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I Quaderni della Ricerca
Àncore e ponti La relazione educativa tra memoria e innovazione Giancarla Mandozzi
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I Quaderni della Ricerca
Àncore e ponti La relazione educativa tra memoria e innovazione Giancarla Mandozzi
© Loescher Editore - Torino 2020 https://www.loescher.it/
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Indice
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Guida alla navigazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1. Obiettivi educativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.1. Cogliere e gestire le sfide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.2. Per domani niente compiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2. Scelte strategiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 2.1. Un crogiuolo di illusioni, opinioni, giudizi e app . . . . . . . . . . . . .23 2.2. Innovazione e obsolescenza programmata . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.3. La memoria progetta il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .49 2.4. Contr-addizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .78
3. La quotidianità intenzionalmente dinamica . . . . . . . . . . . . . . . 99 3.1. I protagonisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 3.2. La lezione a quo ad quem . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 3.3. Chi interroga chi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 3.4. Metacognizioniamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 3.5. Imprescindibili risorse di una scuola inclusiva . . . . . . . . . . . . . 168
4. Le soluzioni possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .177 4.1. Qui e ora l’ascolto, la scuola centrata sulla persona . . . . . . . . . . . 177 4.2. Comunicazione efficace in classe, dialogo, strumenti e strategie di PNL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 4.3. Il dialogo interno nella relazione educativa . . . . . . . . . . . . . . . 191 4.4. L’apprendimento, un processo non lineare oltre la nostra zona di comfort . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194
5. Cortocircuiti emozionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 5.1. La superficie e l’iceberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 5.2. Acchiappanuvole consapevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204 5.3. Quel “primo” giorno, ogni nuovo anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207
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Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 Mini bibliografia e sitografia tematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
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Chi educherà gli educatori? C’è una risposta: è che essi si autoeduchino con l’aiuto degli educati. Edgar Morin1
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E. Morin, Insegnare a vivere, edizione italiana a cura di M. Ceruti, traduzione di S. Lazzari, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, p. 80.
Premessa
Fondamento e nucleo privilegiato in questo volume è la complessità del ruolo docente, osservato in alcuni momenti dell’attività didattica particolarmente caratterizzanti, che si sostanziano in tre parole chiave: competenza, creatività, relazione. Disgiunte o in sinergia, innovative o in apnea, competenze creatività e relazioni (tra sistemi e realtà, oltre che intra e interpersonali) hanno caratterizzato e caratterizzano i contesti di riferimento del ruolo docente attraverso il tempo. Mi preme sottolineare che la dimensione temporale e dunque l’operazione di contestualizzazione (da recenti abitudini piuttosto diffuse, progressivamente omessa) come accade per ogni evento e realtà, anche per il ruolo docente, va riconosciuta ed esperita come parte integrante e significante. La complessità di ogni ruolo, e dunque anche del ruolo docente e dell’educatore, implica quanto è stabilito da principi fondativi, norme, consuetudini, realtà effettuali, vari livelli di difficoltà, punti di grande spessore e voragini routinarie, ma, per agirlo, molto altro ancora occorre, e poiché non di asserzioni teoriche ci occupiamo, ma di concrete pro-azioni, di esperienze vòlte a incidere sull’altro e sul contesto di riferimento, considerare il contesto, potente accumulatore di condizionamenti e talvolta condizionabile, si pone come prioritaria condizione. L’evento epocale, imprevisto, pur se non imprevedibile, che abbiamo vissuto agli inizi di questo 2020 e che ha investito le popolazioni del mondo intero, può far sì che tutto cambierà e niente sarà come prima? Allo stesso tempo, è possibile che ci si auguri di tornare alla normalità che regnava prima dell’evento stesso? Per quanto catastrofico e globale, siamo certi che nessun evento, come è accaduto nel passato, anche per i più orribili, è in grado di eliminare tutto il passato e prospettarci un futuro del quale nulla sappiamo se non che sarà diverso dal prima. Dal mese di febbraio, la scuola è apparsa l’istituzione che, sola fra tante, fosse in grado di rispondere fattivamente agli eventi: si è proclamato che fi-
