Gli indifferenti, di Alberto Moravia Anatomia della malattia di un secolo
giovedĂŹ 22 ottobre 2009
Gli indifferenti di Moravia: anatomia della malattia di un secolo A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher
Descrizione del LO Il Learning Object guida l’allievo all’analisi di uno dei maggiori successi di pubblico e di critica della narrativa italiana del Novecento. Il carattere di Michele, io narrante del romanzo, riflette un’enorme e generale malattia del secolo, di cui hanno testimoniato tutti gli scrittori più intrinsecamente legati al nostro tempo. La copertina de Gli indifferenti Fonte: www.italica.rai.it/argomenti/ grandi_narratori_900/moravia/img/ indifferenti.jpg
giovedì 22 ottobre 2009
Gli indifferenti di Moravia: anatomia della malattia di un secolo A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher
Obiettivi del LO • Acquisire un metodo per affrontare un autore, per leggerne l’opera e per analizzarne poetica, temi e stile • Riconoscere i valori e i modelli caratterizzanti l’epoca in cui il romanzo è ambientato • Orientarsi nel rapporto tra “influenze” e originalità
Alberto Moravia Fonte: www.penkavcivrch.cz/cjl/pictures/ autori/moravia.jpg
giovedì 22 ottobre 2009
Gli indifferenti di Moravia: anatomia della malattia di un secolo Il futuro di Carla
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Indifferenza e inettitudine
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Il futuro di Carla (da Gli indifferenti, cap.1) Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l'uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un'oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto. «Mamma sta vestendosi», ella disse avvicinandosi «e verrà giù tra poco». «L'aspetteremo insieme», disse l'uomo curvandosi in avanti; «vieni qui Carla, mettiti qui». Ma Carla non accettò questa offerta; in piedi presso il tavolino della lampada, cogli occhi rivolti verso quel cerchio di luce del paralume nel quale i gingilli e gli altri oggetti, a differenza dei loro compagni morti e inconsistenti sparsi nell'ombra del salotto, rivelavano tutti i loro colori e la loro solidità, ella provava col dito la testa mobile di una porcellana cinese: un asino molto carico sul quale tra due cesti sedeva una specie di Budda campagnolo, un contadino grasso dal ventre avvolto in un kimono a fiorami; la testa andava in su e in giù, e Carla, dagli occhi bassi, dalle guance illuminate, dalle labbra strette, pareva tutta assorta in questa occupazione. «Resti a cena con noi?» ella domandò alfine senza alzare la testa. «Sicuro», rispose Leo accendendo una sigaretta; forse non mi vuoi?». Curvo, seduto sul divano, egli osservava la fanciulla con una attenzione avida: gambe dai polpacci storti, ventre piatto, una piccola valle di ombra fra i grossi seni, braccia e spalle fragili, e quella testa rotonda così pesante sul collo sottile.
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«Eh che bella bambina»; egli si ripeté «che bella bambina». La libidine sopita per quel pomeriggio si ridestava, il sangue gli saliva alle guance, dal desiderio avrebbe voluto urlare. Ella diede ancora un colpo alla testa dell'asino: «Ti sei accorto quanto fosse nervosa mamma oggi al te? Tutti ci guardavano». «Affari suoi» disse Leo; si protese e senza parer di nulla, sollevò un lembo di quella gonna: «Sai che hai delle belle gambe, Carla?» disse volgendole una faccia stupida ed eccitata sulla quale non riusciva ad aprirsi un falso sorriso di giovialità; ma Carla non arrossì né rispose e con un colpo secco abbatté la veste: «Mamma e gelosa di te» disse guardandolo; «per questo ci fa a tutti la vita impossibile». Leo fece un gesto che significava: «E che ci posse fare io?»; poi si rovesciò daccapo sul divano e accavalciò le gambe. «Fai come me» disse freddamente; «appena vedo che il temporale sta per scoppiare non parlo più... Poi passa e tutto è finito». «Per te, finito» ella disse a voce bassa e fu come se quelle parole dell'uomo avessero destato in lei una rabbia antica e cieca; «per te... ma per noi... per me» proruppe con labbra tremanti e occhi dilatati dall'ira, puntandosi un dito sul petto; «per me che ci vivo insieme non è finito nulla...». Un istante di silenzio. «Se tu sapessi», ella continuò con quella voce bassa a cui il risentimento marcava le parole e prestava un singolare accento come straniero «quanto tutto questo sia opprimente e miserabile e gretto, e quale vita sia assistere tutti giorni, tutti i giorni...». Da quell'ombra, laggiù, che riempiva l'altra metà del salotto, l'onda morta del rancore si mosse, scivolò contro il petto di Carla, disparve, nera e senza schiuma. Ella restò cogli occhi spalancati, senza respiro, resa muta da questo passaggio di odio. [...]
