Conflitti generazionali e linguaggio giovanile in Due di due, di Andrea De Carlo

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Conflitti generazionali e linguaggi giovanili in Due di due, di Andrea De Carlo

giovedĂŹ 22 ottobre 2009


Conflitti generazionali e linguaggi giovanili in Due di due, di Andrea De Carlo A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher

Descrizione del LO

La copertina di Due di due Fonte: www.associazionedreams.it/ duedidueANDREA_DE_CARLO.jpg

giovedì 22 ottobre 2009

Anche nel Novecento molti romanzieri concentrano la loro attenzione sui giovani e affrontano il tema della crescita e delle sue difficoltà. Rispetto ai romanzi ottocenteschi di tematiche affini, qui la prospettiva è completamente rovesciata: le prove a cui i giovani vengono sottoposti, infatti, nella maggior parte dei casi si risolvono con il completo fallimento del protagonista, che non riesce a inserirsi felicemente nella società. Il romanzo di De Carlo, un best seller da oltre un milione di copie, prospetta entrambi i modelli (quello “integrato” di Mario, l’io narrante, e quello “apocalittico” di Guido) sullo sfondo di una indimenticabile storia di amicizia e di crescita spirituale


Conflitti generazionali e linguaggi giovanili in Due di due, di Andrea De Carlo A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher

Obiettivi del LO • Saper contestualizzare i brani riscontrandovi valori, ideali e atteggiamenti dell’epoca • Saper individuare gli elementi di novità rispetto alla tradizione precedente • Saper individuare la presenza di contenuti e di elementi ideologici che si riferiscono alla cultura contemporanea • Saper applicare ai testi proposti le metodologie d’analisi apprese, distinguendo tra comprensione e interpretazione e cogliendo le specificità della scrittura narrativa Andrea De Carlo Fonte: http://libri.rcslibri.it/UserFiles/Image/ chat_decarlo.jpg

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Romanzo di formazione

Conflitti generazionali

Un reading di Andrea De Carlo Fonte: www.andreadecarlo.com/ immagini.html

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Andrea De Carlo è nato nel 1952 a Milano. Ha prima intrapreso la facoltà di Lettere Moderne, intercalando gli studi letterari con varie attività, dalla fotografia alla musica. Parte quindi per gli Stati Uniti con l'idea di trasferirsi definitivamente. Scopre così Boston, New York, la California e per mantenersi fa l'insegnante d’italiano e numerosi altri lavori. Al suo ritorno in Italia si laurea in Storia Contemporanea. Prima di stabilirsi però definitivamente in Italia, emigra di nuovo questa volta in Australia - Sydney e Melbourne, il Queensland - poi dall'Australia alle isole Hawaii e dalle Hawaii a Los Angeles. Inizia a scrivere Treno di panna, il suo primo romanzo pubblicato, grazie all’interessamento di Italo Calvino. A un premio letterario a Treviso conosce Federico Fellini di cui fa l'assistente alla regia in E la nave va. I suoi libri, tradotti in 18 lingue e venduti in Europa, Asia, America e Australia, hanno vinto numerosi premi. Il suo romanzo più recente è Mare delle verità (Bompiani editore, 2006)


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Romanzo di formazione

Conflitti generazionali

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Trama

Due di due appartiene alla categoria del romanzo di formazione, un genere letterario che racconta l'evoluzione verso la maturità e l'età adulta di un personaggio, che, partito da una iniziale opposizione alle norme del vivere associati e passando attraverso varie disavventure finisce integrarsi nella società (in genere il processo di formazione culmina nel matrimonio) oppure per rifiutarle definitivamente. Nelle sue opere Andrea De Carlo è rimasto quasi sempre fedele ai canoni del romanzo di formazione, con i suoi giovani protagonisti problematici e irrequieti: una galleria di “adulti per caso” - quella creata dallo scrittore - che si rifiutano di approdare a una maturità intesa come sinonimo di stabilità interiore e sociale, e che proprio per questo vivono una sorta di rivoluzione permanente che si svolge dentro i confini di un Io sempre in bilico tra due tensioni opposte e inconciliabili: quella verso l’individualità e quella verso la socializzazione. Il risultato di questo conflitto interiore è la disposizione a lasciarsi trasportare dagli eventi che accomuna i personaggi creati da De Carlo: privi di valori assoluti in cui credere e perciò incapaci di trovare giustificazioni superiori per agire e trasformare quel mondo da cui, allora, cercano faticosamente di prendere le distanze, essi manifestano una totale disponibilità a rimettere in gioco i propri destini e i propri sentimenti. Una disponibilità che regala loro la capacità di sfuggire alla tirannide del tempo, ma che è anche, a ben guardare, una sorta di variante dell’indifferenza, cioè di un atteggiamento assai diffuso nella società in cui viviamo.

