ONSTAGE *
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omento, m o t s e u q in , e t n e “Tra me e la mia g zesco”. Jovanotti tocca c’è un feeling paz ella sua carriera con il il punto più alto dtadi. celebriamo l’evento primo tour negli s ervista a lorenzo e i con una lunga int ospiti contributi dei suoi
è nata ONSTAGE RADIO l’unica digital radio che trasmette solo musica live
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Giugno 2013
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62
+ bon jovi eye + Beady Argentero + LUca + MALIKA AYANE
Editoriale di Daniele Salomone @DanieleSalomone
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iù di uno scriba, nelle ultime settimane, ha analizzato la strategia di comunicazione con cui i Daft Punk hanno lanciato il loro ultimo album, Random Access Memories. Tutti, compreso il sottoscritto, concordano sul fatto che i francesi siano stati molto furbi, oltre che molto bravi. Sostanzialmente, invece di inseguire la Rete hanno fatto in modo che la Rete inseguisse loro. Non è un controsenso, è il modo più efficace di comunicare su Internet. Come ha perfettamente ricostruito Michele Boroni su Rivista Studio, all’inizio di aprile Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter - immagino consigliati da qualcuno - hanno acquistato spazi pubblicitari, a distanza di 15 giorni, all’interno di Saturday Night Live (una delle più popolari trasmissioni televisive USA) per diffondere i primi estratti di Get Lucky. Poi, hanno esposto la propria immagine su un cartellone pubblicitario posizionato sulla strada che da Los Angeles porta a Indio, California, nei giorni in cui decine di migliaia di persone la stavano percorrendo per andare al Coachella, uno dei più importanti festival del mondo. E proprio lì, sui megaschermi del palco principale, hanno trasmesso un video di 90 secondi con un pezzo della clip di Get Lucky. Da quel momento in poi, la palla è passata al pubblico. Centinaia di remix e re-edit hanno invaso la Rete - tutti li spacciavano per “quello vero”, nel senso del pezzo intero - e con un numero ancora maggiore di tweet e post, i video teaser di cui sopra sono stati pubblicati sui social network via YouTube. Innescata l’arma di condivisione di massa, il gioco era fatto. Strumenti offline per attivare la comunicazione online. Perfetto. Ci sono fatti concreti che decretano il successo della strategia dei Duft Punk. Random Access Memories è andato al numero uno in classifica praticamente ovunque, Italia compresa, e ha venduto oltre mezzo milione di copie in una settimana tra USA e Inghilterra. Get Lucky era un tormentone ancora prima di essere trasmesso dalle radio ed è stato il pezzo più ascoltato su Spotify nel giorno del lancio (8 milioni di volte). Credo sia naturale chiedersi quanto la strategia di comunicazione ab-
bia influenzato questi numeri. Luca De Gennaro ha scritto sul sito di MTV che Random Access Memories è «uno dei pochissimi casi di musica oggettivamente bella. Non riesco a immaginarmi una sola persona al mondo che possa dire “l’album dei Daft Punk è brutto”. Non esistono proprio gli elementi per poterlo sostenere». Sono d’accordo, anche se penso che non sia un capolavoro, ma un buon album, fatto da buoni artisti capaci di imparare bene la lezione dei grandi artisti che sono venuti prima di loro. In ogni caso, il punto è un altro. Luca scrive che «puoi essere un genio del marketing ma se la musica è brutta non ce la farai comunque, e la musica dell’album R.A.M. è la vera forza dei Daft Punk». Ecco, su questo sono d’accordo un po’ meno. Una canzone, un album, l’artista stesso, sono anche e soprattutto dei prodotti da vendere. E tutti i prodotti traggono benefici commerciali da buone strategie di comunicazione. Lezione #1 di ogni corso di marketing che si rispetti, vale anche per i prodotti scadenti. Prendiamo un caso facile facile: PSY. Ha numeri da record, eppure chi può definirlo un grande artista, chi può dire che il suo prodotto sia di qualità? Io, francamente non me la sento. Il punto è che dobbiamo accettare che il marketing influenzi valutazioni e comportamenti anche in campo musicale come per ogni altro aspetto della nostra vita, dal detersivo allo smartphone. Dobbiamo accettare che persino un bel disco come Random Access Memories ci sembri un po’ più bello di quanto in realtà sia per colpa (o merito, dipende) di una perfetta comunicazione integrata, come direbbe un esperto. Specialmente nell’era dei social network, perché è il nostro amico a indossare i panni del “venditore”, a convincerci che quel prodotto funziona. E del nostro amico ci fidiamo più che di un venditore estraneo. Per quanto ho visto in questi anni, esiste un solo modo per valutare oggettivamente la qualità di un artista, di un album, di una canzone. Vedere l’effetto che fa del vivo, senza strategie di marketing e trucchi vari. Artista e pubblico, faccia a faccia. Il palco non mente.
onstage giugno 09
INDICE GIUGNO 2013 N°62
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JOVANOTTI
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25 anni di carriera e la prima tournèe negli stadi. Niente male! Intervistona pre-tour a Lorenzo.
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VASCO ROSSI
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Il grande ritorno sul palco ci offre l’occasione per capire quanto Vasco sia cambiato negli anni.
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MUSE
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In vista dei live italiani, osanniamo la grandezza dei Muse con qualcuno che li conosce molto bene.
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BON JOVI
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A San Siro con un disco così così e l’assenza di Sambora. Ma con uno straordinario repertorio.
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THE KILLERS
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Brandon Flowers arrivano in Italia senza essere diventati quello che ci aspettavamo. Poco male.
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Style
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Da Woodstock a Facebook, panta a zampa e camice larghe vanno sempre bene. Hippie forever.
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PEACE & LOVE
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58
per
A DAY IN THE LIFE LA GIORNATA ECOSOSTENIBILE DI UN CONCERT GOER h 7 : 45
Mi sveglio. In bagno faccio attenzione ai rubinetti aperti, in un minuto scendono fino a 10 litri d’acqua. Doccia rapida. L’acqua non si spreca!
h 8 : 15
Faccio colazione a base di frutta fresca a km 0. Il gruppo di acquisto solidale a cui sono iscritto mi ha portato la spesa giusto ieri sera. Doso l’acqua per il thè, tanto ne bevo una tazza.
h 8 : 45
Mi vesto. Fuori si sta bene. Un paio di jeans, una camicia in cotone organico e le immancabili Timberland Earthkeepers Heritage Boat Shoe
TIMBERLAND EARTHKEEPERS HERITAGE BOAT SHOE Un classico senza tempo, che unisce artigianalità, colori estivi e tecnologie innovative. Una scarpa comoda, pensata per la barca, eppure cool e ideale per la vita di tutti i giorni. E basso impatto ambientale! La suola antiscivolo è in gomma riciclata al 15% e il sottopiede Anti-Fatigue è composto in poliuretano al 14% NOP (polioli a base di oli naturali). Prodotta in Pelle Barefoot primo fiore dalla morbidezza naturale, che asseconda la forma del piede, la Heritage Boat Shoe ha una struttura a mocassino la cui tomaia è cucita a mano. Inoltre il sistema 3 Step Comfort System e il sottopiede Anti-fatigue contribuiscono in maniera “tecnologica“ ad assicurare comodità e durata senza pari.
h 13 : 00
Per andare a pranzo faccio due passi. La giornata è bella, la temperatura è buona e al ritorno smaltisco il pranzo! Le scarpe che indosso sono comode anche per passeggiare.
h 18 : 15
Dopo aver spento tutti i dispositivi elettronici che uso in ufficio (anche la modalità standby consumi energia!), prendo il tram e torno a casa. Stasera c’è il concerto. Non vedo l’ora.
h 18 : 15
Prima di uscire bevo un po’ d’acqua: quella che esce dai nostri rubinetti è buona e sicura, costa pochissimo, non produce rifiuti e arriva comodamente a casa. C’è solo da guadagnarci.
h 19 : 00
Ho appuntamento sotto casa con i miei compagni di viaggio. Il concerto è lontano e non posso andarci in bici o con i mezzi pubblici, così mi sono organizzato con il car pooling.
h 20 : 00
Siamo allo stadio, bevo una bibita con i miei amici e butto la bottiglietta vuota nel contenitore della plastica. Finalmente la raccolta differenziata si usa anche ai concerti.
h 21 : 00
Inizia lo spettacolo. Il cuore batte forte! Gli artisti che amo sono sul palco, scatto qualche foto con la mia macchina fotografica. Non ho problemi con le pile, sono ricaricabili.
h 23 : 30
Torno a causa esausto. L’emozione ha esaurito la mia energia. Mi fa male tutto tranne i piedi. Le Timberland Earthkeepers Heritage Boat Shoe non tradiscono mai!
Collezione uomo / donna P/E 2013
INDICE
Face to face
24
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Ma sarà vero, come si dice, che l’esplosione del digitale - con la morte del cd - ha rinvigorito anche il vinile? Pare proprio di si.
MALIKA AYANE
28 26
LUCA ARGENTERO
Jukebox
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Apriamo il magazine con uno sguardo attento e interessato su musica, libri, cinema, cultura, tendenze.
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PERTURBAZIONE
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COSMO
ENRICO RAVA
22
THE JAMBO
IL RITORNO DEI DISCHI VOLANTI
What’s New 22 APRILE 2013 È NATA LA DIGITAL RADIO DI ONSTAGE! La prima digital radio che trasmette solo musica live, 24 ore su 24. Onstage Radio ha cominciato le sue trasmissioni ed è disponibile, oltre che sul sito e sulla pagina Facebook di Onstage (e sui siti dei nostri partner), come app gratuita da scaricare su tablet e smartphone. Tutte le info a pagina 80.
20 MAURO GIOVANARDI 21
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Numbers
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Cosa c’è di nuovo e interessante, ogni mese, ve lo diciamo noi. Album, film e games in uscita, puntualmente recensiti.
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musica
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cinema
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games
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ONSTAGE RADIO
Coming Soon
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Il calendario concerti del prossimo mese e un focus sull’artista più importante tra quelli di cui ci occuperemo a giugno.
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NEGRAMARO
www.facebook.com/onstageweb @ONSTAGEmagazine
↘ Onstageweb.com Il nuovo sito di Onstage! Con l’arrivo della primavera, ci siamo rifatti il look, e non solo. Il nuovo sito di Onstage debutta a maggio, con un nuovo stile e nuove funzionalità. Ancora più semplice e immediato da navigare, il website ha un calendario concerti struttturato per offrirvi tutte
12 onstage giugno
le informazioni di cui avete bisogno per seguire l’attività dal vivo dei vosti artisti preferiti oppure per sapere tutto dei live nelle vostre città. E poi ancora più contenuti: foto dei concerti, recensioni di live e album, blog. Stay connected!
OSPITI GIUGNO 2013
David Bergman
Clementino
Il Cile
Giovanni Stefano Ghidini
Frequentava la scuola di musica di Boston ma passava più tempo a fotografare band di amici che sui libri. Così è diventato “action photographer” specializzato in sport e concerti. Sue le foto dei Bon Jovi in questo numero.
Ha iniziato a farsi un nome nell’hip hop grazie alle sfide di freestyle. Dopo tre dischi, collaborazioni e un album con Fibra aprirà alcune date del tour di Jovanotti. Ci ha raccontato il suo “approccio” con Lorenzo.
Esordio nel 2012 con Siamo morti a vent’anni lanciato dal singolo Cemento Armato. Ha partecipato al’ultimo Sanremo con Le parole non servono più. Anche lui invitato da Jova, ricorda quella volta, da giovane...
È il fotografo che ha ritratto Jovanotti per le copertine di tutti i suoi dischi, oltre che nelle immagini che potete vedere in queste pagine e sulla cover. L’altro soggetto prediletto sono i girasoli che coltiva e ritrae.
Charlie Rapino
Andrea Bariselli
Stefano Verderi
Virginia Varinelli
Emigrando in Inghilterra ha trovato l’America (ma pure in Italia partecipando ad Amici come coach). Produttore dance e pop, da due anni butta benzina sul fuoco per noi dalla sua roccaforte: Londra.
Ideatore di RicetteRock.com, musicista, produttore, manager, editore. Ci racconta le sue innumerevoli esperienze con artisti e band a cui dedica succulenti piatti pensati ad rock. Altro che MasterChef!
“The Wizard” è il chitarrista de Le Vibrazioni. Diplomato al Musicians Institute di Los Angeles, ha fondato la Basset Sound nel 2010 per produrre nuovi artisti. Ci parla di affascinanti suggestioni retrò.
Fashion blogger tra le più attive del world wide web, Didi ha cominciato a scrivere di moda nel 2011, quando ha fondato il blog The Ugly Truth Of V (.com). Da quest’anno, cura la nostra sezione Style.
Registrazione al Tribunale di Milano n° 362 del 01/06/2007 Direttore responsabile Emanuele Vescovo info@onstageweb.com Direttore editoriale Daniele Salomone d.salomone@onstageweb.com Ufficio grafico Eros Pasi e.pasi@onstageweb.com Giulia Vidali g.vidali@onstageweb.com Redazione Francesca Vuotto f.vuotto@onstageweb.com Tommaso Cazzorla t.cazzorla@onstageweb.com
14 onstage giugno
Hanno collaborato Guido Amari, Antonio Bracco, Blueglue, Jacopo Casati, Francesco Chini, Stefano Gilardino, Massimo Longoni, Alvise Losi, Gianni Olfeni, Marco Rigamonti.
