Salute e malattia nella Coscienza di Zeno, di Italo Svevo

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Salute e malattia nella Coscienza di Zeno, di Italo Svevo

giovedĂŹ 22 ottobre 2009


Salute e malattia ne La coscienza di Zeno A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher

Descrizione del LO Questo Learning Object muove dall’esigenza di approfondire l’analisi del terzo e più importante romanzo di Italo Svevo, caratterizzato da una struttura fortemente sperimentale, da un tono ricco di spunti ironici e da tematiche estremamente attuali

Italo Svevo Fonte: www.rtsi.ch/prog/images/trasm/ mediaalp_svevo-b.jpg

giovedì 22 ottobre 2009


Salute e malattia ne La coscienza di Zeno A cura del prof Luca Gervasutti - I.P.S.S.C.A.R.T. Bonaldo Stringher

Obiettivi del LO •Saper individuare la poetica dell’autore e le principali tematiche sviluppate nel suo romanzo principale •Acquisire un metodo per la lettura analitica di un’opera letteraria •Saper ricavare elementi di attualità dall’esame dei testi, con particolare riferimento alla tematica dell’inettitudine

Svevo a Trieste Fonte: www.retecivica.trieste.it/triestecultura/ musei/svevo/svevoframe.htm

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Salute e malattia ne La coscienza di Zeno Mappa

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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

Test

La catastrofe finale

Esercizio


Salute e malattia ne La coscienza di Zeno Mappa

Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

Test

La catastrofe finale

Esercizio

Il vizio del fumo è il primo tema trattato da Zeno nel diario che egli scrive su consiglio dello psicoanalista, il dottor S., per guarire dalle fissazioni che lo tormentano: la scelta è indotta proprio dal dottore, che lo invita "a iniziare il suo lavoro con un'analisi storica della sua propensione al fumo”. Nel testo che ti presentiamo scopriamo che il protagonista è un accanito fumatore fin dalla adolescenza e che ha iniziato a fumare con un sigaro lasciato in giro per casa dal padre. Ma l'aspetto che subito viene evidenziato da egli stesso è che appena creatosi il vizio, Zeno cerca invano di liberarsene. Il tentativo dura moltissimi anni, e non si realizza mai, neanche dopo essersi recato in una clinica specialistica, pur di scappare dalla quale corrompe l'infermiera. Il continuo rimandare un evento è tipico del nevrotico, che così, in questo caso, può gustare sempre di più l'ultima sigaretta. Il fumo (da La coscienza di Svevo, cap.III)

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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Zeno si rivolge a facoltosi medici, riempie libri e addirittura pareti con la sigla U.S.(Ultima Sigaretta), ma non riesce a smettere. E’ evidente che in realtà Zeno non ha intenzione di guarire dal vizio del fumo. Le sigarette rappresentano una volontà di auto affermazione soprattutto nei confronti della figura paterna, figura allo stesso tempo amata e odiata (come si vedrà nel brano successivo). L’argomento serve a Svevo anche per evidenziare quella dimensione di inettitudine che è una caratteristica del protagonista de La coscienza di Zeno: la malattia della volontà dell’io narrante trova dunque conferma anche nelle pagine che hai letto, venate di brillante umorismo. Il vizio del fumo ha un valore emblematico Fonte: www.www.torinoscienza.it/img/orig/it/ s00/00/0006/000006c1.jpg

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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Il secondo tema trattato dal protagonista è anch'esso legato al vizio del fumo: infatti Zeno cerca di spegnere l'ultima sigaretta anche il giorno della morte del padre. Il rapporto con il genitore è il primo di una lunga serie di rapporti ambigui raccontati da Zeno: tra padre e figlio vi è una forte ostilità, Zeno gioca continuamente a provocare il padre, il quale da parte sua non cerca di comprendere il figlio, anzi lo disprezza per il suo carattere troppo ironico. La situazione ha una svolta solo il giorno in cui il padre, per un edema polmonare, è costretto a letto, e Zeno si dedica a lui giorno e notte: una sera, nel tentativo di impedirgli di alzarsi dal letto, il figlio lo trattiene, ma il padre in un ultimo impeto di forza, rizzatosi nel letto, alza la mano verso Zeno per colpirlo... e muore. Come vedrai nel testo che riportiamo, il protagonista vede nel gesto una punizione, ultima ed eterna, del padre: e questo crea in lui un forte senso di colpa per avere desiderato la morte del genitore.