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«E così» egli domandò guardandola dal basso in alto «proprio non ne puoi più?. La vide annuire, un poco impacciata dal tono confidenziale che assumeva il dialogo. «E allora» soggiunse «sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia». «E’ quello che finirò per fare» ella disse con una certa teatrale decisione; ma le pare di recitare una parte falsa e ridicola; così, era quello l'uomo a cui questo pendio di esasperazione l'andava insensibilmente portando? Lo guardò: né meglio né peggio degli altri; anzi meglio senza alcun dubbio, ma con in più una certa sua fatalità che aveva aspettato dieci anni che ella si sviluppasse e maturasse per insidiarla ora, in quella sera, in quel salotto oscuro. «Cambia», le ripeté; «vieni a stare con me». Ella scosse la testa: «Sei pazzo...». [...] Ella fece di nuovo il vano gesto di respingerlo, ma ancor più fiaccamente di prima, ché l’ira la vinceva una specie di volontà rassegnata; perché rifiutare Leo? Questa virtù verrebbe rigettata in braccio alla noia e al meschino disgusto delle abitudini; e le pareva inoltre, per un gusto fatalistico di simmetrie morali, che questa avventura quasi familiare fosse il solo epilogo che la sua vita meritasse: dopo, tutto sarebbe stato nuovo; la vita e lei stessa; guardava quella faccia dell'uomo, là, tesa verso la sua: "Finirla", pensava "rovinare tutto..." e le girava la testa come a chi si prepara a gettarsi a capofitto nel vuoto.
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Possiamo definire i protagonisti di questo brano con una serie di aggettivi e qualifiche: Leo: - Cinico - Egoista - Sicuro di sé - Arrogante Carla: - Rassegnata - Disgustata - Annoiata - Esasperata La descrizione fisica di Carla e Leo è coerente con il carattere che l’autore vuole delineare? Motiva la tua risposta
Moravia ritratto da Guttuso Fonte: http://www.fondoalbertomoravia.it/
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Le pagine riportate costituiscono l'inizio de Gli indifferenti, il romanzo con cui Alberto Moravia esordì nel 1929. La situazione dei vari personaggi e i rapporti che li legano sono delineati con chiarezza fin dall’inizio: la lunga relazione fra la vedova Mariagrazia Ardengo e il suo amante Leo Merumeci procede fra la gelosia di lei e la noia di lui. Il desiderio dell’uomo è ormai chiaramente spostato su Carla, verso la quale tenta i primi approcci. Carla è una ragazza di ventiquattro anni, fisicamente piacevole, esasperata dalla vita priva di prospettive che conduce nella casa materna; cerca disperatamente una novità, una svolta, un cambiamento qualsiasi e sembra, quasi fatalisticamente, trovarlo nelle proposte di Leo. Dal punto di vista formale, gli obiettivi di Moravia sono evidenti: delineare i personaggi e gli ambienti entro i quali essi si muovono, e rendere in modo chiaro i pensieri che attraversano loro la mente. L’autore lascia in secondo piano le preoccupazioni stilistiche e linguistiche: una scelta in aperto contrasto con la prosa dominante in quel periodo e nel precedente, caratterizzata da una scrittura estremamente elegante Moravia nel suo studio Fonte: www.aavc.vassar.edu/vq/spring2005/images/ features/moravia.jpg
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Gli indifferenti di Moravia: anatomia della malattia di un secolo Il futuro di Carla
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Indifferenza e inettitudine
Carla avverte che il vecchio mondo puro e intatto dell’infanzia è ormai sepolto nella sua anima come una cosa lontana. Un nuovo atteggiamento occorre per affrontare l’incerta dimensione del vivere quotidiano e per rompere le abitudini meschine di una vita piena di noia. La ragazza resiste a Leo e alle sue proposte interessate solo per un senso di vergogna, combattuta tra il desiderio di «rovinare tutto» e un senso di paura per le conseguenze di quella violenza sconosciuta. Nonostante ciò, le sembra che questa «avventura familiare» sia il solo epilogo degno di inaugurare la sua nuova esistenza, una frattura che rompa e laceri per sempre il vecchio mondo, fatto di immobilità, dominato da una meschina fatalità, pieno di atti e di gesti ripetuti fino alla nausea, in cui le stesse parole, i discorsi e le scene di gelosia tra la madre e Leo appaiono angosciosi, previsti in anticipo, già sperimentati nella loro falsità in mille modi e occasioni diverse. La storia di Carla rappresenta un difficile e doloroso, seppur riuscito adattamento: “stanca di esaminare se stessa e gli altri”, la ragazza rinuncerà a ogni resistenza e si adatterà a un mondo borghese, fatto di ipocrisia e completamente privo di valori di qualsiasi genere.