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nalmente il digitale aveva superato ogni diffidente imbarazzo degli operatori della scuola e la DAD, le videolezioni di docenti volenterosi e impegnati hanno raccolto entusiastiche approvazioni. Nel momento dell’emergenza, un’esagerazione positiva forse era d’obbligo per vincere la generale afflizione, ma superata l’emergenza possiamo ancora abbandonarci a simili affermazioni/slogan che, rimbalzando da un nodo all’altro della rete, da un notiziario, al quotidiano, al parere dell’esperto, hanno convinto e contribuito a destabilizzare quella residua capacità di raziocinio che la paura del Covid-19 aveva in noi compromesso? Oggi, crediamo ancora che tutto cambierà o ci impegneremo allo stremo perché si torni alla normalità persa? Davvero ora la nostra scuola è scuola del “dopo Coronavirus”, cioè scuola finalmente digitale, o è già la scuola del futuro? Che tipo di scuola è quella che si definisce come effetto/successione/risultato di un evento esterno da cui è stata coinvolta, evento di per sé inadatto comunque a dare riposte coerenti con il sistema di un ente educativo? E se fosse “scuola del futuro”, di quale futuro? Di quello gestito da robot asettici puntuali esecutori al servizio dell’uomo a essi devoto? O di quello in cui l’uomo conquista la libertà di usare, per condivise finalità educative e di crescita, le più raffinate tecnologie senza farsene mero utente? Eluso il passato, d’improvviso ci scopriamo animatori di futuro. E il presente? Un incontenibile processo di semplificazione è quello che sta provando a ridurre la complessità della nostra condizione umana, del ruolo di docenti e della nostra scuola, ma se la semplificazione è idonea e necessaria per situazioni complicate, non lo è affatto per quelle complesse. In ognuno di noi, come nelle istituzioni che regolano la nostra vita sociale, la dimensione del tempo è evento individuale e collettivo, è l’oggi, ma anche ieri e proiezione di un possibile domani, per ognuno diverso e pur connesso e interdipendente dagli altri: oggi il ricordo del pregresso mi sollecita o mi blocca e in ragione del mio stato d’animo, delle convinzioni che ho elaborato o subìto, intravedo e immagino il futuro. Tra un prima e un dopo, non è possibile stabilire diversità/opposizioni nette o confini invalicabili, e molti restano i reciproci condizionamenti e le complesse correlazioni: il prima sempre contiene in sé, pur nascosti o quiescenti, prodromi in nuce di ciò che sarebbe potuto accadere, tra un’infinità di variabili e ipotesi incontrollabili, e il dopo, che avvinghia e esibisce quegli elementi portandoli sulla cresta dell’onda offrendoci netta percezione che siamo di fronte ad un realtà diversa dalla precedente e nuova, pur da quel prima è condizionato e in ciascuna società umana, in ciascuno di noi, in modo diverso. In questo preciso scivoloso passaggio, in questo presente si gioca “la” sfida
Premessa
più ardita per ciascuno di noi e per la scuola: interconnettere le reciproche dipendenze tra sistemi complessi che, già in relazione, richiedono riconoscimento valoriale tanto alla trasformazione digitale, a nuovi modelli pedagogici, quanto alla prioritaria finalità educativa di rendere autonomo ogni studente, all’elaborazione di nuovi apprendimenti fondati – diversamente non è concesso l’imparare – sul già noto. Qualcosa di veramente extra-ordinario abbiamo vissuto nella recente esperienza: manifestazioni di creatività e competenze di docenti e dirigenti che, in una situazione non programmata, si sono impegnati con determinazione, con entusiasmo, con qualche preoccupazione e pure con alcuni (molti?) slanci di improvvisazione, misurandosi con strumenti digitali a volte mai prima utilizzati, per offrire agli studenti ciò che hanno avvertito come peculiarità ed essenzialità del loro ruolo: la loro presenza, la loro vicinanza, la loro condivisione per riaccendere interessi in bambini, ragazzi e adolescenti, per scuoterli dal torpore di giornate improvvisamente inattive, contaminate da un diffuso clima di paura. Un autentico e condiviso, obiettivamente, per molti, “sorprendente colpo d’ala”. In una situazione di evidente e giustificata incertezza, docenti e educatori hanno avvertito irrinunciabile il dover agire in una realtà improvvisamente trasformata, impegnandosi a dare agli studenti quell’ascolto di cui l’emergenza globale li aveva d’un tratto privati (quanto poco, invece, nel suo complesso, il mondo degli adulti stressati e impauriti si è occupato di come ciascun bambino, ragazzo o adolescente vivesse questa indelebile esperienza, per sostenerlo a che si fissasse nella sua memoria e nel suo animo con qualche alleggerimento e segnali di concreta crescita, non con desolazione). Sono stati momenti importanti per scoprire o ri-scoprire la necessità di competenze digitali e anche relazionali, di flessibilità di proposte, di personalizzazione di percorsi ed esercizi e chi, tra i docenti, ha potuto contare su pregresse esercitazioni o momenti di insegnamento strutturati con una metodologia similare, ha vissuto un minore stress, probabilmente ottenendo migliori risultati per gli studenti. Da questa prima esperienza, la scuola ha ricevuto e accolto una forte positiva sollecitazione; non ha reperito tutte le soluzioni, non può aver sanato tutti i problemi (basti pensare alle difformità di connessione delle scuole nel nostro territorio), ma è più pronta, rispetto al recente passato, a perseguire la sua mission, di scuola delle relazioni, competenze e creatività; scuola che vuole essere aperta al territorio, alle concrete possibilità offerte dalla tecnologia, per la DAD, per alunni con bisogni educativi speciali, BES, DSA, per difficoltà di apprendimento e di comportamento, con l’obiettivo di una scuola che si realizza nella relazione educativa tra docente e alunni, in ogni situazione, in presenza e a distanza, perché ogni studente si senta protagonista
