Museo Duilio Cambellotti | Graphic Design

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MU SEO CIVI CO DUI LIO CAM BEL LOTTI Un lavoro di Eleonora Bompieri matricola 1466759 a.a. 2011 / 12



Questo breve book si propone di guidare il lettore alla scoperta del Museo Civico Duilio Cambellotti di Latina, nei suoi obiettivi e nei contenuti, e allo sviluppo step by step per la creazione di un’immagine coordinata del complesso museale. Le proposte intendono impostare in modo coerente la sua grafica, pensando un’immagine che incuriosisca lo spettatore e , al contempo, si faccia portavoce dei messaggi di contenitore e contnuto. La progettazione di un marchio deve essere tale da prevedere il suo utilizzo in tutto ciò che è correlato al museo: apparato didascalico, carta intestata, prodotti editoriali, comunicazione sul Web ecc. Come lavoro di sintesi che non si risparmia a livello comunicativo, il marchio rappresenta il nuovo volto del Museo.

Tema

Sede

Collezione

Duilio Cambellotti - Storia e percorso dell’ artista - Cambellotti e il territorio L’ Ex Opera Balilla - storia del centenitore - inaugurazione come sede del Museo - impostazione del sistema espositivo

Le opere - La Pace - La Fonte della Palude

Marchio

Il marchio attuale - Ricostruzione grafica - Obiettivi e mancanze Prima proposta - Sviluppo - Costruzione grafica - Obiettivi e mancanze Seconda proposta - I soggetti dell’artista: il buttero e le mandrie - Idee di sviluppo e mancanze Terza proposta - Lo studio stilistico: le linee di forza e la verticalità - La forza del segno: il ricorrente andamento nel dorso degli animali - Prove di colore Quarta proposta - Lo studio stilistico: la costruzione dell’immagine nella Redenzione dell’Agro - Sviluppo - Prove di colore

MU SEO CIVI CO DUI LIO CAM BEL LOTTI



Duilio Cambellotti nasce a Roma il 10 maggio 1876. I primi rudimenti dell’arte li avrà nella bottega del padre Antonio, intagliatore e decoratore. Arricchisce poi la sua formazione, incentrata sulle arti applicate, compiendo viaggi studio a Napoli (1897), ad Istanbul e ad Atene, dove visita musei e approfondisce la sua conoscenza dell’arte classica. Lavora in modo indipendente dallo scorcio del secolo, realizzando per ditte italiane e straniere, oggettistica, lampade e gioielli di linea Art Nouveau. A questi lavori si affianca l’ideazione di manifesti pubblicitari, primi di una lunga serie. Tra il 1901 e il 1902 esegue illustrazioni in bianco e nero per la Divina Commedia edita da Vittorio Alinari di Firenze e inizia a collaborare con alcuni importanti riviste d’arte e cultura. Entrato in contatto con i circoli artistici ed intellettuali della capitale, frequenta Severini, Boccioni, Grassi e Bottazzi; ma fondamentale, nella sua formazione ideologica e culturale, è l’amicizia con Alessandro Marcucci, artista per diletto, e gli scrittori Cena e Aleramo, con i quali condivide idee socialiste. Con loro organizza la Mostra dell’Agro Romano, all’Esposizione Universale di Roma del 1911. L’incontro con Ugo Falena, direttore del nuovo Teatro Stabile di Roma, gli apre le porte all’attività teatrale: costumi e scene del Giulio Cesare di Shakespeare, primo spettacolo in cartellone nel 1906, porteranno la sua firma, così come per la realizzazione delle illustrazioni e delle scenografie del dramma La Nave, di Gabriele D’Annunzio Idee e progetti si concretizzano anche nella decorazione di alcuni villini e dimore private tra cui, insolita ed originale, la Casina delle Civette (1914–1915) del principe Giovanni Torlonia, nell’omonima villa romana. Le vetrate artistiche della Casina sono realizzate dal maestro vetraio Cesare Picchiarini. Nel medesimo periodo collabora con diverse case editrici. Per il teatro greco di Siracusa realizzerà, in oltre trent’anni di attività, fino al 1948, scene, costumi e locandine per le maggiori opere di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane. Alla fine della guerra torna all’attività scultorea e negli anni 19181920 nascono alcune delle sue più importanti creazioni, ispirate per lo più ai temi della campagna romana.

Al 1919 risale la sua prima mostra personale alla Bottega d’Arte Moderna di Roma. Agli anni Venti si datano alcuni soggiorni importanti fuori della capitale, dettati da esigenze lavorative, in Umbria, a Terracina e a Siena. Parallelamente alla produzione scultorea sperimenta con successo le tecniche più diverse nel campo delle arti decorative e prosegue l’attività di scenografo e costumista. Nel 1930 è nominato Accademico di San Luca. Nel dopoguerra moltissime sono le commissioni, in varie città italiane, per monumenti commemorativi o funerari e per vetrate artistiche. Muore ad ottantatré anni a Roma, il 31 gennaio 1960.