Ufficio commerciale Eileen Casieri e.casieri@onstageweb.com Marianna Maino m.maino@onstageweb.com Mattia Sbriziolo m.sbriziolo@onstageweb.com
Direttore marketing Luca Seminerio l.seminerio@onstageweb.com
Distribuzione e logistica Laura Cassetti l.cassetti@onstageweb.com
Direttore commerciale Francesco Ferrari f.ferrari@onstageweb.com
Concessionaria per la pubblicità Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558
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Filiale di Roma Paola Marullo p.marullo@onstageweb.com
Pubblicità Triveneto Everest ADV Viale Delle Industrie 13, Limena (PD) tommaso.perandin@everlastadv.it Pubblicità Toscana e Umbria Sara Moretti s.moretti@onstageweb.com Stampa Rotolito Lombarda Via Sondrio, 3 20096 Pioltello (MI) Onstage Magazine è edito da Areaconcerti srl via Carlo De Angeli 3 20141 Milano Tel. 02.533558 info@areaconcerti.it
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JUKEBOX
74 anni
e’ la nostra
VITA
Il nuovo disco dei Perturbazione è uscito a maggio e ora i piemontesi sono pronti per portarlo dal vivo. Tommaso Cerasuolo (voce) e Gigi Giancursi (chitarra) ci parlano del nuovo - e molto personale - progetto artistico di Francesco Chini
I
ntitolare un disco Musica X innesca subito la domanda: cosa avranno voluto dire? Ad ascoltarlo, poi, il nuovo album dei Perturbazione lascia ancor più spazio al quesito. Anzitutto la “X” nel titolo, che può essere di tutto: dedica, moltiplicatore, pareggio o indefinito. Ed è proprio quest’ultima l’opzione che i ragazzoni di Rivoli scelgono. Ci dice Tommaso: «Uscire dalla gabbia dorata delle certezze e affrontare il futuro come un salto nel vuoto è narrativamente il momento più interessante. E dice molto di noi oggi». E da narrare c’è molto, in Musica X: quella di In circolo o Del nostro tempo rubato è oggi una band che ha scelto, forse irreversibilmente - o forse no - una radicale universalizzazione del proprio linguaggio. Ai tratti di sempre (trame cristalline, fiuto per le piccole cose, una parola gentile) si somma un levigato pop a presa rapida, in una veste elettronica (non troppo) inattesa. «Spiragli in quella direzione - mi dice Gigi - li avevamo già aperti scrivendo: ora però è un fatto di arrangiamento. Ci ha molto aiutato Max Casacci: ci ha fatto ripescare alcuni provini che stavamo per scartare e ci ha di fatto indicato un nuovo modo di creare». Il risultato in più punti spiazza: «Sì, e ne siamo felici. Come diceva Tommaso, le certezze rassicurano ma paralizzano: andiamo orgogliosi di questo equilibrio, per noi nuovo, fra sperimentazione e immediatezza». Ci sono collaborazioni («una fonte di arricchimento: più delle esperienze musicali, la chiave è la condivisione») che creano intrecci
assai insoliti: pur nei panni sensuali che (s) sempre partecipe, chi sono oggi i Perturbaveste in Ossexione, in un disco dei Perturba- zione e cosa li fa andare avanti? Ascolto una zione una Erica Mou te la aspetti, ma l’in- splendida risposta: «Dopo Le ultime lettere contro con Luca Carboni (ne I baci vietati, di Jacopo Ortis, le opere di Foscolo si sono che affronta con delicata lateralità l’essere ge- fatte sempre più ricerca puramente estetinitori) sa di generazionale («Sentirci dire che ca. Una cosa simile è avvenuta ai Marlene ci trova affini ci ha toccato»), e quello con I Cani sa di investi«È bello poter dire che a farci andare tura («La loro capacità di diviavanti sono le nostre vite, le nostre dere ci ricorda un po’ i CCCP», contraddizioni, e la voglia di farle confluire si sbilancia Gigi). nei nostri dischi» Il tour con cui i Perturbazione porteranno in giro per l’Italia il nuovo progetto comincia il 2 giu- Kuntz: dopo un esordio dirompente in cui gno, a Cremona. Un disco come questo pare narravano i disagi della propria realtà, non prescrivere un set ben diverso da quello abi- hanno poi più - giustamente - potuto farlo tuale dei piemontesi. «Tolta la trasposizione con la stessa forza. Poi certo, un artista può sonora di elementi cardine di alcuni pezzi anche vivere vite altrui: Ligabue canta Tut- spiega Tommaso - ci sarà continuità con ti vogliono viaggiare in prima, ma per non l’identità live che perseguiamo da anni. Per pensare che lui stesso viaggia in prima devi noi il palco è una festa: conta il coinvolgi- supporre che non stia per forza parlando di mento. E poi, una delle peculiarità principali sé. E per riuscirci devi esser bravo come lui. di Musica X è la spontaneità: tradurla in un Noi forse non siamo così bravi a raccontare le impatto live essenziale sarà quasi un altro vite altrui, ma finora ci è capitato di riuscire a raccontare la nostra: quindi è bello poter dire esperimento». La domanda da un milione di dollari arriva che a farci andare avanti sono le nostre vite, poco prima dei saluti: passati gli anta, sei di- le nostre contraddizioni, e la voglia di farle schi, un quarto di secolo di attività e l’occhio confluire nei nostri dischi».
onstage giugno 17
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JUKEBOX
ROBA FRESCA Chi l’ha detto che per ascoltare musica-non-convenzionale ci si debba per forza rivolgere all’estero? Disordine, album di debutto di Cosmo, testimonia il contrario di Tommaso Cazzorla
LONDON CALLING Di Charlie Rapino
La Vendetta disco dei Daft Punk
(The White Man Can’t Groove)
A
Questa voglia di tentare vie alternative, ma lle volte succede anche in Italia che salti fuori qualche proposta fresca, con un occhio sempre attento alla scena interoriginale e ben prodotta. E subito si nazionale, salta fuori anche dal tipo di concerti grida al miracolo. È il caso di Disordine, esor- che tra giugno e luglio Cosmo porterà per l’Idio discografico di Cosmo, che unisce sample talia: «Avevo due possibilità: investire sui mue loop elettronici ad una sensibilità tutta can- sicisti o sullo spettacolo. Ho scelto la seconda tautoriale. Ma di miracoloso non c’è proprio perchè volevo fare qualcosa che da noi fanno nulla. Piuttosto c’è l’impegno di Marco Jacopo in pochi. Presentarsi come unico musicista sul Bianchi (classe 1982, da Ivrea), già frontman palco è una sfida. Oltre a me, ci saranno due del trio piemontese Drink To Me, deus ex ma- ballerine e dei visual. Credo che l’incontro tra china del progetto: «Prima sono nate le can- più forme d’arte sia interessantissimo». Disordine, già disponibile in download e zoni, non avevo deciso di fare un disco solista a priori. I campionatori e i beat elettronici mi streaming, dal 4 giugno sarà anche nei negozi: facevano letteralmente “viaggiare” per giornate intere. Provare l’italia«Mi piace mettermi accanto a un cantautore no su queste strutture mi sembrava e dire “anche io parlo di me e del mondo che un esperimento interessante. L’idea mi circonda”. Dobbiamo aprirci e contaminarci di intrecciare M.I.A., Toro Y Moi e sempre di più» Battisti (tanto per dirne alcuni) mi esaltava. Poi ho capito che stava venendo fuori un disco». Il riferimento a Battisti «Qualcosa di fisico ci vuole, la smaterializzanon è casuale. Cosmo si reputa un cantautore zione totale del supporto mi fa un po’ paura. anche se lontano dai clichè «Mi piace l’idea di Probabilmente invece mio figlio la vivrà senmettermi accanto a un cantautore più classico za problemi. Oltre che su CD uscirà anche in e dire “anche io scrivo le mie canzoni, parlo di musicassetta (edizione limitatissima grazie alla me e del mondo che mi circonda”. Dobbiamo collaborazione tra La Barberia e 42 Records). E forse in vinile, ma vedremo più avanti». aprirci e contaminarci sempre di più».
18 onstage giugno
Q
uanti deficienti ho incontrato nella seconda metà degli anni 70! Me ne ricordo uno in particolare, che pensò bene di cacciarmi da una festa perché mi aveva sentito suonare gli Earth Wind & Fire e gli Chic in qualche radio rossa. Ovviamente confondevano la musica dei neri coi neri, nel senso politico del termine. Molto meglio, per loro, quel ciarpame cantautorale da Festa dell’Unità. Per quelli lì la musica disco era musica da fascisti, e giù di “disco suks”. Per loro Giorgio Moroder e Nile Rodgers facevano schifo e, alè, sotto con quelle chitarracce dei cantautori e di Elvis Costello. Se la deve ridere per bene il groovemeister Nile Rodgers, Freak Out per essere tornato (Get Lucky!) al numero uno con i Daft Punk. Random Access Memories è forse l’unico disco decente uscito negli ultimi sei mesi. Il duo è l’essenza della disco: si ispira ad un gruppo disco francese (gli Space) e in copertina si presenta con i caschi, che fa molto LSD. Curioso che proprio Rodgers abbia avuto una hit mostruosa (Spacer) con un gruppo francese al top del “putrid”, Sheila & B Devotion. La disco di Nile Rodgers e Giorgio Moroder ci ha dato tutto. Non avremmo avuto: i Blondie, David Bowie, i Kraftwerk, Some Girls dei Rolling Stones, Giorgio Armani, la musica elettronica, Charlie Rapino in Inghilterra, il rap, l’hip hop e di base quello che ci è rimasto di decente nelle chart internazionali. I cantautori che ci hanno dato? I cantautori, roba da Democrazia, roba da Repubblica.
JUKEBOX
VENEZIA VESTITA DI ROCK Gli abiti indossati dagli artisti che hanno fatto la storia del rock (e del pop) in mostra a Venezia per una settimana.
è
quasi impossibile trovare qualcuno che in qualche città del mondo non sia entrato in un Hard Rock Cafè per ammirare i
cimeli che custodisce la nota catena di locali. Dal 9 al 16 giugno, c’è un’occasione imperdibile per chi ama i memorabilia e vuole vedere da vicino gli abiti che hanno contribuito a scrivere la storia musicale di chi li ha indossati. Al Teatro Goldoni di Venezia fa tappa la mostra itinerante, a ingresso gratuito, Hard Rock Couture - A Music Inspired Fashion Collection, allestita attingendo proprio alla collezione del famoso brand, che conta oltre 77 mila pezzi. Tra
PAZZO PER L’UKULELE Mauro Ermanno Giovanardi è stato folgorato dall’ukulele e ha inciso un disco mettendo lo strumento al centro di tutto
S
coprendo che Mauro Ermanno Giovanardi ha inciso il suo ultimo album Maledetto colui che è solo con la Sinfonico Honolulu, prima orchestra italiana di Ukulele, sorge spontanea una domanda: ma come gli è venuto in mente? La risposta sta nella parola colpo di fulmine. Di quelli che ti fanno perdere la testa e lasciare da parte quelle che fino a poco prima erano le priorità. «Avevo già fatto qualche pezzo con loro ma la scintilla è scattata a gennaio, quando sono venuti a Milano e per divertimento abbiamo suonato un po’ insieme. Non ho più pensato ad altro, ho mollato la lavorazione del disco nuovo e in due mesi abbiamo tirato fuori 16 brani» ci ha raccontato Giovanardi. «è un disco sinfonico per strumenti altri, perché oltre all’ukulele ci sono mandole, vibrafono, organetto: ha un sapore straniante, quasi cinematografico». Alcuni pez-
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quelli esposti, la giacca indossata da Elvis nel film Jailhouse Rock, il mitico corsetto disegnato da Jean Paul Gaultier per Madonna o il giubbino di pelle rosso del video Beat It di Michael Jackson. Venti gli abiti di scena e non che si potranno ammirare - appartenuti tra gli altri a John Lennon, Freddy Mercury, Sex Pistols, AC/DC, Kiss, Katy Perry - a cui si aggiungono altri oggetti delle star, come alcuni accessori di Elton John o un manoscritto di Jimi Hendrix. F.V.
HOT LIST I 10 brani più ascoltati in redazione durante la lavorazione di questo numero JOVANOTTI TENSIONE EVOLUTIVA (Lorenzo Backup 1987-2012, 2012) DARGEN D’AMICO LORENZO DE’ MEDICI (Vivere aiuta a non morire, 2013) LEVANTE ALFONSO (Manuale Distruzione, 2013)
zi sono degli inediti, altri delle cover: «Il senso è portare l’ukulele in giro per il mondo: ha un suono così singolare che ribalta tutto. Canzoni di artisti come Celentano, De Andrè o Capossela si arricchiscono di sfumature inusuali, ti portano ai Caraibi, a Bahia, nei Balcani. Questo progetto per me è stato un Va’ dove ti porta il cuore e mi preparo a coinvolgere in questo viaggio chi verrà a sentirci al Mi Ami Festival di Milano il 9 giugno». F.V.
DAFT PUNK FT. JULIAN CASABLANCAS INSTANT CRUSH (Random Access Memories, 2013) MUSE Supremacy (The 2nd Law, 2012) DAUGHTER MEDICINE (The Wild Youth EP, 2011) BRUCE SPRINGSTEEN Cover me (Born In The USA, 1984) THE SMITHS PANIC (The Sound Of The Smith, 2008) depeche mode ENJOY THE SILENCE (Violator, 1990) NEIL YOUNG &CRAZY HORSES MY MY, HEY HEY (OUT OF THE BLUE) (Rust Never Sleeps, 1979)
IL TRIBUTO CHE NON TI ASPETTI Enrico Rava, jazzista italiano di fama mondiale, si è appassionato alla musica di Michael Jackson e gli dedica un concerto-tributo. E chi se lo sarebbe mai immaginato? di Francesca Vuotto
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on era solamente una pop la sua morte. «Ho vissuto a New York negli star, ma un vero genio». anni del successo dei Jackson 5 e non si poQuesta definizione di Mi- teva non ascoltarli per strada o nei bar, ma chael Jackson assume un valore particolare a quei tempi ero una sorta di talebano del se a pronunciarla è Enrico Rava, un pianista, jazz. Poi, nel 2009 ho visto il docu-film This uno che fa jazz, uno la cui biografia sul suo Is It e sono rimasto scioccato. Mostra come sito recita “Non è difficile usare i superlativi avesse una conoscenza profondissima che gli talmente ricco è il suo curriculum, affasci- permetteva di seguire ogni singolo aspetto nante il suo mondo musicale, lungo l’elenco di uno spettacolo così immenso, dalle luci dei musicisti con cui ha collaborato”. Ed è a ai suoni del basso. Mette inoltre ancor di in virtù di questa ammirazione che nel 2011 più in luce le sue doti da ballerino: se possiRava ha deciso di omaggiare Jacko rivisitan- bile penso fosse ancora più bravo che come do in chiave jazz alcune sue canzoni. Ne è nato un concerto che ripro«Gli ultimi due suoi dischi stanno pone non solo le hit, ma molti dei a Michael Jackson come Let It Be e suoi pezzi più recenti. «Gli ultimi il White Album ai Beatles. Sono i più due dischi stanno a Michael Jackson interessanti musicalmente» come Let It Be e il White Album ai Beatles. Sono i più interessanti musicalmente, anche se non hanno la capacità cantante”. In questi anni Rava ha fatto il comunicativa di Thriller o Bad, perché, per giro d’Italia e d’Europa con questo spettaesempio, vi si ritrovano sia cori di musica colo-tributo al Re del Pop, ma continua a classica che elementi più contemporanei. ricevere richieste di repliche. E così ha deOdio questo termine, ma c’è una ricerca che ciso di accettare l’invito del Verona Jazz Feprima non c’era o era marginale. Si è aperto stival: il 23 giugno lui e i musicisti del PM Jazz Lab di Roma che lo accompagnano in a possibilità impensabili per il pop». Ha un solo rammarico, Enrico Rava. Aver questa avventura saranno al Teatro Romano cominciato ad apprezzare Michael solo dopo di Verona.
