Quaderno della ricerca #76

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I Quaderni della Ricerca

Pratiche filosofiche per lo sviluppo delle life skills

Rebecca Impellizzieri, Annarita Dibenedetto

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I Quaderni della Ricerca 76

Pratiche filosofiche per lo sviluppo delle life skills

Rebecca Impellizzieri, Annarita Dibenedetto

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Ristampe 6 5 4 3 2 1 N 2030 2029 2028 2027 2026 2025 2024 ISBN 9788820139063
3
1. Introduzione: la cornice teorica 7 di Annarita Dibenedetto 1 1 Prendersi cura dei giovani 10 1 2 Pensatori di riferimento 13 2. L’autobiografia ragionata come strumento per la conoscenza di sé 35 di Annarita Dibenedetto 2 1 Che cos’è la consapevolezza di sé 35 2 2 Perché l’autobiografia ragionata 36 2 3 Scheda dell’attività 37 2 4 Suggerimenti per dare continuità 43 3. Pratiche per coltivare l’empatia 45 di Annarita Dibenedetto 3 1 Che cos’è l’empatia 45 3 2 Le origini dell’empatia 46 3 3 Identificazione e immedesimazione 47 3 4 Introduzione al Cine Philo 50 3 5 Scheda dell’attività 1: “Telefono casa”, Cine Philo 51 3 6 Proposta disciplinare: Biologia/Scienze 53 3 7 Scheda dell’attività 2: “La terra sta morendo” 53 3 8 Suggerimenti per il docente-facilitatore 57 4. Il dilemma training: una pratica filosofica per prendere decisioni 59 di Rebecca Impellizzieri 4 1 Perché è importante prendere decisioni ed è, allo stesso tempo, così difficile? 59 4 2 Il dilemma training 60 4 3 Una proposta di dilemma training semplificato per il contesto scuola 62 4 4 Scheda dell'attività 63 4 5 Una proposta di lavoro sulla grammatica italiana: è moralmente accettabile/necessario l’utilizzo dello schwa? 64 4 6 Suggerimenti per il docente/facilitatore 66 5. Il problem solving: dal “metodo per problemi” al problem based learning 69 di Rebecca Impellizzieri
Indice

9.

4 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS 5 1 Una competenza fondamentale per la vita e nei contesti lavorativi 69 5 2 dal metodo per problemi di dewey al problem based learning di Barrows 70 5 3 Il problem based learning a scuola 72 5 4 Scheda dell'attività 73 5 5 Una proposta di lavoro per la materia scienze: “Il mistero della scomparsa delle api” 74 5 6 Scheda dell'attività 74 5 7 Suggerimenti per il docente/facilitatore 75 6. Relazioni efficaci. Il cerchio e la montagna 77 di Rebecca Impellizzieri 6 1 Che cosa sono le “relazioni efficaci”? 77 6 2 Perché le attivazioni del cerchio e della montagna? 78 6 3 Scheda dell’attività 1 – Il cerchio 79 6 4 Scheda dell’attività 2 – La montagna 80 6 5 Suggerimenti per il docente/facilitatore 81 6 6 Musica: il coro come esperienza di “comunità ideale” 81 7. Un modello per la comunicazione efficace: il dialogo socratico 83 di Annarita Dibenedetto 7 1 Che cos’è la comunicazione efficace? 83 7 2 Che cos’è la comunicazione? 84 7 3 Le abilità di meta-comunicazione 90 7 4 Introduzione al dialogo socratico 96 7 5 Scheda dell’attività 99 7 6 Indicazioni per il docente-facilitatore 101
La comunità di ricerca per educare al pensiero critico 103 di Annarita Dibenedetto 8 1 Che cos’è il pensiero critico? 103 8 2 Lipman: Educare al pensiero 104 8 3 antesignani del pensiero critico 105 8 4 educazione come ricerca 110 8 5 La comunità di ricerca 112 8 6 Le fasi della comunità di ricerca 116 8 7 Scheda dell’attività 117 8 8 Indicazioni per il docente/facilitatore 119 8 9 Proposte disciplinari 120
8.
Brainstorming socratico: una pratica filosofica per allenare il pensiero creativo 123 di Rebecca Impellizzieri 9 1 Che cos’è la creatività? 123 9 2 Il pensiero creativo 124
5 Ind IC e 9 3 Il brainstorming socratico 126 9 4 Scheda dell’attività 126 9 5 Indicazioni per il docente/facilitatore 127 9 6 Una proposta disciplinare: storia dell’arte 128 10. Esercizi spirituali per la gestione delle emozioni 131 di Annarita Dibenedetto 10 1 Che cosa si intende per “gestione delle emozioni”? 131 10 2 Ci vuole esercizio per gestire le emozioni 132 10 3 Le emozioni sono generate dalla nostra visione del mondo 134 10 4 Scheda dell’attività 1: I miei lager 138 10 5 Suggerimenti per il docente-facilitatore 139 10 6 Scheda dell’attività 2: trasformare il piombo in oro 139 10 7 Scheda dell’attività 3: la praemeditatio malorum 140 10 8 Suggerimenti per la continuità 142 11. Esercizi spirituali per la gestione dello stress 143 di Rebecca Impellizzieri 11 1 Stress e decentramento 143 11 2 Maturare un atteggiamento trascendente 144 11 3 Le filosofie stoica ed epicurea: i nuclei concettuali del “controllo” e del “giudizio” 145 11 4 esercizio spirituale: il bilancio del potere personale 146 11 5 Scheda dell’attività 147 11 6 Una proposta disciplinare per educazione motoria 147 11 7 Scheda dell’attività 148 11 8 Suggerimenti per il docente/facilitatore 149 Bibliografia 151 Appendice. Le linee guida dell’OMS 155 traduzione e adattamento a cura di Sara Rossino educazione alle life skills per bambini e adolescenti nelle scuole 157 Introduzione e Linee Guida per agevolare lo sviluppo e l’implementazione di programmi di life skills . . . . . . . . 157 1. Introduzione alle life skills per le competenze psicosociali 159 La promozione delle competenze psicosociali 159 definizione delle Iife skills 159 Concettualizzare il ruolo delle life skills nella promozione della salute 162 Promuovere l’insegnamento delle life skills 163 educazione alle life skills 164 Identificare una strategia ottimale per l’educazione alle life skills 165 Sviluppo di programmi di life skills 166 Bibliografia 168
6 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS 2. Linee guida: sviluppo e implementazione di programmi di life skills 169 2 1 Sviluppare un’infrastruttura di supporto alle life skills 169 2 2 formulazione di obiettivi e strategie per lo sviluppo di programmi di life skills 172 2 3 Progettazione di materiali per programmi di life skills 177 2 4 formazione dei formatori per le life skills 183 2 5 attuazione di un programma di life skills 185 2 6 Mantenimento di un programma di life skills 187

1 Introduzione: la cornice teorica

di Annarita Dibenedetto

Uno degli intenti fondamentali di questo Quaderno della Ricerca è quello di promuovere – mediante le life skills – il benessere scolastico, per contrastare il malessere1 in aumento confermato da studi recenti. Indicativo di ciò è, ad esempio, il rapporto Unicef del 2021, La condizione dell’infanzia nel mondo. Nella mia mente: tutelare la salute mentale, incentrato sull’analisi dello stato di salute mentale di bambini, adolescenti e di chi se ne prende cura. Il dato che emerge è allarmante:

quasi 46 000 adolescenti si tolgono la vita ogni anno: più di uno ogni 11 minuti Il che fa del suicidio una tra le prime cinque cause di morte per questa fascia d’età, e nell’europa o ccidentale fra gli adolescenti dai 15 ai 19 anni è la seconda 2

Un dato che richiede che gli investimenti in tema di salute aumentino, in maniera coerente al paradigma bio-psico-sociale propugnato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che definisce la salute «una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità».

La crisi pandemica, in particolar modo, ha causato un’impennata nel tasso di malessere percepito tra i giovani, di cui ancora devono vedersi le conseguenze a lungo termine: sempre più ragazzi si dichiarano depressi, incapaci di trovare un orizzonte di senso; sono aumentati i casi di DSA, gli early school leavers, gli episodi di bullismo (anche femminile), oltre ai comportamenti auto-lesionistici anche da parte dei più giovani, sino ad arrivare a un aumento dei casi di suicidio, appunto. Questo quadro fa emergere l’urgenza di

1. Per approfondire la fenomenologia del malessere scolastico, rimandiamo alla lettura di Mal di scuola, La ricerca n° 23, dicembre 2022, anno 9.

2. S. Urbani, Il surf come metafora della salute mentale, in Mal di scuola, cit., p. 8.

7

prendersi cura dei ragazzi da parte di ogni agenzia formativa, partendo proprio da quella in cui passano la gran parte del tempo: la scuola.

Ma cosa intendiamo per “benessere”?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il benessere

esprime la disposizione in cui l’individuo è in grado di sfruttare le proprie capacità cognitive ed emozionali per rispondere alle esigenze della routine quotidiana, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattarsi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni 3

Il presente Quaderno desidera, dunque, presentarsi come tentativo di rispondere all’esigenza di offrire strumenti pratici per aiutare i ragazzi a reperire, sviluppare e allenare proprio queste capacità cognitive ed emozionali, che – in questa sede – verranno declinate come competenze di vita, life skills; tentativo coadiuvato dall’approccio proprio del Counseling Filosofico, che si prefigge di accompagnare le persone al reperimento delle proprie risorse individuali e a tendere alla congruenza tra pensiero e azione. Infatti:

l’individuo raggiunge una condizione di benessere quando si adopera per vivere in conformità con il proprio autentico sé, per condurre un’esistenza «sintonizzata» su ciò che egli è realmente Si percepisce benessere quando ci si impegna nel miglioramento personale, nel tentare di realizzare sé stessi e il proprio potenziale […] Il compito fondante dell’istituzione scolastica consiste appunto nel predisporre le migliori condizioni per favorire la piena e completa realizzazione dell’individuo, consentirgli di raggiungere e mantenere il proprio potenziale all’interno della società, accompagnarlo nel percorso di apprendimento e di sviluppo personale, orientarlo alla conquista di autonomia e responsabilità crescenti (CC nL dei d ocenti, art 26, 19 aprile 2018) 4

Pensiamo che le pratiche filosofiche proposte per allenare le life skills siano un valido strumento per tendere a quanto espresso sopra, proprio perché si fondano – come vedremo – sulla chiarificazione della personale visione del mondo del singolo e sul confronto dialogico – con-filosofante – tra il singolo e il gruppo-classe di cui fa parte.