La presenza di Duilio Cambellotti nella città di Latina è imponente ed energetica come la sua arte: la costante dedizione con la quale si è rivolto al territorio, colloca la sua figura nella memoria storica e nel patrimonio artistico della città di Latina. Durante il suo lungo ed eterogeneo percorso artistico, ha reso protagonista assoluta della sua attività comunicativa la storia dei cittadini, ha tradotto in immagini, con il vigore del suo segno, l’umile lavoro nei campi ad atto nobile e vitale, merito di gloria e dignità. E’ riuscito a traslare in arte i concetti di speranza e di rinascita di un popolo sopraffattoda un ostico destino, relegato ai margini di una società ostile ed estranea. Contribuendo al fianco di celebri personalità al raggiungimento di un concreto diritto allo studio e alla diffusione del sapere educativo, ha reso accessibile e fruibile al popolo il concetto di arte e cultura tramite la fondazione delle scuole rurali nelle zone in corso di bonifica. Si è misurato con il molteplice repertorio delle tecniche artistiche per raffigurare ed imprimere il paesaggio, l’Agro Pontino, tristemente desolato ma in constante evoluzione, appartenente ad un tempo non molto distante dal nostro, ne ha decantato la bellezza libera e selvaggia. Alla luce di un tale impegno profuso instancabilmente per la città di Latina, è lecito affermare che Duilio Cambellotti ha fatto della rinascita del territorio, un’opera d’arte.

TE MA DUI LIO CAM BEL LOTTI


Il Museo Civico Duilio Cambellotti di Latina è situato sulla Piazza San Marco nell’edificio dell’Ex Opera Nazionale Balilla.

SE DE EX OPE RA BA LIL LA

L’ edificio è stato progettato nel 1932 dall’architetto e urbanista Oriolo Frezzotti (1888-1965), autore nello stesso anno del Piano Regolatore della “Città Nuova di Littoria”. Si affaccia su Piazza San Marco, ponendosi di fronte alla Casa del Combattente. Questo edificio rappresenta oggi idealmente la sintesi dell’incontro tra l’artista Cambellotti e l’architetto Frezzotti: un rapporto che nella realtà non fu solo teorico, ma li vide strettamente collaborare nel Palazzo del Governo (1934) e nel Tribunale (1936) della città, dove ancora oggi è possibile ammirare due delle più importanti creazioni dell’artista romano. L’edificio è composto da due piani e ha un impianto anulare. Il prospetto principale presenta una parte centrale architravata nella quale si inseriscono l’ingresso preceduto da alcuni gradini e una vetrata superiore. Ai lati, le pareti sono scandite da due ordini di finestre rettangolari. L’interno è formato da una parte centrale alta due piani, sulla quale si affaccia il ballatoio, che permette di osservare allenamenti e manifestazioni. L’edificio, infatti, era sede di una palestra. Ai lati dell’ingresso erano collocate le sculture raffiguranti due atleti. Prima sede di alcuni uffici del Comune, è oggi museo dedicato all’artista. L’edificio, adibito a questa nuova funzione, non ha subito modifiche strutturali: i suoi grandi spazi, sviluppati anche in altezza, si sono subito prestati agli obbiettivi museali.

Le sale tematiche ospitano i numerosi bozzetti, talora vere e proprie opere finite, che ci illustrano come e quanto Cambellotti intendesse la sua attività scultorea in chiave architettonica, non esente, talora, da una marcata componente teatrale. Sala 1: Monumento ai Caduti di Priverno (‘32-33) Sala 2: Monumento ai Caduti di Terracina (‘19) e Borgo Hermada (‘59) Sala 3: due rilievi in gesso con l’Allegoria della Giustizia, per il Tribunale di Littoria Sala 4: versione in cera scura della Pace (‘14-19) Sala 5: studi per il Fontanile delle pecore (‘30) e per la Fonte delle lavandaie (‘10) Sala 6: grandi cartoni delle vetrate con la Madonna in trono e gli angeli (1918-19), unitamente a numerose ceramiche e terracotte dipinte.