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RETROMANIA di Stefano Verderi
TI LASCERò QUEST’ESTATE
M
ia amata, è giunto il momento di dirtelo, e non trovo la forza di farlo in altro modo che con questa lettera. Credo che ci lasceremo. Parliamoci chiaro: non mi dai più stimoli come una volta, non organizzi più niente per me, e io non ho più nessun interesse a rimanere con te. E poi come posso pensare di far crescere i miei figli in una condizione del genere? Anche loro avranno bisogno di conoscere, di fare esperienze, di essere stimolati da diverse iniziative, come è accaduto a tutti quelli della mia generazione, e anche prima. Ma adesso, per i nostri figli, non vedo futuro. Una volta passavano da casa nostra tanti amici, e anche se non organizzavi sempre le cose in modo impeccabile, però c’era sempre qualcosa da fare o da andare a vedere, soprattutto d’estate. Alla fine siamo tutti uguali, ed è inutile che ci lamentiamo dei nostri politici, perchè tanto noi siamo come loro. E forse per colpa loro, ma anche per colpa nostra, ti sei chiusa nel tuo egoismo, per risolvere la tua crisi, ma forse la nostra, di crisi, è anche e soprattutto culturale. Prova a pensarci. Come ci ha dimostrato il grande Ottavio Missoni, recentemente scomparso, quando ci impegniamo in qualcosa, l’eccellenza del “made in Italy” non ha rivali nel mondo. Però ti chiedo, sfruttando questo spazio che si chiama non a caso Retromanie, ma che adesso è più una retro-nostalgia, che fine hanno fatto i grandi e piccoli festival? Che fine ha fatto il Jammin’ Festival, il Monsters of Rock, il Gods of Metal, l’ Indipendent Day, il Tora Tora, il Neapolis? Ti preferivo persino quand’eri più acerba: quando altrove si organizzavano Monterey, Woodstock e l’Isola di Wight, tu almeno mi davi il Cantagiro! Cara, amatissima, Italia, ti lascerò quest’estate, per seguire le mie passioni di festival altrove, all’estero! Spero per entrambi che questo sia un “arrivederci” e non un addio. Con affetto, Stefano
onstage giugno 21
JUKEBOX
SPROVINCIALIZZIAMOCI In un contesto storicamente dinamico come quello di Bologna, arriva quest’anno The JamBO, festival di respiro internazionale che mette insieme sport e musica di Marco Rigamonti
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he JamBO è qualcosa di più di un sicalità intrinseca, mentre nelle arti di strada “Urban Summer Festival”. È una c’è un equilibrio e una grazia fuori dal comugigantesca jam-session che dura tre ne. L’idea di base è tentare di ‘sprovincializzagiorni, con l’obiettivo di unire cultura, arte re’ l’Italia, di proporre contenuti musicali che e dinamismo. Si comincia dopo pranzo, e altrove sono già alla portata di tutti mentre fino al calare della notte si alternano esibi- qui si fa un po’ più fatica ad abbracciare. L’inzioni sportive (wakeboard, surf, motocross tento è quello di fare festa e divulgare musica freestyle, bmx, calcio e basket acrobatici) e senza essere volgari». Spazio quindi a realtà moderne già afferdimostrazioni di discipline metropolitane (parkour, skateboard, street art e urban dan- mate come 2manydjs e Major Lazer, a una ce). Poi, a una certa, si festeggia, con una colonna sonora a cura «Con The JumBO cerchiamo di di dj di livello internazionale che “sprovincializzare” l’Italia, proponendo appartengono all’universo della musica che altrove è già alla portata di musica elettronica alternativa. tutti mentre qui fa un po’ più fatica» Della scaletta musicale di The JamBO si è occupato Alessio Bertallot, uno che da sempre ha fatto della ri- leggenda come Armand Van Helden, agli cerca una prerogativa essenziale delle trasmis- eroi della drum&bass Chase & Status e ai sioni radiofoniche che conduce (RaiTunes nuovi paladini del dubstep Rudimental (nelsu RadioDue) e che ha condotto in passato la foto) e North Base. Ma anche all’hip-hop (B-Side su Radio Deejay). La scelta è azzecca- bastardo e tagliente (noto come ‘Grime’) di ta: se si parla di cross-medialità, contamina- Dizzee Rascal, ai tecnicismi di James Zabiezioni e attenzione alla cultura metropolitana la, alla dance evoluta di Zeds Dead, ai beat non si poteva che chiedere a lui. «Il comune spezzati di Tessela e alla impeccabile house denominatore tra le discipline coinvolte nel dell’orgoglio italiano Stefano Miele (aka Riva contesto JamBO e la musica che propongo Starr). Dal 14 al 16 Giugno a BolognaFiere. è l’energia; questi sport possiedono una mu- Per ulteriori informazioni www.thejambo.it
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RICETTE ROCK di Andrea Bariselli
CARPACCIO ALLA W.A.S.P.
A
nimal (Fuck like a Beast!). Come non rimanere folgorati da una band che si presenta con un titolo del genere per il primo singolo? Soprattutto considerando che siamo a metà degli anni 80 e nel bel mezzo della mia personalissima “era glam”? Si, lo ammetto, ho amato gli W.A.S.P. e i loro primi tre album quasi quanto i Kiss, ma poi Blackie Lawless e soci si sono persi per strada. In ogni caso, il fatto che i loro tre lavori iniziali siano pietre miliari di tutto il movimento glam di quegli anni è incontestabile. Ho visto gli W.A.S.P. tantissime volte durante questi anni ma mi piace ricordare il pomeriggio in cui io e Blackie scorrazzammo per le vie di Milano a bordo della mia Chevrolet Camaro 5700 nera con i teschi sui cerchioni, macchina che lui stesso definì la più tamarra che avesse mai visto, aggiungendo che negli Stati Uniti era considerata una macchina da rapinatori - la nostra Alfa Romeo Giulietta insomma. Alla fine però volle guidarla perchè gli ricordava suo padre che ne aveva una uguale (quindi daddy faceva le rapine?). La nostra destinazione era il locale di cui ero direttore artistico in quegli anni (lo stesso dove ospitammo i Mötley Crüe e da cui nasce l’ispirazione per il risotto alla Mötley del mese scorso) perchè avevamo fatto disegnare sulle pareti i volti del rock (quelli che piacevano a noi) e Blackie era uno di questi. Si commosse quando vide il suo faccione grande 2m x 2m. Lo autografò fiero: un grande momento per entrambi. Cosa cuciniamo in suo onore? Beh, ma per forza carne cruda... Raw Meat! Quindi un buon carpaccio.
Ingredienti per 2 persone: 400 gr. di filetto di manzo tagliato sottilissimo, 60 gr. di scaglie di parmigiano Reggiano, il succo di 1 limone, 20 gr. di olio extra vergine di oliva, 1 mazzetto di rucola, 10 gr. di tartufo bianco ( facoltativo), sale e pepe Q.B.
www.ricetterock.com
22 onstage giugno
FACE TO FACE
MALIKA AYANE Dopo l’uscita del nuovo album Ricreazione e l’ottimo piazzamento a Sanremo, la cantante italo-marocchina è impegnata in un lungo tour. Che, a breve, si sposterà all’aperto. di Francesca Vuotto foto Flavio & Frank
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i mancano pochi concerti alla fine della tranche invernale, tempo di bilanci. Sono molto contenta e anche molto stupita: ho visto persone curiose di vedere come sono dal vivo. Di certo anche per merito di Sanremo, che mi ha permesso di ampliare il mio pubblico. La gente si è accorta di quanto sia cambiata e maturata, tanti mi hanno ringraziato per averli “sorpresi”. Negli anni quello che ha fatto la differenza nei miei spettacoli è stata proprio la mia crescita artistica. Il tour è
iniziato a soli due mesi dall’uscita del disco e non è detto che se radiofonicamente una cosa funzioni, funzioni anche dal vivo. Ai concerti il pubblico ha esigenze diverse: il cambiamento può spiazzarlo ma se poi lo “approva” ti dà maggiore soddisfazione. Cosa ti hanno dato questi mesi di live e di forte contatto con la gente? Ho realizzato la grande responsabilità di stare su un palco. Devi avere veramente conoscenza di ogni cosa, perché il pubblico guarda solo te, non c’è nulla di strabiliante come per esempio a un concerto di Lady Gaga. Devi quindi avere belle idee, anzitutto per coinvolgere chi lavora con te, e poi per riuscire a trasmettere l’entusiasmo tuo e del tuo staff al pubblico. Bella responsabilità dover avere sempre idee nuove e interessanti... Stare nella posizione di chi deve proporre è spesso difficile, perché se badi alla radio sembra che strizzi l’occhiolino al mainstream, se fai qualcosa di meno radiofonico vieni accusato di essere criptico e di lavorare per compiacerti, se fai un disco che ti piace ma è comprato solo dai tuoi amici non va altrettanto bene. è difficile avere il senso della realtà: per questo è importante il confronto continuo con i fan. La prima parte del tour si è svolta nei te-
atri, ora vi trasferite all’aperto. Cosa cambierà? Anzitutto l’allestimento: per la parte al chiuso abbiamo ricreato un teatro nel teatro, mentre per l’estate mi piacerebbe un’ambientazione tipo interno di un bistrot, per riprendere l’aria rilassata che ci sarà in platea visto che saremo en plein air. Suoneremo in posti particolari e la sfida sarà adattarsi e valorizzare il contesto. L’altro show prevedeva molti cambi d’abito e senza sipario sarà complicato riproporli, ma non voglio rinunciare a qualche trasformazione: lavorerò sulla sovrapposizione. Tra le novità ci sarà anche qualche cambiamento in scaletta? Il tour teatrale era incentrato su Ricreazione, questo non potremo dividerlo in due tempi e avere cambi di scena, perciò avrà in scaletta anche canzoni meno note: scaveremo nei bauli per ritrovare quello che abbiamo fatto fino ad oggi, il materiale comincia ad essere tanto. Poi ci saranno brani che piacciono solo a me e al chitarrista e che faremo per toglierci la soddisfazione. «Stare nella posizione di chi deve sempre proporre è difficile. Com’è difficile anche avere il senso della realtà: per questo è importante il confronto continuo con i fan» Mi sembra giusto che prendiate un po’ di spazio per voi. La cosa ancora più bella è scoprire che i gusti del pubblico sono vicini ai nostri più di quanto pensiamo. L’ho capito andando sui forum e nei blog: ci sono brani che inaspettatamente piacciono più di altri, come Guess What??? che io e il dj Junior Jack abbiamo scritto pensando alla tipica canzone che ascolteresti in Costa Azzurra. Non avrei mai pensato di poterla usare come brano rappresentativo del disco e invece piace così tanto che potrebbe anche esserlo. Giri spesso a curiosare in Rete? Mi piace perché si capisce molto di più del proprio lavoro, ma temo sempre un po’ il web perché mi sembra che si faccia a gara per ammazzare la gente con giudizi massacranti. Per questo limito il più possibile la pubblicazione di materiali, in questo caso mi è andata bene.
FACE TO FACE
LUCA
ARGENTERO In pochi anni è diventato un pilastro del cinema italiano. Dopo Il cecchino, Argentero torna nei cinema dal 20 giugno con un altro poliziesco, Cha cha cha, diretto da Marco Risi di Antonio Bracco
C
ha cha cha è un thriller con una trama piuttosto intricata che è il tuo personaggio a dover sbrogliare. Un classico poliziesco con l’investigatore privato che risolve il caso. Ci sono incognite e imprevisti nella trama, quindi il plot è costruito per soddisfare l’appassionato dei film di genere. È come leggere un bel romanzo in cui all’ultima pagina scopri chi è l’assassino. Marco Risi ha unito il gusto del cinema alla passione per questo genere di film. Tu sei uno di quegli appassionati? Assolutamente sì. Vuoi consigliare un paio di titoli che hai adorato?