Lo schiaffo (da La coscienza di Svevo, cap.IV)

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Il fumo

Lo schiaffo

Il padre di Svevo Fonte: www.internetculturale.it/upload/ immagini/francescoschmitz.jpg

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Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Nel racconto di Zeno la vicenda di ostilità fra padre e figlio viene nascosta dietro l’amore che secondo il senso comune deve necessariamente esistere tra il figlio e il genitore. Ma poi ecco la “terribile” esperienza di Zeno, che crede di ricevere uno schiaffo dal padre poco prima che questi muoia. Con ogni probabilità il gesto del genitore, ormai privo di coscienza, è dovuto solo a motivi fisiologici: tuttavia Zeno non può fare a meno di interpretarlo come l'estrema punizione che il padre ha voluto infliggergli. Il senso di colpa affiora in lui perché egli aveva infatti sostenuto di fronte al medico l'opportunità di lasciar morire il padre, ormai condannato, senza procurargli con cure inutili ulteriore sofferenza. Il lettore deve però prescindere dalla corrispondenza o meno dell'interpretazione di Zeno a una realtà oggettiva: il fatto stesso che il protagonista provi senso di colpa dimostra che egli è colpevole, dal momento che effettivamente ha desiderato la morte del padre. Dal punto di vista dell'inconscio, infatti, non c'è differenza se l'evento desiderato si è o no compiuto per responsabilità oggettiva del soggetto.


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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Il rapporto conflittuale con il padre fa affiorare la parte più profonda della personalità di Zeno; infatti, tracciando il profilo del padre egli crea il proprio autoritratto soprattutto per quanto riguarda sentimenti e stati d’animo che prova per il genitore. Una causa della sua malattia è sicuramente il complesso di Edipo: ciò viene subito alla luce anche se il protagonista continua a negarlo. Egli oscilla tra conscio e inconscio, odia profondamente il padre, lo vede come un nemico; lui, un inetto, e il padre, figura virile e autoritaria. Il dottor S. diagnostica che Zeno è affetto dal complesso di Edipo; e lui maschera invece la sua aggressività in desiderio di innocenza, soprattutto nella scena dove il padre muore e gli dà uno schiaffo che “lascia cadere sulla guancia”.

Italo Svevo Fonte: www.akademieleipzig.de/fotos/ grazzola.jpg

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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

1. Qual è l’atteggiamento dominante in Zeno? a. eroismo b. autocommiserazione c. inettitudine 2. Nella Coscienza di Zeno, Svevo utilizza: a. il narratore esterno b. l’io narrante c. il tu 3. Il romanzo contiene una critica nei confronti: a. della borghesia b. del proletariato c. della nobiltà 4. Il periodo storico e culturale in cui visse Svevo fu caratterizzato dalla: a. fiducia nella ragione b. crisi dei valori c riscoperta della Fede 5. Come definiresti il rapporto tra Zeno e suo padre? a. sereno b. conflittuale c. rispettoso

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Esercizio


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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

Nel capitolo conclusivo (di cui fa parte il brano che leggerai nelle slides successive), Zeno, in seguito alla guerra, racconta di sentirsi pienamente guarito grazie ai successi commerciali raggiunti e alla constatazione che la malattia è condizione di ogni uomo. Identificando il progresso umano nella creazione di ordigni - comprese le idee - che impediscono la soddisfazione delle più intime esigenze, auspica un’enorme esplosione che riporti la Terra allo stato di nebulosa e consenta agli uomini di ritrovare l’armonia. Il brano contiene una evidente critica nei confronti della società borghese, ma più che attribuirgli un significato profetico esso va visto alla luce di tutto il romanzo, in cui consapevolezza e ironia si fondono. Come scrisse il critico Geno Pampaloni, commentando queste pagine, “soltanto la fine del mondo potrebbe liberarci dalla malattia. L’uomo moderno, represso dalla inconsapevolezza del proprio stato, incapace d’ironia, non può produrre che catastrofi. Artifici, menzogne e impotenze vanno di pari passo. L’unica età dell’oro possibile sulla terra è quella dell’uomo che accetta la sua precarietà e il condizionamento prepotente della vita. Tolleranza, autocoscienza e ironia sono le vie possibili, a portata di mano, della salvezza”

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Test

La catastrofe finale

Esercizio

L’esplosione di un’atomica Fonte: http://conciencianacional.tripod.com/images/atom.jpg


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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

La catastrofe finale (da La coscienza di Zeno, cap.VIII) La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!Ma non è questo, non è questo soltanto.Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole.