Nel 1984 il Comune di Latina decide di celebrare il profondo rapporto esistito tra Duilio Cambellotti ed il territorio pontino con la mostra Duilio Cambellotti scultore e l’Agro Pontino, allestita proprio presso l’edificio dell’Ex l’Opera Balilla. A quella impostante esposizione fa seguito, una decina di anni dopo, l’allestimento presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Latina di una sezione appositamente dedicata ad alcune opere dell’artista romano, giunte nel capoluogo grazie alle donazioni degli eredi Cambellotti ed agli acquisti effettuati dall’Amministrazione Comunale di Latina. Partendo proprio da quell’importante nucleo - impreziosito negli anni da altre rilevanti acquisizioni - nasce nel 2005 il Museo Civico Duilio Cambellotti di Latina, con sede proprio nel palazzo della prima mostra a lui dedicata nella città.

Il museo non propone solo l’esposizione permanente ma si occupa anche della promozione di molti eventi culturali a Latina. L’ex Opera Balilla è un punto di riferimento per seguire mostre di artisti locali, più o meno recenti, partecipare a conferenze sugli argomenti più disparati. Queste ultime possono aver luogo sia nell’apposita sala convegni, sia nel salone principale. Il museo è inoltre disponibile per programmi di valorizzazione e promozione museale attraverso visite guidate a tema, consulenza per tesi di laurea e stages universitari in museologia.


Vi sono conservate sculture, disegni, tempere, xilografie, ceramiche, libri, medaglie, manifesti e documenti, che documentano in modo pressoché esaustivo circa mezzo secolo di attività dell’artista romano nel territorio pontino. Nel grande salone centrale hanno trovato posto i cartoni originali preparatori per La Redenzione dell’Agro (1934), il ciclo pittorico realizzato a tempera su pannelli in eternit che decora il Palazzo del Governo di Latina, unitamente ai bozzetti a tempera su carta ed a quelli a matita e a china su carta lucida, che raccontano in modo pressoché esaustivo l’iter creativo del grande ciclo murale.

L’ intensa attività scultorea di Duilio è documentata attraverso un ampio numero di opere, di grande e piccolo formato. Va ricordato il Buttero (1918-19), soggetto ricorrente nelle opere di Cambellotti come figura misteriosa ed inquietante, le Vacche aratrici, le Vacche del Vomere (1924) e la ieratica Pace (o La Vagante), una grande scultura in gesso generalmente riferita al periodo 1914-1919. La maggior parte di queste sculture presentano una base alta e levigata. La soluzione va cercata negli intenti dell’artista: Cambellotti vedeva queste sculture collocate nell’acqua, come vere e proprie figure emergenti dalla palude. Lungo le pareti sono esposti i disegni originali a china per il volume “Usi e costumi della Campagna romana” (1924), i cosiddetti “Disegni pontini”, a carboncino e matita (1910-20), unitamente a numerosi studi a penna e matita per alcune scene del film di Augusto Genina “Cielo sulla palude” (1948).

" L'ho concepita modernamente senza corone e senza trofei, senz'ali e senza sandali, una pace più umana che divina, e ho modellato nella cera una giovane donna che reggendo faticosamente sul capo un grande aratro, cammina sicuramente sovra le zolle insanguinate dalla battaglia e guarda l'avvenire. “ La Pace è una delle prime sculture in cui l'artista propone il taglio forte, netto e profondo, palesemente antinaturalistico, tipico della xilografia e di certa sua produzione grafica e pittorica. Nel 1984 e nel 2000 sono state realizzate due traduzioni in bronzo collocate rispettivamente presso la Presidenza della Giunta Regionale del Lazio a Roma e in Piazza B. Buozzi a Latina.

Un'altra grande creazione, a cui Cambellotti si applicò in diversi momenti nell'arco di oltre un ventennio, è la monumentale Fonte della Palude, una scultura in bronzo in cui un gruppo di cavalli si abbevera presso una fontana, fusa nel 1984 dall'originale in gesso conservato nella Galleria d'Arte Moderna di Roma. L’artista riproporrà, sempre nel 1936, lo stesso gruppo scultoreo nella scenografia dell’Ippolito di Euripide, realizzata per il Teatro Greco di Siracusa.

Una particolare annotazione meritano i numerosi studi preparatori - talora vere e proprie opere finite (tempera su cartone, penna e matita su carta lucida e millimetrata) dedicati ai Monumenti ai Caduti progettati per Terracina, Priverno e Borgo Hermada, che ci illustrano come e quanto Cambellotti intendesse la sua attività scultorea in chiave architettonica, non esente, talora, da una marcata componente teatrale.

COL LE ZIO NE LE OPE RE


Per il marchio attuale, il museo si è servito di una rivisitazione della firma dell’artista nelle sue varianti. In esso, riconosciamo tre elementi distinti, riuniti in una forma circolare:

MAR CHIO AT TUA LE

la firma completa, “Duilio Cambellotti”, più rara da trovare nelle sue opere;

l’acronimo, “CD”. Seppur disposte in modo differente, con la “D” più in basso e slegata dalla “C”, il richiamo all’ originale è evidente;

la spiga, elemento decorativo e caratterizzante. Questa esprime lo spirito rurale, legato alla terra, di cui l’artista fu portatore per tutta la vita.