Chinatown e Il lungo addio sono due capolavori. Per essere più recenti I soliti sospetti. Comunque io sono davvero onnivoro del cinema, io e mia moglie (l’attrice Myriam Catania, ndr) ne vediamo tanto tra quello che recuperiamo in DVD e quello che riusciamo a non perdere nelle sale. Guardiamo tanto, guardiamo tutto anche per approfondimento personale, da Michael Haneke a J.J. Abrams. Nel cast di Cha cha cha c’è anche Eva Herzigova che è stata ed è il sogno erotico di molti italiani. Stavo valutando se e come farti una domanda su di lei. Guarda, è la moglie di un mio carissimo amico, per cui... Bene, ho capito... Come si lavora con Marco Risi alla regia? Marco è una fucina di insegnamento. Possiede un’onestà intellettuale che sento vicina alla mia, è una persona affascinante sia umanamente sia professionalmente. Mi sono molto affezionato a lui. Fare il cinema, quindi, è anche un’esperienza educativa per te. Si dice sempre che si vorrebbe ricominciare il film una volta finito, mettendo a frutto tutte quelle cose che uno ha imparato facendolo. Certo, si può apprendere un metodo per recitare, ma ogni personaggio è diverso dall’altro. Un attore non farà mai un lavoro uguale a un altro. Sono laureato in economia e finiti gli studi non ero minimamente in grado di
fare il commercialista. Un mestiere lo impari lavorando e credo che questo valga anche per l’attore. Almeno per me. Io non ho fatto una scuola reale. Mi ritengo un buon professionista perché mi so comportare, poi la bravura spetta al pubblico giudicarla. Ti riguardi? Sì, ma come avrai capito lo faccio con grande spirito critico. Non sono mai rilassato nel rivedermi. A proposito della laurea in economia, che cosa ne hai fatto? Giace? No no, non giace per niente. Io ho un sacco di interessi paralleli. Ho una casa di produzione, ma anche una società finanziaria che ho fondato con gli amici di sempre. E comunque una laurea serve per saper parlare, quindi la si usa più o meno tutti i giorni. Oggi rifaresti economia? Non lo so, forse farei una laurea breve in fisioterapia o un corso di cinese per andare in Cina a lavorare. Credo che oggi sia più importante sapere l’inglese che avere una laurea, per come la si intende in Italia. Hai fatto incursioni nel mondo della «Un mestiere lo impari lavorando e vale anche per l’attore. Almeno per me. Mi ritengo un buon professionista, poi la bravura spetta al pubblico giudicarla» musica partecipando ai videoclip tratti da alcuni dei tuoi film. La musica, invece, fa incursioni nella tua vita? Io sono un grande appassionato musica, sono un rockettaro. Smashing Pumpkins, Pearl Jam, Red Hot Chili Peppers, Nirvana... Quel genere lì, molto adolescenziale ma mio. Ascolto anche molta roba contemporanea, i dischi consumati però sono quelli. Una domanda di pura invidia maschile: sei famoso, bello, sexy, intelligente, simpatico, sposato e laureato. Almeno le dita nel naso te le metti? Sì, parecchio! Le caccole le tolgo e le sparo lontano con lo schiocco di dita. E questo mi fa molto onore. In realtà sono l’elogio della normalità, come dice mia moglie. Non vivo di grandi eccessi, anzi, sono anche abbastanza noioso.
NUMBERS
il ritorno dei dischi volanti
Erano praticamente scomparsi i vinili, sostituiti dai pratici e indistruttibili CD e, in seguito, dagli impalpabili mp3. Poi, come spesso succede, qualcuno si è accorto che, forse, una parte del fascino della musica derivava proprio da quei dischi ingombranti. E il mercato ha ripreso a crescere. Vediamo come stanno le cose realmente. di Stefano Gilardino
TAB.1
VINILI PIù VENDUTI NEL 2012
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
64 milioni 54 milioni 51 milioni 37 milioni 36 milioni 53 milioni 66 milioni 70 milioni 87 milioni 113 milioni
2012 171 milioni
TAB.2
2012 WS 2011
+46% ITALIA * +17,9% USA - 4,6 milioni di VINILI { 2012 2011 - 3,9 milioni di VINILI + 15,3% UK - 390 mila VINILI { 2012 2011 - 338 mila VINILI
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Disponibili solo dati percentuali
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LA PIù ALTA DAL 1996
«S
omebody was trying to tell me that CDs are better than vinyl because they don’t have any surface noise. I said, “Listen, mate, life has surface noise”». John Peel
Se non siete troppo giovani per gli anni Ottanta, vi ricorderete certamente del terribile declino degli ellepì, passati bruscamente di moda e sacrificati sull’altare di una maggior qualità sonora, poi smentita nei fatti, e di una durata infinita nel tempo dei piccoli compact disc. Nella seconda metà di quel decennio, lo scempio è stato praticamente definitivo, con le etichette discografiche impegnate a stoccare quantità infinite di CD e a ridurre, se non interrompere, la stampa dei vinili, rapidamente divenuti materiale obsoleto, quasi impossibile da trovare e destinati ai collezionisti incalliti. Le multinazionali, insomma, hanno deciso senza mezzi termini che il digitale sarebbe stato il futuro della musica, al posto del desueto analogico, concentrando i propri sforzi sulla produzione di un mezzo che, dopo l’immediato successo (ovvio, non avendo concorrenti, se si eccettua la musicassetta), ha contribuito in maniera massiccia al processo di disaffezione continua delle successive generazioni di ascoltatori verso la musica. Al contrario del vinile, un oggetto caldo e comunicativo, collezionabile 28 onstage giugno
e soddisfacente anche dal punto di vista fisico e tattile, il compact disc, per il suo successo, ha puntato sull’esatto opposto: nessun fruscio – e qui vale la frase di John Peel posta in apertura -, massima maneggevolezza, dimensioni estremamente contenute, minor fragilità, maggior durata (quindi possibilità di far stare album doppi su un disco singolo, con conseguente risparmio) e costo di produzione molto più basso, particolare che, agli occhi delle etichette discografiche, si è rivelato fondamentale. Tutto perfetto, dunque? Chiaramente no, visto che la nascita del CD si è accompagnata al lancio dei masterizzatori e, quindi, all’enorme piaga della pirateria. E se il vinile poteva essere trasferito solo su cassetta, un supporto inferiore, il compact disc si è dimostrato duplicabile all’infinito, distruggendo definitivamente il concetto di originalità dell’oggetto e abbassando pericolosamente lo standard qualitativo dello stesso, fino all’avvento dell’mp3 e dell’ascolto in streaming su personal computer oppure su lettori portatili. Paradossalmente, ma nemmeno troppo, nell’era dell’impalpabile, di servizi come Spotify e YouTube e dell’accessibilità a tutti i costi, la voglia di vinile è ritornata alla ribalta in maniera prepotente e le cifre di vendita in continua crescita dimostrano come una nicchia di mercato
VENDITE GLOBALI
TAB.3 importante (e si parla solo dei dischi nuovi e non del business dell’usato da collezione) sia sempre più appannaggio di chi preferisce un oggetto rotondo in vinile, magari racchiuso in una lussuosa copertina apribile, e una comoda poltrona dove potersi godere quaranta minuti di piacere per le orecchie e gli occhi. I 171 milioni di dollari di fatturato del vinile nello scorso anno, trainati dal mercato statunitense, leader del settore (l’Italia ottiene un dignitoso settimo posto), stanno a significare soltanto il 3% di vendite complessive (cd+download+vinile) a livello mondiale, ma la crescita costante nell’ultimo decennio, il graduale declino del compact disc e la buona pubblicità che deriva da film come Last Shop Standing o Vinylmania sono ottimi segnali per un supporto che pareva destinato a morte certa e che, invece, regala ancora parecchie soddisfazioni.
TAB.4
CD
51% VENDITE 44%
5%
DIGITALE
VINILI
VINILI PIù VENDUTI NEL 2012
BLUNDERBUSS - Jack White ABBEY ROAD - Beatles
USA
uk
COEXIST - The XX the rise and fall of ziggy stardust - David Bowie
babel - Mumford&Sons
BLUNDERBUSS - Jack White
EL CAMINO - Black Keys
21 - Adele
SIGH NO MORE - Mumford&Sons
LONERISM - Tame Impala
BLOOM - Beach House
TEMPEST - Bob Dylan
for emma forever ago - Bon Iver
BLOOM - Beach House
boys & girls - Alabama Shakes
AN AWESOME WAVE - Alt-j
21 - Adele
GO-GO BOOTS - Drive By Truckers
BON IVER - Bon Iver
THE WALL - Pink Floyd
TAB.5
VINILI PIù VENDUTI DI TUTTI I TEMPI
THRILLER - Michael Jackson
TAB.6 400.000 $
THE WALL - Pink Floyd IV - Led Zeppelin
200.000 $
THE QUARRYMEN Acetate 7” (collezione di Paul McCartney, una copia)
38.800 $
YESTERDAY & TODAY LP- The Beatles
35.000 $
Freewheelin’ Bob Dylan LP Bob Dylan (prima stampa poi ritirata)
30.000 $
Do I Love You? 7” - Frank Wilson (mai stampato per la vendita - 3 copie esistenti
25.000 $
GOD SAVE THE QUEEN 7’’ - The Sex Pistols A&M - 12 copie esistenti
25.000 $
THE VELVET UNDERGROUND & NICO
25.000 $
STAY AWAY JOE LP PROMO - Elvis Preasly
25.000 $
STORMY WEATHER 78RPM - The Five Sharps
24.000 $
GOOD LUCK CHARME 7’’ Elvis Preasly
BACK IN BLACK - AC/DC DOUBLE LIVE - Garth Brooks COME ON OVER - Shania Twain THE BEATLES - The Beatles RUMOURS - Fleetwood Mac
I dati riportati nell’articolo sono stati raccolti dalle seguenti fonti:Recording Industry Association of America, Nielsen Company USA, Billboard’s 2012 Music Industry Report USA, FIMI Italia, British Phonographic Industry UK.
Fantasy LP - John Lennon/Yoko Ono Double
(copia unica con autografo di Lennon e impronte digitali insanguinate di MarK David Chapman)
THEIR GREATEST HITS 1971/75- The Eagles
GREATEST HITS VOL1&2 - Billy Joel
TOP TEN DISCHI PIù CARI venduti all’asta
The Velvet Underground &Nico LP acetato 1 copia esistente
onstage giugno 29
* NON C’è COLLINA MONTAGNA PIù ALTA DI QUELLA CHE * NON SCALERò ora
2013
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DICONO CHE è VERO CHE QUANDO SI NASCE STA GIà TUTTO SCRITTO DENTRO AD UNO SCHEMA, DICONO CHE
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* jovanotti
for president! Il 2013 segna una svolta defInitiva nella carriera di Lorenzo Cherubini. Il tour estivo - tredici date tra giugno e luglio - è il suo primo negli stadi. La parabola che, in 25 anni, lo ha visto trasformarsi da intrattenitore per un pubblico di giovanissimi ad artista tra i più importanti e popolari in Italia(con tanto di apprezzate scappatelle americane)- tocca il suo punto più alto. Eppure, a stupirci è ancora una volta la sua caratura umana.
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di Daniele Salomone - Photo: Giovanni Stefano Ghidini - Styling: N. Cerioni/Sugarkane Studio
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o idealmente inseguito Lorenzo per settimane, prima a Cortona, poi a New York, di nuovo in Italia. Mi avevano consigliato di mettere per iscritto le mie domande - «non si sa mai» - ma non volevo rassegnarmi a intervistarlo via mail. E poi non avevo davvero delle domande, perché volevo chiacchierare con lui. Troppo interessante questo suo momento, con il primo tour negli stadi e tutto il resto, per “interrogarlo” e basta. Detto che le interviste via mail non mi garbano in generale - non c’è un vero scambio - avevo voglia di parlare con lui. Chi non vorrebbe? Comunque, tra le prove qui, i live negli Stati Uniti e il video di Ti porto via con me, non si è trovato il tempo e alla fine queste benedette domande le ho dovute scrivere. È stato un bene che sia andata così. Ogni sua risposta, così com’è, senza una replica, non solo rende molto più intelligente la domanda di quanto non lo fosse, non solo apre il mondo di Lorenzo con l’onestà che conosciamo. Ogni risposta, così com’è, è un pezzetto di bellezza, di quella bellezza di cui vorremo veder pieno tutto, l’Italia, l’Europa, il mondo intero. Quella bellezza di cui avrebbero bisogno i macrosistemi, ma che invece dobbiamo rassegnarci a trovare solo in microcosmi che, per quanto grandi, sempre micro sono.
