RAGAZZA CON FIORI - FEDERICO ZANDOMENEGHI di Riccardo Zironi Una giovane fanciulla dai vaporosi capelli castani tutti mollemente raccolti in una gonfia matassa dai riflessi d'ambra stringe in mano un mazzo di fiori di campo. Con una bocca morbida e vellutata che può paragonarsi ad un bocciolo di rosa, uno sguardo sognante che punta altrove e un bel nasino all'insù, la protagonista del dipinto di Zandomeneghi viene inserita in una scenografia campestre dove gli impasti di colore cercano di tradursi nella poesia degli accordi cromatici di un campo primaverile e di un cielo che si tinge di accenti rosa ed arancioni. Che bella poi la chioma della giovane che pare fondersi nelle forme delle alberature e delle colline retrostanti! Sullo sfondo, a sinistra, compare anche un agglomerato di abitazioni. Là c'è il paese e qua c'è la natura; una natura indagata alla maniera degli impressionisti francesi, en plein air, e cioè cercando di cogliere, come in uno scatto fotografico – in un attimo fuggente, i profumi e i fruscii della vita che pervadono il Mondo. La pennellata di Zandomeneghi, però, non è rapida e fugace come quella di un Monet, o di un Degas; essa resta infatti saldata al linearismo tipico dell'arte italiana. Non c'è una completa fusione delle forme del Mondo in un'unica sinfonia di segni e campiture cromatiche ma permane la distinzione tra disegno e colore. Federico Zandomeneghi nasce a Venezia il 2 giugno 1841 e giunge a Parigi proprio nel 1874. Un tempismo perfetto se consideriamo che proprio in quell'anno gli impressionisti esposero in una collettiva da Nadar, il celeberrimo fotografo della capitale francese. Prima di venire a contatto con gli artisti della pittura en plein air – cioè coloro che alla finzione dell'arte accademica preferirono immergersi nella natura per catturarne l'essenza più profonda – era stato anche a Firenze dove conobbe i macchiaioli. Nei primi anni del suo soggiorno parigino si espresse anche come disegnatore di moda con scarsi successi. La sua cifra stilistica è fatta di un perfetto rapporto tra il colore e il segno che vengono amalgamati in un modo di dipingere assolutamente personale. E, in più, il seducente gusto estetico di una Parigi in cui il tango furoreggiava e in cui la moda con Poiret, sofisticatissima, voleva le demoiselles tutte esili geishe o conturbanti odalische. La fanciulla di questo meraviglioso dipinto del 1909 conserva però una ingenuità di fondo, una commovente semplicità che la rendono ancora più reale. Bellezza, impasti cromatici naturalissimi e verità sono tre delle tante sfaccettature che tramutano Zandomeneghi in un poeta del colore. Se Pascoli avesse intrapreso la carriera di pittore, forse, gli avrebbe fatto concorrenza.
ANTONIA POZZI, “Pudore” Se qualcuna delle mie povere parole ti piace e tu me lo dici sia pur solo con gli occhi io mi spalanco in un riso beato ma tremo come una mamma piccola giovane che perfino arrossisce se un passante le dice che il suo bambino è bello. 1° febbraio 1933 Antonia Pozzi è una di quelle figure della letteratura italiana poco conosciute ma forse proprio per questo intrise di un malinconico mistero e di un fascino silenzioso. Nasce in una famiglia altoborghese di Milano (il padre era un avvocato affermato e la madre una colta e raffinata contessa) e si dedica alla poesia fin dagli anni del liceo. Quel liceo che da un lato le fece scoprire la passione per gli studi le fece anche conoscere l'amore. Ma come capita solo nei più struggenti testi romantici, è un amore impossibile; infatti proprio negli anni degli studi liceali s'innamorò profondamente del suo professore di latino e greco. Ci sarà solo lui nella sua breve ma profonda esistenza; infine, osteggiata dai pudori del padre, deciderà di porre fine ai suoi giorni suicidandosi nel 1938. In quell'occasione, lasciò ai genitori una struggente lettera d'addio. Non fu solo poetessa ma anche fotografa; il che è fondamentale per comprenderne la poetica. Antonia infatti voleva scoprire il profondo fascino e l'incomparabile verità delle piccole cose: dallo scatto fotografico all'accostamento di parole semplici ma ruvide come scogli erosi dal tempo, la giovane ricerca il vero attraverso una lacerante semplicità di mezzi. Non vi sono virtuosismi linguistici. Solo l'animo di una giovane donna che si racconta rendendoci, con un qualche sortilegio letterario, tutti protagonisti. Commovente come una bambina infelice e introspettiva come i grandi filosofi del passato. Pudore ruota tutta attorno ad una similitudine. Nulla di apparentemente più semplice e “infantile”. La poetessa si paragona ad una mamma piccola giovane che arrossisce sentendosi dire che il suo bambino è bello. In realtà dietro a questa apparente chiarezza si celano significati molto più profondi. La parola per la Pozzi è espressione di un sentimento, è la traduzione dei moti interiori dell'animo; un bambino è, similmente, l'altro da sé della madre. Entrambe queste creature – perché di questo si tratta – vengono generate con dolore (si può partorire un figlio ma anche un discorso o una frase). In breve: la parola sta al poeta come il figlio sta alla madre. Ma dal testo si evincono anche altre sottili verità. Di per sé il fatto che determinati discorsi – che noi possiamo solo immaginare – siano pronunciati dalla poetessa non crea particolare turbamento in lei; quello che la fa arrossire e ridere beatamente risiede nel fatto che qualcuno, anche solo con gli
occhi, le faccia notare (e tu me lo dici) che ha apprezzato quelle parole. Ossia: la parola è l'espressione di una verità più o meno inconscia; nel momento in cui qualcuno riesce a risolvere l'enigma e comprende la verità intrinseca di questo pensiero scritto (la parola, appunto) palesandone il significato, Antonia vive un dramma: è felice ma trema. E' felice perché in quell'istante è se stessa e trema perché sa che le convenzioni la condannano. La Verità che viene svelata genera nel soggetto paure e turbamenti, ma è anche un modo col quale la giovane può estrinsecare i suoi moti dell'animo più nascosti. Se Antonia avesse potuto vivere quell'amore che non venne mai accettato dal bigotto genitore non avrebbe mai deciso di suicidarsi. Per fortuna che c'era la poesia, il mondo nel quale lei poté sempre essere ciò che voleva.
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