Intro 'Living by Livia: i luoghi dell'abitare'

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Living by Livia: i nuovi luoghi dell’abitare — Un progetto di Eleonora Bompieri



Living by Livia: i nuovi luoghi dell’abitare — Un progetto di Eleonora Bompieri

Edito come tesi progettuale di Laurea Triennale Università La Sapienza di Roma Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Disegno Industriale Relatore Prof. Carlo Martino

Roma, Gennaio 2016


Un viaggio di riflessione per la definizione di una nuova soluzione progettuale. Ecco come nasce Livia: dall'analisi, dall'osservazione di un concetto quasi innato come quello dell'abitare, troppo spesso lasciato allo scontato e al passivo. Livia è un progetto per riappropriarci dei nostri spazi, per sottolineare l'importanza dei gesti che animano il nostro quotidiano.


Ci troviamo di fronte a un panorama internazionale dalle parole chiave di incredibile spessore: i nostri giornali parlano di 'casa', di 'appartenenza', lasciando a noi le conclusioni di una realtà sempre più concentrata e variegata, claustrofobica, di difficile definizione. Il nostro decennio ci pone ogni giorno domande sul nostro ruolo, imponendo una presa di posizione che molto spesso ci intimidisce anche come singoli. E' proprio in quest'aria di confusione che sorge spontaneo ricercare un nuovo spazio da riservare a noi stessi, da cui letteralmente lasciar fuori il resto. Un luogo in cui esprimerci nel permesso dell'ambiguità e del dubbio, ma sempre nei termini della coerenza. Un angolo di pace, di libera espressione, un 'giardino segreto' che risulti perfetto per le nostre passioni, per tutti i momenti da condividere o riservare a noi stessi. La casa, nella sua concezione più romantica, risulta perfetta a questa sua funzione di rifugio sicuro, di luogo di tranquilla intimità. Eppure, contestualizzata al suo scenario, la casa oggi appare diversa, definita da strutture sempre più definite, che spesso sfuggono dal primo obiettivo di creare uno spazio nostro, prima che per noi.

Probabilmente abito, o abitudine, di un mercato quanto più che mai seriale e standardizzato anche nelle sue diversificazioni, lo spazio domestico trova conformazioni ben scandite da aree predefinite, dai 'must have' d'etichetta capaci di rendere la stessa casa un prodotto desiderabile. Se da una parte il carattere di status quo risulta comunque una componente di difficile scissione dal tema, dall'altra è innegabile come questa abbia scavalcato e surclassato tanti valori anch'essi intrinseci: riconoscere la casa non solo come strumento ma come struttura attiva, mutevole nel seguire i nostri tempi, è il primo passo per una consapevolezza nuova e dal magnifico potenziale futuro. Come ci si 'sente a casa'? Che tipo di coinvolgimento comporta una simile sensazione? Proprio nel trovarci di fronte a una domanda apparentemente così scontata, scorgiamo suggerimenti nella memoria, nei piaceri piccoli e grandi, nei desideri, nelle tantissime sensazioni che solo uno spazio in grado di contenerci, e non soltanto nel senso fisico, può darci. E' qui che la casa passa a ruolo di pretesto: una scusa per capire, ognuno a suo modo, come abitare lo spazio.

Abitare: la parola chiave di questo viaggio per scoprire in che maniera ci rapportiamo con l'ambiente e soprattutto come la nostra capacità di gestirlo e farne esternizzazione di noi stessi sia cambiata lungo la storia del vivere. Un percorso dettato da persone, oggetti, pensieri che hanno definito società, economia e cultura in quanto tali. Con Livia, queste sfumature provano ad essere riassunte in una struttura stranamente familiare ma al contempo curiosa. Un libero omaggio alla realtà attraverso cui ci dibattiamo ogni giorno, in un continuo contrarsi di tempi e spazi dove necessariamente noi stessi dobbiamo diventare più versatili e pronti ad ogni eventualità. Livia nasce con la funzione di luogo, di libera dimensione scandita da confini concreti adatti ad accogliersi e modellarsi a seconda delle nostre esigenze. I gesti sono così amplificati, valorizzati in tutta la loro potenzialità di cambiamento e adattamento con cui già ogni giorno costruiamo i presupposti per il nostro benessere. La casa, e ancor più l'abitare, trovano così nuovi riflettori: essenza di benessere, di storia, di miriadi di personalità che fa di questa dell'uomo forse una delle più grandi conquiste.


Indice Per scoprire la realtà abitativa, ci si appella qui di un percorso di tre principali tappe quanto più mirate ad offrire una visione globale, che non tralasciasse sfumature su un tema così delicato. Un percorso variegato che alterna analisi più metodiche legate alla storia, senza poi tralasciare gli aspetti più astratti, legati al pensiero quanto individuale che sociale. Nella prima sezione, la casa è trattata nella sua purezza di struttura funzionale, non solo come dimora fisica, ma come centro di aggregazione ed identificazione. La sua immagine è ingrandita, riempita, sognata, al fine di rispondere ad una grande domande: come abitiamo? L'emotional design sorge qui come un prezioso alleato. Una disciplina che trova i suoi strumenti nella sensorialità, in una comunicazione implicita per risultati assolumente inaspettati. Infine, Livia: ecco il progetto ispirato al living che somma e riassume queste tante sfaccettate in un nuovo oggetto concreto. A suo sostegno, un metodico studio di alcune realtà del design capaci di insegnare, oltre che di far storia. Un viaggio lungo, ricco di personaggi e pensieri che non vuole deludere nelle conclusioni, con l'intento di offrire nuove soluzioni formali nonchè porre un importante interrogativo su un tema così intrinseco alla nostra intimità d'ogni giorno.

I luoghi dell'abitare

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26 — 29

Il concetto di casa

'Costruire, abitare, pensare': la voce di Heidegger sul tema dell'abitare

Dal dizionario alla natura, i tanti significati di ‘casa’ che ci circondano ogni giorno. Cosa rappresenta per noi? Cosa significa veramente 'sentirci a casa'?

14 — 21

L'abitare nella storia e nel pensiero La casa ha accompagnato l'uomo in tutta la sua evoluzione, assumendo le forme più svariate, nei materiali più differenti. L'immaginario collettivo ne ha ritratto la sacralità, la solidità, così reinterpretandola nelle numerose sfumature culturali, nei piccoli grandi oggetti destinati a riempirla. Breve riassunto del lungo iter che ha definito i tanti modi d'abitare.

22 — 25

Renos Papadopoulos: ‘Nessun luogo è come casa propria’ Da un esperto dell’immigrazione, una nuova definizione della casa quale mosaico individuale. Che 'etichette' può darci la nostra casa? E soprattutto, cosa succederebbe se non ne avessimo una?

Scopriamo il punto di vista di uno dei più importanti filosofi della storia che, con un celebre discorso, ha saputo dare nuovi termini di riflessione su un tema ancora d'attualità. Una pietra miliare che parla ad abitanti, ad architetti, a tutti i pensatori.

30 — 35

Gli arredi, fedeli complici dell'abitare La casa non può che essere osservata anche nel suo interno. Un'analisi attenta ci suggerisce quanto le funzioni domestiche siano dipendenti dagli oggetti a cui si legano. Un breve iter sul mobile ci dimostra come gli interni della nostra casa siano cambiati con noi, adattandosi al corpo, alle esigenze, al piacere che cerchiamo ogni giorno.

36 — 41

'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard Un viaggio nel sogno attraverso uno dei più begli scritti del filosofo francese, alla scoperta delle immagini, delle rêverie che animano il nostro immaginario ad occhi aperti.

42 — 47

L'esperienza del vuoto nella cultura giapponese La cultura giapponese presenta un fascino invidiabile che vede le sue basi in concezioni spesso antitetiche rispetto al pensiero occidentale. Scoprendo la sua estetica, o anti-estetica, indaghiamo su uno dei concetti fondamentali su cui gravita la mentalità nipponica: il grande potenziale del vuoto, qui affrontata dalla grandezza delle città fino ai piccoli oggetti d'uso comune.

48 — 55

L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro L'abitare è una questione che non può che essere affrontata nell'attualità dei suoi termini. Dalla crisi dei valori collettivi a una riorganizzazione sempre più compatta, standardizzata, addirittura claustrofobica, dei nostri spazi, osserviamo le nuove tendenze, i tentativi di soluzione che vogliono radicalmente trasformare il concetto tradizionale dell'abitare.


Emotional Design

Livia, una seduta multifunzionale

58 — 69

84 — 91

Donald Norman: studioso dell’emozione

Case study #1: Campeggi e il design trasformabile

L'Emotion design deve gran parte delle attenzioni a lui ora riservati, agli importanti studi di Norman, coniatore del termine, che ha stravolto il 'far design' con le sue osservazioni pungenti. Studi attenti per ridefinire i nostri parametri di giudizio sugli oggetti del quotidiano, per capire l'importanza nel nostro modo di comunicare attraverso le cose. La sua teoria dei tre livlli mentali è un punto di riferimento che non possiamo sottovalutare per capire gli obiettivi progettuali del nostro lavoro.

Un'azienda dal carattere assolutamente originale: Campeggi è un vanto del Made in Italy, del design radicale che continua a permeare il nostro panorama nazionale. Trasformabilità e ludicità fanno per quest'azienda da parole chiave, capace di dar forma a nuove soluzioni per i nostri spazi. Oggetti ibridi, multifunzionali, salvaspazio che con la loro ironia ci riportano al nostro sentirci bambini riappropriandoci dei nostri spazi.

92 — 97 70 — 81

Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere' Attraverso una delle voci più importanti dell'architettura del XX secolo, scopriamo il Biorealismo, uno sguardo nuove con cui pensare e progettare gli spazi che ci circondano. Neutro ci parla del senso del bello e di come la nostra concezione spaziali sia ben più complessa, radicata nella nostra psiche biologica.

Case study #2: Lignet Roset e l'imbottito da reinventare La Ligne Roset continua a far storia con i suoi imbottiti e non solo. Con più di 150 anni di attività, questa azienda francese non ha mai smesso di dettare gusti e tendenze talvolta rivoluzionari. I suoi divani, le sue sedute continuano a riempire i libri di storia, sempre in termini d'eccellenza: la cura dei materiali, delle lavorazioni non sono di secondo piano per la definizione di prodotti d'avanguardia, dalla spiccata personalità che solo Ligne Roset sa conferirgli.

98 — 101

I fratelli Bouroullec e lo studio della superficie I designer francesi sono dei pionieri del panorama internazionale. Le loro creazioni esplorano lo spazio creando nuovi luoghi d'interpretazione, nuovi habitat creati intorno all'uomo. Il loro uso delle superfici è essenziale: dai volumi più morbidi a quelli più rigorosi, i fratelli Bouroullec sono dei veri maestri della tridimensionalità con un brillante utilizzo dei tessuti.

118 — 131

I materiali scelti Tante consistenze, tante trame per funzioni e sensazioni differenti. Scopriamoinsieme i motivi, le storie, le proprietà che hanno fatto di questi materiali i compagni perfetti per questo progetto. Dalla fibra di latte al lenpur, una particolare attenzione per i tessuti innovativi, che sembrano nati dalle notre fantasie più recondite.

102 — 105

La nascita di un'idea Le conoscenze, le tante riflessioni finora affrontate, sono sommate e sintetizzate per dar vita a un progetto inusuale. L'aiuto di schizzi e prototipi risulta fondamentale per definire quelle che saranno le curve di Livia.

106 — 117

Un progetto che cambia con noi Livia in tutti i suoi accorgimenti, rivelando dettagli inaspettati con cui è pronta ad accoglierci.Uno zoom per comprendere al meglio le tante possibilità d'uso a cui si rende disponibile, per una nuova esperienza abitativa.

132 — 143

Una nuova soluzione per il living Scopriamo Livia nelle molteplici configurazioni tali da farne un oggetto 'parlante', di grande versatilità, capace di interpretare i nostri stati d'animo nonchè i bisogni. Inoltre, le suggestioni che hanno disegnato il progetto nel mio immaginario, ad immagine dell'abitare oggi, di sempre.



Capitolo I:

I luoghi dell'abitare

/ 8 — 55 Il concetto di casa / L'abitare nella storia e nel pensiero / Renos Papadopoulos: ‘Nessun luogo è come casa propria’ / 'Costruire, abitare, pensare': la voce di Heidegger sul tema dell'abitare / Gli arredi, fedeli complici dell'abitare / 'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard / L'esperienza del vuoto nella cultura giapponese / L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro


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I luoghi dell'abitare

Questo progetto nasce e vede il suo sviluppo intorno a una forte parola chiave: la casa. Casa come sicurezza, come scrigno, come specchio di noi stessi. Un’entità che sembra nascere con l’uomo ed evolversi con esso, tale da plasmarsi quasi come archetipo del suo stesso sviluppo. Come ci insegna la storia, la casa è indiscutibilmente la prima risposta ai bisogni umani, vera interprete delle necessità e dei desideri susseguitesi nel corso dei secoli. A tal proposito, è importante non sottovalutarne il ruolo non solo negli aspetti concreti e strutturali, ma come complesso prodotto mentale connesso all’ambiente quanto alla nostra interiorità. Vivere la casa, tornare a casa, desiderare una casa... Espressioni il cui pensiero non intende solo varcare porte e pareti, ma creare veri luoghi mentali, spazi, nelle forme più svariate dei nostri bisogni e desideri. Della nostra interiorità.

Definizioni estrapolate da 'Dizionario Treccani', Edizione 2014

1. Costruzione eretta dall’uomo per propria abitazione; più propriamente, il complesso di ambienti, costruiti in muratura, legno, pannelli prefabbricati o altro materiale, e riuniti in un organismo architettonico rispondente alle esigenze particolari dei suoi abitatori 2. Edificio in cui convivono o sono accolte, per limitati periodi di tempo e per motivi particolari, determinate categorie di persone; l’istituzione stessa che l’amministra e il personale che è addetto al suo funzionamento; 3. Le persone conviventi di una stessa famiglia e quindi anche la famiglia stessa | casato, stirpe, dinastia 4. Insieme di persone viventi in uno stesso ambiente, o in una stessa comunità, o accomunate dall’appartenenza a uno stesso partito o ideale politico - religioso 5. Patria, Stato, paese dove uno abita

Questo iter vede la sua partenza proprio dal dizionario, per capirne il significato e le sue concretizzazioni. Le definizioni, la prima in particolare, lasciano trapelare un significato più intrinseco che la casa ha per noi, consolidando la componente di aggregazione sociale che essa spesso intende. Eppure la casa non può ridursi a semplice struttura architettonica, tanto più, essa deve necessariamente essere connessa al suo ruolo funzionale: in ogni forma, l’abitazione è concepita come un nucleo atto a fornire dei servizi fondamentali e specifici. La sicurezza è sicuramente il fine più intrinseco: fornire una risposta che non solo sia definita rispetto ad esigenze ambientali, ma anche nel nostro ‘sentirci a casa’. E’ sicuramente impossibile definire una dimensione talmente soggettiva e culturalmente intrinseca della casa, eppure risulta innegabile come questa rappresenti un fondamento basilare non solo sul piano architettonico ed economico, ma soprattutto di consolidamento e definizione del tessuto sociale e introspettivo. La dimora è da sempre esplicazione di significati ben più intrinseci, connessi al corredo personale di cui ognuno vuole permearla. La casa come spazio di benessere, di sicurezza, di conservazione per ogni preziosissimo ricordo... Tanti valori che ne hanno fatto un oggetto sacro ben impresso nella cultura e nel nostro vivere quotidiano. Un 'luogo', prima che uno spazio.


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Il concetto di casa

Per comprendere al meglio il significato di ‘casa’ oggi, è bene volgere uno sguardo indietro agli elementi che ogni ne hanno definito le peculiarità. Esigenze diverse dettate da tempi e spazi hanno suggerito uno svariato numero di risposte differenti che, seppur nella diversità, tracciano una coerenza di percorso nell’analisi di ogni singolo caso rispetto al precedente. Nuovi materiali, strutture e bisogni si sono combinati nel tempo fino a dar vità ad un’incredibile varietà di soluzione, atte a svolgere al meglio la funzionalità propria dell’abitazione dettate dai suoi abitanti. La molteplicità di termini che molte lingue conoscono per indicare l'abitazione rivela la complessità della nozione: al di là delle sue elementari funzioni di riparo, la casa è luogo e supporto della vita familiare e di quella comunitaria; è oggetto culturale, usato per contrassegnare lo spazio, per esprimere sentimenti, per comunicare identità; può essere luogo o strumento di lavoro, merce, bene di consumo; inoltre espressione di status e risorsa da cui dipendono le condizioni di vita della famiglia. Oltre a indicare la complessità funzionale dell'abitazione, la molteplicità di termini ordina i diversi significati che essa può assumere nell'esperienza personale e collettiva. Quasi tutte le lingue europee hanno termini ('feeling home') per definire le dimensioni emozionalmente più significative dell'esperienza abitativa, quelle che indicano la sua possibile centralità nelle condizioni di esistenza e il suo intimo legame con la cultura di una popolazione. La complessità delle funzioni e dei significati è alla base dei problemi di individuazione e di interpretazione storica.

La 'casa' non è solo un tema architettonico, sociale, economico, ma un vero e proprio problema d'attualità che merita la nostra riflessione a riguardo

La 'casa' ha una definizione così variegata che trova i suoi connotati benradicati nelle sfumature culturali e sociali di ogni tempo e luogo

'L'architettura degli animali. Nidi, tane, alveari', di James R. Gould e Carol Grant Gould, Cortina Editore, 2007

E' la sua stessa determinazione culturale a implicare un'estrema variabilità di situazioni, che pone problemi già a livello di definizione, di cosa debba cioè intendersi per abitazione e abitare nei diversi contesti. La casa non ha la stessa importanza in tutte le società, e diverse popolazioni non posseggono espressioni per indicare i significati più profondi dell'esperienza abitativa. In molti casi, è addirittura difficile capire quali spazi possano essere identificati come abitazione: anche nelle nostre società luoghi dell''abitare' possono essere anche il vicinato, il quartiere, il villaggio o la città, e le opzioni o gli equilibri che si costituiscono tra i diversi luoghi abitati rappresentano altrettanti modelli abitativi. Concetto che successivamente amplieremo, l'abitare è quanto più spesso da noi associato al luogo significativo delle attività e delle relazioni, solo successivamento ricondotto a delle spazialità. La problematica abitativa delle nostre società è l'esito di un passaggio storico che ha sconvolto funzioni, significati e forme spaziali dell'abitare. Anche se è vero che le nostre idee in proposito poggiano su una base culturale molto più antica, si può affermare che le nozioni più caratterizzanti, e le più problematiche, della nostra esperienza abitativa si sono affermate con i processi di industrializzazione e modernizzazione. Opposizioni terminologiche come habiter/ habitat, o abitare/residenza, rappresentano in termini problematici quello che appare il senso del passaggio: da esperienza complessa e articolata a livello dell'intero sistema insediativo a 'funzione' specifica, inscritta in uno spazio delimitato. Al mutamento funzionale e culturale si accompagna un cambiamento, altrettanto radicale, nei modi di produrre le abitazioni. La relazione diretta tra abitanti e produttori, tipica delle società precedenti, viene meno a favore di un processo centrato su competenze specialistiche e su apparati specializzati, tra cui lo Stato. Alla 'riduzione' dell'abitare e alla distanza sociale e amministrativa che si costituisce tra utenti e produttori è riconducibile gran parte della moderna problematica abitativa.


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I luoghi dell'abitare

La casa come necessità biologica Da sottolineare, è come il concetto di ‘casa’ non sia di esclusiva dell’uomo. La natura infatti suggerisce innumerevoli esempi di rifugio, capaci di predisporsi a svariate problematiche proprie ad ogni specie. Api, formiche, lumache, uccelli e tanti altri forniscono modelli assolutamente funzionali di case modulari, itineranti, temporanee, dalle divisioni specializzate... Come per l’uomo, è interessante come la casa diventi in campo biologico un vero e proprio parametro di distinzione e, soprattutto, di valutazione di strutture e organizzazioni sociali più o meno complesse. Qui essa non diviene solo un esplicativo del costruire e provvedere a se stessi, ma un’esternazione delle proprie esigenze al fine di curarsi nel meglio delle capacità e delle scelte disponibili. Associare la nostra casa a quella del mondo animale non è affatto un tentativo riduttivo di sintesi, al contrario: molti esempi esplicano quelle che sono risposte brillanti e risolutive d’aiuto anche al caso uomo, quasi da sembrarci sarcasticamente a nostra imitazione. Il caratteristico pattern strutturale degli alveari è un vero e proprio sistema ingegneristico, capace di conciliare risparmio di materiale da costruzione (cera) e massima ottimizzazione dello spazio interno (favo). Questo sul principio che le figure geometriche che, a parità di perimetro, hanno un’area più grande sono, nell’ordine, il cerchio e quindi i poligoni con un alto numero di lati. Oppure, a beffa del nostro mercato immobiliare, come guardare all’esigenza di un paguro di cambiar casa in base alla propria crescita? Sebbene cambino le circostanze ambientali, ben poco lo allontana dai nostri traslochi, dal districarsi tra lo svariato numero di proposte offerte dall’ambiente, economico e non, a disposizione. Tali simmetrie tra la nostra casa e tutte le variabili della stessa suggeriscono un'importante riflessione su come l'abitazione costituisca immediatamente la risposta a bisogni specifici di sopravvivenza, con principali parametri nella collettività e nell'ambiente di collocamento. La casa costituisce così una vera e propria necessità biologica che col tempo e, ovviamente, con l'iter evolutivo che ha coinvolto l'uomo, ha saputo farsi carico dell'aggiunta di tanti altri servizi a cui provvedere. E' in quest'ottica che non possiamo far altro che giustificare la dimensione emotiva che ha avvolto l'abitazione, quale parallelismo associato a un uomo sempre più desideroso al conoscere, al sentire, all'interrogarsi, oltrepassando i limiti della materialità. Tornando dai suoi inizi, è da sottolineare come l’unione di osservazione, necessità ed esperienza abbia fatto sì che la nostra casa possedesse le peculiarità attuali, in tutte le sue varianti. La natura è stata in grado di fornire numerosi suggerimenti, la cui reinterpretazione ha plasmato le strutture fondamentali che hanno saputo anche definire l’uomo in ogni suo ambiente. Il bisogno di adattarsi, nonchè difendersi, dallo stesso habitat ha fatto da leva per la formulazione di risposte nuove, originali, sempre più personalizzate, con la principale comune di definizione dello spazio. Facendo un passo indietro, possiamo ben dedurre come questo sia un lungo risultato che, con e per l’uomo, vanta millenni di storia. Anni di sperimentazioni, innovazioni tecniche e scientifiche, bisogni da circostanze più o meno abituali hanno dato forma non solo a nuovi ‘tetti’ ma, parallelamente o di conseguenza, a nuove concezioni di spazio: spazio non come entità metrica, ma come luogo rappresentativo in cui porre se stessi, di ciò che ci appartiene. L’evoluzione dei materiali, in primis, ha contribuito nel dar luogo concreto a idee finora risultate utopiche e irrealizzabili. Attraverso le conoscenze acquisite, l’uomo ha potuto assumere potenzialità finora inespresse e lontane dalla propria fisicità, quali veicolo di una nuova conquista: la consapevolezza spaziale e la sua progettazione. La casa, come ‘primo’ ambiente individuale, se ne fa espressione, canalizzando le tante necessità capaci, prima che spingerci oltre negli obiettivi, di definirci in un interno. Paradossalmente, l’approccio che viene ormai fornitoci dalle nuove tecnologie vede il suo procedere verso tematiche e strutture quanto più rivolte alla natura che in passato. Con un occhio più esperto e sensibile, l'uomo si propone a un nuovo confronto.

La casa ha un valore molto più intrinseco al nostro sentire più di quanto si possa immaginare. Ciò nonostante non è un'esigenza esclusiva all'essere umano.

'L'architettura degli animali. Nidi, tane, alveari', di James R. Gould e Carol Grant Gould, Cortina Editore, 2007


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Il termine 'biomimesi' fu reso celebre da Janine Benyus nel 1997, definendola 'la nuova scienza che guarda alla natura come modello, misura e guida'

Il concetto di casa

Un’inevitabile nostalgia per la sua origine più istintiva? Più probabilmente una fiducia verso l’ambiente che oggi, come in passato, non sembra esaurire buoni consigli per il nostro vivere. Un ambiente che, allo stesso tempo, ricorda all'uomo le sue radici e non smette di ricordargli i propri limiti nella fisicità. L’accordo di tecnologie e natura ha fatto sì che le progettualità si muovessero in uno scoprire apparentemente nostalgico, finalizzato alla comprensione dei complessi meccanismi naturali e alla loro riproposta in termini di vantaggio. Le conoscenze ci hanno resi forti di svariate energie ora incarnate da sistemi a puro uso ed opera dell’uomo, superando le logistiche secondo cui si faceva affidamento a fattori e circostanze esterne. L'uomo contemporaneo può confidare in servizi d'acqua corrente o d'imbottigliamento per bere o lavarsi. Un esempio simile può ben esplicare come siamo riusciti a minimizzare la provvisorietà, le circostanze di svantaggio abbracciando un approccio progettuale, di gestione a lungo termine mirato alla sicurezza e al benessere. Capacità di estrema importanza: l’imitazione, l’interiorizzazione e la successiva riproposta di realtà più o meno complesse intorno a noi, al fine del buon vivere e, implicitamente, della sopravvivenza, hanno costruito le principali garanzie su cui oggi giorno, anche involontariamente, facciamo affidamento. Parlando di società, natura e ambiente, è impossibile non citare le tendenze di biomimesi che ora affollano qualsiasi ambito della progettazione. Lo spessore di tali studi è tanto più rappresentato non dalle possibili potenzialità acquisibili, quanto dal riconoscimento della natura non più solo come scenario, oggetto d’uso e sfruttamento, ma come realtà intelligente, capace (ancora) di insegnare. L’imitare la natura può esplicarsi in un’importante riflessione che vede l’uomo sotto più luci di contrasto: il mimare vuole elevarci dal nostro piano originario e naturale o riconnetterci ad esso? Temporeggiando nella risposta, troviamo certezze nella complessità e nelle sottigliezze dei rapporti naturali che, attentamente studiati, sapranno definire a poco a poco il ruolo e la sopravvivenza della nostra specie sul pianeta e nei processi che a esso appartengono. Per tanti, la biomimesi rappresenta una sensazione di 'ritornare a casa’, un’occasione che sembra nobilitare l’uomo a un gradino superiore di 'homo faber', fino a progettista della vita e dell’ambiente. Non a caso, è proprio questa per molti la definizione a dividerci dagli animali: 'L'uomo è diverso, tende a voler riparare e migliorare le cose. Modifica il suo ambiente naturale, mentre gli altri animali ci vivono in pace.' L’uomo ha già saputo dimostrare nel corso dei secoli le proprie inclinazioni (la voglia di conoscere e modificare, l’esprimere sè stesso in ogni intervento di alterazione...) eppure la dimensione di ‘casa’ rimane una costante su cui fare affidamento.

L’umanità non può sottrarsi alla necessità, all’istinto naturale, all'ossessione di modellare strutture e strumenti in cui potersi collocare nei termini di efficienza, sicurezza e autorealizzazione. La casa rimane la prima, fondamentale occasione per caricare lo spazio di sè stessi, adattandolo ai propri bisogni, al gusto, alle attività capaci di stimolarci e riempirlo. Superata la sua dimensione di riparo fisico, l'abitazione viene estrapolata fino a divenire un 'luogo', prima che uno spazio, su cui far affidamento e dar voce all'interiorità dei suoi abitanti. Risultato di stratificazioni complesse piene di storia, memoria ed esperienza individuali quanto collettivi. Quali sono i passi di questa evoluzione? Perchè non interrogarci sulla nostra casa e sul senso che ognuno di noi sa darle? Ma soprattutto, scopriamo insieme come aprire le porte a nuovi modi di ‘sentirci a casa’ oggi indagando le realtà dell’abitare, le tendenze dietro ai suoi servizi, e soprattutto cogliere la ricetta del ‘casa dolce casa’.

La casa ha un valore molto più intrinseco al nostro sentire più di quanto si possa immaginare. Ciò nonostante non è un'esigenza esclusiva all'essere umano.


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I luoghi dell'abitare

La casa è un concetto che ci risulta innato: una consapevolezza tramite cui ci riconosciamo in un interno, di qualunque natura esso sia. Che sia questo di natura spaziale, temporale o sociale, poco fa differenza. Il vivere la casa, o meglio, l'abitarla, è un'importante mezzo per conoscersi, riconoscersi ed individuarsi in un gioco che non invidia la logica insiemistica. Il tema dell’abitare mette in gioco, in prima istanza, la realtà dell’essere umano quale è apparsa alla riflessione filosofica, che l’ha fissata sull’incerto confine di un cogito oltre il quale si agita una naturalità fatta di istinti, pulsioni, sentimenti e comportamenti irriducibili agli schematici rigori della ragione. Sorge quindi spontanea una domanda: quante case abbiamo nella nostra vita? Una casa, una famiglia, una nazione, un continente, un pianeta, un universo... Infinite case. Eppure quante di queste si interpretano nel valore fondamentale dell'abitare? In quante ci riconosciamo? E' esplorando il territorio dell’antropologia filosofica che questa riflessione ha trovato un ordinamento coerente: l’idea che l’essere umano possa realizzarsi solo superando la sua struttura biologica, dalla quale non potrà mai distaccarsi, ma che con il suo agire egli trasforma in comportamento culturale, imponendosi quindi sulla stessa natura che lo produce e lo determina come soggetto, risulta qui basilare. Privo di un proprio habitat, l’essere umano ha fatto dell’intero mondo il suo ambiente, trasformandolo, attraverso il progetto e la tecnica, in una natura artificialmente ricomposta e posta al suo servizio; e in questa immagine dell’umanità racchiusa nell’inscindibile binomio ‘natura e artificio’, l’abitare si è costituito come figura emblematica che ne assorbe e ne chiarifica tutte le molteplici implicazioni. Esso si pone anzitutto come invariante antropologica, le cui modalità restano fissate nello spazio e nel tempo: da un lato è il corpo stesso a farsi misura e modello di un abitare, che non sorge come conquista dell’intelligenza, ma come pura pulsione istintuale; dall’altro è l’incessante affinamento di una tecnica, destinata a supplire alle carenze difensive e operative tipicamente umane, a trasformare la cieca istintività in previsione progettuale e in strumentazione attuativa. Lo spazio dell’abitare si istituisce quindi, nella sua forma prima, sul corpo dell’abitante, e si definisce immediatamente come spazio del vissuto, fissandone la posizione e la configurazione rispetto allo 'sconfinato' che lo circonda. La spazialità dell’abitare si porrà dunque come dimensione di posizione per il mondo, in quanto individuazione territoriale, riferimento percettivo, collocazione ambientale, e come spazialità di situazione nel mondo, in quanto realtà sviluppata nel tempo, identità, appartenenza.

Spetta a noi, abitanti e non solo occupanti, interpretare il nostro stare, cogliere la sottigliezza del rapporto con ciò che ci circonda, tale da farne interpretazione del nostro agire e del nostro essere. Persone e città, ma ancora, pareti, mobili e oggetti, tracciano gli orditi invisibili della nostra identità, definendola e variandola. Ecco plasmarsi davanti a noi una doppia elica che nulla ha di meno da ricordarci: il nostro essere umani.

Riflettiamo sull'abitare. Questa ci pone nella posizione di collocarci ad un interno, a darci coordinate spaziali in cui muoverci, adattarci, ricoscerci


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Il concetto di casa

Quanto più profondamente penetriamo nel mondo submicroscopico, tanto più ci rendiamo conto che il fisico moderno, parimenti al mistico orientale, è giunto a considerare il mondo come un insieme di componenti inseparabili, interagenti e in moto continuo, e che l'uomo è parte integrante di questo sistema. Da qualunque punto di vista si guardi alla vita, dai batteri agli ecosistemi su larga scala, ci accorgiamo di una fitta rete dove le componenti interagiscono le une con le altre, in modo tale che l'intero sistema sia regolato ed organizzato da se stesso. Il mondo naturale è un mondo di varietà e complessità infinite, un mondo multidimensionale che non contiene né linee rette né forme perfettamente regolari, nel quale le cose non avvengono in successione ma tutte contemporaneamente; un mondo in cui come ci insegna la fisica moderna persino lo spazio vuoto ha una curvatura.

Dobbiamo quindi abituarci all'idea che tutto ciò che per noi è visibile ed è materia è composto essenzialmente, in larghissima maggioranza, di vuoto. Nella fisica moderna il vuoto è ben lungi dall'essere vuoto. Al contrario, esso contiene un numero illimitato di particelle che vengono generate e scompaiono in un processo senza fine. Il 'vuoto fisico' non è uno stato di semplice 'non-essere', ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle. La famosa frase di Cartesio 'cogito ergo sum' ha portato l'uomo occidentale a identificarsi con la propria mente invece che con l'intero organismo. Come conseguenza della separazione cartesiana, l'uomo moderno è consapevole di se stesso, nella maggior parte dei casi, come un io isolato che vive 'all'interno' del proprio corpo, e non del suo spazio. – Fritjof Capra, 2010


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I luoghi dell'abitare

L’ abitare nella storia e nel pensiero La casa, come già osservato, è un grande scrigno di valori ed espressività, tali da convogliare il suo significato nell' 'abitare'. Tra i due termini c'è sicuramente un legame stretto sebbene, ad anticipo delle tante pluralità di pensiero che conosceremo in seguito, questo non implichi una relazione biunivoca: l'abitare è un'esperienzialità che supera il contatto spaziale, che trova le sue prime radici nel pensiero. Come tale, è bene non confondere le due identità, così da comprendere al meglio il loro significato intrinseco. La casa, proprio come rappresentante dell'abitare, ne ha seguito e concretizzato i cambiamenti, avviluppandosi in una molteplicità di forme e sensi. Espressione di un'esigenza primaria per l'uomo, quale difesa, rifugio, delimitazione di un dominium personale, l'abitazione si è evoluta nel tempo in forme planimetricamente e funzionalmente sempre più articolate: dalla casa archetipo dei primordi, un secondo abito a protezione del corpo, a quella organizzata in un unico ambiente indiviso, adibito a funzioni private, conviviali e rituali, si arriva all'elaborazione di una pluralità di modelli edilizi e tecniche costruttive rispondenti alla specializzazione e differenziazione dei ruoli tipiche delle società complesse. L’abitare potrà costituirsi in abitazione, ovvero in spazio geometrico organizzato, se non oltre nell' interno soggettivo, identitario, il cui disegno fluirà anch’esso direttamente dal corpo dell’abitante, ora però dettato dai suoi ritmi biologici, dalle sue cadenze temporali pronte a solidificarsi in abitudini, a incarnarsi nella scansione cadenzata dei comportamenti. Il ciclico alternarsi della veglia e del sonno, la reiterazione degli appetiti, il rito dell’igiene, l’insorgere del desiderio, il sistema degli affetti, l’impulso alla socialità o alla solitudine delineano nello spazio fisico dell’abitare diagrammi che rispecchiano il reticolo dei comportamenti individuali e di gruppo. Questi, in qualche modo, vi trovano la loro rappresentazione, vi restano fissati in immagini, in percorsi, fino a comporre una mappa ideale, una topografia simbolica. Così lo spazio dell’abitare viene ora percepito non in quanto ‘oggetto’ fisico né in quanto ‘concetto’ puro o a priori, bensì come espressione del sé dell’abitante, manifestazione del suo essere nell’hic et nunc del proprio vissuto. L'abitazione riflette nella varietà delle tipologie l'incidenza di fattori ambientali (sito, clima, suolo, relazione con i luoghi circostanti nella presenza o assenza di un tessuto, e con il contesto nel binomio città-campagna) e culturali (codici della vita associata, principi aggregativi, morfologie, valori estetici e simbolici, tecnologie).

Abitare non significa solo occupare uno spazio, ma prevede il coordinarsi di numerosi fattori, di natura sociale, ambientale, emotiva

Un triplice intreccio di contenuti spaziali, temporali e relazionali definisce l’esperienza specifica dell'abitare nel suo variare: scopriamo le dinamiche che hanno plasmato questo delicato 'risiedere'

Più che percepito, l'abitare è sentito: il sentimento della permanenza, del mutuo riconoscimento fra sé e il mondo, dell’affermazione di una individualità, vi trova la sua configurazione più immediata, che nasce dal pathos dell’abitare prima ancora che dall’ethos dell’abitazione, della residenza, dell’identità sociale e territoriale. In questo senso, si può affermare che quella dell’abitare è un’esperienza intrinsecamente estetica, nel suo senso primario di riflessione, di comprensione del mondo. In questa fase, l’essere per sé dell’abitare si rovescia spontaneamente in un essere per gli altri, che si incarna nella concezione sociale e culturale dell’abitazione. La sfera del privato, che inizialmente l’accolse in un interno segnato dalla soggettività, si moltiplica ora in un’individualità riprodotta e moltiplicata nella struttura della famiglia, per aprirsi infine a una dimensione pubblica, collettiva, di gruppo, a un esterno che ne stabilisce la collocazione, i ruoli, le classificazioni economiche o sociali. Lo spazio posizionale dell’abitare si articola così in un sistema di coordinate: l’abitazione è definita dal suo dislocarsi in una topografia fisica e civile nella quale l’identità dell’abitante

'Universo del corpo — Abitazione', di Anna Laura Palazzo, Treccani Editore, 1999


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L'abitare nella storia e nel pensiero

è stabilita in prima istanza da quella del gruppo. Per il rapporto di stretta strumentalità rispetto agli interessi fondamentali di ogni suo abitante, l'abitazione concretizza in effetti l'oggetto della libertà del domicilio, concepita come un'ulteriore tutela che viene assicurata dall'ordinamento giuridico alla possibilità per ciascuno di gestire autonomamente il proprio corpo. La casa si riconosce come estensione. La documentazione archeologica sulle prime fasi e forme di organizzazione dello spazio privato attesta l'importanza di alcune esigenze psicologiche permanenti che si manifestano nel corso della storia con aspetti sempre più articolati e complessi. Come non riconoscere nella funzione di riparo, di guscio protettivo per l'individuo, poi di 'abito' allargato ad accogliere il gruppo, una valenza rassicurante che va ben al di là della pura necessità meccanica? Su questo rovesciamento del privato nel pubblico, dell’interno nell’esterno, dell’individuale nel collettivo, che ha alimentato una storia di dimensioni planetarie, la modernità occidentale ha eretto il proprio sistema culturale e politico; ha tradotto i principi della democrazia, del benessere di massa, del progresso illimitato in una progettazione degli spazi e degli oggetti destinati a modelli abitativi rigorosamente funzionali, nei quali si è infine rispecchiata la struttura economica e produttiva della società industriale.