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del proprio apprendimento e viva la dinamica con il gruppo classe come una risorsa. Se l’uso della tecnologia impone necessariamente spazi e luoghi modificati e adeguati alle attività diversificate, individuali, in piccoli gruppi o gruppo classe, ora finalmente è evidente che altrettanto adeguato e attento alle esigenze degli studenti si vorrà rendere conformato l’ambiente esperienziale e relazionale, il setting in aula. La sfida dell’educazione nell’era digitale è certamente la questione dell’accesso alla rete; allo stesso tempo, con identica rilevanza, il digitale, strumento abilitante, connettore e volano di cambiamenti accelerati, divoratore di strumenti in rapida successione e innovativi, richiede con forza contenuti, formazione, accompagnamento, flessibilità, competenze non solo digitali da parte dei docenti. Già dal 2007 il piano PNSD – Piano Nazionale Scuola Digitale – aveva inteso che gli sforzi di digitalizzazione fossero canalizzati “all’interno” di un’idea di innovazione, di scuola aperta e inclusiva in una società che cambia. Nel 2017 Luciano Floridi, invocando l’apertura al digitale come radicale cambiamento del paradigma, definiva una «quarta rivoluzione», dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud, quella di una scuola centrata non più sull’offerta (programmi e orari rigidi, standard uniformi di apprendimento e di valutazione, apparati organizzativi più o meno accentrati) ma sulla domanda (personalizzazione degli itinerari formativi, sviluppo delle soft skills, diversificazione degli stili e dei ritmi di apprendimento degli studenti), una scuola che avrebbe avuto il suo baricentro non nell’insegnante e nell’insegnamento ma nello studente e nell’apprendimento e avrebbe avuto nell’insegnante il regista dei processi di apprendimento di ogni singolo studente2. Se pur raramente perseguita, la centralità dello studente è cardine qualificante e insistito nella normativa scolastica italiana e non da ora. E se osserviamo come viene proposto nella scuola il digitale, abbiamo netta conferma che le tecnologie digitali sono proposte come uno dei più importanti sostegni per la realizzazione dei nuovi paradigmi educativi e mai strumenti atti a sostituirsi al sistema scuola come sistema educante. Persino i più convinti assertori delle aule 3.0, mentre apprezzano entusiasti che finalmente è stato abolito il “se” utilizzare le tecnologie digitali, ed è emerso in tutta la sua evidenza il “come” usarle, pongono quesiti, allertano soluzioni a evidenti problemi legati all’uso del digitale e chiedono che vada predisposto uno scenario metodologico e organizzativo appropriato, che sia
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L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
Premessa
ricreato il clima della classe anche attraverso uno schermo per le lezioni a distanza. I sostenitori e diretti operatori del digitale non negano anche che nell’utilizzo disattento o improprio delle nuove tecnologie possano celarsi problemi importanti; il loro uso, secondo pregresse esperienze, ha indotto una tenace, pericolosa sottovalutazione della funzione pedagogica ed educativa che, è certo, deve restare comunque specificità e ruolo degli insegnanti, dei genitori e della società. Molte esperienze recenti evidenziano che la creatività digitale, proprio in chi ha raggiunto consistenti competenze digitali, sia la grande assente, evidentemente un risultato non desiderato, paradossale eppure facilmente comprensibile, effetto collaterale di un uso improprio delle nuove tecnologie a cui si soggiace compiaciuti, da cui ci si è lasciati plagiare. All’inizio di questo anno scolastico 2020-2021, incerto e confuso, sollecitato a realizzare innovative variazioni di tempi, spazi fisici e virtuali, modalità di relazione in presenza e a distanza, ogni educatore è chiamato a riflettere su come percepisce il proprio ruolo, su come intende agirlo e sulla necessità di una personale integrazione formativa, per portare agli studenti eco di ritemprate risorse; occorre oggi più che nel recente passato, fermarsi a raccogliere e rafforzare le proprie motivazioni interne attingendole da pregresse esperienze e carpirne nuove anche dal mondo esterno. L’ambizioso obiettivo di questa conversazione è che l’adulto che si relaziona con le giovani generazioni – in primis il docente, il genitore –provi il desiderio di mettersi in gioco, di impegnarsi, per meglio affiancare le giovani generazioni a immaginare il mondo come non è ma potrebbe essere, ponendo in sinergia esperienza e innovazioni, competenze sedimentate e nuove.