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Andrea De Carlo Fonte: www.andreadecarlo.com/foto.html


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1968: manifestazione all’Università La Sapienza di Roma Fonte:www.informagiovani.it/30anni68/30immagvar.htm

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Sul piano storico, “contestazione” è un termine entrato nel linguaggio comune in tempi abbastanza recenti: esso, infatti, viene messo in relazione a un fenomeno iniziato sul finire degli anni Sessanta, ricordati appunto come gli anni della contestazione dei giovani nei confronti della scuola e della società. I sessantottini, come si chiameranno più tardi i giovani che parteciparono alle contestazioni di quegli anni, rifiutavano tutte le istituzioni borghesi, ritenute autoritarie ed ingiuste: la scuola, i partiti politici, la famiglia, la Chiesa. Ritenevano che potesse divenire reale la società che loro immaginavano: una società di liberi e di uguali, con una democrazia diretta, basata sul potere delle assemblee. «Via i padroni, via i burocrati, via i colonnelli, il potere è di chi sa inventare» era uno slogan di quel periodo.


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Soprattutto all’interno delle famiglie borghesi nacquero forti scontri generazionali tra padri e figli, sostenitori di ideali radicalmente diversi. I giovani diedero vita a una rivolta morale, mettendo al centro dell'attenzione valori che fino a poco tempo prima erano stati interesse di pochi: temi come il pacifismo, l'antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio, i diritti delle donne e l’interesse per l’ambiente, entrarono a far parte stabilmente del dibattito politico e socio-culturale del mondo intero.

1968: manifestazione per i diritti delle donne a Milano Fonte:www.cronologia.it/storia/a1972f.htm

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Da un punto di vista letterario, il tema della ribellione nei confronti della società, e in particolare quello dello scontro generazionale, è stato raccontato per la prima volta dagli esponenti della beat generation, una corrente letteraria e culturale fiorita negli anni Cinquanta negli Stati Uniti, caratterizzata da una netta posizione di protesta nei confronti della società conformistica del secondo dopoguerra. Fu lo scrittore Jack Kerouac, autore del celebre romanzo “On the road”, a parlare per la prima volta di beat (=battuto), riprendendo l’immagine dell'uomo moderno battuto appunto e sconfitto di fronte alla società, alla falsa comunicazione, all'avidità per il denaro, alla violenza, alla sete di potere.

Jack Kerouac Fonte: www.writing.upenn.edu/~afilreis/50s/ kerouac-jack.jpg

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Romanzo di formazione

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1. A quale categoria appartiene Due di due? a. Romanzo giallo b. Romanzo di formazione c. Romanzo sperimentale 2. Quale corrente sviluppa soprattutto il tema della ribellione giovanile contro la società? a. Beat generation b. Neorealismo c. Futurismo 3. Quale altra attività artistica ha svolto De Carlo parallelamente a quella di scrittore? a. Pittore b. Fotografo c. Fumettista 4. Il fenomeno della contestazione studentesca ha origine: a. Negli anni Sessanta b. Negli anni Settanta c. Negli anni Ottanta

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5. Quale scrittore promosse l’esordio letterario di De Carlo? a. Mario Soldati b. Alberto Moravia c. Italo Calvino 6. Quale caratteristica presentano i personaggi giovanili di De Carlo? a. Asocialità b. Disponibilità c. Apatia 7. Quale classe sociale era il bersaglio della contestazione studentesca? a. Borghesia b. Proletariato c. Aristocrazia 8. Con quale prestigioso regista ha collaborato De Carlo? a. Mario Monicelli b. Ettore Scola c. Federico Fellini


