PONTIFICIA UNIVERSITAS URBANIANA FACOLTÀ DI TEOLOGIA SCALABRINI INTERNATIONAL MIGRATION INSTITUTE (SIMI)
L’OPERA DI DON DINO TORREGGIANI E LA PASTORALE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE IN ITALIA
MIRKO DALLA TORRE Matr. 00259
Tesi di Licenza in Teologia Specializzazione in Pastorale della Mobilità Umana
Moderatore:
Prof. Gian Carlo PEREGO
Correlatore:
Prof. Gioacchino CAMPESE
Roma 2016
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RINGRAZIAMENTI
Devo il mio grazie per questo lavoro di tesi di licenza a tante persone, per il loro incoraggiamento e la loro vicinanza. Innanzitutto al vescovo Corrado Pizziolo, che mi ha permesso di approfondire la tematica della Mobilità Umana ed in particolare la pastorale dei fieranti e dei circensi e mi ha sostenuto durante questo mio impegno di studio. A mons. Martino Zagonel che ha favorito e sostenuto il mio impegno tra la gente del Viaggio. Ai miei confratelli don Dino e don Yuri che con il loro assiduo servizio nelle parrocchie dell’Unità Pastorale, di cui sono parroco, hanno colmato le mie assenze. In modo particolare il mio grazie va al Preside del SIMI, p. Fabio Baggio, e a tutto il personale docente, per l’affabilità e la cordialità con cui hanno seguito la mia formazione. Un grande grazie alla dottoressa Sara Salvadori per la dolcezza e la pazienza, che ha sempre dimostrato nei miei confronti. A mons. Gian Carlo Perego, che ha sempre avuto stima e fiducia nel mio apostolato tra la gente del circo e del luna park, stimolando il mio impegno ad approfondire le tematiche di questo mondo a tanti sconosciuto. A fratel Gioacchino Campese correlatore di questa tesi, per il suo incoraggiamento. A mons. Piergiorgio Saviola, che mi ha fornito abbondante materiale di studio e di ricerca per la stesura di questa tesi, oltre a tanti preziosi consigli.
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Per ultimi, ma non per importanza, un sincero ed affettuoso grazie alle famiglie Vassallo e Caveagna del Circo di Vienna e a Moreno e Nicoletta Benedini, la prima famiglia sinta che ho conosciuto al luna park di Oderzo, con i quali ho mantenuto rapporti di vera amicizia. Dedico questo mio lavoro di licenza a Davide, perchĂŠ la sua giovinezza spezzata in questa vita, rifiorisca in Dio, unica nostra speranza.
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SOMMARIO
INTRODUZIONE........................................................................................................ 7 CAPITOLO PRIMO BREVE STORIA DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE ................................................. 12 1.1. Origine e storia delle Fiere e del Circo in Italia ........................................ 12 1.2. Il mondo dello Spettacolo Viaggiante ....................................................... 19 1.2.1. La tradizione dei Sinti nell’arte circense e lunaparchista ................. 19 1.2.2. Sinti e Zingari: una confusione facile ................................................ 20 1.2.3. Le grandi dinastie circensi ................................................................. 25 CAPITOLO SECONDO STORIA DELLA PASTORALE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE .............................. 31 2.1. Il Servo di Dio don Dino Torreggiani “l’Apostolo delle carovane” ......... 31 2.1.1. La vocazione sacerdotale di don Dino Torreggiani ........................... 31 2.1.2. Il servizio di don Dino a favore dei più abbandonati e bisognosi ..... 36 2.1.3. “Venga Padre, siamo cristiani”: l’opera di don Dino a favore della gente del Viaggio .......................................................................................... 41 2.1.4. Il pensiero di don Dino e la riforma del Concilio Vaticano II ........... 43 2.1.5. Fondazione dell’“Istituto Secolare dei Servi della Chiesa”.............. 46 2.2. Le opere assistenziali di don Dino per la gente dello Spettacolo Viaggiante .......................................................................................................................... 49 2.2.1. Dalla carovana all’O.A.S.N.I. (Opera di Assistenza ai Nomadi in Italia)............................................................................................................ 49 2.2.2. Fondazione del Collegio per i ragazzi del circo e del luna park ....... 54 2.2.3. La Casa di Riposo di Scandicci per anziani e ammalati del “Viaggio” ...................................................................................................................... 56
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CAPITOLO TERZO LA PASTORALE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE OGGI ........................................ 58 3.1. Il Magistero e il mondo dello Spettacolo Viaggiante ................................ 58 3.1.1. Giovanni XXIII: lampi di dottrina ..................................................... 60 3.1.2. Il Concilio Vaticano II e il Decreto Christus Dominus ...................... 61 3.1.3. Paolo VI e la pastorale tra i fieranti e circensi ................................. 62 3.1.4. Giovanni Paolo II sulle orme dei suoi predecessori .......................... 67 3.1.5. Benedetto XVI e i «nuovi areopaghi» per l’annuncio del Vangelo .... 71 3.1.6. Papa Francesco: voi siete artigiani della festa ................................. 74 3.2. Strutture organizzative per l’annuncio del Vangelo ai fieranti e circensi . 77 3.2.1. L’Ufficio nazionale per la Pastorale dello Spettacolo Viaggiante...... 77 3.2.2. I Convegni pastorali nazionali ........................................................... 79 3.2.3. Il Catechismo per i ragazzi dello Spettacolo Viaggiante ................... 83 3.3. Esperienze di pastorale ............................................................................. 86 3.3.1. Le Piccole Sorelle del Luna Park di Ostia ......................................... 86 3.4. Fieranti e circensi collaboratori della gioia e della salvezza..................... 90 3.4.1. Fieranti e circensi itineranti per vocazione ........................................ 90 3.4.2. La famiglia della gente dello Spettacolo Viaggiante, icona del Vangelo ........................................................................................................ 93 CONCLUSIONI........................................................................................................ 95 BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................... 97 ABBREVIAZIONI E SIGLE ..................................................................................... 106
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INTRODUZIONE
Lo spettacolo viaggiante: un mondo da accogliere, conoscere, condividere.
Quante volte ci siamo recati al luna park o al circo, che solitamente sostano nelle nostre piazze in occasione di feste paesane o di ricorrenze particolari, care alle nostre tradizioni popolari: baracche d’entrata, musica spesso assordante, luci sfavillanti di giostre sempre più futuristiche, richiami a “facili vittorie” con premi sicuri. Manifesti circensi appesi ad ogni angolo della città attraggono la nostra attenzione sullo spettacolo del circo: un mondo questo, che ci invita a “staccare la spina” dalla nostra frenetica quotidianità, offrendoci di trascorrere qualche ora di sano e meritato svago. Per la maggior parte di noi stanziali, la conoscenza di questo “strano” e affascinante mondo si limita solamente al puro e breve divertimento. Poco o nulla conosciamo invece della vita reale della ‘gente del viaggio’, vista spesso con sospetto e diffidenza, magari perché la loro abitazione è diversa dalla nostra e il loro modo di vivere richiama atavici pregiudizi sui nomadi, spesso etichettati dalla nostra società come zingari, considerati imbroglioni, truffatori e gente quindi da tenere alla larga. Se agli occhi della nostra quotidianità questi sono i fieranti e i circensi, il loro vivere reale non è così. Sono nostri concittadini, molti sono nostri fratelli in Cristo, che vivono da stranieri ovunque vadano, girando di piazza in piazza. Devono sottostare a leggi che spesso intralciano la loro sosta e il loro lavoro, nonostante lo Stato italiano riconosca la “funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante e […] pertanto sostiene il consolidamento e lo
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sviluppo del settore”.1 Straniera in casa nostra, la gente del viaggio spesso vive la situazione di rifiuto e di emarginazione, abituandosi così a sopravvivere nel mondo stanziale. La Chiesa, invece, per la sua missione di portare la salvezza di Cristo Signore ad ogni uomo, guarda alla gente del Viaggio con stima e fiducia, annunciando il Vangelo perché anch’essa possa fare esperienza dell’amore di Dio, che è Padre di tutti, e sentirsi così amata. I fieranti e i circensi sono itineranti per vocazione; viaggiano, percorrono cammini più o meno lunghi, richiamando alla nostra memoria il nomadismo dei grandi patriarchi dell’Antico Testamento. La loro breve sosta in mezzo a noi sembra quasi voglia ricordarci che anche noi non possediamo una dimora certa in questo mondo, ma che siamo gente in cammino verso la Patria eterna. È fondamentale per l’evangelizzazione del mondo dello Spettacolo Viaggiante abbattere tutto ciò che ci allontana da questa gente: pregiudizi, preconcetti, tabù, etc., dando invece spazio alla vera accoglienza, alla conoscenza reciproca e alla comprensione della loro vita. Qualsiasi lavoro pastorale non può mai essere improvvisato, ma nasce e si sviluppa partendo dal vissuto della comunità cristiana: l’accogliere, il conoscere e il condividere costituiscono la base solida in ogni progetto pastorale. Anche nella pastorale dei fieranti e dei circensi questi tre momenti (accogliere, conoscere, condividere) sono basilari per organizzare e programmare un’evangelizzazione, che diventi, innanzitutto, condivisione del Vangelo attraverso una catechesi attenta alle loro varie esigenze. Il tema della conoscenza del mondo dello Spettacolo Viaggiante è l’oggetto di questo lavoro di tesi. Infatti, non è possibile pretendere di conoscere questo mondo in cammino senza partire dalle sue origini. Il primo capitolo presenta in modo approfondito il passaggio storico che c’è stato tra le fiere paesane, legate a feste patronali, e i più moderni luna park,
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Legge 18 marzo 1968, n. 337, titolo 1, Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante, reperibile in http://www.anesv.it/pdf/L_337_68.pdf (consultato il 30 agosto 2016).
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anche se la tipologia della giostra rispecchia sempre i giochi che ci hanno accompagnato fin da bambini: il girotondo, l’altalena e lo scivolo. Inoltre, non può passare inosservata, tra gli esercenti dello Spettacolo Viaggiante, soprattutto nel Nord dell’Italia, la presenza dei sinti, gente di origine zingara. Questo studio sulla tradizione sinta, che è frutto della mia esperienza pastorale con queste famiglie e della conoscenza delle loro tradizioni, approfondisce la storia di questo popolo, partendo dalle sue radici fin dall’arrivo nel nostro Paese. È, infatti, fondamentale che un operatore pastorale conosca in modo approfondito questi fratelli presenti soprattutto nelle piccole fiere paesane. Nella tradizione del mondo del circo la famiglia di origine, detta capostipite, ha un’importanza fondamentale: si è veri artisti circensi, quando da più generazioni si appartiene a questo mondo. Un capitolo di questa tesi tratta, quindi, la storia di famiglie circensi da me conosciute personalmente, con le quali ho instaurato un rapporto di stima e di amicizia. Dalla storia dello Spettacolo Viaggiante questo studio di licenza passa alla storia della Pastorale dei Viaggianti in Italia, iniziando doverosamente dalla figura e dalle opere del Servo di Dio don Dino Torreggiani, chiamato l’Apostolo delle carovane, in quanto iniziatore in Italia e in Spagna di questa pastorale tra la gente del Viaggio. Don Dino Torreggiani nasce a Masone (RE) l’8 settembre 1905. Ordinato sacerdote, chiede alla Madonna la grazia di fare i voti come prete diocesano e di consacrarsi alle persone e alle categorie più abbandonate. Serve la Chiesa come educatore della gioventù, padre spirituale di molte vocazioni, parroco appassionato e creativo, apostolo dei carcerati, dei nomadi, dei circensi e dei fieranti, promotore del diaconato permanente. Profeta di una Chiesa povera, serva, missionaria, è fondatore dell’Istituto Secolare dei “Servi della Chiesa”. Muore in Spagna nel settembre 1983 ed è sepolto nel cimitero di Masone (RE). Il 19 marzo 2006, il vescovo monsignor Adriano Caprioli, apre a Reggio Emilia il processo diocesano per la sua canonizzazione. La Chiesa, con l’esperienza del Servo di Dio, don Dino Torreggiani, si rende consapevole che la gente del Viaggio necessita di una pastorale specifica. Questo
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studio esaminerà per grandi linee le varie tappe di questo cammino della Chiesa: dai pronunciamenti di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI, ai molti discorsi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, concretizzatisi nei vari documenti del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti ed Itineranti, fino alla definizione di “artigiani della gioia” di Papa Francesco nell’ultima udienza al mondo dei viaggianti nel giugno scorso. Lo strumento operativo per la formazione cristiana dei ragazzi e delle famiglie del mondo fierante e circense è il testo di catechismo: “In Cammino con Gesù per portare gioia e festa” (LDC, Leumann (TO), 1989). In questa tesi di licenza sarà presentato brevemente questo testo su cui impostare la catechesi in preparazione ai sacramenti per i bambini e i ragazzi dello Spettacolo Viaggiante. Tale catechesi deve essere organizzata e adattata a loro e attenta alle loro esigenze, tener conto del loro vissuto, rispettare le loro usanze, valorizzare le caratteristiche peculiari del loro vivere all’interno di una comunità itinerante. Un’esperienza di pastorale del tutto particolare è vissuta concretamente dalla fraternità delle “Piccole Sorelle di Gesù”, all’interno del Luna park di Ostia a Roma. In esso le sorelle condividono con gli esercenti dello Spettacolo Viaggiante fatiche, difficoltà, gioie e speranze, secondo il carisma di Charles de Foucauld, l’ispiratore della loro congregazione religiosa. Condividendo il lavoro e i problemi che assillano queste famiglie, riescono a godere della loro stima e della loro fiducia, che si evidenziano soprattutto nel momento della preparazione ai sacramenti dei ragazzi. Questo ci aiuta a comprendere che conoscere, accogliere e condividere, come già accennato, rimangono i verbi costitutivi per ogni operatore impegnato a svolgere un’efficace azione pastorale nel circo e nel luna park. Papa Francesco, in occasione della Giornata giubilare per la grande famiglia dello Spettacolo Viaggiante, ha sottolineato le caratteristiche della gente del Viaggio, con le seguenti parole: “la gioia e la festa sono i segni distintivi della vostra identità, delle vostre professioni e della vostra vita”.2
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FRANCESCO I, Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Giubileo dello Spettacolo Viaggiante, aula Paolo VI, 16 giugno 2016, disponibile nel sito della Santa Sede,
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Nell’ultima parte di questo lavoro, facendo tesoro di questa affermazione di papa Francesco nei confronti del mondo dei viaggianti, si cercherà di sviluppare un pensiero: fieranti e circensi possono essere loro stessi missionari del Vangelo? E in che modo possono esserlo?
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/june/documents/papafrancesco_20160616_giubileo-spettacolo-viaggiante-popolare.pdf, (consultato il 4 settembre 2016).
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CAPITOLO PRIMO BREVE STORIA DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE
1.1. Origine e storia delle Fiere e del Circo in Italia
Le fiere risalgono a tempi antichissimi. La prima che si possa definire tale in Italia viene datata addirittura al 1373 ed è quella di Santa Caterina (UD).1 In realtà si teneva ancora prima di tale data in una località a pochi chilometri da Udine, nei pressi di una chiesetta da cui prese appunto il nome. Con il passare degli anni e per molteplici esigenze venne poi spostata al centro della città. La fiera assunse una tale importanza per la comunità, che venne addirittura dichiarata libera da dazi e imposte. Nel corso del tempo, però, perse la sua attrattiva nei confronti delle persone che la frequentavano; si impose così la necessità di aggiungere sempre nuove attrazioni. Rimanevano sempre le bancarelle di souvenir e di piccolo mercato, ma i richiami diventarono altri. A destare più interesse erano i venditori che giungevano in paese da posti lontani e portavano con sé cose che non esistevano sul posto, che non si erano mai viste o che erano di difficile reperimento. Era sempre uno spettacolo che meritava attenzione, perché nella contrattazione per la vendita dei loro prodotti, i venditori partivano da cifre molto alte per poi scendere e arrivare a vendere l’oggetto al prezzo che effettivamente avevano in mente all’inizio della trattativa. All’ingresso delle fiere c’erano quelle che si potevano definire “particolarità”. Le prime attrattive erano, infatti, baracche in cui si vedevano fenomeni curiosi,
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Giancarlo PETRINI, Dalla fiera al Luna Park – Storia di mestieri e di giostre dal Medioevo ad oggi, Trapezio, Udine 1984, 9.
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naturali, più o meno artefatti, in seguito soppiantati da teatranti, mimi, danzatori e acrobati. La situazione, però, subì una serie di cambiamenti ai primi del ‘700, quando gli attori della “Comédie franҫaise”2 chiesero e ottennero diversi decreti con cui venne impedito ai teatranti di esprimersi per mezzo di dialoghi in qualsiasi lingua parlata, perché, essendo questi spettacoli gratuiti o di costo modesto, andavano a contrastare le loro attività, che erano a pagamento. Si dovette perciò ripiegare su altri modi di fare spettacolo: prima vennero “inventati” i mimi, e poi si sostituirono i dialoghi con le canzoni, dando vita così all’“opéra comique”. I visitatori erano così attratti dalle bancarelle che si potevano visitare, ma anche dalla fiera in sé, perché era l’unico modo per conoscere gli avvenimenti accaduti nel Paese e altrove, almeno fino alla nascita, nel 1840, del francobollo e, qualche anno dopo, dei giornali.
Le notizie venivano raccontate da quelli che
erano definiti “cantastorie”, che, grazie alla loro fantasia, coloravano i racconti mettendo magari delle parole in rima alla fine delle frasi o inventando addirittura parti intere di cose frivole, facendole sembrare particolarmente interessanti. Altra attrattiva, alquanto antica, è quella del labirinto.3 Esso, infatti, simboleggia il percorso accidentato della vita in lotta contro il peccato. Dall’apparenza spesso ingannevole, vennero raffigurati sui pavimenti delle chiese e nei giardini di numerosi aristocratici palazzi europei, arricchiti da giochi d’acqua, altalene e altre attrattive. Il successo delle fiere e dei luna park era anche quello di mostrare cose mai viste: una giraffa, un elefante, un nano. Ecco perché la gente spendeva per entrare nelle baracche, così erano definiti i percorsi che poi portavano dentro alla fiera, per vedere “cose mai viste”. Adesso la televisione, internet e, comunque, i mezzi di comunicazione e di informazione ci mettono a contatto col mondo in pochi secondi; nel ‘700 e ‘800 ovviamente le cose erano molto diverse.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), Viaggiatori della luna. Storia, arti e mestieri della Fiera e del Luna Park, Ikon, Milano 1997, 16.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 28.
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La fiera rappresentava la rottura di un ordine stabilito, quello della vita quotidiana. Quando l’uomo non riusciva a risolvere un problema con le proprie forze, finiva per affidarsi a quelle di personaggi fuori dell’ordinario o presunti tali, che nelle diverse epoche prima erano le sibille, poi i maghi e gli astrologi, e successivamente si inserirono anche gli indovini e i ciarlatani. Le cronache riportano che alla fine del ‘500 in Piazza Navona a Roma c’erano numerosi ciarlatani, assieme a giocolieri e saltimbanchi. La gente si estraniava dal mondo quotidiano, guardando ammaestratori di animali e acrobati. Non si conosce l’esatto momento in cui si è passati dalle fiere ai luna park. Possiamo però affermare che le fiere hanno cominciato a lasciare spazio ai luna park dopo l’avvento dell’era industriale, alla fine dell’Ottocento.4 Infatti, accanto alle attrazioni fantastiche degli ambulanti, trovavano sempre più posto giochi meccanici e giostre. Queste ultime si trasformarono da semplici passatempi di élite sociali, a svago per tutti grazie alla modica spesa e a qualche piccolo accorgimento. La giostra dei cavalli, per esempio, all’inizio era solo un girare in tondo, poi ha aumentato il piacere di andarci con l’aggiunta dell’idea di conquistare il fiocco o afferrare gli anelli che pendevano dal soffitto, aggiudicandosi così dei premi, o anche la semplice possibilità di ottenere un altro giro gratuito. Arrivarono poi anche altri tipi di giostre, come le altalene, che all’inizio erano spinte a mano, poi trainate da animali, e più avanti attaccate a catene. Alla fine dell’Ottocento, infine, comparve in Italia una giostra innovativa per il tempo, che venne denominata “Onde di mare”, perché con il suo sali-scendi ne imitava il movimento. Cominciarono a essere organizzati i parchi divertimento. Il primo venne costituito a Bologna, all’inizio del ‘900, anche se era molto piccolo.5 Il 1^ giugno 1914 aprì a Venezia il primo vero parco giochi. Il successo fu immediato e strepitoso, soprattutto per la sua attrazione principale: le montagne russe.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 34-36.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 39.
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La vera rivoluzione dei parchi giochi è di fatto avvenuta con la scoperta della corrente elettrica, che ha favorito l’accesso ai parchi anche di sera. Prima, infatti, vi si poteva andare solo di giorno, perché anche l’utilizzo delle lampade ad olio non permetteva di illuminare completamente tutti gli angoli della rassegna. Altra importante rivoluzione arrivò nel secondo dopoguerra6, quando per costruire le giostre si passò dal legno al ferro, facendole così diventare più resistenti e anche più sicure. Va però sottolineata una significativa distinzione tra il parco divertimenti mobile e i luna park fissi: il parco divertimenti mobile era ed è in rapporto ad una cadenza calendariale ben precisa (Carnevale, Natale, feste patronali) ed è legato quindi ad alcune circostanze dell’anno; i luna park fissi concentrano la loro attività in tutte le domeniche e le principali feste dell’intero anno. All’inizio del ‘900 nacque la necessità di decorare al meglio le grotte o le giostre, per attirare ancora di più la curiosità dei visitatori fruitori: una specie di antica pubblicità per aumentare ancor di più l’attrattiva del gioco proposto. Ogni diverso tipo di attrazione o mestiere richiedeva una decorazione diversa: per esempio scene di caccia per il tirassegno, putti e pampini per le giostre, mostri per i trenini fantasma. I tirassegno da fiera sono degni di nota quando diventano veri e propri teatrini o vetrine animate da automi in grado di illustrare in poche rapide mosse un’intera storia. Un esempio: festa nuziale allegramente annunciata dal campanaro, ma ecco apparire un’amante abbandonata con tanto di figlio appeso7. Ma anche le giostre stesse erano diverse a seconda del paese in cui venivano costruite. Si distinguevano così le giostre con cavalli tedeschi, inglesi o francesi. Le giostre tedesche, di ispirazione medievale, rappresentavano personaggi squadrati, borchie colorate, selle con aquile, code e criniere provenienti da animali veri. Quelle inglesi si rifacevano al Barocco con decori molto ricercati e con intrecci e motivi rococò. Quelle francesi, invece, erano quasi ironiche.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 42-43.
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Giancarlo PETRINI, op. cit., 48-49.
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Un altro modo di attirare i curiosi era quello di utilizzare la musica. All’inizio si faceva uso di megafoni o strumenti che richiamassero l’attenzione, ma avevano il difetto che a volte sovrastavano addirittura tutti gli altri suoni. Poi arrivarono gli organetti che con musica dolce e gradevole, scandivano il movimento delle giostre. Anche in questo campo, però, la vera rivoluzione si ebbe con l’avvento dell’elettricità che portò all’utilizzo degli altoparlanti per invitare le persone e per richiamare l’attenzione su un particolare evento. Nella storia dello Spettacolo Viaggiante il teatro d’animazione si affiancava a saltimbanchi, ciarlatani, musicisti, commedianti e imbonitori.8 Sin dal 1500 erano presenti i burattinai, con oggetti manovrati da una sola persona, quindi agili e leggeri; un secolo dopo arrivarono quelle più complesse e raffinate per un pubblico sempre molto eterogeneo: bambini, ragazzi e adulti assistevano agli spettacoli senza differenza di ceto o di livello culturale. I burattinai arrivavano in paese la sera prima dello spettacolo, andavano nelle taverne, ascoltavano i pettegolezzi e il giorno successivo portavano nel teatrino quello che avevano sentito: amanti, sbirri e strozzini, dando vita così ad una vera e propria satira. Spesso facevano anche da richiamo per i cavadenti e per quelli che vendevano lozioni miracolose. Dopo il 1600 invece le cose si diversificarono: nacquero infatti i teatri per l’aristocrazia con poltrone e palchi a loro riservati, mentre gli spettacoli di piazza rimasero alla mercé dei ceti meno abbienti. Con l’arrivo dei periodi di crisi e di carestie, poi, si insinuò anche l’idea di organizzare dei piccoli tornei e mettere in palio cibo e bevande. Ecco da dove traggono le loro radici il tiro alla fune, la corsa nei sacchi, e soprattutto il palo della cuccagna. Solo chi riusciva a raggiungere la sommità del palo, poteva portarsi a casa i premi che lì si trovavano legati. La necessità di avere nelle fiere sempre nuove attrazioni, portò all’affluire di spettacoli gestiti da chiromanti, giocolieri, fachiri ed equilibristi. 8
Alessandro SERENA, Il Circo, un mondo in città, Nuovi Equilibri, Viterbo 2006, 17.