La combinazione di questi elementi nel logo non si sviluppa in un tratto pulito e digitale ma mantiene un carattere calligrafico, sia per richiamare i suoi punti di spunto, sia per evidenziare la notevole importanza che ebbe la grafica e l’illustrazione nel percorso dell’artista (da non dimenticare che gran parte della collezione contenuta nel museo è composta proprio da schizzi e studi preparatori, ovviamente fatti a mano).

A parer mio, questo marchio, seppur molto efficace nel segno calligrafico, manca nell’esprimere il principale obbiettivo del museo: promuovere un artista che incarni il patrimonio culturale della città. Questo è spogliato dalla sua componente territoriale, del tema su cui si incentra la collezione, ossia il rapporto tra l’artista e l’Agro Pontino, per un indicazione troppo generica e dispersiva sull’operato di Cambellotti. Questo marchio troppo si focalizza sull’artista in generale, senza dare una decisa informazione sul museo: collezione, stile, collocazione...

Il museo vuole rafforzare l’identità culturale e storica della città, dando spazio ad un artista che ha fortemente contribuito all’immagine della “nuova” città di Latina e del territorio. Conoscere Cambellotti permette di ricostruire il profilo di un territorio “giovane”, ritratto nelle sue questioni sociali, politiche e storiche.

Sviluppo e ricostruzione grafica del marchio esistente

Le sue opere si ritrovano in numerose piazze e palazzi dell’ex Littoria. Giulio Cambellotti è un artista che, se conosciuto ed approfondito, permette di avere un’affascinante consapevolezza del valore degli spazi pubblici, una nuova considerazione degli ambienti in cui spesso non ci si sofferma. Da ricordare, il grande complesso scultoreo presso il Tribunale.


Il primo marchio da me proposto differisce dall’originale in molte componenti: •

una forma di base non più circolare ma quadrata. Il quadrato dà idea di protezione, proiettandosi quindi subito su un impressione di raccoglimento e sicurezza. La forma inoltre, ruotata di 25 gradi, rende l’immagine più dinamica e moderna;

l’intestazione non riporta solo il nome dell’artista ma sottolinea il sistema museale rappresentato. Il font richiama i caratteri dell’Art Deco, dell’epoca fascista, dando anche una prima idea di contestualizzazione della collezione del museo;

Questo marchio, in tre colori, è adattabile a qualunque superficie di sfondo solo cambiandone le tonalità. In particolare, il quadrato ruotato, può diventare un “elemento di gioco” che ne cambia l’impatto visivo:

• l’immagine dell’ex Opera Balilla fornisce un’informazione ben precisa: la collocazione del contenitore. Con una conoscenza più approfondita del loco, se ne può anche dedurre la storia dell’edificio e la connessione tra il suo architetto e l’artista; • la spiga, simbolo ricorrente, è l’unico elemento riutilizzato dal marchio originale, seppur estrapolato da un’altra opera dell’artista. Questa ha una forma più allunga e precisa, meno ramificata e dispersiva della prima. Contestualizzata nel risultato finale del nuovo marchio, è un segno di movimento che spezza le geometrie spigolose degli altri elementi, dando l’impressione di essere stata disegnata dallo stesso artista.

Sviluppo e costruzione grafica del marchio

NO •

Numero di informazioni La prima proposta, nel risultato complessivo, si presenta troppo complessa, con troppo informazioni. Bisogna cogliere le notizie essenziali, tralasciando le secondarie.

• Rapporto marchio-dimensione Il marchio ha l’impatto voluto solo in medio-grandi dimensioni: essendo questo finalizzato ad essere comunicativo anche in formati molto ridotti, come su una carta intestata, la seguente proposta non può essere accolta. •

La spiga Sebbene sia un elemento caratteristico trattando Cambellotti, essa non ha un valore comunicativo immediato ma che è scoperto solo dopo aver conosciuto l’operato dell’artista. La spiga è un simbolo molto utilizzato per indirizzi diversi quindi può essere deviante nel messaggio del museo (vedesi amrchi FAO, di pastifici, aziende birrificie...).

MAR CHIO PRI MA PRO PO STA


Visti i problemi incontrati col primo marchio, la seconda proposta si indirizza al raggiungimento di due obiettivi: •

MAR CHIO SE CON DA PRO PO STA

Essenzialità La semplicità rende il marchio un’immagine immediata, subito riconducibile al museo, comprendendo così tutte le informazioni ad esso correlate (locazione,storia..); Caratterizzazione Individuare gli elementi distintivi, per stile, linee, forme e soggetti nel lavoro di Duilio Cambellotti ed esprimerli nel marchio. Questo può essere un punto chiave per incuriosire l’utenza già dal marchio e per identificarne il contenuto dopo la visita.