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Locandina del film tratto da Gli indifferenti Fonte: www.italica.rai.it/immagini/altro/lingua5/ indifferenti.jpgl
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Capolavoro d’analisi e lucidità, Gli indifferenti propone i temi principali della narrativa di Moravia: il comportamento sessuale e il rapporto con il denaro come chiave interpretativa della realtà umana e la rappresentazione della debolezza della volontà, malattia esistenziale che condanna all’indifferenza, segno del degrado del “buon senso”. Da qui la critica al mondo borghese, che è un effetto e non lo scopo dell’autore: “Se per critica antiborghese s’intende un chiaro concetto classista, niente era più lontano dal mio animo in quel tempo – afferma Moravia in “L’uomo come fine” (Milano, 1972), a proposito del suo primo romanzo – Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, Gli indifferenti furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia”.
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Un testo manoscritto di Alberto Moravia Fonte: www.pinosettanni.it/Gallery1/01%20alberto%20moravia%201987.jpg
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Il macrotema che caratterizza l´intera opera di Moravia è quello dell´indifferenza. L´indifferenza è la condizione umana, la condizione dell´uomo moderno, dell´uomo che ha ormai soddisfatto ampiamente i suoi bisogni primari, e non trova più stimoli che lo facciano sentire vivo. Da questa condizione l´uomo di Moravia non ha possibilità di fuga. Resta solo il desiderio forsennato di provare qualcosa: questa é la sua sola possibilità di entrare in contatto con il mondo. E tale contatto può avvenire essenzialmente attraverso la liberazione dei sensi e degli istinti. Ma il risultato non è il possesso della conoscenza, bensì la noia, intesa come consapevolezza di essere una cosa. Se si guarda la realtà con lucidità razionale, nel tessuto ottimistico della civiltà borghese si può avvertire l´esistenza di questa indifferenza di fondo. L´occhio dell´analisi razionale avverte così una sfasatura, al pari di Svevo e Pirandello. Nel mettere in scena il torpore morale e la sessualità morbosa di personaggi della borghesia egemone, Moravia mina alle fondamenta la rappresentazione della “sanità morale” della nazione, rivendicata dal fascismo quale risultato dell’imperante ordine. Sul piano dei contenuti, l’autore ritorna sul personaggio dell’inadeguato a vivere, ricollegandosi alla tradizione letteraria di Svevo, con i suoi personaggi malati di inettitudine; sotto il profilo formale, infine, Moravia sperimenta per la prima volta ne Gli indifferenti la propria prosa essenziale e raziocinante. Moravia con Elsa Morante Fonte: www.nextbook.org/images/features/ feature_219_story.jpg
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Per Moravia l’indifferenza non è una stoica forma di saggezza di fronte alla vita, ma è la degradazione dell'uomo che, rassegnato e sconfitto, rinuncia a vivere. Indifferenza è dunque inerzia morale, passività esistenziale, superficialità, con cui la società borghese si pone nei confronti dei problemi dell'esistenza, dei valori più veri e profondi insiti nell'uomo. Attorno al tema dell'indifferenza ne ruotano altri che già la letteratura del Decadentismo aveva messo in luce come l'incomunicabilità, il senso di inettitudine, la coscienza dello scacco. Sul piano della struttura narrativa va detto però che tali temi sono qui calati in un impianto di tipo naturalistico, con una osservazione minuziosa, quasi maniacale, della realtà sociale e psicologica, in uno stile neutro, quasi fotografico, privo di qualunque concessione all'elemento lirico e con l'adozione di un italiano standard, che tuttavia, mimando la piattezza dei personaggi e delle situazioni raggiunge piena espressività.