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In Italia fino agli anni ‘50 non esistevano grandi parchi permanenti di attrazione, probabilmente anche perché gli italiani sono stati costretti ad emigrare per cercare lavoro e quindi non c’erano molti soldi per potersi permettere certi spettacoli. Dal punto di vista sindacale gli esercenti degli Spettacoli Viaggianti costituirono a Roma una organizzazione, il Consorzio Spettacoli Viaggianti, che poi partecipò alla sottoscrizione dell’atto costitutivo dell’AGIS, l’Associazione Italiana Esercenti Spettacoli Viaggiati.9 Attualmente i lavoratori dello Spettacolo Viaggiante sono divisi in diverse associazioni di categoria. Nel 1968 il ministero dei Beni Culturali, con legge del 18 marzo numero 337, riconobbe la funzione sociale dei circhi equestri e dello Spettacolo Viaggiante. L’articolo 2 recita: “sono considerati ‘Spettacoli Viaggianti’ le attività spettacolari, intrattenimenti e le attrazioni allestiti a mezzo di attrazioni mobili, all’aperto o al chiuso, ovvero i parchi permanenti, anche se in maniera stabile”10. Nel corso dei secoli, quindi, si sono affermati quattro tipi diversi di spettacolo e di divertimento: i teatranti e la “commedia dell’arte” con le sue maschere, gli spettacoli dei burattini e delle marionette, il circo e i luna park. Questi ultimi due sono stati, in particolare in Italia, strettamente in mano alle famiglie nomadi, i viaggiatori, con origini, a volte, di ceppo gitano. Quest’ultima componente aveva più rilievo in questi mestieri, dove primeggiavano gli animali, e nell’attività del circo11. Alla metà dell’800 il circo divenne attività di artisti autonomi con esibizioni in piccole arene scoperte, incorporando le attrazioni dello spettacolo di piazza come equilibristi e giocolieri con animali ammaestrati, in particolare cavalli, tanto che il circo del Veneto veniva anche identificato come “il ballo dei cavalli”.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 59.
10
Legge 18 marzo 1968, n. 337, titolo 1, Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante, reperibile in http://www.anesv.it/pdf/L_337_68.pdf, (consultato il 30 agosto 2016).
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François DE VAUX DE FOLETIER, Mille anni di storia degli Zingari, JacaBook, Milano 2010, 180.
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C’erano poi in mostra animali selvatici e belve feroci, dei veri e propri zoo ambulanti, che però poi sono andati decadendo con le aperture di veri e propri giardini zoologici. Sergio Calorio ritiene che l’epopea della fiera italiana possa essere suddivisa in quattro grandi periodi: fino al 1750 mercato, 1751-1900 trasformazione da luogo di commercio a divertimento e spettacolo, 1901-1950 parco divertimenti, dopo il 1951 luna park completamente meccanizzato e teso a sfruttare il gusto del pubblico per il movimento, l’illusione del rischio e la velocità.12 Dopo le guerre mondiali, inoltre, la fiera ha cominciato ad utilizzare residuati bellici, come motori, camion, auto e gruppi elettrogeni per migliorare gli spettacoli e anche le attrattive. Fino agli anni ‘50 in Italia non esisteva un parco giochi fisso, come invece già esistevano al “Prater” di Vienna con la ruota gigante o il “Coney Island” a New York. I nostri parchi giochi restavano invece itineranti. Poi a questi sono seguiti quelli semi permanenti con installazioni stagionali, per esempio nelle località balneari e di villeggiatura. Nel 1936 venne realizzato a Roma un luna park fisso, definito per l’epoca “il più grande d’Europa”. L’evoluzione poi dei luna park ha il suo momento culmine con la costruzione in California di “Disneyland”, che ha portato alla nascita dei cosiddetti “parchi a tema”. Ecco allora che anche l’Italia si fa sempre più attenta a queste nuove richieste dei curiosi e nascono il parco dei dinosauri, Minitalia, Gardaland, gli zoo safari e altri parchi.
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Emilio VITA - Chantal ROSSATI (a cura di), op. cit., 34.
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1.2. Il mondo dello Spettacolo Viaggiante
1.2.1. La tradizione dei Sinti nell’arte circense e lunaparchista
Nel mondo dello Spettacolo Viaggiante parlare di “tradizione sinta” può non essere corretto ed esaustivo, soprattutto per quella parte di esercenti dello Spettacolo Viaggiante che proviene dalla tradizione stanziale, per la maggior parte presente nella nostra penisola Italiana. Gruppi di sinti sono presenti ovunque con le loro attrazioni nei luna park piccoli o grandi, e nei circhi: sinti veneti, lombardi, piemontesi, emiliani, e calabri… Qualche membro di famiglia circense, anche famosa, si vanta della sua appartenenza alla tradizione sinta. A questo proposito è utile e interessante una lettura del testo “Il Circo della memoria”,13 citato in bibliografia. Trattando la pastorale del circo e del luna park, non possiamo né sottovalutare né tanto meno disprezzare questa gente; sarebbe un’offesa alla loro cultura e il nostro apostolato deplorevole. Spesse volte nella vita della gente del viaggio i sinti soffrono per l’emarginazione, per la poca accoglienza, forse dovuta al fatto che talora hanno comportamenti deplorevoli (imbrogli, furti e, a volte, delitti); i mass media non mancano di chiamarli giostrai, che, sappiamo, nella categoria dello Spettacolo Viaggiante questo termine è infelice e ritenuto da loro denigrante e offensivo. Giostraio, o giostraro, nel linguaggio degli operatori pastorali che conoscono questo mondo, non deve mai essere usato, va lasciato ai gagi14 e ai loro tanti pregiudizi nei confronti di questa gente. I sinti sono coscienti della loro appartenenza ad un’antica tradizione gitana, tuttavia, ignorando la loro origine di cui essi vanno fieri, vengono chiamati
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Alessandra MODIGLIANI - Sandra MANTOVANI, Il Circo della memoria. Storie e dinastie di 266 famiglie circensi italiane, Curcu & Genovese, Trento 2002.
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Nel linguaggio nomade il gagio è l’uomo o la donna appartenente al mondo stanziale, quello che abita in una casa fissa.
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zingari. Zingaro nel linguaggio comune rimanda all’etnia Rom, molto differente dai Sinti; basti pensare all’abbigliamento delle donne; la donna sinta si differenzia sia dalla donna gagi sia da quella rom: per la carnagione della pelle, nel modo di raccogliere i lunghi capelli, nella borsa portata a tracolla, che non è usata invece dalla donna rom, nel vestire semplice, a volte anche succinto ma dignitoso, e in tanti altri particolari che per mancanza di spazio non è possibile approfondire.
1.2.2. Sinti e Zingari: una confusione facile
“Zingaro” è il termine più comunemente usato per indicare diverse etnie di nomadi e gitani, che formano le più antiche e radicate minoranze del Vecchio Continente. La loro provenienza è da identificarsi nelle regioni del nord-ovest dell’India. Nonostante questo, le loro origini rimangono misteriose, a causa della trasmissione orale delle loro tradizioni e della loro storia, che ha poco riferimento a fonti scritte che parlano della loro provenienza15. Molte sono le ipotesi e le leggende sulla loro origine. Il filosofo e medico Henri Cornelius Agrippa, per esempio, ipotizzò che queste genti fossero i discendenti di Cus, figlio di Cam, appartenenti a una delle tribù di Israele, superstiti dell’Egitto Faraonico. Altri li identificarono come i sopravvissuti di Atlantide e molte altre ipotesi sono state formulate su di loro. Molti sono i nomi attribuiti agli zingari e questo certo non aiuta a dare una soluzione a questo enigma. Erano chiamati dai Greci “Egiziani”, poiché provenienti dal Piccolo Egitto; in epoca antica molte località hanno assunto questo nome, come ad esempio la regione bizantina ai piedi del monte Gype, la zona di Nicomedia che i Turchi apostrofavano con questo appellativo per la sua fertilità. Gli Ellenisti identificarono gli zingari con i Siginni menzionati da
15
Alessandro GALDI, “L’enigma degli zingari. Origine, migrazione e dispersione dei popoli nomadi. L’organizzazione sociale. Gli usi e le tradizioni, dalla nascita alla morte”, in Etnie: Scienza, Geopolitica e Cultura dei popoli, disponibile sul sito http://www.rivistaetnie.com/lenigma-degli-zingari/, (consultato il 21 giugno 2016).
20
Erodoto o con i Dattili, i lavoratori di metalli presenti nel Caucaso, in Tracia e in Frigia. Nel XVIII secolo, grazie ad uno studio sulla lingua romani e sinta, si è riusciti ad ipotizzare con una certa sicurezza la provenienza degli zingari da alcune regioni dell’India e precisamente dal nord-ovest. Lo studio dei vari dialetti indiani ci dimostra che la migrazione di questi popoli è avvenuta in varie fasi temporali e in direzioni diverse. Probabilmente, a causa soprattutto di conflitti con i popoli vicini, o forse per fame o povertà, il popolo zingaro, intorno all’anno mille, cominciò a migrare verso l’Iran e la Persia, già luoghi storici di migrazione. È interessante come queste genti siano ricordate dai popoli con i quali vennero in contatto, come un popolo di musici, predoni e nomadi per vocazione. Col tempo si formarono due gruppi: gli zingari “Ben” e i “Phen Gypsies”16. I primi si diressero verso la Siria e la Palestina; di questi molti furono deportati dai Bizantini e furono quindi i primi ad entrare in Europa. Per quanto riguarda i secondi – i Phen Gypsies - abbandonarono l’Iran dopo l’invasione araba, facendo propri molti vocaboli degli invasori; proseguirono verso l’Armenia, e da qui la maggior parte di essi, verso l’XI secolo, raggiunse le terre bizantine. Risalgono al XIV secolo le prime testimonianze scritte di viaggiatori occidentali che ci riferiscono di queste genti. Nel 1322 due frati, Simon Simeonis e Ugo l’Illuminato, arrivati a Creta, nei pressi della città di Candia, notarono questa popolazione zingara che non soggiornava mai a lungo nello stesso posto. Uno dei maggiori centri era Modone, sulle coste del Peloponneso, vicini al monte Gype, la zona del Piccolo Egitto, i cui abitanti furono chiamati Gipziani. Molte altre isole greche, come Candia, Cipro e Rodi, videro l’arrivo delle popolazioni zingare. La lunga permanenza in Grecia li segnò profondamente, tanto che in Spagna vennero molto spesso chiamati “Griegos”, cioè Greci. Sempre secondo le cronache, verso la metà del XIV sec., numerosi zingari erano tenuti in schiavitù in Serbia e Valacchia. Verso il 1416, con la conquista
16
François DE VAUX DE FOLETIER, op. cit., 44-45.
21
turca di Costantinopoli, per fuggire alla schiavitù degli invasori turchi, si ebbe una migrazione importante verso l’ovest alla ricerca di nuovi territori, seppure non in misura massiccia e uniforme. Molti di loro attraversarono l’Ungheria e raggiunsero la Germania, dove ottennero lettere di protezione firmate dall’Imperatore Sigismondo, re di Boemia, da qui l’appellativo “Boemi”, che venne loro attribuito dai francesi, poiché per un lungo periodo vi fu la credenza diffusa che gli zingari provenissero da questa regione. Nel XIX secolo, col termine “Boemi” furono etichettati tutti coloro che avevano una vita anticonformista, come gli artisti, gli attori, i musicisti e gli scrittori, dando vita al famoso movimento artistico dei “Bohémiens”. Dalla Boemia, attraversando per la prima volta la Germania da nord a sud, arrivarono fino in Svizzera. Nel 1419 fecero la loro comparsa in Francia, raggiungendo anche il Belgio e i Paesi Bassi, dove furono sempre accolti con curiosità. Il 18 luglio 1422, un folto gruppo zingaro, guidato dal duca Andrea del “Piccolo Egitto”, raggiunge Bologna, diretto verso il territorio Vaticano in cerca di bolle papali che gli permettessero di circolare liberamente. Purtroppo di questo non si hanno testimonianze di alcun tipo negli archivi Vaticani17, anche se poco più di un secolo dopo Pio V, non permetterà a nessuna comunità di zingari di attraversare o sostare nei territori dello Stato Pontificio.18
Successive
testimonianze ci confermano la loro presenza a Napoli durante il regno della regina Giovanna, dopo di che si dispersero per tutta la penisola. Molti di essi attraversarono nuovamente le Alpi. Non si riesce a stabilire con certezza se i Rom dell’Italia meridionale rientrino in questa prima migrazione o siano venuti direttamente dall’impero bizantino. La mancata influenza slava e tedesca nella lingua, sembra confermare l’ipotesi di un’immigrazione diretta dalla Grecia.19
17
François DE VAUX DE FOLETIER, op. cit., JacaBook, Milano 2010, 56.
18
Santino SPINELLI, Rom, genti libere. Storia, arte e cultura di un popolo misconosciuto, Dalai, Milano 2012, 97.
19
François DE VAUX DE FOLETIER, op. cit., JacaBook, Milano 2010, 57.
22
Dopo il loro arrivo in Francia questi popoli zingari passarono i Pirenei e raggiunsero la Spagna: vi è la quasi assoluta convinzione che essi non siano arrivati attraversando lo stretto di Gibilterra, in quanto nel loro vocabolario non vi sono influenze arabe. In Portogallo gli zingari fanno parlare di sé intorno al XVI sec., destando le preoccupazioni delle autorità pubbliche. In seguito raggiunsero l’Inghilterra in maniera quasi indifferente, poiché non vi sono testimonianze di rilievo. Agli inizi del ‘500, gli zingari raggiunsero anche i Paesi Scandinavi; quelli arrivati in Danimarca provenivano direttamente dalla Scozia, mentre quelli che raggiunsero la Norvegia furono abbandonati da un battello inglese. Le migrazioni in questi territori continuò attraverso la Germania e la penisola dello Jutland; alcuni di essi penetrarono anche in Finlandia. Si crearono due gruppi: gli zingari della montagna e quelli della pianura, entrambi provenienti dalla Germania. Si diffusero ben presto anche in Polonia e in Lituania. Nel corso del XVI e XVII secolo zingari della Moldavia giunsero direttamente a Mosca. Infine, zingari di origine polacca raggiunsero la Siberia nel 1721. A causa di deportazioni molti zingari dell’Europa raggiunsero anche le colonie africane e americane. In Europa sono presenti due gruppi principali di Zingari: i Rom e i Sinti. Essi, pur avendo origini comuni, si distinguono tra loro per la loro storia, come abbiamo analizzato nelle pagine precedenti. Per molti il popolo dei Sinti non esisterebbe; gli stessi Rom li considerano un loro sottogruppo. Pur non avendo una precisa documentazione storica, sembra che i Sinti provengano dalla regione del Sindh, patria del popolo Sindhi, nel Pakistan ai confini con l’India; il loro nome, infatti, ricorda questa regione. Si suppone, invece, che i Rom provengano dall’India del Nord. La regione del Sindh confina con le regioni del Belucistan a ovest e a nord, con il Pakistan a nord, il Rajasthan ad est e con il Mar Arabico e il Gujarati a sud. Le principali città di questa regione sono Karachi e Hyderabad, antica capitale dei Sindh. Il nome Sindh significa “oceano”, così definito per l’enorme grandezza del fiume Indo che scorre nella parte occidentale del loro territorio.
23
Nel settimo secolo gli Assiri li conoscevano come Sinda, i Persiani come Abisind, i Greci come Sinthus; per i Romani erano i Sindus, per i Cinesi erano Sintow, mentre per gli Arabi erano i Sind. Ancor oggi non ci sono stati grandi variazioni, la denominazione rimane Sinda, Sinthus, Sintow, Sindus e Sind. La lingua del popolo Sinti è chiamata sinta-sintencricip, che si differenzia dalla lingua romani, comunemente usata dai Rom, anzi sembra proprio che né il popolo Rom né la lingua romani siano presenti in queste regioni. Il popolo Sinti crede ancora fermamente nelle proprie tradizioni, tramandate oralmente dai propri avi; da qualunque parte provengano, essi si riconoscono come un unico popolo, grazie alla loro lingua che, seppur con dialetti diversi, viene parlata in tutto il mondo tra le popolazioni Sinti. L’unità di questo popolo sparso in tutto il mondo è data anche dalla comunanza delle tradizioni, delle usanze e della cultura. Molte sono le leggende che ruotano attorno a questo popolo; una di queste narra di un re, di nome Sin, il quale volle in moglie la donna che superasse per bellezza tutte le altre. Per raggiungere il suo scopo, dovette affrontare un lungo viaggio e, arrivato nel regno del re del fuoco, ne chiese in moglie la figlia. Questi, nel concedergliela, l’ammonì dicendogli che questa donna sarebbe stata la causa della sventura sua e del suo popolo. Per dodici anni il re Sin ebbe un’esistenza felice, divenne padre di dodici figli. Al dodicesimo anno, la regina cominciò a bruciare e ad emanare un forte calore che nessuno poteva avvicinarla senza esserne ridotto in cenere. Il popolo del re Sin fu costretto a disperdersi nel mondo; solo lui si trattenne fino all’ultimo con i suoi figli, finché non ci fu altra scelta che andarsene. I figli si sparsero per il mondo ed ebbero altri figli, i Sinti sono i loro discendenti.20 Tra le prime testimonianze letterarie, c’è l’importante citazione nell’Odissea, in cui Omero li colloca nell’isola di Lemno, di origine vulcanica, ritenuta dimora di Efesto, dio del fuoco e fabbro degli dei. Il sommo poeta cita i Sinti dicendo di
20
Erberto PETOIA, Miti e leggende degli Zingari, Franco Muzzio, Padova 2004, 73-74.
24
loro «…che parlano una barbara lingua»21, per indicare la loro diversità dal popolo autoctono. Nel pensiero comune dei gagi, come abbiamo visto, tutti i giostrai sono zingari, velati di mistero e pregiudizio. Nei luna park vi lavorano persone di diversa provenienza: artigiani, commercianti, ex circensi o ambulanti; tra questa varietà di persone vi sono anche i Sinti. Il mondo del luna park è stato tra i primi a vivere e accettare la convivenza, l’integrazione e lo scambio tra culture di diversa origine e provenienza22. I Sinti erano soliti accamparsi nei pressi delle fiere, che all’inizio del secolo scorso si tenevano in onore del Santo patrono della città o nei pressi della chiesa. Come abbiamo già accennato, durante la fiera si assisteva al mercato dei cavalli, ad esibizioni di saltimbanchi, il tutto arricchito da varie giostre. Inizialmente essi erano conosciuti come riparatori di ombrelli, battirame, saltimbanchi o spillatori muniti del relativo saraffo, che gestivano i giochi d’azzardo nelle fiere. I Sinti, e in generale tutto il popolo zingaro, davano molta importanza a certe attività artistiche e artigianali, come la musica o la danza o l’arte dei metalli23.
1.2.3. Le grandi dinastie circensi
Da recenti studi le grandi dinastie circensi, quali gli Orfei, sembrano derivare dalle compagnie teatrali itineranti, a loro volta eredi della Commedia dell’Arte. Nella seconda metà dell’Ottocento il Circo Italiano ha una grande importanza e risonanza con famiglie quali Biasini, Guerra, Chiarini, Gatti, Manetti, Guillaume e Zavatta.24 Ma è dalla fine degli anni cinquanta del ‘900 che il circo italiano ha la sua rinascita: anch’esso riprende ad avere il suo giusto valore dopo 21
OMERO, Odissea (trad. da M. G. Ciani su ed. Oxoniense di T. W. Allen), Marsilio Editore Venezia 1994, canto VIII, 121.
22
Sergio VACONDIO, Tutti hanno dei ricordi del Luna Park, Albatros, Roma 2010, 256.
23
François DE VAUX DE FOLETIER, op. cit., JacaBook, Milano 2010, 182-185.
24
Tommaso ZAGHINI, Il circo. Itinerario storico dello Spettacolo Circense, Minelliana, Badia Polesiene (RO), 2010, 130.
25
quel periodo buio e drammatico che comprende gli anni della 1^ e della 2^ guerra mondiale. Si consolidano e si affermano dinastie circensi importanti, quale quelli degli Orfei, dei Togni e dei Casartelli. Attualmente ci sono almeno un centinaio di circhi in Italia. Per questo grande numero di realtà italiane, mi limiterò a descrivere le dinastie circensi che personalmente ho avuto modo di conoscere e con le quali sono entrato in contatto diretto per la mia attività pastorale.
1.2.3.1. La dinastia Orfei
La dinastia degli Orfei, secondo autorevoli storici del circo25, ha origine nel 1820 con la nascita del capostipite Paolo Orfei; ma già gli Orfei vengono nominati prima di questa data nell’ambito dalle compagnie teatrali itineranti, eredi a loro volta della Commedia dell’Arte.26 Paolo Orfei è un prete di Massa Lombarda in Romagna, che lascia il sacerdozio per seguire la strada dei saltimbanco. Sposa Pasqua Massari di Argenta (FE), acrobata, e dal loro matrimonio nasce Ferdinando Orfei. Ferdinando, bravissimo suonatore di tromba, crea il primo circo Orfei. Egli sposa Maria Torri dalla quale ha sei figli: Enrico, Orfeo, Vittoria, Paolo, Giovanna e Cecilia. Paolo, detto “Paolino”, è dei sei figli quello che dà continuità all’attività circense degli Orfei. Crea il personaggio del clown Baccalà, che diviene un classico del repertorio clownesco italiano. Sposa Emilia Rizzoli, dalla quale ha cinque figli: Riccardo detto “Bigolon”, padre di Miranda, la famosa Moira del circo, Paolo II e Mauro, che attualmente abita a Salgareda in provincia di Treviso; Paride detto “Pippo”, padre di Nando (Ferdinando), Liana e Rinaldo; Miranda madre di Massimo Manfredini e Daniele Orfei; Irma, ritiratasi dal circo dopo il matrimonio; Orlando.
25
Tommaso ZAGHINI, op. cit., 131.
26
Alessandro SERENA, Storia del Circo, Bruno Mondadori, Milano 2008, 166-169.
26
Orlando diviene domatore di belve e direttore del circo “Orlando Orfei”. Negli anni cinquanta del ‘900 ha fama e successo con il “Circo Nazionale Orfei”, con cinquemila posti a sedere, contribuendo al rinnovamento del circo Italiano anche nelle sue vesti di presidente dell’Ente Nazionale Circhi (ENC).27 È uomo carismatico e di spettacolo e, infatti, partecipa anche a importanti trasmissioni televisive. Nel 1968 decide di partire per il Brasile, dove con i figli fonda il “Circo Nazionale Italiano”, con il quale girerà tutta l’America Latina. Orlando, poi, decide di rimanere in Brasile a Rio De Janeiro, dove fonda e gestisce un parco di divertimenti. Dopo il trasferimento di Orlando in Brasile, il nome degli Orfei in Italia viene mantenuto e portato avanti da Liana, Nando e Rinaldo, ma soprattutto da Moira Orfei. Liana, figlia di Paride e quindi nipote di Orlando, è stata attrice cinematografica, cantante e attrice teatrale nella compagnia di Eduardo De Filippo. Con i fratelli Nando e Rinaldo, negli anni sessanta del ‘900, fonda il circo a tre piste e in seguito il “Circorama 2000”, il “Circo delle Mille e una Notte” e nel 1976 il “Circo delle Amazzoni”. Liana si sposa con Paolo Pristipino nel 1975. Dopo il matrimonio si divide dai fratelli e nel 1984 fonda con il marito il “Golden Circus Festival”, una rassegna di artisti internazionali, che si tiene a Roma nel periodo invernale. Moira, figlia di Riccardo e nipote di Orlando, è la più celebre degli Orfei e di tutti gli artisti circensi degli ultimi 40 anni. Anche lei è una famosa e contesa attrice cinematografica, ma, come ella dice in un’intervista rilasciata alla rivista pastorale “In Cammino”: “Il mio cuore è sempre rimasto nel circo. Ho sempre fatto il cinema e lo spettacolo in genere con l’obiettivo di imporre il mio nome, così da dare popolarità e fama al nostro circo”.28 Moira sposa Walter Nones, domatore di leoni e fonda nel 1963 il “Circo Moira Orfei”. È un circo di grande eleganza e di gran lusso con il quale Moira ottiene il vero successo. In seguito presenta in Italia il “Circus On Ice” con due
27
Tommaso ZAGHINI, op. cit., 133-134.