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Occupazione del liceo Berchet Fonte:www.cronologia.it

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La vicenda inizia nel 1968 a Milano, quando sull’Occidente e su molti paesi dell’Est spira un vento rivoluzionario. Sono anni contrassegnati da un impetuoso sviluppo: è aumentata la ricchezza, ma si sono contemporaneamente accentuate le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri e all’interno dei primi è cresciuto il divario tra le diverse categorie sociali. Il benessere va producendo un’alienazione sottile e penetrante, di cui non tutti sono consapevoli, ma che produce disagio e inquietudine. Da qui una situazione di malessere che comincia a essere avvertita soprattutto dai giovani, i quali sentono l’esigenza di ribellarsi al mondo dei genitori che pretendono di imporre i propri principi e di disegnare il futuro dei figli. La protesta studentesca si esprime attraverso occupazioni di università, scuole, fabbriche; cortei e manifestazioni di piazza si susseguono, nel corso dei quali si verificano spesso scontri con le forze dell'ordine. Su questo sfondo storico nasce l’amicizia tra Guido e Mario, la voce narrante del romanzo. I due si conoscono sui banchi del liceo classico Berchet e insieme condividono ansie, paure, insoddisfazioni tipiche dell’adolescenza; si lasciano trascinare dai subbugli di una Milano colpita da movimenti studenteschi e manifestazioni e disperatamente, insieme, cercano la loro strada.


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Romanzo di formazione

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Se nella prima parte del romanzo è Guido il personaggio forte e trascinatore, più affascinante e disinibito con le ragazze e più convinto nelle proprie scelte rivoluzionarie, la seconda parte del libro, ambientata vent’anni dopo, mostra un’inversione: Mario, rimasto fino ad ora nell’ombra dell’amico, trova la sua strada abbandonando Milano, città industriale e meccanica, per rifugiarsi nella pace e nella tranquillità della campagna umbra, vivendo senza agi e modernità ma trovando la tanto agognata serenità interiore. Guido, di contro, non riuscirà mai a sedare l’irruenza e l’eterno senso di inadeguatezza che lo hanno sempre caratterizzato, a dispetto dei vani tentativi di aiuto dell'amico. Due di due è la storia di un amicizia profonda, intensa, che ha portato due giovani a diventare uomini insieme, ma inevitabilmente con scelte e finali differenti. Una storia struggente che non smette di piacere ai giovani così come agli adulti che, guidati dai racconti di De Carlo, tornano indietro nel tempo e ricordano gli anni delle contestazioni, del ’68 e della propria adolescenza.

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La campagna umbra, dove è ambientata parte del romanzo Fonte:www.www.sputnik.info/adritir3.jpg


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Mario, l’io narrante del romanzo, è una controparte efficace, più equilibrata e rassicurante rispetto a Guido. Dopo il suicidio del padre, artista alcolizzato, vive con la madre e il suo nuovo compagno, un ricco professionista con cui egli instaura un pessimo rapporto. Altrettanto antiborghese, ma meno “eccessivo” dell’amico, Mario, pur non disconoscendo mai gli ideali di purezza che avevano caratterizzato la sua adolescenza, raggiunge una propria piena individualità e una pace interiore ritirandosi tra le colline dell’Umbria, raccogliendo attorno a sè una famiglia che si allarga e ingrandisce fino quasi a diventare una piccola comunità, riuscendo anche ad accumulare una semplice e solida ricchezza che lo rende praticamente autosufficiente

La copertina disegnata da De Carlo Fonte: www.andreadecarlo.com/ duedidue.html

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Guido Laremi rappresenta l’alter ego di Mario. E’ un ribelle, un anticonformista, un creativo. È un giovane innamorato della vita, che vivrà relazioni burrascose e disordinate. Si aggira nell’inferno metropolitano dell’odiata Milano come una bestia in gabbia, tormentando se stesso e precipitando verso l’annientamento. In questo personaggio, che un critico autorevole come Pietro Citati ha definito “uno dei personaggi più riusciti della narrativa italiana degli ultimi vent’anni” ritroviamo la purezza e l’incandescenza, il senso dell’amicizia e l’incapacità di scendere a compromessi con una società che disprezza profondamente.