Per contrastare il malessere imperante e tendere al benessere, si pone sempre più l’accento sullo sviluppo di

quelle competenze che possono essere definite «esistenziali» in quanto ritenute utili per la vita Si tratta di competenze che incidono profondamente sulla

8 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS
3. I.D.M Scierri, Un binomio possibile, in Mal di scuola, cit., p. 12. 4. S. Bacchi, La polvere sotto il tappeto, in Mal di scuola, cit., p. 64.

capacità delle persone di diventare più resilienti e di gestire le sfide e i cambiamenti della vita personale e professionale in un mondo in continua evoluzione 5

Inoltre, in maniera coerente al cambio di paradigma circa le modalità di valutazione – si sta passando, difatti, da una «cultura del testing (“controllo”, “verifica”)» a una cultura «dell’assessment (“valutazione”)»6 –, queste pratiche rispondono al nuovo tèlos chiamato in causa da tale ripensamento, ossia quello di coinvolgere e di rendere partecipi i ragazzi nel processo educativo: partecipazione e coinvolgimento sono proprio i presupposti delle pratiche filosofiche che qui proponiamo per aiutare i giovani a tendere a quel benessere individuale che poi si riversa nel gruppo, nella comunità di cui fanno parte attivamente, proprio come viene propugnato da Matthew Lipman7.

È da questo cambio di prospettiva […] che possiamo iniziare a intravedere il nesso positivo tra valutazione e benessere 8

In tal modo, la valutazione diventa momento fondamentale – non subìto –per l’allievo, il quale potrà viverlo come occasione per allenare le proprie competenze di vita e

per rispondere alle esigenze e alle sfide della vita quotidiana e della futura vita professionale Si tratta di una valutazione che dà valore al processo di apprendimento, che si prende cura del percorso intrapreso dal discente offrendogli gli strumenti per proseguire fino a diventare autonomo nella gestione dell’apprendimento Ciò richiede di pensare alla valutazione come un processo costante, strettamente integrato alla didattica, in cui il docente raccoglie e fornisce informazioni ben al di là delle valutazioni intermedie e finali e coinvolge attivamente gli studenti nel processo 9

Emerge, insomma, anche la funzione ai fini dell’orientamento di queste pratiche basate sull’esercizio delle life skills. Essendo, difatti, queste dei beni indisponibili, si potrà fare affidamento su di loro in una prospettiva di lungo periodo, in quanto strumenti e risorse cui ricorrere in ogni momento critico –come quello di passaggio rappresentato dalla scelta del proprio futuro – dell’esistenza.

5. Scierri, cit., p. 12.

6. Scierri, cit., p. 11.

7. Si veda il capitolo “La comunità di ricerca per educare al pensiero critico”.

8. Scierri, cit., p. 11.

9. Scierri, cit., p. 14.

9 1 In T rod U z I one: L a C orn IC e T eor IC a

Ma la suddetta citazione ci riporta anche a un altro elemento fondamentale cui è chiamato il docente rispetto al percorso che compie accanto ai propri allievi, ovvero quella della “cura”, ideale regolatore cui tendere in questo approccio educativo.

1 1 Prendersi cura dei giovani

La «Cura», mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e cominciò a dargli forma Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove La «Cura» lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto Giove acconsente volentieri Ma quando la «Cura» pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il suo nome Mentre la «Cura» e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo I disputanti elessero Saturno a giudice Il quale comunicò la seguente giusta decisione: «Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che vive lo possieda la Cura Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (Terra) 10

Per “cura” non intendiamo la cura clinica, volta alla diagnosi di patologie, bensì quell’attenzione preventiva che dovrebbe abbracciare l’esigenza dei singoli ragazzi prima che insorgano patologie o altri comportamenti espressione di malessere. Una considerazione globale che li accompagni a conoscersi meglio, a individuare il proprio progetto esistenziale e a orientarsi per reperire le risorse di cui dispongono per tendere a una vita congrua ed eudaimonica. Come uomini siamo consegnati alla cura. Essa ci possiede per il tempo che ci è concesso, e questa favola di Igino riportata da Heidegger dimostra proprio come sia un elemento fondamentale dell’Esserci, ovvero della nostra esistenza; essa è «necessità universale della condizione umana»11. Come possiamo, dunque, affidarci alla cura quando siamo, oggi più che mai, al cospetto della fragilità di cui siamo portatori? Complice il momento storico da cui siamo reduci, abbiamo tutti riaperto gli occhi nei confronti di questo rimosso – la vulnerabilità – di cui il mondo è teatro. La tendenza, nonostante quanto vissuto, è sempre quella di neutralizzare il carattere transeunte e pre-

10. M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi & C., Milano 1976, p. 247.

11. L. Mortari, La pratica dell’aver cura, Pearson, Milano 2022, p. 31.

10 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

cario delle nostre esistenze, mentre – ontologicamente esposti e vulnerabili quali siamo –, dovremmo riappacificarci con ciò che ontologicamente siamo e con il mondo, in cui incontriamo costantemente i nostri limiti.

La cura di cui parliamo in questa sede è da intendersi come “prendersi cura”, rifacendoci al pensiero di Luigina Mortari12 che, da tempo, si occupa di divulgare tale approccio anche nel settore scolastico, poiché laddove vi sono persone vi è necessità di cura. Nel suo Filosofia della cura, la pensatrice distingue tre tipi di “cura”: vi è quella volta alla conservazione della vita (μερίμνα), quella che catalizza la fioritura dell’essere (ἐπιμέλεια) e, infine, la cura riparatrice delle ferite dell’esserci (ϑεραπεία). Fragili quali siamo, emerge dunque l’esigenza di preservare la vita – il mero bios messo a rischio dall’ondata pandemica –, ma anche di riparare ciò che si è spezzato a causa degli urti della vita e, una volta fatti questi passaggi, rivolgere i nostri sforzi ai fini della fioritura della singolarità di cui ciascuno è portatore. Infatti, scrive Mortari,

Concettualizzare la cura come pratica che facilita il fiorire dell’essere significa dirne tutta la potenzialità ontogenetica, ma anche tutta la problematicità, che risulta evidente nell’interpretazione del senso che Mayeroff […] attribuisce all’aver cura, quando afferma che il suo scopo è quello di favorire nell’altro il suo divenire più proprio, ossia «essere sé stessi» L’espressione “divenire sé stessi”, o, meglio, “divenire il proprio poter essere” […] va interpretata nello spazio ermeneutico aperto dell’ontologia relazionale, dove assume il significato di chiamare l’altro a disegnare il profilo unico e singolare del proprio essere nel bel mezzo della tessitura di relazioni in cui il proprio divenire viene annodandosi 13

Ecco perché proponiamo pratiche da attuare – e non mere teorie – all’interno del contesto scolastico, teatro di quella “tessitura di relazioni” sopra menzionata. In quest’ottica, la scuola diviene orizzonte del prendersi cura dei ragazzi, con sguardo rinnovato e consapevole di ciò in cui sono stati gettati. Pandemia a parte, la vulnerabilità è sempre dietro l’angolo, in quanto parte dell’esistenza. È quindi utile accompagnare costantemente i nostri giovani in un processo che consenta loro di continuare a orientarsi facendo ricorso alle risorse di cui sono portatori, per fronteggiare ciò che – ineludibilmente – li metterà alla prova. Le competenze di vita – le life skills oggetto di tale proposta – sono proprio strumenti privilegiati a tal fine, in quanto consentono – a noi come insegnanti e a loro come studenti – di vivere sé stessi e il mondo come

12. Docente di Epistemologia della ricerca qualitativa presso l’Università di Verona.

13. Mortari, cit., p. 36.

11 1 In T rod U z I one: L a C orn IC e T eor IC a

occasione per diventare chi siamo, realizzare la nostra progettualità e avere relazioni in grado di farci sentire riconosciuti e di riconoscere l’altro nel suo imprescindibile valore. La cura è il nutrimento fondamentale dell’esistenza, per questo è importante sviluppare e allenare le competenze di vita. Ma di quale cura parliamo?