28
Migrantes-Ufficio nazionale per la Pastorale dei fieranti e circensi, “In Cammino” XV 2006, n.2, 20.
27
piste: una rettangolare di ghiaccio e una circolare tradizionale, su ispirazione delle sfarzose rappresentazioni Americane. Quest’ultimo viene considerato dalla critica uno dei migliori spettacoli circensi italiani del dopoguerra.29 Quello di Moira Orfei è anche il primo circo Italiano che conquista il “Clown d’Oro” al Festival Internazionale del Circo di Montecarlo nel 1987.30 La tradizione di Moira, dopo la sua morte, viene continuata dai figli di Moira e Walter, Stefano e Lara Nones Orfei, considerati fra i più completi artisti circensi delle nuove generazioni.
1.2.3.2. La dinastia Togni
La dinastia dei Togni31 ha dato origine alla più potente industria italiana dello Spettacolo circense. Capostipite, secondo gli storici è Aristide Togni, nato nel 1853 a Pesaro. Egli sposa Teresa De Bianchi, figlia di Giovanni De Bianchi del “Circo Torinese”, e da impiegato comunale diventa un circense, fondando nel 1882 con la moglie Teresa, cavallerizza, il piccolo “Circo Vittoria”. La coppia ha dieci figli, dei quali Riccardo, Ercole, Ugo e Ferdinando continuano la tradizione circense di famiglia e riescono a trasformare il piccolo “Circo Vittoria” in uno dei più fiorenti complessi circensi italiani. Nel 1919 nasce così il “Circo Nazionale Togni”, con il sostegno del regime fascista e l’autorizzazione del Re Vittorio Emanuele III. Nel dopoguerra, arrivati alla terza generazione, i fratelli Togni si dividono in tre nuclei: - Il “Circo Cesare Togni”, figlio di Ugo. - Il “Circo Americano” di Enis Togni, figlio di Ferdinando detto “Williams”, e in seguito, negli anni sessanta del ‘900, di Heros.
29
Tommaso ZAGHINI, op. cit., 138.
30
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CIRCO DI MONTECARLO in http://www.montecarlofestival.mc, (ultimo accesso 27 agosto 2016).
31
Tommaso ZAGHINI, op. cit., 139-149.
28
- Il “Circo Darix Togni” figlio di Ercole. Particolare menzione merita il “Circo Americano” a tre piste, fondato nel 1963 da Ferdinando Togni, che debutta a Torino con grandi nomi circensi e con attrazioni superlative. E proprio Enis Togni, importante imprenditore circense figlio di Ferdinando, ha il grande merito di aver fatto decollare sulla scena internazionale il “Festival del Circo di Montecarlo”. E sempre grazie a Enis, viene realizzata l’attuale struttura fissa che ospita il “Festival del Circo di Montecarlo”, uno dei simboli del Principato di Monaco. Una grande e bella collaborazione, dunque, quella tra la Famiglia Togni e la Famiglia Regnante, che ha portato nel novembre del 2005 alla nomina di Enis Togni alla carica di Officier (Ufficiale) nell’ambito della consegna delle Medaglie al Merito Culturale da parte della Principessa di Hannover. 32 Flavio Togni, figlio di Enis, è considerato dagli anni settanta del ‘900 uno dei più qualificati ammaestratori di animali ed è l’unico artista al mondo ad aver ricevuto per ben tre volte (1976, 1983, 1998) il “Clown d’Argento” al “Festival Internazionale del Circo di Montecarlo”.
1.2.3.3. La dinastia Casartelli
Notizie della famiglia Casartelli si iniziano ad avere a partire dal 1800. Capostipite di essa viene ritenuto Giuseppe Casartelli, comasco, del quale però non si hanno notizie certe.33 Si sa che ha due figli: Piero detto “Pieretto” e Federico. Pieretto ha quattordici figli, dei quali Umberto viene considerato il vero iniziatore della dinastia circense dei Casartelli. Umberto sposa Eleonora Rosina Gerardi nel 1898. Dal loro matrimonio nascono: Yonne, Liliana, Leonida, Lucina. Nel 1933 Umberto muore. La moglie
32
Tommaso ZAGHINI, op. cit., 149.
33
Alessandra MODIGLIANI - Sandra MANTOVANI, op. cit., 86.
29
Rosina, grande figura di donna, imprenditrice e mamma, crea “L’Arena Rosa”, che porta con successo nelle piazze come spettacolo itinerante. Nel 1939 c’è l’incontro con la famiglia Togni, dalla quale viene acquistato il primo chapiteau.34 Il figlio Leonida nel 1943 sposa Wally Togni e la figlia Yonne sposa Ferdinando De Rocchi, nipote di Ugo Togni. Inizia una collaborazione con i Togni che porta ad una sempre maggiore affermazione di queste famiglie circensi. Nel 1944 Leonida, che si dimostra oltre che bravo artista anche un eccellente manager, prende in mano le redini di tutto il complesso circense che era in via di affermazione. Non a caso viene conosciuto come il “Grande Capo”. Come manager ed impresario di circo, dà anche un grande impulso all’organizzazione dell’Ente Nazionale Circhi (ENC). Riesce a proporre nel circo produzioni sempre nuove e sempre più di effetto in Italia e in Europa. Nel 1972 debutta a Varese il “Circo Medrano”, al cui nome la famiglia Casartelli sarà d’ora in poi sempre legata. Nonostante Leonida muoia nel 1978, la famiglia Casartelli continua a crescere e le ultime generazioni di artisti si formano presso l’Accademia del Circo. I Casartelli partecipano al “Festival del Circo di Montecarlo”, conquistando il “Clown d’Oro” per ben due volte, nel 1996 e nel 2007. Nel 1987, inoltre, ricevono una “Menzione Speciale” dal Principe Ranieri III per la perfetta cura e gestione degli animali.35
34
Il termine chapiteau identifica la struttura portante e il telone che dà l’aspetto caratteristico al circo.
35
AA. VV., I Casartelli, in http://www.circo.it/i-casartelli/, (ultimo accesso 16 maggio 2016).
30
CAPITOLO SECONDO STORIA DELLA PASTORALE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE
2.1. Il Servo di Dio don Dino Torreggiani “l’Apostolo delle carovane”
2.1.1. La vocazione sacerdotale di don Dino Torreggiani
La vicenda biografica di don Dino Torreggiani è ormai studiata e nota1 e quindi ulteriori considerazioni sarebbero in questa sede superflue. Resta sicuramente da sottolineare l’importanza di un uomo che ha lasciato alla Chiesa una testimonianza e un’eredità spirituale di inestimabile valore. Ricorderò solo le date fondamentali della sua vita: don Dino Torreggiani nacque l’8 settembre 1905 a Villa Masone, in provincia di Reggio Emilia, e morì a Palencia, in Spagna, il 27 settembre 1983. I funerali si celebrarono il successivo 4 ottobre nel Duomo di Reggio Emilia. Prima di addentrarci nell’analisi dell’opera di don Dino a favore dei più abbandonati e bisognosi, è utile tracciare, almeno a grandi linee, i tratti salienti della sua chiamata vocazionale e di come egli intendesse la vocazione sacerdotale. Tra i numerosi episodi che hanno costellato la sua esistenza merita una particolare attenzione l’evento da cui scaturì la chiamata al sacerdozio di don Dino.
1
Sandro SPREAFICO, Il calice di legno. Dino Torreggiani e la sua Chiesa, Il Mulino, Bologna 2014.
31
L’11 giugno 1914, un suo cugino uccise durante una lite il parroco di S. Bartolomeo, don Giuseppe Benassi, di cui era contadino. Questo fatto di sangue determinò la sua vocazione in modo profetico: tornando dal funerale del prete ucciso, la madre del piccolo Dino, che non aveva ancora compiuto nove anni, gli posò la mano sul capo e gli disse: «Tu prenderai il suo posto: sarai sacerdote!». Ricordando questo fatto in età adulta, don Dino affermerà: «da allora non ebbi mai alcun dubbio sulla mia vocazione sacerdotale». Si trattò, dunque, di una vera e propria «vocazione di sangue»,2 molto sentita e di una solidità a tratti sorprendente. Nel volume Il calice di legno. Dino Torreggiani e la sua Chiesa, lo storico Sandro Spreafico sostiene, inoltre, che «è forse da ricercarsi in questa esperienza una delle radici del principio di riparazione, che illuminerà […] tutta la vita sacerdotale e il ministero di don Dino; e persino dell’attenzione alla condizione dei carcerati, indotta dal ricordo dei quattro cugini condannati»,3 ricordo che, come ammetterà don Dino, non si allontanerà mai dalla sua mente.
Nella
primavera del 1917, il giovane Dino fa il suo ingresso nel seminario di Reggio Emilia, che fu per lui non solo un luogo di accurata formazione, ma anche un laboratorio di idee e di progetti, che si sarebbero successivamente concretizzati nella fondazione dell’Istituto Secolare dei “Servi della Chiesa”. In seminario si distingue per la penetrante intelligenza e il senso di responsabilità. Aiutato dall’esempio di preparati formatori, il seminarista Dino matura un’idea di sacerdote sul modello di Gesù uomo “povero e umile” nella mangiatoria, di Gesù uomo “crocifisso” sul Calvario, e di Gesù uomo “mangiato” nell’Eucarestia, secondo la spiritualità che si rifà al beato Antonio Chevrier, fondatore dei sacerdoti del Prado. Don Dino riceve il Sacramento del presbiterato il 24 marzo 1928 nella Cattedrale di Reggio Emilia e subito è nominato Vicerettore del Seminario diocesano ad Albinea, a riprova delle sue notevoli capacità.
2
Sandro SPREAFICO, op.cit., 62.
3
Sandro SPREAFICO, op. cit., 62.
32
Come emerge da vari fatti della sua esistenza, don Dino aveva una mente particolarmente attiva ed ebbe molte intuizioni, da lui chiamate «idee della notte», perché pensate nei suoi frequenti dormiveglia. Queste idee venivano puntualmente concretizzate appena si creavano le condizioni favorevoli che egli vedeva come «segni di Dio» e non senza «l’approvazione e la benedizione del Vescovo». Dagli anni trascorsi in seminario emerge che, nella concezione di don Dino, la vocazione è qualcosa di «vertiginoso» e totalizzante, che si incarna nel programma «obbedire, amare, sentire con la Chiesa», e non è un caso che tra i temi preferiti nelle sue meditazioni troviamo la dignità sacerdotale, la povertà, il ruolo di Maria mediatrice, il problema del peccato e del sacrificio riparatorio, l’educazione della volontà: tutte tematiche strettamente connesse con la sua vocazione personale. A supporto di quanto detto, si riporta di seguito l’inizio di una meditazione di don Dino, datata maggio 1926, in cui appare il tema fondamentale della vocazione. «[…] La vocazione, infatti, – ricorda don Dino in un suo scritto – è frutto di un atto di predilezione da parte di Dio. È nel compiacimento del Padre, nel Verbo suo per lo Spirito Santo che il nostro nulla è destinato alla dignità incomparabile, della quale Dio non ha stimati degni neppure gli angeli… Quest’atto di predilezione, anche solo immaginato fuori di Gesù, è una mostruosità; ma in Gesù, sacerdote eterno santo e immacolato, esso non è che il culmine dell’amore divino per una creatura. E queste creature, che sono come la bellezza di Gesù, nelle quali Dio si compiace in modo particolare, siamo noi. C’è di che sbalordire!»4. La vocazione è dunque «predilezione» e l’unica risposta degna di questa predilezione è la ricerca della santità, è la «immolazione per la vita delle anime». In quest’ottica, secondo la visione di don Dino, che ricalca appunto quella del beato Antoine Chevrier, il sacerdote «non può essere semplicemente santo, ma deve essere eroicamente santo», attraverso le tappe di un percorso che contempla
4
Sandro SPREAFICO, op. cit., 65.
33
il conoscere l’Amore, il credere all’Amore, il vivere d’Amore e il morire d’Amore».5 La concezione del sacerdote secondo don Dino risponde, dunque, a quella cara allo Chevrier e sarà proprio lo Chevrier a dettare il carisma del sacerdozio ministeriale, in forza del quale «il sacerdote è un uomo spogliato, un uomo crocefisso, un uomo consumato». Risulta qui utile ricorrere all’analisi condotta da Sandro Spreafico, il quale afferma che «la fecondità dell’apostolato sacerdotale è affidata, prima ancora che alla operosità, allo «spirito di orazione» vocale, mentale, contemplativo, che, sulle tracce di S. Teresa del Bambino Gesù, necessita di tre prerequisiti: carità verso il prossimo, distacco dalle cose terrene, vera umiltà […]»6. Per mostrare in maniera ancora più chiara quale fosse la concezione del ruolo del sacerdote nella visone di don Dino, riportiamo la sua diretta riflessione. Scrive don Dino: «Il sacerdote non è forse la creatura che si innalza sul Monte Santo, davanti a Dio, a nome dell’umanità tutta, per porsi mediatore fra la divinità e l’uomo? Ma come potrà osare di innalzarsi a tanta altezza una misera creatura umana? Uno splendore sfolgorante, un profumo che inebria deve emanare dall’anima sacerdotale perché possa compiere la sua funzione di mediatore fra Dio e gli uomini». E, alla vigilia della sua ordinazione, in pubblico, don Dino invita così a pregare per i sacerdoti: «[…] pregate perché i vostri sacerdoti siano davanti agli occhi vostri e agli occhi dei vostri figli le immagini parlanti del nostro Dio»7. Don Dino si inserisce dunque perfettamente in una linea immaginaria che unisce figure di grandissimi sacerdoti, a partire dal Curato D’Ars e dal già citato Chevrier. La pratica della carità e del sacrificio don Dino l’apprese e la sperimentò già durante gli anni del Seminario e in questa altissima concezione del sacerdozio, il giovane Dino, colloca anche la sua devozione a Maria, che vien presentata come «il respiro della nostra vocazione».
5
Sandro SPREAFICO, op. cit., 65.
6
Sandro SPREAFICO, op. cit., 66.
7
Sandro SPREAFICO, op. cit., 66.
34
Dopo l’ordinazione, don Dino «è già un conteso predicatore; parrocchie, confraternite, associazioni di A. C., famiglie religiose imparano a conoscerne la singolare capacità di essere vetus et novus, di saldare dottrina e vita».8 Vale la pena concludere questa sintetica, ma ragionata, disamina sull’idea di sacerdote di don Dino con una sua predica, dove emergono tutti i tratti distintivi di quello che potremo definire, senza timore di sbagliare, un «sacerdote/eroe», predica che è anche un vero e proprio manifesto della sua pastorale. Afferma don Dino: «I sacerdoti, i seminaristi, i fanciulli, i prediletti cioè del Cuore Divino, ecco il campo del mio apostolato […] La pratica fedele, generosa, umile, costante dei consigli evangelici e del voto di vittima dell’Amore: ecco il mio sostegno, il mio annientamento, la mia immolazione continua. Sacerdos alter Christus! Oh sì, ma Gesù-Ostia, Gesù-Croce […] ogni tuo tabernacolo è sormontato dalla Croce. Quando mi sarò nascosto nel tuo cuore, allora mi crocifiggerai e sarò così del buon pane per le anime!»9. In conclusione, possiamo affermare che le parole di don Dino, come appare negli esempi sopra riportati, sono estremamente penetranti e dotate di una forza incredibile, delineando molto chiaramente quale era la linea d’azione che il giovane don Dino voleva dare alla sua vocazione. Il giovane don Dino, a soli ventiquattro anni, «aveva già assegnato al proprio ministero un “dover essere” che lo avrebbe, poi, esaltato e afflitto, reso capace, in ogni caso, di sopportare mortificazioni e fallimenti, ma anche di risollevarsi, ogni volta, e soprattutto di non farsi sorprendere dai problemi e dalle istanze della sua Chiesa, preconciliare e postconciliare».10
8
Sandro SPREAFICO, op. cit., 67.
9
SERVI DELLA CHIESA (a cura di), Pensieri di don Dino Torreggiani, manoscritto Marola, 22 agosto 1929, http://www.servidellachiesa.it/cosi-parlo-don-dino/, (consultato il 30 giugno 2016), 14.
10
Sandro SPREAFICO, op. cit., 68.
35
2.1.2. Il servizio di don Dino a favore dei più abbandonati e bisognosi
Ordinato sacerdote il 24 marzo 1928, il vescovo lo nomina per un breve periodo vice-rettore del seminario di Reggio Emilia, per poi designarlo assistente dell’Azione Cattolica e responsabile dell’Oratorio urbano “San Rocco”. Molti giovani della città e della periferia di Reggio Emilia, provenienti dalle più svariate categorie sociali, quali studenti e operai, intellettuali e proletari, nomadi e scarcerati, impiegati e militari, con regolarità frequentano il “caravanserraglio di San Rocco”, detto “l’arca di Noè”, dove tutti trovano accoglienza e ospitalità. L’“Oratorio di San Rocco”, nonostante sia povero, gode invece di molta popolarità, e soprattutto funzionalità. La sua grande ricchezza, oltre al grande cortile, è costituita dallo spirito di fraternità reso possibile grazie ai valori di povertà evangelica e di amicizia che lì vengono coltivati. Pur vivendo in pieno regime fascista, caratterizzato da ideali di forza, sfida e conquista inneggiati dal Duce,
Benito
Mussolini,
don
Dino,
avvalendosi
sapientemente
della
collaborazione di confratelli preti, seminaristi e buoni laici, propone un modello contrario a quello mussoliniano. L’Opera Nazionale Balilla della città di Reggio Emilia conosce un vero e proprio contraltare nel cosiddetto “Baraccone di San Rocco”, che diventa scuola popolare, dove il Vangelo s’incarna nella storia dell’uomo, divenendo così fonte di opere di misericordia corporale e spirituale, una vera università, come la chiamerà don Dossetti, dove si impara a coniugare vocazione e missione, povertà e servizio, vita interiore e impegno sociale. Don Dino acquista così nel tempo l’appellativo di “don Bosco di Reggio”, titolo che trova le sue ragioni nel fatto che il giovane sacerdote reggiano sapeva coinvolgere tutti nel suo apostolato, dai confratelli sacerdoti ai seminaristi, dai giovani agli adulti.11
11
Alberto ALTANA, Don Dino, il suo messaggio e la sua opera, Grafica artigiana, Reggio Emilia 1993, 29.
36
La sua responsabilità si muove lungo due rotaie: generosità nel dono ed esigenza nella richiesta. Ad alcuni, tale domanda, arriva fino alla proposta di una consacrazione totale con i voti di povertà, castità e obbedienza. San Rocco, se diviene un polo di aggregazione dei giovani bisognosi, nello stesso tempo diventa fonte di istituzione di ogni genere: dal “Centro Studentesco” e dalla “S. Vincenzo Universitaria” al “ritrovo serale per operai e per militari di leva”, dal “Pensionato Pier Giorgio Frassati” per giovani studenti al “Dormitorio del Bambino Gesù” per adulti in difficoltà o alla deriva, alla “Casa per Esercizi Spirituali don Mario Bertini”, figura splendida di prete che la Chiesa Reggiana ancora oggi ricorda. Non va certo dimenticato il “Piccolo Collegio S. Giuseppe”, una sorta di propedeutica al seminario, per la formazione di ragazzi poveri che non possono ancora essere accolti nel seminario diocesano per mancanza di mezzi, ma nei quali don Dino però scorge un seme di vocazione. San Giuseppe, che il Servo di Dio chiamava in modo confidenziale “l’economo delle nostre opere”, penserà a tutto. Il primo quinquennio degli anni Trenta rappresenta per don Dino un tempo di lavoro intenso, frenetico e segnato da una ricerca profonda dentro di sé, a volte non priva di sofferenza. Gli sono compagni di viaggio sacerdoti e maestri illuminati come Mons. Tondelli, Mons. Tesauri, l’abate Farioli e lo stesso Mons. Spadoni, Vicario Generale e insegnante di teologia in seminario, padre spirituale di don Dino e di molti sacerdoti e laici consacrati con i voti nella “Pia Società dei Figli del Divino Amore”. La via del calvario si fa presto sentire: a seguito di una profonda divergenza tra mons. Spadoni e il vescovo Brettoni, che avverte pericoli gravi di modernismo in alcuni aspetti della sua dottrina spirituale, mons. Spadoni viene sospeso a divinis. Tale provvedimento costituisce un trauma per tutta la diocesi reggiana e in particolare per don Dino che sente questa disposizione del vescovo come una vera e propria tragedia. Il presule, infatti, gli chiede di prendere le distanze da mons. Spadoni e di rinunciare ad ogni idea di consacrazione. Ciò rappresenta la fine di un progetto che don Dino aveva coltivato per lunghi anni
37
nel suo cuore.12 La fede però prevale al senso di smarrimento e don Dino si piega alla volontà del vescovo. Anni dopo egli stesso affermerà: “mi sono salvato, obbedendo al Vescovo”, “nihil sine episcopo”, nulla senza il Vescovo, secondo il pensiero del Santo Vescovo Ignazio d’Antiochia, che sarebbe rimasto per don Dino il fulcro dove far coniugare tradizione e novità.13 Negli anni che vanno dal 1936 al 1945, don Dino è parroco di Santa Teresa, la parrocchia più povera della città di Reggio e per questo da lui prediletta. Nonostante le condizioni precarie in cui si trova, il Servo di Dio non si scoraggia affatto, anzi, riprende il suo cammino, certo che la Provvidenza non lo abbandonerà, aprendo la casa a tutti, facendo del piccolo orto della casa canonica un campo da gioco. La sua attenzione si focalizza in modo particolare sull’“Unione Catechisti”, cui aderiranno molti giovani nei quali egli intravvide segni chiari di chiamata vocazionale. Ricordiamo fra questi i primi giovani che hanno corrisposto all’invito di Don Dino: Gino Colombo, Alberto Altana e Enzo Bigi. Nasce così l’Istituto Secolare dei “Servi della Chiesa”, tanto desiderato da don Dino. Gino Colombo, sul letto di morte, assieme a don Dino, a Enzo e Alberto, col consenso del Vescovo, emetteranno privatamente i voti.14 Nel suo zelo pastorale, che non rifiuta nessuna obbedienza al vescovo, don Dino come parroco, diventa anche direttore del “Pio Istituto Artigianelli”, istituto diocesano che aveva lo scopo di formare umanamente e cristianamente i ragazzi più poveri della città di Reggio Emilia e del circondario, e avviarli a un onesto lavoro. Sappiamo quanto grande fosse la fiducia di don Dino nella Divina Provvidenza e in modo particolare in San Giuseppe. Il desiderio di vivere i voti fu da lui chiesto, il giorno della sua prima Messa, alla Vergine Maria della Ghiara, della quale era molto devoto.
12
Sandro SPREAFICO, op. cit., 132-139.
13
Alberto ALTANA, op. cit., 22.
14
Sandro SPREAFICO, op. cit., 202-208.