Scrivo ascoltando Backup e ci sono i pezzi di Jovanotti For President, il suo primo, adolescenziale, superfunky album. Jovanotti presidente. Chissà. Chissà quale consenso raccoglierebbe Lorenzo se si candidasse a guidare l’Italia. Non abbiamo forse bisogno di consapevolezza del passato e insieme capacità d’interpretare il presente e immaginare il futuro? Ecco. Ragionavo sulla tua carriera. Hai avuto un grande dono: un pubblico che ti ha concesso di cambiare, evolvere, maturare. In Italia si appiccicano etichette a tutto e tutti, non a Jovanotti. Ti sei mai chiesto perché? Perchè il mio cosiddetto “pubblico” mi assomiglia, è composto per una grandissima parte di individui aperti al nuovo, disposti all’ascolto, al cambiamento - come lo sono io - per questione direi anche generazionale. Quando io concentro lo sguardo su quello che per comodità chiamiamo “pubblico” vedo persone, non vedo un gregge, non vedo un “target”, vedo esseri umani che pensano liberamente. Hai sfruttato questa libertà al 100%. Lo dimostrano gli estremi opposti in cui si muove la tua carriera: “Un po’ di Hello Kitty e un
po’ di Tarantino”. Forse l’evoluzione si compie proprio quando si sfrutta tutto lo spazio che si è in grado di coprire? Non ho sfruttato la mia libertà completamente, non credo sia possibile, ho fatto quello che era nelle mie corde e conto di farlo anche domani. Mi ritrovo a essere un uomo senza alcuna struttura ideologica di riferimento, tranne quella di non averne, che è a suo modo un’ideologia. Cerco di tenere fede al principio che cambiare è positivo e che ovunque puoi trovare qualcosa di interessante. Recentemente ho letto un’intervista in cui il giornalista ti dà “del lei”. Mi ha quasi infastidito, perché ha imposto una distanza che non avevo mai avvertito prima. Il “lei” nel giornalismo a volte può essere un vezzo o un linguaggio, non è necessariamente una cosa che dà fastidio. Quando Fiorello e Mollica si danno del lei nelle interviste è divertente, poi nella vita credo che si dia-
«« Sono un uomo senza struttura ideologica, tranne quella di non averne, che è a suo modo un’ideologia. Cerco di tenere fede al principio che cambiare è positivo e che ovunque c’è qualcosa di interessante » no del tu. A me non dà fastidio se lo fa un giornalista, se invece lo fa un ragazzino chiedendomi “Jovanotti, mi FA un autografo?” la cosa mi fa un po’ ridere e mi fa capire che lui ha genitori più giovani di me. E questo fa parte della vita, sta accadendo, ho 46 anni, quasi 47, checcevoifa? La gente si sente così vicina a te anche perché gestisci in prima persona i social network. Sono i tuoi tweet e i tuoi post. C’è un nesso con l’aumento di popolarità che culmina nel tour negli stadi? Non lo so bene, non ci penso molto, non voglio farlo. I social network mi divertono e sono utili perchè posso comunicare in diretta con chi mi segue, cosa che una volta doveva essere mediata da altri. E’ un bel passo avanti, così i media tradizionali (specialmente i giornali e le riviste) miglioreranno se sapranno uscire dalla logica del semplice copia/ incolla di comunicati stampa e potranno dedicarsi all’approfondimento, che invece nei social network non trova spazio per la natura della Rete, che esige brevità. Cosa stai cercando in America? Laggiù ritorni artista emergen-
te proprio quando da noi hai raggiunto il tuo picco di popolarità. Sembra che il paradosso ti attragga. In America sto cercando me stesso, sperando che continui a sfuggirmi. Sto cercando di migliorarmi, di confrontarmi con panorami diversi, di mettermi in difficoltà e di uscire da quella “comfort zone” che per un artista equivale al declino creativo. E non c’è nulla al mondo che mi attrae più del paradosso. Veniamo al tour, il tuo primo tour negli stadi. Quando è stata pronunciata per la prima volta la parola “stadio”? E che effetto ti ha fatto? È stata pronunciata quando ho scritto Ciao Mamma, nel 1989, ma lì raccontavo come mi sentivo essendo uno del pubblico, non pensavo che l’avrei cantata io dal palco in uno stadio, quella parola. “Stadio” non si dice mai, per scaramanzia, però sta lì nel cuore, come un sogno, come una possibilità remota ma non impossibile. Ora ci siamo. Perché il tuo pubblico dovrebbe essere attento ai musicisti che hai coinvolto per aprire i concerti? Di solito, gli Italiani tifano per il proprio artista e il resto importa poco. Non a caso i festival da noi stanno scomparendo: manca curiosità per ciò che non si conosce. Alcuni Italiani sono così, alcuni concerti sono così. Non i miei Italiani, non i miei concerti. Io faccio musica, amo la musica, sono immerso nella musica, nella mia e soprattutto in quella degli altri - che considero comunque mia, perché la musica, intendiamoci, è condivisione. Immagino che anche il mio pubblico sia così. Io propongo ciò che mi piace seguendo una logica distante da qualsiasi idea di marketing, sperando
«« L’intelligenza non è mai compagna del pregiudizio. Se hai una lampada mettila in un punto che faccia luce. se c’è bella musica falla sentire a tutti, a tutti quelli che puoi » di fare cosa gradita al pubblico che probabilmente verrebbe al concerto comunque e apprezzerebbe anche una playlist di sottofondo. Credo nella forza del passaparola, della condivisione delle informazioni, nello scambio di consigli. Se a un concerto scopro qualcosa che non conoscevo io vado via più contento. Spesso gli opening act sono decisi in base a logiche discografiche. E invece sono stato io a scrivere mail, a cercare il
L’ECLETTISMO RESO ARTE Dovrei avere ancora una videocassetta intitolata “Festival di Molin Nuovo 1989”. In quel posto ho trascorso gran parte della mia infanzia e in estate, con gli amici, si improvvisava un festival dove emulare i nostri idoli dinanzi a tutti i paesani divertiti e votanti. Quell’anno mi presentai con bandana al polso, giacca di pelle, cappello texano, jeans sdruciti e maglietta piena di spille a cantare Vasco di Jovanotti. Vinsi con grande acclamazione anche dei più anziani. Se in quel momento qualcuno mi avesse detto: tra 24 anni aprirai i concer-
de
ti di Lorenzo negli stadi, l’avrei preso per pazzo, nemmeno la mente fantasiosa di me bambino osava volare così alto. Questo per dire che sono felicissimo di far parte di questo grande tour che lascerà sicuramente un segno nella musica italiana. Perchè Lorenzo è molto più di un cantautore, è l’eclettismo reso arte. Ha sempre comunicato usando linguaggi (rap, folk, etnico, elettronico) molto più “avanti” rispetto al momento storico in cui li ha resi propri, centrando sempre l’obiettivo primario di chi sceglie questo mestiere:
colpire il cuore e l’anima degli ascoltatori. Proporre in apertura dei concerti un mondo cantautorale come il mio o l’indie-rock dei Tre Allegri Ragazzi Morti, l’hip-hop di Clementino o l’elettronica di celebri dj, significa avere un cuore musicale molto più visionario e innovativo della media (parlando di big). Imparerò tantissimo da questa esperienza e l’ammirazione e la stima verso un artista che ha segnato la mia formazione musicale, con divertimento annesso, si trasformerà in pura e sana commozione.
Il Cile apre i concerti di Jovanotti ad Ancona, Milano, Roma e Pescara. Con la data del 7 giugno ad Ancona parte il tour dell’aretino che andrà avanti tutta l’estate (info su ilcile.com). 34 onstage giugno
contatto, a fare la proposta, puntando a qualcosa di non immediato da ottenere, come nel caso dei Tre Allegri Ragazzi Morti o di certi dj superimpegnati. Dopo che nel 1997 sia i CSI che i 99 Posse accettarono la mia proposta, ho imparato che tutto può succedere e che l’intelligenza non è mai compagna del pregiudizio. Il mio principio è un po’ evangelico, se hai una lampada mettila in un punto che faccia luce; se c’è bella musica falla sentire a tutti, a tutti quelli che puoi. Gli algoritmi di certi servizi musicali online, applicando una sor-
* * * I MAGNIFICI TREDICI. Il Backup Tour 2013 di Jovanotti INIZIA comincia il 7 giugno dallo Stadio del Conero di Ancona. Poi l’11 a Bari, il 15 a Bologna, il 19 e 20 a Milano, il 23 a Firenze e il 28 a Roma, il 2 luglio a Salerno, il 6 a Palermo, il 10 a Pescara TORINO, il 13 a Padova, il 16 a Torino. Gran Finale il 20 luglio all’Arena Fiera di Cagliari.
ta di proprietà transitiva, dicono che se a Jovanotti piacciono i Tre Allegri Ragazzi Morti, e a me piace Jovanotti, mi dovrebbero piacere anche ai TARM. Dove s’interrompe la catena? La catena non c’è. La catena è un’illusione. Non siamo più in un’epoca di catene, oggi è la Rete l’immagine da usare per tentare un approccio. La proprietà transitiva della musica non è una legge, per me. Gli algoritmi che ti mostrano musica che “potrebbe” piacerti quando scarichi un pezzo non sono infallibili, sono attratto dall’idea di consigliare percorsi
! « In America sto cercando me stesso, sperando che continui a sfuggirmi. Sto cercando di migliorarmi, di confrontarmi con panorami diversi, di mettermi in difficoltà »
che nessun algoritmo prevede. è il bello della vita no? I TARM sono una grande band italiana, una delle migliori, e la cosa bella è che abbiano accettato il mio invito, perchè spesso gli algoritmi più prevedibili sono nella nostra testa, ma non in questo caso. Parliamo dello spettacolo. Ti sei ispirato a qualcosa in particolare? Mi sono ispirato all’Epica tentando di portare in scena un’epica contemporanea, partendo dall’Odissea e passando per Django Unchained, Pinocchio, Don Chisciotte, Trinità, Rocky, Saturday Night Fever, Una storia vera di Lynch, le Superchicche, Barry Lyndon, Flashdance, Il Grande Gatsby. Potrei continuare all’infinito! In realtà mi sono ispirato alle mie canzoni a quello che io ci sento dentro. I tuoi spettacoli si caratterizzano soprattutto per l’energia. Questa volta devi averne a sufficienza per più gente di quanta tu abbia mai visto dal palco. Ti sei allenato? Mi sono allenato un sacco! So che dovrei evitare di dirlo perchè è bello pensare che uno salga sul palco venendo direttamente da una suite piena di bottiglie di champagne e tutto l’armamentario del rock’n’roll, ma quella non è la mia storia. La verità è che mi sono allenato come per un’olimpiade e ho seguito ogni fase dell’allestimento, non perchè sia un secchione ma perchè mi piace moltissimo farlo. Cosa ti spaventa maggiormente di questa esperienza? Quali sono i rischi? Il rischio è deludere il pubblico, ma è lo stesso che c’è anche nel club con 20 persone davanti. Quando ho lavorato al massimo - e so che è così - poi vada come vada.
è un grande!
di
Per chi non lo sapesse, sono un rapper piuttosto conosciuto. Ho avuto modo di lavorare con molti artisti del mio mondo (come Fabri Fibra, Marracash e altri) ma anche di altre scene musicali (Negrita, Roy Paci). Nel mio ultimo disco, Mea Culpa, c’è un pezzo che ho avuto l’onore di registrare con il Lorenzo Nazionale. Tutto comincia nel 2010. Il giorno dopo l’uscita del video di La mia musica, un pezzo che parla della storia del rap americano (guardate il video su YouTube... è una bomba!), mi arriva un tweet di Lorenzo che dice testualmente: “Clementino is in the house”. Penso tra me e me: «Com’è possibile che un artista così famoso, del quale anche mia mamma conosce tutti i pezzi, posti un mio video?». Lo ringrazio privatamente e la cosa che mi colpisce maggiormente è la sua immediata risposta, sul web. Di nuovo mi stupisco: “Jovanotti che mi risponde, cose da non credere!». Nel 2012, vado ad Amsterdam per scrivere Mea Culpa e quando Dj Shablo (grande Pablito!) mi passa una base hip hop dal retrogusto “tropicale”, pensiamo subito di inviarla a Lorenzo per vedere se ci onora di un suo giudizio e, soprattutto, della sua voce! Nel testo del brano c’è una citazione tratta da L’ombelico del mondo (“Pelle di ebano di un padre indigeno e occhi smeraldo come il diamante”) e mi è sembrato naturale proporgliela. Dopo averla ascoltata, ci risponde che è preso benissimo e ci invia la sua strofa registrata: così nasce Fratello - Clementino feat. Jovanotti, che fa parte della tracklist di Mea Culpa. E poi questo bellissimo gesto di invitarmi ad aprire due concerti del suo tour negli stadi. Continuo a farmi la stessa domanda. «Com’è possibile che un artista mainstream come lui dia la possibilità a noi dell’underground di diffondere la nostra musica?». Forse non c’è che una semplice risposta: è UN GRANDE!
Clementino apre i concerti di Jovanotti a Salerno e Palermo. Il suo ultimo disco, Mea Culpa, è uscito il 28 maggio 2013. 36 onstage giugno
E su cosa invece ti senti estremamente sicuro? Sul fatto che siamo una squadra pazzesca, e che tra me e la mia gente, tutta la mia gente, in questo momento c’è un gran feeling. Presentando Ora, dicesti che ti attrae la «musica del tuo tempo», dal “qui e ora”. Sul palco vedremo il Lorenzo di oggi che ripercorre la sua carriera o i tanti Lorenzo che abbiamo conosciuto nelle diverse fasi della tua carriera? Mi interessa la musica del mio tempo, e il bello è che oggi la musica del nostro tempo è anche un blues degli anni ‘20 o una registrazione di Enrico Caruso. Il nostro tempo non è più un tempo, è una specie di ipertempo, con tutti i rischi che questo comporta. Il più grosso di questi rischi è quello di finire per esser sopraffatti da una valanga di “presente” che non ci permette più di immaginare scenari futuri. Questo flusso continuo di informazioni può finire per paralizzarci a meno che non si tenti un salto in avanti, fuori dalle chiacchiere, verso qualcosa di più personale, verso la propria storia individuale, qualunque essa sia. l
«« Mi sono allenato tantissimo! È bello pensare che uno salga sul palco direttamente da una suite con bottiglie di champagne e tutto l’armamentario del rock’n’roll. Ma non è la mia storia »
l’uomo N che hai
qui di fronte
(è un altr0 e tu lo sai) Vasco è sempre Vasco. I fan della più grande (ex?) rockstar d’Italia - molti dicono l’unica - amano ripetere questa frase per sottolineare la grandezza del loro idolo: Vasco non cambia perché non li delude mai. Eppure l’uomo che a giugno si riprende i palchi che aveva lasciato due anni fa per i noti guai fisici è molto diverso da quello che è stato nei decenni passati. E non è una questione anagrafica. Ecco come e perché il Blasco è cambiato nel tempo. di Massimo Longoni
38 onstage giugno
el 1984 una giovane Fiorella Mannoia canta Come si cambia. In quello stesso anno Vasco Rossi è già protagonista della scena italiana, nel bene e nel male: perché resta al vertice delle classifiche per molte settimane con l’album dal vivo Va bene, va bene così, ma anche perché viene arrestato per possesso di cocaina facendosi 22 giorni di carcere, di cui 5 di isolamento. Qual è la connessione di Vasco con il brano della Mannoia? Trent’anni dopo, nel presentare i concerti che segnano il suo ritorno sul palco, è lui a citarlo. “Come si cambia / per non morire / come si cambia / per amore”, e se c’è qualcuno che in questi anni è cambiato è sicuramente il rocker di Zocca. Per scelta e per necessità. Il Komandante è pronto a riprendersi le folle urlanti e gli stadi d’Italia al termine del suo periodo più difficile: questa volta non si è trattato di sbandate, eccessi, voglia di trasgredire. Niente alcol, cocaina o anfetamine. Per un anno Vasco è stato appeso a un filo per un’infezione batterica che ha tentato in tutti i modi di metterlo al tappeto. Un calvario iniziato nel giugno del 2011, durante la seconda data milanese del Live Kom 011: il dolore acuto alla schiena, il concerto che viene accorciato. Poi gli esami, la costola fratturata, l’infezione e il tour che salta, con le condizioni di salute che non migliorano, anzi. Tutto vissuto tra la scarsità di notizie precise e i numerosi interventi di Vasco in prima persona, attraverso Facebook. A un passo dalla morte e ritorno. Impossibile non guardare la vita con occhi diversi dopo un’esperienza così. «Si cambia sempre» ha spiegato lui di recente. «La vita è un continuo cambiamento, ogni giorno sei un po’ diverso e un po’ uguale a quello che eri il giorno prima. Per fortuna! Perché se uno rimanesse sempre lo stesso diventerebbe una macchietta».
