SAN FRANCESCO DI CIMABUE di Federico Giannini È uno degli affreschi più famosi non solo di Cimabue, il cui vero nome era Cenni di Pepo, ma anche uno dei più famosi della Basilica di San Francesco ad Assisi: si tratta della “Madonna col Bambino in trono assieme agli angeli e a san Francesco”, un'opera che risale al 1278 circa. Si trova, per la precisione, nella Basilica Inferiore, quella anticamente destinata ai pellegrini, e da dove solitamente inizia il viaggio all'interno dei capolavori d'arte custoditi nel più importante tempio francescano del mondo. L'affresco di Cimabue si trova nel transetto destro ed è uno dei suoi più grandi capolavori. Perché Cimabue è stato così importante? Perché muovendo dalle soluzioni di Giunta Pisano, grande pittore toscano attivo nella metà del tredicesimo secolo, riuscì a superare l'arte “bizantineggiante” degli artisti della generazione precedente (come, appunto, Giunta Pisano), ponendo le basi per quella grande rivoluzione figurativa che sarebbe stata di lì a poco compiuta da Giotto. È stato quindi un pittore innovatore, e ce ne possiamo rendere conto anche da questo affresco che ci propone uno dei temi preferiti di Cimabue, quello della Madonna in trono. Uno dei motivi di originalità nella pittura consiste nel suo tentativo di dare profondità al dipinto, e ce ne accorgiamo guardando gli angeli, disposti su piani diversi (quelli in basso infatti sono in posizione più avanzata rispetto a quelli dietro), che reggono il trono della Madonna. Una profondità che Cimabue cerca di suggerirci anche attraverso l'uso del chiaroscuro, che notiamo soprattutto nei volti. Ma ci sono anche altre novità: per esempio i personaggi hanno anche atteggiamenti più naturali rispetto alle rigide figure della pittura precedente, gli angeli hanno pose più sciolte, la Madonna non è più fissa e ieratica come avveniva nella pittura di derivazione bizantina ma comincia a farsi più serena e soprattutto più umana. C'è poi, ai lati del trono, quella figura di san Francesco, il santo titolare della Basilica, l'iniziatore dell'ordine francescano, una figura importante non solo per la religione ma anche per la letteratura. È di sicuro la figura più famosa dell'affresco, anche perché si dice che quello sia il ritratto di san Francesco che più assomiglia alle reali fattezze del santo. San Francesco è raffigurato in piedi, con il suo tipico saio marrone, con le stimmate su mani e piedi e, anche lui, in una posa non rigida. Sempre ad Assisi, nel Museo della Porziuncola (annesso alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, che si trova nell'omonima frazione, nella piana) è possibile ammirare l'opera che è servita a Cimabue per ritrarre il santo in questo affresco, ed è una tavola nota come “l'icona del Maestro di san Francesco”. Il santo è raffigurato con gli stessi lineamenti, nella stessa posa, con lo stesso libro in mano (forse la Bibbia). Il san Francesco della Basilica e quello del Museo sono talmente simili che alcuni storici dell'arte pensano che siano stati eseguiti dalla stessa mano: quella di Cimabue, ovviamente. Ma l'icona della Porziuncola ha una particolarità: infatti, oltre a essere la più antica immagine esistente del santo, pare che sia stata dipinta sopra alla tavola su cui san Francesco dormiva e su cui fu trasportato ad Assisi prima di essere sepolto. Particolare questo che renderebbe il dipinto... davvero unico!
SAN FRANCESCO, “Laudes creaturarum (Cantico di frate sole)”
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria et l'honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messer lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si', mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si', mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.
Scritto in volgare umbro del XII secolo – diffusa la presenza ad esempio della vocale -u finale, così come della terza persona plurale in -ano o la congiunzione ka – il componimento è una prosa rimata abbastanza vicina alle sequenze liturgiche, divisa generalmente in versi di pari misura e spesso in assonanza fra loro. Si ritrovano influssi toscani, come ad esempio quel “sirano” del verso 26. Si riscontra la presenza di francesismi, come il verbo “mentovare”, ossia nominare, e dei numerosi latinismi. Uno fra tanti “clarite”, ossia splendenti. Il testo era stato scritto da Francesco perché ne facessero uso i seguaci del suo ordine. Un testo da cantare in lode a Dio, sul modello dei Salmi, in cui i fedeli di Francesco ritrovavano i principi basilari del proprio ordine, fondato essenzialmente sul concetto dell’Amore vissuto come dedizione all’altro, quell’Amore predicato da Gesù. Ma il Cantico delle creature era destinato anche ad un uso esterno all’ordine francescano, era rivolto a tutti i devoti, sia colti che non. Le persone più istruite vi ritrovavano le ragioni di una loro ricomposizione con la natura e il mondo, mentre gli incolti la garanzia che le sofferenze patite avrebbero trovato un senso dopo la morte e sarebbero state ricompensate e la giustizia avrebbe trionfato. Tutto questo è espresso bene anche dal linguaggio utilizzato: il volgare, per intendersi con la massa di fedeli, ma anche il latino per nobilitare il testo e rivolgersi alla gente più colta. Da sottolineare il fatto che in questa lode tutte le creature sono chiamate "fratello" e "sorella" e dunque Francesco pone l'uomo al loro livello, in quanto anch'egli creatura, sebbene chiamato ad una maggiore responsabilità morale, in quanto dotato di libero arbitrio: l'uomo trova beatitudine solo se rispetta la legge divina (beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati) e se imita Cristo (Laudato si', mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione). Come in molti altri testi medievali, anche qui la numerologia biblica gioca un ruolo fondamentale: a) i 4 elementi naturali (vento, acqua, fuoco, terra), sono accompagnati da 4 indicatori: • • • •
il vento = aere, nubile, sereno, ogni tempo; l’acqua = utile, umile, preziosa, casta; il fuoco = bello, giocondo, robusto, forte; la terra = diversi frutti, coloriti fiori.
b) il firmamento è diviso in 3 parti: luna, sole e stelle, e vi corrispondono i tre aggettivi con i quali Francesco definisce le stelle: chiarite, preziose, belle. A Dio si rivolge con 3 appellativi diversi: altissimo, onnipotente, buono; Corrispondono poi a Dio 3 omaggi: lode, gloria, onore; 3 azioni: benedite, ringraziate, servite. c) per quanto riguarda l'uomo, la fa da padrone il numero 2: •
perdonano e sostengono;
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infermità e tribolazioni;
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guai e beati;
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peccati e sante volontà.
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