' I mutevoli confini della domesticità nello spaziotempo contemporaneo', di Marita Rampazi'

La casa è definizione ed espressione di molteplici equilibri, dettati da altrettanti confini: il pubblico e il privato, l'intimo e il collettivo...

La coerenza tra le forme abitative e le condizioni ambientali, le risorse locali, l'assetto produttivo, l'organizzazione sociale, i modi di vita e le concezioni culturali delle diverse società è illustrata da un'enorme documentazione di ricerca. Con una breve analisi, mettiamo in luce anche l'altro carattere tipico della casa nelle società tradizionali: la sua ricchezza simbolica, che è in rapporto con la stretta integrazione dell'abitare nel complesso dell'esperienza sociale. La maggior parte dei valori centrali nella nostra cultura abitativa, nonostante la loro apparente ovvietà, ha origine recente. Nozioni come quella di 'intimità' o quella di comfort si sono sviluppate tra la fine del Medioevo e la rivoluzione industriale. Lo stesso si può dire per la concezione spaziale che prevede la separazione di funzioni e di vani all'interno dell'alloggio. Si tratta in effetti di modelli e di nozioni che elaborano l'idea che è alla base della cultura abitativa portata dai processi di modernizzazione: quella di un luogo specifico di residenza, suscettibile di essere 'appropriato' e valorizzato da parte dell'unità familiare. All’alba del XXI secolo, questo modello mostra, però, evidenti segnali di crisi. Non si tratta del decadimento degli strumenti tecnici dei quali esso progressivamente si è dotato, bensì del venir meno dei suoi presupposti culturali, dell’ideologia che ne ha plasmato i lineamenti, del progetto sociale che ne ha disegnato il ruolo e la portata. Le inquietudini che hanno percorso l’architettura al tramonto del Novecento (il concitato recupero dei concetti di luogo, di memoria, di tradizione; radicale ripensamento del rapporto dell’artefatto architettonico con la natura; ricerca di più equilibrate relazioni con la tecnologia; pressanti interrogativi sul destino degli spazi urbani. sono state i segnali di mutamenti più profondi che stanno infine portando alla luce verità elementari, sebbene ancora nebulose. Il passaggio alla società di massa reclama il bisogno d'affrontare la questione dell’abitare, per superare non solo l’algida visione novecentesca dell’abitazione come diritto al benessere, ma anche le contemporanee insorgenze tardoromantiche che hanno fissato l’abitare nella sua dimensione mitica, poetica, se non addirittura mistica.


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I luoghi dell'abitare

Materiali & Strutture Nel corso della storia le esigenze abitative dell’uomo hanno subito molteplici cambiamenti, evolvendo così lo stesso concetto di casa. Per comprendere tale evoluzione occorre fare un passo indietro nel tempo, giungendo sino all’età preistorica. E' qui che si scopre l'embrionale dimensione dell' 'abitare', nel riconoscimento e risposta di importanti necessità. Nell’età paleolitica (20.000 – 5000 a.C.) i nostri antenati elaborarono l’idea di trovare un rifugio per difendersi dalle insidie della natura. In assenza di tecniche costruttive, l’uomo di quel tempo ha utilizzato come dimora tutto ciò che l’ambiente circostante rendeva disponibile: cespugli, alberi cavi, buchi nel suolo o caverne. Dal Paleolitico superiore, grazie all’utilizzo della pietra, e probabilmente ad una organizzazione sociale più complessa, avvenne il passaggio a strutture abitative più elaborate: le abitazioni seminterrate costruite con pali, ossa, pietre e pelli; vere e proprie tende. L'estrema precarietà delle prime sedi umane utilizzate come rifugi provvisori rudimentali non consente di rintracciare nelle fasi in cui l'uomo è ancora nomade e si procura il cibo cacciando, l'archetipo funzionale dell'abitazione: mancano, infatti, i presupposti di un'appropriazione, rituale o convenzionale, del territorio, attraverso un atto deliberato e volontario di occupazione, senza il quale non si dà la dimensione antropologica dello 'stare'. E' con il Neolitico ( 6000 a.C. ) che molte popolazioni umane passarono da una vita nomade ad una sedentaria come conseguenza della nascita dei primi villaggi e delle prime forme di organizzazione sociale, caratterizzate da un nuovo tipo di abitazione: la capanna, costruita essenzialmente con materiali vegetali; nelle vicinanze di laghi e fiumi la capanna si staccò dal suolo e sospesa su pali infissi nel fondale divenne palafitta. La maggiore stabilità nelle consuetudini di vita connesse allo sviluppo delle prime tecniche di coltivazione determina un drastico cambianto nei ritmi di vita e nell'ottimizzazione di spazi e risorse. Risalgono invece all’età del Bronzo ( 3000 - 2000 a.C. ) le prime case costruite con mattoni crudi, pietra e argilla. Grazie all’impiego di questi nuovi materiali, si specializzarono nuovi tipi abitativi in funzione dell’accessibilità di un popolo ad essi, nonchè in base alle situazioni socio-politiche, culturali ed economiche che andavano strutturandosi. A questo punto la casa dell’uomo non aveva più il semplice significato di riparo dal clima e dai predatori per cui era nata, ma diventa luogo in cui accumulare le risorse alimentari e nutrirsi, riprodursi, proteggere e allevare la prole, fino a diventare vero simbolo del nucleo familiare. Con la sedentarietà si consolidano, inoltre, il culto dei morti e la pratica della sepoltura: la dimensione del sacro assume maggiore importanza tanto da guadagnarsi uno spazio ad esso adibito. Ennesimi elementi di dinamismo e innovazione furono introdotti dalle popolazioni mesopotamiche: tecniche e schemi più progrediti fecero della casa un sistema dagli ambienti funzionali e completi, a cui si rifaranno, con poche varianti costruttive, i popoli che si insedieranno successivamente in questi territori. Si passa infatti da ambienti comuni finalizzati ad accogliere intere comunità, a dimore unifamiliari con una differenziazione di ambienti, ognuno deputato ad una specifica funzione. Proprio con la divisione degli spazi, la casa assume connotati più individuali, rivolti al singolo e al soddisfacimento dei suoi bisogni. Lo svilupparsi di raggruppamenti sociali più ampi determina un'obbligata particolarizzazione di ruoli e personalità tali da esplicarsi quasi immediatamente nelle scelte e negli spazi dell'individuo. Una presa di consapevolezza drastica, per l'espressione creativa e caratteriale, che consoliderà le strutture sociali e dell'interiorità di ognuno. Nuovi materiali e nuovi spazi danno luogo a forme artistiche sempre più ricercate, che confermano la nascita del gusto o, addirittura, dello stesso valore di scelta. Non a caso, una simile rivoluzione estetica e personale darà le basi per un florido sviluppo di modelli di case e stili architettonici corrispondenti ad alcuni tratti fondamentali della propria tradizione e cultura, anche in funzione delle differenti classi e strati sociali all’interno di una medesima società. Con la casa, l'uomo troverà il perfetto espediente identificativo con cui defirsi, mostrarsi agli altri, nello status e nella personalità.

La storia dell'abitazione si svincola nei secoli, nelle differenze dettate da ambienti e culture. In parallelo, l'utilizzo di nuove tecniche e materiali risulta decisivo nella sua definizione

‘Storia dell’arte italiana’, di Giulio Carlo Argan, Edizione Sansoni 2000


Sviluppo della siderurgia

Invenzione dell’acciaio

Primi materiali ceramici

Vestiti con pelli animali

Uso della fibra di cotone

L'abitare nella storia e nel pensiero

Sistemi lignei ad incastro Prime strutture litiche Primo uso del vetro

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35 mila avanti Cristo — 0

Questa infografica vuole offrire una visione cronologica delle principali invenzioni e scoperte nel campo dei materiali: conquiste che l’uomo ha sviluppato nel corso dei secoli che hanno permesso grandi innovazioni capaci di dar forma a oggetti e costruzioni. I metalli hanno avuto uno sviluppo costante, ricco di sperimentazioni e perfezionamenti tali da dar luogo a tanti nuovi materiali che costituiscono, e riempiono le nostre case. Eppure, sono le plastiche ha far da protagoniste, come drastica trasformazione affermatasi nell’ultimo secolo.L’affermazione dei polimeri ha costruito una vera rivoluzione a 360 gradi: non solo il realizzarsi di produzioni piuù complesse date dalle nuove conquiste nell’ambito chimico, quanto la democratizzazione di materiali, capaci di offrire altissime prestazioni ma ad un prezzo più contenuto rispetto ai precedenti. Possiamo ben notare come molti oggetti delle nostre case siano costituite da materie sintetiche, che vedono il proprio utilizzo per utilità più o meno specializzate. Ciò nonostante, è bene considerare che metalli, vetro e materiali litici continuino a svolgere un ruolo strutturale predominate, per le proprie caratteristiche e per il loro ampio iter storico che li ha sempre visti come materiali costruttivi d’eccellenza. E’ possibile che i nuovi materiali che ogni giorno nascono dai nostri laboratori, possano un giorno sostituire quelle che sono da sempre ‘le materie dell’abitare’?

Leon Battista Alberti ‘De re aedificatoria’

Invenzione della ghisa

Uso della porcellana

Cartamoneta

Soffiaggio del vetro

Vitruvio ‘De Architectura’

Prima di Cristo

0 — 1000 dopo Cristo

Prima cella solare

Brevetto dello stucco Primo tessuto elastico

Prima batteria Vulcanizzazione della gomma

Invenzione delle lenti Fotografia

Lega tipografica Uso del cristallo

Primo millennio

1000 — 2000 dopo Cristo

1900 — 2000 dopo Cristo

Ventesimo secolo

Tessuti in lyocell

Brevetto dello stucco Primi polimeri conduttori Gore-tex

Sistemi a cristalli liquidi Uso delle fibre ottiche Primo tessuto in microfibra

Miglioramento della catalisi Floating glass

Invenzione del pyrex Primo uso del nylon Uso del neoprene Invenzione del teflon

Acciaio inox

Prime gomme sintetiche Invenzione del cellophane Invenzione della bakelite

Secondo millennio


„ Dobbiamo porci di fronte allo spaccato di un edificio e fornire una spiegazione: il piano superiore è stato costruito nel XIX secolo, il pianterreno è del XVI secolo ed un esame più minuzioso della costruzione mostra che essa è stata innalzata su una torre del II secolo. Nella cantina scopriamo fondamenta romane e sotto la cantina si trova una grotta sul cui suolo si scoprono, nello strato superiore, utensili di selce e, negli strati più profondi, resti di fauna glaciale. Questa potrebbe essere, all’incirca, la struttura della nostra anima. “

— Carl Gustav Jung, ‘Anima e terra’ 1917 / 31


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L'abitare nella storia e nel pensiero

Nella considerazione di svolgimenti così ampi nel tempo, lo sviluppo di una sorta di estetica consapevole dello spazio privato è senz'altro riconducibile ad una fase assai più recente. Essa si è probabilmente esercitata in un primo momento con l'affinarsi degli oggetti di uso quotidiano e all'interno degli ambienti, se è vero che la casa 'introversa', disadorna all'esterno ma interiormente ricca, è un archetipo dell'architettura domestica, costante di lunga durata nei paesi del bacino mediterraneo. Arredi e oggetti sono immediatamente i primi strumenti per 'far casa', utilizzati per le loro mansioni, a livello ornamentale o commemorativo... Tutti protetti all'interno delle mura del focolare. La successiva ricerca dell'ornamento a pervadere anche le arti architettoniche ci si pone come metaforica: da entità scrigno, la casa diventa metafora dell'immagine indirizzata a un pubblico, facendosi bella in ogni parte, come un grande manifesto del suo proprietario.

Quella sul la dimora, è prima di tutto un indagine psicologica ed introspettiva che trova le sue fondamenta in millenni di storia e cultura

Abitazione e nucleo familiare

La casa nasce prima di tutto come aggregato sociale che vede nella famiglia la sua prima espressione. Ciò nonostante, la crisi contemporanea fa traballare questo fondamento

'XXI secolo — I nuovi modelli dell'abitare', di Maurizio Vitta, Treccani Editore, 2010

Convertendo lo ‘statuto’ antropologico dell’abitare in un programma sociologico, la cultura moderna ne ha tradotto le modalità in un concetto di ‘domesticità’ che ha irretito la dimensione naturale del comportamento abitativo in un fitto sistema di ruoli e competenze, e vi ha posto al centro l’immagine di una famiglia ispirata al modello della società industriale. L’abitare si è organizzato intorno alla figura dell’unità familiare e, nella nuova disposizione interna delle abitazioni, ha trovato la sua sanzione e la sua continuità. L’affermarsi di una struttura parentale e sociale ridotta ai genitori e ai figli ha dato vita alla tipologia urbana dell’appartamento, sulla quale la cultura architettonica del XX seoolo, affiancata da quella, sempre più pregnante, del disegno industriale, ha fondato la propria ideologia progettuale. Le invarianti antropologiche dell’abitare sono state così organizzate sulla base del concetto, ormai egemone, di funzione, e ridotte a una serie di prestazioni che, per un verso, hanno aderito agli schemi di relazione dominanti all’interno della famiglia tradizionale e, per un altro, hanno modificato l’esperienza abitativa introducendo una sempre maggiore efficienza nella dinamica delle operazioni domestiche, aggiornando incessantemente le risorse tecniche, delineando nuovi comportamenti, sovvertendo i gusti e le inclinazioni, e proponendo modelli di consumo radicalmente nuovi rispetto al passato. Tuttavia, con il sorgere del XXI secolo, il panorama domestico ha subito radicali trasformazioni, peraltro tuttora in atto. L’identificazione della ‘casa’ con il concetto di ‘famiglia’ si è dissolta, non tanto sul piano posizionale, visto che ancora l’abitazione costituisce per i più un punto di riferimento topografico e sociale, quanto su quello situazionale, con la tendenziale disaggregazione dell’unità familiare, la trasformazione dei rapporti fra interno ed esterno, il mutamento dei comportamenti domestici derivanti dall’introduzione di tecnologie sempre più sofisticate, le incertezze della cultura progettuale in bilico tra la conferma della pura funzionalità dell’abitazione e l’offerta di nuovi modelli abitativi. Le variazioni di natura sociale dell’abitare non sono le sole destinate a modificare l’esperienza abitativa contemporanea. In effetti, l’esterno penetra nell’interno domestico tanto nel realismo degli oggetti e dei comportamenti, quanto nella versione spettrale e immateriale del messaggio digitale, della comunicazione elettronica, del collegamento telematico con un mondo che ci si presenta ormai come pura immagine. A questo aspetto della società contemporanea, il crescente dominio, nella domesticità quotidiana, della televisione, dei telefoni cellulari, della rete, della posta elettronica, oltre che dei nuovi apparati di controllo, si è


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I luoghi dell'abitare

in gran parte attribuito il carattere fluido, scorrevole, mutevole della nostra esperienza quotidiana. Ciò che però qui è necessario cogliere è la sua progressiva incidenza sui modelli abitativi, chiedendoci in quale modo l’‘esterno’ virtuale, prodotto e manipolato da una tecnologia sempre più sofisticata, vada condizionando l’articolazione degli schemi di base dell’abitare. A questo, si aggiunge un processo di parcellizzazione dei rapporti familiari che si ramificano in nuovi schemi di convivenza e in nuove figure (il/la singolo/a, la coppia, la coppia con figli, le coppie separate, con figli e diversamente ricomposte, gli anziani, a loro volta soli o in coppia). In ciò non è da vedere un evento traumatico: semplicemente, si assiste alla composizione di nuovi diagrammi affettivi, dal disegno ancora informe. Tuttavia, in tale prospettiva, l’immagine architettonica della ‘casa’ non trova più il proprio rispecchiamento in quella sociale della ‘famiglia’ tradizionale. Non si registra un radicale scardinamento degli schemi istituiti dalle invarianti antropologiche, ma si procede verso una loro progressiva frammentazione: l’abitare si trasforma così in esperienza suddivisa in microcomportamenti autonomi, tuttora organizzata nella distribuzione funzionale dei rispettivi spazi, ma in realtà disarticolata nei suoi rapporti situazionali, che presuppongono esperienze abitative di tipo diverso. Il vecchio modello di configurazione spaziale dei rapporti di convivenza risulta sottoposto a continui episodi di devianza, segnalati dalla differenza dei modi d’abitare a seconda del ruolo ricoperto all’interno del gruppo. Le modalità d’uso degli ambienti, degli arredi e delle attrezzature denunciano una disomogeneità che la logica del progetto moderno dell’abitazione non riesce ormai più a contenere e ad assecondare, e che è tuttavia indice di ricerca di una nuova fisionomia sociale e culturale dell’abitare.

La storia dell'abitazione si svincola nei secoli, nelle differenze dettate da ambienti e culture. In parallelo, l'utilizzo di nuove tecniche e materiali risulta decisivo nella sua definizione

Società e cultura del vivere...e convivere Merce e oggetto culturale, la casa è nelle nostre società ingrediente importante di molti fondamentali processi sociali. Le condizioni abitative e i modi di abitare risultano perciò correlati con i principali fattori di differenziazione sociale, anche al di fuori del nucleo familiare. Su questo tema sono state condotte innumerevoli ricerche che hanno messo in luce le relazioni che intercorrono tra qualità, forma, valore, luogo dell'abitazione e le diverse variabili che definiscono struttura, posizione sociale e modelli di riferimento delle famiglie. I due aspetti più frequentemente analizzati sono il rapporto dell'abitazione con il sistema della disuguaglianza sociale e le articolazioni tra cultura abitativa e struttura sociale. Importante è la separazione tra dimensione pubblica e privata, precisatasi nel corso dell’Ottocento, con il consolidarsi della cultura urbano-borghese. E' da allora che si è radicata nell’immaginario delle società occidentali moderne l’idea, tuttora ampiamente diffusa, secondo cui la casa è, per definizione, il 'teatro della vita privata e dei tirocini più personali', luogo in cui dimorano l’affettività, l’intimità, l’oblatività, a differenza di quanto accade negli ambiti specifici della vita pubblica, governati dalle logiche strumentali della razionalità moderna. La porta assume un valore giuridicamente conosciuto come limite di sfere 'territoriali' differenti. Le variazioni negli stili, nelle immagini, nei modelli abitativi sono un aspetto fondamentale della pluralità di 'mondi sociali' che caratterizza le moderne società urbane. A questo proposito importa tuttavia rilevare, prima che le variazioni, la forte omogeneità dei riferimenti culturali. Le aspirazioni abitative, ad esempio, non si differenziano molto tra i diversi gruppi sociali: valori come l'intimità e il comfort sono largamente condivisi. Le principali opposizioni che organizzano lo spazio abitativo (pubblico/privato, fronte/dietro, giorno/notte, ecc.) costituiscono in genere delle invarianti indipendenti dalle condizioni abitative e dal tipo di famiglia. Queste uniformità da un lato esse sembrano rinviare alle sedimentazioni di lunghissimo periodo in cui affonda le sue radici la nostra cultura abitativa, dall'altro sono direttamente in rapporto con i valori fondamentali dell'abitare moderno: sono le nozioni di comfort, di intimità, di privacy a costituire la base delle norme culturali che regolano i comportamenti abitativi nelle

Le nuove strutture architettoniche dell'abitare oggi hanno consolidato il potere di status symbol che questa esercita nell'immaginario collettivo


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L'abitare nella storia e nel pensiero

nostre società, e l'omogeneità dei riferimenti attesta la forza di tali norme. L'esperienza abitativa di fatto è stata uno dei luoghi fondamentali dei processi integrativi nelle società moderne, le cui variazioni sono tuttavia altrettanto interessanti che le uniformità. La casa è detentrice del concetto di privacy e comfort, costanti che non perdono il loro peso neanche nel suo uso come simbolo di status. Ciò conferisce all’abitare contemporaneo una fisionomia ambigua. A prima vista, varcando la soglia di un’abitazione qualsiasi, esso sembra tuttora ancorato ai suoi schemi tradizionali. I valori antropologici di base restano comunque rispettati, a onta di alcune tendenze progettuali contrarie: la separazione dello spazio fra gli ambienti notturni, lunari, della zona notte, e quelli diurni, solari, della zona giorno, è rimasta più o meno invariata; l’intimità dei luoghi dell’igiene resiste alle proposte di una loro apertura su uno spazio indifferenziato; la funzione di rappresentanza e di affermazione identitaria rispetto al gruppo e alla comunità di appartenenza spetta ancora alla ‘sala’, che ha conservato il suo ruolo rappresentativo, teatrale, spazio di recita e di interpretazione, più o meno convinta, di un copione e di un personaggio. A mutare vistosamente, prima ancora che gli spazi e le cose, è però il sistema di relazioni interne fra gli spazi, le cose e gli abitanti.

'L’abitazione, riflesso e scenario dell’abitare', di 0lga La Rana, Firenze University Press 2008

La definizione di 'standard' abitativi nella stessa divisione degli spazi ha determinato una fissità che mette in crisi l'individuo nel suo campo d'azione

La cultura contemporanea ha incastonato la fine della modernità nella metafora della dissoluzione, del discioglimento, della liquefazione delle strutture novecentesche, facendo del nostro tempo un’epoca ‘liquida’ e fissandone il corso nell’immagine di una ‘fluidità’ nella quale l’esistenza quotidiana si è vividamente rispecchiata, a partire dalle sue manifestazioni più immediate. L’esperienza dell’abitare vi si è trovata subito immersa, riflettendo, nelle sue multiformi sfaccettature, il frenetico divenire di un mondo che sembra fondare in misura crescente la propria identità sulla mutazione; e, mentre la cultura progettuale moderna e quella postmoderna hanno continuato variamente a insistere sui medesimi schemi funzionali di base, la realtà dell’abitante e della sua sfera esistenziale ha disegnato un panorama domestico interamente nuovo, sul quale agiscono sollecitazioni diverse. Il segnale più vistoso del mutamento è implicito nella coppia istitutiva dell’abitare, quella che fa in genere dell’interno e dell’esterno il recto e il verso di una medesima realtà antropologica e sociale. Tradizionalmente, l’abitazione si configura in prima istanza come la cellula identitaria dell’abitante, ma si propone via via come interfaccia rispetto al gruppo di appartenenza, limite della socialità, barriera difensiva nei confronti di un mondo ostile. Nella prospettiva presente, però, l’elemento di collegamento e, insieme, di separazione definito dalla soglia ha assunto caratteri nuovi. La chiusura nei confronti dell’esterno (barriere protettive, porte blindate, sorveglianza, rigide procedure d’accesso) fa parte di una strategia di difesa sempre più ossessiva, nella quale la soglia di casa marca una differenza difficilmente superabile tra lo spazio 'tra le mura' e quello al di fuori: il primo rassicurante, riconoscibile, condiviso; il secondo minaccioso, incognito, antagonista. In tal modo il risvolto comunitario dell’abitare sembra progressivamente perdere la sua funzione primaria di coesione di gruppo, per esaltare invece il suo ruolo puramente rappresentativo. Una delimitazione invisibile sempre più variegata e frastagliata.


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I luoghi dell'abitare

Renos K. Papadopoulos, 'Nessun luogo è come casa propria' 'Sentirsi a casa' è una espressione comune. Tutti abbiamo l’intuizione di cosa essa significhi. Gli oggetti sono così familiari, e i luoghi che occupano così ovvi, che possiamo camminare per il salotto a luci spente senza inciampare al tavolo o alle sedie, e in cucina sappiamo cosa si trova in ogni cassetto e scaffale. Colori, profumi, luci e chiaroscuri, la camera da letto e la cucina hanno un qualcosa di inconfondibile: sapore di casa, di abitare. E se invece questo sapore ci fosse negato? La prima sensazione del non sentirsi a casa consiste nel sentirsi spaesati. Che cosa significa la parola ‘spaesamento’? Significa non avere una casa e dunque non avere un paesaggio. Lo spaesato è colui che si sente disorientato, senza punti di riferimento e d’orientamento, in un contesto non familiare. Nulla è nel posto ‘giusto’, nel posto dove mi aspetto che ci sia. Uno spaesato non sa dove sia e non sa dove andare: sa andare ma senza sapere il dove. E’ il disagio di quando non si è in grado di armonizzarsi con il contesto, di oggetti e volti, e non riusciamo dunque a collocarci, nè tanto meno a orientarci, dentro di esso. Renos Papadopoulos, psicoterapista, ha dedicato gran parte della sua carriera alla problematica della casa, confrontandosi con casistiche legate a rifugiati ed immigrati. Il suo approccio ‘psico-sociale’, così da lui definito, ha investigato sulla percezione dell’abitazione e sul comportamento di individuo e comunità rispetto ad essa e al suo distacco. Nei suoi libri, egli attribuisce importanza primaria alla dimensione della casa, sottolineando come questa sia un luogo capace di contenere gli opposti: 'amore e discordia, distanza e prossimità, gioie e dolori, speranze e disillusioni, flessibilità e ostinazione, invidia e magnanimità, rivalità e collaborazione, lealtà e tradimento, inimicizia ed amicizia, somiglianze e differenze'. Per l’autore, la casa assume i connotati di un particolare contenitore, così influente da aver impatto su almeno tre livelli: può rendere possibile la crescita e lo sviluppo degli individui all’interno della famiglia; può regolare sia la rete di interrelazioni all’interno dei suoi membri che i loro conflitti e i loro disturbi; può mediare tra quei due livelli ed il mondo esterno (la società, la cultura e la realtà socio-politica). E' sulla base di questa importante premessa che l'abitazione assume connotati ben più ampi, come rappresentativa di valori culturali, sociali, etici estesi fino ai limiti di frontiera. Papadopoulos non può certo tralasciare l'attualità: lo spostamento spontaneo od obbligato di grandi popolazioni così costrette a ritrovare nuove sfere dell'abitare altrove. L’analisi dello psicologo vede il suo plasmarsi su casistiche estreme, dove la casa è una presenza assente, nostalgica. Come si affronta questa mancanza? E’ possibile trovarle un degno sostituto? L’allontanarsi dalla casa non rappresenta solo un distacco esterno, ma spesso una vera e propria dislocazione esperienziale, dallo spazio intimo, di forte impatto per l’individuo. Il personaggio di Ulisse può ben veicolare in chiave narrativa una così drastica situazione di rottura, in un viaggio, sostiene Papadopoulos, che, significativamente, è un ritorno. L'obiettivo del suo autore, Omero, non è condurre l’eroe a una meta, ma ricondurlo in maniera circolare, sano e salvo e più esperto della vita, al suo originario punto di partenza, a casa: una casa fisica, Itaca; una casa interiore, la conoscenza di sè.

Renos K. Papadopoulos è professore e direttore del ‘Centre for Trauma, Asylum and Refugees’ (CTAR), nonchè membro del Centro per i Diritti Umani presso l’Università di Essex. E’ psicoterapeuta familiare sistematico e psicanalista nella clinica di Tavistock, didatta e supervisore junghiano. Come consulente per le Nazioni Unite e altre organizzazioni, ha lavorato con rifugiati, prigionieri e sopravvissuti. Vanta di letture e convegni in tutto il mondo, con scritti pubblicati in ben tredici lingue.

“L’assistenza terapeutica ai rifugiati: nessun luogo è come casa propria”, di K. Papadopoulos, Edizioni Scientifiche Ma.Gi, Roma, 2006



Parlare di immigrazione è oggi un tema obbligatorio Non possiamo più sottrarci al dibattito: la situazione attuale, i cui numeri sono alle stelle e in continua crescita, ha aperto lunghi dibattiti coinvolgendo politica, economia e società. Una riflessione a tante voci che vede il conflitto di ideologie ed interessi diversi da entrambe le parti. Alla fine del 2013 l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) aveva annunciato il superamento di una soglia storica: per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, il mondo ha registrato più di 50 milioni di profughi. Un anno dopo il numero è arrivato a 59,5 milioni. Intanto, nei primi nove mesi del 2015 secondo l’Unhcr più di 411mila migranti hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere il vecchio continente, superando il totale degli arrivi nei quattro anni precedenti (dal 2010 al 2014). Le rotte migratorie sono cambiate, il tema è entrato nel programma di lavoro dei governi di tutto il mondo ed è al centro del dibattito pubblico europeo. Europa che, ancora una volta, si divide nelle intenzioni e nelle logistiche interne. Qualunque sia la ragione dietro a queste grandi migrazioni ( la disperazione, la ricerca di maggior fortuna e benessere, voglia di cambiamento...), diviene ancora una volta centrale la parola ‘casa’: in chi vuole difenderla, abbandonarla, ritrovarla, condividerla. La cronaca è in questo caso raccoglitore di opinioni controverse che, eppure, non mancano di suggerire quella che è una visione in continua distorsione: numeri grandi, un mondo ‘piccolo’, una realtà di casa che dal domestico ha preso dimensioni su scala mondiale. Le piattaforme d'informazione sono d'accordo nel mettere sotto i riflettori quella che una situazione di lotta delle risorse: risorse quali lo spazio, il denaro, il benessere. Ne emerge un problema di integrità, di frammentazione obbligata che qui traspare non solo negli spazi pubblici, quanto in quelli identificativi in cui, per colpa o difficoltà, entrambe le parti coinvolte non riescono ad attivarsi per una positiva compenetrazione. Fusione, mobilità, ottimizzazione. Termini che non riescono ancora a trovare la giusta combinazione per dare risultati vantaggiosi e allo stesso tempo fornire nuovi strumenti d'intervento.


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Quando negli anni '50 chiesero ad Heidegger che cosa pensasse della crisi degli alloggi, la sua risposta andò ben oltre, con una preziosa riflessione sul significato di abitare

' Refugees, Trauma and Adversity-ctivated Development', di K. Papadopoulos, 2007

L'abitare nella storia e nel pensiero

La casa, in tutte le sue dimensionalità, fa parte di quello che lo studioso chiama ‘substrato a mosaico’, ossia il livello d’assimilazione e riconoscimento degli elementi essenziali per definire identità e appartenenza: 'il fatto di appartenere ad un paese e che quel paese esista, di appartenere ad un certo gruppo linguistico e di essere abituati a certi suoni, di appartenere ad un certo paesaggio e ambiente geografico, di essere circondati da tipi particolari di forme architettoniche'. La casa diviene così ‘essenza dell’essere umano’, la cui funzione consiste nel fornirci un ‘senso primario di umanità e di prevedibilità del corso della vita’. ‘Trauma’ e ‘resilienza’ fanno per Papadopoulos da parole-chiave: sono queste a definire il meccanismo di risposta, a segnalare all’individuo le nuove circostanze a cui reagire. Il suo è uno studio attento, mirato ad inquadrare la varietà di prospettive sul problema, comprendendo quanto la casa rappresenti un luogo d’origine, nonchè la concretizzazione, e il contenitore, di obiettivi, desideri e speranze di ciascuno. La casa assume un significato così importante da farsi espressione della, cosiddetta dall’autore, ‘stabilità onto-ecologica’. Con questo termine, Papadopoulos vuole sottolineare entrambe le componenti in atto nel coinvolgimento della casa: la relazione con la propria spazialità, con l’ambiente, sia umano che naturale (ecologia); la totalità dell’essere come sommatoria di dimensioni sociali, culturali, di benessere ecc.(ontologia). Sebbene l’apparente staticità di una simile inquadratura sul soggetto, si tratta di un processo dinamico, in continuo cambiamento all’interno dei limiti e del fine della stabilità. E’ con la perdita forzata della propria casa che si può perdere il proprio equilibrio, essendo preda di un ‘disorientamento nostalgico’. L’etimo di nostalgia ci rimanda al dolore ('algos') per il ritorno ('nostos'), ma è sbagliato però interpretare questa condizione come necessariamente patologica: 'Il ritiro temporaneo può fornire dei punti di osservazione unici da cui rivedere e rivalutare la propria vita e il proprio passato, presente e futuro'.

L’autore descrive la dislocazione come un proesso longitudinale, che coinvolge l’individuo, o l’intera comunità, attraverso fasi differenti tali da risanare il distacco e portare a una ricollocazione. Questo processo prevede sei momenti: — il non 'sentirsi più a casa'; — l’abbandono fisico del proprio spazio; — la ricerca di una nuova casa e di un nuovo senso ad essa; — il trovare una nuova casa e un abitare in un posto differente; — l’adattarsi e accomodarsi alla nuova collocazione; — lo sforzo di affrontare la relazione trittica tra casa precedente, attuale ed ideale. Fasi importanti e non trascurabili che fanno di tale processo una vera e propria trasformazione individuale, dagli esiti più vari che necessariamente bisogna aiutare a canalizzare al meglio nella potenzialità di ogni singolo risultato positivo. L’importanza della tematica abitativa è tale da richiedere esperti psicoterapeuti ed organizzazioni politiche ed umanistiche per la sua gestione. Parlare di società e spazi è un argomento delicato e dalle più possibili interpretazioni. Ciò nonostante, è di estrema priorità indossare uno sguardo nuovo che, davanti alla cronaca come alla realtà quotidiana, osservi e interpreti le casistiche sotto una visione quanto più umana possibile, nel rispetto d’ogni singolo e d’ogni collettività nell’innata ricerca del proprio posto. Essere adattabili, più ‘resilienti’, nella consapevolezza che la casa rappresenti una stratificazione molto più complessa di quella delle sue pareti.

casa ideale

casa attuale

casa precedente

Ricordi e aspettative determinano un legame implicito e spontaneo tale da influire su ogni capacità di giudizio: il confronto tra la casa precedente, la casa attuale e la casa ideale.


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La casa, spazio di noi stessi

All'abitare, così sembra, perveniamo attraverso il costruire. Quest'ultimo, il costruire, ha quello, cioè l'abitare, come suo fine.

Tuttavia non tutte le costruzioni sono delle abitazioni. Un ponte e un aeroporto, uno stadio e una centrale elettrica sono costruzioni, ma non abitazioni; cosi una stazione, un'autostrada, una diga...Eppure, anche questi tipi di costruzioni rientrano nella sfera del nostro abitare. Questa sfera oltrepassa l'ambito di queste costruzioni, e d'altro lato non è limitata alle abitazioni. D'altra, parte le costruzioni che non sono abitazioni rimangono pur, sempre anch'esse determinate in riferimento all'abitare, nella misura in cui sono al servizio dell'abitare dell'uomo.

L'abitare sarebbe quindi in ogni caso il fine che sta alla base di ogni costruire. Abitare e costruire stanno tra loro nella relazione del fine al mezzo. Ma finché noi vediamo la cosa entro i limiti di questa prospettiva, assumiamo l'abitare e il costruire come due attività separate, e in questo c'è senz'altro qualcosa di giusto. Tuttavia, attraverso lo schema fine-mezzo noi nello stesso tempo ci precludiamo l'accesso ai rapporti essenziali. Il costruire, cioè, non è soltanto mezzo e via per l'abitare, il costruire è già in se stesso un abitare. Chi ce lo dice? Chi ci dà una misura con cui misurare interamente l'essenza di abitare e costruire?