LA VOCE DI UNA GENERAZIONE Quello degli ultimi tempi è un Vasco umanizzato: non più quello chiuso nell’Olimpo delle rockstar, con le uscite pubbliche centellinate tra interviste ad amici fidati (come Red Ronnie) o la classica promozione in occasione di eventi, ma un fiume in piena di commenti, scherzi, battute, pensieri buttato su Facebook in diretto contatto con i fan, quasi a portarli sempre più vicino alla sua sfera intima. Il suo non è certo un mutamento improvviso. Le prime avvisaglie nel cambio di registro degli album pubblicati tra il 2001 e il 2011. Non a caso un decennio, come tutte le fasi della carriera di Vasco, che hanno avuto bisogno di questo arco di tempo per svilupparsi e compiersi. Prendere in considerazione la produzione del cantante emiliano da Stupido Hotel a Vivere o niente, significa avere a che fare con un artista decisamente diverso da quello prima esploso e poi affermatosi, negli anni ‘80 e ‘90: i primi sono quelli, tra eccessi e trasgressioni, in cui diventa la voce di una generazione senza più punti di riferimento, per scelta o per caso. Giovani che “non hanno più rispetto per niente”. Sono gli anni in cui Vasco dice di cantare «quello che i ragazzi canterebbero se non lo cantassi io. Hanno paura del buio come me e cantano per farsi coraggio». Ci sono la ribellione e la rivoluzione, ma anche una certa dose di nichilismo. Sono gli anni in cui Vasco non è ancora la rockstar più riverita d’Italia, ma quella più mitizzata (dai fan) e al tempo stesso dileggiata e additata come cattivo esempio (dai “benpensanti”). E i due arresti che deve affrontare contribuiscono ad accrescere questa immagine.
SETTE BELLO. Prima due, poi tre, poi quattro, poi… sette. Ma fosse dipeso dal pubblico, le date del Live Kom 2013 potevano essere molte di più. Appuntamento allo Stadio Olimpico di Torino il 9, 10, 14 e 15 giugno e al Dall’Ara di Bologna il 22,23 e 26.
Con Liberi liberi (1989) si apre invece il decennio della libertà. Alle soglie dei quarant’anni Vasco si trova senza più la band che lo aveva accompagnato e senza Guido Elmi, il produttore che lo aveva spalleggiato. Eppure va avanti come se nulla fosse. È un uomo maturo, inizia la fase dei trionfi sempre più grandi negli stadi e nelle arene all’aperto e la “vita spericolata” sembra già un ricordo. E alla fine, tanto Elmi che i musicisti, torneranno all’ovile.
USCIRE DALLO STEROTIPO Gli anni 2000 invece, sono quelli della solitudine, dello sguardo gettato in modo insistito verso il proprio privato. Vasco parla di sé sempre più spesso, ed è sempre meno il cantore dei giovani ribelli che si sen-
«La vita è un continuo cambiamento, ogni giorno sei un po’ diverso e un po’ uguale a quello che eri il giorno prima. Per fortuna! Perché altrimenti diventeremmo delle macchiette» tono contro gran parte della società. Una metamorfosi, lenta ma precisa, nella quale sono racchiusi i significati di una dichiarazione come quella sulle “dimissioni da rockstar”, annunciate tempo fa e poi ritirate “perché non sono state accettate”. Una battuta, ma che racchiude un
desiderio preciso. «Volevo uscire un po’ dallo stereotipo della rockstar. Dopo trent’anni di straordinaria storia volevo chiudere in bellezza» ha spiegato lui durante un’intervista radiofonica rilasciata a marzo. Questa straordinaria vicenda inizia a fine anni ‘70 creando una frattura enorme con il panorama cantautorale italiano: se i cantautori storici hanno abituato a una canzone di parola, dove il testo rappresenta quasi tutto e si lascia poco spazio all’arrangiamento musicale e quasi nullo a quello della cura dello spettacolo, il Komandante ribalta i canoni. «I miei miti erano i Rolling Stones, ma mi sono ispirato anche alla Pfm, che dava grande importanza alla musica, o ai Pooh, che facevano un grande spettacolo, con luci, laser e quant’altro» ha detto. «Volevo recuperare l’aspetto spettacolare, usare un linguaggio nuovo, che era quello del rock, che non era nostro. A quel punto anche l’atteggiamento sul palco e nella vita era conseguente». Atteggiamento che non è certo recitazione ma un modo di vivere, e che negli ultimi anni a Vasco inizia ad andare stretto. E così ecco il cambiamento. Che, al netto della popolarità sempre altissima e dei concerti sold out, gli costa la fedeltà di qualche fan e le bacchettate di qualche critico. Qualcuno inizia ad accusarlo di essere diventato la parodia di se stesso, di “recitare Vasco”, con testi che non hanno più la carica emotiva (ma anche il messaggio potente) dei primi tempi e che sembrano sempre più ridondanti di alcuni “marchi di fabbrica” usati in modo gratuito. Tra questi le famose vocali, che Vasco difende a spada tratta: «Sul fronte dei testi ho cercato di asciugare il più possibile» ha affermato. «Un po’ quello che è stato fatto in letteratura con il minimalismo.
SQUADRA CHE VINCE NON SI CAMBIA. Per il tour 2013, Vasco si affida alla formazione tipo degli ultimi anni: Steff Burns (chitarre), Maurizio Solieri (chitarre), Matt Laugh (batteria), Claudio Golinelli (basso), Alberto Rocchetti (tastiere), Frank Nemola (programmazione e fiati), Andrea Innesto (sax) e Clara Moroni (cori). 40 onstage giugno
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Frasi ripetute, sintetiche ma non superficiali. Qualcuno mi prende in giro per gli oooh e gli eeeh... ma per me sono pieni di significato, non sono buttati a caso».
DISILLUSIONE TOTALE Le critiche non colgono il mutare delle sfumature nelle sue canzoni. A partire da Stupido Hotel, il primo album realizzato senza avere accanto Massimo Riva, una perdita profonda e dolorosa, non sanabile come era avvenuto per la lite che aveva portato alla rottura con la Steve Rogers Band a fine anni ‘80. Dalla constatazione che Siamo soli alla ricerca di un “senso in questa vita anche se un senso non ce l’ha”, per arrivare al Mondo che vorrei, un mondo desiderato ma impossibile da ottenere: la disillusione è totale, l’introspezione spesso dolorosa. Anche perché il mondo di cui parla non è quello universale, ma quello del suo particolare, il microcosmo di casa Rossi. Divoratore di libri di filosofia e psicanalisi Vasco non ha mai voluto affidarsi all’analisi riversando nei testi delle sue canzoni confessioni e conti con la propria esistenza. E allora non stupisce la confessione, arrivata tanto per cambiare via Facebook, che Vasco fa nell’agosto del 2011, agli albori del suo calvario fisico. «Assumo da tempo un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci ansiolitici, vitamine e altro, studiato da una equipe di medici, che mi mantiene in questo equilibrio accettabile. Se sono vivo lo devo a loro e a questa valanga di chimica che assumo».
TELECAMERA } UN ANIMALE DA “Clippino”. C’è stato un periodo in cui quella parola è diventata quasi un tormentone, peggio di una canzone estiva. Dalla seconda metà del 2011 in poi, dalle tanto discusse “Dimissioni da rockstar”, ci si chiedeva: quando esce il prossimo clippino di Vasco su Facebook? Giornali e siti pronti a rilanciare ogni cosa che Vasco filmava dalla sua stanzetta e metteva lui, in prima persona, sulla sua pagina. Senza filtri (dimenticatevi uffici stampa, case discografiche etc.), Vasco parlava direttamente ai suoi fan, dicendo esattamente quello che gli passava per la testa, e i media impazzivano. Come capita quasi sempre, quando lui apre bocca di fronte ad una telecamera o al taccuino di un giornalista. Perché Vasco è un’animale da palcoscenico. Ma è anche un animale da telecamera - buca lo schermo, come si dice. Lo bucava 30 anni fa: nel 1982 andò a
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Per poi concludere che senza questo non avrebbe superato «tutte le consapevolezze, le sofferenze e la profonda depressione nella quale ero sprofondato nel 2001». Certi versi, come quelli di E adesso che tocca a me (“Adesso che non ho / più le mie illusioni / che cosa me ne frega /
«Ultimamente cerco frasi ripetute, sintetiche ma non superficiali. Qualcuno mi prende in giro per gli “oooh” e gli “eeeh”, ma per me sono pieni di significato, non sono buttati a caso» della realtà?”), o di Vivere o niente (“Io non ho voglia più / di fare finta che / vada tutto bene”) erano stati un chiaro segnale di sofferenza. Nel 2013 Vasco è tornato con L’uomo più semplice, un pezzo che appartiene alla vena più scanzonata, quasi un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni. «C’è bisogno di leggerezza» dice lui, e il brano leggero lo è sicuramente. Il nuovo Vasco si muove come il Bill Murray di Tutte le manie di Bob, facendo passi di bimbo. “Il mio obiettivo - ha spiegato presentando i sette concerti di Torino e Bologna - è di fare queste date, arrivare vivo, sano e lucido fino a giugno. Il futuro si vedrà». Di una cosa siamo certi: porterà un nuovo cambiamento. l
Fin dal suo esordio, il rapporto di Vasco con i media è stato sempre particolare. Ce ne parla un esperto.
Sanremo, si rubò il microfono e lo fece cadere rumorosamente, risvegliando il pubblico - lo avrebbe restituito 25 anni dopo, nel 2005, da superospite. Vasco buca lo schermo adesso, in altri modi, in altri spazi. Il rapporto di Vasco con i media è lungo, complesso, come lo è inevitabilmente per un artista del suo livello. Fin dalla famosa sfuriata contro “quel tale che scrive sul giornale” - Nantas Salvalaggio che lo aveva visto in TV e gli aveva dato del drogato su un quotidiano. Per arrivare ai giorni nostri, dove saggiamente - si presta meno ai media “tradizionali”, centellinando interviste e apparizioni. Salvo concedersi con generosità alla rete. Sono i media che sono ossessionati da Vasco - come dimostrano le infinite chiacchiere sul suo stato di salute. Non è Vasco ad essere ossessionato
dai media. Vasco non è un divo, lontano, distante, irrangiungibile - anzi, è vicinissimo, come la stagione dei clippini dimostra. Risponde - parla con il suo pubblico. Reagisce, quando è il caso spesso risponde per le rime, quando qualche giornalista dice qualcosa che non gli quadra. Spesso sono i fan più intrasigenti ad essere più realisti del re, e a reagire con violenza alle critiche verso il “Komandante”. Lui no, magari non ci sta. Ma sotto sotto si diverte dietro la telecamera e dietro la tastiera quasi quanto sul palco. Quasi.
Gianni Sibilla Giornalista e coordinatore del Master in Comunicazione musicale dell’Università Cattolica di Milano
SZIGET isola di LIBERTà Per fare un grande festival non basta la musica. Ci vuole molto di più. È questo il principio su cui il Sziget Festival ha costruito la sua fama a livello mondiale e i suoi successi di pubblico. Centinaia di concerti, dj set e infiniti momenti di intrattenimento segnano le giornate sull’isola di Obuda, un pezzo di terra sul Danubio che bagna Budapest. Tutto all’insegna del rispetto delle diversità culturali e dei servizi. L’appuntamento è dal 5 al 12 agosto. di Jacopo Casati
D
a qualche anno, Sziget Festival fa rima con vacanza alternativa per chi ama la musica e i festival open air. Questa realtà ungherese, cresciuta esponenzialmente dalla prima edizione(del 1993) in poi, è oggi uno dei nomi di punta del cartellone continentale ,in grado di affiancarsi senza timori reverenziali a eventi come Glastonbury, Download Festival, Rock Am Ring e via dicendo. Eccellenze che rappresentano riferimenti impor tanti,
per chi cerca un’esperienza ben più ampia dei concer ti e desidera immergersi in atmosfere caratteristiche, inserendosi all’interno di quello che diventa un mondo a par te per qualche giorno. Il Sziget ha aumentato la propria popolarità puntando su servizi e attività collaterali agli show che hanno obiettivamente pochi rivali sulla piazza. L’Isola di Obuda (lontana pochissimi chilometri dal centro di Budapest) ha ospitato nella scorsa edizione quasi quattrocentomila
« Sziget vuole caratterizzarsi per l’offerta varia e l’esaltazione
delle diversità culturali, per la qualità dei servizi, per l’atmosfera, per l’ottimo rapporto qualità prezzo» Karoly Gerendai (creatore Sziget)
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persone, riunite sia dalla passione per la musica, sia da quella per i par ty e per il diver timento in genere. Ed è proprio sotto questa bandiera che iniziò l’avventura di un gruppo di giovani, vogliosi di realizzare un raduno che nel corso del tempo è diventato il festival più grande d’Europa. Vent’anni fa, Peter Müller Sziámi e Karoly Gerendai crearono quella che venne rinominata la “Woodstock sul Danubio”. Quest’ultimo ricorda che all’epoca « la parola chiave era “liber tà”, addirittura non avevamo un’idea chiara su come organizzare un vero festival ma sapevamo che quello che andavamo a costruire era un avvenimento dove ognuno, senza costrizioni, avrebbe potuto lasciare a casa i problemi di ogni giorno vivendo e diver tendosi per una settimana in pace e felicità ». Nacque così la sette giorni di festa e delirio che quest’anno si svolgerà dal 5 al 12 agosto 2013, all’interno della quale si esibiranno tra gli altri anche act di primissima fascia come Nick Cave, Franz Ferdinand, Skunk Anansie, Bad Religion, Biffy Clyro, Dizzee Rascal, Blur, Editors, Mika, David Guetta, John Digweed, Bat for LAshes e i nostri Afterhours. Centinaia di concer ti, spettacoli e diversi palchi tuttavia non basterebbero a giustificare il successo della manifestazione. Non per nulla, prosegue Gerendai, “ oggi non solo in Europa o nel mondo, ma anche nella stessa Ungheria, ci sono tantissimi festival che diventano sempre più grandi ma che alla fine hanno più o meno sempre gli stessi programmi. L’unica maniera per sopravvivere in questo mercato è offrire un’atmosfera unica e riconoscibile; il Sziget, con i suoi prezzi d’ingresso relativamente bassi, non può competere con altri eventi internazionali i cui budget possono permettere l’ingaggio delle superstar dello showbusiness. Al contrario il Sziget vuole caratterizzarsi per l’offer ta varia e l’esaltazione delle diversità culturali, per la qualità dei servizi, per l’atmosfera, per l’ottimo rappor to qualità prezzo. Questa nostra visione ha dato i primi frutti con l’affermazione di Best Major European Festival nel 2011. Il nostro obiettivo è diventare un “experience-festival” in grado di offrire al pubblico esperienze straordinarie e indimenticabili. Questa impostazione vincente l’abbiamo trasferita anche ad altri due festival che organizziamo, il Volt e il Mastercard Balaton Sound ”. Per gli amanti dell’e-music e della dance questo ultimo festival è davvero un appuntamento immancabile tanto che negli ultimi cinque anni ha regolarmente registrato il sold out e quest’anno l’ha annunciato ben due mesi prima dell’inizio della manifestazione: merito della location, le spiagge di Zamàrdi ma anche di una line up ben pensata (Prodigy, Calvin Harris, Bloody Beetroots, Justice, Steve Aoki, fra gli al-
BUDAPEST PERLA DEL DANUBIO Budapest, è l’unica grande metropoli europea ad ospitare un festival così importante e grande come il Sziget Festival. Fortissima è la relazione fra città e festival: il City pass è un servizio aggiuntivo offerto agli ospiti del Sziget, i così detti szitizens, che permette di muoversi gratuitamente con i mezzi pubblici cittadini, di raggiungere la città in battello, di accedere a musei, stabilimenti termali e spiagge, di fruire di altre attrazioni e servizi turistici a tariffe scontate. E le attrazioni sono davvero tante: Budapest è una delle più belle capitali d’Europa e una meta turistica fra le più ambite, la venticinquesima città più visitata al mondo. Oltre ai meravigliosi ponti sul Danubio, al maestoso Parlamento, al Palazzo Reale e al Museo di Belle Arti, in più punti della città sorgono impianti termali e spiagge che offrono relax e tranquillità dopo le fatiche del Sziget Festival. Per i giovani e per i turisti più curiosi ci sono mille bellezze nascoste, basta inoltrarsi nei vicoli del quartiere ebraico e nei suoi bellissimi cortili o fra le misteriose stradine del Castello di Buda. Per i giovani, poi, una attrazione in più di gran moda negli ultimi anni, i ‘ruin bar’, locali e pub costruiti in palazzi abbandonati e diroccati in pieno centro di città. Raggiungere la capitale ungherese dall’Italia non è difficile. In occasione del Sziget ci sono viaggi organizzati in autobus da ben 15 città , voli diretti con compagnie aeree low cost e partenze da Roma, Milano, Treviso, Bari, Napoli, Catania e Pisa e, per chi viaggia in macchina, una comoda autostrada: Budapest dista solo 550 KM da Trieste e non ci sono frontiere da passare. Per ulteriori informazioni: http://it.gotohungary.com/
Il celebre Ponte delle Catene. Sullo sfondo il Palazzo Reale di Budapest
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CE N’è PER TUTTI I GUSTI. La parte del leone degli act musicali del Sziget 2013 la farà probabilmente David Guetta, seguito a ruota da Blur, Franz Ferdinand, Nick Cave & The Bad Seeds, Skunk Anansie, Mika, Editors, Biffy Clyro, Dizzee Rascal. Grande la varietà di generi presente alla kermesse: si andrà dal punk melodico old style dei Bad Religion, alle fiammate post hardcore degli Enter Shikari, dal rock dei Gaslight Anthem all’alt-country dei Calexico. E ancora tra i tantissimi altri Chase & Status, Ska-P, Kusturica e i nostrani Afterhours e Linea77. Impossibile annoiarsi.