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Fluttuare nel vuoto (da Due di due, cap. 2) Dopo il nostro primo incontro io e Guido Laremi non ci siamo più visti per nove mesi interi. L'ho accompagnato a casa e ci siamo salutati, e malgrado la simpatia e la curiosità che provavamo l'uno per l'altro non ci siamo detti i nostri nomi né in che classe eravamo, né abbiamo poi fatto il minimo tentativo di rintracciarci a scuola. Era un periodo in cui una cosa succedeva e subito era evaporata; come se non ci fosse mai stata. Tendo a ricordarmene come un insetto può ricordarsi il suo stato larvale: con lo stesso genere di sensazioni torporose che affiorano una sull'altra e subito perdono contorno. Quello che mi viene in mente sono stati di sonnolenza, attesa e mancanza di ritmo, riflessioni circolari, immagini frammentarie, discorsi imprecisi, sguardi a distanza, incontri rimandati. Studiavo latino e greco antico e algebra nel modo più meccanico, senza capire i codici interni di ogni materia né il suo possibile uso al di fuori della scuola. Ascoltavo i professori e cercavo di memorizzare quello che dicevano in base alle cadenze delle loro frasi: il suono cantilenante delle formule. A casa ogni pomeriggio stavo seduto a un tavolo a guardare le pagine di un libro e a guardare nel vuoto. Non mi sembrava che ci fossero alternative realistiche a fare lo studente, allora. Le uniche possibilità che mi venivano in mente erano come immagini di un film viste da molto lontano, senza riuscire ad ascoltarne i suoni: io che emigravo; che andavo a imparare un lavoro manuale; che andavo alla ventura. Avrei dovuto essere credo in una situazione molto più difficile per riuscire a raggiungerle: forse soffrire la fame, vivere con genitori alcolizzati o violenti.

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La mia era una famiglia media italiana, mediamente tollerante delle mie oscillazioni di interesse, mediamente protettiva e confortante. Non avevo nessuno che mi stesse addosso a rendermi la vita impossibile, provocare rotture irrimediabili. A volte cercavo di capire cosa avrei potuto fare una volta uscito da questo stato indefinito, ma non arrivavo mai a una conclusione attendibile. A volte mi guardavo nello specchio del bagno e cercavo di intuirlo dall'evoluzione dei miei lineamenti, dalle possibilità della mia mimica facciale. A mezzogiorno e di sera mangiavo con mia madre e suo marito e mi sentivo raggricciare dentro quando una battuta veniva rifatta, una considerazione riespressa, una piega di carattere rimessa in luce esattamente come cento o mille altre volte prima. Mi sembrava morboso essere ancora lì con loro, preso nella piccola rete di sguardi e gesti che conoscevo così bene, ma non facevo niente per uscirne, e non credo si capisse che ne soffrivo: avevo sviluppato una capacità di assorbire stridori senza reazioni apparenti. La domenica dormivo fino a mezzogiorno, fino alla una; fino a quando mia madre entrava nella stanza e tirava su le tapparelle e mi strappava le coperte di dosso. Suonavo la chitarra, ma non sapevo leggere la musica né avevo abbastanza orecchio, così tendevo a ripetere all'infinito i due o tre giri di accordi che conoscevo, in un esercizio ellittico di frustrazione. Fluttuavo nel vuoto, sospeso tra gli orari della giornata. Lasciavo passare il tempo, più che altro; e mi sembrava che passasse con una lentezza incredibile.