“ Una sincera ispirazione della natura e dei fatti umani, è questo quanto ha sorretto e governato il mio operare, e ho ricercato in ogni opera un contenuto espressivo che dicesse del buono, del nuovo e dell’utile, e parlasse chiaro e semplice, e rappresentasse la realtà nel movimento e nel divenire. ” Come si legge dalla citazione dello stesso artista, l’arte di Cambellotti ha la maggior parte delle sue radici nella natura e nel rapporto che l’uomo (per lo più contadino) ha con essa. Le figure, umane e animali, sembrano fondersi con l’ambiente in una quieta unità. L’artista raramente si muove su forme astratte: le immagini che evoca sono sempre concrete e solide, seppur a volte semplificate nel segno. Cambellotti ha comunque sottolineato il suo interesse per alcuni personaggi, per lui più significativi ed espressivi di altri.

Il buttero Il motivo del “cavalcatore dell’Agro Pontino” è tra i più amati dell’artista che, a partire dalla metà degli anni Dieci, lo tradurrà in sculture, incisioni, disegni e dipinti.

“ Il cavalcatore dell’Agro Pontino era più che altro un sorvegliante e dominatore di animali; differente dal suo collega della palude, meno taglieggiatore, meno sinistro e per opera e carattere. Era un quadro di sapore eroico, evocatore di età primeve il vederlo scortare la torma dei maremmani o reggere la forza dei tori giganteschi dallo sguardo feroce allorchè le mandrie per cambiar pascolo dovevano varcare i margini dei canali. ”

Il Buttero è un’opera in cui, su una sorta di stele, attraverso l’ideale prolungamento di linee e forme stilizzate, si compie la totale fusione tra cavaliere e cavallo. In questa emblematica scultura, Cambellotti si discorsa, almeno momentaneamente dal modellato intenso, spigoloso, quasi espressionista per volgersi verso una sintesi ed astrazione delle forme.

“ Più solenne e sinistramente misterioso il guardiano a cavallo. Il suo mezzo di locomozione era la cavalla maremmana dai crini scomposti, dall’occhio serpentino, dal passo breve e ovattato che più che avanzare sembrava scaturire dal sottoterra come un essere infernale, con il suo cavaliere, erto sull’alto arcione tutt’uno con l’animale. ”


Le mandrie Mito e simbolo rappresentano nell’arte di Cambellotti un binomio pressochè imprescindibile. Accanto agli uomini incontrate nell’Agro, anche gli animali surgono da possenti personificazioni di un mondo e di una storia senza tempo. Un mondo in cui una grande mucca diviene tangibile immagine di una primordiale Madre Natura generatrice dallo sconfinato potere e richiamo ad un femminile come privilegiato mediatore tra l’umano e il divino.

Per Cambellotti, il modo degli animali, insieme ad “alberi e uomini della vanga e del solco” costituì non solo un inesauribile nutrimento dell’animo, ma anche uno dei principali motivi d’ispirazione. Buoi, bufali, mucche e cavalli, presenze peculiari dell’Agro, saranno infatti raffigurati per oltre mezzo secolo in disegni, illustrazioni per libri, xilografie, dipinti e sculture di grande e piccolo formato.

“Tori monumentali dalle corna immense, dalla cervice eretta e nera, vaccine candide, bufali bronzei dal corpo velloso e incrostato di fango. Il sole, spostandosi nel suo corso, filtrava quell’aria grave di vapori mortiferi e avvolgeva quelle forme in un’atmosfera d’oro e fuoco...”

Nelle sculture, studia attentamente l’opera da più punti di vista: quella laterale, basata su un gioco di forze che si sviluppa lungo il dorso degli animali, si chiude con la verticale dell’alta base su cui poggiano le opere. L’osservazione svela una nuova creazione, in cui l’attento studio dei volumi, delle forme e degli incastri appare strutturato su una struttura piramidale con al vertice la figura. I soggetti sembrano sollevarsi dal suolo, o meglio, dalle acque palustri dell’Agro.

“Dalla finestra io potevo vedere gli animali dalla parte della groppa, il che suscitava un complesso di impressioni che mi inducevano ad osservazioni che non mi sarebbe stato dato di cogliere se io fossi stato a terra, di fianco o di fronte all’animale.”

