Gozzano e Bellini

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MADONNA DELLA MELA – GIOVANNI BELLINI di Ambra Grieco

Pone davanti a sè il figlio su di un soffice cuscino scuro sostenendolo con un gesto materno pieno di infinito amore. Nell'intimo abbraccio di due corpi, il sentimento di entrambi viene incorniciato da un freddo piano marmoreo baciato da una una luce calda ed intensa che dipinge le ombre dei piccoli piedi del bambin Gesù evidenziandone la presenza umana oltre che divina. La pelle delicata del Salvatore, accarezzata dalla veste rosacea della madre, si posa sulle morbide sontuosità di un panneggio decorato da motivi vegetali impreziositi ed esaltati dalla finezza di una bordatura perlacea. Il volto di Maria, così dolce e materno, risplende di una luce divina che sfiora la raffinatezza dei suoi lineamenti all'interno di un'aureola arabeggiante che circonda il suo capo velato. I suoi occhi, intrisi di profonda tristezza e tensione affettiva custodiscono la forza e la volontà di un amore universale che lega in un abbraccio di fede ogni popolo del mondo. E i loro sguardi, divergenti e carichi di tensione, celano la consapevolezza di un destino crudele prefigurato da un frutto proibito sorretto dalla mano di Maria e sfiorato dalla purezza di un palmo angelico ed innocente. “Il bimbo guarda fra le dieci dita la bella mela che vi tiene stretta” accogliendo su di sé il peso del peccato originale per salvare l'umanità con la sua missione di salvezza e redenzione. Egli, ha in cuor suo quella massima virtù che più si identifica con Dio, espressa in un amore senza limiti né confini dove un soffio di vita sembra far luce sulla bellezza dei dettagli e sull'eloquenza delle espressioni umane. In un'inedita profondità spirituale, data da una calma che spazia fra gli eterni sentimenti umani, l'artista trasmette una religiosità classica improntata su un ideale di bellezza intimamente legato ad un senso armonico e sintetico degli aspetti formali. Quelle delicate armonie, poste all'interno di una prospettiva cromatica creata dalla leggera morbidezza degli impasti pittorici, costruiscono forme che si fondono tra loro mediante una luce calda ed unificatrice. E dal sole, la luce percorre gli infiniti spazi del cielo per raggiungere i nostri corpi ed illuminarli con l'amore di colui che ci ha creato, nell'intima speranza che quando “...la mela è per metà finita...” il nostro cuore sia pronto a donare come Gesù ha fatto per noi, poichè quello che si conserva per noi lo si ha già perduto, ma quello che si doni sarà nostro per sempre.


GUIDO GOZZANO, “Parabola” Il bimbo guarda fra le dieci dita la bella mela che vi tiene stretta; e indugia − tanto è lucida e perfetta − a dar coi denti quella gran ferita. Ma dato il morso primo ecco s'affretta: e quel che morde par cosa scipíta per l'occhio intento al morso che l'aspetta... E già la mela è per metà finita. Il bimbo morde ancora − e ad ogni morso sempre è lo sguardo che precede il dente − fin che s'arresta al torso che già tocca. «Non sentii quasi il gusto e giungo al torso!» Pensa il bambino... Le pupille intente ogni piacere tolsero alla bocca. Commento Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo, scriveva Guido Gozzano. Eppure lui amava questa forma letteraria, non avrebbe potuto vivere senza. Parabola, fa parte della raccolta poetica La via del rifugio del 1907, che segnò l’esordio del giovane Gozzano. In questi suoi primi componimenti c’è già l'impiego del dialogo, e quel ricorso al parlato che secondo Montale permetteva a Gozzano di far cozzare l'aulico col prosastico facendo scintille, e troviamo poi quel pessimismo ironico, quella parodia letteraria che caratterizzerà la sua produzione successiva, così come l’interrogarsi sui problemi esistenziali. Anche lui, come Leopardi, è il poeta delle domande eterne, metafisiche. Scriverà infatti: «Voi che posate già sull'altra riva, immuni dalla gioia, dallo strazio, parlate, o morti, al pellegrino sazio! Giova guarire? Giova che si viva? O meglio giova l'Ospite furtiva che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio?» Domande che tuttavia non trovano risposta, perché come tutti gli uomini anche lui non è che un essere finito che aspira all'infinito. Alla base dei suoi versi vi è un romantico desiderio di felicità e di amore che si scontra presto con la quotidiana presenza della malattia (gli verrà diagnosticata una lesione polmonare), della delusione amorosa, della malinconia che lo porta a desiderare una vita appartata e tranquilla, dove, come lui stesso dirà, bello è goder di cose piccole e serene. Ed ecco che anche nella poesia che abbiamo letto, ritroviamo tutti i caratteri poetici finora elencati, perché c’è il ricorso al parlato, quando il bambino esclama: «Non sentii quasi il gusto e giungo al torso!», riferendosi alla mela appena addentata. Ritroviamo poi l’attenzione per le cose piccole e serene. Protagonista della rima è infatti una semplice e umile mela. C’è infine la trattazione di un tema esistenziale che è quello dello scorrere inesorabile del tempo, del piacere che in questa vita terrena non è che fugace. Ed è questo il grande insegnamento, è questa la parabola della vita. DIRITTI D’AUTORE


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