Moravia ritratto da Renato Guttuso Fonte: www.pasolini.net/madridMoraviaGuttuso.jpg
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Gli indifferenti di Moravia: anatomia della malattia di un secolo Il futuro di Carla
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1. Moravia individua le cause della crisi della società moderna nella relazione tra: a. Fede e politica b. Consumismo e mass media c. Sesso e denaro 2. Quale stile espressivo caratterizza Gli indifferenti? a. Neutro b. Lirico c. Sperimentale 3. Per Moravia l’indifferenza è: a. Una stoica forma di saggezza b. Una forma di degradazione c. Una via di salvezza Moravia con Pasolini e l’attrice Laura Betti Fonte: http://www.zetema.it/layout/set/popupimage/ mostre_ed_eventi/mostre/la_meglio_gioventu_pasolini_e_roma/ (img)/2
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Michele e Lisa (da Gli indifferenti, cap.14) Abbassò gli occhi; Lisa stava seduta in difficile equilibrio sulle proprie gambe, e senza parere di nulla, pur continuando ad accarezzargli la testa, gli si avvicinava strisciando penosamente sul divano: a questo movimento la gonna tirata svelava a poco a poco una coscia grassa dalla calza lenta e arrotolata. Gli vennero un disagio, un'irritazione forte, non seppe se per il dispetto di essersi lasciato trascinare all'abbraccio, o per il contrasto ipocrita tra quelle carezze, quella parola affettuosa e la nudità impura che quel subdolo movimento veniva discoprendo. «Per chi mi prende?» pensò disgustato: quel po' di libidine che l'abbraccio aveva destato in lui svanì; si ritrasse indietro e, guardando fissamente Lisa, con un gesto goffo si alzò in piedi. «No» disse scuotendo la testa, «no, non va...». Stupita, quasi scandalizzata, senza coprire la gamba nuda, senza calmare la sua eccitazione Lisa lo guardava. «Che cosa non va?» domandò; questa freddezza di Michele oltraggiava il suo rossore e il suo abbandono: «Stupido di un ragazzo», pensava irritata; «avevamo così bene incominciato... ed ora ecco... ecco che si alza». Lo vide scuotere ancora una volta la testa, ripetendo: «Non va». Allora si sporse, gli afferrò con un gesto malcerto una mano: «Vieni...» disse, tentando di attirarlo al suo fianco «vieni qui... siediti qui... dimmi che cosa non va».
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Egli esitò, poi sedette: «Ti ho già detto che cosa non va» spiegò con voce annoiata guardando attentamente qualche cosa dietro la testa di Lisa e fingendo d'ignorare la carezza nervosa delle mani della donna e quei suoi occhi commossi; «ti ho già detto che mi trovo anche di fronte a te come di fronte agli altri...». «Anche ora, dopo quello che ti ho raccontato?..». Michele guardò la donna: «Debbo dirti» incominciò con un certo imbarazzo, «che quel che hai detto di mamma ho finto d'ignorarlo... invece lo sapevo già...». «Lo sapevi già?» «Almeno da dieci anni». Egli si chinò, raccolse un tagliacarte che era caduto dal tavolino; allora, mentre lo riponeva, gli venne ad un tratto un bisogno isterico di verità: «E così, come non posso odiare Leo, di cui potrei raccontarti per filo e per segno tutta la storia delle sue relazioni con mamma... nello stesso modo non posso amarti: è sempre la stessa ragione... indifferenza, sempre indifferenza... Allora» concluse irritato «piuttosto che fingere di caderti fra le braccia, di morir dalla passione per te, di farti delle dichiarazioni... visto che non mi riesce... preferisco non fare nulla...». Tacque e guardò Lisa: la vide così perplessa e annoiata che gli venne una dispettosa compassione: «Sforzati di comprendermi» soggiunse cupamente «come posso io fare una cosa che non sento?». [...] «Leo... hai detto Leo... che debbo tornare con Leo?» ella gridò senza curarsi dei suoi capelli in disordine e della sua veste discinta. «E, se non mi sbaglio, hai anche detto che non ti riesce di odiare Leo, non è vero? anche sapendo quello che sai?».