Innanzitutto la cura, indipendentemente dal modo in cui si attua, si profila nei termini di una pratica, cioè di un agire che implica precise disposizioni e che mira a precise finalità […] Parlare di pratica significa concepire la cura come un’azione in cui prendono forma pensieri ed emozioni, interrelati e orientati verso una precisa finalità […] n el momento in cui si definisce la cura come un’attività orientata a promuovere benefici per l’altro, risulta, però, riduttivo concepirla come una pratica che troverebbe il suo senso unicamente nel soddisfare bisogni, perché questa definizione implica che l’altro sia sempre in una situazione di dipendenza da chi-ha-cura e siste al contrario una cura, precisamente quella educativa, il cui fine è quello di mettere l’altro nelle condizioni di provvedere da sé ai propri bisogni, rendendolo capace sia di azioni cognitive […] sia di azioni concrete per soddisfare bisogni e realizzare obiettivi La cura educativa può dirsi dunque orientata a promuovere le capacità di aver cura di sé, per essere in grado a propria volta di costituirsi come persone capaci di pratiche di cura per altri n el suo significato più generale la cura può essere definita una pratica che mira a procurare il benessere dell’altro e a metterlo nelle condizioni di decidere e di provvedere da sé al proprio ben-essere 14

Le pratiche di cura sono, dunque, volte a «conservare l’altro nella sua essenza: la custodisce e la coltiva»15. Prendersi cura non vuol dire – precisa Mortari – occuparsi, bensì preoccuparsi:

L’occuparsi è il procurare cose necessarie a conservare, riparare, promuovere la qualità della vita senza un investimento personale, come una serie di mansioni da svolgere […] Il preoccuparsi, invece, è un prendersi a cuore Quando l’aver cura di declina nella forma del prendersi a cuore, l’altro entra nei tuoi pensieri; comporta, quindi, un forte investimento personale sia sul piano del pensiero, perché si tratta di decidere come avere cura, sia sul piano emotivo per il sensibile coinvolgimento affettivo 16

Non c’è alcun intento morale, “buonistico”; si tratta invece di sposare un atteggiamento nei confronti di noi stessi e degli altri, radicato nella consapevolezza della vulnerabilità e della finitudine proprie della condizione umana

14. Mortari, cit., pp. 30-31.

15. Mortari, cit., p. 39.

16. Mortari, cit., p. 43.

12 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

e che, in virtù di essa, può favorire la riuscita della vita, a patto che se ne impostino opportunamente le coordinate. La scuola impegna una parte importante dell’esistenza, può essere tempo di vita, non tempo meramente subìto, così come sarà poi per il lavoro cui si dedicheranno i giovani cui sono destinate queste pratiche. La cura rappresenta l’orizzonte entro cui garantire e preservare costantemente il senso di cui abbiamo bisogno. Secondo alcuni,

Star bene a scuola richiede la costruzione di una comunità I termini «comunità educante», «comunità di apprendimento», «comunità di pratica» […] sono ormai usati come il prezzemolo, ma spesso si tratta di puro nominalismo che nasconde il nulla Costruire comunità richiede riconoscimento delle plurime alterità, […] e costruzione di uno spazio comune in cui esercitare la costruzione del sé nell’interazione con gli altri/le altre Scuola «casa» significa, nel concreto, che lo studente, in particolare alle superiori, può vivere la scuola (gli spazi, i tempi, l’offerta formativa) agendo in prima persona, come soggetto responsabile 17

Le scuole e le istituzioni sono così chiamate a realizzare quella che Luigina Mortari chiama politica della cura Cura di sé, degli altri, delle istituzioni, della natura, del mondo Cura che è sempre relazionale apertura all’alterità, all’inedito Solo così sarà possibile – speriamo – una cultura e una società del beneessere in cui ognuno e tutti possano sentirsi davvero a casa 18

Proponiamo, dunque, un percorso di cui la cura di queste competenze di vita è la protagonista, intesa come cura delle idee, delle relazioni e di sé, come esplicitato nella cornice di riferimento entro cui ci muoveremo per allenare queste skills esistenziali.

1 2 Pensatori di riferimento

La presente proposta di un testo per allenare alle life skills si muoverà all’interno di una cornice di matrice prettamente filosofica . Non scomoderemo, dunque, la psicologia – come spesso avviene in questi casi –, ma andremo ad attingere al grande bagaglio filosofico della tradizione occidentale al fine di “con-filoso-fare”. Sarà una palestra per insegnanti e per studenti, in cui l’attrezzo fondamentale è proprio una concezione nuova e assieme antica della filosofia. Una filosofia viva e appannaggio di tutti, per le ragioni che andremo a scoprire.

Perché questo ossimoro? Per capirlo, dobbiamo introdurre i due nostri

17. A. Tosolini, Scuola uguale casa, comunità, cura, in Mal di scuola, cit., p. 55. 18. Ivi, p. 56.

13 1 In T rod U z I one: L a C orn IC e T eor IC a

pensatori di riferimento: Pierre Hadot e Gerd Achenbach. Entrambi hanno dato alle stampe i loro testi principali – Esercizi spirituali e filosofia antica (1981) e Philosophische Praxis (1984) – a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. In questo periodo, infatti, evidentemente qualcosa si stava smuovendo in Europa a proposito della concezione della filosofia: un’esigenza di una sua risignificazione emerge, e questi due autori vi hanno enormemente contribuito, pur senza contatti diretti. Vediamo in che modo.

1 2 1 Gerd achenbach

La grande filosofia ha da sempre preso la vita più seriamente di quanto la ‘serietà della vita’ non abbia preso seriamente la filosofia. Il suo atteggiamento fondamentale verso la vita era già un peso pieno di rispetto.19

Partiamo da questo pensatore tedesco, in quanto Hadot meriterà un discorso più ampio, essendo il riferimento principale per le pratiche filosofiche che andremo a proporre in questo testo.

Achenbach nasce a Hameln nel 1947. Nel 1981 si laurea in Filosofia presso l’Università di Gießen con Odo Marquard e, nell’anno successivo, lo vediamo già fondare la Gesellschaft für Philosophische Praxis20 (GPP), di cui è stato presidente sino al 2003, quando dà poi vita alla Società regionale per la consulenza filosofica a Bergisch Gladbach, cittadina nei pressi di Colonia in cui ancora risiede. Achenbach insegna anche a Berlino, presso l’Università Lessing e presso la Nordsee Accademia (Leck). È, dunque, un accademico, ma è proprio contro l’accademia che si scaglia per dar vita al rinnovamento della filosofia mediante la Philosophische Praxis. Cosa intende con questa espressione, tradotta in italiano da alcuni con “consulenza filosofica” e da altri con “counseling filosofico”21? Lo spiega nel suo testo del 1984 – La consulenza filo-

19. P. Sloterdijk, Kritik der zynischen Vernunft, Suhrkamp, Frankfurt/M. 1983, pp. 932 e sgg. (citato da Gerd Achenbach in La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita (1984), trad. it. di R. Soldani, Feltrinelli, Milano 2009, p. 92).

20. Società per la Pratica Filosofica.

21. In Italia la Philosophische Praxis è arrivata tra il 1999 e il 2000. Diverse sono state le interpretazioni di questa professione. Originariamente, difatti, tutti i suoi cultori erano raggruppati nella AICF – Associazione Italiana Counseling Filosofico (citata anche nel best-seller di Lou Marinoff Platone è meglio del Prozac) –, che subì una scissione interna causata dalla diversa concezione della pratica filosofica: alcuni suoi esponenti erano fermamente convinti che il suo scopo dovesse essere l’aiuto del consultante, e diedero vita al “Counseling Filosofico”; altri, invece, erano più orientati a intenderla come una relazione dialogica volta alla chiarificazione della visione del mondo dell’ospite, connotando dunque la professione come consulenza expertise (“consulenza filosofica”, appunto).

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sofica –, opera disorganica 22 ma ormai considerata il manifesto di quella che non solo è una nuova (e antica) declinazione della filosofia, ma anche la fondazione di una nuova professione per i filosofi. Non a caso, il sottotitolo recita La filosofia come opportunità di vita .

Il capitolo I23 del libro di Achenbach sembrerebbe promettere una risposta alla domanda suddetta. Tuttavia, in maniera coerente allo spirito anti-accademico che ne connota il pensiero, il filosofo tedesco non fornisce una definizione diretta di cosa sia la Philosophische Praxis, ma ne inizia una sorta di cesellatura descrivendo cosa essa non sia. Innanzitutto, non è una forma di psicoterapia, ma «un’alternativa alle psicoterapie»24. È, dunque, una professione25 rivolta a

persone – afflitte da problemi o preoccupazioni – […] che pensano di essere rimaste in qualche modo «impigliate»; persone che sono assillate da domande a cui non riescono a rispondere e di cui non riescono a liberarsi; persone che […] hanno l’impressione che la loro vita affettiva non corrisponda alle loro possibilità n ella consulenza filosofica si presentano individui per i quali non è sufficiente solamente vivere o semplicemente arrangiarsi, ma che piuttosto cercano di rendersi conto della propria vita, sui contorni della quale […] sperano di fare chiarezza 26

Brevemente, alla consulenza filosofica si rivolgono coloro che «vogliono capire ed essere capiti»27. È un’esigenza esistenziale e personale a muoverli verso questo tipo di supporto e di indagine dentro di sé, al fine di comprendere la propria visione del mondo28, paragonabile a delle lenti che ciascuno di

22. Non è un testo sistematico, bensì una collettanea di conferenze, saggi e riflessioni che Gerd Achenbach ha raccolto per dare un’idea al lettore dei caratteri fondamentali della Philosophische Praxis.

23. Intitolato “Breve risposta alla domanda: che cos’è la consulenza filosofica?”.

24. G. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita (1984), trad. it. di R. Soldani, Feltrinelli, Milano 2009, p. 19. È opportuno precisare come l’intento dell’Autore non sia quello di invalidare completamente la bontà dell’intervento psicologico, bensì sostenere come «il rapporto della consulenza filosofica con la psicoterapia […] è un rapporto di cooperazione e concorrenza. È una relazione dialettica» (p. 143).

25. Il termine tedesco Praxis indica sia la professione sia lo studio in cui il professionista esercita.

26. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., pp. 19-20.

27. Ivi, p. 20.

28. Elemento centrale del Counseling Filosofico, la Visione del mondo è definita come «quella serie di valori, principi, punti di riferimento, leggi, regole, scopi, obiettivi, atteggiamenti verso la vita, che contribuiscono a dare una forma alla nostra esistenza» da Lodovico Berra, psichiatra e counselor filosofico, direttore della SSCF afferente all’ISFiPP. Per l’articolo completo da cui è stata tratta la citazione, rimandiamo a Considerazioni teorico-pratiche sul concetto di visione del mondo (sscf.it).

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noi indossa senza averne contezza; fare un percorso di consulenza filosofica consente proprio di entrarvi, di familiarizzare con tutti gli elementi (valori, princìpi, credenze ecc.) che la compongono. Questa scoperta introspettiva, del proprio sé, viene catalizzata dal consulente filosofico, che – come nuovo Socrate – non insegnerà nulla al suo ospite29, bensì lo accompagnerà in questo processo di chiarificazione della sua visione del mondo fondamentalmente esercitando l’arte del domandare.

