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della sessione dedicata alla valutazione
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8.4. Riflessioni sulle tematiche affrontate dai relatori nel corso della sessione dedicata alla valutazione
Rosanna Papapietro
“Valutazione” è una parola chiave nel campo semantico della scuola, e i diversi significati che essa ha assunto attraverso il tempo permettono di evidenziare anche i cambiamenti che hanno riguardato la scuola nel suo complesso.
Nella scuola del passato la valutazione riguardava esclusivamente il processo di insegnamento/apprendimento e il rapporto docente/ allievo. La valutazione si basava in modo esclusivo sugli apprendimenti disciplinari, quelli che poi sarebbero stati definiti “nozioni”. Essa, inoltre, era “sanzionatoria”, esprimeva cioè un giudizio di merito sull’alunno, giudizio che poteva essere di assoluzione o di condanna. Se l’alunno aveva acquisito il bagaglio di nozioni che l’insegnante aveva prescelto (molto spesso sulla base delle preferenze e delle priorità del docente stesso), la valutazione risultava “positiva” … (e spesso il voto aumentava se il ragazzo riusciva a conferire sugli argomenti nella forma più vicina a quella elaborata dall’insegnante al momento della spiegazione). Se invece l’alunno non dimostrava la padronanza delle nozioni, la valutazione poteva non risultare adeguata.
Ovviamente, data la difficoltà di affrontare in poco tempo tematiche tanto complesse, sto semplificando ed estremizzando il discorso: ma va sottolineato che, nella scuola del passato, la valutazione era un giudizio di merito, riferito al “sapere” o al “non sapere”, senza che gli insegnanti prendessero mai in considerazione altri aspetti, tipo perché alcuni ragazzi non apprendono. Era, dunque, una scuola altamente selettiva, dove ad andare avanti erano gli alunni provenienti da classi sociali agiate economicamente e socialmente, alunni fortemente motivati ad intraprendere un percorso che li avrebbe resi “classe dirigente”. Degli alunni svantaggiati, nelle cui famiglie magari si parlava il dialetto o i cui genitori non trasmettevano adeguata motivazione allo studio, non si prendevano in considerazione le difficoltà, magari semplicemente legate a livelli di partenza non idonei. Era un modello di scuola, dunque, che non fungeva da “ascensore sociale”. In questo contesto la valutazione era strumento di mantenimento dell’ordine della società.
Poi, negli anni Sessanta dello scorso secolo, la valutazione ha iniziato ad arricchirsi di altre sfumature. Prima di tutto, essa non ha più come esclusivo oggetto di indagine gli apprendimenti disciplinari, ma prende in considerazione anche gli aspetti “formativi” dell’alunno (l’“essere”, e non soltanto il “conoscere”). Nello scorso anno scolastico, ad esempio, a causa dell’emergenza epidemiologica che ha stravolto il mondo della scuola, sono state valutate, nel secondo quadrimestre, le “soft skills”, cosa assolutamente impensabile appena una sessantina di anni fa. La valutazione, inoltre, non può prescindere dalla considerazione dei livelli di partenza, dei progressi rispetto agli stessi, dell’impegno mostrato dall’alunno e anche, magari, dai condizionamenti socio-ambientali di ciascuno. È chiaro, dunque, che, allo stato attuale delle cose, la valutazione è il punto di approdo di un lungo percorso, che pone al centro l’alunno e che “ritaglia su misura” gli apprendimenti da valutare. Non solo: la valutazione così impostata non riguarda solo l’alunno ma coinvolge tutti gli “attori” del processo educativo. Mi spiego meglio: il bravo insegnante, nella scuola odierna, non è più quello che diffonde un sapere trasmissivo e che dispensa voti e giudizi positivi e negativi ma colui che sa trarre il meglio da ciascun allievo, che sa valorizzare quanto di buono riesce ad esprimere, che tiene in dovuta considerazione i limiti socio-ambientali di provenienza. Allo stesso modo il Dirigente scolastico è chiamato a operare una super-visione della didattica, vigilando che in essa sia centrale la valutazione dello studente nella sua interezza, nella sua crescita sicuramente cognitiva, ma anche affettiva e relazionale: a questo prin-
cipio si stanno richiamando i pedagogisti che, pur nell’emergenza del momento, invocano il ritorno alla didattica in presenza che è la sola che garantisce la costruzione del sé in rapporto agli altri. Allo stesso tempo la valutazione tende verso una considerazione sempre crescente anche della maturazione civica e sociale degli alunni, in nome di un sapere che non sia solo nozionistico ma che dia ai ragazzi gli strumenti per muoversi in modo autonomo nel mondo e nella complessità dell’epoca in cui viviamo. In tal senso sento di esprimere un giudizio positivo sull’introduzione del curricolo di Educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado, ed esprimo anche l’auspicio che in breve tempo i docenti adoperino rubriche di valutazione alternative a quelle standard e numeriche, nella speranza che gradualmente ci si liberi dall’idea che si valuta bene solo quando si classifica l’alunno con il tradizionale voto.