38
In quegli anni don Dino si occupa senza sosta delle periferie di Reggio, creando una rete di collaboratori laici che lo coadiuvano nel servizio pastorale e sociale. Per quasi trent’anni don Dino impiega tutte le forze e tutta la sua fantasia nell’apertura di case di accoglienza e centri di formazione, coinvolgendo autorità ecclesiastiche e politiche. In tutto ciò è sempre sostenuto dalla preghiera incessante, senza mai perdere l’occasione per pregare, anche durante le lunghe notti insonni. Tra i quindici istituti da lui aperti in Italia e all’estero ricordiamo almeno la Casa di Badia Polesine per l’accoglienza dei bambini sinti, quella di Treviso per i ragazzi dei luna park e del circo, quella di Scandicci per gli anziani dello Spettacolo Viaggiante e quella di Baggiovara per gli ex-detenuti. Don Dino si dedicò anche alle missioni. Don Dino inizierà il suo progetto missionario in Spagna nel 1962, che rimarrà “la pupilla dei suoi occhi, … ne parlava spesso e in essa riponeva tante speranze”.15 Raccogliendo l’invito del Vescovo di Reggio, mons. Baroni, partecipa alla missione diocesana in Madagascar con altri Servi della Chiesa. L’iniziativa fu proficua e lo dimostra il fatto che ancora oggi in Madagascar sono presenti una trentina di consacrati appartenenti ai “Servi della Chiesa”.16 Le missioni in Brasile e in Cile furono, invece, realizzate dopo la morte di don Dino. Un altro settore dove operò don Dino fu quello del servizio nelle carceri e dell’assistenza agli ex carcerati. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con il consenso del Vescovo, Don Dino lascia la parrocchia per dedicarsi a tempo pieno a quei ragazzi, generalmente poveri, nei quali riconosce una vocazione sicura. Nel 1946 viene nominato cappellano del carcere di San Tommaso, incarico che manterrà fino al 1970. Insieme a Don Girelli e ad altri confratelli reggiani e guastallesi, don Dino
15
Alberto ALTANA, op. cit., 59.
16
Alberto ALTANA, op. cit., 13.
39
visita numerosi penitenziari italiani, prestando ovunque attenzione ai detenuti, agli agenti di custodia e alle loro famiglie. Oltre all’assistenza spirituale, don Dino si occupa anche del reinserimento lavorativo e sociale degli ex detenuti e il suo operato gli varrà la medaglia d’argento al merito della redenzione sociale, consegnatagli dal ministro di Grazia e Giustizia nell’ottobre del 1961. Don Dino «è convinto che l’universo carcerario […], anche per quanto attiene all’assistenza religiosa, non possa essere oggetto di un’attenzione saltuaria, ma esiga un impegno coordinato, programmato e speciale, una pastorale appropriata, vocazioni scelte. […] Dei singoli detenuti egli vuole conoscere la storia, il contesto parentale, l’alone culturale che garantisce loro, nonostante tutto, rigagnoli di solidarietà come di rancore contro tutte le istituzioni».17 L’approccio di don Dino all’universo del carcere tiene in considerazione anche gli altri protagonisti del sistema carcerario, primi fra tutti gli agenti di custodia. «A loro don Dino dedicherà, sempre, molta attenzione. Li considera autentici «benefattori dell’umanità», tanto sconosciuti quanto eroici; sa raggiungerli con parole e gesti nelle loro quotidiane frustrazioni e nelle loro istanze morali e religiose; li sostiene e li educa con incontri, discorsi, scritti e preghiere comunitarie. Solo una loro crescita culturale, psicologica e tecnica ne farà dei protagonisti consapevoli e corresponsabili del delicato compito di risanare i fratelli feriti nell’angosciosa vicenda della vita».18 Sull’obiettivo della pastorale carceraria don Dino ha le idee molto chiare e, anche in questo caso, fu precursore di idee che si affermeranno pienamente solo parecchi decenni più tardi. L’obiettivo deve essere il recupero del carcerato, la sua riabilitazione; occorre coniugare giustizia e misericordia, ponendo al centro il recupero. Possiamo davvero considerare d’avanguardia le idee di don Dino sulle carceri, anche se, pensando alla situazione odierna di molte carceri italiane, notiamo che poco, o nulla, è stato fatto per migliorare le condizioni dei carcerati e che le sue parole sono rimaste pressoché inascoltate.
17
Sandro SPREAFICO, op. cit., 512.
18
Sandro SPREAFICO, op. cit., 512.
40
Quanto all’aspetto religioso, don Dino offre ai detenuti l’immagine di un Dio misericordioso, non castigatore, ma padre. «La domanda religiosa conclude una riflessione di carattere sociologico e antropologico che mira a recuperare l’intera storia del soggetto», in una visione «olistica» dell’individuo, che anticipa in maniera sorprendente alcune delle più moderne teorie antropologiche sulla condizione dei carcerati.
2.1.3. “Venga Padre, siamo cristiani”: l’opera di don Dino a favore della gente del Viaggio
Il primo contatto di don Dino con il mondo dei nomadi avviene nel marzo del 1931. Don Dino viene informato che nelle vicinanze di una carovana c’è una donna che sta per morire. Accorre subito e viene accolto calorosamente dai presenti. Qualche settimana dopo don Dino ritorna in quel luogo e una donna lo avvicina dicendogli: “Padre, venga; siamo cristiani anche noi”. Don Dino comincia a conoscere il mondo dei nomadi e dei circensi, realizzando così il sogno di dedicarsi alle categorie più abbandonate. Per decenni quel mondo inesplorato di sinti e rom, di nomadi, di giostrai e di circensi sarà come la sua nuova grande famiglia. Don Dino sarà l’autore del Manuale per l’assistenza religiosa ai nomadi in Italia,19 che contiene, tra l’altro, indicazioni preziose sul modo di approcciarsi al variegato mondo dei nomadi. Nell’autunno del 1951 compie numerose missioni nei campi nomadi dell’Italia meridionale e delle isole, anche se sarà il 1952 l’anno di svolta e di accelerazione pastorale: don Dino mobilita le alte sfere ecclesiastiche, conoscenti e persino monasteri di clausura per raccogliere aiuti e collaboratori, o anche solo simpatie e solidarietà. È interessante notare come don Dino sia affascinato dal mondo dei lavoratori dello Spettacolo Viaggiante e dei nomadi e cerchi di esplorarne la pluralità, la
19
Il Manuale, steso a Reggio Emilia nel 1960, fu approvato dalla Concistoriale nel 1961.
41
psicologia e la sensibilità religiosa e anche di sperimentare diversi modelli e tecniche di approccio. Don Dino visita incessantemente carovane, ascolta le difficoltà che attanagliano i nomadi, risolve spinose questioni familiari e avvicina queste persone ai sacramenti. Fonda collegi per i fanciulli dello Spettacolo Viaggiante e dei circhi equestri, anche se non mancano difficoltà finanziarie che a volte mettono a dura prova i progetti di don Dino. È di casa sia nei circhi più celebri, come ad esempio il Circo Orfei, sia nei circhi più fatiscenti. Una grande svolta nel rapporto non sempre facile tra Chiesa e mondo circense fu data da papa Giovanni XXIII che accolse in udienza il Circo di Orlando Orfei. La Domenica del Corriere dedicò una copertina all’avvenimento e questo influì abbastanza sull’opinione pubblica, restituendo ai viaggianti una loro propria dignità. Fu don Dino che introdusse il circo nelle stanze vaticane, nella Sala Clementina. Anche la “Domenica del Corriere” gli dedicò una copertina con un disegno che rappresentava don Dino mentre celebra un battesimo nella gabbia dei leoni. Come ricorda Sandro Spreafico, «…una sintesi del pensiero di don Dino sull’intera questione dei nomadi è contenuta nel nuovo Memoriale che, inviato nel giugno 1957, alla Sacra Congregazione Concistoriale, si conclude con precise proposte per una definitiva sistemazione canonica dell’assistenza religiosa ai nomadi, da attuarsi mediante personale preparato, un metodo ed una catechesi appropriati, un ufficio centrale di coordinamento, impegnato a redigere una Costituzione per i nomadi».20 È utile ricordare, in conclusione di questo paragrafo, che don Dino ricevette appoggi importantissimi nella sua azione pastorale a favore dei circensi e dei fieranti. Tra i numerosi appoggi di Vescovi, ricordiamo almeno il sostegno ricevuto da Giovan Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, che farà ottenere un’udienza papale a don Dino, e, divenuto Arcivescovo di Milano, confermerà la propria simpatia al problema di una pastorale specifica per i nomadi con visite personali alle carovane e anche con aiuti economici. 20
Sandro SPREAFICO, op. cit., 583.
42
Nel 1958, grazie al prezioso lavoro di don Dino, fu istituita l’OASNI (Opera per l’Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia), che successivamente diventerà un ufficio della CEI e, nel 1987, confluirà nella Fondazione Migrantes, come Ufficio pastorale per i fieranti e circensi.
2.1.4. Il pensiero di don Dino e la riforma del Concilio Vaticano II
Don Dino seguirà attentamente i lavori del Concilio Vaticano II e per certi aspetti ne fu un precursore. Alcune sue intuizioni, infatti, anticipano tematiche che saranno proprie del Concilio. Tra queste troviamo sicuramente la rinnovata attenzione al Diaconato,21 la propulsione missionaria e l’esigenza di rinnovare il clero, tutte questioni che stavano particolarmente a cuore a don Dino e sulle quali lo stesso aveva già elaborato delle riflessioni che prepararono le decisioni conciliari. Subito dopo il Concilio, a Baggiovara, don Dino tenta di passare all’azione concreta, aprendo una prima “Scuola di formazione” per i futuri diaconi.22 La Conferenza Episcopale Italiana ferma l’iniziativa, ritenendola prematura e inopportuna e don Dino obbedisce, sempre in osservanza alla massima di Sant’Ignazio nihil sine episcopo, che lo guiderà per tutta la sua esistenza. Don Dino si interroga anche sulla figura del sacerdote nella Chiesa post conciliare. Tale riflessione inizia con l’analisi della condizione del clero nell’Italia dei suoi giorni, analisi che, in verità, è abbastanza negativa: egli nota, infatti, un clero povero di cultura teologica e biblica, stanco, a tratti “infantile”, refrattario ad ogni forma di aggiornamento e privo di strumenti esegetici. A ciò si aggiunge una buona dose di borghesismo, di attrazione verso la mondanità, di crisi dell’obbedienza, con tendenze all’isolamento, al compromesso, in un clima di generale sfiducia. Il sacerdote che don Dino vede non riesce più ad essere incisivo nella società e ciò non è accettabile: il Concilio e il mondo moderno 21
Antonio LUSUARDI, Una vita per servire. Don Dio Torreggiani, Arti Grafiche Campo, Alcamo 2010, 24.
22
Antonio LUSUARDI, op. cit., 25-28.
43
impongono, infatti, un deciso ripensamento della figura sacerdotale. Nel 1950 don Dino viene incaricato di svolgere conferenze per il clero in diverse diocesi. Tra i temi più ricorrenti troviamo l’ardore della carità e la santificazione del sacerdote, come risposta alla sfida alla Chiesa da parte del comunismo, l’abbandono di una religiosità formale, devozionale e l’esortazione ad operare per il superamento della lotta tra le classi sociali e tra i popoli. Don Dino collaborò a numerose iniziative volte ad aiutare i sacerdoti a difendersi dalle «occupazioni maledette» da forme esagerate di esteriorità, dell’attivismo, del tecnicismo e dello spettacolismo, tutti elementi che hanno conseguenze rovinose sulla loro anima e la loro vita pastorale. In quella che appare come una vera e propria “teologia del sacerdozio” don Dino esorta tutti i cristiani a stare vicino ai loro sacerdoti, a far sentire loro un caldo affetto fraterno. Secondo don Dino, inoltre, sacerdoti e vescovi devono operare in comunione per la crescita della Chiesa; deve esserci una cooperazione all’interno del clero e la mancanza di comunione con il vescovo porterebbe a disastro certo.23 Le idee di don Dino confluiranno in un Memoriale, che lo stesso affida al cardinale Pignedoli per farlo pervenire direttamente a papa Paolo VI. C’è da ricordare che non tutte le autorità ecclesiastiche del tempo approvarono le idee di don Dino e ci fu un gruppo di vescovi, fortemente minoritario ma pur sempre esistente, che esprimerà parere decisamente avverso alle proposte torreggianee. Altre risposte furono positive, altre, infine, sostanzialmente concordi, seppur problematiche. Questa concezione del sacerdote sembra essere radicata in don Dino fin dagli anni del Seminario; egli sembra avere chiara un’idea di sacerdozio a quel tempo impensabile o almeno improponibile, quella cioè del sacerdote diocesano consacrato con i voti. Interessante è anche l’idea di don Dino riguardo alle vocazioni. Egli è, infatti, convinto che sia compito di tutta la comunità dei fedeli sostenere e incoraggiare una vocazione sacerdotale, e auspica che tutti preghino senza sosta per le vocazioni. Ecco allora che il progetto di don Dino si condensa con la triade «assistenza, recupero, vocazioni». Egli punta ad assistere, sostenere le vocazioni 23
Antonio LUSUARDI, op. cit, 33-34.
44
vacillanti e recuperare quelle che sembrano ormai perdute. Come ricorda Spreafico24, al tema delle vocazioni don Dino dedica alcune delle sue pagine più commosse e vibranti. Nella seconda metà degli anni Sessanta don Dino si occuperà dunque attentamente della crisi del clero, proponendo soluzioni ed esortando i Servi della Chiesa ad impegnarsi concretamente nel processo di rinnovamento del clero, conducendo vita comunitaria, mettendo in pratica i consigli del Vangelo, rifondando il diaconato e dando un’impostazione missionaria alla pastorale, con un rinnovato spirito di servizio, che, come si è visto, si era smarrito in gran parte del clero italiano dell’epoca. Don Dino trascorre gli ultimi anni di vita in Spagna, dove giunge nell’agosto del 1983. Alcuni problemi di salute cominciano a indebolirlo nel fisico, ma non demorde e continua a portare avanti con fermezza i suoi progetti. Egli punta a rilanciare la fondazione spagnola, che rappresenterebbe anche un punto di partenza per le missioni in America Latina. Lavora senza sosta, sempre a favore dei più bisognosi e per il bene dell’Istituto da lui fondato. Don Dino morirà per un arresto cardiaco il 26 settembre 1983. Le esequie si terranno nel Duomo di Reggio e vi parteciperanno tanti poveri: le loro espressioni spontanee di affetto furono la testimonianza di quanto don Dino avesse seminato nei loro cuori. Si ricorda anche che un gruppo di bambini sinti cantò nella propria lingua una preghiera di lode a Dio. In conclusione, possiamo quindi ribadire che il sacerdote secondo don Dino è un sacerdote che opera in comunione con il Vescovo, che vive in maniera semplice, povera e agisce per la crescita della Chiesa. È un prete di frontiera, che «potrà resistere sulla frontiera se il radicalismo evangelico sarà la sua cifra».25 In un mondo materialista e volto solo ad interessi volgari, serve «una generazione di uomini dello spirito», i soli che potranno contribuire alla costruzione di una civiltà duratura.
24
Sandro SPREAFICO, op. cit., 478-487.
25
Sandro SPREAFICO, op. cit., 98.
45
2.1.5. Fondazione dell’“Istituto Secolare dei Servi della Chiesa”
Il modello di sacerdozio, che emerge dalla vita del servo di Dio don Dino Torreggiani, nasce dall’amore e dalla conseguente appartenenza totale alla chiesa locale nel dono del sacerdozio ministeriale in comunione e in obbedienza con il vescovo, che è “[…] la base sicura del nostro minimo e visibile Istituto”26 e “[…] centro sacramentale della vita della Chiesa”27, dirà don Dino, ispirandosi a sant’Ignazio. Questo diventerà uno dei punti fermi della sua vita presbiterale con la scelta del servizio per i poveri, scelta che don Dino definisce “preferenza apostolica”. Don Dino, dunque, fin dall’inizio del suo ministero, ha nel cuore la sua vita di prete diocesano, vissuta nei voti religiosi, che lui stesso professerà nel giorno della celebrazione della sua prima Messa: “L’idea di mettere sotto il calice della mia prima Messa, all’altare della cara Madonna della Ghiara di Reggio Emila, un semplice biglietto per fissare le grazie speciali che domandavo alla Madonna: la grazia di praticare i voti religiosi, restando sacerdote diocesano, e la grazia di darmi alle categorie più abbandonate”. Il modello che don Dino ha del sacerdozio ministeriale è di alto profilo: “… il popolo di Dio lo vuole un posseduto da Dio, un’anima profondamente carismatica, nella quale i carismi dello Spirito Santo lavorano, facendone un profeta, un testimone, una viva presenza di Cristo nel suo popolo”.28 Questo modello di sacerdozio don Dino desidera condividerlo con i suoi primi compagni, fondando nel 1948 l’“Istituto dei Servi della Chiesa”, i quali, “tanto laici che ministri ordinati, rimangono inseriti nel loro contesto sociale ed ecclesiale, in modo da poter operare all’interno di esso quale fermento di vita evangelica” (art.4).29 Uomini e donne consacrate sono chiamati a vivere i voti evangelici di povertà, castità ed obbedienza nella vita del mondo. 26
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei), don Dino e i pensieri della notte, pro manoscritto, I 30.
27
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei), op. cit. III 86.
28
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei), op. cit. I 16.
29
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei) Un ideale di servizio alla Chiesa e ai poveri, Reggio Emilia 1993, 12.
46
Volutamente la fondazione dell’Istituto avviene il 19 marzo, festa liturgica di San Giuseppe, del quale don Dino era molto devoto. Lui stesso lo ricorderà in un suo scritto: «[…] più volte sono stato invitato a scrivere o a parlarvi della devozione al caro San Giuseppe, ricordando le innumerevoli grazie ricevute, praticamente agli inizi del nostro Istituto, e la mai smentita sua protezione sopra la nostra piccola iniziativa. Realmente San Giuseppe per me è come uno di casa, sempre presente, sempre accostabile, sempre sollecito a confortarci, guidarci per mano nella vita del nascondimento, della presenza continua di Dio, dell’umile ed esatto compimento del nostro dovere»30. L’idea di scegliere per l’Istituto secolare nascente il nome “Servi della Chiesa” trova fondamento nel pensiero che don Dino ha del servizio alla Chiesa: “servire ˗ dice don Dino ˗ vuol dire donarsi, consacrarsi, vuol dire lavorare per la Chiesa, vuol dire immolarsi secondo le necessità della Chiesa”.31 Per don Dino tutta la vita del “Servo della Chiesa” deve essere un servizio alla Chiesa, un servizio che parta dal cuore, dalla mente, dalla volontà e dai sensi, soprattutto a favore dei più abbandonati, dei più dimenticati e, in modo particolare, guardando a Gesù nel tabernacolo: “… qui sta la nostra forza, la nostra vitalità, la nostra comunione, tutto il superamento delle difficoltà, perché il nostro volto si illumini”.32 Il servire, per don Dino, è fare per gli altri senza nessun tornaconto; è fare quello che non fanno gli altri, senza nessuna ricompensa, senza alcun vantaggio, come Gesù stesso ricorda nella pagina del Vangelo di Luca, tanto cara al Servo di Dio: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. (Lc 17, 10). Don Dino è consapevole che l’Istituto è opera divina, dono della Provvidenza, con la quale il Signore con mano sapiente, delicata e amorosa fa sentire la sua presenza: «Quante preghiere, quante trattative e quante segrete lacrime per ottenere questo dono dalla buona Provvidenza di Dio».33 «Se pensassi anche solo per un istante che l’Istituto è opera umana, non resterebbe che fuggire lontano e 30
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei), don Dino e i pensieri della notte, pro manoscritto, II, 10.
31
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 59.
32
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., III 13.
33
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 49.
47
portarmi al manicomio»34. La povertà dell’Istituto è il segno visibile della Provvidenza che non abbandona mai chi ha fiducia in Dio, anzi per don Dino la povertà è il segreto della vera prosperità dell’Istituto stesso. Inoltre don Dino ripone molta fiducia anche in san Giuseppe, da lui chiamato l’economo dell’Istituto “… quante volte, nei momenti più neri, di miseria, di incomprensione, di debiti, di tradimenti e san Giuseppe ha sempre pensato lui, sempre provveduto, sempre consolato!”.35 L’Istituto secolare è opera di Dio e delle tante grazie di Dio al servizio dei più poveri, dei carcerati e dei nomadi. In modo particolare il Servo di Dio ha una vera predilezione per i nomadi, per gli zingari e per la gente del circo e del luna park. “I nomadi! Se voi mettete che la condizione per partecipare alla vita della Chiesa sia quella di fare comunità, il nomade è sempre escluso, è sempre impossibilitato a fare comunità”.36 Nel cuore di don Dino i girovaghi hanno un posto privilegiato, perché non solo sono abbandonati da tutto e da tutti, ma anche dalla Chiesa. Il Servo di Dio è consapevole che il cuore di Dio è vicino alle miserie dell’uomo e il rifiutarsi di servire questa categoria di persone è chiudere gli occhi alla grazia di Dio, che opera in mezzo a noi. “Se l’Istituto si salva nei momenti difficili, pericolosi, se avrà vocazioni, le avrà in funzione dei gitani, in funzione degli zingari, in funzione dei nomadi”.37
34
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 27.
35
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 53.
36
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 76.
37
SERVI DELLA CHIESA, op. cit., I 76.
48
2.2. Le opere assistenziali di don Dino per la gente dello Spettacolo Viaggiante
2.2.1. Dalla carovana all’O.A.S.N.I. (Opera di Assistenza ai Nomadi in Italia)
Per parlare della nascita e dello sviluppo dell’O.A.S.N.I. bisogna ripercorrere alcune tappe della vita di don Dino Torreggiani. Nel marzo 1931, alcuni ragazzi dell’oratorio andarono a chiamare don Dino, dicendogli che in piazza del mercato c’erano delle persone che piangevano intorno ad una moribonda. Don Dino accorse a portare i conforti religiosi alla morente e fu accolto con cordialità e riconoscenza dai presenti. I funerali che ne seguirono furono di grande edificazione per i parrocchiani. Questo episodio segnò una svolta nella sua vita di sacerdote.38 Tornato dopo qualche settimana nella stessa piazza, quasi per mettere a fuoco l’esperienza vissuta, una donna di un’altra carovana lo invitò con queste parole: «Padre, venga: anche noi siamo cristiani». Era la sig.ra Caroli Semiramide, madre di valenti equilibristi, che molti anni dopo avrebbe conclusa serenamente la sua vita nella Casa di Riposo per anziani dello Spettacolo Viaggiante e dei Circhi a Scandicci. In seguito a questo episodio, il nome di don Dino venne conosciuto anche da altri viaggianti, tanto che venne invitato a preparare la Pasqua, ormai imminente, per i componenti di un piccolo luna park che sostava in paese. Don Dino nei suoi scritti annotava: «Fu una rivoluzione per la mia anima […] scoprivo un nuovo mondo di gente cordiale e amica»39. Nasceva in lui il desiderio di occuparsi dell’assistenza per i “nomadi”, come gruppo bisognoso, e a questo proposito nel 1948 fondava l’Istituto Secolare 38
Alberto ALTANA, (a cura di), Le nuove povertà. Ricordando don Dino Torreggiani, “l’avventuriero della carità”, San Lorenzo, Reggio Emilia 1993, 19.
39
Dino TORREGGIANI, Preistoria dell’Istituto, in “Il Vicolo”, Reggio Emilia 1978, 6.
49
“Servi della Chiesa”40. Intanto intensificava la sua attività pastorale tra i Circhi, i Luna Park e gli zingari, dando vita nel 1958 all’Opera di Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia (OASNI). Per merito di don Dino la Chiesa cominciava a prendersi cura dei nomadi, inteso in senso generale, in forme organizzate e istituzionalizzate. Per portare avanti la sua missione in modo più capillare, oltre ai “Servi della Chiesa”, aggiunse la collaborazione delle donne dell’Unione di Azione Cattolica Italiana (UDACI). Nel 1952 don Dino stese un primo Memoriale per la Sacra Congregazione Concistoriale, in cui elencò una serie di norme da osservare nell’esercizio di questo apostolato e avanzò la proposta di creare un ufficio centrale, che avrebbe nominato uno o più cappellani per i nomadi, previa opportuna formazione41. Nel medesimo anno la Sacra Congregazione Concistoriale, che aveva il compito di vigilare “sulla cura spirituale non soltanto degli emigrati all’estero, ma anche di quelle categorie di persone che senza uscire dai confini della patria possono considerarsi emigrati all’interno di essa”, prendeva sotto la sua responsabilità l’attività di don Dino e dei suoi collaboratori42. Anzi il Cardinal Piazza auspicò che anche altri sacerdoti collaborassero con don Dino. Il 20 luglio 1958 la medesima Congregazione approvava il primo Statuto dell’Opera di Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia (OASNI)43. Esso si articola in quattro parti: scopo dell’organizzazione, compiti della Direzione
40
Alberto ALTANA, op. cit., 29-30.