Ma ai fini del nostro discorso non interessa tanto entrare nel merito di cosa sia la consulenza filosofica e di cosa faccia, quanto capire a quale tipo di filosofia si faccia riferimento. Essa non è la filosofia degli addetti ai lavori, dei professori universitari; non è un metodo30 ma lavora “sui metodi”31, dice Achenbach. Il suo intento è quello di farla uscire dal “ghetto accademico”32 in cui è stata relegata e che l’ha trasformata in una mera materia di studio appannaggio di pochi che parlano un linguaggio involuto, autoreferenziale, e che si è sempre più sganciata dalla vita da cui essa, invece, nasce. Il filosofo, dunque, non è uno specialista (come lo sono lo psicologo o lo psicoterapeuta, dice l’autore), bensì è «lo specialista del non speciale, […] del particolare e dell’unico»33. Il suo scopo è quello di ridare dignità alla professione di filosofo e alla filosofia stessa. Questa, a differenza sempre della psicoterapia – ormai «degenerata in una forma di imitazione scientifica»34 – è ritenuta superiore «rispetto alle scienze che producono teorie: essa scioglie ogni irrigi-

29. Achenbach definisce Besucher o Gast i suoi consultanti; in altre declinazioni, i consultanti vengono definiti anche come “clienti”, seguendo la tradizione di Carl Rogers e del suo La terapia centrata sul cliente (1951). In tutte le accezioni, ciò che conta è mettere in rilievo il carattere attivo delle persone che si avvalgono della consulenza filosofica nel processo stesso, persone che soffrono per i motivi suddetti, ma che non sono più “pazienti” come nelle relazioni di carattere psic-. Sicuramente, in questo modo, Achenbach ribadisce la sua volontà di differenziare la sua professione da quella psicologica.

30. Peter Raabe – autore di Teoria e pratica della consulenza filosofica (2001) – definisce difatti la Philosophische Praxis di Achenbach “metodo non metodo”, proprio a indicare come il suo modo di intendere questa relazione di aiuto non si fondi su un protocollo riduzionistico di riferimento (come avviene nelle psicoterapie) per interpretare la persona che vi ricorre, bensì sull’apertura che la filosofia sola può garantire, tenendo conto dell’unicità dell’individuo. Nonostante questa volontà di non appartenenza a nessuna metodologia, Raabe giustamente rileva come anche l’intento achenbachiano possa essere considerato comunque un metodo.

31. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 21.

32. Achenbach scrive: «la filosofia che “non è” o “non è ancora” pratica sopravvive in un ghetto accademico, dove ha perduto il rapporto con qualsiasi problema che opprime realmente gli uomini. Questa alienazione, che produce sterilità nella filosofia e assenza di coscienza nella quotidianità, viene superata nella consulenza filosofica” (Achenbach, La consulenza filosofica cit., capitolo 2, “Il filosofo come consulente”, p. 24). Come vedremo, è proprio questo accento sulla “pratica” che preme al nostro discorso.

33. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 22.

34. Ivi, p. 25.

16 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

dimento del pensiero»35. Secondo Achenbach, siamo tutti filosofi – in quanto in grado di pensare:

L’uomo è un essere complesso e per vivere, volente o nolente, deve prendere posizione sulla propria vita Per questa ragione egli produce pensieri Ma non è tutto: l’uomo è anche in grado di riflettere sui propri pensieri e spesso fa uso di tale capacità Che egli sia capace di riflessione sui suoi propri pensieri significa che l’uomo è un essere costituzionalmente filosofante 36

La Philosophische Praxis, quindi, è rivolta a tutti, poiché tutti pensiamo senza esserne consapevoli, dice. Tuttavia – e questo ci distingue dagli animali, ad esempio – «si dimostra necessario un “secondo pensare” […] e cioè un prendere posizione sulle proprie prese di posizione»37. Achenbach non sta parlando d’altro che del pensiero critico, una delle life skills che andremo ad allenare anche grazie al suo apporto. Ogni pratica filosofica che qui proporremo sarà all’insegna del tentativo di nutrire ed esercitare questo “secondo pensare”, che non è altro che la meta-cognizione di cui parla Matthew Lipman38, ad esempio.

La filosofia cui fa riferimento Achenbach è una pratica di vita, ben lontana dalla dimensione in cui si pensa si arrovellino solipsticamente i filosofi: è una filosofia che vive e prende forma dal e nel dialogo39, ossia nel rapporto con l’altro. L’importanza del con-filoso-fare – su cui ci soffermeremo in seguito – è implicita anche nel pensiero di Achenbach, dunque. Citando Novalis, il pensatore tedesco afferma che il seguente dovrebbe essere assunto come motto della consulenza filosofica:

filosofare è deflemmatizzare e vivificare 40

Così intesa, la Philosophische Praxis

è l’inizio di una storia filosofica individuale di esperienza, di comprensione e di cambiamenti di sé, il cui corso è determinato non da mete prestabilite, ma da uno «stato di verità», raggiunto di volta in volta nel discorso 41

35. Ibidem.

36. Achenbach, Philosophie als Beruf, cit., ed. it. Filosofia come professione in La consulenza filosofica, trad. it. di F. Cirri, Apogeo, Milano 2004, p. 30.

37. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 27.

38. Si veda, a tal proposito, il capitolo dedicato al pensiero critico e alla comunità di ricerca.

39. L’importanza del dialogo sarà messa in luce nei capitoli dedicati alla comunicazione efficace e al pensiero critico.

40. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 28.

41. Ivi, p. 31.

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Non dobbiamo, dunque, vergognarci – esorta Achenbach – di essere filosofi, sentimento che spesso pervade i giovani che desiderano abbracciare la Filosofia scegliendola come facoltà universitaria, ad esempio. Perché non dovremmo vergognarcene? Perché, innanzitutto, la filosofia deve essere intesa come vita, in quanto emergente dalla vita stessa (come ben ci spiegherà Hadot); e poi perché la filosofia – proprio in quanto emergente dalle domande che l’esistenza ci impone – non è troppo elevata, non è inaccessibile ai più come spesso si pensa, ma l’esatto contrario: appartiene a tutti, come abbiamo visto. Non dobbiamo dunque intenderla come una «filosofia della pretesa» –scrive Achenbach – «quella filosofia vecchia e tramandata che scopre, amministra ed esegue le verità e poi, una volta che le ha, le impone da farisea agli uomini» 42; bensì dobbiamo pensarla «secondo il concetto di mondo», le cui domande generali «devono poter interessare chiunque» 43 .

Il legame tra esistenza e filosofia è descritto come segue da Achenbach:

non è un pensiero che preme sulla vita […], ma è la vita che preme sul pensiero e indica la giusta strada 44

In maniera coerente a quanto asseriva Marx dicendo «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi differenti, si tratta invece di cambiarlo»45 , la Philosophische Praxis si prefigge di cambiare sì il mondo, ma quello del consultante. Come si può cambiare il mondo del consultante? Lavorando sulla sua Weltanschauung. Essa, quindi,

non è una nuova terapia, essa non è affatto una terapia La filosofia deve diventare pratica, azione comunicativa, esplorazione e organizzazione dialogica dei problemi, critica della «comunicazione distorta» e di ogni «trattamento» 46

La filosofia pratica è quella che concerne la vita, che non si limita a riflettervi, ma che si interroga incessantemente e che aiuta a tendere alla congruenza tra pensiero e azione, tra sé ideale e sé reale, favorendo chi la esercita nella tensione verso un’esistenza autentica. Achenbach dice espressamente che il filosofare è:

un comprendere che mette allo scoperto, ma non scopre;

42. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 43.

43. Achenbach cita W. Schulz, Philosophie asl Beruf, in Philosophie als Beruf, a cura di Schickel, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt/M. 1982, p. 55 (in La consulenza filosofica, cit., p. 44).

44. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 46.

45. Ivi, p. 71.

46. Ivi, p. 76.

18 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

un percepire che guarda dentro le cose senza l’intenzione di vedere attraverso di esse;

un chiarire più che uno spiegare;

un’apertura priva di giudizi che discute il falso ‘senza approvazione né biasimo’;

uno scetticismo verso i soliti procedimenti e, allo stesso tempo, il desiderio di una comprensione che sfugge alla ‘teoria’;

un senso per la contraddizione, non al fine di eliminarla subito o di conciliarla, ma al fine di vedere se non possa essere fruttuosa;

lo sforzo di unire gli opposti o di sviluppare un’armonia da ciò che è disordine;

una concentrazione rilassata, una ponderazione tranquilla, un parlare senza premeditazione, un riflettere senza intenzioni nascoste; l’invito al monologo a diventare dialogo;

il far tacere la vecchia musica, il ‘lasciare in pace’ una tematica logora e il tessere un nuovo filo rosso che sia il movente per andare al di là dell’istante vissuto e che passi attraverso la vita, dandole, così, una direzione e accompagnandola in ogni tempo, modellando il percorso biografico della vita e del cammino della vita 47

Negli anni successivi, Achenbach esplicita ulteriormente il concetto di una filosofia che «deve diventare pratica»; egli, in particolare, individua nella “saggezza pratica” – intesa come arte del saper vivere – la più autentica missione della Philosophische Praxis:

ciò la qualifica come istituzione filosofica, determina i suoi orientamenti, chiarisce quali sono le sue intenzioni, fonda i suoi particolari modi di procedere, rende comprensibili le sue posizioni scettiche nei confronti delle pretese conoscitive teoretiche, illustra i suoi misurati rapporti con i problemi che le vengono sottoposti, prende posizione sulla riflessiva autocomprensione del praticante filosofico e sulla relazione tra lui e il visitatore della Philosophische Praxis 48

La saggezza di cui ci parla Achenbach è quella cui miravano i filosofi greci e romani di età ellenistica, oggetto del prossimo importantissimo testo che andremo ad analizzare per completare questa cornice introduttiva. Nel seguente brano, difatti, troviamo i termini-chiave che approfondiremo nel paragrafo successivo dedicato a Pierre Hadot: “lavoro su sé stessi” e “cura di sé”.

o sserviamo innanzi tutto l’immagine antica ed ellenica dell’essere umano […]; non è infatti solo un principio della Stoa che l’essere umano non è soltanto quell’essere che vive semplicemente, ma è quello che, vivendo, determina la sua esistenza Un tale principio implicava che l’essere umano diviene ciò che

47. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., pp. 79-80.