Con il palco di Puglia Sounds Mambo Stage, la musica italiana è protagonista al Sziget Il Puglia Sounds Mambo Stage è uno dei palchi più attivi all’interno del Sziget Festival. Racconta Giulio D’Angelo, Responsabile relazioni internazionali e stampa de L’Alternativa (promoter del festival in Italia dal 2004), di come “in collaborazione con Puglia Sounds abbiamo dato vita ad uno spazio che ospita un mix tra i nomi più rappresentativi della musica italiana e alcuni dei progetti più interessanti della nuova scena musicale della Puglia, una delle regione italiane più attive in ambito musicale. E a questo si aggiunge la possibilità per gli artisti emergenti di tutta Italia di essere inseriti nella line-up dello stage tramite il Sziget Sound Fest, un contest giunto alla decima edizione». Un successo crescente quindi che nell’edizione 2013 proporrà band di prestigio come Linea 77, Mellow Mood,
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Lnripley, Punkreas, Iori’s eyes, Rezophonic, Kalàscima, Redrum Alone, Crifiu, e molti altri. Ma il sodalizio con la Puglia va oltre la musica: quest’anno l’area del Puglia Sounds Mambo Stage ospiterà il Puglia Village al cui interno troveranno spazio laboratori su Pizzica e Tarantella, workshop sulla cucina tipica e laboratori sulla costruzione del tamburello (icona della tradizione musicale salentina). Queste attività sono organizzate con il supporto di Puglia promozione.Anche quest’anno nei due Mambo Restaurant si potrà mangiare buona cucina italiana tra un concerto e l’altro e si potrà utilizzare L’Alternativ(a) Camping, un campeggio riservato con servizi aggiuntivi rispetto alle altre aree di sosta, capace di ospitare oltre duemila campeggiatori.
tri). Ma torniamo al Sziget: l’Isola della Liber tà (questa la definizione per l’edizione 2013) punta quest’anno ad aumentare ulteriormente quel contorno già citato, che si concretizzerà per esempio nell’agibilità della spiaggia allestita sulle rive del Danubio, piuttosto che nella rinnovata ruotona panoramica (Sziget Eye) che raggiungerà l’altezza di 60 metri, o ancora nell’iniziativa Cirque du Sziget, che proporrà spettacoli ed esibizioni ispirate alle atmosfere circensi di fine Ottocento. Par ticolare attenzione sarà inoltre dedicata a speciali installazioni e illuminazioni di alcune zone del Festival, il cui momento clou sarà l’End Show sul Main Stage, durante il dj set di David Guetta. Ai programmi previsti sul Main Stage e sul World Music main stage si abbinano altre location altrettanto interessanti: la magica tenda A38 con i suoi programmi super alternativi, la tenda tzigana, l’Africa village, l’Irish Pub Stage e il Tribute Stage, o ancora il “nostro” Puglia Sounds Mambo Stage (vedi box), gestito da L’Alternativa in collaborazione con Puglia Sounds, organizzazione che tra le numerose attività promuove il Medimex, l’unica fiera musicale internazionale in Italia che si svolgerà a Bari dal 6 all’8 dicembre. Complicato continuare a elencare tutto ciò che si potrà trovare sull’Isola di Obuda ad agosto, tuttavia essenziale sottolineare come nella location ci si dovrà muovere solamente a piedi, nel rispetto di natura e ambiente circostante, e di come allo stesso tempo la presenza del Citypass, braccialetto riservato agli spettatori dell’evento, permetterà al pubblico di spostarsi gratuitamente sui traspor ti di Budapest e raggiungere agevolmente il festival anche in battello. Un festival a 360 gradi quindi, che rappresenta un’eccezione impor tante, che rivede il concetto dei concerti all’aper to raggruppati in un weekend e che colpisce l’immaginario giovanile e collettivo, offrendo una non stop musicale ricchissima di generi diversi ma anche una serie di alternative degne da villaggio vacanze, mischiando il tutto con un’affluenza ormai da record e un sentimento condiviso di comunità globale che, per i rimanenti 358 giorni dell’anno, è cer tamente utopico a ogni latitudine. Nell’anno in cui in Italia non si svolgeranno manifestazioni storiche come Heineken Jammin’ Festival e il Gods Of Metal (già di base tuttavia molto lontani dal Sziget), l’alternativa nazionale alla relativamente vicina Budapest si chiama Home Festival, realtà emergente trevigiana che si ispira all’istituzione Ungherese e che, giunta alla quar ta edizione, può avere interessanti e ampi margini di miglioramento nel prossimo futuro.
HOME FESTIVAL - TREVISO - EUROPA Un evento gratuito, in rapida crescita e costante espansione. L’Home Festival, che quest’anno si svolgerà a Treviso dal 5 all’8 settembre 2013, giunge al quarto anno l’Home Festival, di vita. Esperienza globale, buona musica, evento gratis e affinità col Sziget: abbiamo parlato di tutto questo con Amedeo Lombardi, mente della Home Bar Srl e della kermesse in questione. Qual è l’idea alla base di un progetto come l’Home Festival? L’idea nasce dalla volontà di voler proporre e creare una manifestazione simile a quelle che, girando per l’Europa e nel resto del Mondo, ho frequentato per anni. Non una semplice rassegna di concerti, ma una sorta di “casa” dove la musica sia il collante di un’infinità di attività, che hanno come risultato quello che di creare emozioni e principalmente una crescita personale. Il concept del nostro progetto è il “Feel like home”, letteralmente “sentirsi a casa”: significa creare un luogo dove vivere il proprio tempo in maniera naturale senza pensieri ma con l’unica volontà di star bene e condividere con altre persone la stessa passione. L’anno scorso ci sono state 85mila presenze, quest’anno che affluenza ti aspetti? E ancora, quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano nel mettere insieme questo evento? Siamo sicuri che ci saranno più presenze sulla scia del successo dello scorso anno. Il nostro obiettivo è far si che arrivi gente da tutta Italia, e prima o poi da tutta Europa per vedere concerti e spettacoli sempre diversi con servizi all’altezza, in modo da percepire il “Feel like home”. Le complessità sono tant ema affrontabili. È difficile fare cambiare le idee. Ci si scontra con la cecità di alcune agenzie artistiche, con la chiusura mentale delle persone, con la politica, la burocrazia e la scarsa capacità di investitori e associazioni di categoria, che non capiscono il potenziale e l’indotto che crea e può creare. Viviamo in un paese “stagnato” in cui le innovazioni, anche se di successo, sono sempre viste come destabilizzanti. Quali affinità riscontri con il Sziget? Pensi che il modello da loro proposto sia migliore di altri? Quest’anno il Sziget utilizza il claim “Island of freedom”. Il concept che sta alla base è la libertà in ogni sua sfaccettatura ed è questo che noi cerchiamo di ricreare qui in Italia. Come affinità c’è la volontà di creare una manifestazione che abbia come comune denominatore la musica, pretesto per essere un motivo per andare a visitare una città, effettuare un periodo di vacanza, un viaggio a tutto tondo.
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.MACCHINA
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ltre a essere un ottimo produttore e membro dei Calibro 35, progetto unico nel panorama nazionale, Tommaso è anche e soprattutto un pregiato tecnico di studio. Proprio questo suo talento l’ha portato a divenire, nel corso degli anni, uno dei più stretti collaboratori di Matt Bellamy e compagni, membro di un entourage ristrettissimo e “famigliare”, che contribuisce in maniera decisiva al successo della macchina chiamata Muse. Per questo motivo, la lunghissima chiacchierata che ho fatto con Colliva ci offre una prospettiva inedita di uno dei fenomeni rock di maggior successo degli ultimi 15 anni. Tommi, partiamo dall’inizio, che dici? Raccontaci come sei venuto in contatto coi Muse e come hai cominciato a lavorare con loro. Ho iniziato quasi otto anni fa, a dicembre 2005. A
quel tempo lavoravo come fonico residente alle Officine Meccaniche, lo studio di Mauro Pagani, qui a Milano, ed ero il più anziano in carica. Quando è arrivata la notizia che i Muse assieme a Rich Costey, un produttore che adoro, sarebbero passati a registrare alcune parti del disco, soprattutto le voci, mi hanno coinvolto come assistente di registrazione. Erano circa a metà del lavoro di Black Holes And Revelations, ma piuttosto in ritardo con i tempi, e Matt aveva pianificato un suo trasferimento in Italia a seguito della sua fidanzata di allora, che abitava a Como. Insomma, i Muse capitano in studio, ci restano più del dovuto e quindi faccio in tempo a conoscerli bene di persona e a instaurare un ottimo rapporto sia lavorativo che personale. Alle Officine succedeva, e succede tuttora, anche questo, ci passa gente davvero famosa, da Erykah Badu a Lady Gaga. Pensa che il giorno prima che arrivassero i Muse
PERFETTA
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muse
Con un disco ancora caldo da presentare, l’ambizioso The 2nd Law, tornano in Italia i Muse, una delle più incredibili live band del mondo. Per celebrare degnamente i prossimi tre show, ci siamo affidati a qualcuno che conosce molto bene la band inglese, l’italianissimo Tommaso Colliva, che ci ha offerto un punto di vista personale e molto interessante per capire la perfezione della macchina Muse. di Stefano Gilardino
avevo registrato con i Franz Ferdinand. La collaborazione con Matt Bellamy è stata immediata, vero? Esatto, aveva appena comprato una casa con un’enorme cantina che voleva trasformare prima in sala prove e poi, con aggiustamenti adeguati, anche in uno studio di registrazione vero e proprio. Quindi mi ha chiesto di occuparmi personalmente di questi due passaggi a cui, in seguito, se n’è aggiunto un terzo, ovvero quello della trasposizione del loro suono dallo studio al live, una faccenda molto complicata, come puoi capire se ti è capitato di vederli suonare almeno una volta. In effetti è difficile trovare di meglio, soprattutto paragonandoli alle megaproduzioni attuali. Hanno un impatto incredibile dal vivo. E tieni conto che non solo devono competere con gruppi rock potenti e che puntano sull’impatto del
suono, ma anche con grosse produzioni pop come quelle di Robbie Williams o Justin Timberlake, per fare due nomi a caso. Poco tempo fa sono stato con loro ai Brit Awards e, a parte il fatto che sono stati gli unici a suonare interamente live, hanno tenuto testa a tutti gli artisti che si sono esibiti in un contesto «I Muse sul palco sono una rock band eccezionale. Sono dei musicisti tecnicamente pazzeschi e quindi, da fuori, pare tutto molto semplice. Ma posso assicurare che non lo è per niente»
altamente spettacolare come quello, che punta quasi esclusivamente sull’esibizione e non sulla musica in senso stretto. Timberlake aveva venti ballerini, Emeli Sandé dei trapezisti che facevano uno show mentre lei cantava, i Muse erano in tre sul palco e hanno dimo-
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strato di essere una rock band eccezionale. Va da sé che loro sono dei musicisti tecnicamente pazzeschi e quindi, da fuori, pare tutto molto semplice. Posso assicurare che non lo è per niente! Tornando al tuo lavoro, The Resistance, il disco successivo, è stato quello che ha sancito in maniera definitiva la tua collaborazione col gruppo. Sono stato coinvolto fin dall’inizio e c’è stato un lunghissimo lavoro di preparazione. Siamo partiti pensando di usare lo studio di Como solo come quartier generale per la pre-produzione di The Resistance e, alla fine, l’abbiamo quasi interamente registrato lì, con i Muse come produttori e io come tecnico tuttofare. È stato bello poter disporre del tempo in maniera totale, senza l’assillo di dover pagare un affitto o un produttore, anche se certamente è inusuale costruire un piccolo studio « Potrebbero permettersi qualunque produttore al mondo ma preferiscono lavorare con un team interno molto ristretto. Gli ultimi due dischi li abbiamo fatti in cinque: tre musicisti, io e un altro fonico »
casalingo e finire per registrarci, come prima cosa, un album di livello mondiale come quello. La sensazione che se ne ricava è quella di un gruppo che non ama troppo le luci della ribalta e con un forte senso di famiglia e legami. È proprio così, perché se ci pensi i Muse potrebbero permettersi qualunque produttore al mondo, da Rick Rubin in giù, mentre invece preferiscono lavorare con un team interno molto ristretto. Tra l’altro, recentemente abbiamo registrato a Los Angeles un pezzo proprio nello studio di Rubin e il suo tecnico ci raccontava della sua esperienza con i Metallica. Ogni giorno arrivava una cinquantina di persone, con i quattro musicisti che coordinavano un’infinità di gente, ognuna con compiti specifici in questa specie di grande corporate in cui si sono trasformati.