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'Costruire, abitare, pensare': la voce di Heidegger sul tema dell'abitare

‘Costruire, abitare, pensare’ : la voce di Heidegger sul tema dell'abitare

Quando negli anni '50 chiesero ad Heidegger che cosa pensasse della crisi degli alloggi, la sua risposta andò ben oltre, con una preziosa riflessione sul significato di abitare

'Saggi e discorsi', di Martin Heidegger, Mursia Editore, 2007

Abitare è un interrogarsi sul senso del nostro esistere, e quindi implicitamente del nostro fare, all’interno delle strutture materiali che hanno costituito, e costituiscono, il mondo degli uomini. Abitare, secondo il senso comune, è mettere radici. Piantare le proprie tende, riconoscersi in uno spazio delimitato di cui abbiamo il possesso provvisorio. Abitare è per lo più pensato come una relazione con la spazio. Una situazione che interessa carpentieri, agrimensori, architetti, costruttori e, alla fine della catena, i destinatari di quello spazio. Abitare è un voler proteggersi dalle insidie dell' aperto. Ma anche l'aperto, in un certo senso, è abitato. Quando giriamo nella città, gli homeless, nei quali ci imbattiamo, la abitano a loro modo. Ne conoscono gli anfratti, i ripari dalle intemperie, i tetti provvisori, magari ricavati da un ponte, da un portico, da un cornicione. Si può abitare sontuosamente e poveramente. Abitare è una forma di riconoscimento sociale. Ma al tempo stesso può esserne la negazione. 'Costruire, abitare, pensare' è il titolo di una conferenza che Martin Heidegger, uno dei più grandi filosofi del secolo scorso, tenne nel 1951, in occasione di un ciclo di colloqui tenuti nella città di Darmstadt. La Seconda Guerra Mondiale aveva trasformato le abitazioni in rovine; dieci milioni di persone in fuga dall’est si erano riversate nella città, molti architetti del luogo erano fuggiti: la crisi degli alloggi era solo un aspetto della crisi di Darmstadt e, in qualche maniera, dell’intera Germania. La città sentì il bisogno di organizzare una serie di colloqui sul tema ‘Uomo e spazio’ dove, proprio davanti anche a tanti di quegli architetti, prima fuggiti e ora richiamati in patria, Heidegger pronunciò un discorso di inestimabile valore, successivamente pubblicato nel libro 'Saggi e discorsi'. 'Costruire, abitare, pensare' si presenta come una breve riflessione sulla contemporaneità, sul linguaggio, sulla fenomenologia del nostro fare, la cui conclusione suona forte e provocatoria: 'bisogna imparare ad abitare', autenticamente. E' questa la risposta del filosfo sulla crisi degli alloggi, con cui riconosce alla società postbellica una traumaticità legata alla sua 'sradicatezza', ad una ricerca cieca che non si ferma all'attuazione dello stesso abitare. Una riflessione moderna che non finisce di echeggiare nella nostra contemporaneità, sempre più scandita dalla routine e dall'insoddisfazione materiale. Heidegger inizia il suo discorso con una riflessione etimologica sulla parola costruire ('Bauer'), confidando nella potenzialità rivelatoria del linguaggio. Un accurato studio sulla parola che, da suggerimento tedesco, sarebbe interessante sviluppare per poter cogliere 'living' differenti anche nelle sfumature culturali, quindi linguistiche. Nel suo caso, emergono termini sradicati dalla loro etimologia come 'essere', 'coltivare'... 'Io sono', 'tu sei', equivalgono a un 'io abito', 'tu abiti' nel nostro parlato. Non tutte le costruzioni sono abitazioni, ma tutte le costruzioni rientrano nella sfera del nostro abitare: ogni costruire è 'in sé' un abitare. Abitiamo perché costruiamo e viceversa. 'Siamo' in quanto abitanti ('Wohnenden'). Heidegger convenire che: — Costruire è propriamente l'abitare; – L'abitare è il modo con cui i mortali sono sulla terra; – Il costruire come abitare si dispiega nel 'costruire che coltiva', e coltiva ciò che cresce, e nel costruire che edifica costruzioni. E' nello sviluppo di questi tre concetti che il filosofo stratifica il proprio discorso, fino ad ambientare quello che è il tema fondamentale. Egli riconosce alle abitazioni una relazione del tutto particolare con quattro elementi: la terra, il cielo, i mortali, e la divinità. Questo giustificato dalla nostra relazione con l'esterno, al nostro 'essere' in quanto mortali, rapportati ad entità fisiche e non legate all'esistere quotidiano. Un quadrato, una cornice. Abitare significa abitare questa cornice, abitare non solo una casa, ma abitare la terra, abitare il cielo, abitare la relazione con gli altri, abitare la relazione con la divinità.


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I luoghi dell'abitare

Ora, poiché 'l’abitare è il modo in cui i mortali sono sulla terra', la prima questione da indagare è quella della relazione che si instaura tra l’uomo e la terra. Riflessione che culmina nella questione della misura, ovvero nella caratterizzazione di quest’epoca (l’epoca dell’essere, abbandonato dall’essere) quale della 'dismisura', del 'gigantesco, nella quale, persa ogni qualità, è la quantità stessa ad ergersi a qualità, ad un modo di essere privo di misura'. Epoca in cui si presume (qui nel doppio significato della 'presunzione') di poter tutto controllare, tutto dominare e, al limite, tutto creare. E' questa l'introduzione al valore dello spazio. Non esiste lo spazio e, successivamente, l'uomo che lo abita. 'Lo spazio non è qualcosa che sta di fronte all' uomo', la relazione tra l'uomo e lo spazio 'non è null' altro che l'abitare pensato nella sua essenza'. Non c'è per Heidegger un prima e un dopo, ma uno stare nel rapporto, nella relazione. Ovvero il soggiornare presso le cose già da sempre, è un soggiornare che solo la tradizione è ancora in grado di mostrarci. Il mondo moderno, secondo Heidegger, ha separato l' uomo dal suo spazio; ha imposto un rapporto mezzi-fini che necessita di un prima e di un dopo, di un progetto (costruire una casa) e di un fine (abitarla). Ma è questo il modo per imparare ad abitare? Si chiede Heidegger. La risposta è no. Heidegger parla di 'luoghi', dimensionalità create dalle cose, di estensione geometrica, capaci di costruire distanze, percorsi, direzioni intorno a noi, nello spazio. Sono le cose, le abitazioni come gli oggetti, a creare la nostra relazione con lo spazio e, come tale, è bene averne cura. Il manufatto è un luogo che qualifica uno spazio non meramente euclideo, e quello che chiamiamo 'spazio edificabile' è uno spazio già segnato nel suo senso possibile dai luoghi che lo fanno essere così com'è. In questo modo, l'architettura, grande e piccola, diviene un campo immenso di interrogazione sulle scritture materiali che hanno costruito il mondo degli uomini. Emblematico è l’esempio del 'ponte'. Il ponte non è solo un ponte, ma una cosa che può esprimere molteplici significati. E’ una struttura costruita dall'uomo particolare che riunisce e collega, che produce un 'luogo' prima inesistente, un 'Geviert'. In virtù del ponte, lo spazio diventa dunque un luogo: esso riunisce presso di sè la 'cornice', riunendo a modo suo i quattro elementi che la compongono. Si accorda al posto... Ma solo un luogo in quanto tale può accordarsi allo spazio. Il rapporto dell’uomo ai luoghi, e, attraverso i luoghi, agli spazi, risiede nell’abitare. Questa relazione non è null’altro che l’abitare pensato nella sua 'essenza', così da lui definita, di quelle cose che sono dei luoghi e che noi chiamiamo edifici. Il ponte è una cosa di questo tipo'. Il costruire si propone di 'far abitare', ma solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. L’abitare è quindi il tratto fondamentale dell’essere ('Sein'), dell’ 'aver cura di sé'. Costruire e pensare sono indispensabili per l’abitare, ma sono insufficienti se attendono separatamente alla loro attività 'senza ascoltarsi l’un l’altro'. Preso atto dello sradicamento ('Heimatlosigkeit'), la città, nel tramonto del moderno, è, infatti, la celebrazione del 'non luogo', la presuntuosa prefigurazione di un ordine che è confusione e mescolanza. Nelle metropoli è assente qualsiasi convincente identità dello spazio urbano, anche perché l’ideologia ha grossolanamente preso a prestito le categorie che, da sempre, hanno dato forma a quello spazio. Eppure, il duro richiamo di Heidegger vuole essere prima di qualsiasi monito, un insegnamento: la comprensione dell'abitare per il nostro essere, cogliendone gli strumenti materiali. Le parole del filosofo risuonano a ciascun ascolto dandoci nuovi occhi con cui vedere i luoghi del nostro quotidiano, il valore espressivo che essi racchiudono nell'espresso e nel potenziale. Allo stesso modo, per il nostro italiano, non potremmo forse associare l' 'abitare' a un vero e proprio 'abito'? L'immagine che sorge è spontanea: il portar con sè, lo star bene, il possedere ed utilizzare qualcosa di caro e prezioso. La certezza è che certo le conclusioni ben poco distanterebbero da quelle del nostro filosofo decenni fa. L' 'abitare' trova così una sua prima definizione, sempre in attesa di contestazioni: i luoghi del nostro essere.

Sebbene il nome non risulterà di certo nuovo alla maggior parte, è bene dare alcune indicazioni su Martin Heidegger. Filosofo tedesco nato nel 1889 a Messkirch, dedicò gran parte della sua vita all'insegnamento accademico. E' ricordato per la propria ricerca filosofica in campo esistenzialistico sulla falsariga di una metafisica essenzialmente neoplatonica. Egli dedicò numerosi saggi alla tematica dell' 'essere' fino a divenire uno dei più importanti filosofi del secolo scorso. Nelle sue teorie, l'uomo non è solo un ente fra gli altri, ma nella sua stessa esistenza ha un costitutivo rapporto di comprensione per l'essere, che fonda i contenuti della sua esperienza e fa sì che essi siano. Il rapporto di comprensione dell'essere non comporta un particolare e specifico atteggiamento teoretico, ma inerisce all'esserci stesso nel suo conquistare e scegliere le possibilità, che nella sua concreta vicenda di singolo gli si propongono.


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'Costruire, abitare, pensare': la voce di Heidegger sul tema dell'abitare

„ Come attuano i mortali l'abitare inteso come un tal avere cura? Di questo i mortali non sarebbero mai capaci, se l'abitare fosse solo un soggiornare sulla terra, sotto il cielo, davanti ai divini, insieme ai mortali. L'abitare, invece, è già sempre un soggiornare presso le cose. L'abitare come aver cura preserva la Quadratura in ciò presso i cui mortali soggiornano: nelle cose. “ Dovendo parlare dei luoghi di Martin Heidegger, è impossibile non citare la sua casa nella Foresta Nera, vicino Todtnauberg. Una modesta, dignitosa abitazione a 1150 metri di altitudine, avvolta dai prati e dalle montagne, che per lungo tempo ha fatto da nido di riflessione per il filosofo. Regalo di sua moglie Elfride, questo piccolo cottage, di soli sei metri per sette, è oggi un'icona dietro al personaggio: qui, da solo, per oltre 50 anni, Heidegger scrisse tutte le sue opere

Nello ' Hütte', il filosofo trovò la perfetta pace per interrogarsi sull'essere e lo spazio. Durante una breve visita, al giovanissimo fotografo Digne Meller-Marcovicz fu permesso di immortare alcuni suoi momenti di quotidianità campestre, ancora oggi capaci di restituirci una nuova immagine di un filosofo dal così acuto sentire. In queste foto, la presa dell'acqua presso l'abbeveratorio. La piccola casa di sole tre stanze non possedeva acqua corrente.


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I luoghi dell'abitare

I mobili, alleati del piacere di sentirsi a casa Nelle età più remote, i punti di riferimento delle popolazioni non sono stati nè città nè i villaggi nè, tantomeno, le quattro mura della casa, bensì gli oggetti d’uso, capaci di produrre, anche nel più primitivo dei ricoveri, l’insostituibile atmosfera dell’abitare. Le civiltà primordiali li deponevano accanto ai defunti per perpetuare il ricordo di una serena stanzialità, oppure per sottolineare il tempo del vivere tra le sicure mura della proppria casa. Purtroppo, a causa della deperibilità dei materiali, pochissimi arredi sono riusciti a sfidare l’usura dei secoli. Per cui è proprio nelle tombe, nelle città sepolte, nei testi letterari, nelle trasfigurazioni vascolari, pittoriche e scultoree che dobbiamo inseguire le loro forme. Così, coperti dalla patina del tempo o trasfigurati da un altro linguaggio, oltre a rivelarci usi e costumi di antiche civiltà, essi hanno finito per rivestirsi di un’aura quasi sacrale. La forza con la quale si sono fatti presenti nella fantasia degli artefici e il gradimento che hanno suscitato in differenti epoche del gusto li hanno elevati davvero al rango di gioielli, di un’eredità sempre attuale per la storia dell’uomo. Interpretando gli arredi, in particolare, quale mezzo per pervenire alla conoscenza dell'abitare, dobbiamo indagare la loro capacità di istituire un rapporto con il tempo, lo spazio, i luoghi e le persone. L'arredamento ha un notevole rapporto con il corpo umano e rappresenta un oggetto di riflessione culturale sotto vari aspetti: dall'antropologia alla dimensione artisticoestetica, dall'ergonomia alla componente tecnico-produttiva, dall'economia all'evoluzione del costume e del gusto, dagli interessi meramente formali a quelli di valore linguistico e simbolico, e altri ancora. L'arte applicata dell'arredamento è un campo pertinente lo spazio interno dell'architettura e, in particolare, lo spazio di ogni singolo invaso architettonico, la 'stanza', intesa come la cellula basilare dell'edificio, sistema spaziale presente in tutti i tempi e paesi.

I mobili rappresentano una parte intrascendibile della casa: attraverso gusti e stili, hanno fornito soluzioni innovativi non nel merito del funzionalismo, quanto più nella definizione interna dello spazio in cui si collocano

‘L'arte di arredare – La storia di un millennio attraverso gusti, ambienti, atmosfere’, di Gabriella D'Amato, Bruno Mondadori 2001

La struttura dell'invaso-stanza costituisce lo schema spaziale entro il quale, in una prospettiva evidentemente antropocentrica, si possono stabilire i rapporti del corpo, sia tattili sia ottici, con il complesso degli arredi. In esso, possiamo distinguere uno 'spazio-contatto', così definito per designare quegli oggetti, segnatamente i mobili, che stabiliscono con il corpo umano il più stretto rapporto spaziale; uno 'spazio a media distanza' riguardante la categoria della suppellettile, vale a dire l'insieme degli oggetti che l'uomo utilizza saltuariamente e che giacciono a una certa distanza da lui; uno 'spazio a più lunga distanza', rappresentato dai piani e dalle pareti, definibili come la 'fodera' dell'invaso. La struttura dell'invaso-stanza, così delineata, consente di effettuare un excursus storico, dal quale far emergere le varie forme assunte dal rapporto dell'uomo con gli elementi di arredo; e ciò non solo in ordine alle esigenze pratiche e funzionali, ma anche in relazione agli usi e ai costumi, ai significati e ai simboli, che fissano di volta in volta, con il mutare della cultura e del gusto, la storicità di tale rapporto.

E' da sottolineare la presenza di alcune costanti riscontrabili negli oggetti d'arredo dei vari periodi, senza le quali il rapporto che cerchiamo si ridurrebbe a un'osservazione meramente funzionale. La prima riguarda la duplice proprietà, comune all'architettura, di molti prodotti dell'arredamento: la proprietà di 'conformare' e di 'rappresentare'. Le due valenze si trovano evidentemente in una relazione dialettica: non si dà conformazione senza rappresentazione, tuttavia in alcune epoche si nota una prevalenza della prima, in altre della seconda. Altra importante caratteristica è il ridursi dei mobili a due sole categorie: quella dei contenitori, ad esempio un armadio, e quella dei sostenitori, come un tavolo o una sedia.


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I mobili, alleati del piacere di sentirsi a casa

Ciò nonostante, proporre una definizione, o una descrizione fenomenologica risulta complesso. Infatti i mobili, o meglio l'arredamento in generale, quell'insieme di progetto, di scelte e disposizioni di oggetti, di sistemazione di mobili, di criteri funzionali e distributivi, di collezionismo, di bricolage, di moda, di ricerca del comfort e della Stimmung e altro ancora, sembra irriducibile a ogni formulazione teorica generale, e ciò perché troppo eterogenei sono i fattori chiamati in gioco, mutevoli le esigenze del gusto, personali i modi di conformare e allestire un ambiente, creare un luogo. L'arredo è un'arte che non può stare da sola, ma al tempo stesso è l'unica a tenere insieme le opere di tutte le altre arti: dall'architettura (nell'accezione di spazio interno) alla scultura e alla pittura, dal mobilio alla decorazione, dai vari tipi di porte e finestre al design delle suppellettili. Fuso e confuso col design, quest'arte vede ad ogni modo la sua funzionalità nel delimitare utilità e personalità.

„ L’arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni: è la casa palcoscenico. “ Sicuramente Alessandro Mendini non aveva torto con questa citazione. I mobili sono di certo i protagonisti dell'arredo, si caricano di importanti significati all'interno dello stesso spazio definito dalla casa. Come una matrioska, questi non rappresentano solamente un simbolo di status, ma determinano le coordinate all'interno dello spazio così definito. Dimensioni e caratteristiche sono fondamentali per deliminitare una sorta di reticolo di aree funzionali, atte così all'orientamento secondo le necessità dettate da ogni situazione. A differenza della casa, i mobili vedono il loro successo rappresentativo non solo nella loro individualità, quanto più nel fattore combinatorio con cui questi si collocano nello spazio. Quante volte ci è bastato invertire la posizione di un divano, di un tavolo, per sentirci quasi in una casa nuova, differente? E' questa la potenzialità del mobilio: la possibilità di creare linguaggi differenti, o modificare gli esistenti, attraverso piccoli interventi all'interno dello spazio. A rafforzamento di tale teoria, non possiamo tralasciare la carica emotiva che i singoli elementi trovano non solo nello spazio, ma anche nel tempo e nel nostro percepire sensibile. Basti pensare alla tenerezza suscitata da un mobile antico, sopravvissuto al tempo e con gli immancabili segni del suo 'viaggio', come, allo stesso modo, un arredo che vede la sua presenza negli anni e nella storia tramandandosi in famiglia. Elementi importanti impossibili da misurare che, eppure, segnano da sempre il nostro abitare e il nostro rapporto con le cose.

L'arredamento, e i mobili in particolare, sono i fautori di un'importante definizione di aree funzionali ed emotive, confidando nella loro capacità di combinazione ed evocazione

‘Enciclopedia italiana — Arredamento’, di Renato De Fusco, Treccani Editore 2006


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I luoghi dell'abitare

L'evoluzione ergonomica del mobile Risulta evidente la stretta interazione fra dimensioni, comfort e struttura del mobile, mobilità e misure delle singole parti, e plasticità dell'intero corpo umano. Distanziandoci dagli I principali elementi di stili e dalle decorazioni, delle sovrastrutture che vedono il loro mobilio vedono la propria variare secondo i tempi e gli spazi di riferimento, permane definizione formale al pari l'intento fondamentale di ogni costruttore di progettare passo con l'evoluzione mobili che si confrontassero con la fisicità, 'a misura d'uomo'. fisionomica dell'uomo. Egli ha così imparato L'essenza del concetto di letto, di sedia o di tavolo deve nei millenni a plasmare rispondere sempre a precise leggi ergonomiche di massimo oggetti che si adattassero relax sia nelle dimensionalità sia nella forma e nella scelta dei perfettamente al suo materiali. Le forme, come i materiali, sono quindi soggette alle corpo medesime leggi biologiche della selezione naturale, cosicchè se, per effetto della moda, una qualunque impostazione forzata di uno stile si affermasse seguendo i gusti dell'epoca, successivamente vedrà una selezione basata solo sulla sua effettiva funzionalità. Le scimmie antropomorfe, quali il gorilla e lo scimpanzè, a differenza degli altri primati, preparano con frasche il proprio giaciglio notturno per dormire in modo più confortevole, in modo da equilibrare al meglio il peso delle masse corporee. Con ogni probabilità, anche gli uomini del Paleolitico avranno utilizzato lo stesso sistema, con il sostegno di stuoie e pelli per la definizione di un luogo destinato al riposo e al riparo. Il letto è pertanto la prima struttura creata dall'uomo per il proprio comfort. Esso ha appunto la funzione di equodistribuire il peso del corpo, in modo particolare del tronco e del capo. A tal proposito è anche importante la funzione del poggiatesta, che le prime popolazioni hanno coordinato all'uso del giaciglio, successivamente sostituito dal cuscino. Il letto come tale da noi conosciuto fa la sua prima comparsa in Egitto, come primo mobile costituito. Questi erano individuali, realizzati 'su misura', e spesso facenti parte del corredo funebre. Nel corso dei secoli, il letto ha visto un gran variare di stili ma sempre dimostrando una certa coerenza nella struttura e nelle funzioni. Un'altra importante comparsa è stata quella della sedia e del tavolo, mobili nati da un differenziarsi più specifico delle funzioni. L'allargamento dei muscoli glutei, e quindi il conseguente sviluppo delle natiche, è dovuto alla necessità di mantenimento della posizione eretta. Proprio questo tipo di postura, sottoposta a molta instabilità, conduce al bisogno di periodi di riposo che si realizzano con la frequenza di situazioni in posizione assisa. Durante il Paleolitico, per l'esecuzione dei primi lavori tecnici, l'uomo deve aver aver preferito adottare un sedile basso così da poter appoggiare le mani sulle ginocchia flesse, posizione ancora utilizzata da molte popolazioni nelle aree montane tramite piccoli sgabelli. Con la richiesta di un piano d'appoggio per il lavoro (il tavolo), la sedia si alzerà fino a permettere che le gambe siano piegate ad angolo retto in una posizione più fisiologica, quella cioè con una circolazione del sangue dell'arto inferiore meno difficoltosa. L'aggiunta successiva dello schienale e dei braccioli rappresenta il primo tentativo di miglioramento, così da rendere più confortevole il sostegno del corpo. Il tavolo è l'ultima delle strutture mobiliari acquisite dall'umanità, perchè legato a una tecnologia più evoluta conseguente alla liberazione completa dell'arto superiore dalla funzione di sostegno e di presa di forza. Il tavolo si origina infatti come l'esigenza di un piano d'appoggio per migliorare le attività connesse alla maggior precisione: un parallelismo con l'uso del pollice opponibile. L'uomo ha così determinato nuove strutture e nuove sostegni che accompagnassero l'evoluzione del proprio corpo. Una conquista importante che, insieme alla casa, ha creato i presupposti per modificare l'intero ambiente anche con soluzioni commisurate alla propria fisionomia. Un risultato importante che sembra anticpare nei millenni gli importanti studi di ergonomia che ricoprono la progettistica contemporanea.


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I mobili, alleati del piacere di sentirsi a casa

La decorazione come necessità estetica e simbolo di potere

I mobili hanno dovuto da sempre sopperire alle necessità estetiche dettate da tempi e società: interpretando gusti e tendenze, questi sono diventati veri veicoli di status symbol

'Il Mobile: storia, progettisti, tipi e stili', di Geoffrey Wills, Daniele Baroni, Brunetto Chiarelli, Arnoldo Mondadori Editore, 1983

I mobili da sempre sono testimoni fedeli e discreti delle vicende umane, del mutamento dei tempi e dell’evoluzione del gusto. La decorazione, a tal proposito, ha sicuramente un ruolo decisivo nel suo sviluppo: segno di riconoscimento o di puro gusto estetico, vede le sue origini fin dai primi artefatti dell'uomo. A prescindere dalle decorazioni di graffiti e dipinti sulle pareti rocciose dell'uomo paleolitico, fatte con lo scopo di ricordare eventi e logistiche di caccia, si può dire che la prima vera decorazione intesa come ripetitività di segni e forme a fini puramente estetici inizia con la ceramica durante il Neolitico. Si tratta di elementi decorativi impressi con unghie o piccoli strumenti appuntiti sulla ceramica ancora fresca, successivamente cotta. Con il passaggio al legno, le forme prendono lineamente sempre più geometrici: lineari, iscritte in circonferenze. Le varianti geometriche permarranno nella storia coi cosiddetti mobili rustici, con un susseguirsi di aste, croci di varia forma, soli e fiori. Ciò nonostante, la definizione di nuovi strumenti di taglio trasformerà questi decori in immagini sempre più elaborate e precise, grazie anche all'aiuto di speciali trattamenti di superficie. Il decoro inizierà così nella storia a definirsi come un vero simbolo di importanza per il proprietario, spesso coronato dall'uso di tali estetismi in arredi destinati più all'uso 'sensibile' che funzionale. La distinzione, nell’ambito di una stessa cultura artistica, tra mobili dozzinali, praticima di poco pregio, e altri particolarmente eleganti e raffinati continuerà nei secoli successivi, evidenziando l’ appartenenza dei rispettivi proprietari a ceti sociali diversi. Le figure gemetriche tenderanno a diventare simboli e segnali di famiglia o di un gruppo etnico, attestandone un riconoscimento ancor più netto. E' così che le rappresentazioni ornamentali, sia in pigmento che in intaglio, diventeranno d'appannaggio dei capi: è il caso, per esempio, dei troni diffusi in ogni civiltà ed etnia, che spesso riportano figure naturali o antropomorfe su cui chi siede viene simbolicamente ad assumere il potere. Ancor più spesso, le figure geometriche o zoomorfe divengono rappresentazioni di sacralità, trasformandosi in simboli di culto e supestizione. Nel corso dei secoli, l'evolversi di tecniche sempre più precise e dai risultati sempre più sorprendenti, darà forma ai mobili più differenti: superfici concave e convesse, intarsi, legno tornito e curvato costituiranno non solo l'orgoglio delle manifatture, ma veri parametri di gusto. Al pari passo, il definirsi di un significato non solo legato allo 'status symbol', ma quanto più al potere economico dello stesso. Il proprietario trova così nei propri mobili una possibilità di definizione del suo riconoscimento sociale ed estetico, nonchè di capacità d'acquisto. E' questo a segnare i netti presupposti che oggi fanno del 'valore percepito' una variante altamente considerata nel marketing. Una valore legato al fatto che il prodotto, di qualsiasi genere esso si tratti, soddisfi un bisogno molto sentito dal cliente: spesso semplificabile al bisogno di piacersi e piacere agli altri. La decorazione, nonchè i materiali, ovviamente, giocano un ruolo fondamentale in tale obbiettivo, permettendo di superare il valore reale. Il cliente è quanto più indotto a spendere, quindi a dar profitto all'azienda, se sente giustificato il prezzo del prodotto nella sua percezione finale. E' interessante notare l'influenza di un simile fattore a dettare le regole del mercato: la dimostrazione di quanto il nostro sentire muova i suoi passi nella concretezza di ogni giorno, in ogni nostra scelta. Valore percepito e status symbol continuano a definire economia e gusto di ogni generazione. La necessità estetica si fa così sinonimo di identità di interi gruppi sociali, così riconoscibili nelle scelte e nei bisogni. Una tendenza espressiva che cerca la combinazione perfetta tra materiali, forme e superfici per farsi rappresentante di ogni proprietario. Dalle nuove soluzioni di 'custom' alla ricerca di soluzioni sempre più pure e di grande approvazione, i mobili, come tutti gli oggetti che ci circondano, sono così reinterpretati al fine della nostra percezione finale, in un contesto sociale ormai globale sempre più attento all'immagine e alla sua promozione nei canali più disparati.


Tornare al concetto di abitare da cui si è partiti, tocca interrogarsi a riguardo però non in quanto prassi, ma in quanto forma. Ciò che dà forma all’abitare, che lo rende concreto plasmandone l’interiore spazialità, che ne fa la proiezione di un sentimento, di un sentire, di un sentirsi, non è tanto la sua configurazione architettonica, quanto la popolazione di oggetti che lentamente lo saturano. L’esistenza s’invera nelle cose che ci circondano e di cui ci circondiamo: ammobiliare un’abitazione, arredarla, colorarla, decorarla, comporla in un’immagine che ci rispecchi, è operazione fondativa, tanto sul piano soggettivo quanto su quello sociale e culturale. Spetta quindi al design dell’arredamento il compito di sancire il progetto esistenziale dell’abitare per trasformarlo in esperienza intimamente vissuta. La tendenza principale resta quella dell’evoluzione organica delle forme, che si sviluppano dai modelli precedenti adattandosi alle nuove esigenze e modificando gradualmente le vecchie strutture per lasciarle liberamente fluire nei nuovi scenari. Questo ‘darwinismo’ progettuale di sviluppi formali, dove l’abitare fa della trasformazione un processo lento ma continuo, giocato tutto sui particolari e orientato sul lungo periodo. L’innovazione si stempera in un rassicurante richiamo alla tradizione: l’immagine della ‘casa’ si protende sul XXI secolo, ma resta solidamente ancorata alle certezze del passato.


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I mobili, alleati del piacere di sentirsi a casa

La sedia

Il tavolo

Il letto

Oltre a quella ritta e supina, l'uomo ha sempre sentito l'esigenza di assumere una terza posizione intermedia, quella seduta, sia pure secondo differenti criteri: dalla primitiva posizione a terra, conservata ancora all'interno delle civiltà afroasiatiche, a quella di poco più elevata del mondo medio-orientale, fino a raggiungere l'altezza consueta dei sedili dello stile occidentale moderno. La composizione della sedia si identifica in una struttura che può articolarsi in modi differenti e che prevede, oltre a una certa mobilità, un piano orizzontale sostenuto da un certo numero di gambe, solitamente quattro, cui per consuetudine, ormai da secoli, viene ad aggiungersi uno schienale. La funzione minima di ognuna delle innumerevoli sedie esistenti, ovviamente, è quella di permettere alle persone di sedersi, secondo criteri ergonomici più o meno rigorosi. Fin dall'antichità, però, la sedia è andata assumendo un suo senso specifico autonomo che non la subordina più esclusivamente al ruolo funzionale. Tra i due opposti poli in cui si può identificare l'oggetto-sedia, a un estremo si trova il 'tron' nella sua accettazione significante più estesa, inteso cioè come simbolo del potere e dell'ordine assoluto; dall'altra parte si pone la sedia nei suoi significati di microarchitettura con tutte le problematiche spaziali e strutturali a essa connesse e di sollecitazione statico-dinamiche, che la assimilano a un vero e proprio edificio in miniatura. Non è un caso che nell'epoca del Movimento Moderno dell'architettura, la sedia sia stata quasi esclusivamente l'oggetto di studio di grandi architetti, che l'hanno privilegiata nei confronti degli altri mobili. La sedia dunque si è evoluta trasformandosi in oggetto 'colto', si è caricata di attributi connotativi, si è posta in relazione con il divenire sociale e artistico, vincolandosi all'una e all'altra civiltà. La sedia nasce come monumento, o meglio, come trono al centro della sacralità; nella posizione seduta vengono rappresentati dei e re dell'antichità di fronte all'auditorio in piedi. Per lungo tempo ancora, la sedia resta contrassegno del rango sociale.

Probabilmente di poco sollevato da terra nella preistoria e nell'antichità, il taolo ben esaudisce le esigenze dell'uomo accovacciato. Ancora oggi, nell'arredo tradizionale giapponese, il tavolo, come del resto altri mobili, è adatto al vivere a contatto con la terra. Anche nell'antico Egitto i tavoli erano bassi, su cui venivano consumati i pasti. In età romana esistevano tavoli elevati in altezza, ma non era ancora invalso l'uso di sedervisi intorno per mangiare. Anzi, i Romani, al pari dei Greci, avevano l'abitudine di sedere su delle seggiole e, solo dopo la vittoria su Cartagine, adottarono posizioni più distese. Col passare dei secoli, il tavolo viene ideato per sopperire a differenti funzioni e un po' alla volta nascono tipologie sempre più specifiche in riferimento alle diverse esigenze. Oltre al tavolo da pranzo, prendono forma quelli più adatti al lavoro di concetto, come lo scrittoio, oppure altri modelli, come la consolle o il tavolo di rappresentanza. Il tavolo è costituito essenzialmente da due parti: il piano e la struttura portante; mentre quest'ultima può essere variamente formulata, il piano, fin dall'antichità, vede la sua diversità solo nei materiali di realizzazione. Il tavolo ha sempre costituito un centro focale nell'ambiente, un fulcro intorno al quale riunirsi. Nella cultura contadina, il tavolo assume un significato di religiosità poichè, secondo una concezione patriarcale, attorno ad esso almeno una volta al giorno tutta la famiglia, dopo una lunga giornata di fatiche, è riunita per la cena. Il tavolo ha acquisito nel tempo, un po' alla volta, differenti forme e dimensioni, a seconda delle abitudini conviviali e dello spazio destinato ai pasti nelle varie epoche. Si possono così incontrare, oltre ai tavoli rettangolari e quadrati, anche di geometrie tonde, ovali ed esagonali; con base a colonna centrale o con numerose gambe, con cassetti o con base trasformata in ricettacolo.

E' difficile stabilire con esattezza in quale momento della sua storia l'uomo abbandonò la posizione di riposo a terra sul primitivo giaciglio per costruire ad arte il proprio letto. Certamente già al sorgere delle prime civiltà, nel Vicino Oriente, si va sviluppando la tendenza a consacrare questo mobile e a destinarlo non solo al riposo, ma anche al culto dei morti, e ad arricchirlo di altri significati con l'introduzione di un nuovo costume: quello di sdraiarsi per mangiare. Un esempio ci è rappresentato dal 'Sarcofago degli sposi' di Cerveteri, risalente all'età etrusca. Anche molti secoli dopo, nonostante le differenti culture, si riscontrano alcune affinità tra Europa e Cina. Il letto si rivela dunque il mobile in cui non esistono sostanziali differenze tra le principali culture. Ben presto si impara a considerarlo una microarchitettura autonoma, le cui dimensioni si possono ritenere come unità-base, l'unità modulare su cui proporzionare l'intera abitazione, da cui non si può prescindere. In entrambe le culture, occidentale e orientale, è invalso l'uso di strutturarlo come un piccolo ambiente indipendente con l'aiuto di un cassettone, colonne o pannellature per proteggersi da luce, freddo ed insetti. Il letto è così l'unità abitativa minima possibile, una specie di surrogato della casa stessa. Il letto è senza dubbio il mobile con più attributi letterari e simbolici: da semplice giaciglio a terra, diventa mobile funzionale fino ad assurgere al ruolo di simbolo di potere e distinzione, tra i sontuosi drappeggi dei baldacchini. Gli elementi che ne compongono la struttura non sono di molto mutati nel tempo. Già dall'antichità il giaciglio era molleggiato da corde intrecciate in tensione o da balestre; il fusto, solitamente in legno, era talvolta intagliato con decorazioni dense di significati simbolici. Il letto è strettamente connesso con la tematica del sonno, e implicitamente del sogno. L'uomo normale, come è noto, trascorre in media un terzo della propria vita a letto e, da qui, l 'importanza del luogo del riposo. Sonno come rituale a metà strada tra il desiderio di un ritorno al grembo materno e l'anticipazione del sepolcro; il letto come luogo della nascita e della morte.


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I luoghi dell'abitare

'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard Nell’ampia produzione di Bachelard sulla tematica dell’immaginazione, la 'Poetica dello spazio' merita certo di essere considerata come un’opera che apre un nuovo corso. Il libro, scritto nel 1957 e tradotto in italiano nel 1975, è percorsa da una domanda: qual è il luogo in cui nasce la poesia? E soprattutto, in che modo il nostro immaginario è in grado di plasmare l'abitare? L'epistemologo è vero innamorato dell' immaginario, parola chiave che permea gran parte delle sue opere, ricorrendo al termine di 'rêverie'. Che cosa intende Bachelard quando parla di rêverie? Se incontrassimo questo termine in un contesto non troppo impegnativo, potremmo tradurlo con 'fantasticheria', ma in riferimento alla problematica che stiamo illustrando questa parola sarebbe inadatta, se non altro per quella sfumatura un po’ peggiorativa che essa riceve in molti impieghi correnti. In realtà mentre, come vedremo subito, tra 'sogno' e 'rêverie' dobbiamo porre una netta differenza, è proprio al sogno che converrà richiamarsi per illustrare il senso della rêverie. La rêverie si esercita in ogni caso nella veglia, e non durante il sonno: proprio di qui essa trae quelle caratteristiche che la rendono tanto importante agli occhi di Bachelard. Un allentamento di coscienza in stato di veglia in cui si annuncia la tematica stessa della soggettività, e di una soggettività emergente nella sua dimensione di libertà. Egli osserva che, in quanto la dimensione della réverie è la dimensione autentica dell’esercizio concreto dell’immaginazione, merita un'attenzione molto maggiore da quella finora offerta dalla psicologia. Alla base di una possibile sottovalutazione della rêverie sta, secondo Bachelard, il fraintendimento della sua natura. L’inconscio rappresenta così una sorta di nozione parallela alla nozione di realtà: né nell’uno né nell’altro caso l’io si può senz’altro riconoscere. La realtà si presenta come 'un non-io ostile, un non-io estraneo' tale che questa stessa ostilità ed estraneità potrebbe essere attribuita all’inconscio. Attraverso la nozione di rêverie l’immaginazione si ricongiunge con lo stesso concetto di soggettività. Nello stesso tempo comincia a diventare esplicita nozione di una soggettività tutta puntata in direzione dell’interiorità. La soggettività di cui si parla è la soggettività che si riconosce anzitutto nell’intimità delle proprie fantasticherie sognanti. Tutto ciò trova piena conferma e illustrazione nei contenuti specifici della 'Poetica dello spazio'. Questo lavoro si propone di mostrare i modi di valorizzazione immaginativa dello spazio. In esso è dunque presente una delle idee guida fondamentali che attraversa l’intera produzione sul versante dell’immaginario: l’idea di una considerazione che si rivolge non tanto alla forma, alla struttura delle operazioni immaginative, quanto piuttosto ai contenuti che essa mette in gioco. All’interno di una simile prospettiva si affaccia il problema di organizzare la molteplicità delle immagini intorno ad alcuni centri gravitazionali: la casa, ovviamente, è un polo d'eccellenza. Bachelard è chiaro nelle premesse: il suo obiettivo è cogliere l'essere umano nella propria attualità, ma non attraverso inutili elucubrazioni. La sua vuole essere una determinazione fenomenologica delle immagini, che trova i suoi elementi nella concretezza del reale. Da scrittore e non meno da lettore, Bachelard vuole raccontarci ciò che paradossalmente già sappiamo, nello stupore del riconoscersi, nel presentare le intimità intrinseche a ciascuno di noi. E' proprio questa la grandezza del filosofo: l'immagine poetica è, con estrema evidenza, il veicolo di una delle esperienze più semplici del linguaggio e, in quanto tale, è capace di calarci in un'appassionante scoperta dell'interiorità. Con 'Poetica dello spazio', si procede verso una profonda e fresca riflessione sugli 'spazi che attiranoì', in cui convogliamo le nostre tensioni positive. Così lo spazio di cui ci si occupa anzitutto è lo spazio della casa, e precisamente della casa come un centro intorno a cui gravitano immagini di intimità protetta. Spazio dove tutta la nostra esperienza trova dimora, il suo stare con se stessi, il posto in cui ripararsi e ritrovarsi. L'abitare è così semplificato da Bachelard in un gioco di suggestioni, di sogni ad occhi aperti.