48. G. B. Achenbach, Zur Weisheitder Philosophischen Praxis, pubblicazione privata, 1997.

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lui stesso decide di diventare, nel momento in cui si impegna in questo scopo e che una vita riuscita è, quindi, il risultato di un lungo lavoro su sé stessi Senza intelligenza, coscienza, comprensione di sé, ma anche senza una certa presa di distanza da sé stessi, senza la ragione e la saggezza dell’esperienza […], l’esistenza è destinata a essere fallimentare o a rimanere povera e insulsa, banale, debole e ridicola…Se si volesse dare un nome a quest’immagine dell’uomo, si dovrebbe allora chiamarla “orgogliosa”, poiché è infatti l’orgoglio dell’essere umano il fatto di dover a sé stesso virtù, valore e cura di sé 49

1 2 2 esercizi spirituali e filosofia antica

Questa mi sembra che sia l’ironia, se non lo scandalo della filosofia del nostro secolo: essa è stata così tanto impegnata con sé stessa da non avere più orecchio per gli esseri umani, con i quali avrebbe potuto imparare a riscoprire i propri problemi come vitali 50

Abbiamo già detto come, nei primi anni Ottanta dello scorso secolo, si fosse avviata una risignificazione della filosofia, nel tentativo di ripristinarne il contatto con l’esistenza. Sicuramente le filosofie ellenistiche oggetto dell’opera di Pierre Hadot «hanno orecchio per gli esseri umani» e rappresentano l’esempio dello spirito originario che si vuole ripristinare nella filosofia attuale, proprio com’era nell’intento della proposta antica e assieme nuova di Achenbach.

Esercizi spirituali e filosofia antica si apre con una Prefazione che non lascia dubbi sul tipo di Filosofia di cui tratterà. Scrive, difatti, Hadot:

La filosofia non è la costruzione di un sistema, ma la ferma decisione di guardare ingenuamente in sé e intorno a sé […], dunque ho sempre inteso la filosofia come una metamorfosi totale della maniera di vedere il mondo e di essere in esso 51

Essa, dunque, non è una fredda materia o la raccolta di concetti astrusi di persone ormai morte, senza alcuna attualità, bensì consta di

esercizi spirituali che l’autore pratica egli stesso, e fa praticare al suo lettore Sono destinate a formare le anime hanno un valore psicagogico 52

49. G. B. Achenbach, Il libro della quiete interiore, trad. it. di R. Soldani, Apogeo, Milano, 2005, pp. 30-31.

50. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., p. 119.

51. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica (1981), trad. it. A. M. Marietti, A. Taglia, Einaudi, Torino 2005, p. IX.

52. Ibidem.

20 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

Come l’Autore esprime nella ἐπίδειξις53, tenuta al Collège de France nel 1983, queste filosofie ellenistiche – diffusesi dall’unificazione dei territori conquistati sotto l’impero di Alessandro Magno – hanno plasmato il pensiero occidentale, senza che se ne abbia spesso contezza. Molti dei suoi insegnamenti sono confluiti, rileva Hadot, in modi di dire, metafore, espressioni cui fa riferimento il senso comune e cui le persone informano la loro vita. Per questo vale la pena riscoprirle nel loro valore originario, anche per capire come esso possa essere diverso rispetto alle interpretazioni cui siamo soliti. Hadot è stato un grande studioso di filosofia antica, le cui opere – a suo parere – non erano composte per esporre un sistema, quanto per «produrre un effetto formativo: il filosofo voleva far lavorare lo spirito dei suoi lettori o ascoltatori perché si ponessero in una certa disposizione!54: Questo intento, scrive Hadot, è particolarmente osservabile nelle scuole di filosofia ellenistiche, che:

lo dichiarano esplicitamente: per loro la filosofia è un «esercizio» ai loro occhi la filosofia non consiste nell’insegnamento di una teoria astratta, […] ma in un’arte di vivere, in un atteggiamento concreto, in uno stile di vita determinato, che impegna tutta l’esistenza L’atto filosofico non si situa solo nell’ordine della conoscenza, ma nell’ordine del «Sé» e dell’essere È una conversione che sconvolge la vita intera, che cambia l’essere di colui che la compie Lo fa passare dallo stato di vita inautentica, allo stato di vita autentica, dove l’uomo raggiunge la coscienza di sé, la visione esatta del mondo, la pace, la libertà interiori 55

Ma cosa sono, dunque, gli esercizi spirituali? Bisogna dare eguale importanza sia al sostantivo sia all’aggettivo che va a connotarlo. Difatti “esercizio” introduce proprio ciò che ci preme ai fini di questa opera sulle life skills, ossia allenarle. Come scrive Arnold I. Davidson,

n on ci viene proposta qui una nuova teoria metafisica, poiché gli esercizi spirituali sono proprio degli esercizi, cioè una pratica, un’attività, un lavoro su sé stessi, qualcosa che si potrebbe definire come ascesa di sé 56

Si nota come qui ritornino i termini-chiave messi in evidenza a proposito di Achenbach: “pratica”, “lavoro su sé stessi”. “Esercizio” vuol dire proprio

53. “Lezione inaugurale”. Termine usato da Hadot stesso al termine della stessa presso il Collège de France.

54. P. Hadot, La philosophie comme manière de vivre. Entretiens avec Jeanne Carlier e Arnold I. Davidson, Albin Michel, Paris, 2001, p. 102.

55. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., pp. 31-32.

56. Ivi, Prefazione, p. XII.

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questo: il greco ἄσκησις non era traducibile nel corrente “ascesi”, inteso come astinenza completa da tutto ciò che riguarda il mondo e la carne; bensì è un esercizio strettamente contestualizzato al mondo e alla carne:

Per i filosofi dell’antichità, il termine ἄσκησις indica unicamente […] un’attività interiore del pensiero e della volontà 57

Per quanto riguarda “spirituali”, sempre Davidson racconta come Hadot avesse scartato altri aggettivi prima di optare per questa caratterizzazione degli esercizi: non scelse “morali” perché il significato che desiderava dare agli esercizi ne sarebbe stato impoverito, dando inoltre l’idea che si trattasse di una sorta di codice di buona condotta; “intellettuali” li avrebbe invece resi relativi al mero esercizio razionale. Scelse, dunque “spirituali” perché

permette di fare capire […] come tali esercizi siano opera non solo del pensiero, ma di tutto lo psichismo dell’individuo58 L’espressione include pertanto il pensiero, l’immaginazione la sensibilità e la volontà 59 e quindi la denominazione ‘esercizi spirituali’ è in ultima analisi la migliore poiché sottolinea come si tratti di esercizi che impegnano tutto lo spirito 60

La complessità dell’essere umano – ciò che Hadot intende con “psichismo” – è dunque un connubio di pensiero, immaginazione, sensibilità e volontà. Queste le caratteristiche di ciascun individuo che, mediante l’esercizio delle life skills, verranno coinvolte, dando vita – come nell’intenzione di Hadot – a una plasmazione di esistenza, a facilitare un nuovo modo di vivere. Perché questo sono gli esercizi spirituali dei filosofi ellenistici:

sono «esistenziali» poiché sono dotati di un valore […] che riguarda la nostra maniera di vivere, il nostro modo di essere nel mondo; essi sono parte integrante di un orientamento nel mondo, […] che esige una trasformazione, una metamorfosi del sé 61

Hadot crede, quindi, in quella concezione antica della filosofia che deve essere ripristinata ai fini di quest’ottica autopoietica da parte di chi la pratica, ossia una filosofia che si distingue dal “discorso filosofico”. Questo è la versione stoica di ciò che Achenbach aveva definito «filosofia secondo il con-

57. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit , p. 71.

58. Ivi, p. 30.

59. Ivi, Prefazione, p. XIII.

60. Ibidem.

61. Ibidem.

22 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS

cetto di mondo», quella che è stata confinata nel ghetto accademico e che nulla dice delle «domande generali devono poter interessare chiunque». Il pensatore francese spiega bene questa distinzione fondamentale avvalendosi del pensiero stoico, che divideva il discorso filosofico in tre parti: logica, fisica ed etica. Ma la filosofia veniva da loro – e dagli altri filosofi ellenistici –intesa come

un atto unico che consiste nel vivere la logica, la fisica e l’etica allora non si fa più la teoria della logica, ossia del ben parlare e del ben pensare, ma si pensa e si parla bene, non si fa più la teoria del mondo fisico, ma si contempla il cosmo, non si fa più la teoria dell’azione morale, ma si agisce in maniera retta e giusta 62

In un altro suo testo – La filosofia come modo di vivere (1995) –, Hadot riassume in maniera emblematica ciò che gli esercizi spirituali sono per lui e che tipo di filosofia vogliano incarnare:

Il discorso sulla filosofia non è la filosofia […] Le teorie filosofiche sono al servizio della vita filosofica […] n ell’epoca ellenistica e romana la filosofia si presenta dunque come un modo di vivere, come un’arte della vita, come una maniera di essere In effetti la filosofia antica aveva questo carattere, almeno a partire da Socrate […] La filosofia antica propone all’uomo un’arte della vita, mentre al contrario la filosofia moderna si presenta anzitutto come la costruzione di un linguaggio tecnico riservato a specialisti 63

Se si rivolge alla vita, allora si vede come la filosofia sia pertinenza di tutti, proprio perché tutti siamo immersi nella vita: Achenbach e Hadot sono unanimi nella volontà di ripristinare lo statuto ontologico di un esistenziale (la filosofia) destituito della sua dignità proprio a opera della deriva moderna che ha subìto, trasformandosi in mero “discorso filosofico” destinato a un’élite. In Che cos’è la filosofia antica? (1995), Hadot spiega come tutti i filosofi corrano il rischio di limitarsi al loro mero discorso filosofico, ossia alla loro sovrastruttura di pensiero, senza preoccuparsi di accordarlo con la vita. Ciò che preme al pensatore francese è, insomma, che il filosofo sia coerente, che ciò che pensa sia congruo rispetto a ciò che fa:

Tradizionalmente, coloro che sviluppano un discorso in apparenza filosofico senza cercare di metter la loro vita in rapporto con il discorso, e senza che il

62. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., p. 158.