41
Uno dei cappellani nominati da don Dino, ancora vivente, è mons. Romualdo Baldissera della diocesi di Vittorio Veneto.
42
COMMISSIONE ECCLESIALE PER LE MIGRAZIONI (CEMI), La famiglia nel Circo e nel Luna Park. Nella tradizione una speranza che si rinnova, SAVIOLA P. - FONDAZIONE MIGRANTES (a cura di), Roma, 1991, disponibile nel sito della CEI, https://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2008-04/23-23/13%20%20Dossier%20OASNI.doc (consultato il 9 giugno 2016).
43
Piergiorgio SAVIOLA, Rapporto nella riunione dei Direttori degli Uffici CEI del 13 gennaio 2010 in qualità di responsabile della Fondazione Migrantes, Ufficio nazionale per la pastorale dei fieranti e circensi, [sito della Fondazione Migrantes], http://docplayer.it/14251299-M-i-g-ra-n-t-e-s-fondazione-della-conferenza-episcopale-italiana.html (consultato l’11 febbraio 2016), 2.
50
Nazionale, funzione dei cappellani e loro facoltà, formazione dei centri missionari. Primo direttore nazionale dell’OASNI venne nominato don Dino. Don Dino nel Memoriale,44 scritto nel 1952, classifica i nomadi in tre categorie: - La prima è composta da grandi impresari circensi o lunaparchisti. Molti di questi, provenienti dal mondo dei sinti,45 hanno dimora stabile ed hanno saputo, con la forza del lavoro e della volontà, trasformare il piccolo tiro a segno in una grande giostra. La famiglia dei grandi impresari è molto numerosa; e la loro sete di guadagno li porta a diventare persone egoiste e invidiose dei loro colleghi giostrai. Presi dai loro interessi, è difficile raggiungerli e contattarli religiosamente. - Gli appartenenti alla seconda categoria, gli ambulanti, piccoli e medi impresari, sono più numerosi. Le loro famiglie hanno un grande rispetto per la Chiesa e per il culto dei morti. Essi sono solidali tra loro; spesso il lutto di una famiglia è il lutto di tutta la comunità. Nelle loro carovane46 è facile trovare immagini sacre, anche se la loro vita religiosa è occasionale, solo nei momenti di bisogno. Fra le donne si registra il 20% di praticanti la religione con regolarità, mentre i maschi vi sono totalmente assenti, anche a causa della loro ignoranza religiosa. La vita familiare, connotata da solidi legami, permette alle donne di Azione Cattolica di accedere in questo mondo e di portarvi il loro apostolato. Don Dino proponeva di cominciare l’opera di assistenza proprio da questa seconda categoria di persone, perché essa abbraccia un più vasto numero di famiglie e perché presenta più numerosi punti di approccio; inoltre, tramite esse, poter raggiungere anche i grandi impresari. Ma perché all’interno di questa categoria non sorga il sospetto di essere considerati «inferiori» dagli stanziali gagè, don Dino consigliava di abbandonare la mentalità che vede in questo mondo nomade solo malviventi o persone non degne di rispetto; per 44
SAVIOLA Piergiorgio, op. cit., 4.
45
A questo tema rimandiamo alle pagine specifiche di questo studio già trattate in precedenza.
46
Nel linguaggio del viaggio, la carovana è molto più grande di una roulotte, che viene chiamata campina. Di solito la carovana è costruita su un carro oppure su un bilico, agganciato ad un camion motrice.
51
loro i «diversi» siamo noi che viviamo sempre nello stesso luogo. Don Dino, quando arrivava un Luna Park o un Circo, ai suoi parrocchiani era solito dire: «chiudete i pollai e aprite il cuore!», com’è nel ricordo dei Servi. - Infine la terza categoria è composta dagli Zingari, i quali hanno una fisionomia propria e sono distinguibili, tra loro, a seconda della provenienza e dei mestieri: calderai, indoratori, venditori di cavalli, suonatori di violino, e le donne addette alla chiromanzia e all’elemosina47… Dal punto di vista religioso sono molto superstiziosi e si richiede per loro un approccio e un tipo di pastorale tutta particolare. Don Dino faceva notare che presso i nomadi i risultati più profondi si ottengono quando l’attività dei sacerdoti è esercitata con grande zelo, pertanto si prefiggeva di offrire loro una maggiore preparazione specifica. Anche il catechismo stava a cuore a don Dino, richiedendo a tal fine una stretta collaborazione con le donne di Azione Cattolica, che avevano il compito di informare il sacerdote sia dei casi bisognosi, sia delle necessità degli anziani e dei ragazzi. Inoltre don Dino proponeva agli adulti la lettura del libretto “Oasi di carovane” e far pervenire loro il bollettino mensile “In Cammino”, pubblicato la prima volta nel 1952. Tutte le notizie raccolte in questo modo riguardanti i tre settori, come già abbiamo accennato, furono oggetto di un Memoriale, inviato alla Sacra Congregazione Concistoriale nel 195748. In essa il sacerdote individuava le differenze che intercorrono tra i circhi e i luna park; e per quanto riguarda gli zingari metteva in risalto le difficoltà che l’assistenza religiosa incontrava per via delle loro caratteristiche sociali e i loro frequenti spostamenti49. Per essi intendeva affrontare il problema del loro inserimento nella società, formulando un metodo di avvicinamento e di apostolato appropriato e ospitando i fanciulli sinti nel collegio della “Divina Provvidenza” di Badia Polesine (RO). Nell’ultima parte del Memoriale don Dino, con alcune
47
Nel linguaggio zingaro, andare a carità si dice manghel e andare a rubare si dice cjurel. Tutti e due i sostantivi hanno la stessa radice.
48
SAVIOLA Piergiorgio, op. cit., 2.
49
SAVIOLA Piergiorgio, op. cit., 9.
52
proposte, affrontava la situazione canonica dell’assistenza religiosa ai nomadi attraverso un apposito personale e la costituzione di un Ufficio Centrale per regolare la vita cristiana dei nomadi in Italia. Infine si augurava di dare forma giuridica e un proprio regolamento sia all’opera di assistenza religiosa allo Spettacolo Viaggiante e ai Circhi Equestri, sia alla Missione Cattolica Permanente degli Zingari. Don Dino, come direttore dell’OASNI, per dare un aiuto concreto ai suoi collaboratori, scrisse per loro un Manuale, che venne approvato dalla Sacra Congregazione Concistoriale50. Nel 1962, l’Opera, pur restando sotto l’alta Direzione della Sacra Congregazione Concistoriale, per la guida pratica nell’attività pastorale passò alle dipendenze della Commissione Pastorale della CEI. In tal modo per la prima volta gli ordinari diocesani e le parrocchie diventano responsabili della pastorale per i circensi e i lunaparchisti. Nel 1965, poi, il Concilio Vaticano II, con il Decreto Christus Dominus ribadiva che «le opere di apostolato siano opportunamente coordinate e intimamente unite tra loro, sotto la guida del Vescovo»51, raccomandando «un particolare interessamento»52 per i nomadi. Nel 1982 l’OASNI passò sotto la Commissione Episcopale per le Migrazioni e Turismo (CEMIT) e il relativo Statuto all’art. 3 stabiliva che i sacerdoti, i religiosi e i laici venivano coordinati da una Delegazione Nazionale costituita da un Delegato, da tre Incaricati nazionali e da tre Incaricati di Settore (circo, luna park, zingari)53. Il successivo Regolamento del 1991 (dopo che l’OASNI è stata incorporata dalla CEI nella Fondazione Migrantes), approvato dalla CEMI e dal Consiglio amministrativo della Migrantes, regola l’attività Ufficio per la pastorale dei fieranti e dei circensi. 50
OASNI (a cura di), Manuale, Roma 1962.
51
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Christus Dominus, in Enchiridion Vaticanorum, EDB, Bologna 1979, 17.
52
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Christus Dominus, op. cit., 17.
53
FONDAZIONE MIGRANTES, Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, Statuto dell’OASNI, EDB, Bologna 2001, 2852-2866.
53
2.2.2. Fondazione del Collegio per i ragazzi del circo e del luna park
La preoccupazione di don Dino Torreggiani era quella di dare un’educazione sana, religiosa, civile e scolastica ai bambini che appartenevano al mondo del circo e del luna park. Cercò quindi di aprire delle strutture che fossero delle vere e proprie “Case famiglia” per questi ragazzi, dove si potesse concretizzare la sua idea di educazione, e dove questi bambini dello Spettacolo Viaggiante si sentissero il meno emarginati possibile dalla vita sociale. La situazione sociale ed economica delle famiglie del Nord-Est, appartenenti allo Spettacolo Viaggiante, era in quegli anni molto critica. Gran parte di esse proveniva dalla tradizione sinta, versava in precarie condizioni economiche, vivendo in una situazione di emarginazione sociale e scolastica. Don Dino conosceva tutte queste famiglie, sapeva tutto di loro, e soprattutto godeva della loro fiducia. Preoccupato soprattutto per la formazione scolastica dei fanciulli, pensò alla realizzazione di un’opera con finalità educative, come soluzione a questo grande problema che gli stava a cuore. Infatti, per don Dino l’istruzione era il mezzo più semplice e più sicuro perché questi fanciulli potessero riscattarsi dalla loro indigenza. Il Collegio di Treviso, “Villa Maria”, avrebbe garantito una continuità didattica ed una frequenza regolare della scuola dell’obbligo, che, considerando il loro continui spostamenti, spesso questi ragazzi non potevano frequentare in modo regolare e, a volte, erano dediti a compiere facili furtarelli. Le ragazze preoccupavano meno don Dino; generalmente venivano avviate alla vita della carovana e quindi rimanevano più tempo in famiglia, più dedite alle faccende domestiche. Al Servo di Dio preoccupava la formazione dei bambini del circo, che vivevano l’itineranza molto più dei loro coetanei del luna park; pensò così a delle “Scuole Itineranti”, dove una maestra seguiva i bambini del circo in una
54
carovana adibita ad aula scolastica, sia per la didattica sia per la formazione religiosa. Il Ministero della Pubblica Istruzione, su sollecitazione di Don Dino, approvò il progetto e “Villa Maria”, nel periodo in cui i ragazzi dovevano sostenere gli esami, diventava per i giovani circensi luogo di studio e di preparazione alle prove scolastiche. Le “Scuole Itineranti” per i circhi funzionarono ottimamente fino all’apertura dell’Accademia del Circo, voluta dall’Ente Nazionale Circhi prima a Cesenatico e poi a Verona. Il 5 aprile 1954 aprì il Collegio-Casa “Villa Maria” alla periferia di Treviso, su decreto del Vescovo di Treviso mons. Antonio Mantero.54 Don Dino affidò la direzione di “Villa Maria” ai “Servi della Chiesa”, che condussero con impareggiabile dedizione e cura la struttura e la formazione dei fanciulli che venivano lì accolti, fino alla chiusura della stessa, avvenuta nel 1992, per mancanza di vocazioni da parte dei Servi. Il direttore era il coordinatore delle attività educative e veniva affiancato da un’équipe psico-pedagogica e da personale esperto. I ragazzi che vivevano nella struttura frequentavano le scuole pubbliche per essere maggiormente integrati nella società. In Collegio si svolgevano l’attività del doposcuola e la formazione religiosa con la preparazione ai sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Questi venivano amministrati nel periodo primaverile, quando le famiglie non erano ancora impegnate al massimo con il loro lavoro. “Villa Maria” poteva ospitare al massimo 30 ragazzi, che generalmente vi rimanevano fino alla fine della scuola dell’obbligo. A volte, nei casi più meritevoli, i ragazzi si fermavano anche per frequentare le scuole superiori e l’università. Ancora oggi, nella gente che opera nel luna park e nel circo, è molto vivo e riconoscente il ricordo dei “Servi della Chiesa”, che hanno svolto il loro servizio educativo con i ragazzi. In chi ha vissuto l’esperienza di “Villa Maria” è ancora presente il ricordo di don Dino e delle sue visite. Molti dei ragazzi ospiti del
54
Piergiorgio SAVIOLA, op. cit., 11.
55
Collegio lo descrivono sempre con il sorriso stampato sulle labbra e l’immancabile carezza sul capo; non mancava mai di portare le caramelle, ricordando la frase che diceva sempre: “…o Santi, o briganti!”. Il ricordo va anche a mons. Piergiorgio Saviola e a Renato Galeno, che hanno trascorso parte del loro ministero dedicandosi a loro con generosità, dedizione e bontà, seguendo l’esempio del Servo di Dio.
2.2.3. La Casa di Riposo di Scandicci per anziani e ammalati del “Viaggio”
Un tempo la figura dell’anziano nelle famiglie degli stanziali non era motivo di preoccupazione; la medicina poi non aveva ancora fatto i passi “da gigante” della nostra epoca. Infatti esistevano le grandi famiglie nelle quali l’anziano era accudito dalla generazione più giovane, che condivideva gli stessi spazi e gli stessi momenti di vita comune. Quindi, anche se un anziano si invalidava, qualcuno della famiglia lo accudiva sempre. Le “Case di Ricovero” erano di solito per derelitti e persone senza famiglia. Nel caso delle famiglie dello Spettacolo Viaggiante, accudire un anziano con difficoltà diventava molto difficile. Si pensi solo al viaggio, di solito settimanale, alla salita e discesa dalla carovana, che sostava spesso in piazze fatiscenti. La figura dell’anziano aveva ed ha tuttora un peso enorme nel mondo dei viaggianti, per ricordi ed esperienze utili alla vita quotidiana del circo o del luna park. Era l’anziano che nel circo tramandava le tecniche per la corretta riuscita dei numeri in pista; oppure nel luna park era l’anziano che sapeva a quali famiglie stanziali si poteva far riferimento nella piazza di sosta delle giostre. Spesso però, soprattutto nel circo, la gestione dell’anziano e dell’ammalato era difficile. Don Dino si rese conto di questa realtà e si accorse anche del fatto che nei circhi molti artisti e operai non avevano una famiglia alle spalle. Al Servo di Dio rimase impresso questo tipo di povertà e nelle sue memorie sottolinea: «Aspettiamo i poveri e accogliamoli con rispetto […] come persone e come
56
ambiente. La regola della carità è la necessità di aiuto e soccorso del bisognoso richiedente, nulla anteponiamo ai poveri che ci chiedono aiuto»55. Fin dal 1930 il Servo di Dio aveva in mente di aprire una Casa di Riposo per gli anziani delle famiglie dello Spettacolo Viaggiante, nella quale essi potessero fermarsi, sentendosi comunque nel loro ambiente. Nel 1952 riuscì ad acquistare “Villa delle Catene” di Bronciliano a Scandicci, vicino a Firenze, da un Istituto di suore che volevano alienarla.56 Don Dino fermamente convinto nell’intervento della Divina Provvidenza azzardò l’acquisto, sicuro che San Giuseppe avrebbe pensato a tutto. E, infatti, la Provvidenza bussò alla porta dell’Istituto dei “Servi della Chiesa” per l’acquisto dell’Immobile sotto forma di donazioni anonime. La Casa di Scandicci è e rimane un punto fisso affinché gli anziani e i malati del mondo del Viaggio possano trovare conforto familiare e religioso di accompagnamento verso una fine cristiana dignitosa e umana con amore e rispetto, secondo quanto avrebbe voluto don Dino. La prima ospite della Casa di Riposo di Scandicci, come abbiamo già accennato, fu la signora Semiramide Baroni, moglie di Pietro Caroli, la donna circense che con la celebre frase “Padre, venga: siamo cristiani anche noi”, spalancò il cuore di don Dino sul mondo dello Spettacolo Viaggiante; essa si spense serenamente presso la Casa di Scandicci nel 1968. Nell’idea di don Dino la Casa Famiglia di Scandicci, data la sua collocazione nel Centro Italia, doveva diventare anche un centro di pastorale dello Spettacolo Viaggiante.
55
SERVI DELLA CHIESA (a cura dei), http://www.servidellachiesa.it/cosi-parlo-don-dino/. Ultimo accesso 16 giugno 2016.
56
Piergiorgio SAVIOLA, op. cit., 11.
57
CAPITOLO TERZO LA PASTORALE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE OGGI
3.1. Il Magistero e il mondo dello Spettacolo Viaggiante
Il tema della pastorale dei fieranti e dei circensi appare all’attenzione della Chiesa, nei documenti del Magistero Pontificio, nei programmi delle Congregazioni e dei Consigli di governo della Chiesa universale, in un periodo molto recente. Questo può essere spiegato con molteplici motivi. Prima fra tutte una sensibilità che si è affinata nei rapporti con un ambito di attività che esiste da lunghissimo tempo, ma in modi progressivamente diversi. L’attenzione infatti è rivolta a persone chiamate a una mobilità costante, non radicate in un preciso territorio, nella impossibilità di coltivare rapporti stabili con gli stessi colleghi e con le famiglie coinvolte nelle medesime attività. Da aggiungere infine che si tratta di persone esposte all’emarginazione da parte delle comunità, che di volta in volta visitano e alle quali propongono il loro servizio di natura particolarissima. Viene perciò da domandarsi se si tratta di cittadini e cristiani di seconda categoria. Ma come potrebbe essere questo soprattutto in una Chiesa dove «nessuno è straniero», perché essa, per sua natura, «non è straniera a nessun uomo»?1
1
GIOVANNI PAOLO II, Piergiorgio SAVIOLA, Messaggio per la Giornata Mondiale dell’Emigrazione, 25 luglio 1995, disponibile nel sito della Santa sede, http://w2.vatican.va/content/...ii/.../hf_jp-ii_mes_25071995_undocumented_migrants.html (consultato il 15 giugno 2016).
58
Già nei primi documenti ecclesiali che manifestano cura pastorale nei confronti di questo mondo specialissimo, si evidenzia l’interesse di comprendere la specificità del lavoro svolto dagli operatori dello spettacolo viaggiante, di valutare le dinamiche di vita che si stabiliscono all’interno dei gruppi familiari e professionali, di intuire le modalità più efficaci per incontrare chi si dedica a questo servizio. Allo stesso tempo, però, le difficoltà riguardano la vita e la formazione personale, la crescita culturale, la tipologia delle relazioni, l’educazione dei figli, la maturazione della fede, il rapporto con le comunità di fede e la pratica religiosa.2 Volendo sommariamente delineare i tratti distintivi di questa categoria di persone, si potrebbe definirle così: “Persone dedite allo svago e al divertimento da offrire alle varie comunità in giorni particolari in cui vivono esperienze di incontro e di festa. Esse sono destinate a instabilità di residenza, che non può non avere dei riflessi sul piano dell’identità personale-comunitaria, e a precarietà delle relazioni di cui necessariamente è intessuta la vita di ogni giorno”. Non si vogliono e non si devono rilevare soltanto gli aspetti difficili e problematici della vita di queste persone. A titolo di premessa sembra molto efficace e utile riportare una definizione assai felice che è stata data del Circo e dei Luna Park: «laboratorio di frontiera per un cammino cristiano nella fratellanza universale, nell’ecumenismo, nell’incontro con le altre religioni».3 È una chiave feconda di lettura per la comprensione di quanto si va dicendo e facendo con riferimento a questi «mondi» singolari. Si fa risalire al tempo di Pio XII, nel suo lungo pontificato, ben 19 anni dal 1939 al 1958, l’affiorare dell’attenzione della Chiesa per la particolare forma di 2
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI E IL TURISMO, Zingari-Luna Park-Circhi, proposta pastorale della Chiesa italiana, LDC, Torino 1983, 3.
3
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI ED ITINERANTI, VII Congresso Internazionale della Pastorale per i circensi e fieranti, disponibile sul sito vaticano: http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/documents/rc_pc_migrants_d oc_12161204_circensi_finaldoc_it.html (consultato il 13 gennaio 2015).
59
premura
pastorale
riservata
alle
persone
coinvolte
nell’esperienza
dell’“itineranza”, riconoscendo tra queste la presenza di molte categorie di persone: nomadi, abitanti e usuari della strada, circensi. A queste fu affiancata quella degli studenti internazionali, protagonisti allora di un fenomeno sociale in espansione impressionante.4 A Pio XII è giustamente riconosciuto il merito di aver intravisto l’urgenza del progetto di un Pontificio Consiglio atto a incarnare la sollecitudine della Chiesa nel campo vastissimo, e allora in crescita, della mobilità umana. Ciò che Pio XII intravide fu poi attuato da Paolo VI e perfezionato da Giovanni Paolo II. Fin dagli esordi, e precisamente dalla pubblicazione della Costituzione Apostolica Exsul familia (1952), definita la magna charta della pastorale migratoria, furono distinte le cosiddette «due ali» della mobilità umana: la migrazione e l’itineranza, specificamente differenziate nel loro essere, ma da tenere sempre congiunte in unità di visione e di azione. Questa ricerca restringe l’orizzonte di osservazione al campo dell’itineranza e di alcune forme specifiche della stessa: quelle dei circensi e dei fieranti. Le due però non vanno disgiunte, ma va cercato di riconoscere, nel possibile, i richiami alle radici comuni e alle istanze culturali e di fede che le accomunano.
3.1.1. Giovanni XXIII: lampi di dottrina
Papa Giovanni XXIII pronunciò due felicissime affermazioni durante il suo secondo incontro con i circensi in Vaticano avvenuto nel 1959. Esse identificano il mondo di attività degli spettacoli viaggianti non tanto come destinatario di cura e premura pastorali, quanto come soggetto di testimonianza e di incidenza culturale, depositario di una missione preziosa di apostolato: «L’attività degli spettacoli viaggianti diviene elemento di pace interiore, di tranquillità dello spirito, e, nel contempo, di serietà, dignità sino a
4
Agostino MARCHETTO, intervento al seminario regionale del CELAM, 20 marzo 2007, Roma,
60
diventare utile apostolato, poiché favorisce l’accordo dei migliori sentimenti e perciò una seconda armonia». E ancora: «Camminare per le vie del mondo è un mezzo di meriti e di bene, se il lavoro è riguardato quale contributo all’ordine morale voluto da Dio»5. Volendo esplicitare e interpretare con la molteplicità dei loro spettacoli, i protagonisti di questo mondo viaggiante favoriscono la pace interiore e la serenità dello spirito; non sono improvvisatori, ma coltivano un esercizio di ascesi e preparazione che ne fanno campioni di serietà e di dignità. L’abilità raggiunta attesta il conseguimento di un’armonia dell’esercizio fisico e della psiche che allude a un più alto grado di equilibrio spirituale. Per ultimo, essi sono cooperatori dell’opera creatrice di Dio, in quanto, attraverso uno spettacolo che allieta e unisce fra loro fruitori tanto diversi per provenienza e cultura, danno un contributo unico nel loro genere al ristabilimento e allo sviluppo dell’ordine morale voluto da Dio.
3.1.2. Il Concilio Vaticano II e il Decreto Christus Dominus
Non poteva sfuggire ai Padri Conciliari l’urgenza del problema pastorale in esame. Precisando le varie attività nell’apostolato proprie dei Vescovi, il Decreto Conciliare Christus Dominus, al n. 18, fra l’altro così recita: «Si abbia un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza: tali sono i moltissimi emigranti, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti a trasporti aerei, i nomadi, ed altre simili categorie. Si adottino anche convenienti sistemi di assistenza spirituale per i turisti. Le
5
GIOVANNI XXIII, in Fondazione Migrantes, Ascolto e accoglienza della chiesa per il mondo dello spettacolo viaggianteCircensi, Lunaparchisti e altri artisti della strada, disponibile nel sito CEI, http://www2.chiesacattolica.it/ceidocs/seed/pn_ceidocs.c_select_abstract?id=790 0&ufficio=Fondazione+Migrantes&tipologia=&layout=1&sezione=2&id_session=34 (consultato il 16 gennaio 2015).