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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psicoanalisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

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Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

1. Zeno tra salute e malattia Sviluppa l'argomento in forma di "saggio breve", utilizzando i tre documenti che lo corredano e che puoi leggere cliccando sopra la scritta “documenti” che trovi al centro di questa slide. Interpreta e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Da' al tuo saggio un titolo coerente e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Non superare le quattro colonne di metà di foglio protocollo.

Documenti

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Esercizio


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Il fumo

Lo schiaffo

Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Il fumo (da La coscienza di Svevo, cap.III) Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz'ora in una cantina oscura insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria altro che la puerilità del vestito: due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c'è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all'aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora:- A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m'occorre. Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch'essa che a me doveva essere rivolta in quel momento. Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent'anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l'assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola assoluta! Mi ferì e la febbre la colorò: un vuoto grande e niente per resistere all'enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.

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Il fumo

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Zeno ed Edipo

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La catastrofe finale

Esercizio

Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse:- Non fumare, veh! Mi colse un'inquietudine enorme. Pensai: ´Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l'ultima volta. Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall'inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta con l'accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:- Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito! Bastava questa frase per farmi desiderare ch'egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allontanarsi prima. Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo. Le mie giornate finirono coll'essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali. (...) Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato:´Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studi di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!’. Era un'ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l'accompagnarono. M'ero arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch'è la vita stessa benché ridotta in un matraccio. Quell'ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge.

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La catastrofe finale

Esercizio

Pur troppo! Fu un errore e fu anch'esso registrato da un'ultima sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo coi migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M'ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco? Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi? (...) Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po' più lontano.

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Lo schiaffo (da La coscienza di Svevo, cap.IV) La notte fu lunga ma, debbo confessarlo, non specialmente affaticante per me e per l'infermiere. Lasciavamo fare all'ammalato quello che voleva, ed egli camminava per la stanza nel suo strano costume, inconsapevole del tutto di attendere la morte. (...)Il dottore (...) mi esortò a dirgli che si forzasse di restare più a lungo nel letto. Mio padre ascoltava solo le voci a cui era più abituato, la mia e quelle di Maria e dell'infermiere. Non credevo all'efficacia di quelle raccomandazioni, ma tuttavia le feci mettendo nella mia voce anche un tono di minaccia.- Sì, sì, - promise mio padre e in quello stesso istante si levò e andò alla poltrona. Il medico lo guardò e, rassegnato, mormorò:- Si vede che un mutamento di posizione gli dà un po' di sollievo. Poco dopo ero a letto, ma non seppi chiuder occhio. Guardavo nell'avvenire indagando per trovare perché e per chi avrei potuto continuare i miei sforzi di migliorarmi. Piansi molto, ma piuttosto su me stesso che sul disgraziato che correva senza pace per la sua camera. Quando mi levai, Maria andò a coricarsi ed io restai accanto a mio padre insieme all'infermiere. Ero abbattuto e stanco; mio padre più irrequieto che mai. Fu allora che avvenne la scena terribile che non dimenticherò mai e che gettò lontano lontano la sua ombra, che offuscò ogni mio coraggio, ogni mia gioia. Per dimenticarne il dolore, fu d'uopo che ogni mio sentimento fosse affievolito dagli anni. L'infermiere mi disse:- Come sarebbe bene se riuscissimo di tenerlo a letto. Il dottore vi dà tanta importanza!

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La catastrofe finale

Esercizio

Fino a quel momento io ero rimasto adagiato sul sofà. Mi levai e andai al letto ove, in quel momento, ansante più che mai, l'ammalato s'era coricato. Ero deciso: avrei costretto mio padre di restare almeno per mezz'ora nel riposo voluto dal medico. Non era questo il mio dovere?Subito mio padre tentò di ribaltarsi verso la sponda del letto per sottrarsi alla mia pressione e levarsi. Con mano vigorosa poggiata sulla sua spalla, gliel'impedii mentre a voce alta e imperiosa gli comandavo di non moversi. Per un breve istante, terrorizzato, egli obbedì. Poi esclamò:- Muoio! E si rizzò. A mia volta, subito spaventato dal suo grido, rallentai la pressione della mia mano. Perciò egli potè sedere sulla sponda del letto proprio di faccia a me. Io penso che allora la sua ira fu aumentata al trovarsi - sebbene per un momento solo - impedito nei movimenti e gli parve certo ch'io gli togliessi anche l'aria di cui aveva tanto bisogno, come gli toglievo la luce stando in piedi contro di lui seduto. Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto, come se avesse saputo ch'egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto! Non lo sapevo morto, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della punizione ch'egli, moribondo, aveva voluto darmi. Con l'aiuto di Carlo lo sollevai e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell'orecchio:- Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti di star sdraiato! Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa di non farlo più:- Ti lascerò movere come vorrai. L'infermiere disse:- E’ morto.