63. Hadot, La filosofia come maniera di vivere, trad. it. di A. C. Peduzzi, L. Cremonesi, Einaudi, Torino 2021, p. XX.

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loro discorso derivi dalla loro esperienza e dalla loro vita, vengono chiamati «sofisti» dai filosofi 64

Il mero sapere filosofico – il discorso filosofico – non basta, dunque, a sé stesso e non può mai prescindere dalla scelta di vita. I filosofi ellenisti incarnano proprio quella coerenza che interessa Hadot, in quanto vivono filosoficamente e «il discorso si integra nella loro vita filosofica. […] Per loro la filosofia in quanto tale è prima di tutto una forma di vita, non un discorso»65. Vita e pensiero si tengono per mano, secondo Hadot:

In fin dei conti, scelta di vita e maniera di vivere, esercizi spirituali, discorso psicagogico che ci trasforma sono i tre elementi essenziali della visione della filosofia negli scritti di h adot 66

Nella conclusione della Prefazione, Davidson sembra voler asserire implicitamente la coerenza tra discorso filosofico e filosofia che lo stesso Hadot incarna:

Leggendo questi testi di scopre uno stretto nesso tra hadot storico della filosofia e h adot filosofo L’idea di esercizi spirituali può fungere da griglia di interpretazione per rileggere la storia del pensiero in modo che ci permetta di afferrare le dimensioni filosofiche di quei pensatori che di solito sono lasciati nell’ombra dalla rappresentazione tradizionale della storia della filosofia Tutti coloro che esigono un lavoro su sé stessi e una trasfigurazione della visione del mondo possono essere considerati filosofi, come si constata già in epoca antica Perciò nell’ottica di hadot la filosofia non è soltanto una disciplina accademica, ma una pratica che riguarda quanti di noi hanno voglia di vivere una vita pensata e meditata, una vita messa alla prova […] n essuno ha capito meglio di hadot l’importanza del rapporto fra la storia della filosofia e la filosofia stessa 67

Quand’è che la filosofia si è staccata dall’esistenza, limitando così la propria natura?

64. P. Hadot, Che cos’è la filosofia antica?, trad. it. E. Giovanelli, Einaudi, Torino 2010, p. 169.

65. P. Hadot, La philosophie antique: une éthique ou une pratique, in Études de philosophie ancienne, Les Belles Lettres, Paris 1998, p. 228.

66. A. I Davidson nella Prefazione a Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., p. XV.

67. Ivi, pp. XVI-XVII.

24 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS
1 2 3 Lo scisma tra filosofia e vita

Hadot e Achenbach concordano sul momento di questo scisma. Per il pensatore tedesco coincide con l’avvento della Scolastica:

Sorge […] una gnosi filosofica: il rifiuto dell’empirico e del sensibile, un sospetto verso il corpo e i suoi bisogni; un intelletto taciturno, asociale, non capace di dialogo comincia filosoficamente a diventare monologo; la ragione si ritira in se stessa, in clausura; lo spirito – fino a quel momento arguzia e intelligenza, saggezza e ingegnoso maestro nell’arte di vivere, pensatore, speculante e mitologo, inventore e narratore, una dialettico soprattutto – indossa la tonaca e diventa ‘spirituale’68 In breve: la filosofia sale in cattedra e diventa rigorosa, precisa, erudita, elitaria e privata del mondo e il filosofo diviene docente Che sia stato il Medioevo ad aver coniato quel contrasto con estrema radicalità è noto n ei monasteri, nei penitenziari del pensare e dell’argomentare disciplinato, […] il pensiero filosofico perse la sua antica mondanità e la sua connessione sensibile con gli individui che filosofeggiano n on solo la corporalità […] divenne oggetto di censura, ma allo stesso tempo le mura di cinta del terreno monastico fecero sì che lo studio delle Sacre Scritture […] progredisse in un ambiente […] che escludeva ogni distrazione causata da un ingranaggio mondano troppo umano Così divenne attiva la successiva sterilizzazione, cioè la sua ‘razionalizzazione’, come pretesa di validità senza contraddizioni […] Questo fruttuoso lavoro di negazione, […] la purga dall’empirico e dal particolare, era la condizione di produzione dello spirito scolastico omogeneizzato […] La filosofia si mise contro la finitezza 69

Riprendendo Hegel, Achenbach asserisce come nel pensiero greco l’umanità fosse ancora intesa nella sua globalità, fatta di corpo e spirito, per cui il filosofo si interessava a ogni suo aspetto, alla vita tout-court; mentre nel Medioevo assistiamo alla creazione di due tipi di mondi: il “regno della vita” e il “regno della morte”. Il primo era vano, al limite solo propedeutico rispetto al “vero” mondo, il secondo; l’autenticità dell’esistenza non era nel dominio dell’aldiquà, bensì dell’aldilà. Ne deriva un atteggiamento di contemptus mundi e di rimando della propria realizzazione nella dimensione ultra-terrena. La grecità, invece, si colloca nel solco dell’aldiquà: divieni ciò che sei nel qui e ora.

Hadot, d’altra parte, non fa che concordare con questa interpretazione, approfondendone le ragioni mediante una sorta di fenomenologia del modo di intendere l’ἄσκησις. Abbiamo visto cosa fosse per il pensiero ellenistico, ma dobbiamo ora vedere come esso sia stato stravolto una volta confluito nel

68. Qui sì che, a differenza dell’accezione che Hadot dà all’aggettivo “spirituale”, esso significa “religioso” o “teologico”. È curioso notare come, pur asserendo la stessa cosa, si avvalgano di questo aggettivo in maniera diversa.

69. Achenbach, La consulenza filosofica, cit., pp. 150-15.

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pensiero cristiano, dove “spirituale” connota un tipo di esercizio che è sì “religioso” o “teologico”, ovvero proprio quella sfumatura morale che Hadot non voleva conferire agli esercizi denominandoli “spirituali”:

È vero che l’esercizio spirituale cristiano assume un nuovo significato a causa del carattere specifico della spiritualità cristiana, ispirata insieme dalla morte di Cristo e dalla vita trinitaria delle persone divine Ma parlare di semplice «esercizio morale» per indicare gli esercizi filosofici dell’antichità equivale a ignorare l’importanza e il significato di tale fenomeno d unque hanno un valore non solo morale, ma esistenziale n on si tratta di un codice di buona condotta, ma di una maniera di essere […], si tratta di esercizi che impegnano tutto lo spirito […] Qui esamineremo piuttosto la ricezione nel cristianesimo dell’ἄσκησις nel senso filosofico del termine 70

Hadot afferma, difatti, che l’assimilazione impropria del concetto di ἄσκησις sia imputabile al fatto che – a un certo punto della storia del pensiero – il cristianesimo sia stato presentato non come una filosofia, bensì come la filosofia. Questo movimento è iniziato – a suo parere – con i padri apologisti, e ha fatto sì che “i filosofi greci” fossero considerati come in possesso solo di «particelle del Logos, mentre i cristiani sono in possesso del Logos incarnato in Gesù Cristo. Se filosofare è vivere conforme alla legge della ragione, i cristiani filosofano perché vivono conforme alla legge del Logos divino»71.

Il fenomeno di assimilazione tra cristianesimo (di cui Hadot non vuole negare l’importanza e l’originalità) e filosofia ha fatto sì che gli esercizi spirituali confluissero nella tradizione cristiana, come testimoniato – ad esempio – dagli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, di cui parla lo stesso Hadot. È interessante notare come il filosofo francese dica che gli esercizi spirituali abbiano portato anche nel cristianesimo un certo modo di vivere; ma questo è stato possibile solo perché la filosofia che ne era alla base – quella ellenistica appunto – «era già anzitutto un modo di essere, uno stile di vita»72 .

Le conseguenze estreme di questa contaminazione tra pensiero greco tardo antico e cristianesimo sono state ben descritte da Michel Foucault, con cui Pierre Hadot ebbe uno scambio interessante, che fa emergere punti di divergenza e di convergenza73 tra i due nel loro modo di concepire la filosofia pratica ellenistica.

70. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., pp. 70-71.

71. Ivi, p. 72.

72. Ivi, p. 73.

73. Per quanto riguarda il raffronto tra Hadot e Foucault, sono debitrice a Michele Di Bartolo, studioso di questi pensatori, che mi ha permesso di leggere un suo lavoro di prossima pub-

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1 2 4 Cura sui tra esercizi spirituali e tecniche del sé

L’ultimo capitolo degli Esercizi spirituali – intitolato “Riflessioni sulla nozione di cultura di sé” – è presentato da Hadot come tentativo di «alimentare un dialogo che, sfortunatamente, la morte prematura di Michel Foucault ha troppo presto interrotto»74. Entrambi i pensatori francesi, infatti, si erano ritrovati in accordo sulla concezione della filosofia antica come arte/stile/maniera di vivere, così come sul rilevare il ripiego della filosofia sul mero discorso teorico. Soprattutto erano d’accordo sul fatto che il cristianesimo avesse «ripreso per parte sua alcune tecniche di esercizi spirituali praticate nell’antichità»75. Quindi, troviamo una continuità di interpretazione sul momento in cui la filosofia si sarebbe dimenticata della vita tra Achenbach, Hadot e Foucault. Quest’ultimi due si pongono quasi la stessa domanda:

Che cosa ha fatto sì che, malgrado tutto, una nozione come quella di epimeleia heautou (cura di sé) sia stata a tal punto trascurata nel modo in cui il pensiero e la filosofia occidentali hanno ricostruito la propria storia? Come è stato possibile che sia stato così privilegiato, che sia stato attribuito un così grande valore e destinata così tanta intensità al “conosci te stesso”, e che sia stata invece accantonata, o comunque lasciata nella penombra una nozione come quella di cura di sé, che di fatto […] sembra aver invece contenuto e inquadrato, da principio, il “conosci te stesso”, nonché essere stata il supporto di tutto un insieme, in ogni caso estremamente ricco e denso, di nozioni, di pratiche, di modi di essere, di forme di esistenza, e così via? 76

Così scrive Foucault, ricordando molto ciò che lo stesso Hadot scrive:

Se la filosofia antica legava così strettamente discorso filosofico e forme di vita, come può succedere che oggi, nell’insegnamento consueto della sua storia, la filosofia venga presentata innanzi tutto come un discorso, che si tratti di un discorso teorico e sistematico o di un discorso critico, senza rapporto diretto, in ogni caso, con il modo di vivere del filosofo? 77

Nonostante ciò, Hadot riteneva che Foucault avesse collocato la divaricazione tra filosofia e vita con l’avvento del cartesianesimo. Ciò è vero, ma sicublicazione. Per approfondire temi affini, si rimanda al suo saggio Arti della memoria e cura di sé, pubblicato sulla rivista «Le voci di Sofia» (2023).

74. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., p. 169. Michel Foucault, difatti, muore nel 1984.

75. Ibidem

76. M. Foucault, L’herméneutique du sujet: Cours au Collège de France (1981-1982), Seuil-Gallimard, Paris 2001, ed. it. L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), trad. it. M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2016, p. 14.

77. P. Hadot, Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, trad. it. E. Giovanelli, Torino 2010, p. 242.

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ramente l’autore dell’Ermeneutica del soggetto rintracciava anche nel Medioevo un momento apicale di questa scissione. Infatti Foucault parla proprio di un “cuneo” che si è interposto tra logos e bios, ben precedente a Cartesio:

La rottura non è avvenuta il giorno in cui d escartes ha stabilito la regola dell’evidenza, o scoperto il cogito, e così via Il lavoro per disgiungere da un lato il principio di un accesso alla verità destinato a realizzarsi nei termini del solo soggetto della conoscenza e, dall’altra, la necessità spirituale di un lavoro del soggetto su sé stesso, che si trasforma e che attende l’illuminazione e la propria trasfigurazione dalla verità, era iniziato già da molto tempo […] Un cuneo era stato collocato tra i due elementi, ormai da molto tempo Ma dove bisogna cercare questo cuneo… forse dal lato della scienza? niente affatto d obbiamo piuttosto cercarlo dalla parte della teologia La teologia […] istituiva […] il principio di un soggetto conoscente in generale, un soggetto cioè che trova in d io il suo modello, il suo punto di compimento assoluto […] Credo che sia necessario comprendere a fondo il grande conflitto che ha attraversato il cristianesimo, a partire dalla fine del v secolo (con sant’a gostino, ovviamente) fino al X v II n el corso di questi dodici secoli non è avvenuto un conflitto tra la spiritualità e la scienza, bensì tra la spiritualità e la teologia 78

Proprio come rileva Hadot nei suoi Esercizi:

nello stesso medioevo, nelle università, si pone fine alla confusione che esisteva originariamente nel cristianesimo fra la teologia […] e la filosofia tradizionale […] La filosofia non è più scienza suprema, ma è l’«ancilla theologiae»: le fornisce i materiali concettuali, logici, fisici o metafisici, di cui abbisogna […] n el medioevo […] la filosofia diventa dunque un’attività teorica e astratta, non è più un modo di vivere 79

Al di là di queste convergenze di vedute, Hadot si premura di sottolineare i motivi di divergenza rispetto all’interpretazione che Foucault conferì alla cura del sé (epimèleia heautoù, per i Greci), e che avrebbe voluto discutere con il collega se la morte di questi non fosse sopravvenuta troppo presto:

Michel foucault descrive con precisione, in La cura di sé, ciò che egli chiama «le pratiche del sé» raccomandate dai filosofi stoici dell’antichità: la cura di sé stessi, che del resto può essere realizzata soltanto sotto la direzione di una guida spirituale, gli esercizi di astinenza, l’esame di coscienza, il controllo delle rappresentazioni, infine la conversione verso di sé, il possesso di sé foucault considera queste pratiche «arti di esistenza», «tecniche di sé» È ben vero che nell’antichità si parlava a questo proposito di arte di vivere Tuttavia a me pare

78. Foucault, L’herméneutique du sujet, cit., p. 23.

79. Hadot, Esercizi spirituali, cit., p. 161.

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che la descrizione che foucault propone di ciò che io avevo chiamato «esercizi spirituali» e che egli invece preferisce chiamare «tecniche di sé» sia troppo incentrata sul «sé» 80

Hadot, insomma, quasi taccia Foucault di aver reso eccessivamente immanente il sé, depurandolo – nella sua interpretazione forzata del concetto di “piacere” del mondo greco-romano – completamente dal suo significato originario, in cui era un sé sempre in relazione al trascendente, ossia a ciò che va oltre il mero individuale e contingente e che fa percepire al sé medesimo la sua appartenenza col Tutto:

Capisco bene il motivo per cui foucault ha trascurato questo aspetto, che pure conosceva bene La sua descrizione delle pratiche di sé […] si propone implicitamente di offrire all’uomo contemporaneo un modello di vita (che foucault denomina «estetica dell’esistenza») o ra, secondo una tendenza molto diffusa nel pensiero moderno, […] le nozioni di «r agione universale» e di «natura universale» non hanno più molto senso 81

Queste due nozioni, invece, sono il cuore del messaggio degli esercizi spirituali secondo Hadot, volti dunque non tanto al nudo piacere di vivere, quanto foriere di trascendimento, di ἄσκησις, perenne tensione a superare il proprio sé per tendere all’irraggiungibile. Essi non possono, a parere di Hadot, ovviare al «senso di appartenenza a una Totalità: appartenenza alla Totalità della comunità umana, appartenenza alla Totalità cosmica»82 .

Le tecniche del sé di Foucault – a detta del suo collega – sarebbero invece catalizzatrici di un eccessivo individualismo, in cui ciò che conta è solo che il soggetto diventi sé stesso, a prescindere da questo senso di appartenenza. Secondo Hadot, in sostanza,

l’interiorizzazione è superamento di sé e universalizzazione […] h o un certo timore che foucault, incentrando in modo troppo esclusivo la propria interpretazione sulla cultura del sé, sulla cura di sé, sulla conversione verso di sé e, in termini generali, definendo il proprio modello etico come un’estetica dell’esistenza, finisca per proporre una cultura del sé esclusivamente estetica, cioè, temo, una nuova forma di dandismo versione fine n ovecento 83

80. Ivi, pp. 169-170.

81. Ivi, p. 170.

82. Ivi, p. 171.

83. Ivi, pp. 175-176.

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1 2 5 Michel foucault

Pur senza voler contestare il punto di vista di Hadot, riteniamo tuttavia opportuno spezzare una lancia in favore di Foucault, la cui concezione delle tecniche del sé non può prescindere da altri fondamentali elementi del suo pensiero, che non sembrano essere stati presi in considerazione da Hadot. Le tecniche di vita – téchne toũ bíou – di Foucault hanno in comune con gli esercizi spirituali di Hadot il fatto che siano dei comportamenti, scelti liberamente e praticati con volontà e costanza; per Foucault, tuttavia, queste pratiche erano volte ad acquisire nuovi habitus forieri di affrancamento dalle consuetudini irriflesse e funzionali alla conoscenza e alla creazione di sé. Solo conoscendosi bene, l’individuo, infatti, può costruire sé stesso, non lasciandosi soggiogare da tutto ciò che ottunde la sua autenticità e che lo rende eterodiretto. Che cosa ottunda la libertà dell’individuo è ben esplicitato da Foucault nel suo Sorvegliare e punire:

Il Panopticon è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti: nell’anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere; nella torre centrale, si vede tutto, senza mai essere visti 84

La libertà di cui godiamo è, per Foucault, apparente: pensiamo di poter accedere a ogni tipo di informazione – pensiamo a ciò che, in questo senso, ha reso possibile internet – e siamo fermamente convinti di poter esprimere sempre e in ogni caso il nostro pensiero. In realtà non è così, a detta dell’autore: siamo come i prigionieri del carcere immaginato da Jeremy Bentham, sempre osservati da un osservatore che tutto vede (Panopticon), ma che noi non vediamo. L’osservatore-inosservato ai giorni nostri è, per Foucault, la biopolitica, che si avvale di “dispositivi di controllo” per controllarci e impadronirsi delle nostre vite, su cui esercita dunque un biopotere. La conseguenza più grave di tutto ciò è che il soggetto ha perso la propria libertà senza rendersene conto, pensando addirittura di goderne invece al massimo grado: un’illusione. Foucault parla proprio di dissolvenza del soggetto, causata dal fatto che la società lo influenzi in continuazione – mediante la sua “struttura” –, rendendolo un altro tipo di “soggetto”, come la sua etimologia vuole. In latino, infatti, subiectus è il participio passato di subicĕre, che vuole dire “assoggettare’; quindi, “soggetto” corrisponde originariamente a “sottomesso”. Questa progressiva desoggettivazione è stata messa molto bene in luce da Giorgio Agamben:

84. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. it. di A. Tarchetti, ET Saggi, Torino 1993, p. 220.