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Guida alla navigazione
Oltre e più che navigazione nel testo, è navigazione per orientarsi nel complesso ruolo del docente, per ricercarvi il nostro campo di senso, per ritrovare l’equilibrio nel cambiamento. Instabile, continuamente ri-definibile, in divenire e tuttavia essenziale, l’equilibrio tra radici e innovazioni dà conto della nostra libertà, sottraendoci alla dimensione di forzati divoratori del nuovo: è quello stesso equilibrio a cui sentiamo di essere chiamati, oggi con particolare urgenza, come educatori, docenti, genitori, allenatori sportivi, animatori nei centri estivi, maestri di musica, tutti, ciascuno per la specificità del proprio ruolo, tutti coinvolti nella crescita di chi ci viene affidato. È il soggetto che ci viene affidato a guidare questo entusiasmante percorso. Sono gli studenti a suggerirci che cosa e come si aspettano da noi, se ci poniamo in ascolto. È fuorviante, pur se convinzione generale, che la bravura di un docente si misuri sul suo saper spiegare, in realtà pre-requisito implicito nel ruolo; è la capacità di ascolto, declinato nelle diverse forme, che crea una relazione educativa efficace e conforta le scelte metodologico-didattiche più appropriate. Ai docenti della mia generazione è accaduto, con cristallina limpidità alla prima ora di lezione in aula, di prendere consapevolezza che non da ciò che era richiesto dal “programma” occorreva iniziare, ma dai bisogni, desideri, capacità, fragilità di quel numeroso gruppo classe che attendeva da noi segnali di attenzione. Una relazione andava costruita insieme, un centro di attenzione, un senso al lavoro da fare andava insieme creato, perché il motivo per cui noi eravamo lì davanti a quei ragazzi era ed è aiutarli a crescere, utilizzando gli strumenti della disciplina d’insegnamento, l’osservazione, il vivere il presente, l’esercitarsi a distanziarsene per coglierne luci e ombre e potersi immaginare un futuro. Ho continuato – con entusiasmo ogni volta rinnovato nella complicità laboriosa degli studenti, ogni giorno, in ogni attività in aula e fuori – a chiedermi «che cosa sto realizzando per sostenere la crescita di ciascuno di loro?»,
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fino a quando ho deciso di impegnarmi nella formazione dei docenti, perché sentendosi confortati nel loro difficile lavoro potessero portare energia, speranza, positività ai loro studenti. Ogni progetto educativo si fonda sulle affinate competenze comunicativorelazionali del docente, determinanti alla stessa stregua delle competenze disciplinari e digitali. È utile concentrarsi sulla pars construens sostenuta da metodologie coerenti e di verificata efficacia (l’apprendimento collaborativo, la metacognizione, il senso dell’umorismo…): può aiutarci a ri-scoprire e perseguire obiettivi definiti e già condivisi nel rispetto di sé e dell’altro nel reciproco ascolto, ri-conoscendo la centralità dell’alunno in ogni momento della sua esperienza di apprendimento, che avvenga in presenza o a distanza. Molte sono le esperienze positive collaudate da anni in alcune realtà diffuse nel nostro territorio: funzionali sinergie tra scuola-famiglia-territoriocontesto socioculturale, orientate a ridefinizioni continue e in divenire in relazione ai cambiamenti sempre più rapidi, che costituiscono l’humus da cui possiamo cogliere strategie, trarre indicazioni concrete ed entusiasmo, il presupposto per progettare il futuro insieme con rinnovate energie. Sono le esperienze positive che imprimono forza al nostro impegno; è però accaduto, e accade, che della scuola, dei progetti educativi, della crescita, della formazione si voglia analizzare ed evidenziare ciò che non funziona, quello che non c’è e dovrebbe esserci, che non si fa e andrebbe fatto, che non si raggiunge, oggi come ieri e ieri l’altro. Un trionfo, insomma, dell’assenza, della pagina vuota, di ciò che manca nella