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De Carlo descrive lo stato d’animo di Mario, le sue atmosfere interiori, con segni nitidi e semplici, felicemente efficaci: l’insofferenza e l’indifferenza dell’io narrante, la sua provvisorietà di fronte a un mondo che lo ha già deluso, lo fa fluttuare in un vuoto che non sa come colmare. La famiglia e la scuola, anziché rappresentare due punti di riferimento, sono per lui elementi che testimoniano la distanza che lo separa da una realtà che gli appare in lenta, ma inesorabile decomposizione.

De Carlo al lavoro Fonte: www.note-i.de/blog/uploads/ Portrait_36.jpg

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Una complicità automatica (da Due di due, cap. 3) Le nostre professoresse non cercavano di nascondere il gusto con cui esercitavano un potere assoluto su persone più giovani e almeno potenzialmente più libere e fortunate di loro. Doveva essere un vero piacere fisico, in grado di compensare quasi qualunque insoddisfazione sentimentale o finanziaria o di salute avessero fuori dalla scuola. Non importa quant'era brutta la loro casa, o insopportabile il loro matrimonio, o faticoso il percorso che dovevano fare ogni mattina; una volta in classe e chiusa la porta cambiavano espressione. Appendevano all'attaccapanni i loro cappellini a busta o a torta, i loro cappotti bluastri o verdini, si sedevano dietro la cattedra a fissare a occhi socchiusi le loro trenta vittime che prive di difese respiravano sullo stesso ritmo. Erano loro a stabilire i tempi: dilatavano le attese per godersi meglio il momento in cui avrebbero colpito, facevano scorrere lente l'indice sull'elenco dei nomi del registro, dicevano «Venga fuori Ba..., no, Ge...». C'era questa atmosfera rarefatta: questo vuoto in cui il più piccolo dei gesti si amplificava, la più piccola sfumatura di tono acquistava un rilievo impressionante. Guido stava rintanato di fianco a me verso il fondo dell'aula, e faceva continue osservazioni su tutto. All'inizio parlava quasi da solo, ma poco alla volta ha cominciato ad alzare leggermente la voce per farmi partecipare. Non ci guardavamo quasi: comunicavamo in modo ben dissimulato dietro l'attenzione apparente per le professoresse. Presto si è stabilita tra noi una complicità automatica simile a quella che c'è in alcune forme di sport a due, come il bob o il motociclismo con sidecar. Gli facevo da secondo: lo bilanciavo e aiutavo a mantenere una traiettoria, ero il minimo pubblico possibile per la sua attività di scrutatore.

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Lui aveva un vero talento per cogliere accenti, modi di fare, vezzi, cadenze, dettagli fisici e tic di comportamento; li isolava e rimetteva insieme con una facilità straordinaria. Seguiva una vena febbrile, difficile da anticipare: a volte passava rapido da un soggetto all'altro, giustapponeva particolari, li metteva a confronto; altre volte stava fermo su un solo dettaglio e lo esponeva da angoli diversi, lo amplificava fino a farlo diventare insostenibile. Ogni tanto una professoressa se ne accorgeva: la Dratti o la Cavralli alzavano di scatto lo sguardo predatore, battevano una mano di piatto sulla cattedra, gridavano «Chi è la in fondo?». Il clima diventava ancora più pericoloso; le trenta vittime inchiodate ai loro posti smettevano di respirare. Guido aspettava qualche secondo e poi ricominciava, la sua voce roca solo sussurrata adesso. La tensione aumentata dava più carica alle sue osservazioni, le percorreva di elettricità. Diceva che i musicisti rock erano le uniche persone giovani che potevano fare esattamente quello che volevano. Mi ha raccontato di una volta tre anni prima quando aveva visto alla televisione i Rolling Stones. Era solo un frammento di concerto dal vivo, con la musica parzialmente coperta da uno speaker servo che cercava di fare dell'ironia. E lo stesso l'aveva colpito in modo incredibile. «Era la vita» diceva. «C'erano questi cinque pieni di energia e di rabbia e divertimento per quel che facevano, senza nessun riguardo e nessun obbligo e nessuna spiegazione o simulazione di ragionevolezza per nessuno». (...) Eravamo presi in questo tessuto nevrotico di frasi scritte e frasi bisbigliate, su un piano parallelo a quello delle professoresse. Solo ogni tanto c'era un contatto improvviso tra i due piani, provocato da una parola o uno sguardo o un suono discordante: uscivamo per un attimo dalla nostra maniacalità e ci sembrava di scoprire la loro per la prima volta.

