresentazioni convenzionali e nello sviluppo democratico dell’Italia del secondo dopoguerra. La proposta rodariana di giocare con le parole, di imparare divertendosi, è il trait d’union di questo volume, che ripercorre e analizza la funzione riformista svolta da Rodari in ambito letterario, linguistico, socio-politico e pedagogico. Vanessa Roghi è una storica e ricercatrice indipendente. Ha studiato la storia della cultura attraverso le biografie di Gianni Rodari e don Lorenzo Milani, sui quali ha scritto La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole (Laterza, 2017) e Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari (Laterza, 2020). Nel 2018 ha pubblicato Piccola città. Una storia comune di eroina (Laterza), una storia culturale del consumo di eroina nell’Italia del dopoguerra: per continuare questa ricerca ha vinto la Bodini Fellowship presso l’Italian Academy della Columbia University per l’anno 2021. Benedetta Aldinucci svolge la sua attività di studio e ricerca presso l’Università per Stranieri di Siena. Oltre ad aver pubblicato vari saggi sulle rime apocrife di Dante, su Giovanni Boccaccio, Ausiàs March e su autori novecenteschi (Nicola Lisi e Margherita Guidacci), ha curato l’edizione critica delle Rime dei poeti trecenteschi Pietro de’ Faitinelli (Accademia della Crusca, 2016) e Jacopo Cecchi (Salerno Editrice, 2019).
ISSN 2385-0914
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€ 10,00 3879 ALDINUCCI, ROGHI LA FELICE IMPRESA LETTURE E COMMENTI DELLE OPERE DI GIANNI RODARI