scuola, nella formazione, nell’educazione, un coro che inevitabilmente ha alimentato qualche sfogo, numerosissime facili quanto generiche lamentele e – è questo il tratto peggiore – un elenco ben dettagliato di giustificazioni, non escluse le auto-giustificazioni. Il risultato ha tradito le pur nobili aspettative: mirare, evidenziando i problemi, a risolverli, di fatto, ha determinato una sorta di implosione delle energie necessarie (e tante ne occorrono) ad agire… È stato spento nel docente il coraggio di provare a correggere cominciando anche da un dettaglio, si è persa la spinta emotiva a condividere un progetto in sintonia con altri, ci si è sentiti accomunati solo da sentimenti di sfiducia e impotenza. Forse avremmo potuto evitarlo, forse altro non occorreva che abilità di problem solving. In questo caso, come in altri, il pragmatismo della programmazione neurolinuistica (PNL, si veda glossario in fondo) è l’assist più corroborante che possiamo immaginarci. Sintetico e sferzante, pur nel sorriso, è Richard Bandler:
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Guida alla navigazione
Nella vita trovi quel che cerchi: se ti concentri sui problemi, avrai in mente i problemi; se ti concentri sulla ricerca di soluzioni, troverai soluzioni. 3
Dai capitoli che seguono, con singolare urgenza imposta dagli ultimi eventi, emergerà che, nell’attività didattica, al docente è costantemente richiesta per agire correttamente ed efficacemente il proprio ruolo una summa di competenze e una creatività, frutto di solide e allenate capacità, prime fra tutte l’ascolto, l’intravedere possibilità e occasioni anche nel momento di crisi, l’osservare e il porsi domande. Saranno domande di ampio respiro, sull’immagine complessiva della scuola, la percezione che ne vive come docente, domande fondanti e fondative del proprio operare quotidiano e sulla necessità dell’innovazione e più ancora sulle modalità con cui essa vada integrata in un sistema scuola inclusivo, sull’accettazione o il rifiuto di contraddizioni e luoghi comuni sulla scuola, sul possibile equilibrio tra memoria e futuro che spetta alla sapiente strategia del presente ricostruire, superando un facile entusiasmo o l’improvvisazione da neofiti. Che le domande restino ben più numerose delle risposte, e soprattutto di risposte univoche, è il positivo segno che, non appena ci coinvolgiamo attivamente nel ruolo di educatore e formatore in relazione all’accelerato cambiamento di studenti, situazioni e contesto, tante sono le possibili strade da percorrere per risolvere o attenuare i problemi, e in ciascuna persiste un tassello di rischio, di possibile insuccesso. La dimensione ricorrente del docente è quella di porsi domande su che cosa e ancor più sul come, su quali modalità efficaci impostare la lezione in presenza o a distanza, sulle prove di verifica, test/questionari da rendere disponibili online per la didattica a distanza o pensati per un riepilogo in aula di un’unità di apprendimento. Ben più che su un dettagliato piano organizzativo, è un interrogarsi sulle proprie competenze disciplinari, metodologiche e relazionali, intra e interpersonali, sulla necessità della propria formazione comunque in fieri, sulla complessità delle relazioni tra contesti diversi e sistemi complessi. Le sue domande sono guida, percorso essenziale per creare in ogni gruppo classe il clima favorevole al processo di insegnamento-apprendimento, coadiuvato da strategie di comprovata efficacia, esercizi di metacognizione, giochi formativi, dinamiche di gruppo, attività di ricerca-azione, per dare forma e senso ad una scuola che risponda ai bisogni delle nuove generazioni e sia parte attiva in sinergia con famiglia-società-territorio. Nei diversi paragrafi sono citate e brevemente descritte modalità concrete
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R. Bandler, A. Roberti, O. Fitzpatrick, Scelgo la libertà, trad. it. G. Fort, NLP Italy, 2010, p. 16.