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La catastrofe finale

Esercizio

Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io non potevo più provargli la mia innocenza! Nella solitudine tentai di riavermi. Ragionavo: era escluso che mio padre, ch'era sempre fuori di sensi, avesse potuto risolvere di punirmi e dirigere la sua mano con tanta esattezza da colpire la mia guancia. Come sarebbe stato possibile di avere la certezza che il mio ragionamento era giusto? Pensai persino di dirigermi a Coprosich. Egli, quale medico, avrebbe potuto dirmi qualche cosa sulle capacità di risolvere e agire di un moribondo. Potevo anche essere stato vittima di un atto provocato da un tentativo di facilitarsi la respirazione! Ma col dottor Coprosich non parlai. Era impossibile di andar a rivelare a lui come mio padre si fosse congedato da me. A lui, che m'aveva già accusato di aver mancato di affetto per mio padre! Fu un ulteriore grave colpo per me quando sentii che Carlo, l'infermiere, in cucina, di sera, raccontava a Maria: - Il padre alzò alto alto la mano e con l'ultimo suo atto picchiò il figliuolo. - Egli lo sapeva e perciò Coprosich l'avrebbe risaputo. Quando mi recai nella stanza mortuaria, trovai che avevano vestito il cadavere. L'infermiere doveva anche avergli ravviata la bella, bianca chioma. La morte aveva già irrigidito quel corpo che giaceva superbo e minaccioso. Le sue mani grandi, potenti, ben formate, erano livide, ma giacevano con tanta naturalezza che parevano pronte ad afferrare e punire. Non volli, non seppi più rivederlo. Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l'avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m'era stato inflitto da lui moribondo, non era stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s'accompagnò a me, divenendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d'accordo, io divenuto il più debole e lui il più forte.

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La catastrofe finale

Esercizio

La fase storica in cui Italo Svevo si dedicò alla scrittura era caratterizzata da una profonda crisi sociale (la "crisi delle certezze"), che portò l'uomo alla consapevolezza che non bastava la sola razionalità a spiegare la realtà. A ciò gli scrittori reagirono in modo diverso: D'Annunzio con la teoria del superuomo, Pascoli col mito del fanciullino, Svevo anziché inventarsi eroi decise di parlare e descrivere l'uomo in crisi, così com'era, dandone un'immagine in cui gli uomini del suo tempo - obbligati a riflettere su se stessi - non amarono rispecchiarsi. La tipologia che ne emerge è quella dell'inetto, che costituisce il tema cardine di tutta l'opera sveviana, in pratica dell'uomo incapace, che non sa vivere e realizzare i suoi progetti. L'inettitudine dell'uomo, secondo Svevo, è una debolezza interiore che rende inadatti alla vita, e caratterizza tutti coloro che sono nella società borghese, ma si distinguono da essa come dei diversi, soprattutto perché non ne condividono i valori come il culto del denaro e del successo personale. Questa incapacità di adattarsi alla società diventa nei protagonisti sveviani una vera impotenza psicologica, perché non riescono più a identificarsi con la figura vincente tipica della borghesia, e si auto-escludono, rifugiandosi in mondi fittizi e vedendo in ogni altro uomo un antagonista in grado di agire e reagire nelle varie situazioni. Italo Svevo Fonte: www.bdp.it/immagini/immag/nalitybe/ svevo1.jpg

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Esercizio

Se inizialmente per Svevo questa figura fu estremamente negativa, lentamente il suo punto di vista mutò, perché l'analisi su sé e sugli altri a cui porta la malattia mostrò come fosse relativo il concetto di sanità, perché ognuno ha i suoi problemi, le sue "inettitudini", ma l'inetto risulta forse il più avvantaggiato nella vita: infatti, non avendo sviluppato le proprie possibilità in nessun ambito della società ha in sé un grande potenziale, che lo rende adatto a emergere in qualsiasi situazione. L'inetto diventa dunque colui che sa osservare il mondo dal di fuori, e può criticarlo, evidenziandone i difetti, minando alla base le certezze che lo guidano, e per questo diventa un personaggio positivo. Un'altra tematica fondamentale dell'opera sveviana, strettamente legata al tema precedente, è la malattia; lo scrittore triestino sostiene che i veri malati sono coloro che hanno delle certezze immodificabili su cui basano la propria esistenza e che non sanno analizzare se stessi; pertanto il confine fra sanità e malattia si assottiglia notevolmente, in un clima di malattia universale, in cui tutto è soggetto a una generale degradazione. Questo atteggiamento è sintomo della “crisi delle certezze” che caratterizza l'inizio del '900. Copertina dell’edizione inglese de La coscienza di Zeno Fonte:http://images.amazon.com/