Bachelard ci porta in un viaggio alla scoperta dell'immaginario, delle rêverie che dentro e fuori la poesia hanno reso la casa un vero simbolo

'La poetica dello spazio', di Gaston Bachelard, Dedalo Editore, 2006


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'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard

Gaston Bachelard (1884-1962) è uno dei filosofi che più profondamente hanno segnato la cultura del nostro tempo. La sua formazione fu prevalentemente scientifica (laurea in Scienze matematiche) ma il suo insegnamento alla Sorbona (1940-1954) ebbe carattere filosofico ed epistemologico, spaziando dalla logica alla psicoanalisi, dalla storia della scienza alla letteratura. Il suo pensiero ha direttamente influenzato alcune delle posizioni teoriche di questi ultimi anni Gaston Bachelard è stato uno dei più fecondi pensatori francesi. Le sue opere hanno dato un originale contribuito alla riflessione epistemologica e preziosi suggerimenti nell?ambito della semiologia, della critica letteraria e della psicanalisi.

'La casa è il nostro angolo di mondo'

Il filosofo sottolinea l'importanza dell'abitare come un'esperienza avvolgente,carica di memorie e sensibilità

'Bisogna amare lo spazio per descriverlo tanto minuziosamente come se vi fossero molecole di mondo'. Una frase estratta che racchiude bene il pensiero di Bachelard. L’amore per lo spazio, inteso qui come luogo in cui viviamo, e la sua trasportante descrizione trovano accordo e compimento in un viaggio di poesia e interiorità guidata dal filosofo: un viaggio 'familiare' ma allo stesso tempo di scoperta. Bachelard non ha dubbi: la casa è un sistema complesso nell'essenza dell'abitare, nella sua realtà e nella sua virtualità, attraverso i sogni e i pensieri. Custode d’intimità, nel delicato rapporto che questa intrattiene col mondo che l’accoglie e la circonda, in tutte le sue forme, dimensioni e concezioni, la casa vede la propria definizione nella sensibilizzazione dei limiti del rifugio, attraverso cui l'uomo delimita i suoi spazi nel fisico e nel mentale. Ma come può il singolo fare di una casa la 'propria'? In che modo è in grado di personalizzarla, di definirla? La concezione spaziale abitativa risulta immediatamente connessa al suo potenziale identitario: la casa assume una dimensione evocativa, 'onirica', che parla di sè e dei suoi abitanti, in grado di evocare e rafforzare le necessarie sicurezze che costituiscono il nostro quotidiano. E' proprio la protezione che troviamo nel nostro abitare a richiamare nuove sensibilità, capovolgimenti di soggetti in cui, per un attimo, è la casa ad occuparsi di noi. La funzione sostitutiva, e matura, di un grembo materno, di una culla, un punto di riferimento immancabile. Una dimensione intima, avvolgente e, in più, coinvolgente, capace di plasmarsi e modificarsi in un'infinità di aggiunte e sottrazioni. Una 'culla per adulti'? La dimensione casalinga sembra definirsi proprio in questi termini: un luogo sicuro, una certezza che però cresce, si espande, si riempie. Ciò che è certo, è che l'abitare non si vive giorno per giorno, ma si arricchisce di memorie e pensieri tali da istituire un complesso sistema di immagini, fondamenta importanti di un punto cardinale per eccellenza del nostro vivere. Bachelard definisce la casa come il 'soggiorno dell'incoscio', un intricato labirinto di memorie ed evocazioni, capace di creare gli spazi a noi necessari per la solitudine e per la convivialità, per la riflessione e per lo svago. Si tratta di una sorta di automatico sistema di 'mappatura' non solo degli spazi, ma di invisibili aree d'interesse create anche da oggetti-chiave al suo interno.


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I luoghi dell'abitare

La casa è riconosciuta come un'intricata struttura di immagini, che possiamo comprendere solo nella topo-analisi dei nostri spazi

La casa, come tutti gli spazi del nostro vivere, ci introduce così al concetto di un ampio processo di 'topo-analisi', attraverso cui ognuno di noi è in grado di disporre i luoghi in una mappa funzionale, aggrappandosi a elementi concreti della propria realtà. I luoghi del riposo e intimità sono ovviamente quelli di maggiore attrazione: la casa, in questo senso, assume una posizione d'eccellenza nell'immaginario singolo e collettivo. La casa è un corpus di immagini che forniscono all'uomo ragioni e illusioni di stabilità: distinguere tutte queste immagini, dal momento che incessantemente si reimmagina la propria realtà, significherebbe scoprire grandi percorsi dell'interiorità di ciascuno, svelare l'anima della casa, sviluppare una vera e propria psicologia della stessa. Dalle abitudini organiche (come il far attenzione in un gradino) ai ricordi di vissuto che essa incastona, la casa è immaginata come un essere concentrato, che ci richiama ad una coscienza di centralità. Eppure, nonostante la sua complessità organica, è un centro di semplicità: per cogliere la purezza del suo concetto bisogna arrivare al primitivismo dei rifugio, e al di là delle situazioni vissute, scoprire situazioni sognate. Al di là dei ricorsi concreti, materiali per una psicologia positiva, è necessario riaprire il campo delle immagini primitive, capaci di fissare in modo ancor più saldo i ricordi nella memoria.

L'uomo ritrova nella casa tutto il suo campo di strumenti e posiibilità con cui prrovvede a se stesso: la rêverie di osservare un temporale dalle sicure finestre del nostro rifugio. Diventa il vero e proprio essere di un'umanità pura, valore umano, che si difende senza mai avere la responsabilità di attaccare. Tutti i ripari, tutti i rifugi possiedono dunque valori consonanti di onirismo. La casa è allora non solo vissuta nella sua positività, ma nel suo valore di scrigno, d'interruttore per l'immaginario nella pausa che questa sa riservarci. E se tutte le felicità hanno un passato, allora anche in passato vive, attraverso il sogno, in una casa nuova dal momento che l'inconscio lo sceglie per sè. Uomo e casa sono cosa unica che allo stesso tempo gode del dividersi, nel riconoscere nell'espansione del primo un soggetto a sè, di natura nuova. La casa nella vita dell'uomo travalica le contingenze, moltiplica i suoi suggerimenti di continuità: se mancasse, l'uomo sarebbe un essere disperso.

„ In tale comunanza dell'uomo e della casa, nella rivalità dell'uomo e dell'universo, è lontano ogni riferimento alle semplici forme geometriche.La casa vissuta non è una scatola inerte: lo spazio abitato trascende lo spazio geometrico. “


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'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard

Un nido, un guscio 'L'uovo, il nido, la casa, la patria, l'universo. Si potrebbe quasi dire che ne avesse assunto la forma come la chiocciola prende la forma del suo guscio. Bachelard dà grandissima importanza alla rêverie che maggiormente sembra avvicinarsi all'infanzia e all'istinto umano: il percepire la casa come un involucro che avvolge e protegge. Con il nido, con il guscio soprattutto, incontreremo tutto un insieme di immagini che tenteremo di caratterizzare come immagini prime, come immagini che sollecitano in noi una primitività, dimostrandosi come una fisica felicità: l'essere ama 'ritirarsi nel proprio angolo'. Nel mondo degli oggetti inerti, già il nido subisce una valorizzazione straordinaria. Si vuole che sia perfetto, che porti l'impronta di un istinto sicurissimo. Di questo istinto ci si meraviglia e il nido facilmente passa per una meraviglia della vita animale. Questa lettura avviene in tocchi semplici e delicati, dove l'anima è così sensibile a simili semplici immagini da intendere ogni risonanza in una lettura armonica. Essa ci chiede di comprenderle. I valori attuano così uno spostamento dei fatti: non appena si ama un'immagine, essa non può più essere la copia di un fatto, ma assume connotati propri e decisi suggeriti dalla forza della metafora.

Al guscio corrisponde un concetto talmente netto e sicuro che trova la sua leggittimità nella realtà geometrica delle forme. Lezioni trascendentali a cui l'uomo ha sempre guardato con meraviglia e, probabilmente, invidia di precisione. Il guscio è un oggetto realizzato di alta intellegibilità ed intelligenza, che ci sorprende nelle capacità del suo abitante. Questo si distacca dal disordine ordinario dell'insieme delle cose sensibili. Le conchiglie diventano oggetti privilegiati, preziosi, dall'alone curioso e misterioso rispetto ai tanti che ci circondano. L'idea di un oggetto modellato, di un oggetto cesellato capace di giustificare il suo valore d'essere attraverso la bella e solida geometria della sua forma, separandosi dalla semplice preoccupazione di proteggere la materia. Il motto del mollusco sarebbe allora: bisogna vivere per costruire la propria casa e non costruire la propria casa per viverci. Come per una conchiglia, la funzione costruisce la propria forma. Strutture geometriche solide racchiudono la vita e la rivestono in un processo che continua da milioni di anni. Ma non si tratta di una bellezza ritoccata dall'esterno: i gusci nascono dall'interno, vedono il loro punto di partenza dall'essere che racchiudono, per disporsi di una solida casa con cui essere un tutt'uno.

Il nido, per l'uccello, è senza dubbio una calda e dolce dimora, una casa di vita: protegge l'uccello anche fuori dall'uovo. Il nido è una sorta di peluria che protegge l'uccello appena nato, prima che le piume ricoprano il suo corpo. Scoprire un nido ci rinvia alla nostra infanzia: il trovarne uno tra i rami, per terra, ci dà la piena misura della sua cosmicità. Il nido vivente, trovato tra i cespugli, diventa un istante di assoluta importanza, che ci rende partecipi di una 'situazione'. Il nido evoca l'idea di una casa in espansione, costruita da piccoli pezzi capaci di costruire una struttura complessa e funzionale.. Come ogni altra immagine di riposo, di tranquillità, si associa immediatamente alla rêverie della casa semplice. Dall'immagine del nido a quella della casa o viceversa, i passaggi non possono che avvenire sotto il segno della semplicità: che nella sua essenzialità e precarietà non manca di nulla. La casa-nido non è mai giovane. Si potrebbe dire, in modo pedante, che essa è il luogo naturale della funzione dell'abitare. Vi si ritorna, si sogna di tornarvi come l'uccello al nido. Il segno del ritorno evoca infinite rêverie, dal momento che i ritorni umani avvengono sul grande ritmo della vita umana. Sulle immagini accostate al nido e della casa si riversa il 'retentissement' di una componente intima di fedeltà.

Immagini semplici, 'democratiche', danno luogo a nuovi significati intrisechi, sogni e desideri ben levigati nel nostro incoscio. Connessioni da indagare ed approfondire per comprendere meglio i nostri bisogni ed continuare ad immaginare nuove alternative


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I luoghi dell'abitare

Nestlè è una tra le maggiori multinazionali nel settore alimentare a livello mondiale. La società, con sede a Vevey in Svizzera, ha filiali in quasi ogni Paese compresi quelli in via di sviluppo. Questo gigante economico, fondato da Henry Nestlè nel 1866, ha oggi stabilimenti in ben 86 nazioni con al seguito 238.000 dipendenti. Nestlé produce e distribuisce un’ampia gamma di prodotti alimentari, tra i quali acqua minerale, omogeneizzati, surgelati e affini. Il suo logo é considerato come uno dei marchi più iconici e immediatamente riconoscibili al mondo. Ha subito diverse modifiche nel corso degli anni: ciò nonostante, esso conserva ancora un certo fascino grazie al suo design moderno e all’avanguardia. Negli anni il logo aziendale ha subito un’evoluzione grafica e non solo: il primo, presentato nel 1868, era costituito dall stemma della famiglia di Henry Nestlé, fondatore dell’azienda svizzera, all’interno del quale era presente un uccello in un nido. Il logo era un chiaro riferimento alla famiglia Nestlé da un punto di vista linguistico, poiché “nest” in tedesco significa nido. In seguito (seconda metà 1800) venne modificato aggiungendo particolari al nido (foglie e ramo) e inserendo nello stesso tre piccoli uccelli mentre vengono nutriti dalla madre. In questo modo si è reso possibile il collegamento visivo tra il brand name, il logo e i prodotti per lo svezzamento dei bambini (tra cui la celebre farina lattea).Henri Nestlé registrò il brevetto del logo in Francia, per una durata di 15 anni. Dopo il suo ritiro nel 1875, l’emblema del nido fu registrato a Vevey in Svizzera dai nuovi proprietari della Nestlé SA. Più di sei decenni dopo, nel 1938, il nome della società fu incorporato nel design del nido, trasformando così il tutto in un simbolo più distintivo e riconoscibile. La Nestlé cambiò ancora il suo logo nel 1966: furono attuate alcune modifiche grafiche minori, il tipo di carattere e fu anche semplificato il nido. In seguito, il verme presente nel becco di “mamma uccello” fu rimosso dal logo Nestle del 1988. Dal design fu anche eliminato un uccellino, riducendo il numero da 3 a 2. L’idea di questa riduzione voleva far emergere con più chiarezza che la multinazionale ormai non era più attiva solamente nella produzione di prodotti per lo svezzamento dei neonati, ma anche in altre aree. Il cambiamento voleva inoltre riflettere la composizione di una famiglia moderna con due figli. L’attuale versione del logo Nestlé, presentata nel 1995, risulta più pulita e semplificata. Viene rappresentato solitamente in due colori: argento e blu, a significato di qualità e controllo dei prodotti. Per quanto riguarda il font utilizzato, il logo incorpora una forma modificata del classico carattere Helvetica, dai toni sempre moderni e coinvolgenti.

La molteplicità di significati che assume la casa è stata sfruttata per molti utilizzi, tra cui lo stesso branding. Nestlè è sicuramente il caso più famoso e riconoscibile: utilizzando l’immagine del nido, l’azienda ha creato un duplice richiamo alla propria origine e alla sua tipologia di prodotti destinatia tutta la famiglia.

‘The Nestlè logo evolution’, nestle.com


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Il filosofo sottolinea l'importanza dell'abitare come un'esperienza avvolgente,carica di memorie e sensibilità

'La poetica dello spazio': l'analisi fenomenica di Gaston Bachelard

Nel caso del nido, l'uccello è un 'operaio sprovvisto di utensili' e questo ci meraviglia. L'utensile, realmente, è il corpo dell'uccello stesso, il petto con cui comprime e serra i materiali fino a renderli docili, li assoggetta all'opera finale. E' qui che ci viene suggerita la casa costruita dal corpo, per il corpo, suscettibile di prendere dall'interno la propria forma, come un guscio, in un'intimità che lavora fisicamente. E' l'interno del nido a imporre la sua forma. Queste immagini sorgono dal sogno della protezione più vicina, della protezione adatta al nostro corpo. I sogni della casa-vestito non sono sconosciuti e ci compiacciono dell'esercizio immaginario della funzione dell'abitare. Se l'abitazione venisse lavorata alla stessa maniera in cui si pensa al nido, non si indosserebbe un vestito fatto in serie, ma si avrebbe la casa personale, il nido del nostro corpo rivestito a nostra misura. Come è possibile che una tanto evidente precarietà non giunga ad arrestare una simile rêverie di sicurezza? La nostra casa, assunta nel suo potere onirico, è un nido nel mondo. Non abbiamo bisogno, per vivere tale fiducia, di enumerarne le ragioni materiali: il nido, così come la casa onirica e viceversa, non conoscono l'ostilità del mondo, perchè covati nella dimensione del sogno. Il guscio, allo stesso modo, è evocatore di immagini forti: la sua geometria, la sua robustezza ne fanno un'entità preziosa, che conserva gelosamente la rêverie del rifugio. Tale meraviglia ci porta immediatamente all'immagine che contenga esseri stupefacenti, detentori di un'innata capacità architettonica. Tutto è dialettico nell'essere che esce fuori dal guscio e, dal momento che ne esce per metà, il tutto risulta sempre racchiuso, segreto. Il mollusco che ne esce mollemente appare sempre intimorito dall'esterno, ma così fiducioso della protezione del suo involucro. Sul tema del guscio, l'immaginazione elabora anche un piacevole contrasto tra il piccolo e il grande, sulla sua straordinaria capacità contenitiva. Col guscio, lo slancio vitale di abitazione procede troppo rapidamente verso il suo termine. La natura ottiene troppo in fretta la sicurezza della vita racchiusa, ma il sognatore non può credere che i sogni costruttori gusci diano vita e azione alle molecole tanto perfettamente associate. La conchiglia ci stupisce e allo stesso tempo ci sconcerta nella sua intelligenza. In altre parole, il guscio della chiocciola, la casa che si ingrandisce a misura di chi la ospita, è una meraviglia dell'universo.

'Nell'immaginazione, abbiamo vissuto mille rêverie aeree e acquatiche, nella misura in cui seguivamo i poeti nel nido o nel guscio degli animali. Talvolta si ha un bel toccare le cose, si sognano sempre elementi'. Le due grandi rêverie del nido e del guscio si presentano quindi secondo prospettive di reciproca anamorfosi: forme affascinanti che si modellano su e per il corpo. Il sogno di abitare gli oggetti incavati ci diventa irresistibile, come bambini che costruiscono la propria casa all'interno di una stanza. Un restringimento, un contatto più diretto suggerito dalla natura in soluzioni quanto inusuali ai nostri bisogni biologici, quanto affini all'idea di casa che da sempre curiamo. Coi nidi, coi gusci, si moltiplicano le immagini che illustrano in forme per noi elementari, forse fin troppo immaginate, la funzione di abitare. Certo, si avverte che ci si trova davanti a un problema misto di immaginazione ed osservazione. Ma perchè non sfruttare questa come leva per interrogarci su concezioni nuove, che ci avvicinino all'abitare in tutta la sua istintività?

Nidi e gusci sono solo due delle tante immagini che animano i nostri sogni ad occhi aperti: immagini che viviamo, dove ci facciamo più piccoli reinventandoci

‘Les merveilles de la mer: les coquillages, di Paul Valéry, Plon Editore 1936


Lo spazio vuoto è alla base della poetica giapponese che trasporta nell’architettura la contemplazione della natura, la ricerca della divinità, che vede fondere l’uomo con la pietra,con il paesaggio e l’universo. Il carattere aperto delle architetture nipponiche, come degli oggetti dall'aspetto sottile e leggero, scoperto con grande stupore dall’Occidente, ha senso solo all’interno della semplicità di questo vuoto dinamico riempito dalla scoperta di sè stessi. Come per il vaso, connesso alla sua utilità, tutto è letto come ‘il risultato dello svuotamento o la premessa di un riempimento’, dando nuova forma allo spazio.

Il Mu, l' 'assenza', è alla base della poetica giapponese che trasporta in ogni disciplina la contemplazione della natura, la ricerca della divinità, che vede fondere l’uomo con la pietra,con il paesaggio e l’universo. E' in questi termini che la ricerca della bellezza non rientra più nei recinti dell'estetica, abbracciando l'essenza: un ponte per la conoscenza di sè stessi, ritrovare la propria dimensione spirituale nel piacere della transitorietà, dell'istante, dell'ordine naturale delle cose. La filosofia giapponese ci affascina, eppure trova i suoi presupposti in linguaggi assolutamente lontani

„ Facile è accorgersi della presenza del vuoto, difficile è ammettere che tale vuoto costituisce il vaso al pari del pieno. “

da quelli occidentali. Un 'horror plaeni' si sostituisce al nostro 'horror plaeni', l'attenzione sposta il so sguardo dal soggetto all'oggetto, per così cogliere la preziosità del dettaglio e del silenzio che da sempre fa dell'arte orientale un esempio di estrema raffinatezza e delicatezza, 'istantanea' eppure indelebile.


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L’esperienza del vuoto nella cultura giapponese

L’esperienza del vuoto nella cultura giapponese La velocità delle comunicazioni, l’internazionalità, il ritmo della produzione che incalza, la mancanza di ideali, senso, verità, una realtà che ci sovrasta, che ci trasporta via, di fronte a cui l’uomo di oggi sembra non poter rispondere: tutto ciò ci Il Giappone è oggi interroga sulle scelte che decideranno il nostro domani. un grande punto di riferimento per I segni delle architetture giapponesi sono densi l'Occidente, sempre di un contenuto che deve essere compreso e fatto proprio. In più interessato a quest’ottica, lo studio della sua estetica si sbilancia anche in coglierne la poesia e la spiritualità una possibile previsione di una realtà, o parte di essa, a cui il metodologica. mondo globalizzato tende a uniformarsi: un’osmosi, una perdita di confine obbligata. L’evoluzione così rapida del Giappone e la globalizzazione che avanza, distruggendo i confini dello spazio e del tempo, fanno sì che lo studio dell’architettura giapponese, una scuola particolarmente importante nel panorama disciplinare contemporaneo, diventi una tappa obbligata nella riflessione sull’identità e sul senso del linguaggio progettuale sempre più ‘WA – l’essenza del internazionale. Il fascino che la cultura nipponica esercita su design giapponese’, di noi è sempre più forte. L’architettura e la consequenziale di Rossella Menegazzo e Stefania Piotti, immagine della città lo mostrano bene. Fino a qualche anno fa Edizioni Phaidon 2014 si considerava la capitale giapponese come un forte centro di potere economico, ma allo stesso tempo una città caotica e disordinata, povera di cultura, d’interessi. Nella sfrenata corsa all’innovazione della capitale, ci si stupiva della convivenza di qualche forma artistica tradizionale, frammentario elemento di un misterioso linguaggio ricco di storia in un contesto tecnologico. Oggi quest’immagine è ribaltata: Tokyo attrae molto, soprattutto perché è una città che non annoia, con tutta una sua ricchezza di comunicazione e informazioni. È sull’informazione stessa, così veloce, rapida, consumistica, che si gioca gran parte del suo fascino. Tokyo affascina, di un fascino perturbante, che non ha nulla a che vedere con l’idea di bello legata alla perfezione e all’ordine della cultura occidentale. È l’espressione del disagio della società contemporanea, del vortice dell’impermanente, la bellezza del ‘disgusto’, del kitsch, di ciò che colpisce nella sua fragile violenza e nella sua violenta fragilità. C’è un contrasto, o meglio un non contrasto, tra ‘bello’ e ‘brutto’ e, proprio intorno a questo diverbio, ruota il cuore dell’estetica giapponese. Il nostro atteggiamento di fronte a questo mondo, tanto distante e tanto diverso, è quello di cercare di inserirlo in categorie, tutte schematizzate in riferimento ai nostri canoni: è l’approccio meno difficile, quello che ci richiede meno sforzo, ma che allo stesso tempo risulta il più errato perché applicato a un mondo così lontano e differente. Parlare di abbellire la città o descrivere un oggetto come bello o come brutto sono modi solo occidentali di pensare, per quanto ora diffusi in Giappone come in Occidente. L’ ‘estetica’ giapponese vive di ‘komichi’, stati d’animo, di esperienze del cosiddetto Ma, ‘intervallo’, una chiave di lettura che a noi può risultare assolutamente nuova ed estranea. Dietro tutto questo, che manifesta una differenza sostanziale nel fine della progettazione, è insita una concezione tanto spaziale quanto filosofica e metafisica, ormai profondamente acquisita e fatta completamente propria dello spirito giapponese: il concetto di vuoto.


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I luoghi dell'abitare

Il vuoto in Giappone e in Oriente ha un significato diverso rispetto alla nostra categoria occidentale. Lo si intuisce subito costatando che la stessa parola italiana in giapponese si esprima con tre diversi ideogrammi: Kyo, Ku e Mu. Kyo, o ‘ko’, in origine significava ‘grande collina’ nel senso di spazio aperto, non limitato, che con il tempo ha acquisito il significato di ‘spazio vuoto’, per poi essere utilizzato in alcuni sutra buddisti anche per indicare ‘ciò che non è vero’, ‘il falso’, ‘la bugia’. Ku originariamente significava ‘grotta’, cioè ‘luogo nel quale si abitava’, lo ‘spazio vuoto limitato, racchiuso'. Lo stesso carattere, nel corso dell’evoluzione culturale del paese, venne utilizzato per esprimere il concetto di ‘cielo’, inteso come ‘universo’ e ‘infinito’, immaginato come una grande volta. Nella cultura buddista il concetto di vuoto, espresso dalla parola ‘sunya’, manifesta ciò che è al di là da qualsiasi qualificazione e che i buddisti considerano con il limite della conoscenza. Sunya è ‘la realtà’, il puro pensiero, il principio assoluto.

Fondamentale è il gesto. Il Giappone ha creato arti che non perseguono un fine pratico e neppure si propongono alcun fine estetico, ma rappresentano un tirocinio della coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realtà ultima

Il terzo termine, Mu, il 'senza', è forse quello che maggiormente ha influenzato l’esperienza progettuale nipponica. Dalla genesi del concetto di vuoto, si nota che dietro questa concezione si nasconde una ricerca del sacro. Questo spazio vuoto è alla base della poetica giapponese che trasporta nell’architettura la contemplazione della natura, la ricerca della divinità che vede fondere l’uomo con la pietra, con il paesaggio e l’universo. Il carattere aperto delle architetture nipponiche, scoperto con grande stupore dall’Occidente, ha senso solo all’interno della semplicità di questo vuoto dinamico riempito dalla ricerca spirituale. Oltre alla componente culturale autoctona della fede Shinto, anche le altre grandi religioni che hanno definito le arti orientali parlano di ‘esperienza del vuoto’. Innanzitutto va sottolineato che si tratta di ‘esperienza’, non di concetto inteso come ‘teoria’ o ‘idea’, perché non sono importanti i trattati sul Mu, quanto piuttosto che esso si pratichi e si viva, che trovi forma in manifestazioni che, come l’architettura, siano definite dal vuoto stesso.

Il linguaggio del silenzio A trattare l’estetica del vuoto è soprattutto il taoismo, religione che ha condizionato il Giappone di riflesso, definendo i canoni dell’architettura cinese, continuamente importata nel paese del Sol Levante, e trasmettendo la sua eredità allo zen. Nella fisica si può trovare un’interessante analogia del Mu nel concetto di ‘campo’: ad esempio, un campo vettoriale è quella regione dello spazio dove è definito il vettore; così il vuoto è quella regione spaziotemporale dove viene definita l’azione, quindi il pensiero e l’essere. Il problema si riscontra nella grande diversità esistente tra Occidente e Oriente sul concetto di ‘nulla’ e di ‘vuoto’: mentre per noi occidentali spesso corrispondono al significato di ‘mancanza’, ‘assenza’, o ‘negazione’, qualcosa di privativo, nella cultura orientale il Mu assume tutto un altro significato. Il vuoto ha una sua realtà, una sua efficacia, in quanto è un secondo ente senza il quale il pieno non troverebbe modo di essere: è più facile relazionarlo con un’immagine e vederlo come l’immagine fisica del silenzio. Il linguaggio del silenzio è realmente muto, è carico della semplicità della possibilità a disposizione di chiunque voglia agire al suo interno.


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Il persistere degi opposti è una fondamentale del pensiero nipponico, dove è quindi impossibile scindere il 'bello' dal 'brutto'. E' su questa base che la bellezza diviene strumento di salvezza e conoscenza.

L’esperienza del vuoto nella cultura giapponese

Il vuoto è la condizione necessaria del pieno, come il nulla è collegato alla percezione dell’io, che si relaziona con il mondo: se annullassimo l’io, scomparirebbero tutte le percezioni, quindi tutto il mondo. E’ in quest’ottica che il nulla è coincidente con il tutto, è la libertà del tutto, è lo spazio della possibilità. Per il buddismo non esistono opposizioni, conflitti, dualismi insormontabili, perché ogni elemento fa parte dell’ ‘intero’: un vaso definito solo dal pieno o solo dal vuoto non potrebbe comuque essere riempito. Proprio in questa mancanza di dualismi si coglie la radice della definizione di ‘Giappone, terra delle contraddizioni’, dove gli opposti convivono senza contrastarsi, dove tradizione e innovazione si raffrontano in un equilibrio dinamico unico. In questa definizione di unicità dello stile giapponese entra poi in gioco lo zen, che si fa implicitamente sintesi delle due concezioni taoista e buddista. Poiché l’arte è un’opera di salvezza e d’illuminazione che pervade completamente tutto, anche le cose più piccole e semplici, lo zen ha determinato nel tempo forme estetiche legate alla pratica quotidiana, così importanti da essere tutt’oggi fortissime nel Giappone ipertecnologico. Un grande ‘orientale’ dell’Occidente, Dostoevskij, scrive nell’ Idiota: 'la bellezza salverà il mondo'. L’estetica del Mu è di fondo la ricerca della bellezza assoluta, l’unica che ha un valore salvifico, quella che si può celare anche dietro quel ‘brutto canonico’ e apparente. La bellezza nipponica rompe gli schemi logici: non è rappresentazione del trascendente, ma è ‘strumento di indagine della realtà fenomenica, della temporalità che riconduce all’effimero’. E' in questo senso di poesia, di vittoria sul tempo, che si sviluppa l’estetica ‘hana’: la visone del ‘fiore’, in giapponese, della sua bellezza nella caducità, è all’interno della relazione tra l’uomo la natura. Una bellezza che raggiunge il suo massimo nell’istante, per poi dissolversi, un’esaltazione della transitorietà. Ogni modalità è scelta in funzione della situazione, del momento e del luogo, per produrre un ‘hana’ che risponderà agli specifici bisogni. L’hana è la realtà dell’istante, della semplicità, che si inserisce comunque nella valenza della possibilità del Mu.

La progettazione del Ma Un'altra parola chiave, il Ma, racconta di un diverso modo di leggere il costruito e il paesaggio. Il progettare diventa l’arte di creare un particolare 'intervallo' nella forma fisica e, nel suo indissolubile rapporto con il tempo, dove emerge la sacralizzazione dello spazio

'Trentadue domande ad Arata Isozaki' di Leone Spita, Clean Edizioni, 2003

Nell'architettura come nel design, il Giappone riconosce all'ambiente un' importanza essenziale: rispondere al contesto, ma in particolare vivere del contesto. E' in quest'ottica che la progettazione nipponica muove i suoi passi, divenendo Ma nel contesto, un ‘intervallo’ che nella sua differenza si carica dell’azione del luogo. Si capisce come l’assenza di interdipendenza spaziale del Mu sia anche temporale: ogni parte, non solo è interconnessa alle altre e può esistere solo interrelazione alle altre nel Tutto, ma anche è interdipendente dalla provvisorietà delle altre parti. Il vuoto si definisce nella dimensione del Ma, dello spazio che si fonde nel tempo, definito poi dall’azione. Il carattere aperto dell’architettura giapponese è definito dalla flessibilità spaziale e temporale degli elementi mobili, gli shogi o i fusama. La progettazione si correla all’azione che si definisce nello spazio e nel tempo, come l’effetto sacrale che comporta l’apparizione del ‘kami’, del sacro. Il vuoto è azione. Il vaso è connesso alla sua utilità, è il risultato dello svuotamento o la premessa di un riempimento. Isozaki afferma: 'Lo spazio non è il vuoto: è spazio racchiuso e le cose racchiuse tutte insieme. Frank Lloyd Wright aveva ragione nel cercare di rompere la scatola che contiene lo spazio e di farlo fluire dall‘interno all‘esterno'. Il vuoto deve scorrere nel tempo. È l’esaltazione dell’istante, dell’attimo, che si ricollega al minimalismo spaziale presente nell’architettura giapponese: infatti nell’istante, come nelle piccole cose, è racchiusa tutta la bellezza. Questa accettazione del tempo, della transitorietà che esso implica, costituisce l’elemento chiave che permette continuamente di rinascere, di rinnovarsi, di svilupparsi e di evolversi, nella consapevolezza del divenire.


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Un'altra parola chiave, il Ma, racconta di un diverso modo di leggere l’architettura e il paesaggio. Il progettare diventa l’arte di creare un particolare 'intervallo' nella forma fisica e, nel suo indissolubile rapporto con il tempo, dove emerge la sacralizzazione dello spazio

Per l’estetica giapponese non basta affermare teoricamente che tutto è Mu, bisogna sperimentarlo nell’esperienza, nella pratica: questa semplicità è l’alone di mistero che assurdamente protegge la bellezza, è la ricerca costante, il divenire, il nascondersi per poi svelarsi. Nella relazione con la mutevolezza della natura e della vita stessa, nella transitorietà, l’edificio diventa leggero e tende a scomparire, cambia e si lascia cambiare. Si intuisce quella necessità dell’architettura di relazionarsi con il tempo in maniera diversa rispetto al nostro 'modus progettandi' di far lasciare il segno dello scorrere dei secoli. Il problema della costruzione è legato sin dal passato alla religione, con una ritualizzazione della ripetizione e dell’imitazione. Allo stesso tempo, da questa, prende spunto per conformarsi alla sua visione del mondo, delle cose, dell’uomo: lo scintoismo trova le risposte nella natura, dalla quale sa rielaborare i ritmi della vita, i ritmi delle stagioni. L’architettura accetta questa sua stessa transitorietà, la realtà del passaggio delle cose e dell’uomo. Questa accettazione è l’elemento che permette continuamente di rinascere, di rinnovarsi, di svilupparsi e di evolversi. È la relazione tra il paesaggio e il costruito, tra i contorni di una figura e il suo sfondo. E' proprio questo rapporto particolare ed intimo con la natura a definire nel vuoto un dinamismo continuo che rende lo stesso spazio vitale.

Nell’ ‘intervallo’ del costruito, si definisce il rapporto anche temporale fra le parti e la loro stessa impermanenza: l’uso di materiali deperibili come il legno si contrappone concettualmente a quell’architettura di pietra che in Occidente esprime la ricerca dell’eterno e dell’assoluto; gli spazi asimmetrici e irregolari sono in antitesi all’ordine che in Occidente rimanda all’idea di perfezione e quindi ancora di assoluto; il loro essere irrisolti fa sì che attraverso il vuoto stesso si possano mettere in relazione tra loro. In quest’ottica, il caos viene rivalutato come emblema della vitalità in questa sua ‘azione’ si ricerca il dominio della possibilità di relazione del Mu. È questa l’emblematica difficoltà dell’esempio del vaso: in Occidente l’attenzione è sul pieno, sul soggetto; in Oriente sul vuoto, sull’universo in cui vive il soggetto. Il Mu è innanzitutto assenza di possibilità di esistenza separata: lo spazio si configura sul crinale, ove la materialità delle cose sparisce, enon possiede quindi un’esistenza propria. L’ordine occidentale si concentra nella preoccupazione e nel risalto della forma, l’ ‘architettura del muro’; nell’architettura giapponese, per contro, l’ ‘architettura del pavimento’ dà priorità al contenuto. L’attenzione alle parti manifesta in definitiva un’attenzione all’interno. La transitorietà esalta la frammentazione del tempo e dello spazio. Il progetto non è la manifestazione della supremazia del ‘tutto’: elementi decostruiti vengono riorganizzati col nuovo ordine che enfatizza ogni singolo elemento. Passato e presente, tradizione e innovazione, natura e artificio, si sovrappongono e determinano l’estetica di un mondo senza riferimenti, un ‘mondo fluttuante’, aperto al cambiamento.

Il silenzio dell’architettura giapponese si apre alla possibilità, che il cambiamento continuo dei vari scenari di un’architettura semplice arricchisca il costruito istante per istante.


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Una collezione di oggetti che combina le raffinate tecniche di taglio del vetro tipiche del vetro di Boemia con l’antico metodo di produzione delle lastre di vetro che consiste nel tagliare, aprire e appiattire il vetro soffiato in un cilindro. Ecco 'Patchwork', il progetto realizzato da Lasvit per l'exhibition 'Glassworks' nel 2011. 'Abbiamo riscaldato una serie di oggetti già decorati con motivi tradizionali di vetro tagliato, poi li abbiamo incisi fino ad ottenere un foglio aperto e quindi li abbiamo riattaccati tutti insieme per ottenere un unico oggetto più grande. Questo metodo ricorda il processo che si utilizza per cucire insieme le pelli di animali oppure per mettere insieme piccole pezze di stoffa per creare una grande trapunta tipo patchwork'. Per il Salone di Milano 2014, l'installazione COS x Nendo ha rappresentato il connubio creativo che lega indissolubilmente moda e design, realizzando nell’art district di Brera un vero e proprio spettacolo dinamico di metamorfosi legata al colore Diverse camicie della collezione Primavera/Estate del marchio, giocano coi toni del bianco e del nero, e attraversando una serie di cubi di dimensioni diverse, che rappresentano le differenze spaziali riguardanti lo studio del design, assumono ogni volta una sfumatura cromatica differente, a seconda della prospettiva del loro spettatore.

Il gruppo di lavoro che si riunisce sotto il nome Nendo rappresenta dal 2002 un’alternativa colta e raffinata al design autocelebrativo. Nendo nasce nel 2002 come società di design fondata da Oki Sato, architetto nato in Canada nel 1977, laureato alla Waseda University di Tokyo. E' attiva in diversi campi, dall’architettura all’interior design, dal product design alla grafica. Collabora con le più importanti aziende del settore dell’arredo, quali Cappellini, De Padova, Kartell e Foscarini, oltre che con importanti marchi della moda. Con sedi a Tokyo e Milano, Nendo ha ottenuto in pochi anni importanti riconoscimenti internazionali. Nel 2011 Nendo ha ottenuto il Design of the Year Award dalla rivista Wallpaper*.

'Nendo' in giapponese significa 'modellare la ceramica' e il loro lavoro, spaziante in ogni settore del design, è appunto duttile e flessibile come creta. Affrontando con personalità e determinazione le sfide della progettazione contemporanea, l’obiettivo principale dello studio è quello di sorprendere le persone con piccoli gesti, attraverso creazioni che appartengono a mondi diversi. L'attenzione alla tattilità, al gesto risulta quindi di fondamentale importanza, capace di suggestioni nuove e altrettanto ispiranti per i suoi fruitori. Oki Sato, leader creativo, è una personalità essenziale a coronare il connubio sempre più frequentetra Occidente e raffinatezza orientale.