61
conferenze episcopali, e specialmente quelle nazionali, dedichino premurosa attenzione ai più urgenti problemi riguardanti le predette categorie di persone, e con opportuni mezzi e direttive, in concordia di intenti e di sforzi, provvedano adeguatamente alla loro assistenza religiosa, tenendo presenti in primo luogo le diposizioni date o da darsi dalla Santa Sede e adattandole convenientemente alle varie situazioni dei tempi, dei luoghi e delle persone.» L’elencazione dei fedeli ai quali riservare particolare interesse ha valore indicativo, e i gruppi dei quali questa ricerca si occupa vanno riconosciuti nella indeterminata locuzione «ed altre simili categorie». Una nuova attenzione pastorale va comunque precisando i soggetti ai quali rendere visibile l’annuncio del Vangelo, in modo particolare alla gente itinerante.
3.1.3. Paolo VI e la pastorale tra i fieranti e circensi
Facendo proprie le sollecitudini del Concilio Ecumenico, papa Paolo VI dispose che tutte le norme precedentemente emanate sul fenomeno migratorio fossero riviste, adeguandole alle condizioni notevolmente mutate ed indicò la Costituzione Apostolica Exsul familia del suo predecessore Pio XII come espressione fondante della «materna attenzione e sollecitudine della Chiesa e testo guida sul quale condurre il lavoro di riproposta dell’ordinamento e della struttura della cura pastorale»6. A distanza di pochi giorni, il 22 agosto, al Motu Proprio fece seguito l’Istruzione De pastorali migratorum cura della Congregazione dei Vescovi, denominata con le parole che la introducono Nemo est. Si tratta di un documento con il quale viene offerto alle Conferenze Episcopali e ai singoli vescovi uno strumento utile per svolgere la loro funzione di governo. Nella sezione normativa vengono trattate dettagliatamente le procedure e le conseguenze della costituzione di parrocchie personali, cappellanie e missioni 6
PAOLO VI, Motu Proprio. Pastoralis Migratorum cura, 15 agosto 1969, disponibile sul sito del Vaticano, http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motuproprio_19690815_pastoralis-migratorum-cura.html (consultato 17 gennaio 2015).
62
con cura d’anime da parte del vescovo o dell’eparca. Sono sei i capitoli che costituiscono
l’Istruzione,
rispettivamente
titolati:
i
fedeli
laici,
i
cappellani/missionari, i religiosi e le religiose, le autorità ecclesiastiche, le conferenze episcopali, il Pontificio Consiglio della Pastorale con i Migranti e con gli Itineranti. A giudizio degli interpreti, nel documento sono basilari l’affermazione dei diritti e il ruolo da protagonisti nella evangelizzazione riconosciuti ai fedeli coinvolti nel fenomeno migratorio. Con ampie citazioni dai documenti conciliari, dalla Lumen Gentium in specie, viene riaffermato il diritto dei fedeli a ricevere con abbondanza tutti i beni spirituali derivanti dalla Parola di Dio e dai sacramenti, al fine di raggiungere la misura della perfezione nella carità. Se ci sono fedeli che, per circostanze particolari, necessitano di un’attenzione speciale, l’organizzazione pastorale mirerà a sovvenire a queste necessità. Dalla riaffermazione di principi generali si nota come venga preparato il discorso relativo a gruppi speciali di fedeli, la cui vita è organizzata in maniera diversa rispetto a quelli dei fedeli ancorati ad un territorio e ad una specifica istituzione ecclesiastica. Il fedele migrante non è solo fruitore, la sua presenza nella chiesa non è individualistica, in quanto nasce all’interno di una rete di relazioni e deve aprirsi a rapporti vitali che trasmettano anche ad altri quello che lui ha ricevuto; di qui il suo protagonismo evangelizzatore. Da queste premesse derivano alcune conseguenze per i vescovi, ai quali già il Concilio Vaticano II aveva ricordato la necessità di venire incontro a coloro che, per le loro condizioni di vita, «non possono godere a sufficienza della comune ordinaria cura pastorale dei parroci o ne sono privi del tutto» e di rendere più flessibile il principio della territorialità, aprendo così la strada a sviluppi dell’organizzazione ecclesiastica più adatti alle esigenze pastorali. L’Istruzione mira a rispondere alle necessità di varie tipologie di fedeli.
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Dopo la sua pubblicazione, a migranti e itineranti è stata riservata un’attenzione specialissima. L’obiettivo è quello di far crescere e far vivere la Chiesa in questa realtà mobile che non ha la possibilità di contatti vitali con le nostre comunità ferme; formare in particolare gli artisti ad essere loro stessi evangelizzatori della loro gente, protagonisti della pastorale nel loro ambiente: la famiglia da oggetto a soggetto di pastorale. I principi che devono ispirare la pastorale in favore dei migranti sono riassunti in questa formula: specializzazione, disponibilità ministeriale, personalità, elasticità organizzativa e servizio. Nella pastorale con i migranti la figura del cappellano è centrale, egli realizza nella sua persona i principi appena elencati: - Specializzazione: si richiede nel cappellano/missionario la conoscenza circostanziata del gruppo di fedeli che deve seguire; non si improvvisa un’azione pastorale, né la scelta del titolare può essere un intervento “tappabuchi”. - Disponibilità ministeriale: o l’iniziativa parte dal singolo sacerdote oppure alla chiamata l’interpellato deve, ovviamente, dichiarare la disponibilità ad accompagnare i migranti. - Personalità: la funzione è legata a delle persone, non ad un territorio chiaramente delimitato; già l’exsul familia all’art. 35 precisava questo aspetto, chiarendo i rapporti e la collaborazione che vanno stabiliti con i parroci con i quali dovrà di necessità concordare la sua missione. E’ fatto salvo comunque che la funzione del cappellano sia equiparata giuridicamente a quella del parroco, con le stesse facoltà ministeriali, non esclusa quella di assistere ai matrimoni, purché uno degli sposi sia un migrante appartenente alla missione. - Elasticità organizzativa: essendo molteplici le variabili che il movimento migratorio presenta anche nel gruppo ristretto dei circensi e dei fieranti, l’organizzazione dell’attività pastorale non può essere rigida; ogni elasticità, però, dovrà trovare giustificazione entro un quadro generale di massima che garantisca coerenza ed efficacia.
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- Servizio: con i destinatari di un servizio così esigente e delicato saranno concordate le modalità di erogazione, in modo che sia evitata ogni forma di estemporanea occasionalità.7 Il 19 marzo 1970, solennità di San Giuseppe, con il Motu Proprio Apostolicae Caritatis, Paolo VI provvide alla istituzione della Pontificia Commissione per la Pastorale dell’Emigrazione e del Turismo, alle dipendenze della Sacra Congregazione per i Vescovi, così da «collegare in forma stabile, feconda ed efficace, e da sottoporre ad un’unica direzione tutte le iniziative sull’argomento facenti capo ad Organismi diversi», fra i quali il Segretariato internazionale per la direzione dell’Opera dell’Apostolato dei Nomadi. In un passaggio della Lettera Apostolica il Papa ricorda il compito specifico assegnato nel 1965 al Segretariato e cioè quello di «recare spirituale conforto ad una popolazione che non ha fissa dimora ed anche a quegli uomini che vivono in condizioni analoghe, come sono coloro che si muovono da un luogo all’altro, perché si dedicano agli spettacoli del circo o ad un particolare lavoro di carattere stagionale».8 Ora, in premessa, constata che il campo a cui si estende la sollecitudine pastorale si è ora allargato al massimo «grazie al mirabile sviluppo della tecnologia», per cui «sono diventati molto facili i viaggi di qualsiasi genere e si sono straordinariamente intensificati i reciproci rapporti tra cittadini e nazioni, ed i contatti tra gli uomini. Proprio per questo l’azione pastorale dev’essere rivolta non soltanto a coloro che vivono entro i limiti ben definiti delle parrocchie, delle associazioni e di altri istituti similari, ma anche a coloro che di propria scelta o per qualche necessità lasciano i loro luoghi di residenza».9 Va sottolineato come nei documenti che attestano il maturare della riflessione ecclesiale sul tema che stiamo trattando, l’ambito della cura pastorale rischia di risultare marginale rispetto alle sfide formidabili poste dal fenomeno migratorio
7
CONGREGAZIONE DEI VESCOVI, (a cura di), Nomo Est, in Enchiridium Vaticanum, vol. 3, pp. 900-961, nn. 1500-1605.
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PAOLO VI, Motu Proprio. Apostolicae Caritatis, 19 marzo 1970, disponibile sul sito del Vaticano, http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motuproprio_19700319_apostolicae-caritatis.html (consultato il 17 gennaio 2015).
9
PAOLO VI, op. cit.
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internazionale ed interno, che va esprimendosi in forme massicce e numeri macroscopici con implicazioni sociali, culturali e religiose sempre più preoccupanti. Papa Paolo VI manifesta squisita sensibilità e simpatia per quelli che definiva «specialisti degli spettacoli viaggianti».10 Nel gennaio 1976 ebbe luogo il XIX Congresso internazionale dello Spettacolo Viaggiante; i congressisti presenziarono all’udienza generale e il Papa li salutò: «Abbiamo ancora presente nel nostro ricordo l’incontro lieto e cordiale che avemmo con la vostra organizzazione nel febbraio 1966. A voi tutti, specialisti degli spettacoli viaggianti, desideriamo rinnovare oggi il nostro apprezzamento per il vostro lavoro con il quale intendete offrire, non soltanto ai bimbi ma anche ai giovani e agli adulti, una pausa di autentica serenità e di sano divertimento, in mezzo al ritmo quasi sempre vorticoso dell’odierna vita quotidiana. Tale finalità umanitaria e sociale animi la vostra attività, che può diventare preziosa anche di fronte a Dio, quando la compite nel pieno rispetto dell’età e della sensibilità degli spettatori e dei vostri doveri professionali».11 L’appellativo «specialisti degli spettacoli viaggianti» è di grande riguardo e considerazione; il saluto prosegue poi con un quasi paradossale ribaltamento dei ruoli: viaggiatori per definizione, sono essi a favorire momenti di quiete nel vortice della vita quotidiana. Un Papa dalla cultura artistica raffinatissima non poteva non valorizzare questo aspetto dell’attività circense. Pochi mesi prima di morire, il 22 febbraio 1978, ricevendo il Circo Medrano, confidò la gioia derivante dall’opportunità concessagli di dire «quanto paternamente siamo vicini al vostro singolare lavoro di Circo, che combina
10
PAOLO VI, Discorso in occasione Udienza generale, 21 gennaio 1976, Aula Paolo VI, disponibile sul sito della Santa sede, https://w2.vatican.va/content/paulvi/it/audiences/1976/documents/hf_p-vi_aud_19760121.html (consultato 17 gennaio 2015).
11
PAOLO VI, op. cit.
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armoniosamente l’arte e il divertimento»12. La particolare forma di vita dei circensi costituisce inoltre per il Papa un’icona dell’esistenza umana provvisoria sulla terra, da vivere come pellegrini che “passano facendo del bene”.
3.1.4. Giovanni Paolo II sulle orme dei suoi predecessori
Nel suo lungo pontificato, Giovanni Paolo II ha avuto modo di affrontare molte volte il tema della migrazione e dell’itineranza. Alle sue udienze sono stati presenti spesso i lunaparkisti e gli artisti circensi: clown, giocolieri, trapezisti, domatori, ecc. Il Papa constatò che, a distanza di 35 anni dalla pubblicazione del Motu Proprio Pastoralis migratorum cura di Paolo VI, fosse necessario «aggiornare la pastorale migratoria» in ragione «dei nuovi flussi migratori e delle loro caratteristiche», per rispondere ai nuovi bisogni dei migranti, «per condurli, a loro volta, a trasformare l’esperienza migratoria in occasione non solo di crescita nella vita cristiana, ma anche di nuova evangelizzazione e di missione».13 A questo provvide il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, allora presieduto dal cardinale Stephen Fumio Hamao, con l’ampia e articolatissima Istruzione: Erga Migrantes Caritas Christi (3 maggio 2004) che delinea molto bene le cosiddette «due ali» della mobilità umana, anche se riserva un’attenzione prevalente a quella della migrazione rispetto a quella dell’itineranza per le dimensioni e la qualità del fenomeno migratorio. Un breve, ma densissimo, discorso pronunciato da Giovanni Paolo II in occasione del VI Incontro Internazionale della Pastorale per i Circensi ed i
12
, PAOLO VI, discorso in occasione Udienza generale, 22 febbraio 1978, Aula Paolo VI, disponibile sul sito della Santa sede, https://w2.vatican.va/content/paulvi/it/audiences/1978/documents/hf_p-vi_aud_19780222.html, (consultato 17 gennaio 2015).
13
Stephen FUMIO HAMAO, Presentazione dell’Istruzione "Erga Migrantes Caritas Christi", disponibile sul sito della Santa Sede, http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils /migrants/documents/rc_pc_migrants_doc_20040514_presentazione-istruzione_it.html (consultato il 20 gennaio 2015).
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Fieranti sembra sintetizzare tutti gli aspetti riguardanti la seconda ala della mobilità.14 Vale la pena di sintetizzare alcuni punti: - La stima e la simpatia del Papa si concentrano sui diversi aspetti di rilevanza sociale del fenomeno: quello aperto nelle città e nei villaggi dai circensi e dai fieranti è «uno spazio di festa e di amicizia». Far sorridere un bambino, confortare una persona sola e disperata, unire gli uomini, richiedono professionalità alta negli artisti e in tutti i loro collaboratori. - La normativa sempre in evoluzione, soprattutto sul piano della sicurezza, e l’aspetto nuovo delle città inducono più incertezze che rassicurazioni riguardo al futuro. - L’itineranza complica notevolmente il compito educativo relativamente ai bambini, dei quali va seguita con premura la formazione scolastica, professionale e religiosa. - Messi a confronto tra loro i mondi del circo-fiera e degli spettatori, essi presentano caratteristiche che tendono a divergere, mentre invece devono essere riportate ad unità: nel primo valgono la pazienza, il coraggio, il senso del rischio misurato, il gioco collettivo, il riconoscimento reciproco di essere «compagni attenti, riconciliati con i loro corpi e persino con gli animali», una testimonianza di speranza già sul piano umano; nel secondo l’individualismo e la competizione. - Gli obiettivi umani e spirituali da raggiungere esigono collaborazione fra giovani, adulti e, sul piano della fede, assistenti-cappellani. - Garanzia sicura: «quando gli uomini hanno come mestiere offrire un gioco di felicità, Dio non resterà al di fuori della festa». Nel novembre 2002 viene pubblicato il documento della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana: Ascolto e 14
GIOVANNI PAOLO II, discorso in occasione del VI Congresso internazionale della pastorale dei fieranti e circensi, Vaticano, 16 dicembre 1993, disponibile sul sito della Santa sede, http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/fr/speeches/1993/december/documents/hf_jpii_spe_19931216_circensi.html, (consultato il 20 gennaio 2016).
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accoglienza della Chiesa per il mondo dello spettacolo viaggiante, che merita considerazione per i valori che esprime. Allo stesso tempo, però, è portatore di una testimonianza: la rispondenza che il magistero dei papi e degli organismi di governo della Chiesa universale trovava presso le Conferenze episcopali delle varie Nazioni e dei vari territori.15 Si notino anzitutto le precondizioni del dialogo con un mondo tanto singolare: accoglienza e ascolto; vedere per capire, sospendere ogni giudizio e soprattutto pregiudizio, annullare le diffidenze in grado di generare soltanto separazione ed emarginazione, spogliarsi di ogni pretesa di avviare un lavoro «per» e non «con», pretesa paternalistica sempre insidiosa anche per le buone intenzioni della Chiesa. Il documento si propone finalità squisitamente pastorali e pone fin dall’inizio il problema nella giusta luce: «Questi uomini e queste donne che vivono, infatti, la fatica della continua separazione da un contesto sociale e culturale sono, pur nel breve periodo di permanenza, membri della comunità cristiana. Per questo è importante educare le nostre comunità ad assumere anche nei loro confronti quegli atteggiamenti e quei rapporti di vita che sono chiesti da Gesù alla sua Chiesa». Va apprezzata questa nota della segreteria della CEI, perché ribadisce la priorità di «stare» alla scuola del Vangelo prima di intraprendere qualsivoglia attività pastorale. Il contenuto del documento si può agevolmente schematizzare: - La mobilità del mondo dei Circhi e dei Luna Park genera forme di sradicamento dall’ambiente, che si riflettono negativamente sulla pratica religiosa e sulla frequenza ai sacramenti. - I tempi e gli orari di lavoro degli itineranti sono del tutto anomali; non possono essere loro a variarli per adeguarli a quelli delle comunità dentro le quali vengono temporaneamente a trovarsi; sono gli operatori pastorali a 15
FONDAZIONE MIGRANTES (a cura della), Ascolto e accoglienza della chiesa per il mondo dello Spettacolo Viaggiante, Roma 7 novembre 2002, disponibile sul sito della CEI, http://www2.chiesacattolica.it/ceidocs/seed/pn_ceidocs.c_select_abstract?id=7900&ufficio=Fo ndazione+Migrantes&tipologia=&layout=1&sezione=2&id_session=34, (consultato il 20 gennaio 2016).
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dover rivedere tempi e metodi, così da trovare le forme più adatte ed efficaci per portare con nuovo slancio il messaggio del Vangelo. - I mondi del circo e del luna park sono portatori di una cultura e di una tradizione tanto singolari quanto antiche; il loro linguaggio e la loro sensibilità li rendono in certo qual modo delle «isole», per cui con linguaggio adeguato e con sintesi approfondite e originali del mistero della fede si potrà essere accolti e ci si potrà inserire in questi mondi non da «stranieri», ma da fratelli. - L’esperienza di fede è condizionata dai continui spostamenti e dunque l’insegnamento
religioso
difficilmente
potrà
assumere
i
caratteri
dell’organicità e della sistematicità che sarebbero richiesti; come, allora garantire una iniziazione cristiana integrale alle giovani generazioni e un sostegno perdurante agli adulti? La frequenza, la qualità e la programmazione dei contatti personali degli operatori pastorali e degli educatori sono in questo caso decisive. - Importante è stata la preparazione di un catechismo adatto al mondo dei circensi e dei fieranti sulla base di quello della Chiesa Cattolica; esso si intitola significativamente: In cammino con Gesù per portare gioia e festa. - Si raccomanda che gli atteggiamenti di accoglienza e di ascolto si riconoscano anche nella celebrazione dei sacramenti: «Si dia un’intonazione festosa alla celebrazione dei sacramenti curandone bene la preparazione, servendosi del linguaggio e delle manifestazioni proprie dei Circensi e dei Fieranti, della loro creatività e delle loro devozioni popolari, nella fedeltà allo spirito e alle tradizioni della Chiesa.» Il documento conclude affermando che l’attenzione a questo particolare mondo, sfida la creatività pastorale della Comunità cristiana. In tempi brevi non si potranno dare risposte adeguate, ma i segni di fiducia e ottimismo già si riconoscono.
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3.1.5. Benedetto XVI e i «nuovi areopaghi» per l’annuncio del Vangelo
Benedetto XVI parlò in più occasioni ai circensi sviluppando spunti notevoli di riflessione come quelli in cui definisce circhi e luna park come «cattedrali di fede e tradizione, segno di speranza in un mondo globalizzato»; oppure della possibilità che essi diventino i «nuovi areopaghi» per l’annuncio del Vangelo e la trasmissione della fede, perché si tratta di luoghi in cui, al di là delle barriere culturali e delle separazioni linguistiche e religiose, le persone si incontrano e si riconoscono fratelli e sorelle, accettandosi nella loro diversità. Il primo dicembre 2012, il Papa rivolse loro uno specifico e singolare discorso.16 Davanti a oltre 7000 persone provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre oltre al calore del saluto, aggiunge un’analisi sociologica e culturale dell’essere «itineranti», elencandone i tratti distintivi, i pregi e le difficoltà e delineando con concisione efficace le linee di una specifica pastorale di settore. Dapprima ha evidenziato ciò che contraddistingue la «gente dello spettacolo viaggiante»: «[…] la vostra grande famiglia ha la capacità di usare il linguaggio particolare e specifico della vostra arte. L’allegria degli spettacoli, la gioia ricreativa del gioco, la grazia delle coreografie, il ritmo della musica costituiscono proprio una via immediata di comunicazione per mettersi in dialogo con i piccoli e con i grandi, suscitano sentimenti di serenità, di gioia, di concordia. Con la varietà delle vostre professioni e l’originalità delle esibizioni, voi sapete stupire e suscitare meraviglia, offrire occasioni di festa e di sano divertimento».
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BENEDETTO XVI, discorso in occasione Udienza al mondo del Circo e del Luna Park, 1 dicembre 2012, Aula Paolo VI, disponibile nel sito della Santa Sede, http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/december/documents/hf_benxvi_spe_20121201_pc-migranti.html, (consultato il 23 gennaio 2016). Il discorso è stato edito anche dalla Fondazione Migrantes, Cantori della vita e della festa, TAU, Todi, 2013.
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Si è soffermato sui valori della tradizione circense: «…l’amore per la famiglia, la premura per i piccoli, l’attenzione ai disabili, la cura dei malati, la valorizzazione degli anziani e del loro patrimonio di esperienze. Nel vostro ambiente si conserva vivo il dialogo tra le generazioni, il senso dell’amicizia, il gusto del lavoro di squadra. Accoglienza e ospitalità vi sono proprie, così come l’attenzione a dare risposta ai desideri più autentici, soprattutto delle giovani generazioni. I vostri mestieri richiedono rinuncia e sacrificio, responsabilità e perseveranza, coraggio e generosità: virtù che la società odierna non sempre apprezza, ma che hanno contribuito a formare, nella vostra grande famiglia, intere generazioni», Non si possono chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà: «Conosco – continua il Pontefice – i numerosi problemi legati alla vostra condizione itinerante, quali l’istruzione dei figli, la ricerca di luoghi adatti per gli spettacoli, le autorizzazioni per le rappresentazioni e i permessi di soggiorno per gli stranieri». A questo proposito il Santo Padre auspica che le Amministrazioni pubbliche sappiano riconoscere «la funzione sociale e culturale dello spettacolo viaggiante, si impegnino per la tutela della vostra categoria; incoraggio sia voi sia la società civile a superare ogni pregiudizio e ricercare un buon inserimento nelle realtà locali». Ha stabilito, poi, una singolare somiglianza con la Chiesa: «La Chiesa si rallegra per l’impegno che dimostrate ed apprezza la fedeltà alle tradizioni, di cui a ragione andate fieri. Essa stessa che è pellegrina, come voi, in questo mondo, vi invita a partecipare alla sua missione divina attraverso il vostro lavoro quotidiano. La dignità di ogni uomo si esprime anche nell’esercizio onesto delle professionalità acquisite e nel praticare quella gratuità che permette di non lasciarsi determinare da tornaconti economici. Così anche voi». Ha, infine, manifestato la sua preoccupazione e cura pastorale: «Benché la vita itinerante impedisca di far parte stabilmente di una comunità parrocchiale e non faciliti la regolare partecipazione alla catechesi e al culto divino, anche nel vostro mondo si rende necessaria una nuova evangelizzazione. Auspico che
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possiate trovare, presso le comunità in cui sostate, persone accoglienti e disponibili, capaci di venire incontro alle vostre necessità spirituali.» Due anni prima, nel dicembre 2010, si svolse a Roma l’ottavo Congresso internazionale di Pastorale per i Circensi e i Fieranti. Il documento finale prodotto dal simposio è articolato e lucido nella riflessione che propone, quasi una ricapitolazione di quanto auspicato, programmato e realizzato in vari decenni d’impegno in questo campo. Il testo spazia dalle considerazioni generali fino alle raccomandazioni. Fra le considerazioni generali emergono le seguenti: - «La configurazione del mondo dei circhi e dei luna park è complessa, non costituisce una realtà omogenea, che si esprime nell’industria dei grandi circhi, di quelli piccoli e familiari, nei parchi di divertimento stagionali e fissi, nelle giostre e simili, con varie componenti etniche, sociali e religiose». - Il segreto dell’opera evangelizzatrice sta nella preparazione degli operatori pastorali, ma anche «nell’apertura, nella disponibilità e nel pieno coinvolgimento dei circensi e dei fieranti stessi, come protagonisti e non soltanto come destinatari dell’azione pastorale. - Per la popolazione del mondo dello spettacoli viaggiante è praticamente impossibile appartenere ad una comunità ecclesiale tradizionale; le condizioni di vita, gli impegni di lavoro e la sistemazione logistica nelle periferie urbane spesso non favoriscono né la partecipazione alla vita della comunità cristiana locale, né la pratica e il consolidamento della fede; si tenga conto di quanto viene richiesto a questa gente nei continui trasferimenti, nei preparativi dello spettacolo, nella esecuzione degli spettacoli soprattutto nei giorni di festa; quasi sempre la fede, trasmessa dai familiari, può trovare sostegno in sacerdoti e laici amici, capaci di capire i loro valori e disponibili all’accoglienza, all’ascolto e al rispetto. - Il ruolo della donna assume una valenza insostituibile per tutto ciò che riguarda l’educazione scolastica, morale e religiosa degli adolescenti e dei giovani.
