Palazzeschi e La Fontana di Trevi

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LA FONTANA DI TREVI di Alex Fiorini Chi tira una monetina nelle sue acque avrà la possibilità di tornarci: è la settecentesca Fontana di Trevi, la più grande delle fontane di Roma, progettata da Nicolò Salvi nel 1732 e terminata da Giuseppe Panini nel 1762. Un connubio tra forme barocche, che risentono dell'influenza di Gian Lorenzo Bernini, e monumentalismo classicista. Il nome della fontana deriverebbe dal latino “trivium”, un incrocio di tre strade che si trovava anticamente presso il luogo dove oggi sorge il monumento: uno dei monumenti più celebri del mondo. Ma allo stesso tempo una fontana “malata”, lasciata in uno stato di continuo degrado, sia dovuto all'indecente inquinamento causato dai turisti sia dai comportamenti negligenti degli operatori privati che dovrebbero essere delegati alla manutenzione e che invece non puliscono a dovere la fontana. I commercianti della zona hanno proposto come soluzione una proposta di autoregolamentazione nella pulizia dell'area che però al momento è stata bocciata. Sarebbe forse necessaria una maggiore vigilanza della zona, sia da parte dei vigili urbani che delle aziende pubbliche dell'Urbe delegate alla pulizia dei monumenti. Ma finché continuerà la situazione attuale non ci sarà mai una giusta pulizia delle zone in questione e di conseguenza l'azione degli agenti atmosferici combinata alla maleducazione degli uomini potrebbe portare la fontana al degrado più avanzato. Ed è un peccato che uno dei maggiori biglietti da visita del nostro paese sia lasciato in un tale stato di incuria, che poco ha a che fare con la magnificenza che ha ispirato anche il mondo del cinema. Si pensi soltanto alla “Dolce vita” di Federico Fellini, con Anita Ekberg che si tuffa nella vasca davanti a Marcello Mastroianni. Oppure a “Tototruffa 62”, dove Totò cerca di ingannare un turista cercando di vendergli proprio la fontana: una situazione divenuta proverbiale. Una fontana che ha poi dato luogo a diverse leggende. Una di queste ci racconta che una ragazza che fa bere al proprio fidanzato un bicchiere dell'acqua che sgorga dalla Fontana di Trevi si garantirebbe l'amore eterno del proprio amato. Oppure la leggenda della “Fontanina degli Innamorati”, che si trova sul lato destro: le coppie di innamorati che bevono da tale fontana non si garantirebbero la fedeltà eterna. E ancora, leggende che risalgono a tempi antichi, come quella che vuole che nel 19 a.C. alcuni soldati, inviati da Marco Vipsanio Agrippa alla ricerca di un canale per portare l'acqua alle terme del Pantheon, incontrassero una giovane che mostrò al manipolo la sorgente che alimenta l'odierna fontana: per questo motivo il sito fu anticamente chiamato "Acqua Vergine". Una storia che quindi affonda le sue radici nell'antichità e che continua fino a oggi, malgrado tutto: la storia di un grande capolavoro dell'arte settecentesca e soprattutto la storia di uno dei simboli di Roma e dell'Italia.


ALDO PALAZZESCHI, La Fontana malata

Clof, clop, clock, cloffete, cloppete, clocchete, chchch... 5 È giù, nel cortile, la povera fontana malata; 10 che spasimo! sentirla tossire. Tossisce, tossisce, 15 un poco si tace... di nuovo tossisce. Mia povera 20 fontana, il male che hai il core mi preme. 25 Si tace, non getta più nulla. Si tace, non s'ode 30 romore di sorta, che forse che forse sia morta? 35 Orrore! Ah! no. Rieccola, ancora tossisce. 40 Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch… 45 La tisi l'uccide.

Dio santo, quel suo eterno 50 tossire mi fa morire, un poco va bene, 55 ma tanto... Che lagno! Ma Habel! Vittoria! Andate, 60 correte, chiudete la fonte, mi uccide quel suo 65 eterno tossire! Andate, mettete qualcosa 70 per farla finire, magari… magari morire. 75 Madonna! Gesù! Non più! Non più. Mia povera 80 fontana, col male che hai, finisci vedrai, 85 che uccidi me pure. Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, 90 clocchete, chchch…


Palazzeschi, è un artista che ama divertirsi con i versi poetici. Ha un gran gusto per l’ironia e per la sperimentazione di nuove forme di poesia. Tutto questo è ben evidente nella sua “La fontana malata” del 1909. La voglia di sperimentare si vede nell’utilizzo della rima libera, ma soprattutto dei ternari, ovvero di versi in tre sillabe, che vanno ad infrangere le regole della tradizione che lo ha preceduto, perché un uso così massiccio di ternari è quasi sconosciuto agli scrittori anteriori. Mentre il gusto per l’ironia e la voglia di prendersi gioco di tutte le convenzioni e gli schemi poetici del passato, è evidente quando fa il verso a liriche celebri del suo tempo, come “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio. Scrive infatti: Si tace, non s’ode, riprendendo l’inizio della rima dannunziana che recita: Taci. Su le soglie del bosco non odo. In quest’ultimo componimento, inoltre, l’acqua piovana permette ai protagonisti di trasformarsi, di rinascere a una nuova vita in totale simbiosi con la natura del creato, mentre le gocce d’acqua della fontana di Palazzeschi simboleggiano lo spasimo, ossia il tormento, il dolore, fino al punto che c’è la personificazione della stessa fontana, che diventa un essere umano malato di tubercolosi ed il rumore prodotto dalle gocce che cadono diventa quello dei colpi di tosse. Ma c’è anche una palese canzonatura del simbolismo fonico di Pascoli e dello stesso D’Annunzio, quando fa uso, all’inizio, al centro, e alla fine del componimento, di suoni onomatopeici, con i quali intende riprodurre il rumore insistente ed angosciante delle gocce della fontana, ovvero di un oggetto del vivere quotidiano, e pertanto “poco poetico”. In tutto questo rifiuto della tradizione poetica, c’è il gusto dissacrante dei Futuristi e la loro ansia di rinnovamento. Mentre la malattia della fontana rappresenta la condizione di isolamento dalla vita civile tipica di tanti poeti del Novecento, come ad esempio i Crepuscolari, i quali negavano alla poesia ogni ruolo sociale e civile.

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