MAR CHIO SE CON DA PRO PO STA


Il marchio per questa seconda proposta si compone di soli due elementi (numero dimezzato rispetto alla prima): •

la firma con acronimo dell’artista, fondamentale per comunicare il tema del museo;

la sagoma di una delle opere scultoree della collezione. Nella scelta di essa sono due i caratteri principali di cui tener conto, come opera rappresentativa:

Schizzi preparatori fatti a mano

- il soggetto, come icona del pensiero dell’artista e comune a più opere e, al contempo, identificativo per il territorio;

MAR CHIO SE CON DA PRO PO STA

- l’alto basamento, particolarità stilistica di Cambellotti presente in tutte le sculture della collezione. Due sono gli orientamenti per il soggetto: da una parte il buttero, figura importante per Cambellotti; dall’altra il bufalo. Questo animale, oltre all’importanza per l’artista, prima sottolineata, rappresenta una presenza rilevante nel territorio, nell’Agro di ieri e di oggi. Il bufalo è un animale caratterizzante nella palude, resistente all’ambiente ostile. E’ proprio grazie ad esso che gli abitanti delle zone palustri hanno saputo sopravvivere, con latte, pelli e carne. Non c’è animale che meglio incarni lo spirito dell’Agro. Il bufalo, allevato già da secoli prima delle bonifiche per le sua resistenza e per la sua capacità di adattamento, era praticamente l’unico animale in grado di sopravvivere nelle paludi. Il bufalo è stato un protagonista, mai adeguatamente ringraziato, delle bonifiche dell’Agro romano e pontino. Erano bufali quelli che trainavano i carri e dissodavano i terreni, erano le bufale a fornire il sostentamento ai bonificatori e soprattutto erano i bufali a tenere puliti i canali. Il problema secolare delle bonifiche non era tanto il lavoro di prosciugamento in sè, quanto piuttosto la conservazione delle opere. I canali realizzati per le bonifiche tendevano a riempirsi di detriti, la vegetazione riprendeva gli spazi consueti e il bufalo era l’unico “mezzo di lavoro” che a basso costo potesse assicurare la manutenzione. Costretto a sfidare freddo e umidità, veniva immerso nel canale dove rimuoveva, camminando, le erbacce e i detriti che si depositavano sul fondo.

NO

Nonostante la semplicità della costruzione, il marchio rimane poco chiaro nell’immagine e confuso se ridotto in formati inferiori. Anche se il riferimento alle opere non avesse luogo con figure piene, come ben chiaro dagli esempi, in campiture rosse, ma con sagome e pochi accenni di dettaglio interni, come nello schizzo qui laterale, esso continuerebbe a risultare poco diretto e comprensibile. E’ necessaria un’ ulteriore semplificazione.


Facendo tesoro dei problemi incontrati con la prima e seconda proposta di marchio, questo terzo tentativo si fonda su un nuovo obiettivo: superata la questione strutturale, del numero dei componenti facenti parte di esso come note informative, è necessario intraprendere una ricerca di sintesi figurativa, della stessa immagine esplicativa. Per far ciò, è necessario ridurre all’essenziale le opere di Cambellotti, indentificandone le linee di forza, di movimento, di espressione. Solo così si potrà davvero comprendere e tradurre in segno lo stile e le forme tipiche dell’artista. Ricorrente nelle sue opere, sia grafiche che scultoree, è la geometrizzazione delle figure: la spigolosità delle forme dei tratti si alterna a grandi linee curve. Il risultato è sempre una struttura molto compatta e organica.

Studio di riconoscimento delle linee

Da evidenziare è anche la verticalità delle figure. Questa non solo allunga le sagome dei soggetti ma, nelle sculture, rende questi ultimi come sospesi da terra, emergenti dall’interno dello stesso materiale.

Meritano una particolare attenzione i profili degli animali: il dorso di mucche e cavalli segue una linea sinuosa e costante, con zampe anteriori piegate e muso verso l’alto. Evidenziando le linee di forza delle figure d’animali se ne deduce una linea strutturale costante, seppur con qualche leggera variabile in ogni variabile (disposizione delle zampe, posizione del muso..). I dorsi degli animali tracciano una lunga curva ondulata di molta espressiva: le bestie sembrano arrese alla vita palustre, quasi inginocchiate o morenti. Volendo utilizzare questa linea dominante per il marchio, ci si pone il problema di quale potrebbe essere la modalità migliore per la sua espressione: • un segno realistico, che associ in maniera molto evidente il tratto alla gobba dell’animale. Il suo approccio sarebbe sicuramente più concreto e comprensibile; • un segno astratto, il cui obiettivo è valorizzare la linea ricorrente dell’artista senza ben collocarla all’interno di un’unica categoria di soggetti. Questo mira quasi esclusivamente a sottolineare una nota stilistica.