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e pregresse, già sperimentate, patrimonio didattico di alcune realtà del nostro territorio, che possono essere sostegno valido, confronto, ispirazione per ogni docente, e che attendono di essere personalizzate, modificate o forse rifiutate, ma costituiscono quel pregresso cammino che certamente è autentico rinforzo motivazionale. La storia della nostra scuola, a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, anche sull’uso di strumenti tecnologici e del digitale offre dovizia di esperienze collaudate da cui trarre indicazioni e idee di correttivi migliorativi (i primi corsi di formazione per l’uso del pc per docenti di tutte le discipline della secondaria di II grado risalgono alla fine degli anni Settanta; i laboratori informatici, prevalentemente negli Istituti Tecnici, sono realtà diffusa e operatoriamente attiva dai primi anni Ottanta del secolo scorso; il digitale è entrato con la LIM in aula dal 2008) e il crocevia delle competenze trasversali, della scuola come sistema inclusivo, dell’insegnamento individualizzato e personalizzato, degli strumenti audio video a sostegno degli alunni con difficoltà di apprendimento, sono le voci che già qualificano la nostra casetta degli attrezzi. Fermiamoci a riflettere per raccogliere nuove energie.
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1. Obiettivi educativi
1.1. Cogliere e gestire le sfide L’inclusione e l’innovazione, temi che da qualche anno movimentano il dibattito sulla scuola italiana, sono realtà più che complementari e, in assenza dell’una, anche l’altra è negata. Ma sono realizzabili alla fine di un percorso animato da convinzioni, determinazione, abilità, per rimuovere gli ostacoli che insorgono a ogni piccolo successo. Proposte progettuali qualificate di esperti del settore sono diffuse copiosamente e sperimentalmente saggiate, altre continuano ad affluire. Nelle scuole, a ogni collegio docenti, ai consigli di classe, agli incontri scuola-famiglia e con i responsabili del territorio, nei corsi e laboratori di formazione, l’attenzione è stata concentrata da tempo su queste assolute priorità, insidiate o avvalorate (nelle diverse realtà delle singole scuole) dalle innovazioni tecnologiche e dal digitale. L’aspetto confortante è che le soluzioni proposte a docenti, collaboratori scolastici, genitori, operatori esterni collegati con ruoli diversi al mondo della scuola, strategie, tecniche, eserciziari anche digitali, strumenti compensativi per difficoltà di apprendimento, competenze, aule 2.0 e 3.0 sono realmente percorribili, e possono essere intraprese da un consistente numero di Istituti Comprensivi e Istituti di Istruzione Secondaria. È lecito chiedersi come mai gli esiti del dibattito culturale metodologico e le progettualità siano stati così deboli o inconsistenti, rispetto alle previsioni. Certamente ha influito un dato di fatto: i soggetti chiamati a coinvolgersi – docenti, alunni, genitori, esponenti del mondo del lavoro ecc… – hanno prevalentemente risposto a queste sollecitazioni con atteggiamento sfiduciato e resistente, e l’atteggiamento con cui si affrontano le difficoltà o le opportunità della vita è determinante per raggiungere o mancare gli obiettivi che ci siamo dati. Oggi ne siamo ancor più consapevoli, e dunque ciò che finora abbiamo sentito come non determinante o esagerato muove in noi un entusiasmo e una volontà che si fanno risorsa.
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Le giovani generazioni, anche se lo nascondono gelosamente o a volte con aggressiva ruvidità, oggi più che in passato hanno prioritario bisogno di vedere in azione la convinta tenacia dell’adulto nell’affrontare errori, dubbi, difficoltà e paure. Del modo con cui affrontiamo le prove della vita e del senso che diamo ai gesti della quotidianità, che lo vogliamo o meno, che lo riconosciamo o lo neghiamo, siamo in ogni momento esempio/modello per le nuove generazioni anche e soprattutto quando la relazione con loro è più faticosa, quando sono pronti a ignorarci, quando ai loro occhi siamo gli antagonisti, o quando noi, presi dai nostri problemi, ci allontaniamo da loro tradendo la nostra responsabilità educativa. Noi adulti educatori non abbiamo la libertà di sottrarci al confronto con loro: al nostro