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Due di due è il romanzo di due esistenze contraddittorie, ricche di esperienze divergenze e speculari. Questa doppiezza è efficacemente testimoniata dal brano precedente ed è sintetizzata anche dal titolo che De Carlo ha scelto per questa sua opera: “Pensavo a quanto le nostre vite erano state diverse in questi anni, e anche simili in fondo, due di due possibili percorsi iniziati dallo stesso bivio”, dice Mario nelle pagine conclusive del romanzo. “Sono affascinato dalla duplicità, dal conflitto invisibile che è dentro ognuno di noi, e che in qualunque momento della nostra vita potrebbe trasformarci da persone ignobili in persone straordinarie, o viceversa”, ha affermato De Carlo, spiegando così il suo interesse per il tema del doppio che attraversa tutte le sue opere. “Ne sono affascinato, ma allo stesso tempo spaventato. Siamo tutti continuamente percorsi da conflitti interiori, solo che alcuni riescono in un certo senso a far prevalere con forza una delle due personalità, altri invece le vedono alternarsi oppure assistono a questa lotta e sono come testimoni di un continuo tiro alla fune. Dentro di noi c’è una contrapposizione fra lucidità e opacità, razionalità e istinto, fra avventura e desiderio di radici, fra bene e nel male. Questa alternanza, questo gioco degli estremi, è poi uno dei grandi temi della letteratura”

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Giano bifronte (testa marmorea del II sec. d.C.) Fonte: www.protagonistaslow.it/images/ Immagine_022.jpg


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De Carlo alla chitarra Fonte: www.andreadecarlo.net

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L’ambizione di De Carlo è quella di ricreare nei suoi romanzi la “lingua della vita”: una lingua, dunque, poco letteraria e molto semplice, vicina al parlato. “Non ho mai pensato che la complicazione della forma sia indispensabile per esprimere la complessità di ciò che si vuole narrare”, ha detto De Carlo, spiegando così le ragioni del suo stile disadorno e poco italiano; “Italo Calvino insegna: la forma cristallina del suo stile era in realtà tormentatissima, i suoi manoscritti un tessuto unico di cancellature per arrivare alla difficile semplicità della leggerezza”. Una scrittura, quella di De Carlo, aperta allo slang giovanile e ricca di una evidente componente musicale: ritmi, cadenze, motivi guida, refrain. Quella che si ritrova nei suoi libri è una musica mentale, che non si può ascoltare ma che si sente. La punteggiatura è già una prima scansione ritmica: può spezzare una frase o sostenerla a lungo, darle un andamento concitato, renderla fluida, rallentarla. “Uno scrittore può variare il volume di quello che scrive, cambiare i toni, renderli rauchi come quelli di un sassofono o dolci come quelli di una steel guitar”, ha detto De Carlo; “la letteratura, quella italiana in particolare, ha avuto a lungo una paura terribile di contaminarsi e svilirsi a contatto con la realtà. Ancora oggi ci sono letterati e critici che vivono come i custodi di un cimitero, e pattugliano ossessivamente il perimetro cintato per accertarsi che niente di vivo possa entrare. Credo invece che per un artista sia importante avere contatti con linguaggi diversi dal proprio. Gli scrittori che vivono in un mondo di soli libri tendono a diventare topi da scaffale, sterili e ossessivi”.


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1. Individua nei due brani tratti da Due di due gli elementi che accomunano e che differenziano Mario e Guido 2. Due di due, pubblicato nel 1989, racconta una storia iniziata alla fine degli anni Sessanta. Il successo del romanzo testimonia però che gli argomenti trattati sono tutt’altro che superati. Sulla base di quanto appreso durante lo svolgimento di questo Learning Object quali sono, a vostro giudizio, gli elementi ancora attuali presenti in quest’opera?

Andrea De Carlo Fonte: www.progettobabele.it/numeroquattordici/ decarlo.jpg

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