Ritornando al Dirigente Scolastico, tra le molteplici incombenze di cui è oberato vi è, dunque, anche quella di motivare i docenti a una modalità valutativa ad ampio raggio, nella quale la valutazione degli studenti sia il punto di partenza per monitorare anche l’efficacia della propria azione didattica, della validità del proprio insegnamento, della capacità predittiva della propria programmazione. Il Dirigente, ovviamente, nel valutare l’operato degli insegnanti, sottopone a valutazione anche il proprio ruolo di promotore di innovazione nel campo didattico, l’autorevolezza della propria leadership nel suscitare condivisione tra docenti. Ovviamente sono poi il contesto, le istituzioni, gli enti locali, la comunità che, a loro volta, valuteranno le scelte strategiche operate dal Dirigente Scolastico, sulla base delle ricadute che esse determineranno in termini di contributo alla crescita collettiva della società.
La valutazione, effettuata in termini di complessiva efficacia del sistema, ha evidenziato come, nell’emergenza epidemiologica in atto, la preparazione che i ragazzi frequentanti il liceo economico sociale ricevono li renda flessibili mentalmente e in grado di padroneggiare diversi linguaggi, tra cui quello informatico che è trasversale a tutte le discipline. La didattica a distanza, che è la metodologia unica adottata in questo periodo di sospensione delle attività scolastiche in presenza, ha reso indispensabili le competenze informatiche e nello stesso tempo ha avuto l’effetto di accelerare il processo di digitalizzazione sia da parte degli insegnanti sia da parte degli alunni. Gli ultimi mesi di scuola sono stati caratterizzati, dunque, da una sperimentazione ad alto raggio di metodologie innovative, adatte alla nuova modalità di insegnamento/apprendimento da remoto, che hanno avuto l’effetto di dare alla didattica dei LES un ulteriore impulso verso la modernità. Il curricolo dei LES, dunque, che ha una propensione nei confronti dei molteplici linguaggi del mondo contemporaneo, ha trovato, nell’emergenza della didattica a distanza, lo stimolo per perfezionare percorsi specifici di consolidamento delle competenze informatiche. Ciò ha avuto, nello stesso tempo, l’effetto di allontanare gli alunni da un utilizzo puramente ludico-ricreativo dei mezzi elettronici: essi, infatti, gestiti in cooperazione con gli insegnanti, sono diventati strumento di apprendimento, fonte di ricerca, occasione per soddisfare le proprie curiosità intellettuali.
La valutazione complessiva dei LES evidenzia, nello stesso tempo, uno stretto raccordo tra questa tipologia di liceo, che coniuga sapere accademico e apertura verso il mondo dell’economia, delle lingue e della statistica, e gli studi condotti in ambito universitario. Si sta riscontrando, infatti, una collaborazione tra alcuni LES e rinomate facoltà universitarie (tra cui “La Sapienza” di Roma): esse stanno elaborando dati forniti da studi e ricerche condotti dai ragazzi frequentanti il triennio del LES per arrivare alla formulazione di teorie relative all’antropologia e alle scienze umane, ma anche alla statistica e all’economia. Questo conferma la modernità del curricolo di questa tipologia di liceo, che si “aggancia” molto facilmente al mondo contemporaneo e che, tramite la collaborazione con il settore della ricerca universitaria, supera l’isolamento improduttivo che costituisce, ancora oggi, una caratteristica negativa del sistema scolastico italiano.
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