ruolo compete di affiancarli e sostenerli anche nel silenzio. A noi è dato il compito di essere quel muretto contro cui possano gettare ogni loro obiezione, un muretto che li salverà dal sentirsi in futuro responsabili, loro e soltanto loro, degli errori commessi. E oggi è assolutamente necessario che ciascuno di noi si ponga domande su se e quanto è stato in grado di essere accanto al giovane, al bambino nei momenti di maggiore generale tensione di questi difficili mesi, perché nel presente, nel qui e ora, si costruisce il futuro, personalizzata integrazione nel cambiamento del nuovo che si nutre di eventi pregressi cognitivi ed emotivi, di quel passato che, proprio nel momento in cui ancora ci pesa e condiziona, può allertare in noi una consapevole memoria esperienziale, così che possiamo vederlo con altri occhi e accettarlo. L’oggi ci ha sollecitato, ci ha forzato a ricondurci a bisogni autenticamente essenziali, e abbiamo ri-scoperto il grande bisogno delle relazioni, delle connessioni plurime e diverse, indispensabili presupposti di integrazione e inclusione. È questa la via per riappropriarci dell’idea di futuro che noi adulti, declassandolo semplicemente a fantascienza, abbiamo sradicato nelle nuove generazioni. Sarà una “modernità diversa” quella verso cui ci stiamo aprendo? Wilhelm Schmid nel 2012 sosteneva già che la ricerca della libertà fine a sé stessa ha prodotto in maniera sempre più evidente il dissolvimento di tutte le connessioni, non riferite al web, che così definisce: Le connessioni della società premoderna e non moderna, pressocché indissolubili e forzose, si frantumano lasciandosi dietro individui singolarizzati e soli. Le connessioni di una tradizione antica, le convenzioni universali, l’etica legata dei valori, la morale che obbligava, diventano storia. L’anonimizzazione moderna e la funzionalizzazione di molte delle connessioni che abbiamo menzionato [religione, politica, ecologia, economia] hanno come conseguenza l’impossibilità “di intravedere un senso” [...]viene distrutta ogni forma di relazione, 18
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le cui connessioni rendevano possibile la vita degli esseri umani e, infine si dissolve anche la relazione del singolo con se stesso.4
Alle domande di senso poste alla modernità del XXI secolo, per ogni situazione, per ogni scelta, per ogni desiderio individuale e collettivo: la risposta può essere soltanto quella di rifondare il senso e riprodurre le connessioni che ne derivano […] con l’obiettivo di dare una forma nuova alla libertà. 5
1.2. Per domani niente compiti Per noi adulti di oggi, la scuola è stata spesso un’efficace alchimia educativa tra autorevolezza e autorità; subìta più che amata, scandita con ritmi di impegno sostenuti e pressanti, illuminati eccezionalmente da momenti attesi allo spasimo in cui l’insegnante pronunciava le quattro magiche parole: «Per domani niente compiti». Provavamo un sollievo che non aveva uguali, una gioia che colorava di ottimismo l’intera giornata, e oggi al ricordo ancora ci emozioniamo. Era la sensazione di libertà autentica, non carpita, che ci rendeva improvvisamente ciarlieri e persino disponibili in casa alle piccole incombenze che solitamente rifiutavamo. La speranza di udire quella frase ci ha aiutato a superare momenti di grande tensione in classe, anche quando non ne avevamo intorno nessun ragionevole indizio. Che quelle parole arrivassero alla fine di una mattinata alla scuola primaria, mentre ragazzini impazienti stavamo per catapultarci fuori, o al suono della campanella alla fine di un’ora di lezione, sudata senza successo, ormai adolescenti, ogni volta la sensazione che abbiamo provato è stata di gioiosa leggerezza, di indefinibile gratitudine e voglia di godersi alla grande quel tempo del pomeriggio inaspettatamente riguadagnato. Nel ricordo, quel momento si addolcisce, commisto a tenerezza rispettosa per la persona del prof o della prof che allora, nel nostro ruolo di alunni, sentivamo autoritario/a e potente, quasi un avversario da combattere; percepiamo solo oggi il tono spento della sua voce mentre ce lo comunicava, perché quelle parole significavano per lui o lei una resa, quasi sempre pronunciata con un sospiro, le spalle incurvate, le braccia tese lungo i fianchi un poco allargate a