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L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro Quella dell’abitare è un’esperienza troppo profondamente innervata nella natura umana perché si possa modificarla radicalmente nel tempo della storia. Ancorata alle sue invarianti antropologiche e articolata nelle sue variabili sociali e culturali, essa non si sviluppa per strappi improvvisi, ma segue il mutamento secondo un processo innovativo, che può risultare rallentato o accelerato, ma comunque tutto interiore. In certo modo, questo processo ricorda quello più generale dell’evoluzione della specie. Nei termini dell’abitare, questo processo non è però solo interiore all’‘organismo’ domestico. In realtà esso viene egualmente indotto dal reticolo di sollecitazioni provenienti dalla cultura e dalla società: proposte stilistiche, tendenze estetiche, sviluppi formali del design, marketing, pubblicità, modelli televisivi o cinematografici e così via. Il ventesimo secolo ha pensato l’abitare riassumendolo nella figura sociologica dell’abitazione. Il modello della ‘casa’ come diritto sociale, come categoria progettuale, come dato economico, ha finito con il racchiudere questa esperienza naturale in una fitta rete di parametri ordinati secondo la logica del pensiero scientifico (tipologie, schemi funzionali, tassonomie di valori, gerarchie di comportamenti), fino a tradurla in un progetto spaziale e d’arredo ispirato al puro calcolo strutturale, ergonomico, industriale, cui hanno fatto da cornice più sfumate, ma non meno normative, rappresentazioni d’ordine etico e sociale. Perfino il suo risvolto estetico (l’immagine della ‘bella casa’) ha generalmente aderito a questa concezione, fondando il tema dell’abitazione di massa su protocolli formali elaborati alla luce dei medesimi criteri produttivi. La casa è sicuramente stata schiacciata da una realtà di più ampi spostamenti, tempi più ristretti e nuovi modi di comunicare. Il futuro dell’abitare appare quindi ancorato a un tempo della memoria che non resta immobile, che vive il rapido scorrimento della storia, ma si lascia trascinare solo nei suoi caratteri di superficie. Lo stacco rispetto alla cultura del Novecento (quella sociale non meno che progettuale, legate entrambe al concetto di domesticità familiare, alla funzionalità degli spazi, alla logica produttiva dell’abitazione) è registrabile, all’alba del nostro secolo, a partire dalla rinnovata consapevolezza della naturalità dell’esperienza abitativa e dall’esigenza di individuarne le modalità storicamente determinate attraverso il costante esame di una quotidianità sempre più intricata e sofferta. Le variazioni e gli scarti rispetto a una norma socialmente istituita non presuppongono di necessità una involuzione: il rapido mutamento dei rapporti interpersonali, affettivi, parentali che strutturano l’esperienza dell’abitare all’interno di una spazialità intensamente progettata e vissuta non è segno di una drammatica crisi, ma solo l’indice di un diverso equilibrio, che va faticosamente ricomponendosi. Ciò che s’intravede, oltre le nebbie dell’immediata contemporaneità, potrebbe essere la figura di un nuovo umanesimo, nei cui contorni le modalità dell’abitare si stagliano vividamente come antico e sempre rinnovato paradigma etico e progettuale. Ciò che occorre dunque, sullo sfondo del nuovo secolo, è un pensiero globale, nel quale i problemi settoriali possano essere colti nella vertiginosa dinamica della loro attuale trasformazione. In pratica, occorre passare dal funzionale concetto di ‘abitazione’ a quello culturale di ‘abitare’, mettendo quindi al centro dell’analisi la figura dell’‘abitante’, inteso nella sua corporeità, nei suoi modelli di comportamento, nel vivo della sua interazione sociale. È all’abitante, infatti, che spetta il progetto definitivo dell’abitare dal quale prenderà forma, di volta in volta, l’abitazione, cui il progetto creativo può solo fornire gli strumenti di elaborazione, gli ambiti, la strumentazione di base da cui partire per avviarne lo sviluppo.

L'abitare oggi è sotto un dibattito silenzioso: come possiamo reinterpretare il nostro modo di vivere? In che maniera possiamo servirci, o quanto farci influenzare, dai nuovi mezzi a nostra disposizione?


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L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro

Il ruolo del design oggi

Il design è sempre più proiettato verso obiettivi nuovi, che superino le leggi del mercato per ritrovare l' 'umano'

La coscienza del design è oggi costretta a prendere atto di una trasformazione continua degli oggetti, dei prodotti, delle immagini, che cerca in qualche modo di governarne il frenetico divenire, tentando di assecondarlo, di incanalarlo in circoscritte proposte stilistiche o di proiettarlo nel futuro come sfida. La logica della trasformazione viene quindi assunta nella sua qualità dinamica, nella sua costitutiva instabilità. Essa fa perno sui concetti di contaminazione, ibridazione, trasversalità, puntando a inesauribili combinazioni morfologiche rese possibili dalla tecnologia moderna e dai nuovi materiali, ma tenendo soprattutto conto dei nuovi gusti, dell’evoluzione dei modelli di vita, dell’accelerazione del mutamento culturale. Ciò cui si tende è lo slittamento continuo dei significati, il ruolo cangiante assunto dalle cose nella variabilità delle esperienze che la ricerca progettuale contemporanea persegue, facendo leva sulla natura polisemantica degli strumenti del vivere quotidiano. L’esperienza abitativa appare così inserita in quello stato di impermanenza che resta fissato nell’immagine di una casa pronta a seguire, assecondare o addirittura stimolare il mutamento. L'oggetto, utile o inutile, è la misura delle relazioni interpersonali, culturali, prossemiche influente sull'umore e le variazioni socioambientali, in una società in cui tutto si usa, si consuma e spesso si getta. Sembra quasi una contraddizione, data l'accezione comune di 'oggetto' di qualcosa che nasce per essere utilizzato da qualcuno: eppure questo è ai nostri giorni ha assunto connotati così identificativi da farsi non solo rappresentante, ma lui stesso 'soggetto'. E' proprio in questo aspetto intrinseco che l'oggetto diviene 'utile anche se inutile', testimoniando una funzionalità che trova i propri risultati nella più intima sfera del personale e del sociale. Funzionalità dettata soprattutto nell' 'emozionante'.

L'inutilità, nuova categoria teoretica. La funzione di un oggetto non è legata soltanto alle sensazioni di utilità e usabilità, ma anche alle emozioni, per cui un oggetto può risultare utile perchè affettivamente caro, oppure inutile perchè non piu' capace di catturare l'interesse del soggetto percepente cioe' di suscitare reazioni bio-chimiche. C'e' dunque utilità e inutilità. Eppure anche ques'ultima trova la propria ragione di esistere. É sempre un gioco intrigante e coinvolgente quello che lega l'oggetto al soggetto. E' una comunicazione polisensoriale delicata e sottile, tutta poggiante sul soggetto il quale, commisurandosi prossemicamente con l'oggetto, finisce, talvolta anche suo malgrado, col farlo parlare, renderlo pregnante, significante, insomma loquace. Così l'artigiano, more antiquo, ripete la sua fatica nel costruire quotidianamente oggetti utili ed originali. Così il designer, more novo, scopre vecchie funzioni da attribuire alla materia che in tal modo viene ad informarsi con modalità sempre diverse. In questo gioco classico di rimescolamenti degli stili, librato sul borderline tra il reale e il surreale, tra la prassi e il simbolo, tra il fisico e il metafisico, gli aspiranti designer acquistano dimestichezza con i canoni della filosofia di progetto imparando per imitazione, la mimesi e la metessi socratiche, a comprendere la funzione e, con essa, la forma dell'oggetto di cui il life space si arricchisce. La sperimentazione muove i propri passi per un uomo ancor più 'umano'.

Tra i classici dell’esilerante comicità di Buster Keaton, è sicuramente memorabile l’inizio del film ‘Lo spaventapasseri’del 1920: due stanchi lavoratori tornano alla propria casa ad un’unica stanza. Funi, leve e vani a scomparsa permettono l’esecuzione dei servizi più svariati in un minuscolo spazio. Un omaggio alla creatività dell’uomo, dove ogni oggetto della casa svolge più funzioni a seconda dei bisogni del momento.


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I luoghi dell'abitare

'Italy: the new domestic landscape'. Una brillante intuizione Nel 1972 il MOMA di New York organizza una grande mostra di design italiano nella quale il curatore Emilio Ambasz accosta i maestri e la nuova generazione nata dai movimenti di avanguardia. L’evento segna un momento molto importante perché rappresenta un’occasione di promozione internazionale del prodotto industriale italiano e al contempo una riflessione sui nuovi fermenti intellettuali nel campo progettuale che risentivano del clima politico e sociale che l’Italia stava vivendo. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, infatti, l’Italia interpreta il design non solo come momento progettuale finalizzato alla realizzazione di oggetti ma anche come strumento di critica alla società. Il prodotto diventa così uno strumento culturale, di contestazione, di riforma o anche di conformismo. Questo fu un fatto assolutamente nuovo per il pubblico americano, che considerava il design solo sotto il profilo della produzione industriale. Non a caso, questa storica esposizione finalmente diede l'occasione per concretizzare le tante idee in forma di oggetti, ambienti, manifesti utopici sul divenire dell'uomo e sul modo di abitare. Nuovi paesaggi domestici furono delineati a tutto campo, come si fa nelle grandi fiere internazionali, foriere di gusti e tendenze inediti. I linguaggi erano irriverenti, le poetiche distorte, ogni azione misurata rispetto ai possibili effetti. Quelli che sarebbero diventati i grandi nomi del design internazionale, facendone storia, c'erano davvero tutti: da Joe Colombo a Ettore Sottsaa, da Alberto Rosselli a Mario Bellini. Tutti accumunati dalla volontà di esprimere oltre il bagaglio fino a quel momento accumulato, in un particolarissimo spirito di trasgressione alle regole. In particolare saranno le più note abitudini ad essere messe in discussione, a favore di una maggiore praticità dell'esistere, della diffusione di comportamenti nomadi e di materiali sintetici come le plastiche colorate, gli espansi, i laminati. Materiali, questi ultimi, per contribuire a disarticolare il linguaggio, a farsi complici delcambiamento in atto. Sottsass, secondo cui le case ormai non erano altro che 'il cimitero di tombe delle proprie memorie', al MoMA raggruppa le funzioni domestiche (mangiare, dormire, cucinare, lavarsi, lavorare...) in una serie di 'cellule': mobili contenitori multiuso in PVC. Assemblabili secondo una persona catena di montaggio, per essere subito dopo scambiati, riassemblati, isolati. Liberi dai condizionamenti di una sequenzialità di funzioni stipate in ambienti poveri di fantasia, ora queste stesse funzioni diventano funzionali al proprio benessere, al volersi sentire artefici della propria vita, con la possibilità di scegliere di cosa veramente c'è bisogno. Agli stessi principi di praticità e compattezza funzionale sembra ispirata l' 'Unità di arredamento totale' di Colombo: quattro unità di arredamento convenientemente attrezzate, da disporre liberamente nelle aree loro assegnate. Cucina, armadio, camera da letto, bagno. Le combinazioni dipendono dai desideri dell'utente. In particolare, l'unità letto e 'privacy' assolve tutte le funzioni della vita: dormire, mangiare, leggere e ricevere amici. Colombo era affascinato dall'idea di poter dare un senso nuovo alle cose, rendendo il vivere in casa avventura e sogno insieme. Questo singolare designer pilota le atmosfere domestiche verso il futuro, le guarda staccate dal loro ingessato apparire e trasmette a esse la patina di mondi levigati, dove ogni azione è viziata da un meccanismo di pregio, di effetto sorpresa, dal comfort degli spostamenti. Ci si trova perciò su letti che si scappottano come auto di lusso, e in soggiorni che ruotano su se stessi. Si potrebbe dire che per lui la tecnologia fosse come una bella donna da contemplare stando seduti in poltrona, cogliendone sguardi ammiccanti e superiorità dei gesti. Gli oggetti, dopo il bagno di razionalità che li aveva resi celebri alle masse, puntano ora sul coinvolgimento emotivo. L'universo delle funzioni si apre a forme di elaborazione sempre più autonome e d'impatto.

La storia dell'abitazione si svincola nei secoli, nelle differenze dettate da ambienti e culture. In parallelo, l'utilizzo di nuove tecniche e materiali risulta decisivo nella sua definizione

‘Italy: The New Domestic Landscape’, MoMA Archive 'Design contemporaneo — Effetto living: sulla storia recente di un'idea', di Patrizia Mello, Edizioni Mondadori Electra 2008


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L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro

Da in alto a sinistra: 'Cubo', radio TS502 Marco Zanuso e Richard Sapper per Brionvega 'Donna', seduta Gaetano Pesce per C & B Italia 'Selene', seduta Vico Magistretti per Artemide 'Pratone', seduta Gruppo Strum per Gufram ' Kar-a-sutra', concept car Mario Bellini in collaborazione con Cassina, Citroën e Pirelli 'Poker', tavolo Joe Colombo per Zanotta Servizio da tavola salvaspazio Massimo Vignelli per Heller 'Giunone', lampada da terra Vico Magistretti per Artemide 'Sacco', seduta Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro per Zanotta 'Serpentone', seduta componibile Cini Boeri per Artflex 'Joe', seduta Paolo Lomazzi, Donato D'Urbino, Jonathan De Pas per Poltronova 'Sassi', pouf Piero Gilardi per Gufram

'A seconda dello stato di cultura etnica alla quale appartiene chi userà quei mobili, il catalogo di necessità si allarga e si restringe, ma loro, i containers, restano impassibili: sono formalmente disimpegnati dallo stato etnico del possessore. (...) L'idea è che uno che abita in mezzo a quei mobili possa avvicinarli o allontanarli da sè o dai suoi amici o dai suoi parenti quando gli viene voglia di farlo: così che possa manifestare coi mobili stati della sua avventura solitaria o dell'avventura del gruppo perchè gli stati, le necessità, i drammi, le gioie, le malattie, le nascite e le morti si avvicendano anch'esse nello spazio. (...) Certo pare che qualche rapporto tra l'environment e gli eventi ci sia, e se c'è, allora l'idea di questo environment è che pe la sua neutralità e mobilità, per il fatto di essere così amorfo e camaleontico, provochi, di riflesso, una certa maggiore consapevolezza di quello che sta succedendo, e soprattutto una certa maggiore consapevolezza della propria creatività e libertà. Io non desidererei altro che proporre questo pensiero, senza alcuna velleità estetica, o, come si dice, di design.' – Ettore Sottsass


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I luoghi dell'abitare

Mutazioni e contesti Questo breve excursus, fatto di tante voci, di tanti pensieri a riguardo, trova i suoi tanti aspetti nelle generalità della realtà contemporanea. L'individuo oggi combatte ogni giorno la battaglia per il proprio spazio, sia nella fisicità che nell'espressione. Il dilatarsi dello spazio e del tempo, nonchè la loro maniacale gestione, attraverso i tanti canali di comunicazione, hanno impegnato l'uomo in ritmi razionali che vengono così ad interiorizzarsi. Ecco così le nostre case 'scandite' da spazi fissi, da forme ripetibili ed accatastabili come i nostri appartamenti, da bisogni momentaneamente accontentati da soluzioni sempre diverse, eppure sempre uguali. Nel suo distendersi su un universo non misurabile con un unico parametro, l'habitat individuale si interrela con gli habitat degli altri individui o comunità a cosituire la complessità dell'insediamento umano attuale. La rivoluzione informatica dilata in modo accellerato i luoghi individuali, ne moltiplica le componenti e le interazioni. L'attuale rivoluzione tecnologica, speciamente basata sullo sviluppo delle comunicazioni immateriali, tende a disgregare le forme stabilizzate di 'residenza transumante', divisa tra luoghi specializzati ( lavoro, svago, famiglia...), trovando i suoi surrogati nell'informazione e nelle immagini. Si aprono nuove prospettive all'evoluzione culturale della società. Le riflessioni sulle mutazioni dello spazio abitativo rischiano, tuttavia, di attardarsi rispetto alla velocità dei cambiamenti culturali e tecnologici. Nel settore dell'abitazione oggi è palpabile il solco aperto tra ricerca evoluta e le modalità produttive. I fattori e i modelli di produzione assorbono con facilità soltanto i fattori di innovazione che non alterino della casa le disposizioni e le concezioni spaziali, simboliche e funzionali. Così, se da una parte la rivoluzione tecnologico-informatica rivela e accentua una propria capacità invasiva autonoma, che fa a meno dell'espressione di innovative concezioni progettuali organiche, dall'altra le ricerche più organice ed evolute stentano a trovare la strada per dialogare con l'industria delle produzioni. Eppure l'immaginario collettivo coagula le proprie speranze di evoluzione sociale e culturale nella visione della 'casa ideale'. Ogni individuo coltiva il sogno della personale Domus Aurea proiettando in essa, sinteticamente, l'immagine del benessere prossimo. Attraversare il territorio dell'immaginazione e dei desideri che si stende attorno all'idea di casa significa, dunque, entrare in rapporto sintetico con le aspirazioni profonde delle generazioni presenti che esprimono, forse inconsciamente, la percezione che esse hanno dell'attuale 'possibile' o,se si preferisce, del futuro prossimo. La ricerca dunque si appparta, per lo più, nella modellazione di modelli utopici: dalla casa autosufficiente agli 'smart-place', dalla 'casa-placenta' ai progetti su larga scala di social housing. Ipotesi che ipotizzano la liberazione dell'individuo per mezzo del progesso tecnologico, dove nuovi sistemi tendono ad analizzare tramite indicatori biologici, le mutevoli esigenze, anche psicologiche, degli abitanti per tradurle in risposte concrete che modifichino l'ambiente di vita. A contrapporsi, il pensiero che l'uomo debba ritrovare la propria essenza e riappropriarsi del suo spazio dell'abitare. Un'ipotesi radicata nell'evoluzione, più che nella rivoluzione. Le nuove tecnologie sono qui sfruttate in un ruolo 'di cornice', di usi complessi mirati al veicolare le necessità dell'uomo senza limitarlo nella gestualità e nelle logistiche. L'uomo, come tale, trova la dimensione dell'abitare in se stessi, nel determinare con maggiore versatilità i luoghi nel suo abitare. Nasce quindi l'idea di una distensione totale, di uno spazio aperto alle possibilità: è l'utopia del nomadismo, che così consolida l'interiorità dell'abitare, senza rilegarla alla fissicità degli spazi e degli strumenti. Lo spazio del nuovo nomadismo non è nè un territorio geografico, nè quello delle istituzioni o degli stati, ma un luogo invisibile delle conoscenze, dei saperi, delle potenzialità di pensiero dentro cui si dischiudono e mutano le qualità dell'essere, la maniera di fare, ed essere, società. Un luogo che oggi ha ancora paura nel mettere i pilastri del proprio realizzarsi.

I nuovi paesaggi con cui ci confrontiamo, la loro delimitazione, hanno fatto da trampolino per formulare soluzioni alternative, estreme, persino 'senza-casa'

'Enciclopedia delle scienze sociali — Il nomadismo', di Ugo Fabietti, Treccani Editore, 1996


I would be very optimistic if I could be convinced that everyone wanted to leave home, but I’m afraid a lot of people want to go back home. And going back home, I think, is wanting something that you can be sure of , something you can believe, and also something you can keep other people out of. And that’s scary. What I want to believe, is that the stuff we really want is the kind of place you carry with you. Maybe the future is a world where people carry their own homes with them, where they never have to go home. It’s a world of nomads. A world of nomads can be incredibly exciting, but it’s the opposite of home. — Vito Acconci per Vice, ‘The Future of Architecture and Design’ 2012

Una personalità provocante, radicale e d’influenza. Il fare arte di Vito Acconci è un processo coinvolgente per chiunque ne entri a contatto. Artista, architetto, fotografo, Vito Acconci è un importante personaggio nel panorama dell’arte contemporanea fin dagli anni Sessanta. Dal 1988, ha formato l’Acconci Studio, un gruppo di architetti i cui progetti spaziano dalla scultura all’arredamento, dall’arte pubblica all’architettura, continunando a sperimentare e progettare sul principale focus della sua attività: il rapporto tra fisicità e ambiente, uomo e spazio. Il corpo, in particolare, è il sito per la ricerca fisica e psicologica di sè, che vede i propri catalizzatori nello spazio e nel linguaggio. Anche in questa intervista, Acconci esprime la propria visione sul futuro del design e dell’architettura, suggerendo una mission dai tratti utopici: una totale appropriazione e consapevolezza degli spazi da spezzarne la fissità e fare dell’uomo un nomade contemporaneo.


da in alto a sinistra: Patricia Urquiola, Stool Raw Edges, Concertina light shade Fratelli Campana, Maracatu, Patricia Urquiola, Swing chair

In occasione del Salone del Mobile 2013, Louis Vuitton non si è tirata indietro nel coinvolgere numerose importanti personalità del design internazionale in una tematica che ormai sembra sempre meno utopica: il nomadismo. Le idee si contaminano, i linguaggi si mischiano, i luoghi si moltiplicano. I nuovi designer sono sapienti migranti. Objets Nomades si compone di 16 oggetti, un insieme di edizioni limitate, pezzi unici e prototipi sperimentali, tutti realizzati con l'iconico cuoio Nomade della Maison. Da un'amaca ad uno sgabello interamente ripiegabile in pelle, da una scrivania da viaggio al cabinet de voyage

Una collezione unica che si espressione di una società sempre più cosmopolita, dai larghi spostamenti, in cui la casa vacilla. Un modo alternativo di pensare al nostro vivere che, dalle teorie di New Babylon di Costant, vogliono plasmare 'utopie concrete', vede l'uomo vagare e ritrovarsi nello spazio, ora fornito dei giusti strumenti. Il nomadismo è qualcosa che ha a che fare con la condivisione e il moto, che determina le condizioni del viaggiatore. Del nuovo abitante allargato.

Fernando & Humberto Campana parlando di Maracatu, un armadio da viaggio trasportabile e pieghevole, realizzato in soli dodici esemplari, hanno spiegato: 'abbiamo pensato ad un baobab che regnava incontrastato nel deserto della Namibia. Abbiamo immaginato che l'oggetto, ancora indefinito, dovesse essere un frutto sui rami di questo albero, solitario nel deserto. E poi è venuta l'idea di Maracatu, la musica, la danza, gli indumenti dai colori vibranti, il frutto è diventato questo cabinet trasporatabile.' Mentre Patricia Urquiola, racconta così la sua Swing Chair: 'mi sono ispirata dalle borse in rete, dalla capienza espandibile che si adatta al proprio contenuto. I due grandi anelli in metallo rivestiti in pelle ricordano dei manici e, quando è appesa, il tessuto intrecciato sembra una gigantesca rete che rimane aperta invitando ad accomodarcisi dentro'.

„ Siamo i simboli viventi di un mondo senza frontiere, di un mondo libero, senza armi, nel quale chiunque può viaggiare senza limitazioni, dalle steppe dell'Asia centrale alle coste atlantiche, dalle alte pianure dell'Africa del Sud alle foreste finlandesi. “ – Vaida Voivod III, Presidente della Comunità Mondiale dei Gitani.


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Proviamo ad individuare i punti salienti che fanno dell'abitare un sentire così unico e particolarizzato

L'abitare oggi: prospettive di un vicino futuro

Quindi, in conclusione, cosa rimane delle nostre case? Dovendo riassumere il nostro modo di abitare oggi, in che termini racchiuderemo i bisogni, le costanti che ne fanno da sempre il 'bisogno dei bisogni'? Nonostante le varianti di pensiero, esso ha di sè un profilo sfumato che però non ci impedisce di dare una personale definizione sul tema. In uno dei momenti di maggior crisi storica, sia nell'aspetto economico che sociale, affrontare l' 'abitare', delineandolo e fornendo prospettive alternative, è quantomai necessario e doveroso. Un piccolo attimo di riflessione per ognuno di noi per determinare quali sono le 'reazioni chimiche' con cosa ci circonda, con cosa dovrebbe raccontarci e ricordarci. Ho tenuto finora questo pensiero per me: una valutazione sugli spazi che provano, e non riescono, a 'far casa'; l'opinione che anche nel piccolo, estremamente piccolo, troveremo i principi per sentirci nel luogo giusto. E' proprio con uno sguardo sempre più minuzioso che possiamo raccogliere i pilastri del nostro abitare, senza cui i nostri luoghi cari non troverebbero il senso che racchiudono. Cinque termini capaci di sintetizzare la nostra esperienza abitativa, a prescindere dalle strutture e dalle realtà di ognuno, nella piena consapevolezza dell'importanza assoluta che essa incarna. Cinque parole-chiave in grado di guidare allo sviluppo di un progetto ambizioso che, nel suo piccolo, vuole essere omaggio e riassunto del 'sentirsi a casa'.

Identità

Comfort

L'abitare è un processo identificativo e come tale, deve permettere all'abitatore di trovare una dimensione propria. La libertà di gestione dello spazio è qui fondamentale, così da poter dare i presupposti di un'estensione stessa del corpo del soggetto. L'abitare si conferma così come un'idea che possiamo portare con noi.

La casa è in primis un luogo di benessere e di protezione. Un rifugio sicuro in cui potersi godere i propri momenti di relax, in tutte le varianti in cui questo si esplica. Anche queste sono funzioni fondamentali che non possiamo assolutamente scindere dall 'idea di casa.

Versatilità

Convivialità

La casa è sinonimo dei nostri bisogni e, in quanto ciò, tende ad organizzarsi per adempire al meglio ai compiti per cui si definisce. Bisogna così sintetizzare la possibilità di fornire strumenti differenti in un unico sistema funzionale. Tramite soluzioni salva-spazio e funzionalità ben disposte e sincronizzate, è possibile un'ottimizzazione degli spazi, la gestione di ciò che ci circonda, nella piccola e grande scala.

L'abitare abbraccia la sfera personale, quanto quella del sociale. Nei due diversi poli, il soggetto deve trovare la giusta dimensione in cui vivere al meglio sia la propria singolarità, nei termini del pensiero, dellavoro, dello svago, sia lo star con gli altri: il sistema deve sapersi estendere, adattare per poter accogliere al proprio interno i suoi ospiti.

Amore L'abitare è una necessità fondamentale che vede il suo piacere non solo nell'esplicare la somma dei quattro fattori appena citati: esso si costituisce di una percezione emotiva, una carica intrinseca che crea i luoghi dove ci piace stare, dove vorremmo sempre essere. Un fattore sicuramente difficile da commisurare, di forte impronta soggetteva, ma non per questo di secondo piano. La casa, sempre intesa nel significato 'courbisiano' del termine, non può essere tale se non in grado di essere il nido, il luogo di conforto e di pace in cui confidiamo senza alcuna incertezza. Seppur trova le radici del suo essere tale nella casistica di ognuno, emozionarsi è un processo che può trovare facili interruttori. Nella calorosità, nella tenerezza, nel piacere del luogo, covano le nostre memorie, le nostre percezioni a cui il design presta sempre maggiori attenzioni. Parametri nuovi definisco le relazioni con le strutture che ci circondano, dalle case agli oggetti, e, con uno po' di cura, non è difficile capirne le logiche.



Capitolo II:

Emotional Design

/ 58 — 81 Donald Norman: studioso dell'emozione / Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere'


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Emotional Design

Ci siamo lasciati nel seguente capitolo con un'intenzione: esplorare le logiche dell'emozione rispetto a ciò che ci circonda. Pensare all'emozione oggi non è affatto facile, in quanto assolutamente frastagliata negli innumerevoli mezzi di comunicazione, e comunicativi, di cui ci serviamo ogni giorno. Questa si fa spazio, inoltre, tra opinioni diverse, non del tutto chiare: c'è chi la vede come un'esclusiva dei rapporti interpersonali, chi le dà la lunghezza di un breve attimo. Bisogna far chiarezza: l'emozione è uno stato che ci coinvolge a 360 gradi. Non si tratta solo di uno stato psicologico, ma anche fisiologico nel momento stesso in cui coglie i propri presupposti dall'esterno tramite i nostri sensi. Parlare di emozione può suonare 'romantico', astratto...Eppure costituisce la singola quotidianità più di quanto ci si aspetti. Il marketing, in primis, non poteva farsi scappare la simile possibilità di un successo (quasi) assicurato. Allo stesso modo, il design non poteva tirarsi indietro nel trovare nuovi canali di comunicazione coi suoi utenti. 'Emotional design' è una definizione coniata da Donald Norman nel suo omonimo libro dove spiega come le emozioni influiscano profondamente nel nostro modo di conoscere e affrontare la realtà. Una nuova terminologia cha è stata subito accolta con entusiasmo: non possiamo più permetterci di sovrassedere sulle percezioni, e sulle emozioni che determinano. Oggi il design fisico, ma anche digitale, deve necessariamente fare i conti con questo aspetto che influisce con il successo di un prodotto, a prescindere dalla sua usabilità o dalla sua utilità. La progettazione orientata all' user-experience ha un approccio mirato proprio a tali temi. Le relazioni fra ergonomia e design vengono riformulate: entrambi debbono guardare all’utente, destinatario del processo di progettazione. È l’utente il solo esperto di sé, del suo modo di vivere e di lavorare. La psicologia può offrire degli strumenti che lo possono aiutare nell’esprimere, comunicare questa expertise, che è in gran parte tacita, e quindi muta: si può mostrare ma non dire. Gli individui sono tutti differenti, progettare per l’utente significa progettare quindi per la personalizzazione. E' la fine della progettazione del prodotto massa, che ha come obiettivo la soddisfazione dei bisogni basici e comuni. La progettazione punta a dare forma ai desideri. E nulla è più personale, individuale dei desideri. Gli individui però sono differenti non solo gli uni dagli altri, ma esibiscono anche comportamenti diversi in contesti diversi. Solo un’analisi del comportamento che adottano nelle diverse attività può permettere di cogliere cambiamenti e specificità legate ai vari contesti e alle varie attività. Proprio per dar conto delle variazioni del comportamento umano in contesti diversi vengono coinvolte l’antropologia e le metodologie della raffinata osservazione etnometodologica. Solo l’analisi multidisciplinare consente di progettare gli strumenti adatti nei diversi contesti.

Costruire nuove soluzioni e nuovi strumenti per migliorare la nostra vita sfruttando i risultati raggiunti dalla psicologia e dalle altre scienze sull'uomo è di certo un'occasione imperdibile

L'emotional design è una nuova filosofia che ha fatto molto parlare di sè negli ultimi anni. Alle sue basi, una visione innovativa capace di creare nuovi canali di comunicazione con gli oggetti che ci circondano

E' l’evoluzione naturale di un percorso di ricerca che si apre al design di una tecnologia 'addomesticata', quotidiana che arricchisce le esperienze di vita, quindi per la personalizzazione. Ecco definirsi anche la definizione di 'user-experience': le percezioni e le reazioni di un utente che derivano dall’uso o dalla previsione d’uso di un prodotto, sistema o servizio. Non possiamo più permetterci di tralasciare l'importanza degli aspetti dell'esperienza (le sensazioni, le percezioni, le valutazioni, le emozioni). Al pari passo di medicina e psicologia, il design si appresta ad approfondire l'uomo, con uno sguardo attento e radicato nelle gestualità e nelle scelte. Un lavoro accurato per definire e costruire sapientemente gli strumenti del benessere del nostro prossimo futuro.


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Donald Norman: lo studioso dell'emozione

Donald Norman: lo studioso dell’emozione

L'impatto emotivo con cui veniamo a contatto con gli oggetti non è un fattore trascurabile: Donald Norman ha dedicato molto della sua carriera ad approfondire come funzionano queste dinamiche e come possiamo utilizzarle ai fini del benessere

Donald A. Norman è una figura molto controbattuta nel mondo del design. Dagli più accaniti sostenitori, al largo numero di scettici, la sua carriera lo ha reso un vero guru sul piano del design cognitivo. Ha scritto molto: pubblicazioni strettamente scientifiche su riviste specializzate, per pochi esperti; articoli di più larga diffusione, per gruppi professionali estesi; e anche interventi sui mezzi di comunicazione di massa. Eppure, sono sicuramente due i suoi più grandi successi: il libro/manuale 'La caffettiera del masochista', in cui propone una tagliente critica al design contemporaneo, ed 'Emotional Design: perché amiamo (o odiamo) gli oggetti di tutti i giorni', vero caposaldo della sua produzione, che rappresenta lo sviluppo della sua linea di pensiero, di un percorso di ricerca e di esperienze. 'Nella creazione di un oggetto, il designer deve prendere in considerazione materiali, metodi di realizzazione, costi, praticità, facilità d'uso e di comprensione… Ma molti non riconoscono che esiste anche una forte componente emotiva nel modo in cui i prodotti vengono progettati e utilizzati. In questo libro, sostengo che il lato emotivo del design può rivelarsi più critico, nel determinare il successo di un prodotto, degli elementi pratici.' In 'Emotional Design', Donald Norman affronta un tema, apparentemente, del tutto nuovo per lui: le emozioni e la progettazione per l'emozione di forme, oggetti, e interazioni con gli oggetti e, attraverso gli oggetti, di interazioni fra persone. Si pone il problema dello scopo emotivo e sociale per cui agiamo, mostrando che un'azione diviene comprensibile, se si guarda alle emozioni che vogliamo provare, o a quelle che desideriamo evitare, al risultato sociale che cerchiamo di ottenere. Questo tema era implicito, marginale, se non ignorato, nei lavori precedenti, in cui l'accento era messo sulla necessità di progettare in funzione dei limiti e delle caratteristiche cognitive dell'uomo. Nella sua battaglia per una progettazione 'a misura d'uomo', sembrava opporre, all'uomo astratto di molto design, un uomo concreto a metà, solo cognitivo. Ben poco spazio era lasciato al gusto, al desiderio del bello e del piacere, al dolore, all'odio e all'amore, allo svago e al puro ozio. C'era come l'ansia della prestazione, del risultato da ottenere il più velocemente possibile e senza errori. Il lavoro di Norman è stato caratterizzato dall'attività prevalente di psicologo sperimentale fino alla fine degli anni Settanta. Poi, l'attività in laboratorio è andata progressivamente diminuendo, seppur mai esaurita. Anzi è ripresa negli ultimi anni nella collaborazione con Andrew Ortony, proprio nello studio delle emozioni. Questo periodo però ha contribuito a definire delle costanti nel suo atteggiamento culturale e scientifico non riconducibili alla sola rigorosità metodologica, ma relative all'impostazione teorica di fondo: l'assunzione del punto di vista cognitivista e il riferimento all'uomo come elaboratore d'informazione.

Carriera importante e percorso professionalmente ricco quella di Norman, professore emerito del MIT di Boston. Vice presidente del gruppo di ricerca sulle tecnologie avanzate di Apple Computer, dirigente dirigente alla Hewlett Packard, è un'autorità riconosciuta a livello internazionale nell'attività di studio e di progetto sulle interfacce umane. Norman ha avuto una carriera lunga ed eminente. Donald Norman ha rivoluzionato il modo in cui intere generazioni di designer hanno interpretato il mondo. Con il suo contributo molti degli oggetti quotidiani sono diventati più usabili, non da ultimo il computer Mac. Lo studioso, famoso per le sue ricerche sulla memoria e poi sull’ergonomia, il design e il processo cognitivo, e ancora l’emotional design, l’usabilità e il funzionalismo, sostiene: 'il segreto del design? L'uomo'.


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Emotional Design

Norman è riuscito a dare fondamento scientifico alle sue teorie, dimostrando come la percezione avvenga secondo processi ben definiti

Questa impostazione parte dall'osservazione che l'uomo elabora informazione, ma entro limiti definiti, è flessibile, ma di nuovo entro limiti, nei processi di elaborazione, nei meccanismi percettivi, nei processi di memorizzazione, di ricordo e riconoscimento, di apprendimento. I limiti nella capacità e nella flessibilità di elaborazione sono rimasti solidi punti di riferimento nell'impostazione di Norman. Proprio il retroterra scientifico in questi studi e di questa impostazione gli consentono, in Emotional Design, di spiegare gli effetti dirompenti della connettività continua e globale sui legami sociali e sulla comprensione e contestualizzazione storica e politica.

La connettività si può anche configurare, e, di fatto, così avviene, come interruzione continua e non pianificata della comunicazione e dei rapporti sociali: si pensi alle telefonate sul cellulare durante le conversazioni. L'interruzione continua, spiega la psicologia cognitiva, è garanzia di superficialità nelle relazioni sociali, impedisce la costruzione di rapporti profondi. Siamo in contatto con tante persone, ma con tutte superficialmente. L'interruzione poi impedisce la riflessione e questo conduce inesorabilmente a una debole comprensione dei fenomeni che regolano la società.

Human-centered design Se gli individui sono liberi, sono anche diversi. Certo, avranno un patrimonio cognitivo comune, fatto di processi, meccanismi, funzioni e strutture cognitive, ma questi sono parzialmente flessibili e inoltre i loro prodotti sono diversi, perché si applicano a informazioni e a mondi differenti e con scopi individuali. Uno stesso processo cognitivo, per esempio, di memorizzazione, produrrà ovviamente ricordi diversi in funzione dell'informazione su cui si applica. Non solo, poiché l'informazione non esiste in astratto, tanto meno quella che elaboriamo in un dato momento, il prodotto dei processi cognitivi è sempre legato al contesto in cui sono stati applicati. Un processo di progettazione di un oggetto basato sulle comunanze non è mai realistico. Il design deve confrontarsi con la soggettività dell'esperienza e del modo di fare esperienza degli individui. È questa la base teorica dello 'human-centered design', che rileva la diversità delle esperienze individuali, nonostante il comune patrimonio di processi cognitivi e la necessità di recuperare la soggettività, componente non prevedibile e non modellizzabile, pena la perdita di realismo. In questo passaggio la psicologia rinuncia alla pretesa di dare le regole generali del comportamento umano, di proporre norme al design. È il passaggio dall'ergonomia della norma, che vale per tutti, all'ergonomia delle linee-guida, che insistono sulla metodologia di progettazione flessibile e attenta a contesti. Lo human-centered design può essere riassunto come l'approccio dove bisogni, capacità e comportamenti coprono un posto di priorità per la creazione di nuove accomodazioni. Sebbene l'uomo abbia progettato i suoi artefatti fin dalla presistoria, i tanti oggetti che ci circondano non badano solo a parametri quali produzione ed ergonomia, ma trovano la loro definizione nella considerazione dell'intera esperienza: piacere d'uso, estetica della forma e qualità dell'interazione sono di certo i maggiori poli d'osservazione. Tali aspetti trovano filtro, sebbene siano difficili da scindere nella loro organicità, nelle principali aree del design: industrial, interactive ed experience design. Tutte queste settorialità conformi al 'buon design' vedono i loro primi passi nella comprensione di psicologie e tecnologie, concretizzate da differenti sistemi di comunicazione quanto più necessari in situazioni di difficoltà o scorretto funzionamento.