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Quel che definisce i dispositivi con cui abbiamo a che fare nella fase attuale del capitalismo è che essi non agiscono più tanto attraverso la produzione di un soggetto, quanto attraverso dei processi che possiamo chiamare di desoggettivazione [ ] quel che avviene ora è che processi di soggettivazione e processi di desoggettivazione sembrano diventare reciprocamente indifferenti e non danno luogo alla ricomposizione di un nuovo soggetto, se non in forma larvata e, per così dire, spettrale 85

Se il Panopticon odierno detiene il potere in quanto osserva tutto attraverso i dispositivi, possiede anche il sapere, che gli individui stessi concorrono a fornirgli mediante le loro scelte in apparenza autonome e attuate usando proprio quegli stessi dispositivi che la struttura mette – in apparenza – al loro servizio. Oggi Foucault, sicuramente, annovererebbe tra questi anche smartphone, carte di credito, dispositivi GPS, aventi proprio

la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi 86

Attraverso l’utilizzo di questi dispositivi noi forniamo informazioni su di noi, su chi siamo, sui nostri gusti attraverso acquisti e viaggi, sulle nostre relazioni mediante foto postate e chat ecc. Il sapere è sempre stato, per Foucault, funzionale all’esercizio del potere, insomma. In questo legame, tuttavia, risiede anche il remedium al controllo, una possibile via d’uscita dalla prigione in cui siamo costantemente sorvegliati. Se, difatti, pensiamo che il sapere possa giungere nelle mani dei soggetti, questi cesserebbero di essere osservati-inconsapevoli; quindi, è proprio la consapevolezza della struttura in cui sono immersi, sapere ciò, che può salvarli. Le tecniche del sé partono proprio da questa presa di coscienza del contesto sociale e politico in cui si è immersi; una volta fatto questo passo, esse divengono strumento per la costruzione di sé, a prescindere dal biopotere, cui possiamo e dobbiamo dunque ribellarci, come sempre è accaduto e accadrà nella storia87. Ne La volontà di sapere, infatti, scrive:

Là dove c’è potere c’è resistenza e […] tuttavia essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere Bisogna dire che si è necessariamente «dentro» il

85. G. Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Milano 2006, pp. 30-33.

86. Ivi, pp. 20-22.

87. Foucault porta l’esempio della rivoluzione del 1968, che ha avuto un effetto paradossale: essa è stata sì un movimento di liberazione, ma solo apparente, in quanto proprio la lotta per esprimere le proprie idee o i propri gusti sessuali avrebbe conferito ulteriore sapere al potere, andando dunque a rafforzare la struttura contro la quale il movimento stesso si scagliava.

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potere, che non gli si «sfugge» […]? o che, se la storia è l’astuzia della ragione, il potere sarebbe a sua volta l’astuzia della storia – ciò che vince sempre? […] Questi punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama del potere 88

Se il sapere è, da sempre, instrumentum regni, Foucault ci insegna come esso possa essere usato dal soggetto per ovviare all’espropriazione di sé da parte della struttura che lo detiene, divenendo funzionale alla costituzione del sé, proprio come spiega ne L’herméneutique du sujet:

La costruzione di un’etica del sé è un compito urgente, fondamentale, politicamente indispensabile, se è vero che, dopotutto, non esiste un altro punto, originario e finale, di resistenza al potere politico, che non stia nel rapporto di sé con sé 89

Ed ecco che qui si vede chiaramente come anche l’estetica dell’esistenza foucaultiana sia una proposta etica, la stessa che premeva ad Hadot rispetto ai suoi esercizi spirituali. Le tecniche del sé sono dunque ben lungi dall’essere una mera “forma di dandismo versione fine Novecento”. Quella di Foucault è sì un’estetica, ma volta a un’autopoiesi funzionale a resistere alla pressione livellante del contesto politico e sociale in cui si è immersi (la struttura). Quindi, la cura sui tanto cara a Foucault serve sia ad aiutare ogni singolo a conoscersi e a “scolpire la propria statua”, sia alla fondazione di una morale, ovvero di un atteggiamento responsabile da parte di ogni individuo che la pratichi come resistenza; ha quindi uno scopo anche sociale: se il singolo resiste e la società è composta dai singoli, questa sarà una società più responsabile e consapevole, in grado di mantenersi lucida e di non lasciarsi irretire dal biopotere ottundente. Vedremo le conseguenze di tale pensiero quando parleremo della pratica della comunità di ricerca di Matthew Lipman a proposito del pensiero critico. Insomma, possiamo affermare che anche in Foucault vi è questa duplice missione nel suo modo di concepire le tecniche del sé: plasmare il singolo e, in quanto “pratiche di resistenza”, avere una società di individui consapevoli e co-responsabili. L’appartenenza alla “Totalità della comunità umana” è riscontrabile anche in lui.

Concludendo, pensiamo che ai fini del nostro discorso – volto ad accompagnare i giovani nello sviluppo delle life skills mediante le pratiche filosofiche, in cui rientrano sia esercizi spirituali che pratiche del sé – siano utili entrambe le concezioni fornite da questi due pensatori francesi: è importante

88. M. Foucault, Storia della sessualità . Vol. 1: La volontà di sapere (1976), trad. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2004, p. 84-85.

89. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, cit., p. 222.

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praticare gli esercizi spirituali perché ci aprono al senso di appartenenza a un tutto (la classe, la famiglia, la città… il mondo), ma è utile anche esercitarsi nella “tecnologia del sé”, per reggere ai colpi che il contesto globalizzante in cui si è immersi non abbia la meglio sull’unicità e irripetibilità di cui siamo portatori.

in tutte le scuole saranno praticati esercizi destinati ad assicurare il progresso spirituale verso lo stato ideale della saggezza, esercizi della ragione che saranno, per l’anima, analoghi all’allenamento dell’atleta o alle cure di una terapia medica 90

Speriamo sia, dunque, ora chiaro come non sia necessario essere filosofi (di professione) per esercitarsi in queste pratiche. Come ribadito da Achenbach, siamo tutti filosofi in quanto esseri pensanti e, soprattutto, meta-pensanti. Sarebbe, tuttavia, opportuno avere la possibilità di formarsi e che l’istituzione scolastica desse modo ai futuri docenti-facilitatori di apprendere l’arte del counseling ed esperire sulla propria persona il potenziale delle seguenti proposte, attraverso degli incontri propedeutici condotti da persone che abbiano già praticato e con determinate competenze in materia. Sarebbe, anche indicato, valutare – alla fine dei percorsi stessi – come essi siano andati facendo una sorta di supervisione con suddetti “esperti”. Per rassicurare ulteriormente i docenti che vorranno cimentarsi nel ruolo di quello che definiremo “facilitatore”, possiamo dire che non sia tanto necessaria la conoscenza della filosofia (il “discorso filosofico” stoico) quanto un atteggiamento filosofico che, oltre che essere connaturato, come abbiamo visto, corrisponde alla filosofia di cui abbiamo tessuto le trame caratteristiche sopra. Per “atteggiamento filosofico” intendiamo:

il vivere, il riflettere, il far riflettere sulla vita è un atteggiamento filosofico, il vedere una profondità dove altri vedono superficialità, il vedere lo stupore, dove altri trovano ovvietà; ammirare la capacità di pensare a tal punto da comprende che in questo modo è possibile influenzare i nostri pensieri e vivere meglio, alla ricerca di un equilibrio in grado di farci camminare in bilico tra ciò che la vita ci offre, ponendoci sempre domande, consapevoli di possedere poche risposte e per questo certi che non ci sarà mai fine al nostro cercare 91

L’atteggiamento filosofico è dunque «caratterizzato dalla continua ricerca

90. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, cit., p. 15.

91. A. Dibenedetto, Recensioni, in Rivista Italiana di Counseling Filosofico, n° 11, 2015, p. 130.

33 1 In T rod U z I one: L a C orn IC e T eor IC a

e apertura, pronto a impostare ciascun intervento sulla base proprio dell’unicità di ogni situazione»92 .

Le pratiche che andremo a usare in questa sede per allenare alle life skills saranno un umile tentativo di riproporre gli esercizi spirituali e le tecniche del sé (in quanto pratiche di resistenza) nella loro attualità e validità rispetto al contesto scolastico, in cui ogni giorno – in quanto insegnanti – abbiamo la possibilità di incontrare giovani anime da educare a queste competenze di vita.

34 PraTIC he f ILo S of IC he P er Lo S v ILUPP o de LL e LI fe S k ILLS
92. Ivi, p. 134.

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PRATICHE FILOSOFICHE PER LO SVILUPPO

DELLE LIFE SKILLS

Pratiche filosofiche per lo sviluppo delle life skills

La scuola, luogo privilegiato dei processi di acquisizione di consapevolezza e di socializzazione, rappresenta, oggi più che mai, l’ambiente ideale per l’insegnamento delle life skills: il presente Quaderno offre ai docenti e alle docenti un approfondito inquadramento teorico-interpretativo, strumenti e proposte di tipo pratico e indicazioni metodologiche per perseguire questo importante obiettivo. Le autrici mostrano come un corretto sviluppo delle life skills sia funzionale a una migliore gestione della classe da parte del docente, favorendo la comunicazione e la creazione di un terreno fertile per l’acquisizione dei saperi di base; inoltre, le proposte pratiche e teoriche possono essere declinate anche come strumenti strategici per l’orientamento formativo. L’approccio adottato presuppone una metodologia innovativa, che si basa sull’introduzione di pratiche filosofiche nel contesto scolastico.

Rebecca Impellizzieri è responsabile del settore Orientamento&Life Skills presso Lœscher Editore, coordinatrice editoriale, counselor filosofica e membro dell’ISFiPP (Istituto Superiore di Filosofia, Psicologia, Psichiatria di Torino). Come formatrice, realizza corsi di orientamento rivolti ai docenti e alle docenti della scuola secondaria di I e di II grado e, come counselor, percorsi di orientamento rivolti agli studenti e alle studentesse.

Annarita Dibenedetto, laureata in Filosofia, svolge la libera professione di counselor filosofico dal 2014. Tutor degli studenti e docente presso il master della Scuola Superiore di Counseling Filosofico (afferente all’ISFiPP), presso cui si è formata, si occupa di filosofia pratica in contesti scolastici e socio-assistenziali e di orientamento. Per Lœscher Editore è autrice delle rubriche Filosofia per vivere meglio e La ragione delle emozioni contenute ne La forza del pensiero, di Umberto Curi.

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