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Esercizio

documento 1 Svevo ebbe modo di conoscere la psicanalisi freudiana molto precocemente, ossia prima che essa fosse conosciuta dalla cultura italiana; nel 1915 egli tradusse un saggio di Freud sul tema del sogno. Svevo, però, non condivideva l’utilizzo della psicoanalisi come terapia. L'autore infatti vedeva nella nevrosi un segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà che impone un regime di vita, sacrificando la ricerca del piacere. La struttura della Coscienza di Zeno non corrisponde quindi a quella di un diario, che ripercorre in ordine cronologico le più importanti fasi della vita, ma è la storia della malattia del protagonista: tutti i temi raccontati da Zeno sono le tappe della sua nevrosi. (...) Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in una continua oscillazione tra malattia e salute, tra coscienza e inganno, tra narrazione e riflessione, tra bisogno degli altri e difficoltà ad instaurare con loro un rapporto, tra desiderio e aridità sentimentale. Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che è consapevole di non poter raggiungere. (www.liceoberchet.it/netday00/letteratura/svevo/svevo.htm#coscienza)

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La catastrofe finale

Esercizio

documento 2 La diversità di Zeno si manifesta in una malattia psicosomatica nervosa e fisica (il sintomo è lo zoppicare). Ma il suo male è fondamentalmente l’incapacità di vivere, l’inettitudine; Zeno si propone di realizzare le sue aspirazioni (il fumo, il violino, l’amore per Ada), ma non ci riesce mai, manifestando la sua incapacità di aderire fino in fondo ai propri propositi e progetti. Viene apprezzato nel ruolo di uomo d’affari, di buon marito ecc., per come appare, non per come sente di essere veramente. Cerca di curarsi, salvo poi preferire la condizione di malato (consapevole della propria inettitudine) a quella conformista di sano alla maniera della moglie Augusta. La salute di Augusta si basa sulla sua fiducia acritica nelle regole del mondo borghese, nell’autorità politica o religiosa. Zeno sembra apprezzare e invidiare la sua salute, ma analizzandola ne mette in evidenza la fragilità e inconsistenza. La salute di Augusta rappresenta il suo conformismo e perbenismo borghese, mentre la malattia di Zeno è il segno della sua coscienza della crisi, della consapevolezza dell’intellettuale che non può più aderire semplicisticamente alla realtà. (http://www.pianetascuola.it/leggere_scrivere/percorsi_interdisciplinari/03psicoanalisi/letteratura/ svevo1.html)

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La catastrofe finale

Esercizio

documento 3 Il tema principale del romanzo non è tanto la vita di Zeno, quanto piuttosto la storia della sua malattia, cioè la resistenza a ogni tipo di salute. Zeno infatti abbandona quasi subito la psicanalisi perchè la ritiene una cura che ha la presunzione di portare alla guarigione totale. (...) Nel suo tentativo di arrivare alla consapevolezza di sè, Zeno scopre che la differenza tra salute e malattia consiste nel fatto che il sano non analizza la sua malattia mentre il malato non fa che pensarci continuamente. Zeno comprende che la realtà psichica è ben più complicata di quanto si pensi, che la volontà è un carattere effimero e inconsistente, che non esistono certezze assolute, non c'è una verità: per questo l'uomo deve continuamente riflettere su sé stesso, nella consapevolezza che ciò possa portare all'inettitudine. Questa mancanza di certezze porta all'incapacità di realizzarsi, di scegliere una strada piuttosto che un'altra. (...) Zeno, ritenendosi malato, ha sempre creduto che la sua fosse una situazione individuale, isolata, perciò ha sempre cercato di raggiungere la salute; successivamente, quando si ritrova a guardarsi indietro, Zeno si accorge di quanto malate siano in realtà le convinzioni che sostengono un comportamento sano e di come sia "atroce quella salute che non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio". Zeno arriva così alla conclusione che la sua nevrosi non sia un caso raro, ma abbia radici storiche legate ad una male morale che investe l'intera società cui appartiene: Zeno diventa così metafora della crisi dell'uomo contemporaneo, una crisi acuita dalla lucida consapevolezza della propria condizione. (www.dooyoo.it/romanzi/svevo-italo-la-coscienza-di-zeno/315873/)

giovedì 22 ottobre 2009


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