MAR CHIO TER ZA PRO PO STA


Volendo utilizzare questa linea dominante per il marchio, ci si pone il problema di quale potrebbe essere la modalità migliore per la sua espressione: • un segno realistico, che associ in maniera molto evidente il tratto alla gobba dell’animale. Il suo approccio sarebbe sicuramente più concreto e comprensibile; • un segno astratto, il cui obiettivo è valorizzare la linea ricorrente dell’artista senza ben collocarla all’interno di un’unica categoria di soggetti. Questo mira quasi esclusivamente a sottolineare una nota stilistica.

MAR CHIO TER ZA PRO PO STA

Arrivando all’estrema sintetizzazione, ne emerge solo la linea arcuata del dorso, elemento di tensione del corpo.

Esperimento del marchio in segno astratto

Cambellotti è un artista che parte dal reale, dal naturale., le sue opere si plasmano su idee e immagini concrete. Proprio per questo, ho deciso di spostarmi su un segno realistico, più affine all’intero lavoro di Cambellotti.

“ Ho accennato ai bufali. Questi animali non aborigeni erano degli intrusi, una vicenda di guerra li aveva condotti qui nel V secolo dopo Cristo. Poco trattabili, dall’aspetto quasi diabolico, sobri e forti, erano adibiti nella palude sfruttando la invicibile attrattiva dell’acqua che hanno questi animali di origine tropicale. Questo costituiva il quadro tipico della palude e ha esercitato l’arte di grandissimi e modesti presi dal fascino della cosa indimenticabile. Ho seguito i bufali come miei colleghi coll’intenzione di studiarli per ore ed ore sotto il sole cocente. Iavvicinabili da chinque, obbedivano agli ordini di un guidatore che poteva chiamarli per nome. Esso li seguiva sopra un’imbarcazione dal ventre piatto, munito di un lungo e grosso ramo di frassino. ”

Per evidenziare l’impatto che le mandrie hanno avuto su Cambellotti il singolo tratto non è efficace: moltiplicandolo, si ha un’idea del numero, del gruppo, in una disposizione ad origine comune in cui i corpi si espandono verso l’esterno. Questa posizione delle figure è spesso usata dall’artista, sia per forme animali che umane. Essa sicuramente evoca un idea di dinamismo, forza e resistenza.

NO La seguente soluzione non legittima gli obiettivi del museo, mancando quasi del tutto in una chiarezza dell’informazione. Ipotizzando l’approccio con un soggetto esterno, una simile immagine non si dimostrerebbe evocativa tanto per un passante che per un visitatore, anche abituale del museo. Per il segno bisogna quindi spostarsi verso un indirizzo più realistico, subito associabile all’immagine concreta dell’ animale e, quindi, delle opere.

L’immagine del bufalo nell’acqua è così forte e concreta da poter essere resa solo da un segno ben definito che non sminuisca la sua importanza per l’artista, la palude e la bonifica.


Nel risultato in forma realistica, è subito evidente la chiarezza dell’informazione: il profilo del bufalo traccia la linea ricorrente usata da Cambellotti. Il tratto ricorda la morbidezza del gesto riscontrabile in tutte le opere dell’artista, in un segno deciso e ben definito. L’immagine riesce ad evocare tutta l’espressività contenuta nelle opere del museo. Il bufalo, vero protagonista della palude, sembra alzarsi con fatica dal piano, dall’acqua stagnante, emergendo in tutta la sua solennità. L’effetto visivo è chiaro data la tipica lettura occidentale, da sinistra a destra: lo sguardo scorre, guidato dalla forma, sul dorso del bufalo fino a sollevarsi, completando percettivamente il movimento. Come le opere scultoree di Cambellotti, la figura si ergono dal suolo in un’accentuata e ostentata verticalità che innesca un gioco di forze contro il piano su cui posa. Insieme al bufalo, emerge l’intestanzione del museo, in carattere sans serif Avant Garde, parzialmente tagliata dal piano. Questo font estremamente geometrico è mirato a non prevalere otticamente sulla sagoma dell’animale, il vero forziere dell’informazione.

MAR CHIO TER ZA PRO PO STA


MAR CHIO TER ZA PRO PO STA

Il marchio in outline è valorizzato nella semplicità: è ben chiaro infatti che il carattere del segno non è reso dalla complessità, ma dalla decisa semplicità della traccia. Proprio questa essenzialità la rende facile da memorizzare e, allo stesso tempo, molto adattabile a interpretazioni di tonalità. Giocando con colori differenti, anche in negativo, il marchio riesce ad associarsi ai toni quasi assimilando una nuova identità ( raffinato ed elegante col nero,più impostato e ricercato col rosso, quasi giocoso con arancione e verde...). Tale qualità può essere sfruttata a fine indicativo e informativo per la fruitizione del museo: ad esempio, ognuna delle sale tematiche potrebbero essere associata au un colore.