La concretazione sull'uomo e sulle sue esigenze trova nuove specifiche con lo human-centered design. Psicologia e design si uniscono per dar forma a soluzioni innovative e inaspettate

'La caffettiera del masochista', di Donald A. Normani, Giunti Editore, 2014


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Donald Norman: lo studioso dell'emozione

Industrial design

Interaction design

Experience design

Servizio professionale per creare e sviluppare concept e specifiche che ottimizzino la funzione, il valore, l'apparenza di prodotti e sistemi per il mutuo beneficio di utente e produttore Il focus si concentra su come gli utenti interagiscono con la tecnologia. L'obiettivo è enfatizzare la loro comprensione di cosa sia possibile fare, cosa stia succedendo, e di cosa ha intenzione d'avvenire. L'interaction design si disegna intorno ai principi di psicologia, design, art ed emozione per fornire un'esperienza positiva, di godimento. La pratica di disegnare prodotti, processi, servizi, eventi ed ambienti la cui priorità è focalizzata sulla qualità e sull' 'enjoyment' dell'esperienza totale.

Il ruolo del HCD e le specializzazioni del design Industrial design Interaction design

Aree di focus

Experience design Human-centered design

Processo che garantisce che il design si combini al meglio con le necessità e le capacità degli utenti per i quali è stato inteso

In questo senso, lo HCD non rappresenta una quarta settorialità: questo è, anzi, una filosofia che si attua attraverso specifici processi di osservazione e comprensione tali da specificare i veri bisogni primari che ogni progetto intende soddisfare. La sua applicazione prevede un differente sistema di specificazione dei problemi invece che considerare ripetitività approssimative.

Tre livelli La teoria dei tre livelli è sicuramente la più conosciuta, sotto la firma di Norman, secondo cui le nostre percezioni sono guidate e filtrati in 'strati' mentali capaci di determinare l'approccio con ciò che ci circonda

Secondo il docente americano il lato emotivo di un oggetto ha sulle persone più rilevanza di quello funzionale. Questa sua teoria trova dimostrazione nella scienza: gli oggetti piacevoli svolgono meglio la loro funzione. Sembra banale, ma non lo è così tanto, visto che molti designer si ostinano a non considerare la cosa. E' provato che dagli psicologi che lo stato di contentezza nell'uomo espande i processi intellettivi e facilità il pensiero creativo; per cui questi risultati suggeriscono l'importanza del fattore estetico e funzionale nel design di un prodotto: gli oggetti piacevoli, sia nell'aspetto che nell'utilizzo, rendono contente le persone, le quali a loro volta tendono a pensare in maniera più creativa. Ma come influisce il sistema affettivo nella nostra quotidianità? Gli esseri umani sono i più complicati fra tutti gli animali con strutture cerebrali complesse, tali da permettersi di creare, agire e adempiere a dei compiti, ma anche di avere l'arte, il linguaggio, l'umorismo e la musica. Tutti questi attributi tipicamente umani, secondo gli studi che Norman ha effettuato insieme ad altri professori del Dipartimento di Psicologia della Northwestern University, derivano da tre diversi livelli del cervello: un livello viscerale, uno comportamentale, uno riflessivo.


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Emotional Design Celebre è l'esempio con cui Norman ci introduce alla sua teoria dei tre livelli: ' Possiedo una collezione di teiere. Una, inventata dall'artista francese Jacques Carelman, è del tutto inutilizzabile - il manico si trova nello stesso lato del becco. La seconda si chiama Nanna, e la sua conformazione tozza e paffuta risulta sorprendentemente attraente. La terza è una teiera inclinata, complicata ma pratica, prodotta dall'azienda Ronnefeldt. Quali di queste tre teiere uso abitualmente? Nessuna. Eppure ogni mattina prendo il tè. Di buon'ora, l'efficienza è la prima cosa. Perchè sono così attaccato alle mie teiere? Perchè le tengo in bella vista, nel vano della finestra? Apprezzo le mie teier non solo per la loro funzione, ma perchè sono opere d'arte. Amo stare alla finestra, confrontarne le forme contrastanti e osservare i giochi di luce sulle loro superfici. Quando intrattengo gli ospiti o ho del tempo libero, preparo il tè nella teiera Nanna, perchè mi affascina, o nella teiera inclinata, per la sua efficienza. La scelta dipende dall'occasione, dal contesto e soprattutto dal mio stato d'animo. La storia delle teiere illustra le diverse componenti del design nel prodotto: L'usabilità (o la sua assenza), l'estetica e la praticità'.

Il primo rappresenta lo strato automatico, precablato, veloce, da cui inizia il processo di affezione; il secondo è la parte che controlla i comportamenti quotidiani; infine il livello riflessivo, la parte contemplativa del cervello, che ricopre funzioni di controllo e di riflessione generale e cerca di influenzare, inibendo o acutizzando, i processi del livello comportamentale, il livello riflessivo. Ciascun livello gioca un ruola diverso nella funzionalità complessiva della persona. Proprio a causa di questa molteplicità dei livelli, che porta ad una vastissima gamma di emozioni, stati d'animo, tratti caratteriali e personalità, per il designer riuscire a progettare qualcosa di piacevole per chiunque è praticamente impossibile, poichè ciò che piace a qualcuno ad altri può non piacere. Questa enorme differenza non sta certo nel livello comportamentale, dove siamo praticamente tutti identici, ma nei livelli comportamentale e riflessivo, poichè sono sensibili alle esperienze e all'educazione, quindi anche alla cultura, della sfera personale.

Viscerale – input sensoriale, apparenza Conta l’aspetto esteriore e dove si formano le prime impressioni; il design viscerale riguarda il primo impatto con un prodotto, l’apparenza, il tatto, le sensazioni che produce. Lo voglio. Cosa fa? Quanto costa?

Comportamentale – piacere ed efficacia d'uso Riguarda l’utilizzo, l’esperienza che si ha di un prodotto. Esperienza va qui intesa come una somma di tre caratteristiche: la funzione, quali attività svolge, cosa si intende che faccia; la prestazione, quanto bene il prodotto esegua le funzioni previste; e l’usabilità, quanto facilmente l’utente capisce il funzionamento del prodotto e lo fa operare nel modo migliore.

Riflessivo – significato, immagine di sé, soddisfazione, ricordi Risiedono la coscienza e i gradi più elevati dei sentimenti, delle emozioni e del raziocinio: interpretazione, comprensione e ragionamento. È in assoluto il livello più vulnerabile all’impatto della cultura, dell’esperienza, dell’educazione e delle differenze individuali.


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I tre livelli trovano risultato delle loro diverse combinazioni in personalità capaci di effetti totalmente differenti ed inaspettati. Livello viscerale, comportamentale e riflessivo sono delle guide fondamentali a cui il designer deve prestare attenzione per la coerenza dei suoi prodotti

Donald Norman: lo studioso dell'emozione

Le modalità con cui i tre livelli interagiscono tra loro sono complesse, corrispondenti a caratteristiche diverse di un prodotto. Semplificazioni difficili da applicare e sopratutto da individuare. Sorgono spontanee alcune domande: alcuni prodotti devono esercitare un'attrazione soprattutto viscerale, altri comportamentali e altri riflessiva? Come controbilanciare i requisiti di un livello con un altro? Come paragonare tra loro l'importanza di ciascuno dei tre livelli? Valutando la concretezza di questa teoria, osserviamo quanto i prodotti possono essere contraddistinti da una propria personalità che, riassumendo, può essere considerata la riflessione delle molteplici decisioni relative all’aspetto, al comportamento e al posizionamento nel marketing e nella pubblicità. E' nel formulare questa personalità che tutti e tre i livelli del design giocano un ruolo fondamentale, anche in misure diverse, mostrandosi coerente al relativo segmento di mercato in cui intende collocarsi. La sua personalità è dettata più da ragioni pratiche, essenziali, in quanto esso deve garantire un bene o un’utilità durevole nel tempo: in questi casi è il compito da eseguire a dettare il design. Il prodotto deve riuscire ad adempire ai compiti per cui è stato pensato senza difficoltà. Adeguando il design alla funzione prevista, il prodotto funzionerà meglio e risulterà più efficace per una vasta gamma di utenti e di impieghi.: questa prima necessità di cercare prodotti funzionali rientra nel livello comportamentale. Quando un prodotto non è soggetto, o lo è gran poco, ai cambiamenti stilistici e di gusto (moda), esso non troverà un grande spazio per quanto riguarda il design riflessivo. Per i prodotti il cui obiettivo è l’intrattenimento, lo stile o il miglioramento dell’immagine entra in gioco la moda, ed assume un aspetto fondamentale la soddisfazione del livello riflessivo. Questo per sottolineare come ciascun livello giochi un ruolo fondamentale nel comportamento umano e svolga un ruolo, altrimenti critico nel design, di mediatore nel marketing e nell’uso di un prodotto. Analizziamo ora ogni livello nelle sue peculiarità, cogliendone le tante dinamiche di filtro su cui ogni giorno costruiamo scelte e impressioni.

Sensoriale

Motorio

RIFLESSIVO

COMPORTAMENTALE

VISCERALE

Sebbene il livello viscerale sia la parte più semplice e primitiva, il cervello è sensibile a una vasta gamma di condizioni. Questi sono geneticamente determinate alle condizioni in evoluzione. Il livello viscerale è veloce : fa rapidi giudizi di ciò che è buono o cattivo, sicuro o pericoloso, e invia segnali appropriati ai muscoli ( il sistema motorio ) avvisando il resto del cervello. Le sue azioni possono essere migliorate o inibite dallo strato riflettente e, a sua volta, può aumentare o inibire lo strato viscerale. Lo stato più alto, superato il comportamentale, è quella del pensiero riflettente. Si noti che questo non ha accesso diretto nè agli stimoli sensoriali nè al controllo del comportamento motorio. Questo, infatti, veglia e cerca di polarizzare il livello comportamentale accordandolo all'ambiente secondo ripetuti processi di controlo.


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Emotional Design

Secondo Norman il design viscerale è quello naturale: parla di come le cose appaiono, dell’impatto che hanno sui nostri sensi. Questo rappresenta un primo filtro, capace di dare, a livello quasi istantaneo, valutazioni su ciò che ci circonda per la nostra salvaguardia. A livello viscerale dominano le caratteristiche fisiche come aspetto, sensazioni e suono; dato che questo design riguarda le reazioni iniziali, lo si può studiare molto semplicemente mettendo le persone di fronte ad un oggetto e osservandone le reazioni. Il designer viscerale ricerca la reazione del 'lo voglio' ancora prima che il cliente sappia a cosa serve l’oggetto in vendita. In questo ambito contano l’aspetto e la forma, la sensazioni fisica e la struttura dei materiali, il peso: si basa completamente sull’impatto emozionale immediato, su quello che in gergo chiameremmo 'apparenza'. Si tratta di una componente molto potente che non va sottovalutata, e che condividiamo con la maggior parte degli animali. Una sorta di divisione di 'buono' e 'cattivo' attraverso cui adattiamo il nostro approccio. Da un lato, questo sarebbe sembra essere il livello più facile a cui fare appello al dato che le sue risposte sono biologiche e simile per tutti in tutto il mondo. Questo non significa necessariamente tradursi direttamente in preferenze standardizzate, vista la sottile linea che spesso intercorre nella percezione dei contrasti. Sebbene possediamo la stessa corporeità, le nostre capacità e tendenze mentali si differenziano notevolmente da individuo ad individuo. I teorici della personalità amano dividerci lungo dimensioni quali estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, e l’apertura. Per i progettisti, questo significa ancora una volta arrendersi alla convinzione che nessun singolo progetto saprà soddisfare tutti.

Il celeberrimo bollitore con l’uccellino che fischia quando l’acqua ha raggiunto il bollore, un grande successo a partire dal 1985, rappresenta per Alessi il punto di incontro tra il grande design e i metodi di produzione su vasta scala, incontro ricercato con ostinazione da Michael Graves, applicando il suo personale codice visuale che fonde influssi dall’Art Deco alla Pop Art fino al linguaggio dei cartoons. Nonostante ia sua poca efficienza (è facile bruciarsi nel versare il tè), rimane uno degli oggetti più amati e desiderati nella storia del design.

Il livello viscerale costituisce una sorta di filtro naturale a cui dobbiamo le nostre prime impressioni. Il suo scopo è suggerire valutazione istantanee al fine della sopravvivenza

‘Emotional design. Perchè amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana’, di Donald A. Norman, Apogeo Editore, 2004

A questo, si aggiunge un'ambiguità di percezioni tali da assottigliare gli enormi contrasti delle nostre percezioni più istantanee. Vi sono grandi differenze individuali nel grado di un risposta viscerale: così, mentre alcune persone amano i dolci e soprattutto cioccolato, ad alcuni non attirano; quasi a tutti non piace inizialmente il gusto amaro e aspro, ma si può imparare ad apprezzarlo fino a farne un componente fisso dei pasti (caffè, tè, peperoncino, ecc). Semplici esempi di tutti i giorni che ci ricordano le nette differenze tra individuo, pur provenienti dalla stessa collettività. Anche se il sistema viscerale si è evoluto per proteggere il corpo dal pericolo, attraverso segnali immediati dati dalla lettura dell'ambiente circostante, molte delle nostre più popolari e ricercate esperienze coinvolgono orrore e pericolo: romanzi e film horror, gite nei parchi giochi che propongono attrazioni pieni di adrenalina, ecc. Il piacere del rischio e percezione del pericolo varia notevolmente tra le persone. I principi alla base del design viscerale sono predeterminati, coerenti tra le varie popolazioni e culture: operando in accordo con tali regole, si avrà un design sempre attraente anche se semplice.


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Il livello comportamentale si concentra sul valore della funzione dell'oggetto. Questa è da intendere anche in termini di usabilità, piacere d'uso e comprensibilità

Donald Norman: lo studioso dell'emozione

Il design comportamentale invece si riferisce esclusivamente alla dimensione funzionale. L’apparenza non ha alcuna importanza: è la performance che conta. È l’aspetto che maggiormente coinvolge quattro aspetti fondamentali: funzione, comprensibilità, usabilità e sensazione fisica durante l'uso. Normalmente è proprio quest'ultima a rappresentare la principale base logica di un prodotto, intorno a cui è sviluppato e proposto sul mercato. Alcuni oggetti ben progettati falliscono l’obiettivo di adempiere al proprio scopo e così meritano l’insuccesso: la prima vera prova comportamentale che un prodotto deve superare è quella di riuscire ad assolvere gli scopi per cui è stato costruito. Questo livello di design da particolare importanza a come i clienti usano il prodotto, ed in base a questo e alle funzioni che essi si aspettano, adattano il loro progetto. E considerato anche 'insuccesso' qualora spetti all'utente adattarsi al prodotto affinchè funzioni correttamente. L’unico modo per testare se esso è ben fatto è metterlo alla prova realizzando prototipi per poi osservare la gente che cerca di usarli: se il design rende evidenti le operazioni da svolgere. Una componente molto importante è quella dei riscontri operativi (feedback): un apparecchio deve fornire continuamente tali riscontri in modo che l’utente sappia che sta funzionando e che ogni input sia stato effettivamente ricevuto. Le emozioni negative nascono quando c’è mancanza di comprensione, quando ci si sente frustrati e privi di controllo. L’utilizzo è la prova cruciale di un prodotto, qui deve reggersi 'in piedi da solo', senza il sostegno del materiale pubblicitario o commerciale. L’usabilità è un aspetto cruciale in questo ambito in quanto si prevede che imparare ad utilizzare un oggetto non debba prevedere lunghi periodi di training e tentativi: un oggetto usabile è 'intuitivamente facile da usare' e non prevede periodi di apprendimento, se non quelli di base, il minimo indispensabile. Un prodotto può fare quello che gli si chiede ed essere comprensibile, ma può comunque non essere usabile. Un buon designer si preoccupa parecchio della sensazione fisica dei prodotti: il tatto e la sensazione fisica possono fare una differenza enorme nell’apprezzamento delle sue creazioni. Una grossa area del cervello è dedicata ai sistemi sensoriali, e per questo la sensazione che un oggetto ci da influenza in maniera radicale il nostro giudizio su di esso.

Le esigenze delle persone non sono così ovvie come possono sembrare, e spesso i progettisti si concentrano su quello che per loro, per la loro esperienza, il prodotto dovrebbe poter fare: in questo senso questionari e test si rivelano inutili, discostandosi dalla realtà del pubblico di riferimento. E' piuttosto importante l’osservazione dell’utente nella situazione reale. Esistono due tipi di sviluppo: il perfezionamento di un prodotto già esistente e la l’innovazione di un prodotto. Ovviamente il primo tipo è il più facile, in quanto il pubblico risulterà già relativamente preparato alle modalità d'uso. In entrambi i casi, la comprensione è il principio per cui gli utenti dovrebbero imparare in maniera quasi immediata l’utilizzo di un oggetto: se manca la comprensione la gente non avrà idea di cosa fare quando qualcosa non funziona. Si può ottenere un alto grado di comprensione realizzando un modello concettuale appropriato: l’immagine trasmessa dal prodotto e dal materiale scritto prende il nome di immagine del sistema, ed è l’unico modo con cui i designer possono comunicare con cui poi utilizzerà il prodotto.

modello mental dell'utente

modello concettuale del designer

Immagine del sistema

Per un prodotto efficace nel suo utilizzo, l'immagine mentale dell'utente finale e quella del suo designer devono coincidere, così da evitare dubbi o ambiguità. Entrambe le visioni confluiscono così nell' immagine del sistema, in cui si riassume la comunicazione dell'oggetto attraverso le sue caratteristiche fisiche.


clima mite sapori e odori dolci colori molto saturi suoni rilassanti e melodie semplici carezze volti sorridenti battiti ritmici persone attraenti oggetti simmetrici oggetti morbidi e arrotondati oggetti lisci


La velocità con cui il livello viscerale analizza e trova modalità d'approccio con l'ambiente circostante è quasi istantanea. Per una risposta così immediata, l'organismo ha sviluppato un possibilmente efficacie sistema di filtro: la condizione di vantaggio o svantaggi rispetto ad una situazione, ai fini della sopravvivenza, è riconosciuta semplicemente con paradigmi dati dalle informazioni sensoriali .


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Emotional Design

Un esempio? Sulla copertina di 'Emotional Design' compare il Juicy Salif, un oggetto pensato da Philippe Starck non per spremere limoni, vista la sua poca praticità, ma per 'iniziare le conversazioni'.

Il design riflessivo guarda finalmente al significato delle cose, al loro messaggio. Cosa dice di un individuo l’uso di un prodotto e non di un altro? Questo livello ha a che fare con la proiezione, consapevole, di se stessi: dipende dall’età, dalla storia, dalla cultura di ognuno. D’altro canto è qui che entrano in gioco la brand-image e il marketing. Il design riflessivo costruisce la relazione a lungo termine con un prodotto. Lo amiamo o lo odiamo? Il prodotto si vende non sulla base del suo funzionamento ma del suo prestigio e della sua esclusività. Immagina di scegliere un oggetto in base alla soddisfazione personale che ne si può ricevere, piuttosto che ai ricordi evocati dal prodotto: è il caso dei beni di lusso e firmati, piuttosto che dai cimeli di collezionismo. Chi progetta per il livello riflessivo si concentra sull'esperienza a lungo termine dell'utente. Questo comporta nel marketing non solo una netta personalizzazione del prodotto, ma anche operazioni di di servizi post-vendita. Quando un cliente riflette su un prodotto per decidere sui prossimi acquisti un ricordo piacevole può superare anche eventuali esperienze negative precedenti. In estrema sintesi: se il design viscerale è come il prodotto appare e quello comportamentale è come funziona, il design riflessivo è 'che cosa significa per ciascuno di noi'. Ogni prodotto lavora contemporaneamente su questi tre livelli, indipendentemente dalla volontà del progettista. Il design riflessivo diventa gradualmente più importante con la maturità di un prodotto. All’inizio del suo ciclo di vita, tutti gli sforzi sono concentrati verso il suo corretto funzionamento. Ma quando diamo ormai per scontata la dimensione di funzionalità, come per le auto o i computer, cosa ci fa scegliere un prodotto invece di un altro? È il design rilessivo il terreno sui cui si decide l’esistenza stessa di un’azienda o una marca. Il design riflessivo riflette il mondo reale.

Tra il livello fisico della percezione e quello cognitivo, rappresentato dal livello riflessivo, esistono relazioni biunivoche distinte da Norman nei processi bottom-up e processi top-down. L’elaborazione bottom-up è basata su informazioni e indizi presenti nella realtà, che pervengono direttamente ai sistemi sensoriali (per esempio, la lunghezza d’onda della luce rifratta da un oggetto) per poi essere reinterpretata dai livelli superiori, comportamentale e riflessivo. Al contrario, l'informazione, per essere interpretata e riconosciuta come un percetto significativo, può anche necessitare dell’interazione con il processo top-down, dal superiore al livello viscerale, quale il riconoscimento verbale di quell’oggetto. E' evidente in questo caso che gli indizi sensoriali non possono scendere al di sotto di una soglia di chiarezza e distintività che consenta tale interazione. I risultati di molti studi hanno messo in evidenza che questo interscambio tra i due tipi di elaborazione avviene al livello inconscio e che il riconoscimento di una figura è segnalato dall’attività elettrica cerebrale prima che l’osservatore affermi di aver riconosciuto la figura stessa. Dopo l’acquisizione dei dati fisici, i percetti vengono attivamente interpretati dal cervello: ovvero, l’interpretazione del percetto richiede il confronto con l’informazione passata contenuta nella memoria a lungo termine. Tali dinamiche sono fondamentali per determinare l'approccio verso ciò che ci circonda. La teoria di Normanè un pilastro di riferimento per creare nuovi canali di esperienza, nuovi sistemi di benessere attraverso vere 'ricette' di buon design.

Il livello riflessivo rappresenta sicuramente quello più vicino alla nostra personalità, forte di memorie ed esperienze capaci di suggestionare fortemente le scelte d'ogni giorno


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Donald Norman: lo studioso dell'emozione

Gioco e divertimento Scindere il valore del gioco dai nostri oggetti è davvero impensabile: questo, come emozione positiva, è in grado di determinare piacevoli effetti che possono radicalmente migliorare il nostro quotidiano

Norman dedica parti consistenti dei suoi libri nell'affrontare il tema ludico. Visto il gran numero di forme d'intrattenimento e tecnologie specificamente ad esse dedicate, l'argomento è una costante di appeal e di stupore. Il divertimento rimane tuttora una forma d'arte, meglio se lasciata alle menti creative, non affrontata spesso dalla scienza, ma secondo Norman, la tecnologia dovrebbe offrire alla vita qualcosa di più di prestazioni sempre migliori: dovrebbe aggiungere ricchezza e diletto. Bellezza, divertimento e oiacere operano tutti insieme per produrre gioia, uno stato d'affezione positiva, sul quale gli studi scientifici spesso non si soffermano. Come detto le emozioni positive producono numerosi benefici: facilitano una migliore gestione dello stress. Esse espandono i repertori pensiero-azione delle persone, spingendole a scoprire linee di pensiero o d’azione insolite. La gioia, per esempio, crea l’urgenza di giocare, l’interesse quella di esplorare. Il piacere può essere convenzionalmente distinto in quattro categorie:, il cui potenziale non è certo estraneo per chi mira al lancio di un nuovo prodotto. Questi sono importanti strumenti, e non fini, nel contesto marketing, per aumentare o fidelizzare i clienti

Fisio-piacere

I piaceri del corpo: viste, odori, gusti, suoni e tatto; combina parecchi aspetti del livelli viscerale con alcuni di quello comportamentale

Socio-piacere

Il piacere sociale derivato dall’interazioni con gli altri: la macchina del caffè sono punti di riunioni improvvisate o anche la cucina è il punto centrale per molte interazioni sociali in famiglia. Combina vari aspetti del design comportamentale e di quello riflessivo.

Psico-piacere

Riguarda le reazioni e lo stato psicologico delle persone mentre fanno uso dei prodotti; risiede nel livello comportamentale.

Ideo-piacere

È il luogo dove si apprezza l’estetica, la qualità o magari il livello raggiunto da un prodotto nel migliorare la vita e rispettare l’ambiente. È qui che risiede la riflessione e l’esperienza. Dimora chiaramente al livello riflessivo.

Tuttavia piacere e divertimento sono concetti elusivi. Così, ciò che è considerato gradevole dipende parecchio dal contesto e può decrescere in breve tempo, sebbene la sorpresa sia un effetto breve ma di grande potenziale. Eppure, l'abitudine non finisce forse per generare noia?All'inizio molti oggetti sono piacevoli o divertenti, ma col tempo possono infinire risultare noiosi e perdere il loro interesse. La risposta è che la gente tende a prestare meno attenzione alle cose familiari. Nel complesso questa capacità di adattamento è biologicamente utile, perchè di solito sono le cose inattese, nuove, a richiedere maggiore attenzione.Il cervello si adatta naturalmente alle esperienze ripetitivà: è questa la sfida del design e la grande possibilità dei produttori. Nel contesto della casa, è facile notare come ci circondiamo di oggetti aapparentemente silenziosi, punti di riferimento d'implicita attenzione. In ogni caso, siamo ora consapevoli di come questi rappresentino per noi il risultato di scelte ben semplificate i cui fini non possono che convergere in pochi termini: il piacere ai nostri sensi, la funzionalità, i ricordi e il coinvolgimento emotivo che questi sanno darci.


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Emotional Design

Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’ Richard Neutra è stato un filosofo prima che un architetto: 'L’architettura deve rendere migliore la nostra vita'. La sua idea progettuale aveva una sola costante: l’uomo e la vita quotidiana. Maestro inconsapevole delle linee guida dell’architettura dei nostri giorni, ha curato nei suoi progetti ogni elemento che interviene alla configurazione finale di una casa: la luce, gli odori, la ventilazione, la disposizione degli arredi, il suo inserimento nell’ambiente circostante. La sua infanzia viennese, l’amicizia con la famiglia Freud, sono gli antefatti per comprendere da dove nasca l’attenzione per la dimensione multi-sensoriale dell’architettura, da parte di questo architetto americano. Nella sua cultura confluiscono e si intrecciano le due principali correnti ideologiche dell'architettura moderna: la corrente razionalista, che si concreta nell'esperienza di Gropius, e la corrente 'organica' che fa capo al Wright; l'acuta sensibilità figurativa e la vigorosa attitudine costruttiva del Neutra gli consentono di fondere in uno stile originale questa duplice esperienza europea e americana. Il suo prezioso saggio 'Survival Through Design' (in edizione italiana come 'Progettare per sopravvivere'), scritto più di cinquanta anni fa, è un manifesto sulla necessità di unire sempre utilità e bellezza. Dare forma al mondo o almeno provare a definirne una sezione; organizzarne uno spicchio progettandolo in funzione della variabilità del contesto. Progettare rapportandosi al contesto e quindi alla sua instabilità e al suo continuo movimento diviene probabilmente la forma ultima e più estrema di esplorazione a cui l’uomo si possa dedicare. Progettare dunque come esplorare, ma anche come viaggio e conoscenza di una nuova relazione tra lo spazio e il tempo. Nel suo libro Neutra si batte per un'architettura basata sulle cognizioni delle necessità fisiologiche e psicologiche dell'uomo e non solo sull'estetica. Neutra va però oltre la figura dell’intellettuale novecentesco, superando il cliché del pensatore dolente e mantenendo così fortemente fede al proprio ruolo di progettista e di concreto costruttore di cose. Il grande architetto si rivela quale raffinato intellettuale e attento critico del suo tempo, pronto a parlare con un pubblico più o meno specializzato. Il libro è una collezione di testi elaborati nel tempo da Neutra sulla base di sollecitazioni di varia origine, lavorativa come di coscienza, mettendo in discussione il ruolo dell’architetto e della sua azione. La visione di Neutra è quella di un umanista moderno capace di migrare tra le varie discipline in cerca di risposte e soluzioni. La sua idea di architettura della fisiologia attraversa il concetto di vita in un’ottica di sostenibilità dentro alla quale nessuno e in particolare un architetto può assolutamente sottrarsi. L’essere biologici di Neutra è un richiamo forte a una visione umanistica e integra del sapere dentro cui nessuna forma di specializzazione come di professionalizzazione può ritenersi esclusa; anzi, la responsabilità di chi come gli architetti tendono a formare e a mutare il paesaggio li obbliga in primis a una riflessione globale che abbatta i confini della professione, trasformandola nella sua primaria essenzialità umana. Certo che questo testo, scritto nel 1954 e pubblicato nel 1956, contiene già quelle indicazioni che solo negli ultimi due decenni le neuroscienze hanno consolidato: la stratificazione della memoria tattile, sonora, olfattiva e visiva, a partire dalla prima infanzia sono gli schemi interpretativi dello spazio che ci accompagneranno tutta la vita, sui quali poi saranno innestati altri ricordi ed esperienze. Certo non poteva sapere che la metà delle nostre sinapsi si ‘saldino’ e si costituiscano proprio attraverso le esperienze, anche dello spazio nel quale cresciamo, nel corso dell’esistenza. Il progetto davvero, quindi, può salvare oppure può condannare: può creare delle risonanze che stratificano emozioni e significati oppure congelare lo spazio, favorendo una sorta di autismo emotivo dello spazio fuori e dentro di noi. La sua filosofia del costruire ecologicamente e 'sano', divenuto parte significativa del movimento ambientalista contemporaneo, presenta ancora oggi un'incredibile attualità, il cui fascino, dettato da un'attenta analisi delle percezioni umane, non ha perso la sua brillantezza.

Richard Neutra, grande architetto del modernismo, non è ricordato solo per i suoi incantevoli progetti, ma anche per il grande contributo teorico per un'architettura etica a misura d'uomo


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Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

Richard Neutra nasce l’8 aprile 1892 a Vienna (Austria), dove studiò architettura presso l’Università Tecnica, frequentò un corso tenuto da Adolf Loos fino a laurearsi nel 1918. Già nel 1914 aveva scoperto, tramite una pubblicazione del 1910, l’opera di Frank Lloyd Wright. L’architettura di Wright rappresenta per Neutra un grande stimolo. Nel 1923, dopo uno stage nello studio di Erich Mendelsohn a Berlino, emigra con la moglie negli Stati Uniti, dove lavora per breve tempo nello studio di Wright di Taliesin East. Il primo figlio con la storica moglie Dione, che nasce nel 1924, lo chiamerà Frank Lloyd. I suoi contributi allo sviluppo dell'architettura moderna, che ne hanno fatto uno dei più importanti architetti del XX secolo, sono molteplici e vanno dai nuovi modi d'impiego di certi materiali e di certi sistemi costruttivi ai problemi della prefabbricazione, dall'arredamento fino alla minuziosa organizzazione di centri d'abitazione e all'urbanistica generale. Un organico sistema di elementi che ha reso il suo linguaggio un vero distintivo della sua ricerca. Dopo una collaborazione con l'architetto Rudolf Schindler, avviò il suo studio a Los Angeles, dedicandosi prevalentemente all'architettura residenziale privata con un linguaggio altamente personale, nel quale il progresso tecnologico si unisce all'attenzione per il rapporto fra spazio architettonico e ambiente e per la personalità del fruitore. Dall'alto, Richard Neutra fotografato da Julius Shulman nella VDL House, 1966 L'architetto nello studio dell'artista Peter Lipman-Wulf, 1967


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Emotional Design

Il segno di un grande architetto che ha tracciato le linee guida dell’abitare contemporaneo La creazione di ambienti che si possano percepire non solo con gli occhi ed esplorare con il tatto, ma che stimolino anche l’udito e l’olfatto: ecco la missione di Neutra. Nessun altro architetto del Novecento ha studiato come Neutra l’influsso positivo che l’ambiente costruito può esercitare sull’uomo che lo abita. L’architettura di Neutra si basava su nozioni scientifiche della fisiologia e psicologia umana. Egli parlava del 'costruire in maniera biorealistica”, intendendo con questo che l’architettura deve essere concepita in ragione alla natura umana e all’ambiente naturale circostante. Egli eseguì minuziose ricerche per capire i veri bisogni dei suoi committenti e dei singoli membri delle loro famiglie. Nelle planimetrie è pertanto descritto ogni piccolo dettaglio, fino al colore delle tende. Secondo Neutra, nell’architettura bisogna tenere conto di tutti gli aspetti della nostra percezione: come si propaga il suono in un ambiente? Che odore hanno i legni e le pitture usate? Che sensazione si ha toccando uno scorrimani? Come i bambini percepiscono il cambiamento da un pavimento di pietra a una moquette? Neutra è considerato il fondatore della cosiddetta 'architettura organica ecologica'. L'architetto è riuscito a esprimere l'umanità attraverso spazi di nuova concezione, e contemporaneamente ad inventare nuove tecniche costruttive. La sua originalità non consiste nella assidua ricerca nella forma, ma nello studio costante dell' uomo. L'origine di tale ricerca risedeva nella convinzione che la buona architettura avesse una funzione terapeutica, poiché in grado di conciliare l'uomo con la natura in una 'gioiosa danza unificante', restituendola come parte della sua intima essenza. Le sue costruzioni, ritenute 'macchine in giardino', sono per Neutra progettate per e intorno all'uomo, da lui considerata la vera e unica macchina: è compito dell'architetto stabilire il criterio e la misura precisa del suo rapporto quotidiano con la natura.

La Singleton House, a Los Angeles, fotografata dal celebre Julius shulman nel 1960. Nel giardino, troviamo importanti sculture di Isamu Noguchi con cui spesso ebbe collaborazioni.

Il progettare di questo architetto è permeato da una grande presa di coscienza riguardo la sua responsabilità: l'architettura deve muovere i suoi passi passi nella coerenza e nella funzionalità che ne fa prodotto del e per l'uomo

Se a prima vista lo stile di Neutra non sembra condizionato da quello di Loos, cioè dal suo moralismo rifiuto dell' ornamento a favore del parallelepipedo in mattoni, liscio e spazialmente compatto, il giovane architetto riprese da lui l'ideale della durevolezza, il rifiuto di ogni decorazione, l'idea della nobiltà insita in ciò che non è appariscente e la passione per i materiali pregiati ma non decorati. Per Neutra l'architettura deve essere in grado di gestire il rapporto tra spazio e tempo per creare esperienze memorabili, nonostante la fugacità del momento. Vedere la sua estensione nella memoria di chi abbia le sue strutture. La controllata asimmetria e il sovrapporsi flessibile di diverse funzioni in uno stesso vano richiamano l'architettura tradizionale giapponese che Neutra aveva conosciuto. L'architetto era rimasto colpito dalle piccole case giapponesi con i loro passaggi da una stanza all'altra, posti sullo stesso piano, e la diafana trasparenza dei semplici shoji, le tipiche pareti scorrevoli di carta e legno. E' proprio l'influenza nipponica ha caratterizzare la sua estetica per il giardino, per lo spiccato gusto verso giochi di riflessi, di trasparenze, effetti trompe l'oeil. Il vuoto diventa per lui elemento significativo di una composizione più vasta, accettando 'quel semplice, quella perfezione interrotta che sembra minacciare l'uomo', la quiete e il piacere che esso genera. Neutra riesce a creare nuovi ambienti dedicati alla contemplazione, alla conoscenza, alla comunione col paesaggio, a un'esperienza di gentile immersione dove riappacificarsi con se stessi e ciò che ci circonda.


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Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

Il concetto di Biorealismo Il Biorealismo è una filosofia di pensiero che Nutra ha inaugurato nella sua ricerca verso un progettar che sia più vicino alle vere necessità dell'uomo, anche nella sua indole biologica

‘Progettare per sopravvivere’, di Richard J. Neutra, Comunità Editrice, 2015

Neutra concentra la sua attività progettuale sulla consapevolezza che l'uomo è il soggetto primo a cui è destinata l'opera del costruire, così da determinare il suo ambiente. L'architetto prende atto di questa considerazione con un acuto sguardo a passato e presente, per formalizzare nuove metodologie per il futuro. L'urbanistica contemporanea, ai suoi oggi, sembra prendere le forme di una 'fatalità' che solo il tempo saprà guidare, e condannare: palazzi, oggetti e tant'altro verranno valutati solo in grado ad un alto e dimostrabile indice di vivibilità permeabile al tempo. La responsabilità dell'uomo (per l'uomo) è grande: questi deve appellarsi al suo 'libero arbitrio, alla sua scelta operativa, per dettare i termini del rispetto di se stesso, e non nell'arroganza del piacere del progettare estraneo alla pianificazione e al determinismo del benessere. La progettazione sembra essere il destino del'uomo, strumento di potenziale ordine, e di facile disordine, che va ragionato e convogliato secondo scelte organicamente etiche: per noi stessi, per la nostra rappresentazione e per l'ambiente che ci ospiterà. Questo richiamo ai professionisti della sua epoca trova concretizzazione nei tanti materiali, nelle tante tecniche che hanno fatto della varietà tecnica storica una stratificazione che, sebbene se ne giustifichino gli sperimentalismi, trova e porta il peso su di sè di tanti progetti confusionari, dettati da fini ben lontani dal benessere dei suoi fruitori. Ebbene, è necessario convogliare le diverse metodologie in una linea di rispettosa coerenza, storica e non, che si appelli alla bontà dei suoi obiettivi: già dal XX secolo è impensabile continuare a progettare ignari dei chiari scenari che circondano, contestualizzano e assorbono le azioni d'ogni giorno. Il nostro ambiente esige una valutazione più integrata, specie quella sua parte cruciale che l'uomo stesso costruisce e che continua a ricostruire di epoca in epoca. Neutra abbatte un sistema operativo basato su compartimenti stagni, su realtà estetiche e tecniche, ambienti e funzionalità, ancora scissi tra loro nonostante le tante possibilità a nostra disposizione. Con l'uomo come diretto creatore e fruitore, bisogna trovare soluzioni che considerino le parti in gioco come un unicum organico, inseparabile: nè fisicamente, nè biochimicamente, nè sociologicamente, l'individuo si può davvero segregare o isolare come entità a sè stante. Sempre dal punto di vista scientifico, rafforzato dal biochimico Henderson, il processo di respirazione rende l'organismo talmente unito chimicamente col suo ambiente che è impossibile separarli 'se non soltanto nella maniera astratta con cui separiamo le acque di due fiumi affluiti ad un alveolo comune'. Nasce così la fondamentale intrinseca di un'unità dentro di noi, concretizzata nel messaggio globale trasmesso dai nostri cinque ricettori sensoriali.

