Giorgione e Petrarca

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LAURA – GIORGIONE di Federico Giannini Un dipinto misterioso come il suo autore. “Laura” è il nome che da secoli viene dato alla ragazza ritratta in questo bellissimo dipinto eseguito da Giorgione nel 1506 e che oggi si trova al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Laura: una giovane dallo sguardo impenetrabile, dall'espressione all'apparenza impassibile, nuda sotto la sua veste rossa bordata di pelliccia. Un velo trasparente sul capo, che le scende sul collo e cinge il seno offerto all'osservatore. Rami e foglie di alloro alle sue spalle. Chi è la giovane raffigurata in questo ritratto? Con chi possiamo identificarla? È davvero un ritratto della Laura amata da Francesco Petrarca? Giorgione era un pittore colto, che frequentava ambienti colti: i suoi dipinti sono pieni di motivi, di figure e di simbologie che soltanto i committenti o le persone che condividevano il suo codice culturale erano in grado di afferrare. Ambienti colti, all'interno dei quali la letteratura era grande protagonista. È quindi probabile che dalle letture dei testi petrarcheschi, il raffinato Giorgione abbia immaginato questo ritratto di Laura? Una Laura così sensuale, così procace, così lontana dalla Laura idealizzata ed eterea cantata da Petrarca? È proprio la sua spiccata sensualità che ha portato alcuni storici dell'arte a dubitare del fatto che questa Laura corrisponda a quella cantata dal grande poeta. E quindi, a chi allude tutto quell'alloro? C'è chi pensa che l'alloro potrebbe rimandare a Dafne, la ninfa amata da Apollo, tramutata in alloro per sfuggire alle attenzioni che il dio le rivolgeva. Oppure potrebbe essere una poetessa, con l'alloro a simboleggiare la gloria derivante dalla poesia. Ci sono addirittura storici dell'arte che vogliono identificare la ragazza con una cortigiana veneziana di inizio Cinquecento: l'indizio principale sarebbe proprio la veste con pelliccia, che le cortigiane della Venezia del tempo usavano indossare. Quella che a detta di molti è l'interpretazione più probabile, vuole che il dipinto sia il ritratto di una sposa, chiamata Laura: il velo che porta in capo altro non sarebbe che il velo nuziale, l'alloro diventa simbolo di castità e il seno, oltre che simbolo di fecondità, sarebbe anche simbolo di erotismo, ma di un erotismo comunque moderato, perché il seno è scoperto solo per metà. Il ritratto ha sul retro un'iscrizione secondo la quale il dipinto fu realizzato nel 1506 da “Zorzi da Chastel franco”, collega di Vincenzo Catena, e fu commissionato da un certo “Messer Giacomo”. Possiamo quindi identificare questo “Messer Giacomo” con il marito della Laura ritratta? Una domanda di cui non conosciamo la risposta. E del resto non possiamo neppure rispondere con certezza a tutte le domande che l'osservatore si pone osservando il dipinto. È il ritratto di una giovane di cui non conosciamo l'identità. Una giovane che abbiamo chiamato Laura. Laura amata da Francesco Petrarca e quindi simbolo d'amore, figura mitologica ritrosa e incontaminata, cortigiana provocatrice, sposa allo stesso tempo casta e sensuale. Tutto questo è la Laura ritratta da Giorgione da Castelfranco. Una donna enigmatica, che da secoli continua ad affascinarci.


FRANCESCO PETRARCA, “Era 'l giorno ch'al sol si scoloraro” Era 'l giorno ch'al sol si scoloraro per la pietà del suo Factore i rai, quando i' fui preso, et non me ne guardai, ché i be' vostr'occhi, Donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d'Amor; però n'andai secur, senza sospetto: onde i mei guai nel comune dolor s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato, et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco. Però, al mio parer, non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l'arco. Parafrasi Era il giorno in cui al Sole si oscurarono per la pietà nei confronti del suo Creatore, i raggi, quando io fui catturato, proprio mentre non stavo in guardia, poiché i vostri begli occhi, o Donna, mi legarono, mi fecero prigioniero. Non mi sembrava quello il tempo di cercar riparo contro i colpi che Amore poteva arrecarmi; perciò andai sicuro, senza sospetto alcuno: e dal quel momento i miei tormenti iniziarono in mezzo al dolore comune per la morte di Cristo. Amore mi trovò del tutto inerme, attraverso gli occhi trovò aperta la via per il cuore, quegli stessi occhi che son diventati oggi porta e varco per le lacrime. Del resto, a mio parere, non fu un atto onorevole da parte di Amore colpire me con una freccia ridotto in quella condizione, ed a voi, armata, non mostrare neppure l’arco.