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- Se diffusi nelle nostre comunità sono l’indifferenza religiosa e il rilassamento morale, si pensi quanto questi possano incidere sulle giovani generazioni aperti agli influssi che il mondo globalizzato e i nuovi mezzi di comunicazione possono far giungere a loro. - Vanno sottolineati alcuni valori che sono radicati nel mondo degli itineranti: amore alla famiglia, senso dell’amicizia, amore per gli anziani, coraggio, generosità, solidarietà, dedizione al lavoro, impegno indiscutibile anche nella fatica; su questi può far perno ogni iniziativa pastorale, - Come è attestato in molti altri documenti, l’arte dei fieranti e le abilità professionali dei circensi possono diventare canali di trasmissione del vangelo e di testimonianza della bellezza e della bontà di dio. Vanno poi sottolineate le molte raccomandazioni che riguardano la comunità cristiana, ma non meno anche le Istituzioni pubbliche: - Gli operatori pastorali offrano il loro aiuto facendo diventare quasi una «parrocchia viaggiante» le comunità affidate alla loro cura; - La sinergia di stati, organismi internazionali e chiese locali non risparmino fatiche per preservare l’identità circense e lunaparchista; sia praticata ogni iniziativa utile a garantire l’educazione scolastica dei viaggianti; - Le amministrazioni locali e le autorità locali «riconoscano il valore socioculturale dello spettacolo viaggiante e contrastino ogni eventuale forma di marginalità e pregiudizio».
3.1.6. Papa Francesco: voi siete artigiani della festa
Papa Francesco ha accolto la grande famiglia del circo e del luna park nell’udienza speciale del 16 giugno 2016 presso l’aula Paolo VI. La sintonia fra il sentire del Papa e le qualità specifiche del mondo dei viaggianti garantisce parole e gesti inediti di reciproca accoglienza, di intesa e di condivisione.
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Nella preparazione a questa giornata è degna di citazione una nota della Migrantes, organismo pastorale della CEI, “Piazza San Pietro si trasformerà in un grande palco per accogliere l’incontro tra papa Francesco e persone e famiglie che, per arte e professione, sono in cammino sulle strade dell’Italia e del mondo, per arricchire le piazze e le città di momenti di spettacolo e di arte”. Così è avvenuto! Fin dalle prime ore del mattino la gente del viaggio, giunti da ogni parte dell’Italia e da tanti altri paesi del mondo, avevano iniziato la lunga giornata che è culminata con l’udienza del Santo Padre. L’incontro con papa Francesco è stato preceduto da una serie di spettacoli circensi e popolari, chiaramente adattati al luogo, che hanno intrattenuto i convenuti. Papa Francesco, con il suo innato calore paterno, attraversando il corridoio della Sala Nervi, non si è risparmiato al “bagno di folla” che lo attendeva, stringendo la mano alle persone che si affacciavano alla transenna, abbracciando e benedicendo i tanti bambini, piccini e non, che attendevano il suo arrivo. Non è mancato poi un intrattenimento circense per il Papa culminato con una carezza ad una piccola tigre siberiana, che lo ha spaventato. Il discorso17 rivolto dal Santo Padre ai presenti in modo semplice e familiare ha sottolineato aspetti importanti per la vita di questi fratelli itineranti. Anzitutto papa Francesco li ha chiamati “artigiani della festa, della meraviglia e del bello, chiamati ad alimentare sentimenti di speranza e di fiducia”. Chi è artigiano se non colui che è un esperto creativo attraverso il lavoro delle proprie mani e della propria creatività e genialità? Meraviglia e bellezza sono l’anima dello Spettacolo Viaggiante. Un numero del circo e una giostra in movimento generano stupore, entusiasmo e sorpresa,
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FRANCESCO I, discorso in occasione Udienza al mondo del Circo e del Luna Park, 16 giugno 2016, Aula Paolo VI, disponibile nel sito della Santa Sede, https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/june/documents/papafrancesco_20160616_giubileo-spettacolo-viaggiante-popolare.html (consultato il 21 giugno 2016).
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lasciando spesso a bocca aperta piccoli e grandi, che dimenticano per qualche istante la realtà della vita quotidiana. Il Pontefice ha poi aggiunto: «La festa e la letizia sono segni distintivi della vostra identità, delle vostre professioni e della vostra vita, e nel Giubileo della Misericordia non poteva mancare questo appuntamento. Voi avete una speciale risorsa: con i vostri continui spostamenti potete portare a tutti l’amore di Dio, il suo abbraccio e la sua misericordia. Potete essere comunità cristiana itinerante, testimoni di Cristo, che sempre è in cammino per incontrare anche i più lontani». Il viaggiare di piazza in piazza esprime la vera vocazione del circense e fierante, quella cioè di portare gioia e festa agli uomini che incontra nei paesi dove vengono allestiti i mestieri o lo chapiteau del circo. La vocazione è gioia, perché nasce dall’amore e dalla consapevolezza di essere amati. Dio ci chiama perché ci ama. La chiamata, e così ogni chiamata, chiede la missione, uscire fuori, perché attraverso la nostra gratuità i fratelli possano fare esperienza dell’amore di Dio. Allora possiamo pure affermare che la “vocazione” alla gioia e alla festa nel mondo dello Spettacolo Viaggiante è vera chiamata alla santità e al dono. Se ogni vocazione, come Papa Francesco ricorda nel messaggio in occasione della 53^ giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, nasce, cresce ed è sostenuta dalla Chiesa, anche la vocazione dei fieranti e circensi con i loro Spettacoli di piazza in piazza è segno della vitalità dello Spirito, è segno di benedizione. Non fu così anche per Zaccheo, che, come l’Evangelista Luca riferisce, alla chiamata di Gesù “scese subito e lo accolse pieno di gioia” (Lc 19, 6)? Il tema della festa e della gioia come vocazione, papa Francesco lo sottolinea già nell’Evangelii Gaudium, quando afferma che «Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove» (EG 167). Il Papa poi mette in rilievo l’aspetto aggregativo e sociale dello Spettacolo Viaggiante, già sottolineato dai suoi predecessori nelle udienze precedenti con i fieranti e i circensi. Proponiamo questo passaggio del suo discorso: «Lo spettacolo viaggiante e popolare è la forma più antica di intrattenimento; è alla portata di tutti e rivolto a tutti, piccoli e grandi, in particolare alle famiglie;
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diffonde la cultura dell’incontro e la socialità nel divertimento. I vostri spazi di lavoro possono diventare luoghi di aggregazione e di fraternità. Perciò vi incoraggio ad essere sempre accoglienti verso i piccoli e i bisognosi; ad offrire parole e gesti di consolazione a chi è chiuso in sé stesso, ricordando le parole di san Paolo: “Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Rm 12,8)». Il Papa, a conclusione del suo messaggio, chiede alla Chiesa un’attenzione particolare per il mondo del viaggio. «Raccomando alle Chiese particolari e alle parrocchie di essere attente alle necessità vostre e di tutta la gente in mobilità. Come sapete, la Chiesa si preoccupa dei problemi che accompagnano la vostra vita itinerante e vuole aiutarvi ad eliminare i pregiudizi che a volte vi tengono un po’ ai margini». Come operatori pastorali, sappiamo bene quante sono le difficoltà che i lunaparchisti e i circensi devono affrontare per il tipo di lavoro che svolgono e per la caratteristica fondamentale di tale tipo di attività. La necessità continua di spostamento, del viaggio, del trasferimento da un luogo all’altro, per andare incontro al pubblico, è quotidianità di vita per la gente dello Spettacolo Viaggiante. È evidente che tutto ciò certamente crea problemi di vario tipo, sui quali poco o nulla riflettono il mondo dei sedentari, le autorità locali e soprattutto le Chiese locali, con le conseguenti scarse disponibilità e attenzioni.
3.2. Strutture organizzative per l’annuncio del Vangelo ai fieranti e circensi
3.2.1. L’Ufficio nazionale per la Pastorale dello Spettacolo Viaggiante
Nel capitolo dedicato alla fondazione dell’O.A.S.N.I. si è accennato della costituzione della Fondazione Migrantes, avvenuta nel 1987, come organismo della Conferenza Episcopale Italiana, con lo scopo di sostenere e coordinare l’impegno della Chiesa Italiana nei riguardi della mobilità umana e di sensibilizzare le Chiese particolari a questo fenomeno. Un compito della Migrantes era anche quello di dare un sostegno economico-finanziario alle varie opere in favore della pastorale della mobilità umana. La Fondazione era
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presieduta da un Direttore generale, nominato dal Consiglio permanente della CEI coadiuvato dai direttori di settore, nominati anch’essi dallo stesso Consiglio. Per consuetudine i direttori erano presbiteri. La Fondazione Migrantes coordinava la pastorale della mobilità umana, divisa in cinque settori: - Gli emigranti italiani all’estero che prima erano coordinati dall’UCEMI (Ufficio centrale migranti italiani). - L’ufficio per la pastorale degli immigrati e dei profughi in Italia - l’Apostolato del mare e degli aeroporti (che prima facevano riferimento all’apostolatus Maris). - La pastorale degli zingari, prima coordinati dall’OASNI. - La pastorale per i fieranti e i circensi, anche questi già coordinati dall’OASNI. Nel 2009 la Migrantes, su indicazione del Consiglio permanente della CEI, procedette a una riorganizzazione dei settori. Il nuovo statuto, approvato nel 2012, prevede che il Direttore generale non è più coadiuvato dai direttori di settore, ma, avvalendosi di personale laico nei diversi uffici, coordina lui stesso ogni attività pastorale, suddivise in quattro aree: informazione, documentazione e ricerca, formazione, coordinamento e progettazione. L’Apostolato del mare e degli aeroporti, staccato dalla Migrantes, è diventato un ufficio distinto della Segreteria della CEI. Per il settore della pastorale del viaggio è stato creato un Coordinamento nazionale, presieduto dal Direttore generale Migrantes, composto da operatori già impegnati da anni in questo settore. Tra le varie finalità perseguite dall’Ufficio nazionale per la pastorale dei fieranti e dei circensi, la prima è quella di coordinare nel territorio italiano la pastorale di settore; segue poi l’opera di evangelizzazione, di promozione umana e cristiana, e di formazione degli operatori dello spettacolo, che operano nei luna park e nei circhi. La Chiesa particolare non può essere cieca di fronte al mondo dei viaggianti, ma andare verso di loro con sollecitudine, facendosi serva, come la voleva don Dino Torreggiani, nello stile di Papa Francesco “[…] una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti” (EG 120).
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Un successivo scopo dell’Ufficio è quello della formazione degli operatori pastorali, religiosi e laici, che dedicano la loro attività all’evangelizzazione di questo mondo. Per operare in mezzo alle persone dello Spettacolo Viaggiante è necessario capire la vita di questa gente, che spesso ha poco tempo disponibile, e cercare tempi e modi opportuni per avvicinarla con pazienza ed umiltà, in spirito di vera accoglienza. Anche se lo scopo pastorale rimane quello di annunciare il Vangelo di salvezza alla gente del viaggio, prima di parlare di evangelizzazione è importante stabilire un rapporto umano vero, che apra all’amicizia e alla fiducia reciproca, sfruttando i momenti opportuni, come può essere la vita di carovana. Occorre abbattere l’ostacolo della diversità e dell’emarginazione nei riguardi del mondo del circo e del luna park; ciò può avvenire solamente vivendo la vera conversione da pregiudizi, la fedeltà all’incontro, con grande pazienza e senza nessun tornaconto. Solamente queste sono le condizioni necessarie, perché il lavoro pastorale abbia un buon esito. L’operatore pastorale è chiamato ad accettare questa gente per quello che è e non per quello che fa; questa è vera testimonianza evangelica. Allo scopo di fornire una buona preparazione per gli operatori pastorali, l’Ufficio nazionale promuove incontri zonali e convegni nazionali che stimolano momenti di profonda riflessione circa la condivisione per l’annuncio del Vangelo e riguardo ad un’attenta e approfondita conoscenza della vita della gente del viaggio. Questi incontri hanno anche lo scopo di creare una rete tra gli operatori, indispensabile per un buon ed efficace coordinamento, sapendo bene che il viaggiare di piazza in piazza supera i confini parrocchiali, diocesani e anche regionali.
3.2.2. I Convegni pastorali nazionali
Di seguito proponiamo un breve excursus sui temi trattati nei vari simposi sulla pastorale di settore; ci limiteremo ad esporre i contenuti di quelli che hanno dato valore a questo mondo.
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Il primo convegno pastorale, dal titolo “Dal Vangelo alla Comunità, forme attuali di evangelizzazione nel circo e nel luna park”,18 ebbe luogo a Roma nel 1988, in cui per la prima volta si sono confrontati operatori ed esercenti dello Spettacolo Viaggiante. Si parlò del tema dell’accoglienza nelle chiese locali e il conseguente bisogno di trovare operatori pastorali e soprattutto formarli. Una forte attenzione fu rivolta alla famiglia circense e lunaparchista, ancora sana e ricca di valori, auspicando che da oggetto diventasse soggetto di pastorale. Nelle conclusioni del convegno emerse il problema della preparazione ai Sacramenti dei ragazzi dello Spettacolo Viaggiante, spesso affrettata, che, vista l’esigenza di continui spostamenti, rischia di non lasciare nulla nei ragazzi. Il tema del secondo Convegno nazionale, tenutosi a Rocca di Papa nell’agosto del 1991, fu: “La famiglia nel Circo e nel luna Park: nella tradizione una speranza che si rinnova”.19 Erano gli anni in cui la Chiesa rifletteva sul ruolo della famiglia su sollecitazione dell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio, che al n. 15 sottolineava il fatto che « La Chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa». Ecco alcuni temi che emersero dal convegno. Anzitutto venne sottolineata la grande solidarietà che esiste tra le famiglie circensi e lunaparkiste soprattutto nei momenti di necessità e di bisogno; una famiglia legata ancora alle tradizioni degli avi, una famiglia che si mantiene salda, perché spesso vivono assieme più generazioni: nonni, genitori e figli e il senso di parentela è molto sentito. Fu ribadita la centralità che la famiglia deve avere nella pastorale della Gente del viaggio, valorizzando il ministero degli sposi nel grande disegno di salvezza e nella trasmissione dei valori, soprattutto quelli dell’accoglienza e della solidarietà. Agli operatori pastorali il compito di far fruttificare questi valori di gioia e di festa, propri di questo mondo, come lo stesso Giovanni Paolo II, in
18
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI (a cura di), Dal Vangelo alla Comunità, forme attuali di evangelizzazione nel circo e nel luna park; OASI, Roma 1988.
19
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI (a cura di), La famiglia nel Circo e nel Luna Park, nella tradizione speranza che si rinnova, Migrantes, Roma 1991.
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occasione dell’udienza speciale concessa ai fieranti e ai circensi partecipanti al suddetto Convegno: «… la vostra professione ha come sua finalità naturale e ovvia quella di allietare la festa della gente, di offrire sollievo nel giorno del riposo e spesso di arricchire di santa allegria le solennità ricorrenti del calendario liturgico».20 Nell’ottobre del 1995, il Convegno nazionale si tenne ad Assisi. Siamo nell’anno internazionale della donna, voluto dalle Nazioni Unite; il tema dell’incontro fu “Circhi e luna park: la donna del terzo millennio”, alla luce della lettera Apostolica di Giovanni Paolo II sulla dignità e vocazione della donna Mulieris Dignitatem.21 Infatti il Pontefice rilevava al n. 30 che «la dignità della donna si collega intimamente con l’amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità ed altresì con l’amore che a sua volta dona».22 La figura della donna circense e lunaparchista fu il tema centrale delle giornate di lavoro, dando spazio il più possibile agli interventi delle donne del settore, perché potessero loro stesse raccontare le condizioni di vita vissute in famiglia e nel lavoro, le loro gioie e le loro fatiche, il rapporto con la fede e con la Chiesa particolare. Un interessante questionario, anonimo, fu proposto alle donne del viaggio che parteciparono al Convegno; le risposte diedero un quadro ben preciso e chiaro sulla situazione della donna nel circo e nel luna park, come donna, sposa, madre, catechista e lavoratrice. Un altro merito del simposio fu quello di accostare il tema della donna del Viaggio con la figura della donna nel Nuovo Testamento, nei due momenti centrali della nostra fede, legati al nome di una donna: Maria di Nazareth al momento della nascita di Gesù Cristo e Maria Maddalena al momento della sua Resurrezione.
20
GIOVANNI PAOLO II, discorso ai partecipanti ad un Convegno sulla Pastorale per il mondo circense Castelgandolfo, 28 agosto 2001, disponibile sul sito del Vaticano: https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1991/august/documents/hf_jpii_spe_19910829_pastorale-circo.pdf (consultato il 18 gennaio 2016).
21
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI (a cura i), Circhi e Luna Park: la donna del terzo millennio, Migrantes Roma 1995.
22
GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica “ Mulieris Dignitatem”, disponibile sul sito del Vaticano: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1988/documents/hf_jpii_apl_19880815_mulieris-dignitatem.html, (ultimo accesso 9 giugno 2016).
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“Circhi e animali. Un problema? Quale?” fu il tema di un seminario tenutosi a Roma nel 1999, legato soprattutto al mondo dell’etica e del bene.23 Il concetto del rapporto Uomo-Animale nel circo ha due diverse interpretazioni etiche a seconda del punto di vista di chi lo considera. Ci sono due mondi contrapposti, quello Animalista e quello della gente del Circo, che, con argomentazioni soprattutto di carattere etico, difendono le loro tesi circa l’impiego degli animali nel Circo. Gli Animalisti accusano la gente del Circo di maltrattamenti, sfruttamento, oppressione e riduzione ad uno stato di cattività degli animali, costringendoli a vivere in ambienti angusti e poco conformi, innaturali per la loro essenza di animali selvatici, nati per vivere in ampi spazi allo stato brado. Di contro la gente del Circo ritiene che gli animali fanno la loro stessa vita e pertanto sono abituati agli spostamenti e al pubblico chiassoso. Vengono trattati con cura e sensibilità, perché considerati alla stessa stregua degli artisti. Rispondendo poi all’accusa di drogare gli animali, i circensi controbattono dicendo che drogarli sarebbe improprio, perché gli animali sono esibiti non come oggetti, ma come soggetti vitali e preziosi. Inoltre gli animali del Circo vengono stimolati positivamente da un continuo esercizio fisico, a differenza di quelli che vivono negli zoo, costretti ad una innaturale e monotona inattività. Gli animalisti, d’altro canto, hanno il merito di aver sottratto il rapporto uomo-animale all’indifferenza etica e di averci fatto recepire il concetto che, nei riguardi degli animali, non basta l’affetto, ma è necessario assumere anche responsabilità morali, in quanto essi sono esseri viventi dotati di sensibilità, che non appartengono alla nostra stessa specie. Buona cosa sarebbe che il dialogo tra questi due universi contrapposti proseguisse, per poter trovare delle soluzioni che mettano d’accordo entrambi e che permettano alla gente del Circo di utilizzare gli animali che condividono con l’uomo millenni di storia, per parlare di adattamenti e di selezioni, come per cani, cavalli, gatti e altri animali; e agli ambientalisti per acquisire criteri meno vaghi e più obiettivi riguardo alla induzione di stress o di sofferenza negli animali. 23
FONDAZIONE MIGRANTES (a cura della), Circo e animali: un problema? Quale? Migrantes, Roma 1999.
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3.2.3. Il Catechismo per i ragazzi dello Spettacolo Viaggiante
In questo lavoro di ricerca è doveroso accennare all’impostazione del Catechismo della gente dello Spettacolo Viaggiante.24 Don Angelo Scalabrini, Servo della Chiesa e direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale dello Spettacolo Viaggiante, fin dal suo insediamento nella nascente Fondazione Migrantes nel 1987, memore della sua lunga esperienza tra fieranti e circensi incontrati nel territorio nazionale, si rese conto della necessità di un catechismo specifico per i ragazzi del Viaggio. Era il tempo in cui la chiesa Italiana era molto attenta alla catechesi e alla formazione dei catechisti, attraverso il rinnovamento della catechesi alla luce del Concilio Vaticano II. Sono gli anni del testo catechistico “Io sono Voi” e “Vi ho chiamato amici”. Don Angelo stesso, conoscitore del mondo dello Spettacolo Viaggiante, e attento alla vita religiosa di questa gente, coadiuvato da altri operatori pastorali, preti e laici, stese un piccolo catechismo per i ragazzi del circo e del luna park, un testo semplice che fece da ponte tra i tentativi del post catechismo di Pio X e il rinnovo della catechesi. Il catechismo dello Spettacolo Viaggiante sposa le linee ispiratrici del Concilio Vaticano II, secondo le quali il primato della Parola è il fondamento del pensare e dell’agire missionario della Chiesa, attraverso una catechesi che diventa evangelizzazione, capace di trovare i tempi e i modi più adeguati all’annuncio del Vangelo. Siamo negli anni del II Convegno della Chiesa Italiana celebrato a Loreto nel 1985 “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, il cui documento finale rilevò bene il senso del rinnovo della catechesi. «La catechesi deve tener conto di una duplice esigenza: la fedeltà al messaggio e al suo contenuto di verità e, al tempo stesso, la situazione della persona, perché sia
24
UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DEI FIERANTI E DEI CIRCENSI, In cammino con Gesù, per portare gioia e festa, Elle Di Ci, Torino 1989.
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coinvolta in un cammino di vita cristiana che riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza».25 In occasione del Convegno Migrantes sulla Pastorale del settore fieranti e circensi, tenutosi a Roma nel febbraio del 1988, è stata presentata la bozza di un catechismo, che i vescovi italiani hanno redatto per i ragazzi che vivono e operano nei Circhi e nei Luna Park. “Con Gesù per portare gioia e festa” è il suo titolo: uno strumento nuovo nell’orizzonte di questa pastorale, sia per la Conferenza Episcopale Italiana, sia per le altre Conferenze Episcopali mondiali. La semplicità del linguaggio utilizzato per interpretare i contenuti, fa sì che il testo possa essere usato con facilità e dimestichezza da tutta la famiglia. Le illustrazioni curate nei minimi particolari, facilitano la comprensione dei temi svolti capitolo per capitolo, dando l’opportunità ai ragazzi di poter colorare le figure contenute. Il testo venne curato dall’Ufficio Catechistico della CEI, in collaborazione con l’Ufficio nazionale della pastorale dei fieranti e circensi della Migrantes, adattato al catechismo CEI “Venite con me”, e vide la sua pubblicazione nel gennaio del 1989. Il Catechismo ebbe grade risonanza internazionale, tanto che l’Ufficio per la Pastorale dello Spettacolo Viaggiante Statunitense, nel 1993, decise di curarne la traduzione in lingua inglese e usarlo per la catechesi dei ragazzi del circo e del luna park degli USA. È interessante la suddivisione del testo. Esso si presenta in capitoli, e ogni capitolo è suddiviso in schede operative: una di catechesi per i ragazzi, e una di verifica ragazzi-genitori. Questa suddivisione risulta interessante, poiché tutta la famiglia diventa soggetto di evangelizzazione. La figura di Gesù è presentata nel particolare contesto di vita e di lavoro della gente del Circo e del Luna Park. Gesù è il vero amico che lungo il cammino della sua vita condivide la gioia e la festa del Regno con chi incontra; per questo il catechismo, nei vari capitoli, sfrutta le tappe del cammino di Gesù verso Gerusalemme, quasi come un itinerario di un circo o di un luna park.