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«Sì» balbettò egli, turbato da quell'improvviso furore, guardandola: «sì... ma che nesso c'è?». «Come sarebbe a dire?». «Sì... come non posso odiare Leo...». «Lo so io...»: ella ebbe un riso breve e nervoso: «lo so io...». Tacque per un istante inghiottendo la saliva e la propria impazienza: «Sai che cosa ti dico?» proruppe di nuovo sporgendosi dal basso e fissandolo con quei suoi occhi allucinati: «che c'è una sola ma buona ragione perché tu possa odiar Leo ed io non tornarci insieme...». [...] «Senti Lisa» profferì alfine Michele: «di' quel che vuoi dire... perché si vede che proprio non ne puoi più... e falla finita...». Le si avvicinò, le mise una mano nei capelli, le rovesciò indietro la testa... Allora guardando in quegli occhi gli parve di scoprire nella spietata e stupida fissità che ella gli opponeva, un errore indurito e inguaribile; gli venne la stessa disgustata compassione di prima: «Se l'amassi» pensò rigettando da sé la testa, «ella non sarebbe così...». Sedette di nuovo: «Che maniere» ripeteva Lisa turbata, con voce lenta e caparbia, ravvivando i capelli scomposti; «che maniere». Michele la guardava: «La colpa non è loro» pensava, «ma mia... Essi hanno bisogno dei miei sentimenti... e io non ne ho». «Allora vuoi proprio sapere tutto?» ella domandò. «Sì... e sbrigati..,». Un istante di silenzio: «Hai detto» cominciò Lisa con qualche esitazione «che vorresti e non puoi odiare Leo?». «Sì» egli rispose, «e ho anche detto» soggiunse impacciato «che vorrei e non posso amarti...». Un gesto secco della mano: «Non occuparti di me» ella disse freddamente; stette un istante sopra pensiero come chi riunisce i propri ricordi prima di narrare: «La storia è breve» cominciò alfine abbassando gli occhi e guardandosi le mani.
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«Ieri... ti ricordi? vennero Leo, tua madre e tua sorella al ballo... mancava la luce e si cercarono delle candele... Poi tua madre mi trascinò in camera sua per mostrarmi quel vestito nuovo che ha fatto venir da Parigi...: è un bel vestito, ma ha un difetto alla cintura... Ad un certo momento, non ricordo perché, pensai di uscire... apro una porta, faccio un passo avanti... indovina chi vedo nell'anticamera?». Michele la guardò: tutto il racconto era stato fatto con voce fredda, parsimoniosa, senza mai cessare quella contemplazione delle mani; distratto egli l'aveva ascoltata senza interesse, come una qualsiasi storia banale; ma ora, d'improvviso, si ricordò che tutti questi preamboli non riguardavano che Leo; questi giri concentrici si stringevano intorno a quel nome; gli venne una ansietà oscura e minacciosa, e così brusca che gli mancò il respiro. «Leo...» disse in un soffio. «Sì, Leo» ripeté Lisa scuotendo tranquillamente, ostentatamente la cenere della sigaretta; «Leo con Carla... abbracciati». Si guardarono; Michele, immobile, senza stupore, ma con quella fissità trasognata che fa la vista doppia e tripla come un vetro difettoso; Lisa con curiosità, timore, e una certa ridicola fierezza, come chi sa di aver vibrato un bel colpo, o detto una gran parola. «Come abbracciati?» egli domandò alfine. «Abbracciati» ripeté la donna con crudeltà, irritata da questa incomprensione come dai sussulti di una bestia ferita che non si decide a morire. «Come abbracciati? Come tutti fanno...: lei sulle ginocchia di lui, la bocca sulla bocca... insomma abbracciati».