Commento Il Canzoniere, il cui titolo originale era Rerum vulgarium fragmenta, letteralmente “Frammenti di cose volgari”, è la storia della vita interiore del Petrarca. Frutto di un lavoro che cominciò attorno al 1335 e impegnò il poeta fino alla morte. Protagonista vero di questa raccolta poetica è quindi lo stesso Petrarca con i suoi conflitti interiori, quando ci parla della solitudine, del trascorrere inesorabile del tempo, della vecchiaia, della morte, ma anche dell’amore, e naturalmente di Laura. In questo sonetto, composto dopo la morte di Laura causata dalla peste del 1348, il poeta ci descrive il suo primo incontro con la ragazza, avvenuto il venerdì Santo del 1327, mentre si stava recando in una chiesa di Avignone. C’è qui il contrasto tra il dolore dell’intero mondo cristiano per la morte di Cristo, e l’improvvisa apparizione di Laura che anticipa l’innamoramento per la donna. Laura incorona Petrarca

Un contrasto che riflette inesorabilmente quello interiore del poeta, perché combattuto tra uno stato d’animo di passione per la morte del suo Salvatore e un forte sentimento d’amore che improvvisamente lo colpisce lasciandolo inerme. Tutto nel giorno del pianto per la morte del Redentore poteva accadere, eccetto che innamorarsi di una donna, ma lo sguardo di Laura e la sua bellezza devastano il cuore di Petrarca, che non riesce in alcun modo a difendersi. Ecco ora un interessante confronto tra due delle donne più famose della nostra letteratura: Laura e Beatrice. Beatrice non è mai veramente descritta nei suoi tratti fisici da Dante, tant’è che scriverà di lei: come cosa grave inanimata; è invece famosa soprattutto per la sua bellezza Laura, dai lineamenti vivi e dai colori solari. Allo stesso modo Beatrice, così come la donna-angelo, non mostra segni d’invecchiamento perché fissa in una dimensione atemporale, mentre Laura è sottoposta al fluire del tempo: e 'l vago lume oltra misura ardea/ di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi. Beatrice è la virtù che libera dal vizio e dalla passione; Laura è un pensiero fisso che sollecita i sensi dell’amante, anche se poi non li appaga. Beatrice è un miracolo in terra e santa in paradiso, ed il suo saluto dà beatitudine all’anima; Laura invece non è affatto intesa come veicolo di salvezza, al punto che l’amore per lei è concepito come colpa, come traviamento, delirio, ed è quasi un ostacolo al raggiungimento del Divino. Per Beatrice il poeta ha una passione mistica, mentre il sentimento provato da Petrarca per Laura è assolutamente umano, carnale, terreno.


Sono curiosi infine gli artifici linguistici in Petrarca e numerici in Dante, i quali avvolgono di mistero le figure delle donne da loro descritte. Ad esempio, Dante incontra per la prima volta Beatrice all’età di 9 anni e la rivedrà dopo altri 9 anni. La data di morte di Beatrice è l’8 giugno del 1290, quando il giorno 8 è il nono giorno del mese nel calendario arabo, giugno è il nono mese dell’anno per il calendario siriano, e il 1290 corrisponde alla nona decade del secolo per il calendario cristiano. La fa da padrone il numero 9 perché multiplo di tre, che simboleggia la mirabile Trinità. Petrarca preferisce invece i giochi linguistici. Il nome di Laura diventa infatti lauro, l’alloro col quale si premiavano i poeti migliori nell’antichità, oppure laurea, segno ancora di cultura e istruzione, o ancora l’aura, nel senso di aria, perché per lui l’amata è come l’aria che si respira. Abbiamo inoltre l’auro, ovvero l’oro, perché Laura è per lui preziosa come questo metallo, ed è infine bella come l’aurora.

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