MAR CHIO TER ZA PRO PO STA


Soffermandoci su altre due opere, la Redenzione dell’Agro e il manifesto per un opera teatrale a Siracusa, è evidente l’utilizzo di una struttura di base molto simile. Pionieri e soldati sono disposti in fila e insieme si abbassano verso terra. Il punto di vista a tre quarti rende l’immagine ancora più dinamica, ricreando una sorta di apertura a ventaglio, un’onda dei personaggi.

MAR CHIO QUAR TA PRO PO STA

I pannelli laterali illustrano e ricordano le situazioni antecedenti l’opera di bonifica che il nuovo ordine spazza via: da un lato il «pantano secolare» con il groviglio di alberi e di arbusti, ostacoli naturali che impedivano il defluire delle acque - riparo naturale della malaria - ma anche disperato rifugio di carbonai e avventizi; dall’altro gli abitatori abituali della palude, il buttero, le bufale, i cavalli bradi; presenze fuggitive, divenute «fantasmi» perché legate oramai alla desolazione e alla miseria del passato. L’arrivo dei coloni ex-combattenti annuncia la redenzione dell’Agro pontino sotto l’egida del fascio littorio, l’ordine nuovo, assertore di una delle massime aspirazioni dell’uomo-rurale: la conquista della terra. Questo ciclo narrativo è uno dei più elevati esempi di mistica totalitaria nell’ambito dell’intera vicenda muralistica italiana, quando il sentimento contemplativo diviene verità assoluta, come l’evocazione rapida di un sogno, di un prodigio. L’alfabeto simbolico cambellottiano esalta la creazione di una nuova mitografia rurale individuata nella saga combattentistica del pionierismo, nella sacralità eroica del lavoro che annuncia il progresso, nella essenziale scansione temporale: guerrarivoluzione-ricostruzione.

La Redenzione dell’Agro è sicuramente l’opera predominante nel museo, sia per importanza che per la posizione che occupano i disegni preparatori all’interno della struttura. Con tutta la sua ampiezza, si trova nel salone principale come vero fulcro della collezione: in quest’opera convergono tutti i caratteri distintivi dell’artista (pensiero rurale, interesse sociale e politico, soggetti animali…) in un contesto che interessa precisamente il territorio e la storia di Latina. Ritengo sia d’obbligo evidenziare il suo ruolo nel museo e nel campo artistico locale anche nella progettazione del marchio. La Redenzione dell’Agro Pontino, trittico che domina la sala del Consiglio provinciale nella Prefettura di Latina, ancora oggi appare come un’opera spiccatamente celebrativa, epica e apologetica. Il dipinto consacra, su 24 pannelli di eternit, una delle più marcate interpretazioni dell’incipit novus ordo che il regime fascista intendeva rappresentare. La parte centrale, ampia e scenografica, raffigura l’arrivo del miles agricola armato di vanga che incarna la nuova civiltà nata dalla bonifica integrale; in primo piano il fascio littorio piantato nella terra a eternare politicamente la conquista, con i contadinisoldati ricurvi nell’atto di afferrare la zolla, palesati da un movimento di masse in rilievo plastico come in una rappresentazione classica. Sullo sfondo in primo piano la nuova città di Littoria, contornata da un reticolo di strade e poderi, anima la pianura redenta. L’Agro bonificato è circoscritto profilo crestato del Circeo e dai lineamenti sinuosi del Vulcano laziale.

Questo movimento nell’arrivo dei militi grigi è una costante: il risultato definitivo nell’originale è documentato da una lunga evoluzione riscontrabile negli studi e in tutti i disegni preparatori dell’opera conservati nel museo.


MAR CHIO QUAR TA PRO PO STA Questo marchio alternativo dal segno astratto riassume tutta la forza di movimento della scena centrale: l’arrivo dei militi grigi. Questi, come fasci di energia, come un’onda si impongono sulla realtà palustre, portando con sè il fascio littorio, simbolo del pensiero che ha portato alla bonifica. Quest’ultimo sembra far da asse per i personaggi, i quali, come sostenuti, si gettano con furore verso il terreno. Questo segno grafico, in soli cinque tratti, riesce, almeno in parte a ricostruire il primo impatto dell’opera originale.


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In outline, si nota la linea imprecisa del marchio: essa non è casuale ma è derivata dall’effetto calligrafico scelto, vista la collezione di schizzi preparatori nel museo. Facendo degli esperimenti con combinazioni differenti di colore, ne derivano curiosi risultati. Cambiando l’ordine dei tre colori scelti sugli elementi, questi cambiano di gerarchia evidenziando, in modo alterno, l’asse centrale oppure i tratti dei personaggi. La combinazione favorita vede lo sfondo colorato e le curve in bianco, perchè più evocative nell’idea di movimento dettato dal concept.


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