giovedì 22 ottobre 2009
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Silenzio; immobile, Michele guardava il tappeto, roseo anche quello come il resto del boudoir, tutto spelato sugli orli; sul tappeto erano posati i due piedi uniti di Lisa; più in là c'era il divano: «Abbracciati» si ripeteva intanto, «abbracciati...: questa è straordinaria»; avrebbe voluto gridarlo: «questa è fantastica» divertito, incuriosito da un caso tanto imprevisto. Indignazione non ne provava e neppure disgusto; anzi, se mai, un vivo interesse lo pungeva di ottenere schiarimenti, di saperne qualche cosa di più. Tale stato d'animo durò pochi secondi; poi, mentre già si apprestava a far delle domande, si accorse, ad un tratto, quasi con spavento, di essere ancora una volta privo dei sentimenti che quel triste fatto avrebbe dovuto ispirargli; Leo e Carla abbracciati non gli suggerivano che una curiosità, diremo così, mondana; questa nuova rovina non lo commoveva, questa prova suprema e non prevista della sua sincerità falliva; quei due abbracciati gli apparivano come tante altre coppie note e ignote, e non ciascuno con quella personalità che più lo riguardava. "Vediamo" pensò "si tratta di Carla, di mia sorella... Lisa l'ha vista abbracciata a quell'uomo, l'amante di mia madre... Non è orribile? Non è ributtante?... Vediamo... non è quasi un incesto?". Ma Carla e Leo abbracciati e incestuosi restavano lontani dai suoi gesti di costernazione e di disgusto; egli non poteva toccarli.
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Michele, fratello di Carla, non è veramente indignato con Leo, sebbene abbia saputo che l’amante della madre vuole prendersi la villa di famiglia, approfittando della scadenza di un’ipoteca. La sua indifferenza lo fa assistere alle speculazioni dell’avido Leo come se fosse uno spettatore non coinvolto nel dramma. Nel tentativo di scuoterlo, Lisa, una matura amica di famiglia ed ex amante di Leo, gli rivela che quest’ultimo ha cercato di sedurre Carla.
Il giovane Michele rappresenta nel romanzo “l’indifferente per eccellenza”; per lunghi tratti la sua indifferenza è la stessa dimostrata dalla sorella Carla, tanto che essa appare come il suo alter ego femminile. Eppure egli è l’unico che vorrebbe reagire alla sua condizione, ma la sua volontà di ribellione rimane sempre sul piano delle intenzioni, non si concretizza mai. Le sue azioni sono mosse, appunto, dall’indifferenza. Anche quando vorrebbe mettere in atto i suoi propositi uccidendo Leo, il suo scopo fallisce perché si reca all’appuntamento con la vittima designata con la pistola scarica.
Moravia ritratto da Carlo Levi Fonte: www.scuolaromana.it/images/opere/ ope001.jpg
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SessualitĂ morbosa
Coscienza dello scacco
Atteggiamento anti-borghese
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IncomunicabilitĂ
Liberazione dei sensi e degli istinti
Indifferenza
Torpore morale
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1. Nel primo brano Carla subisce i tentativi di seduzione di Leo; nel secondo Michele viene corteggiato da Lisa: prova a tracciare un confronto fra le due situazioni e fra i diversi atteggiamenti dei due giovani 2. Ricerca nel primo brano le similitudini e le metafore che rendono il senso di chiusura e di oppressione che grava sull’ambiente e sul personaggio di Carla 3. Come si manifesta, di fronte alle rivelazioni di Lisa, l’indifferenza di Michele? 4. Nel primo brano è spesso evidenziato il contrasto fra ciò che un personaggio pensa e sente e ciò che dice e fa; ritrova e commenta alcuni dei passi in questione
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