4 W.Schmid, L’amicizia per se stessi, Campo dei Fiori, Roma 2012, p. 386. 5 Ivi, p. 386.
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definire un’inequivocabile aria di sconfitta: solo eccezionalmente quella decisione era premio che avevamo meritato sul campo. La scuola che abbiamo vissuto, tenace e condizionante, permane in noi adulti “over anta”, ancora oggi, come parametro di valutazione che configura tuttora il nostro rapporto con il sistema scuola. Dal nostro personalissimo osservatorio siamo inclini a ingigantire o a minimizzare situazioni, problemi, eventi della scuola di oggi con la mente rivolta alla nostra scuola, diventata per noi tout court la scuola, azzerando ogni mutamento e trasformazione che in questi decenni hanno cambiato fisionomia ai soggetti che vi operano e la vivono, al contesto sociale e culturale. Forti di questo nostro radicamento al già noto, a cui fa da sponda la diffusa convinzione che, pur cambiando le generazioni, i ragazzi sono sempre gli stessi in ogni tempo, quando ci è accaduto di cogliere negli occhi degli studenti, esonerati dai compiti domestici per l’indomani, quella stessa gioia, quella soddisfazione che noi abbiamo provato ai nostri tempi, abbiamo provato anche noi una sorta di soddisfazione, a conferma che dunque sì, la scuola non riesce a farsi amare. Eppure, se l’immagine che ciascuno studente ha recepito della scuola è quella di un’istituzione lontana dai suoi interessi che ha attraversato il tempo impermeabile a cambiamenti, a rivoluzioni scientifiche, sociali, culturali, lambendo generazioni così diverse tra loro, è segno evidente che l’errore è riproporre una scuola per uno studente ipotetico, e non reale, con precisi bisogni, desideri, punti di forza e debolezze. Occorrono strategie, strumenti sorretti da tenaci motivazioni per costruire o ri-costruire il contatto con le nuove generazioni, quel tassello fondamentale che a lungo è sfuggito. Ed è accaduto che, nell’isolamento delle loro camerette, durante il confinamento in casa, bambini, ragazzi e adolescenti abbiano mostrato impegno e serietà, compostezza di comportamento durante le videolezioni, e si siano impegnati nell’elaborazione di compiti assegnati attivandosi come era possibile con strumenti digitali e non e con l’aiuto dei familiari. Un segnale inequivocabilmente impegnativo, ennesima sfida da cogliere, in quanto educatori: quando lo studente, qualunque sia la sua età, qualunque sia il compito affidatogli, percepisce che il docente è partecipe della sua situazione, è coinvolto nella sua realtà, non è giudice, bensì sostegno, allora è in grado di offrire il meglio di sé. Se pure, abbiamo constatato che è rimasto immutato il sapore di dovere imposto che il compito a casa ha per lo studente, qualunque esso sia, tanto che neppure un lavoro di ricerca online, un’intervista, un’iniziativa di libera scelta lo invoglia, cogliamolo come un segnale di un’ennesima sfida. Quando lo vediamo attratto, invaghito dal mondo delle app che con frequenza crescente scarica sul cellulare, dai giochi collettivi che prevedono più
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partecipanti e percepiamo come in quella situazione si senta connesso, entusiasta di comportarsi in libertà, ci sta comunicando che cerca di restare in apnea da regole e limiti che rendono problematica ogni sua relazione con l’adulto. Forse non è semplice per l’educatore organizzare una risposta, tuttavia è un chiaro messaggio-invito a che ci rendiamo partecipi del suo mondo, ci coinvolgiamo e impegniamo nella sua realtà, per sostenerlo. Se gli daremo fiducia, da lui la otterremo e allora sarà motivato a realizzare il meglio di sé.
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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 21, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.
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Àncore e ponti Il testo si avvicina all’universo scuola per vederne gli aspetti positivi, non per edulcorare o nascondere i problemi, ma per trovare forza e risorse per contrastarli e superarli, con strategie comunicative e un’educazione cognitivo-emozionale che coinvolga l’alunno quanto il docente. Tre gli ambiziosi obiettivi: riconoscere il valore prioritario delle competenze comunicativo-relazionali dell’educatore; riscoprire il senso del ruolo educativo per vincere le proprie resistenze al cambiamento, ottima strategia per vincere le diverse forme di resistenza dello studente e del gruppo classe; ritrovare l’equilibrio tra radici e innovazioni, per costruire la propria identità, avvicinarsi al proprio sé e sottrarsi alla condizione di forzati divoratori del nuovo. Gli esempi riportati sono di scuola che agisce come sistema/contesto inclusivo, e le situazioni esperienziali sono da condividere con il gruppo classe, resilienti – docente e studenti – alle difficoltà e capaci persino di qualche entusiasmo. Giancarla Mandozzi, già docente di Italiano e Storia nel triennio della secondaria di secondo grado, svolge professione di counselor ad approccio umanistico pluralistico integrato, ed è direttrice scientifica e docente di corsi di formazione e laboratori teorico-esperienziali per docenti, riconosciuti dal MI (piattaforma S.O.F.I.A). Tra le sue pubblicazioni, Insegnare per… apprendere (Erikson), L’adultità è una conquista (Phasar).
€ 14,40
ISBN 978-88-201-3876-9
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