„ Progettare, l'atto di mettere manufatti in ordine, o in disordine, sembra essere il destino dell'uomo. Sembra che questa sia la via migliore per creare problemi, ma anche per risolverli. È la specifica responsabilità con la quale la nostra specie è maturata e questa costituisce l'unica scappatoia dell'animale capace di pensare, prevedere e costruire, che siamo noi, per preservare la vita su questo ridotto pianeta e per sopravvivere con stile. “


Una qualche perfezione, comunque, dovremo pur riconoscerla a questa sedia che continua a cadere. Non è stata costruita apposta per il corpo che vi si è seduto sopra per tanti anni, ma è stata scelta per via dello stile, che si accordava e non stonava troppo con il resto dei mobili che si trovavano lì vicino, o poco più lontano, visto che non era di pino, o di ciliegio o fico, per le suddette motivazioni, ma di un legno solitamente usato in mobili destinati a durare, verbi gratia, il mogano. Che sia mogano e non se ne parli più. Se non per aggiungere quanto sia piacevole e riposante, dopo essersi accomodati e, soprattutto se la sedia ha i braccioli ed è in mogano, sentire sotto i palmi della mani quella dura e misteriosa pelle morbida del legno levigato, e se il bracciolo è curvo, la forma di una spalla o di un ginocchio. — 'Oggetto quasi', di Josè Saramago, Feltrinelli Editore, 2008

‘Oggetto quasi’ è un libro sull’uomo, e di come la sua vita sia finita nelle cose. José Saramago in questi sei racconti ci mette di fronte al sopravvento che la tecnica ha avuto sugli uomini. Grida al pericolo che ci minaccia: è un mondo fisico questo, nel quale i cittadini sono diventati ciechi consumatori, senza il giusto riguardo dei propri oggetti. Un libro che ci proietta verso un futuro dove il progresso non è più tecnico ma umano. Un invito a lavorare per il domani, assumendoci la responsabilità dell’oggi nel rapporto con le cose ogni giorno nel progetto di una grande 'ricostruzione'.

Ancora una volta Saramago ci spinge alla riflessione attraverso le sue grottesche, utopiche storie dove l’uomo è messo in discussione con audaci stratagemmi narrativi.: dalla quotidianità contemporanea fino a scenografie da favola, per ritrarci nei tratti mai stati più reali.


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Grande anticipato della teoria di Donald, Neutra riconosce il valore della percezione e di come questa sia legata in parte da processi innati e naturali

Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

Oggi modelli e criteri devono essere sensibilmente adattati ai tempi, con una decisa e sistematica consapevolezza delle esigenze in gioco. Un 'ritorno alla sincerità' dove gli aspetti socio-economici, le implicazioni di ciascun particolare tecnico e, soprattutto, una sempre migliore idoneità biologica del disegno progettistico, valgono la pena di esser studiati come condizioni obbligate della produzione in serie. Bisogna rendere razionale il progetto, bisogna ricostruire l'unità perduta senza abbandonarsi all'accettazione dell'abitudine. La progettistica è in un forte stato di confusione che riduce la sua meticolosità: la tecnica modifica il problema e adatta la soluzioneai mezzi disponibili, deviando dalle sue principali basi di necessità. Tutte le attività si integrano in modo sottile e organico con l'involucro che le alloggia e sulla scena su cui si svolgono. D'accordo con Norman, la percezione si compone di stimolazioni sensoriali dirette e di un rilevante fascio di associazioni mentali diversificate che ne scaturiscono dall'osservatore: un processo psicologico che non possiamo permetterci di sottovalutare. La stessa suggestione derivata dai materiali d'origine e sui processi di produzione posso essere potenti generatori del 'lo voglio'. E' su questa base che l'accettazione del disegno progettistico deve passare dalla sfera commerciale a quella fisiologica: un prodotto può essere atto a creare abitudini, e quindi attraente, ma pur sempre incompaibile con le nostre esigenze fisiche e biologiche. Spesso il 'bello e pratico' addiziona due concetti di astratti di categoria e ordine differenti...Ma bisogna trovare oltre ciò che è una soddisfazione biologica. Nella vita quotidiana siamo continuamente assaliti da una caotica complessità di forme, sfumature, colori, odori, rumori. Attraverso un processo differenziante, astraente e poi sintetizzante, l'economia mentale favorisce ciò che si può agevolmente concepire, visualizzare, tesaurizzare nella memoria e comunicare. Quindi un quadrato, un triangolo o un cerchio sono più facili da definire, visualizzare e ricordare piuttosto che una figura di forma irregolare e di proporzionalità anomale. Proprio questa esperienza di apprendere o ricordare qualcosa con facilità è accompagnata da un senso piacevole di predilezione e di diminuzione della tensione. La somma delle impressioni sensoriali produce la nostra coscienza generale dell'ambiente, sia esso naturale o progettato e costruito. Tale coscienza rimane sempre emotivamente connotata e soggetta a sottili variazioni da individuo a individuo che rende difficile parlare di stimoli genericamente puri e impuri.

L'architetto, intanto, propone ad esempio tre possibili casi ben distinti di stimolazione causata dalle superfici di un oggetto. Questi forniscono dati differenti sull'affaticamento dei ricettori sensoriali, determinando inoltre reazioni diverse dell'intero sistema nervoso per quanto riguarda la tensione generale o l'assenza di rilassamento, o anche rispetto all'accresciuta o ridotta ricettività a stimoli addizionali.

– Distribuzione continua, liscia e uguale di stimoli su tutta la superficie – Distribuzione ritmica di stimoli – Distribuzione irregolare di stimoli Su una superficie piana, i nostri sensi tattile e visivo possono muoversi senza cambiamenti bruschi d'innervazione. Se però ostacoli nervosi costanti si producono a intervalli ritmici, il loro effetto, sebbene sempre di fastidio, sembrerà più gradevole di interruzioni irregolari e fortuite.


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Emotional Design

La concezione spaziale Einstein sembra molto più vicino al concetto del nostro spazio-tempo energetico legato ai sensi più di quanto lo siano stati Euclide e Newton. Lo spazio fisiologico possiede per propria stessa origine una pronunciata direzione e sfere d'azione su cui l'uomo ha poi lentamente innestato i suoi molti significati. Lo spazio è un prodotto plurisensoriale che comincia ad evolversi per noi mentre siamo ancora nell'utero. L'esperienza prenatale del rifugio, quel galleggiare nel flusso amniotico dell'utero materno, termicamente uguale, è un fattore primario che si ripercuoterà in seguito sulle nostre reazioni al mondo esterno e ai compartimenti architettonici che ci costruiamo per la vita matura. Tuttavia questa prima sospensione uterina è soltanto un'esperienza tattile, gravitazionale, somestetica, cioè basata su sensazioni corporee generali. Non coinvolge ancora tutti i sensi, e per esempio non ha nulla a che fare con l'importante reattività visiva che si sviluppa solo dopo la nascita, con l'aprirsi degli occhi. Il portato dei vari sensi, grazie all'esperienza pratica di tutta una vita, viene elaborato in un concetto dello spazio costellato di significative associazioni diversificate. Il senso di gravità, ad esempio, contribuisce naturalmente e fortemente alla nostra coscienza del sopra e del sotto, rispettivamente ascensionale e discensionale nello spazio. Noi possiamo opportunamente definire lo spazio nella sua natura originaria come spazio fisiologico. La nostra sottile percezione interna della posizione corporea si chiama 'somestesia', mentre quella degli sforzi muscolari con cui superiamo il peso quando ci muoviamo, direttamente o indirettamente, qualsiasi parte del nostro organismo, è detta 'cinestesia'. Ogni distanza viene naturalmente calcolata partendo dall'io senziente al centro. Il passaggio dalla causa fisiologica alla conseguenza sociologica di senso accettato è spesso impercettibile. Il significato di 'davanti' e 'dietro', una concezione spaziale dotata di orientamento anteriore e posteriore, è alla base del nostro pensiero e del nostro sentire. Tutte le cose che abbiamo davanti si possono controllare e seguire, le cose che cose abbbiamo alle spalle sfuggono a tale controllo, ma è meglio non lasciarle in sospeso, se non si vuole che diventano fonte di pericolo o di sospetto. Allo stesso modo, gli architetti devono saper valutare compiutamente e nei particolari pratici che tre metri misurati verticalmente sono pari all'altezza media di una stanza. Considerati in orizzontale, invece, come larghezza di una stanza, questi stessi tre metri manifestano di colpo una grandezza molto più ridotta. Tutto ciò è facile da collaudare, ma merita minuziose analisi quantitative attraverso un'attenzione sperimentale. M i valori citati che aderiscono alla direzione verticale e orizzontale non sono che una minima parte dei tesori di implicazioni spaziali che scaturiscono su basi fisiologiche. Questo deriva anche molto dal fatto che la specie umana, come i suoi più vicini antenati, ha gli occhi alloggiati nella parte frontale della testa, non sui lati o sul retro. Naso e orecchio sono chiaramente meno orientati nella loro funzione ma, ciò nonostante, se stimolati, sono comunque efficaci segnalatori. Braccia e mani, gambe e piedi sono articolati in modo tale che la portata della loro efficacia sarà massima se mettiamo il corpo in frontale agli eventi spaziali. I concetti spaziali si arricchiscono anche di un proprio importante e complesso significato sociale, di grande efficacia nell'assetto ambientale. I rapporti interpersonali si sviluppano dalla concezione basilare che due solidi non possono coesistere nello stesso spazio in compenetrazione. Tramite i punti di vista, la differenza di 'spaziatura' trova considerazioni ben più profonde: il profondo inchino,, la genuflessione corrispondevano all'alto trono di baldacchino, o all'alta tiara di una regina. Lo spazio sociologico è tutto ciò che l'uomo ha attinto dallo spazio fisiologico basilare e ciò che la vita di gruppo vi ha sovrapposto, in quanto a nuovi messaggi e simbolismi. Dalle ricerche sulla percezione spaziale possono emergere problemi di cui eravamo ignari. Per numerose epoche l'essenza organica dello spazio è stata denaturata, diluita e adulterata dai vizi di convenzione. Alla luce di una comprensione fisiologica, lo spazio potrà essere redento e riconosciuto come esperienza viva, anzichè pallida astrazione da riempirsi indistintamente, sia da frutto delle nuove mode, sia dal retaggio inerte dei secoli.

L'uomo ha un rapporto con l'ambiente inscindibile: questo ci conferisce dimensionalità spaziali non solo di coordinate, ma di impulsi eccheggianti nella nostra psiche


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Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

La funzione del bello Scindere il bello dalla sua sola valenza estetica: Neutra indaga la funzionalità che ha su di noi ciò che apprezziamo fin dalle sue origini naturali

Neutra riconosce alla natura il precetto per cui la forma segue la funzione. E' anche nell'osservazione naturale che ritroviamo il fondamento secondo cui aspetto e richiamo estetico sono al seguito delle circostanze naturali: e se supponessimo che proprio questo richiamo non sia solo qualcosa che segue ma che sia addirittura causa della sua funzione? Un esempio sono i tanti colori, le tante forme delle piante da fiore che per la fecondazione dipendono dagli insetti come risultato di una lunga selezione naturale. Questi sono ingranaggi importanti nel meraviglioso meccanismo che rende il ciclo della vita così interconnesso tra le parti di uno stesso habitat. Il fiore attirare l'insetto vestendosi di un colore e di un odore accattivante. Ma come mai l' 'offerta', nel suo insieme, piace all'ape? E come mai questo stesso fiore piace anche a noi? La serie di stimolazioni ottiche, olfattive e tattili permette una certa ricettività sia dall'ape che da parte nostra in un richiamo misterioso e che funzionalmente ne dipende: la ricettività positiva primaria. Questa soddisfazione, questa forma eccitante assumono in natura un ruolo di causa funzionale nel momento del corteggiamento e del richiamo sessuale. Un'attrattiva incontrollata che ha motivo della sua esistenza nell'attivare i cicli vitali. E' da spcificare che tale percezione al richiamo estetico da parte nostra non si basa sulla complessa soddisfazione, indubbiamente diffusa, che la mente umana attinge dalla percezione di una forma integrata alla funzione: qui il richiamo sembra poggiare su basi ben diverse dalla logica dela funzione e noi, che non siamo evidentemente i destinatari originari, ne percepiamo comunque il messaggio. Si tratta bensì di una reazione emotiva, l'esprimersi di una soddisfazione complessa attraverso la nostra 'attrezzatura' nervosa. L'uomo, nel corso della sua evoluzione, ha raggiunto l'implicita consapevolezza di un'attivazione celebrale superiore, tale da formare una certa selettività per stimoli preferenziali o per le relative combinazioni. Si tratta di uno stato di soddisfazione molto complesso, capace anche di risposte brevi e dirette. Ciò nonostante, va riconosciuta la nostra entità neurologica che indivisibile, benchè operante su più livelli, rimane globale: così il giudizio umano sull'ambiente si semplifica a una dose di ingredienti celebrali che comprende molte associazioni di pensiero (differenziazione, associazione e astrazione) capaci di importanti atti valutativi. Neutra, con questa teoria, anticipa di molti decenni quello che sarà il caposaldo della filosofia di Norman, trovando però le sue fonti non nel riscontro del campo marketing ma nella purezza della natura, qui analizzata con amore e meticolosità a grande rivelatrice dei nostri meccanismi interni.

L' elemento traumatico e il fattore magico. La sensazione di soddisfazione è spesso di breve durata. Questo ne fa un momento 'traumatico' capace di incidersi nella memoria di chi lo vive

Negli esempi naturali sopra citati, le risposte suscitate da un richiamo primario hanno una qualità comune: la loro durata è brevissima. Anche nel comportamento umano il richiamo, prettamente sessuale, è un distacco dall'ordinario, un segnale vigoroso che non si concilia con quelli abituali. Questo avviene 'per urto', un processo molto affine a quello della maggior parte dei fenomeni estetici, dove eccitazione, breve durata ed eccezionalità sono fattori fondamentali. Tale effetto si verifia proprio nei termini di novità, sorpresa, distacco dall'abituale che fanno dell'intermittenza rispetto al quotidiano una preziosa peculiarità. Il richiamo estetico, dunque, può stimolare solo per un tempo limitato. Il principio, invece, per cui la forma segue la funzione non è così ristretto. Mostra la stabilità tipica dei procedimenti cerebrali superiori e tratta quei prodotti corticali più solidi e durevoli che si chiamano concetti astratti e insorgono soltanto negli esseri umani. Tali concetti possono guidarci per tutta la vita. Le loro soddisfazioni sono comparativamente costanti. Ciò ci porta a considerare in linea generale l'elemento tempo nel richiamo estetico e l'impatto che questo abbia sulle nostre perczione, piacevole o meno, di elemento traumatico e improvviso.


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Emotional Design

Tutte le case progettate da Neutra per essere realizzate in Europa possiedono elementi che egli aveva sviluppato per il clima californiano: ampie vetrate apribili in riguardo a una raffrescante ventilazione, tettoie che roteggono dal sole sorrette da sottilissimi pilastri (i famosi 'spider leg'), tende parasole a lamelle regolabili, specchi d’acqua riflettenti, piante e pietre che rendono incerto il passaggio tra l’interno e l’esterno. 'Una casa ben proge ttata', diceva Neutra, 'non è un ambiente statico, bensì uno specchio della natura circostante e perciò un continuo ristoro per l’anima'. In foto, Miller House, 1937, California

Agli albori della vita noi passiamo molto tempo sul pavimento, alla maniera perplessa e curiosa dei bambini


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A due o tre anni io mi accoccolavo sul parquet dell’appartamento dei miei, a scrutare le fibre scrostate e scheggiate del legno consunto e le assicelle sformate. Le fessure interstiziali erano piene di una sostanza compatta che mi piaceva scavare con le dita. Per gli adulti il pavimento è lontano. Se loro si fossero fermati a esaminare ciò che estraevo da questo quieto ripostiglio delle giunture di parquet, l’avrebbero chiamato sporcizia. Con un opportuno ingrandimento al microscopio ci si sarebbe accorti che era un mondo pullulante di microbi. Io lo saggiavo con l’inveterata prova dell’infante – me lo mettevo in bocca e lo trovavo 'non buono'. Per strano che possa sembrare, le mie impressioni in fatto di architettura furono in gran parte gustative. Leccavo la carta da parati prossima al mio guanciale, ruvida come cartasciugante, e l’ottone lustro della mia credenzina giocattolo. Dovette essere proprio allora che nacque in me una preferenza inconsapevole per le superfici impeccabilmente lisce, collaudabili dalla lingua, questo esigentissimo strumento di investigazione tattile, e per la pavimentazione dalle giunture meno sconnesse e dalla superficie più elastica. Mi ricordo che semisvestito o nudo com’ero, percepivo in modo sgradevole la superficie su cui sedevo e mi muovevo. Fu pure allora che provai per la prima volta la sensazione di un’altezza torreggiante alzando gli occhi alla cimasa intagliata di un canterano vittoriano. Mi fece un’impressione più forte e paurosa che non, più tardi, le colonne gigantesche su cui poggiano le volte del Duomo di Milano o il tetto del Tempio di Luxor.

Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

L’idea di alloggio si collega nella mia mente a una sensazione che si radicò in me in quei giorni. Il soffitto del nostro salotto era troppo alto, e così ero solito mettermi a giocare seduto sotto il pianoforte a coda. Il poco spazio che lì sotto il piano mi lasciava in altezza mi forniva il posto più comodo che io conoscessi. Molte simpatie e antipatie dovettero prendere forma nel bambino che ero, come succede a ogni bambino. Di notte c’erano spazi bui, inaccessibili, misteriosi – come quella zona di paura dietro il divanetto a due posti tappezzato di verde oliva e collocato di traverso contro un angolo. Al ricordo ne rabbrividisco ancora. E ancora aborro lo spreco di spazio dietro i mobili. Quelle molte esperienze infantili mi insegnarono mute lezioni sull’apprezzamento di spazio, valori tattili, luce ed ombra, odore dei tappeti, calore del legno e freschezza del focolare di pietra sito davanti alla nostra stufa di cucina. Più tardi, le nostre lezioni universitarie sull’architettura non accennarono mai ad esperienze sensorie così basilari, o al sottile rapporto che intercorre fra le strutture fisiche e il comportamento nervoso dell’uomo. Sentii parlare molto, però, di buon gusto e bellezza. La cosiddetta bellezza era un’astrazione logora che non sollecitava in me nessun progresso di comprensione, e il cosiddetto gusto era un termine vago senza significati ben definiti. Entrambi sembravano concepiti come se si potesse semplicemente aggiungerli a ciò che altrimenti era soltanto 'pratico'. C’era un sapore di lusso inessenziale in questo 'supplemento' di 'gusto e bellezza'. Il nostro ambiente esige una valutazione più integrata, specie quella sua parte cruciale che l’uomo stesso costruisce e continua a ricostruire di epoca in epoca.


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Emotional Design

E' ovvio che il fattore durata varia a seconda del livello nervoso a cui lo stimolo viene elaborato e in cui viene formata la risposta. Il livello a cui insorgono le operazioni associative complesse è molto più alto di quello della semplice reazione sensoriale, ma ciò che qui ci interessa in modo particolare è come le risposte a questi diversi livelli differiscano anche in fatto di stabilità. Troviamo stimoli costanti, fluttuanti... Tutti i richiami dovrebbero essere misurati rispetto alla loro durata, o meglio, rispetto alla durata della nostra ricettività in materia. Proprio in questi termini, il progetto della forma dovrebbe informarsi al criterio della durata anticipata di esposizione e richiamo, nel rispetto dei diversi periodi di assimilazione. Come tiene a sottolineare l'architetto, la negligenza e la scarsa considerazione dell'importanza che il fattore tempo ha in in progettistica è un peccato frequente e fatale. Aciò dobbiamo l'ingombro permanente del nostro ambiente artificiale con elementi fruibili o resistenti spesso per un tempo piuttosto breve. Anche se non li tolleriamo più, essi persistono. La relazione di causa ed effetto, csì distribuita nel tempo, appare di una complessità inaudita. Il concetto di ordine intenzionale esplicitamente progettato sembra molto soddisfacente alla mente umana che, sotto una macchina de mondo unificata, ha voluto cercare un disegno organico e ben organizzato. Eppure, proprio qualora l'uomo non sapesse unire le parti, sorge spontanea una risposta esterna, un supplemento extrafunzionale capace di dar maggior significato all'oggetto in questione. L'economia mentale dell'uomo, la sua suscettibilità fisiologica di esaurimento periodico e definitivo, rendono imprescindibile una soddisfazione temporanea, spesso ben prima che egli si possa rendere conto della meta di perfezione funzionale che si pone. Al tempo stesso, egli rimane consapevole dell'imperfezione o del funzionamento difettoso del suo prodotto e ne è turbato. Per alimentare la sua voglia di soddisfazione, l'uomo cerca di compensare la deficienza fisica almeno con mezzi psicologici. Si sviluppa così un concetto di 'strumentalità della magia', consistente nell'abilità e nell'impulso a identificare semplicemente le cose con determinati nomi ed attribuire loro poteri immaginari. L'uomo, per alimentare la sua voglia di soddisfazione, trova spesso alibi mentali con cui reinterpretare e dare nuovi significati simbolici a ciò che lo circonda: un supplemento extrafunzionali, 'magico'

Le nostre percezioni sono dettate da un'intensa attività celebrale che può dare riscontri differenti, più o meno piacevoli, a seconda della durata e della ritmica con cui gli stimoli sono percepiti

L'uomo tende ad attribuire una funzione semplicemente attraverso il proprio potere mentale, quando non è del tutto in grado di osservarla. Il supplemento magico trova la sua definizione in un significato simbolico attribuito, secondo cui l'oggetto d'argomento sia in grado di potenzialità proprie e misteriosamente a noi sconosciute. Questa tendenza, cerca appunto di attribuire un supplemento extra che sia da alibi di soddisfazione, avendo luogo soprattutto in una funzione fisica palpabile. La magia che intende compensare la funzione imperfetta non ha alcuna analogia o precedente in natura, ma è puramente di origine umana. Ciò che ci circonda allude così simbolicamente ad un significato altro che ren il tutto operante nel pensiero velleitario dell'uomo. Più l'oggetto è semplice, maggiore sarà la possibilità che la nostra mente gli attribuisca supplementi funzionali di facile alimentazione. Sotto gli aloni del dubbio e del mistero, la nostra natura insaziabile e curiosa cerca di dar risposte e significati all'ambiente. Tutto trova un'ordine nella funzione e nella soddisfazione a noi generata, alimentando così il nostro ruolo attivo nella realtà attraverso istantanee risposte mentali.


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Richard Neutra ‘Progettare per sopravvivere’

L'azienda tedesca VS, fondata nel 1898, rende omaggio a Richard Neutra con una collezione in espansione dei suoi mobili rieditati.Progettati tra il 1920 e il 1940 in California, dove Neutra si era trasferito per lavorare col maestro Frank Lloyd Wright, questi arredi sono stati specificatamente progettati e concepiti per case private a firma dell'architetto. Un lavoro organico che, però, ha lasciato molti validi pezzi come mai messi in produzione. Solo quest'anno VS, che ha acquisito i diritti esclusivi di produzione dei mobili del padre del Modernismo, creandone un’edizione esclusiva a suo nome. Per farlo, ha coinvolto l’architetto Dion Neutra, figlio del grande maestro e partner dello studio di Richard Neutra a Los Angeles. Dopo un lungo lavoro di ricerca, di documentazione dettagliata, di prototipazione, test e selezione di materiali originali, i primi pezzi sono tornati alla luce. Capolavori del design tornano alla vita in tutto il loro carattere: la poltrona Lovell, originariamente progettata per la Lovell Health House nel 1929, questa versione con la struttura in acciaio fino a poco tempo fa è stata trovata in un disegno originale conservato presso l’archivio dell’UCLA; la Boomerang Chair, progettata nel 1940 in diverse varianti per il complesso residenziale “Channel Heights” e per la Nesbitt- House; la Cantilever Chair Steel, aviluppata per la Lovell Health House nel 1929, caratterizzata per la molla posteriore distintiva e brevettata da Neutra che la distingua da sedie simili di altri pionieri del design come Marcel Breuer, Mart Stam, o Mies van der Rohe; il divano e la poltrona Alpha Seating fanno parte degli arredi “cubici” pensati per la Health House Lovell nel 1929; oppure ancora, progettata per la Tremaine casa in California (1948), l’esile Tremaine Side Chair in acciaio curvato e sedile imbottito, riflette perfettamente l’eleganza del Modernismo anni 50. Per maggiori info, www.vs-moebel.de


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Capitolo III:

Livia, una seduta multifunzionale

/ 84 — 143 Case study #1: Campeggi e il design trasformabile / Case study #2: Lignet Roset e l'imbottito da reinventare / I fratelli Bouroullec e lo studio della superficie / La nascita di un'idea / Un progetto che cambia con noi / I materiali scelti / Una nuova soluzione per il living


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Livia, una seduta multifunzionale

Abbiamo parlato di abitare, di emozionarsi... Di esperienze sorprendentemente nuove che possono celarsi nel nostro quotidiano. Un percorso da mille sfumature e altrettante voci che spero abbiano aperto qualche interrogativo da affrontare nella dimensione personale, oltrepassando questa riflessione generale per abbracciarne una più intima e vicina. L'emozione, nel precedente capitolo, ha suggerito una visione alquanto paradossale ma non di certo meno convincente: come ci conferma Norman, percezione e sensibilità trovano riscontri scientifici che non ne fatto più dei meccanismi astratti e totalmente incontrollati. L'emozione, a riscontro positivo o negativo, permea e determina l'intero sistema di interazioni che intratteniamo ogni giorno, con persone, cose, luoghi...Un mosaico di valutazioni stratificate che è bene non sottovalutare sia nel saper vivere sia, tanto meno, nel progettare. D'accordo con questa teoria è di certo Neutra che, come abbiamo visto, traspone il concetto in una dimensione trasognata, legata alla natura umana ma non per questo astratta dalla necessità del buon costruire, del trovare la strada per creare strumenti adatti al nostro benessere in tutte le accezioni che questo comporta. Un'emozione che per l'architetto diventa così chiave di sopravvivenza, di un'entità da riscoprire perchè troppo a lungo lasciata allo scontato. Come possiamo allora riassumere le pluralità appena incontrate in una soluzione progettuale che risulti alternativa ma non per questo forviante dalle sue basi di riferimento? Finora, la questione del congiungere le parti non risulta poi così impossibile: l'abitare è emozione, tanto da azzardare anche il suo viceversa. Notiamo infatti in entrambi un puro coinvolgimento, un parlare vivo e partecipato, capace di trovare ovunque, o quasi, i luoghi per il suo essere. Abbiamo visto che l'abitare può assumere moltissime forme e questo ha costituito una grande sfida per la definizione di una morfologia di progetto attinente in tutta la sua organicità. Che forma dare all'abitare? E soprattutto, con quale funzione concreta e specifica potremmo raccontarla?

L'intenzione è quella di dar luogo a una nuova soluzione progettuale che stupisca pur rimanendo in un alone di complice familiarità

La combinazione di abitare ed emozionarsi è quanto più naturale ci sia, entrambi accomunati da un prezioso coinvolgimento per ciascuno di noi

L'intento allora si muove nella direzione del 'luogo', del creare atmosfere abitative prima che veri spazi, tali da adempire a funzioni aperte, che all'utente spetta specificare. A questo, si aggiunge l'obiettivo di coinvolgimento, pensando a come attivare l'utente rispetto a una struttura a sua disposizione, senza risultare un'azione macchinosa e troppo impegnativa. La difficoltà di riassumere questo tema così personale non ha di certo demotivato ma, anzi, ha dato la possibilità di spingersi oltre le convenzionalità dello sviluppo progettuale, per abbracciare un develoapment che corresse al pari passo con la riflessione e il ricercare. L'emotional design ha fatto da mezzo d'eccellenza per filtrare i canali di comunicazione da utilizzare per creare un prodotto nuovo, originale, che si muovesse tra contrasti ed immagini del vissuto. L'intenzione è infatti quella di creare un oggetto apparentemente familiare ma che sorprenda, dalla personalità accattivante ma non rumorosa. La scelta dei materiali e dei colori in questo caso non è quindi risultata di secondo piano per la resa dell'effetto. E' proprio in questi dubbi che emerge un interrogativo 'superiore' che si domanda, dopo lo spazio, in che tempo raccontare l'abitare, a che suggestioni legare una tematica che, sebbene presa nella sua purezza, si trova oggi al centro di un dibattito aperto così spinto all'abbattimento delle 'vecchie' letture a riguardo.


L'intuizione per un nuovo modo di far living

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Dopo aver riflettuto a lungo e definito anche il con 'chi' voler comunicare, la risposta ha avuto dubbi: per parlare della casa con chiarezza e a tutto il pubblico, serve una radice naturale, quasi innata nel pensiero, che sia d'esperienza anche per chi non ne ha. Non per questo, però, bisogna tralasciare il grande percorso con cui nei millenni abbiamo plasmato l'abitare secondo le nostre esigenze, quale grande mix di materiali, forme e funzioni alla ricerca di combinazioni perfette. Sfruttando questa miscela, ho cercato di dar voce a una visione di casa più piccola, più zoomata, che per una volta non fosse affrontata nei grandi spazi dell'architettura ma nell'audacia del design. Di certo una sfida a cui non mi sarei sottratta fin dal principio, perchè occasione per parlare dello spazio, del tempo...E di noi. Un'indagine quindi a 360 gradi che mi ha permesso di esprimere un'opinione, e un'interpretazione, del tutto personale su una tematica già assolutamente avvolta nella sfera dell'imtimità di ciascuno.

Parlare della casa a tutti, senza distinzioni d'età o cultura, ma non dimendicando le conquiste d'oggi: ecco come nasce la sfida del progetto Livia

Livia è un progetto ambizioso che deve tanto al pensare, ma che non manca di voce per raccontare storie nuove. Vuole essere 'una casa nella casa' che sappia regalarci momenti di benessere, nella preziosità che questi possiedono e che spesso tralasciamo. Livia nasce paradossalmente nella contraddizione di ciò che vuole essere originale ma non per questo stupire ad ogni costo e con baccano. La sua natura nasce e si arricchisce nelle funzioni del vissuto, nel farsi compagnia domestica su cui contare. Per assimilare tanti obiettivi così importanti e complessi, ci si è appellati ad alcuni suggerimenti dal mondo del design che, forse anche involontariamente, hanno detto la loro per reinterpretare il living sotto le parole del gioco e dell'immancabile raffinatezza che tutti desideriamo. Campeggi, in primis, è stata una brillante ispirazione: un'azienda che costituisce un vero vanto del Made in Italy capace di soluzioni ben lontane da noia e convenzionalità. Pionieri del design trasformabile, capace di forme sfumate, ibride, che sembrano nasce dalla nostra immaginazione. Piccole palestre in casa o angoli di relax nascosti da elementi colorati da scoprire ogni giorno in casa. Ma ancora gonfiabili, tappeti elastici, luci inaspettate...Il design giovane di Campeggi piace ad ogni età. Altra ispirazione proviene dalla Ligne Roset, tra le aziende leader nella creazione di imbottiti curati in ogni minimo dettaglio. Le sue sedute sono capolavori plasmati nell'esperienza quasi sartoriale che solo una ditta con oltre 150 anni di carriera può vantare. Le cuciture legano i materiali in forme affascinanti, definite da linearismi perfetti e solidi come da superfici impalpabili, plumbee. Prodotti che hanno collezionato tanti applausi tra il loro pubblico, soprattutto da chi, a casa, non può rinunciare al suo posto sul divano. E' proprio attraverso la Ligne Roset che arriviamo a una coppia di raffinati designer la cui firma è sui prodotti più trasognati del panorama del design oggi: i fratelli Bouroullec sono i promotori di una sensibilità nuova che di certo non passa inosservata. Le loro superficie avvolgono l'ambiente in nuove atmosfere, in dimensionalità delicate ed ispiratorie. Proprio loro meritano un occhio di riguardo per prendere spunto di una ricercata tecnicità che si unisce all'estetista. Realtà importanti per cercare nuove soluzioni cogliendo metodologie consolidate la cui comunicatività non si è acora esaurita a nuovi tentativi.


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Livia, una seduta multifunzionale

Case study #1 Campeggi e il design trasformabile La filosofia del brand Campeggi è 'le cose cambiano'. Poche parole per spiegare l’interessante percorso di questa Azienda italiana che crea arredi mutanti che sembrano una cosa e poi in un’attimo si trasformarmano in tutt’altro. Originali, divertenti e di gran design sono prodotti versatili che risolvono i problemi di spazio in modo innovativo. Per evitare la noia delle posizioni acquisite, per superare l’immobilità delle situazioni sedimentate, per rimettere in moto desideri e piaceri, Campeggi immagina un universo luminoso e dinamico di oggetti pronti a muoversi e trasformarsi per assecondare il vostro piacere di abitare, vivere, cambiare. Gli oggetti della collezione Campeggi danno vita a un catalogo che nei prossimi anni costituirà con evidenza un riferimento per chi cercherà innovazione tecno-tipologica e non banalità, lievità e non lusso, intelligenza dinamica e non statica immobilità. L’immobilità evita il dialogo e non registra gli eventi nel mondo intorno a noi. Le cose che non cambiano sono destinate a inaridirsi, solo quelle in grado di cambiare non muoiono. Un brand che è sinonimo di innovazione e di sperimentazione delle forme, che negli anni si è imposto come distributore di oggetti pronti a mutare con noi. La filosofia di Campeggi nasce giustappunto dalla voglia di evitare la noia delle posizioni acquisite, e si rivolge al superamento dell’immobilità delle situazioni sedimentate, pronto ad assecondare le estemporanee istanze di mutamento degli spazi quotidiani. Tantissimi sono gli articoli che l’azienda lombarda ha introdotto fra le sue creazioni che ricalcano in pieno la voglia di sganciarsi dalle staticità dei soliti arredi, promuovendo viceversa una campagna fatta di colori, comodità e soprattutto movimento, regola base associata ad ogni progetto. Un catalogo, quindi, costantemente arricchito di anticonformismo, freschezza, humour, invenzione e leggerezza. L’azienda Campeggi si contraddistingue per una nuova filosofia dei trasformabili.

La visione di Campeggi, diretta da un imprenditore, Claudio Campeggi che ha scelto il concetto della trasformabilità come comune denominatore di tutta la sua produzione, è affidata a un gruppo ideativo-progettuale di designer portatori di poetiche differenti.

Per maggiori info, campeggisrl.it

Campeggi ha condotto precisi studi ergonomici per dotare i suoi trasformabili di quei requisiti tecnici che ne fanno comodi letti già pronti. Due sono, essenzialmente, gli elementi che contribuiscono a un buon sonno: indeformabile la struttura del supporto che sostiene il corpo, morbido ed elastico il suo materasso. E' per questo che Campeggi si è fatta azienda leader nel settore, con la produzione di mobili comodi e funzionali capaci di trasformarsi in base ai bisogni di chi li vive. Divani, poltrone e pouf letto, realizzati in tessuto e dai colori vivaci, permettono di ricavare posti letto aggiuntivi in un’epoca in cui gli spazi nelle abitazioni tendono ad essere sempre più esigui. Da tappeto a divano, da divano a palestra, da palestra a letto… I prodotti Campeggi non finiscono mai di trasformarsi. Con l’aiuto di ingegnosi designer, l’azienda sviluppa due linee di prodotti: una di divani letto intitolata 'per Una filosofia del dormire' e una di prodotti dalle doppie funzioni 'Le cose cambiano'. Colorati e sempre pronti a stupire, si rivolgono ad un pubblico giovanile. Nati inizialmente con lo scopo di risolvere in modo scherzoso i problemi legati ai piccoli spazi, si fanno ora simbolo di una reinterpretazione del vivere l’ambiente di casa in maniera dinamica: i salotti si nascondono in un letto e le palestre sono a portata di mano.


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Case study #1: Campeggi e il design trasformabile

XITO

// Giovanni Levanti, 1999

Un oggetto difficile da definire che solo il catalogo Campeggi poteva accogliere. Non è una poltrona, non è un divano, non è un letto, non è una chaise-longue, non è un tappeto ma qualcosa che ha in se tutto questo: per leggere, guardare la tv, meditare, lavorare al computer, fare ginnastica, giocare coi bambini, fare l’amore o dormire. Imbottito ambiguo e spiazzante lo Xito è posizionabile sui bordi di diverse tipologie comuni all’arredo domestico.