25
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini. Atti del 2° Convegno ecclesiale, Roma 1985, 341.
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Le verità di fede, anche se a volte in modo semplice, sono ben radicate nei bambini del circo e del luna park. È impensabile, però, proporre per essi l’itinerario catechistico che viene presentato nelle Parrocchie per i ragazzi stanziali, sia per la loro continua itineranza, sia per fattori legati all’apprendimento e alla poca pazienza che questi ragazzi hanno per la didattica. Il catechismo, ispirandosi per ogni passaggio dell’annuncio catechetico alla Scrittura e in modo particolare al Vangelo, tiene conto di due momenti formativi della catechesi, le basi dell’annuncio cristiano e la preparazione ai sacramenti. Il testo pone l’accento sul messaggio cristiano dell’amore e di quello Dio, che tocca il cuore dell’uomo. Il bambino fierante e circense è chiamato allora, con la sua vita di carovana e di spettacolo, a diventare segno e strumento di questo amore donato. L’incontro con Gesù non deve essere segnato da paura o ricatto, come invece spesso è vissuta la spiritualità dello Spettacolo Viaggiante, molto legata a tradizioni e al culto degli avi. L’incontro con Gesù, che è e rimane un amico, apre alla fiducia, alla speranza e all’attesa di una vita serena, vissuta nei valori, come la vita cristiana in famiglia e l’onestà di vita. Nella catechesi della Chiesa Italiana, ai testi del catechismo sono affiancati dei quaderni operativi che propongono schede e cartelle da esporre senza grandi mediazioni; chi è operatore pastorale sa della grande quantità e della loro validità in commercio. Non è il caso di questo catechismo, anche se a volte chiede di essere mediato, soprattutto quando lo si usa per la preparazione immediata ai Sacramenti d’Iniziazione Cristiana. Evidenziamo brevemente un passaggio contenuto nel catechismo dello Spettacolo Viaggiante, specifico per esso. Il mondo del Viaggio, come abbiamo ampiamente visto, è un mondo che vive di gioia e di festa. Così anche l’incontro con Gesù è un incontro che genera gioia e festa, come ricorda Papa Francesco nell’introduzione all’Evangelii Gaudium: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo, sempre nasce e rinasce la gioia» (EG 1). Casa fissa, comunità e parrocchia stabili sono concetti che non appartengono a questo mondo itinerante, obbligato a spostarsi di piazza in piazza. Per questo,
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nel catechismo un altro simbolo scelto è la tenda, segno di chi vive la provvisorietà della vita, ed è continuamente itinerante. Al catechismo è stato allegato un diario, come ausilio per gli operatori pastorali, che, di piazza in piazza, nella sosta delle carovane, seguono la preparazione dei ragazzi ai Sacramenti. Il Coordinamento Nazionale per la Pastorale dello Spettacolo Viaggiante della Migrantes sta ora pensando alla revisione del testo del Catechismo “Con Gesù per portare gioia e festa”, tenendo presente il contributo sia degli operatori pastorali, sia delle Chiese particolari che avvicinano i ragazzi e le famiglie dello Spettacolo Viaggiante, soprattutto in occasione dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. È doveroso ricordare che il testo del catechismo per lo spettacolo Viaggiante fu il primo tentativo di “mediazione” di un catechismo della CEI, che rimane comunque sempre uno strumento per la catechesi e non la Catechesi.
3.3. Esperienze di pastorale
3.3.1. Le Piccole Sorelle del Luna Park di Ostia
La visita di papa Francesco al Parcolido di Ostia, avvenuta domenica 3 maggio 2015, ha focalizzato l’attenzione su questa realtà altrimenti misconosciuta ai non residenti. Ora tutti sanno che ad Ostia Lido vi è un grande lunapark fisso e che è funzionante tutto l’anno. Papa Francesco, trovandosi in visita alla parrocchia Regina Pacis di Ostia, senza preavviso, è andato anche al Parcolido, una “piccola periferia” nel cuore della città, per incontrare le persone delle giostre; è entrato perfino all’interno della carovana delle “Piccole sorelle di Gesù”. Per il mondo dei circensi e dei fieranti è stato un grande avvenimento, che ha reso felici tante famiglie anche di altre parti d’Italia. Tanti sinti giostrai sono stati presenti, poi, all’incontro internazionale dei sinti e dei rom con papa Francesco e
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un numeroso gruppo di lunaparkisti di Roma e di Ostia ha partecipato al giubileo e all’incontro internazionale dello Spettacolo Viaggiante e Popolare. Il Parcolido di Ostia è una realtà che non può essere ignorata da chi, come me, si occupa della pastorale dei fieranti e dei circensi. Vi sono andato per rendermi conto della vita che vi si svolge e delle problematiche connesse alla catechesi. All’interno dell’immenso parco-giochi vi è uno stand particolare che attira l’attenzione per via della rappresentazione di una grande arca di Noè in legno, con, sullo sfondo l’arcobaleno, segno di speranza e di pace. A gestire lo stand ci sono due suore della congregazione fondata dalla Piccola Sorella Magdaleine e che s’ispira alla vita e agli scritti di Charles De Foucauld, dette “Piccole Sorelle di Gesù”, che vivono in una vecchia carovana in mezzo alle altre carovane, condividendo lavoro, amicizie, gioie e dolori con chi le circonda e cercando di essere una porta aperta per chiunque passa al lunapark. Testimoni della tenerezza di Dio per ogni persona, mantengono forti legami con tutta la categoria. Ho parlato a lungo con “sorella” Anna Amelia, alla quale ho posto alcune domande sulle origini della loro missione. Le Piccole Sorelle hanno iniziato già nel 1954 in Francia a vivere in carovana insieme ad un gruppo di fieranti, andando con loro di piazza in piazza. Nel 1965 esse sono arrivate anche a Roma, dove, con l’autorizzazione del Vicariato, avevano realizzato uno stand al Luneur, vicino alle Tre Fontane. «Quanti fieranti erano felici di sapere che la Chiesa li amava anche attraverso noi!», mi confida la Piccola Sorella. Poi, nel 2008, il Luneur fu ceduto a Cinecittà e un centinaio di famiglie restarono senza lavoro e con esse anche le suore. Dopo aver girato per i lunapark di diverse località del Lazio, alcuni amici lunaparchisti le hanno invitate a fermarsi e stare ad Ostia, offrendo loro uno stand al Parcolido. Qui si sostengono con il proprio lavoro: piccoli oggetti artigianali confezionati da loro, una pesca con sullo sfondo l’Arca di Noè ed un gioco a premi, che permettono alla comunità religiosa di vivere allo stesso modo degli altri fieranti operanti nel parco giochi.
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Ostia, appartenente al Comune di Roma, è come una città a sé di circa 200.000 abitanti con grossi quartieri. È una città a forte connotazione popolare con molte persone dell’Est Europa, dell’Africa, dell’Asia, Cina, Shrilanka, Bangladesh, India […] È una delle più grandi periferie romane con grossi problemi legati alla criminalità organizzata. La popolazione è molto varia: da studenti ad impiegati, ad operai, a disoccupati […] Molti negozianti sono dei paesi del Nord Africa e dell’Asia. Ostia è una città con tante famiglie giovani e con tanti bambini. Ci sono una decina di piccoli lunapark per bambini, ma le giostre per i giovani si trovano solo al Parcolido. Le sorelle conoscono un po’ tutti gli esercenti dei vari lunapark della zona di Roma che esse vanno a trovare nelle occasioni di feste o di lutti: sono sinti giostrai o gente proveniente dal circo; spesso sono parenti tra loro. Sorella Anna Amelia mi confida: «Ad Ostia ci sono molte parrocchie; ci sono anche gruppi che aiutano i più poveri, soprattutto la Caritas e Sant’Egidio. Ci sono varie associazioni parrocchiali con attività aggreganti, ma per i nostri amici delle giostre non c’è nulla. Prima i sacerdoti della migrantes erano più presenti, ora sono presi moltissimo dall’urgenza dei rifugiati e degli immigrati. Quel poco che possiamo fare è aiutare i giovani adulti nella preparazione ai sacramenti, collaborando con il parroco, il quale quest’anno è venuto a benedire le carovane e a celebrare messa all’autoscontro.» Tutto ciò riesce possibile, perché queste “Piccole Sorelle”, come si fanno chiamare, vivono in carovana in mezzo ai fieranti, lavorano con loro e come loro. Esse sentono molto forte il senso della loro missione di presenza e di appartenenza al mondo delle giostre e dei lunapark e il loro modo di vivere agevola i rapporti di amicizia e di fiducia con tutte le altre persone del parco. Molte persone esse le conoscono da quando erano bambini; di altri conoscono le famiglie; sono ben volute; vivono con loro tutti gli avvenimenti della vita. «Ci vogliono bene – mi conferma la “piccola sorella” e noi vogliamo bene a loro e sappiamo coglierne i valori anche quando sono nascosti da alcuni aspetti meno positivi».
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Da dove queste “sorelle” attingono la forza per portare avanti la loro missione? Sorella Anna Amelia mi svela il segreto invitandomi ad entrare nella sua carovana: al centro vi è il tabernacolo con l’Eucarestia. «Ogni giorno affidiamo a Lui il nostro cammino – mi confida la sorella – È Lui che ci aiuta ad essere piccole, ad essere sorelle di tutti, ad accogliere ogni persona di qualunque paese, religione, razza, come figlio di un unico Padre e come un fratello, ed è Lui che ci fa camminare insieme.» La loro è una testimonianza di apostolato e di fraternità, che vuol essere una piccola luce, una porta aperta sia a chi lavora nell’ambiente dello Spettacolo, sia a chi passa per divertirsi un po’ e trovare sollievo ai propri problemi e angosce: una piccola luce di serenità e di speranza, di accoglienza e di rispetto delle differenze di ambiente, età, religione, nazioni, … Per quanto riguarda la catechesi fanno da ponte con la comunità parrocchiale. I lunaparchisti per il loro lavoro atipico hanno difficoltà a frequentare la parrocchia e quindi ad acquisire una regolare preparazione ai sacramenti. Le sorelle si adoperano per trovare soluzioni sia con i laici dell’Azione cattolica, degli Scout o di altre associazioni, o giovani seminaristi o religiose, sia intervenendo concretamente nella preparazione ai sacramenti nei casi complicati, sempre con l’accordo del parroco o del vescovo territoriale. Inoltre hanno stabilito una buona collaborazione con i sacerdoti Pallottini, della parrocchia Regina Pacis, per la benedizione delle carovane a Pasqua, per la celebrazione della Messa all’autoscontro ogni tanto, e per la celebrazione dei sacramenti. Durante la Messa di Natale, celebrata all’autoscontro dal nuovo vescovo ausiliare di Roma sud, mons. Paolo Lojudice, Federica, una giovane del piccolo lunapark vicino al Parcolido, preparata da sorella Anna Amelia, ha ricevuto la prima comunione. Dopo la benedizione del presepe, con la collaborazione di tutti, all’interno del Parcolido un pranzo ha dato l’occasione al vescovo di porsi accanto alla gente delle giostre e di prendere conoscenza di tutti i loro problemi. Poche settimane dopo Federica con altre due cugine, preparate da sorella Anna Amelia e “sorella” Geneviève hanno ricevuto la cresima in parrocchia, dal medesimo vescovo Paolo, insieme ad altri giovani adulti.
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Sorella Anna Amelia, dopo tanti anni vissuti con la gente delle giostre, è piena di ricordi; ma in tutto il suo agire c’è un principio a cui si è attenuta e che lei sintetizza con queste parole: «solo nel collaborare, nel ricominciare sempre con coraggio, nel perdonare per costruire insieme una cosa bella, si va avanti. Se non c’è questo, le famiglie si sfasciano, il lavoro diminuisce, la vita perde il suo senso […] e, perdendo l’armonia, non si riesce più a portare gioia e bellezza». L’esempio e le parole delle Piccole Sorelle Anna Amelia e Geneviève mi hanno fatto comprendere la morale interna che governa il mondo dello Spettacolo Viaggiante, e che potrebbe servire di lezione per tutti noi: collaborazione, accoglienza verso tutti, saper dimenticare se stessi per dare serenità e gioia a chi viene, questo è “fare spettacolo”, è “creare armonia”, questa è la missione della gente del circo e del lunapark.
3.4. Fieranti e circensi collaboratori della gioia e della salvezza
3.4.1. Fieranti e circensi itineranti per vocazione
Il libro della Genesi ci presenta l’itineranza del Patriarca Abramo, il quale rimane il paradigma di chi vive la vita del continuo movimento, da nomade, da girovago, e, dove egli andava e si accampava con le sue tende e i suoi armenti, rimaneva sempre un forestiero-residente. Alla vita peregrinante di Abramo possiamo accostare la vita dei fratelli dello Spettacolo Viaggiante che sono forestieri, ma residenti nei nostri paesi e tra le nostre case. Significativa è la richiesta di Abramo ai Cananei in occasione della morte di Sarah: “Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via la salma e seppellirla” (Gn 23,4). Chi conosce il mondo dei viaggianti sa che il luogo della sepoltura dei loro defunti, che fanno parte della vita presente e non sono mai relegati al passato, rimane l’unico stabile riferimento per la famiglia, con visite saltuarie ma intense, fatte di ricordi e di memorie.
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Dio ad Abramo rivolse la sua parola con un imperativo che avrebbe cambiato la sua vita: “Vattene dal tuo paese… e diventerai una benedizione” (Gn 12, 1-2). La vocazione di Abramo, confrontata con la vocazione dell’uomo del viaggio, è fondamentale, del resto ogni vocazione non può non rivivere lo stesso dinamismo della vocazione del Patriarca. Il sì di Abramo alla chiamata divina ha comportato per lui un muoversi, un andare fuori dalle sue sicurezze, per costituire un grande popolo secondo il progetto di Dio: “ti farò diventare un grande popolo… ” (Gn 12, 3). Dio chiama uno e pensa a molti: “Renderò la tua discendenza come la polvere della terra; se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti”. Dio chiama da una terra, da un luogo, e ha presente tutta la terra “Dio condusse fuori Abramo e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza” (Gn 15, 5). Dio chiama in un momento preciso della storia, avendo di fronte a sé tutto l’orizzonte della storia della salvezza. Dio dice ad Abramo “Renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte le nazioni della terra saranno benedette per la tua discendenza.” (Gn 26, 4). A volte basta guardare una piazza di sosta delle carovane per ricordare l’esperienza di Abramo e del suo popolo. Carovane, campine, rimorchi: tutto ci parla di itineranza e anche di provvisorietà. È opportuno, per chi non è esperto di questo “mondo”, fare alcuni accenni sul modus vivendi dei fieranti e dei circensi. L’abitazione tipica del fierante e del circense è la carovana o la campina. La carovana è il cosiddetto “carrozzone”, costruito di solito sopra il rimorchio di un camion: può avere dai sette ai dodici metri di lunghezza; in essa si trova un reparto giorno dove trova posto una cucina ed un soggiorno, in cui si vive la quotidianità della vita. C’è poi un reparto notte in cui sono presenti un piccolo bagno, uno stanzino per i figli con letti a castello, a volte addirittura a quattro piani, ed alla fine del carrozzone dalla parte del timone si trova la camera dei
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genitori. È inevitabile ricordare che gli spazi sono molti ridotti rispetto ad una abitazione dei gagi. La campina invece è quella che noi chiamiamo roulotte, che di solito viene acquistata per fungere da camera per i figli che hanno raggiunto l’età della giovinezza e della indipendenza.26 Nella stessa campina in cui alloggiano i figli trova posto il cambio di indumenti stagionali, che un tempo venivano riposti sotto i cassoni delle carovane. Fino agli anni ‘80 le carovane si costruivano totalmente in legno,27 dapprima su rimorchio di recupero, in ferro, poi su basamento nuovo sempre in ferro; in seguito su vecchie corriere dismesse.28 Le esigenze della famiglia dello Spettacolo Viaggiante hanno portato a creare delle superfici abitative più grandi,29 sia per le necessità della famiglia che viaggia, sia per motivi di immagine legata al mestiere. Pertanto anche i materiali usati si sono modernizzati. Questo è il mondo dei fieranti e dei circensi, un mondo in cui anche Dio “pianta la sua tenda” tra questi fratelli. Ripensando alla vita quotidiana dei fieranti e dei circensi, chiamati a portare la gioia e la festa con le loro attrazioni, possiamo ripensare alla prima delle vocazioni che il Signore abbia rivolto a un uomo, ad Abramo, nostro padre nella fede.
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Tra i 16 e i 17 anni il figlio maschio ormai ha “diritto” alla propria indipendenza nella campina, mentre per la figlia femmina l’età si sposta intorno ai 18 anni, e anche oltre.
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Il legno usato per la costruzione era il douglas, il quale resiste all’acqua e alle intemperie, garantendo un isolamento termico con l’esterno; è un legno leggero da lavorare e robusto allo stesso tempo.
28
Giancarlo PETRINI, op. cit., 56-58.
29
Le carovane moderne montate su bilici, sono estraibili lateralmente e sono dei veri e propri appartamenti viaggianti.
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3.4.2. La famiglia della gente dello Spettacolo Viaggiante, icona del Vangelo
La famiglia dello Spettacolo viaggiante è una famiglia molto unita, anche se le realtà del circo e del Luna Park sono profondamente diversificate, eppur simili. Ciò che accomuna la vita della carovana è lo spazio ristretto per famiglie spesso numerose, dove il rispetto, l’attenzione e la collaborazione di tutti, magari semplicemente nel togliersi le scarpe prima di entrare in carovana, devono esser costanti. L’altro fatto che accomuna i circensi e fieranti è che la famiglia è anche comunità di lavoro, sia che si tratti della conduzione di un’attrazione del Luna Park o della gestione di un’impresa circense o dell’esecuzione di numeri in pista. La famiglia vive contemporaneamente le proprie relazioni intra familiari e le dinamiche dell’attività lavorativa in un mondo “dentro il mondo”. Ciò che lega la famiglia del viaggio è l’amore e il dono reciproco, sia in carovana sia nel lavoro. Nel mondo del circo l’amore della coppia si fa visibile, concreto e reale nei figli, nel modo e nella preparazione attenta del numero da mettere in scena che ricalca la tradizione familiare. Padre e madre difficilmente lasceranno il figlio da solo durante lo spettacolo. La loro presenza sarà di aiuto, di sostegno e di sprone, affinché il figlio faccia bene il suo numero per ricevere il meritato applauso della gente. Se l’amore è la dinamica di esistere della Trinità, questa somiglianza accumuna la famiglia del Circo e del Luna Park, sia quando si esibisce di piazza in piazza, portatrice di gioia e festa in un ambiente, spesse volte dilaniato dall’odio e dalla divisione, sia quando, riunita sotto lo chapiteau o nel Luna Park, vive nella carità e nella gioia. Dio non dona gioia quando si fa visibile a noi? Lo stesso San Paolo ce lo ricorda nella seconda lettera ai Corinti, quando dice: “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor. 9,7). La presenza nei nostri paesi e nelle nostre città di Circhi e Luna Park più o meno grandi dovrebbe ricordare a noi stanziali, noi gagi, la provvisorietà della
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vita e il nostro essere incamminati verso il Regno, vivendo di piazza in piazza il già e il non ancora. Un concetto che esprime bene quanto detto, è l’idea di tenda nell’esperienza della Sacra Scrittura. Il Vangelo di Giovanni, nel Prologo, ci ricorda che il Verbo di Dio, quando si è fatto carne, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, la sua tenda accanto alle nostre tende. Oggi la famiglia, la casa dei gagi, è in crisi; non è più come un tempo il luogo in cui ci si trovava insieme. Allora può essere molto importante recuperare il senso del vissuto familiare dentro una tenda, dentro una carovana, dentro una campina. Carovane, campine, mestieri e quant’altro, se si spostano, non sono mai isolati, sono sempre inseriti in un contesto. Forse è opportuno recuperare un po’ questo senso forte della “tenda” o della carovana, intesa come il luogo nel quale la vita è vissuta sì nella concretezza, ma con il senso della precarietà e provvisorietà. La “tenda”, piantata di piazza in piazza, dovrebbe suscitare una riflessione importante e costruttiva nella comunità stanziale chiamata ad accogliere. Una comunità aperta all’accoglienza dovrebbe sentirsi onorata da una “tenda”, da parecchie “tende”, che sostano tra le case, come può essere un Circo o un Luna Park, e farle diventare luogo di accoglienza, cordiale e caritatevole. L’accoglienza vera è quella in cui la persona non si sente un assistito o un diseredato, ma si sente protagonista.
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CONCLUSIONI
«Ricordo quel pomeriggio… alcuni ragazzi dell’Oratorio mi vennero a chiamare: - don Dino, là al mercato c’è una carovana, c’è gente che piange: una donna sta per morire -. Corsi senza nulla pensare, soltanto preoccupato di portare i conforti religiosi a quella creatura morente. Fui accolto con tanta cordialità e riconoscenza […]».1
Citando questo ricordo del Servo di Dio don Dino Torreggiani abbiamo voluto ribadire i tratti salienti della pastorale dello Spettacolo Viaggiante: l’accoglienza, la conoscenza e la condivisione. Accogliendo la richiesta di salire in carovana, don Dino supera il muro di diffidenza e di rifiuto che c’era fino a quel tempo nei confronti della gente nomade. Con questo suo apostolato tra i fratelli del circo e del luna park egli diventa il precursore della Pastorale per lo Spettacolo Viaggiante che ancor oggi è poco conosciuta nel mondo della mobilità umana. Le orme di don Dino vengono seguite dai “Servi della Chiesa”, l’Istituto Secolare da lui fondato, e dai tanti cappellani e operatori pastorali laici, che si sono impegnati e si impegnano in questa specifica pastorale. I problemi che affronta oggi la gente del Viaggio sono quelli che c’erano ai tempi di don Dino: difesa della famiglia e dei suoi valori, la catechesi ai ragazzi, l’accoglienza e l’ospitalità che le comunità stanziali dovrebbero offrire come “espressione della vera carità ecclesiale, intesa nella sua natura profonda e nella sua universalità”.2 1
Alberto ALTANA, (a cura di), Le nuove povertà. Ricordando don Dino Torreggiani, “l’avventuriero della carità”, San Lorenzo, Reggio Emilia 1993, 19.
2
PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E DEL TURISMO (a cura di), La Chiesa e la mobilità umana. L’accoglienza, Roma 1978, 4.
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In modo particolare l’accoglienza verso i viaggianti, siano essi circensi, fieranti, girovaghi, nomadi, emigranti, immigrati, profughi ed esuli, rimane sempre testimonianza di una Chiesa che cammina nella storia per annunciare le meraviglie del Signore. È mancata e manca, in questa specifica pastorale, una vera e propria azione forte e determinata verso questo popolo in cammino, che si accosta alle nostre comunità e ci chiede di camminare insieme. Ciò che è importante è saper parlare alla gente del viaggio con un linguaggio più consono alla loro cultura e alla loro tradizione, in piena disponibilità alla solidarietà e alla fraternità. L’unica pretesa, che come operatori pastorali dobbiamo avere, è quella di non lasciarci solo arricchire dalla bellezza artistica dei loro numeri e dei loro mestieri, ma soprattutto di far tesoro dei valori della loro vita e della loro fede ancor viva e genuina. Non dobbiamo pensare ai viaggianti come gente da conquistare, semmai farci conquistare da loro e trovare insieme un linguaggio comune, che sia adatto all’annuncio della salvezza, che Cristo ha portato ad ogni uomo. È importante che come operatori pastorali, prima di pretendere di evangelizzare questi fratelli, ci formiamo attentamente, avvicinandoci a questo mondo complesso e variegato con rispetto, massima considerazione e stima.
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Opera di Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia
UDACI
Unione Donne di Azione Cattolica Italiana
ECM
Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni
EMCC
Erga Migrantes Caritas Christi
MGMM
Messaggio Giornata Mondiale Migrazioni
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