Materiali: Lycra

Misure: larghezza 137 cm altezza 70 cm profondità (max) 212 cm

La sua specificità credo sia proprio questa: non l’unione esplicita di cose differenti ma qualcosa di unico, riconoscibile e compiuto, aperto a più possibilità d’uso. Proposto alla Campeggi nel 1999 – e approvato con molto intuito rispetto ai tempi da Claudio Campeggi, proprietario e art director dell’azienda – è il primo di una serie di esplorazioni sul comfort domestico sviluppate negli anni successivi.

Selezione al XIX Premio Compasso d’Oro ADI 2001 Collezione Permanente di Design della Triennale di Milano Collezione Permanente di Design del Montreal Museum of Fine Art Collezione di Design del Fukui Design Centre in Giappone


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Livia, una seduta multifunzionale

Non solo poltrone, o sedute, ma 'oggetti d’uso' in un senso ampio, che intercettano temi quali il fitness, il gioco, l’iconicità simbolica, quasi scultorea dell’oggetto. Ciò che mi ha affascinata di questa azienda è la varietà propositiva, la freschezza di spirito che rende Campeggi un brand vincente, d'avanguardia, quasi futurista. Proposte di design che covano grandi riflessioni sull'attualità: in che modo ci rapportiamo con la casa? Che aspettative abbiamo verso i nostri oggetti? Tante domande a cui Campeggi risponde con vere e proprie visioni variegate e sorprendenti: talune più oniriche, altre più costruttiviste e altre ancora più ispirate allo spirito dell’avventura. Soluzioni audaci capaci di far convergere raffinatezza, ludicità e, soprattutto, nuovi canali di funzionalità. Chiamare questi prodotti 'ibridi' è limitativo, in quanto caratterizzati da peculiarità funzionali così ben coordinate da dar vita a risultati unici, nuovi. Unire luoghi (non spazi!) differenti per attività diverse capaci di creare nuovi approcci, sempre inaspettati, nei suoi utilizzatori. E' questo ad aver reso Campeggi un'azienda vincente tra il pubblico, oltre che nel mondo del design, perchè immediatamente capace di riconoscerne le potenzialità e il mai scontato calore che, anche implicitamente, si cerca in ogni articolo d'arredo. Prendendo in considerazioni alcuni prodotti di catalogo, è subito riscontrabile il caratteristico seppur variegato approccio che ha reso questo brand così distintivo. 'Foresta', presentato al Salone del Mobile di Milano 2015, è un originalissimo divano letto che sembra uscito da un libro di favole: ispirato al campeggio, vede la sua forza propria nella forma semplice ma 'parlante', capace di chiamarci al suo interno come un innato richiamo per bambini, avventurieri, amanti del relax. Nello stesso gioco comunicativo, rientra 'Girella', storico prodotto dell'azienda, che con golosità vuole catapultare il suo ospite in una vivace pausa full-day, trasformandosi da seduta a materasso in un piccolo gesto suggerito dall'intuito. 'Ercolino' invece, sperimenta sulle superfici, sugli incastri, sui ribaltamenti: un morbido solido multifunzionale da vivere sia come letto che come comodo portaoggetti. E ancora 'Family', un progetto suggestivo notato anche dalla ADI Index 2015, legato al ricordo e alla convivialità. Una rilettura della classica cassettiera di famiglia per la definizione di un oggetto polifunzionale: contenitore, lampada, letto, seduta... Mille e più reinterpretazioni racchiuse in un prodotto che sembra emergere dalla memoria di ognuno.

'Recensioni della piccola e media industria italiana: Campeggi', di Giampiero Bosoni Domus nr 942, Dicembre 2010

„ Per accelerare prima dello sbadiglio, Campeggi vi propone il proprio dizionario fatto di Comodità, Agilità, Movimento, Pragmaticità, Economicità, Grazia, Gioco, Imprevedibilità. “ La Comodità ovvero l’uso di materiali tecnologicamente avanzati e frutto di studi ergonomici d’avanguardia; l’Agilità fisica ma anche mentale di ogni pezzo della collezione; il Movimento come regola base che permette la trasformabilità di ogni progetto; la Pragmaticità figlia di una tradizione aziendale che pur sognando e inseguendo immaginari inediti non si spinge in voli pindarici su territori impraticabili; l’Economicità come primo obiettivo; la Grazia della misura, dell’equilibrio e della sobrietà, date dalla collaborazione stretta e complice con i migliori progettisti internazionali; il Gioco come piacere preso seriamente, certi dell’importanza del sorriso; l’Imprevedibilità come logica conseguenza di una filosofia aziendale che non pratica l’ovvio e mai si adagia sulle posizioni acquisite.


C Matali Crasset Sakuta Adachi Premiata nel 2010 con il Red Dot Design Award per il porta frutta Eclipse. È docente presso l’Istituto IED di Milano.

Sempre alla ricerca di nuovi territori da esplorare, collabora con realtà diverse ed eclettiche.

Lorenzo Damiani Si occupa di furniture e product design e ha collaborato con diverse aziende tra cui Cappellini, Ceramica Flaminia, Illy Caffè eLavazza.

Vico Magistretti Giovanni Levanti Suoi oggetti, progetti e disegni sono selezionati per prestigiose mostre internazionali e sono esposti nella Collezione Permanente del Design Italiano della Triennale di Milano.

Architetto, Designer. I suoi arredi e oggetti rimangono dei classici della produzione contemporanea.

Giulio Manzoni Titolare di numerosi brevetti italiano ed europei, opera nell'Industrial Design con particolare attenzione ai prodotti polifunzionali e delle nuove tecnologie.

! Emanuele Magini Denis Santachiara Designer anomalo e outsider nel panorama internazionale, ha ideato opere tra arte e design esposte in varie manifestazioni italiane e internazionali.

E' cultore della materia presso il Politecnico di Milano, collabora e ha lavorato con numerose aziende tra cui Heineken e Seletti.

Adrien Rovero Collabora con brand internazionali quali Hermès, Droog Design e Dim.


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Livia, una seduta multifunzionale

GIRELLA

// Lorenzo Damiani,

2010

Cultore delle mutazioni, spesso nei suoi progetti Lorenzo Damiani coltiva piccole sorprese, che siano innovazioni nella meccanica della trasformazione o un particolare brillante e giocoso. Girella è la sua poltroncina trasformabile con struttura morbida in poliuretano e ovatta di poliestere rivestita in Lycra: priva di meccanismi, la struttura si srotola rivelando un materasso molto ampio, adatto per giocare o riposare, mentre nella versione arrotolata il materasso si fa seduta e schienale di una poltroncina pensata per i bambini. Lycra larghezza 62 cm profondità 41 cm altezza 70 cm Misure letto: cm 80 x 193

FAMILY

// Lorenzo Damiani,

2014

Arredo informale che fonde riferimenti morfologici tradizionali e nuovi bisogni contemporanei. Il ricordo di una vecchia cassettiera diventa la custodia di quattro “cassetti” morbidi con maniglie in cordura che in realtà sono letti singoli da utilizzare per ospitare un’intera famiglia oppure da reinterpretare come sedute basse. La morbidezza trapuntata, tipica dei materassi, viene enfatizzata dall’uso di quattro colori diversi per il tessuto di rivestimento. La cassa in laminato integra anche una lampada di servizio. Quando è libero dai materassi, il volume diventa un piccolo spazio in cui gli ospiti posso temporaneamente sistemare i propri effetti. Selezionato da ADI Index 2015 lana, cotone, laminato larghezza 95 cm profondità 23 cm altezza 195 cm


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Case study #1: Campeggi e il design trasformabile

FORESTA // Sakura Adachi,

2015

Foresta è un divano letto che si trasforma in modo straordinario. Il rivestimento è teso alla struttura triangolare e invita ad affondare nel tessuto elastico che aderisce perfettamente al corpo. Aprendo la chiusura lampo, poi, appare un letto con luce a LED in cui ci si può rinchiudere per conquistarsi uno spazio intimo e protetto. ​La struttura è smontabile e sfoderabile, proprio come una tenda. Presentato al Salone del Mobile 2015 Tessuto elastico e legno

ERCOLINO // Giulio Manzoni,

2006

l tema del letto d’emergenza è uno dei preferiti da Campeggi. Ma con Ercolino si va un po’ oltre, visto che qui il letto è un letto vero, perfetto per il riposo ergonomico. Il plus è la possibilità di fruire di questo letto anche in versione verticale, come soffice parete portaoggetti: il sollevamento è agile e del tutto privo di sforzo, in totale sicurezza. Non c’è bisogno di disfare il letto per sollevarlo, né di svuotare il portaoggetti prima di portarlo in posizione orizzontale. Il rivestimento è in Lycra disponibile nei vari colori a campionario, il materasso in poliuretano. Selezionato da ADI Index 2015 Lycra larghezza 100 cm profondità 225 cm altezza 27 cm


L'eleganza di Ligne Roset trova immagine nell'affascinante, provocante campagna pubblicitaria ideata dallo Studio Callegari Berville Grey di Parigi, promossa dal 2002 al 2007. Un gioco di metafore, dai colori alle forme, suggerisce le ispirazioni dell'azienda: una trasposizione di sensazioni e texture in un catalogo in continua crescita. Dietro le foto, si vanta il nome di Christian Kettiger. ' Creazioni per lo spirito, gli occhi, il fondoschiena...' La campagna La campagna ha meritato numerosi premi, quali Epica Awards 2001 per la sezione 'Home, Furnishings & Appliances' e il Grand Prix de l'Appm nel 2002,


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Case study #2: Ligne Roset e l'imbottito da reinventare

Case study #2 Lignet Roset e l'imbottito da reinventare

Per maggiori info, ligne-roset.it

Ligne Roset è un marchio che realizza mobili e complementi d’arredo dal fascino straordinario. Azienda nata oltre 150 anni fa, da sempre mette a punto elementi ideali per arredare la propria casa con gusto e garbo. Una grande storia di tradizione, rispetto e artigianalità made in France che ha fatto della Ligne Roset una pietra miliare del design internazionale. Tutto vede il suo inizio nel 1860 quando Antoine Roset, intraprendente imprenditore, aprì la sua attività di silvicoltura nella regione di Bugey, installando il primo mulino per la lavorazione del legno sulle rive del fiume La Brivaz. Molto presto le attività vennero diversificate e, con l'aiuto di suo figlio Emile, si passò alla diretta fabbricazione di bastoni, ombrelli e quant'altro in legno curvato. Non ci volle molto finchè l'azienda virasse la sua produzione verso l'arredo: già da un decennio, l'austro-ungarico Michael Thonet si era imposto sulla scena europea proprio con il suo innovativo sistema di curvatura a vapore e la richiesta del suo pubblico continuava a crescere sotto lo stupore e il fascino della nuova grande 'scoperta'. Proprio sulle sue orme, Ligne Roset riuscì a farsi competitiva con una grande sedie di sedute e divani dal design ricercato. Nel contesto della ricostruzione post-bellica, Jean Roset, il pronipote di Antoine, prese le redini aziendali per portare la produzione esistente, già con 50 dipendenti al seguito, verso una via più seriale, per arredi 'a contratto'. Questa fu l'era d'oro del 'marché public': la casa Roset produsse arredi in enormi numeri, per scuole, università, organizzazioni sociali, case di riposo. Letti, sedie, divani... La collaborazione con grandi architetti garantì fin da allora una mission aziendale anche ben lanciata negli obiettivi dell'estetica e della funzionalità. Dopo Jean Roset, i suoi figli Pierre e Michel videro nell'esplosione creativa degli anni Sessanta e Settanta l'opportunità di consolidare il loro business entrando a casa dei privati, nel 'domestic market', per gli spazi della casa e del living. Appassionati di design, iniziarono a lavorare con architetti d'interior quale lo stesso Michel Ducaroy, designer del divano Togo nel 1973, anno decisivo in cui Ligne Roset vide la creazione ufficiale del proprio brand. Questo variò notevolmente la distribuzione, portando all'apertura dei primi store ufficili, fino a quelli di oggi, presenti in tutte le maggiori città del mondo.

E' proprio l'intuito di voler conciliarsi con la domesticità' ad aver reso grande l'azienda, sebbene ancora oggi continui a mettersi a disposizione per l'arredo di grandi spazi destinati alla collettività. Nel corso dei suoi 150 anni di storia, la Ligne Roset è diventata sinonimo ddi un elegante lifestyle, calcando la sua firma tra i più grandi talenti del design contemporaneo. Nell’arco della sua lunga storia Ligne Roset ha collaborato con numerosissimi designer ed architetti che hanno portato alla creazione di oggetti senza tempo ed assolutamente distanti dall’essere ordinario. Dalla Francia al panorama internazionale il passaggio è quasi immediato, un intenso lavoro di squadra e grandi nomi come Pierre Paulin, Peter Maly, Didier Gomez, Gamfratesi, Eric Jourdan e molti altri, trovano perfetta sintonia con l’azienda ed il suo spirito romantico ed ecosolidale. Uno stimolo creativo per la produzione di elementi d’arredo dai colori tenui e rilassanti, lontani dall’eccesso del design industriale moderno e distinguibili per qualità e innovazione funzionale. I numerosi premi nel settore confermano Ligne Roset un brand dalle mille sorprese e qualità, sempre pronto a dettare nuove tendenze ed eterni classici.

Coi suoi più di 150 anni di esperienza, Ligne Roset continua ad essere un punto di riferimento per il design internazionale. Il connubio di sperimentazione e creatività fanno dell'azienda una protagonista di eleganza ecarattere


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Livia, una seduta multifunzionale

1936 1860 Fondata nel 1860 da Antoine Roset, il nonno dell'attuale presidente della società, la società Roset è un esempio tipico dello sviluppo che può operare un'industria artigianale minacciata dal cammino del progresso.

L'impresa Roset produce i primi divani imbottiti e si orienta dal 1946, verso l'imbottito moderno e l'arredamento della collettività. Con un atto del 19 marzo 1946, Emile Roset e suo figlio Jean creano la società in accomandita a responsabilità limitata "Veuve A. Roset". Erano i soli soci dell'epoca, con un capitale di 15.000 franchi.

1973 Nasce uno degli oggetti che è maggiormente rappresentativo della linea e dello stile di Ligne Roset, a firma di Michel Ducaroy: il divano Togo.

1880

2015

Antoine Roset si installa a Montagnieu, luogo ideale per l'azienda. Si specializza, nel corso degli anni, nella fabbricazione dei bastoni e degli ombrelli in legno curvato. Nel frattempo, l'evoluzione delle abitudini obbligherà Roset a trasformare le sue attività e concentrarsi nella fabbricazione di sedute in legno e divani in stile.

Roset S.A. con 5 filiali commerciali in Italia, USA, Germania, Svizzera e Inghilterra, dispone di 8 unità produttive, 150.000 mq. coperti riscaldati ed attrezzati con macchinari moderni anche in materia di sicurezza e di igiene.

1940 Dopo la II Guerra Mondiale, la Ligne Roset era principalmente impegnata in lavori contract attraverso le forniture di scuole, biblioteche, ospedali e uffici. Questo tipo di grande produzione di sedie e poltrone è diventata la base delle conoscenze e dell'esperienza attuali.

1986 Nasce la filiale Italiana che attualmente vanta 150 punti vendita autorizzati ed un team di 15 persone tra l'ufficio di Milano e gli agenti di zona


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Morbidezza, resistenza, tattilità e cromatismi: i capisaldi dietro ogni prodotto firmato Lignet Roset. Una ricerca stilistica che vanta un know-how storico, condito dalle grande personalità di design che continuano a legarsi alla sua attività

Case study #2: Ligne Roset e l'imbottito da reinventare

Tra le varie qualità dell’azienda, oltre sicuramente ad una grande creatività delle collezioni vi è una forte attenzione all’ambiente che si esplicita in parole come eco-design, riciclaggio, utilizzo di materiali sostenibili, recupero dei rifiuti e abbattimento dell’inquinamento industriale. La Ligne Roset tiene molto a consolidarsi nella sua immagine sostenibile, da sempre portata avanti, tanto da dedicare una sezione del proprio sito ad accurate informative sui dati ambientali sostenuti dalla sua attività. Come da suo iter, possiamo notare come l'azienda abbia virato la sua specializzazione verso gli imbottiti. Con il sostegno di materiali nuovi e tecnologie innovative, la Ligne Roset è riuscita a dar forma a icone del design che ogni giorno si caratterizzano in termini di originalità, artigianalità, cura dei materiali. Proprio questi ultimi, fanno dell'azienda un vero top di gamma nell'imbottito: l'uso del Bultex, un particolare poliuretano ad alta resistenza, è una garanzia in termini di resistenza e performance. Ciò che più stupisce dei prodotti in catalogo è la versatilità con cui le superfici sono modellate, creando volumi differenti seppur nella stessa tipologia. Imbottiture e cuciture danno forma a prodotti totalmente differenti, eppur così coerenti nell'immaginario aziendale. Le cuciture sono qui usate in una doppia funzionalità, estetica e funzionale, creando motivi, effetti grafici e inusuali linearismi, dalla spiccata capacità di invito al relax. Volumi sfaccettati, oneblock, come adagiati sulla struttura: il tutto grazie alla capiente sceltà di superfici e densità. Il poliuretano espanso è scelto e localizzato come 'anima' di ogni prodotto a seconda delle parti d'uso, così da calibrare le variabili di morbidezza e resistenza a salvaguardia della durabilità. La combinazione di ovatta ammorbidisce gli spigoli, definendo volumi stravaganti e sostenuti, come Moël, di Inga Sempè: forme arrotondate e morbide che creano uno spazio conviviale dai sentori eleganti. Ai corpi, si legano tessuti unici, conferma di una cura del dettaglio con cui si continua la ricerca stilistica verso volumi belli da guardare e toccare. Tessuti tecnici, sintetici o pelle rivestono i prodotti ad hoc per esaltarne le forme o, addirittura, creare ulteriori motivi superficiali. E' il caso di Ploum, firmata dai fratelli Bouroullec anche nell'inventiva del tessuto, un divano dalle linee futuristiche che vede l'utilizzo congiunto di un rivestimento stretch e di un espanso ultramorbido. Piccole cuciture arricchisco il tessuto di nuove qualità tattili, che fanno sembrare quest'originale seduta una sorta di spugna marina. Il tutto, ovviamente, in comfort estremo dato dalle infinite possibilità di postura che questo prodotto propone. Morbidezza, resistenza, tattilità... tonalità. Anche Ligne Roset non poteva tirarsi indietro alla scelta di una palette che rappresentasse la sua idea di relax e comodità. Il catalogo dell'azienda si colora di mille sfumature, capaci di eleganti passaggi tra le tonalità neutre, pastello, a quelle più elettriche e dinamiche. Scelte ben valutate per valorizzare la personalità di ogni oggetto e farne un immediato punto di comunicazione coi suoi ospiti. Il divano Ruché è un perfetto portavoce, i cui colori sono un espediente di gioco tra le parti per contrasti e morbidi richiami. Sempre a firma di Inga Sempè, la seduta nasce intorno all'idea di una morbida trapunta adagiata su una sedia, che ha così dato forma ad equilibrato incrocio di superfici e materialità di richiamo alla casa. Il 'ruchè' da cui prende il nome, stoffa arricciata o plissettata che serve da ornamento per abiti, è qui reinterpretato in un'enorme coperta dalle cuciture diagonali, proposta nelle combinazioni cromatiche più svariate. E' in ogni dettaglio, in ogni prodotto, che Ligne Roset mostra l'invidiabile know-how acquisito nella propria esperienza centenaria di cura e passione. L'azienda francese, con al suo seguito una lunga lista di designer di calibro internazionale, continua a dettare pezzi unici di buon design, destinati a perdurare e onorare la sua già lunga attività.


„ Un tubetto di dentifricio ripiegato su se stesso, come una tuba e fissato alle sue estremità. “ Il post ‘68 e l’esplosione creativa degli anni ‘70 convincono Jean Roset a orientare l’attività verso la clientela home. Alla guida della divisione di progettazione della società Roset, Michel Ducaroy è la punta di diamante di quest’evoluzione. La ricerca di nuovi concept di seduta, favorita dalla rapida evoluzione dei costumi dell’epoca e dal debutto di nuovi materiali (espanso, ovatta, plastica termoformata) spinge Jean Roset e Michel Ducaroy a sviluppare nuove tecniche di fabbricazione negli anni 1960—70. Ma è il modello Togo 'seduta-cuscino', presentato nel 1973 al Salon des Arts Ménagers a Parigi che consacra Michel Ducaroy. Fu accolto da qualche smorfia dubbiosa tanto da parte dei professionisti quanto del pubblico per il suo look raggrinzito da neonato e le pieghe da Shar Pei. Ciò nonostante,nell’occasione, i giudici ebbero la giusta ispirazione da assegnargli il premio RenéGabriel, assegnato fin dal 1950 a un designer creatore di un 'mobile innovativo e democratico', due anni prima conferito a Pierre Paulin. Seduta di culto degli anni Settanta e forte di un successo mai tramontato a partire dalla sua creazione, Togo rappresenta inoltre un best-seller del marchio Ligne Roset, a oggi venduto in più di 1 milione e 280 mila esemplari in 72 paesi. Dal primo esemplare, non ha mai smesso di essere realizzato nei laboratori di Briord, un paese nella regione del Bugey, ai confini con gli ultimi contrafforti della catena del Giura.

Questo divano è dotato di una forte personalità ed è l’esempio di come prodotti senza tempo rimangano attuali anche a più di 40 anni di distanza. Struttura in poliuretano espanso per l'elasticità e seduta in ovatta per la morbidezza, sono caratteristiche che gli hanno permesso di cavalcare i vari stili in materia di arredo e design nell’arco del tempo sino a giungere ai giorni nostri sempre perfettamente attuale. Il divano Togo è stato ed è perfetto per ambienti classici e formali così come creativi e passionali, grazie anche alla svariata scelta di colori e tramature (ben 899) a disposizione dei suoi clienti. Togo è inoltre disponibile in più varianti per costruire un sistema di sedute: angolo, chaiselouge, pouf, da 2 o 3 posti... il successo riscosso da Togo tra il pubblico per la sua simpatia nonché per le sue caratteristiche di forma, comfort e sicurezza (modello completamente in espanso, senza alcuna parte dura) ha spinto Ligne Roset a metterlo a disposizione dei piccoli. Dal 2007 Ligne Roset propone infatti un Mini-Togo per la fascia di età dai 4 ai 12 anni, declinazione in versione mini della poltrona originale senza braccioli. In cocnclusione, una seduta amica che vede il suo successo nella morbidezza, nella comodità, in una forma indistruttibile al tempo e al gusto che ne ha fatto un'icona del design.Leggero, universale, poliedrico, artigianale, senza tempo... Oggi come 40 anni fa, il successo di un prodotto che piace, ad ogni età e in ogni come.

Nato il 4 novembre 1925 a Lione, il designer francese Michel Ducaroy è cresciuto in una famiglia di industriali creatori di mobili contemporanei, il laboratorio Chaleyssin, fornitori di arredi per il transatlantico Normandie. Muove i primi passi nell’azienda di famiglia, dopo aver frequentato l’École Supérieure Nationale des Beaux Arts di Lione, specializzandosi in scultura. Il 1960 segna l’incontro decisivo con Jean Roset (1920 – 1999). Michel Ducaroy sviluppa ancora numerosi modelli per Ligne Roset, come Kashima 1976, Dianthus 1978, Armelle 1980, Anaïs e Brigantin 1981, Ketch 1982, Carol 1984, Amadeus e Yoko 1985. Si ritira dalle scene nel 1986, dopo 26 anni di collaborazione con il marchio dopo averne determinato in modo sostanziale la diffusione e lo sviluppo internazionale. Dopo aver trascorso i suoi ultimi anni di vita dedicandosi con passione alla tutela del patrimonio rurale edificato della regione, si è spento a Lione il 30 luglio 2009 all’età di 83 anni.


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Case study #2: Ligne Roset e l'imbottito da reinventare

L’utilizzo esclusivo dell’espanso per la struttura lo rende unico, morbido, accogliente, senza spigoli vivi né zone dure, privo di pericoli per i più piccoli. I più recenti progressi tecnologici in materia di poliestere e poliuretano espanso riaffermano oggi la longevità dell‘eccezionale comfort. La struttura completamente in espanso di 3 densità: poliestere espanso 21 kg/m3 – 3,2 kPa, poliestere espanso 28 kg/m3 – 4,8 kPa e poliuretano espanso ad alta resilienza 26 kg/m3 – 1,4 kPa. Fodera è generosamente imbottita di ovatta di poliestere. Il rivestimento trapuntato lascia trasparire un’abilità artigianale unica, dove la mano dell’uomo è l’insostituibile esecutrice di gesti specifici che daranno vita alle famose pieghe alla base della personalità di ogni seduta. L’elasticità degli espansi viene regolata dalle tensione dei fili che fissano i bottoni, rivestiti nello stesso tessuto o pelle della seduta. La realizzazione di un divano tre posti richiede un tempo di lavorazione di 4 ore per la versione in tessuto, e di circa 6 ore per quella in pelle.

La classica versione da due posti ha le seguenti misure Larghezza 131 cm Profondità 102 cm Altezza 70 cm


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Livia, una seduta multifunzionale

I fratelli Bouroullec e lo studio della superficie I fratelli Bouroullec sono considerati fra i nuovi astri del mondo del design. Giovani e rigorosi, riflessivi e nello stesso tempo appassionati; i loro progetti sono vere 'micro architetture', utilizzabili per diverse funzioni e per caratterizzare e variare gli spazi in cui si collocano. Ronan ed Erwan Bouroullec hanno lavorato insieme per oltre 20 anni, legati dalla meticolosità e stimolati dalle rispettive, distinte personalità. La loro carriera vanta di innumerevoli illustri commissioni, ovviamente onorate da altrettanti progetti che meriterebbero approfondimenti e studi anche al di là delle tematiche qui affrontate. Dovendone riassumere le principali peculiarità, è subito evidente la permeabilità di elementi modulari, di volumi 'pop-up'. Il concetto di utilità, si sa, è uno dei punti chiave su cui lavorare quando si fa design per l'industria. Si va ben oltre, però, quando ci si addentra nell'esplorazione del concetto di utilità in forma miniaturizzata, capace di trasformazioni infinite, fino ad adattarsi agli usi più svariati. Anche il design dei fratelli Bouroullec sembra funzionare in questo modo: l'aggregazione di più elementi crea pareti divisorie, protezioni, nuovi paesaggi domestici. Un mondo artificiale che cresce autonomamente e viene governato solo dalla fantasia e dalla libertà di scelta. 'I nostri progetti cercano in realtà di creare confini sensoriali: come se si stesse vicini a qualcosa, dietro qualcosa, sotto qualcosa. Cercano di dare allo spazio un altro feeling, una connotazione, di rendere l'utente più sensibile al luogo in cui ci si trova. E così la funzione di questi luoghi passa in secondo piano.' Il mondo dei fratelli Bouroullec si permea di contrasti: l'accostamento di tinte neutri con forti tonalità vibranti, la bidimensionalità che cresce nello spazio, il prendere forma di elementi geometrici in nuove personalità 'vive', nate per accogliere e adattarsi all'uomo. Il loro obiettivo sembra essere la messa a punto di una nuova grammatica del fare progettuale, che se ben usata produce l'effetto di una poesia, dove è il concetto di successione che crea la dimensione poetica, contro il fare prosaico che punta ad includere senza sosta. In questo caso, si tratta di continui processi di esclusione che portano a trovare soluzioni innovative: il voler togliere conduce a valorizzare la singolarità dei gesti e delle azioni quotidiane, guardandole come se fosse la prima volta. Supporti di ogni tipo divengono complici inaspettati delle nuove poetiche dell'abitare, reimmaginandone le leggi fondamentali per la ricerca di inaspettati habitat dove consolidare il nostro vivere.

'Design contemporaneo — L'utile sovversivo ed elegante dei fratelli Bouroullec', di Patrizia Mello, Edizioni Mondadori Electra 2008

'Milan furniture set: Sejima + Nishizawa SANAA, Grcic, Bouroullec, Sottsass', di Francesca Picchi, Domus nr 882 giugno 2005

'Quilt Sofa', di Francesca Picchi, Domus nr 926 giugno 2009

„ Una ricerca basata sulla comprensione intima di oggetti al tempo stesso semplici e intelligenti, progettati con semplicità e curiosità il più possibile vicino alla realtà “


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I fratelli Bouroullec e lo studio della superficie

Le ricerche dei due designer ben trapelano nei progetti nati degli ultimi anni che, nonostante la diversità delle committenze, hanno saputo esplicare il loro nuovo concetto di spazio. Nel 2008, i fratelli Bouroullec si faranno riconoscere anche dal pubblico più distratto con il progetto 'Cloud'. L'azienda tessile Kvadrat aveva affidato ai designer francesi il progetto del nuovo showroom di Copenhagen e questa è diventata l’occasione per sperimentare nuove soluzioni con elementi in tessuto. I fratelli Bouroullec hanno deciso, infatti, di non intervenire sulle pareti dello showroom e di utilizzare una grande tenda mobile realizzata con Clouds per dividere quando è necessario lo spazio tra zona di esposizione e uffici. Le piastrelle tessili si uniscono tra loro con una speciale banda adesiva che può essere liberamente staccata e riattaccata in modo da lasciare libera la fantasia nell’inventare composizioni diverse. Si tratta di un innovativo sistema a moduli geometrici in tessuto che si possono combinare in libertà creando tende, sfondi o divisori con un suggestivo effetto tridimensionale. La ricerca di una trama tessile che operasse la disgregazione dei diagrammi murari e delle ripartizioni dello spazio è stata ispirata poco tempo dopo, nel 2009, per una dimensione attutita, protetta, intima, interpretata in un progetto per Established & Sons. Con il Quilt sofà, il tema della trama di tessuto si estende al tema del sedersi. La seduta è un luogo accogliente segnato da una superficie morbida, la cui modularità sfrutta la potenzialità della cucitura. Il rivestimento, realizzato con un tessuto hi-tech elasticizzato, ingloba singoli pezzi di schiumato. L'idea è quella di adottare un linguaggio che sappia esprimere al piena voluttà del lasciarsi andare in un luogo accogliente combinato a un'esperienza di tipo sartoriale. Nel 2014, Ronan ed Erwan Bouroullec hanno creato per il marchio danese Kvadrat una collezione di tessuti tricot per tappezzeria costituita da tre motivi tattili, che infondono un marcato senso del volume e della profondità: Canal, Gravel e Moraine, concepiti per interpretare in modo innovativo il materiale tessile, sono tutti realizzati in doppio jersey. L'obiettivo: creare tessuti che mettono in evidenza superfici sensuali con strutture interne. Per produrre i motivi dei tessuti, tra i due strati di maglia sono inseriti spessi fili di poliestere, che vengono bloccati unendo lo strato posteriore con quello anteriore. Questa particolare costruzione consente a tutti i disegni di svelare elementi della struttura interna sulle superfici voluttuose. Benché siano diversi tra loro, i disegni hanno in comune caratteristiche e colori. Ciascuno ha un’espressione tridimensionale e presenta un motivo intrecciato, che combina un colore highlight e una tinta di base. Sono quindi ideali per essere combinati a piacimento.

Ronan ed Erwan Bouroullec hanno lavorato insieme per oltre 20 anni, legati dalla meticolosità e stimolati dalle rispettive, distinte personalità. Nel 1997 vengono notati da Giulio Cappellini, che offre loro i primi progetti di design industriale. Da allora, hanno continuato a lavorare con Established & Sons, Vitra, Magis, Alessi, Axor, Kvadrat, Kartell, Ligne Roset, Nani Marquina, Mattiazzi, Mutina e Flos. Dalla progettazione degli spazi a quella dell’arredamento, passando per progetti architettonici e il design di sistemi di pareti tessili o collezioni complete, i fratelli designer continuano l’attività sperimentale con la galleria Kreo, essenziale per lo sviluppo delle loro opere. In pochi anni, già due monografie, il 'Catalogue de Raison' e la successiva pubblicazione di Phaidon nel 2003 raccolgono le immagini del loro lavoro. Nel 2012 due mostre sono state dedicate al loro lavoro. 'Album' al Vitra Design Museum e 'Bivouac', una mostra monografica inizialmente ospitata al Centre Pompidou Metz e poi al Museum of Contemporary Art di Chicago.


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Livia, una seduta multifunzionale

Tra le realizzazioni più recenti, la serie di sedute Facett per Ligne Roset, 2005: uno studio accurato della superficie che costituisce ogni elemento fino a plasmare corpo minimal dalla forma monolitica. Un reticolo di sfaccettature e cuciture, tono su tono o in contrasto, della trapunta rievocano inevitabilmente il lavoro di taglio di un minerale prezioso, la complessa piegatura degli origami giapponesi, la perfezione di un lavoro sartoriale. Il risultato si deve alla perfetta cucitura delle cerniere, tali da formare alcuna piega del tessuto. Ligne Roset, coi suoi eccellenti know-how in merito, all'intelligente uso dei tessuti e la competenza nella realizzazione delle schiume, è riuscita a dare concretezza a questo progetto così inusuale negli intenti. Dopo aver visto all’interno della fabbrica la presenza di macchine da cucire digitali, prima d'ora utilizzate per realizzare coprimaterassi e piumini, nasce l'intuizione dei fratelli Bouroullec: sfruttare l'alto potenziale di queste macchine per rivolgersi all'ipergeometria ed avvicinarsi all’aspetto abitualmente morbido del tessuto. Le macchine dell'azienda francese sono qui utilizzate per realizzare sandwich di tessuto, cucendo il rivestimento su uno strato di schiuma sottile fino a raggiungere lo spessore di circa un centimetro. Il rivestimento, un tessuto lavorato a maglia iper stretch, elastico come una calza o collant che non fa mai pieghe: un materiale che si sagoma attorno alle forme del corpo, senza imprigionarlo, lasciandogli tutta la sua libertà.

Lo studio dello spazio prende nuova forma con la seduta Facett, nata dall'ardito tentativo, ben riuscito, di dare al tessuto una forma strutturata, modellata da cuciture e sfaccettature

'Mentre il normale tessuto rimane piuttosto floscio, nel nostro caso invece siamo riusciti ad ottenere una specie di materiale composito che si comporta come un pezzo di carta. Usando le cuciture per irrigidire il tessuto, lo si è trasformato in un materiale con un comportamento strutturale. La cucitura, oltre a unire i diversi materiali e irrigidire l'insieme, funziona anche da linea di piega, comportandosi come un giunto... Per noi è stato importante l'idea di trasformare il tessuto. In questo senso la cucitura svolge un doppio ruolo: non solo permette di ottenere un sandwich combinando tessuto e imbottitura, ma trasforma anche quest'insieme in un materiale capace di piegarsi come carta... Si potrebbe dire che alla fine il nostro è stato un lavoro da sarti. Durante la fase di prototipazione abbiamo infatti dovuto definire nei minimi dettagli il disegno delle cuciture e, poichè queste funzionano da linee di piega, ogni minima variazione ci induceva a riconsiderare tutto il disegno nell'insieme.' La forma nasce da una serie di modellini di piccolo formato, in quanto la deformazione della seduta e dello schienale era così particolare da renderne difficile la visualizzazione in 2D. La cucitura di questo pezzo è un’arte che presenta così tante particolarità circa la modellatura, da renderla un lavoro che passa attraverso la progettazione di modellini. Delle prove con la carta, e parallelamente, il lavoro sui tessuti hanno fatto da base per la ricerca di una forma con una maggior stabilità. Facett è un interessante progetto di reinterpretazione e rivoluzione: il tessuto prende una nuova rigidità prendendo le sfaccettature di un solido, senza rinnegare la propria natura morbida e confortevole. Attraverso un accurato studio geometrico, la superficie bidimensionale acquista volume per accogliere l'ospite in una seduta dalle mille personalità: sportiva, minimal, calorosa.


Il connubio della purezza del design con la lavorazione sofisticata della superficie trapuntata, tipica della produzione Ligne Roset. Che l'ispirazione provenga dai coprisedili realizzati con tante piccole modularità imbottite per i guidatori più sportivi, oppure dalla trama regolare di un pallone da calcio, l'idea era una seduta che rientrasse in una prestazione elevata, indistruttibile, confortevole, dinamica, realizzata in tessuto impermeabile. Una seduta unica che, in tutte le sue varianti colori e formati, rappresenta già un importante polo d'attenzione progettuale per il design internazionale. La strutture è costituita da pannelli in lamellare a 3 strati incrociati e lastra di polistirene termoformata rivestiti in schiuma di polietere. Pattini invisibili in polietilene nero. Per la poltrona girevole : zoccolo in acciaio diametro 45 cm - spessore 8 mm, laccato Epoxy nero.

Sospensione della seduta con trama elastica. Cuscino della seduta integrato in schiuma di poliuretano ad alta resa 42 kg/m3 - 4,8 kPa. Cuscino dello schienale integrato in Bultex 30 kg/ m3 - 1,8 kPa. Cuscino poggiareni in Bultex 26 kg/ m3 - 1,4 kPa, sfoderabile con chiusura lampo. Rivestimento trapuntato (bande larghezza 5 cm) schiuma polietere 21 kg/m3 - 3,1 kPa. Trapunta a cucitura semplice e disegno del modello enfatizzato da impunture a doppio ago. Modello interamente sfoderabile con chiusura lampo e bande agganciate. Il divano 3 posti racchiude in sé 210 metri di cuciture realizzate con 700 metri di filo (600 per il divano medio e 400 per la poltrona). Le cuciture della poltrona, dei divani e dei poggiapiedi sono realizzate tono su tono o con filo in contrasto (5 colori: ecru, antracite, grigio, rosso e blu).

Poltrona singola Larghezza 87 cm profondità 81 cm altezza 84 cm seduta 36 cm



To be continued


Un progetto di Eleonora Bompieri

Edito come tesi progettuale di Laurea Triennale Università La Sapienza di Roma Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Disegno Industriale Relatore Prof. Carlo Martino

Living by Livia: i nuovi luoghi dell’abitare

Roma, Gennaio 2016


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