Ecco, tu pensa che gli ultimi due dischi dei Muse li abbiamo fatti in cinque: tre musicisti, io e un altro fonico. Una bella differenza, no? Adesso però vuoi svelarci qual è la tua reale qualifica lavorativa? (risate) È cresciuta nel tempo. Su Black Holes era “additional recordings”, su The Resistance “additional recording and musical set-up”, mentre sull’ultimo album, The 2nd Law, è “additional production and musical set-up”. I Muse sono davvero una bella sfida, per quel che mi riguarda, Matt è un turbine d’idee, posso garantire che è davvero un artista incredibile, ma il bello sta proprio nel riuscire a seguirlo e a sperimentare con lui. Io sono fortunato ad avere esperienza sia in campo live che in studio di registrazione, non sempre succede, anzi spesso è il contrario. Ad altissimi livelli, chi si occupa degli amplificatori per un concerto, non sa nulla di ciò che succede in studio e viceversa. Io, anche per una questione pratica - in Italia ci sono pochi soldi e quindi uno si arrangia un po’ con tutto - sono in grado di fare entrambe le cose e questo mi aiuta molto. In ogni caso tu non vai mai in tour con il gruppo. No, ci sono andato solo per sei mesi dopo l’uscita di The Resistance. Diciamo che l’ho dovuto fare anche perché durante la registrazione avevamo cambiato parecchi settaggi negli strumenti tipo i synth e i suoni della batteria elettronica e io ero l’unico che li conosceva alla perfezione. Allora sono partito per Londra con la band e mi sono imbarcato in questi sei mesi di tour. Che livello di complessità ha uno show dei Muse? Altissimo, a livello di quelli di rockstar planetarie tipo Coldplay o U2. Devi pensare che non c’è solamente la musica, che già di per sé è molto complessa, ma anche i video, le luci, lo show in generale. Appena cambi un dettaglio, tutto deve essere modificato di conseguenza, per cui serve avere delle basi molto solide ma, allo stesso tempo, flessibili. Matt, per farti un esempio, ha parecchie postazioni sul palco, in modo da potersi muovere a seconda dei casi e dei pezzi. E in ogni postazione serve un
MAGIC NUMBER. 3 è il numero perfetto. 3 come le date dei Muse in Italia: 28 e 29 giugno all’Olimpico di Torino e 6 luglio all’Olimpico di Roma. 50 onstage giugno
microfono, la sua pedaliera con gli effetti, lo stesso identico settaggio. Insomma, sembra facile ma è molto complicato, tutto deve funzionare alla perfezione per poter garantire uno spettacolo efficace. C’è da dire che, raggiunto quel livello di professionalità, è praticamente impossibile che si verifichino degli sbagli a meno di qualche colpo di sfortuna. Vista la difficoltà di tutto ciò che succede sul palco, viene da chiedersi quanto si divertano i Muse suonare dal vivo. In verità non ne ho idea (ride, nda). Quello di cui sono certo è che la situazione è enormemente stressante: come musicista dipendi da una tale quantità di cose che possono anche andare storte che magari il divertimento diminuisce per lasciare posto a una certa ansia. C’è un pubblico che ha pagato parecchi soldi per un biglietto e per cui, magari, questo sarà il concerto dell’anno o, addirittura, della vita, e non puoi permetterti uno sbaglio. Diciamo che i Muse hanno una percentuale di errore prossima allo zero e difficilmente i loro concerti deludono, ma questo è interamente merito dei tre musicisti e del duro lavoro che ci sta dietro.
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Non per niente hanno vinto un’infinità di premi come “best live act”. Senza falsa modestia, quanto c’è di tuo in un disco dei Muse come The 2nd Law? Non so davvero dirtelo, sono sincero. La band arriva con i pezzi già quasi pronti, ormai loro tre sono abituati a una pre-produzione di livelli altissimi, quindi posso dire che di mio ci sia un contributo soprattutto tecnico. Più nella metodologia di lavoro che negli ingredienti, ma sono orgoglioso di aver contribuito a consolidare un modo di lavorare che, guardando ai risultati, funziona bene. Per concludere, ti è mai capitato che non ti piacesse un pezzo dell’album a cui stavi lavorando? Per fortuna no. Non voglio dire che m’innamoro di ogni gruppo con cui collaboro, ma coi Muse c’è proprio una sintonia particolare e di loro apprezzo tutto quanto, anche grazie a un rapporto umano molto particolare. Da fan, mi piacciono moltissimo i dischi che hanno fatto ed è, ovviamente, un onore poterci collaborare. l
AMORE ETERNO
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di Daniele Salomone
L
a prima volta che li ho visti dal vivo, conoscevo giusto un paio di pezzi dei Muse. Avevo letto e ascoltato qualcosa sul loro conto. Ma tutto quel decantarne le lodi aveva provocato in me - strenue difensore dell’inarrivabile superiorità del rock anni 70 - un netto rifiuto. Poi quel concerto, convinto da un amico a cui devo molto della mia educazione musicale. Dicembre 2006, Forum di Assago (Milano). Qualche mese dopo l’uscita di Black Holes & Revelations. Entusiasmante. La presenza vocale di Matt Bellamy, il suo estro chitarristico e il carisma sul palco, la potenza della sezione ritmica di Dominic Howard e Chris Wolstenholme. I visual spettacolari e mai prepotenti. Grandi mezzi al servizio di grandi canzo-
I Muse in studio: il primo da sinistra è Tommaso Colliva 52 onstage giugno
ni, vanity free. Tutto era puro godimento per i miei organi sensoriali. Ascoltavo musica che mai avevo sentito prima e non me ne importava nulla. Stavo assistendo a una manifestazione di superiorità assoluta, alla migliore approssimazione possibile del concetto di perfezione applicato alla musica. Persino suoni e volume, un grande problema dei live in Italia, erano ottimi. Quella sera mi sono innamorato dei Muse, della loro grandezza, e gli ho giurato amore eterno. Si è detto e scritto molte volte, anche su queste pagine, che sono i concerti a stabilire un vero legame tra pubblico e artisti perché dal vivo non ci sono filtri, anche con tutti gli artifici possibili e immaginabili. Non esiste verità più vera di questa.
BON
JOVI 54 onstage giugno
Con il Because We Can Tour 2013, che segue l’uscita dell’ultimo album (What About Now), i Bon Jovi approdano per la prima volta a San Siro. Un concerto attesissimo, dai fan e dalla stessa band, che rischia però di essere “rovinato” da un’assenza importante e da una presenza ingombrante. Ma basterà poco per ottenere un grande spettacolo e non intaccare il feeling tra il gruppo americano e il pubblico di casa nostra. di Jacopo Casati
è
uno degli eventi dell’estate 2013: i Bon Jovi a San Siro non si erano mai visti nel corso della loro trentennale carriera. E non è per nulla un mistero che la band e Jon stesso tengano moltissimo a questo appuntamento. Strano, ma vero, per un gruppo che è abituato ad esaurire il Giants Stadium (ora MetLife Stadium) in New Jersey già dal 1989, piuttosto che Wembley a Londra o l’Olympiastadion di Monaco di Baviera. A conferma dell’importanza
durante la visita in Italia per presentare l’ultimo disco - con tanto di comparsata (tragica, ma non era certo stata colpa sua bensì della Rai e della trasmissione di Fazio) a Che Tempo Che Fa. «Non solo, è stata anche una delle emozioni più grandi mai vissute in tutta la mia carriera. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per questa band: tutto lo stadio colorato, la bandiera Americana su una tribuna, la scritta Jovi sull’altra, uno spettacolo mai visto, costruito apposta per dimostrarci la passione e l’amore che il pubblico italiano prova per noi. Quando ho visto le foto mentre stavamo aspettando il volo per Atene, a notte fonda, ho svegliato tutti per fargli vedere quelle fantastiche immagini». Passione e amore che erano in disperata crisi a dire il vero, considerando che le apparizioni degli anni Duemila dei Bon Jovi in Italia erano state pochissime e tristissime: nel 2001 a Padova e nel 2003 all’Heineken Jammin’ Festival di Imola (bei tempi), suonarono a malapena 90 minuti. A dirla tutta si parlò di motivi di salute, di inconvenienti tecnici e di altri problemi: in pochi ci credettero allora e ancora meno credevano che il loro ritorno, otto anni dopo, avrebbe potuto essere così spettacolare. Jon non ha dubbi: come Udine, anche Milano sarà una serata straordinaria. «San Siro è uno stadio magnifico, chi ci ha suonato mi ha detto che il colpo d’occhio del pubblico quando esci sul palco è incredibile grazie all’assenza di piste d’atletica e ai tre anelli. Sarà una grande festa, ci divertiremo di sicuro insieme ai nostri fan».
POSSONO?
del concerto, la presenza di esclusivi (e ipercostosi) travel package a disposizione dei soci del Fan Club ufficiale: viaggio, alloggio per tre giorni al Principe di Savoia, visita a Milano e ovviamente lo show di sabato 29 giugno. Sorprende non tanto la tipologia del pacchetto, quanto piuttosto il fatto che, insieme a Londra, sia l’unica offerta associata a una data europea del tour dei Bon Jovi. Solamente su New York e Sidney ci sono pacchetti simili, a dimostrazione di quanto il live italiano sia realmente un evento anche per chi sta sul palco e dietro le quinte, non “soltanto” per le migliaia di persone che popoleranno l’impianto meneghino.
È FANTASTICO Il rapporto tra il pubblico italiano e i Bon Jovi è rinato alla grande dopo la memorabile data allo Stadio Friuli di Udine del 2011 (17 luglio), quando una scaletta destinata a durare un paio d’ore scarse, e molto standard, è stata stravolta e allungata in corso d’opera come premio alla coreografia clamorosa che i fan italiani, coordinati dai membri del Bon Jovi Club Italia, avevano preparato per la band. Uno show di cui si parla tutt’ora e che ha lasciato il segno anche nel cuore di Jon: «Non ho mai nascosto che il miglior momento della scorsa tournée sia stato il concerto di Udine» ha raccontato quest’inverno
Fan che non sono certo stati con le mani in mano in questi mesi, mettendo in piedi quello che è stato rinominato “Destination San Siro”, ovvero un altro progetto di autofinanziamento che dovrebbe permettere alle già citate community di aficionados nazionali di vestire a festa il Meazza, come degna cornice per il concerto.
RICHIE IS OUT Fin qui tutto bene. Ci sono due variabili che però bisogna necessariamente considerare parlando dei Bon Jovi in Italia: la prima, la più pesante, fastidiosa e dolorosa è l’assenza di Richie Sambora. Lo storico chitarrista darà forfait per tutte le date europee, triste replica di quanto già accaduto in America due anni fa e continuazione di un’esclusione arrivata anche poco dopo l’inizio dell’attuale tour USA. “Due to a personal matter, Richie Sambora will not be performing on the European and South African leg of the tour. All shows will go on as scheduled”. Un comunicato (apparso sul sito della band) scarno, freddissimo, che lascia spazio a mille interpretazioni - e le successive dichiarazioni controverse di Jon e Richie non hanno certo aiutato a capire meglio. Con ogni probabilità sarà Phil X, turnista già chiamato a mettersi nei complicatissimi panni di Sambora tempo fa, il sostituto di Richie sul palco di Milano, ma sarà realmente impossibile far finta che la
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non-presenza dell’artista, fondatore e colonna portante dei Bon Jovi, non sia un elemento traumatico per il pubblico, che desiderava sicuramente assistere allo show della line up originale (Jon - Richie - David - Tico), mai cambiata in così tanto tempo (escludendo l’uscita di scena del bassista Alec John Such negli anni Novanta).
AGGIRARE IL PROBLEMA Bisogna poi considerare che questo è il tour di supporto a What About Now, album uscito a marzo che non ha convinto nemmeno i fan più oltranzisti. Il disco era stato presentato con orgoglio e convinzione da
in tal senso. E in Because We Can lo diciamo chiaramente». Buone intenzioni certamente, ma alla prova dei fatti mancano le canzoni. What About Now sembra l’ennesimo compitino confezionato con grande classe ed esperienza, ma poca ispirazione, energia e, forse, con troppa sufficienza. Quella forza, quella passione e quell’incredibile coinvolgimento che i Bon Jovi sono ancora in grado di offrire sul palco viene a mancare ormai troppo spesso in studio di registrazione, con qualche rara eccezione. Ma questo problema può essere agilmente aggirato, dato che le scalette dei concerti europei, spesso a differenza di quelli americani, presentano - oltre ai grandi classici - quelle chicche del
«La gente in Europa conosce le parole di tutte le nostre canzoni, anche di quelle vecchie e delle b-side. È stimolante non deludere le loro aspettative, ci trasmette grande energia» Jon. «è un lavoro in cui crediamo molto, che ha dentro moltissimi significati, anche sociali. Riguarda il momento successivo al termine del primo mandato di Obama in America, l’inizio di un cambiamento a livello economico e i primi spiragli di ripresa, i nuovi scenari e i problemi che si stanno delineando. Ci sono diversi pezzi che parlano dei problemi che la crisi ha creato e sta creando alla gente comune. Nel disco si affronta anche il momento d’impasse che gli stessi elettori di Barack Obama stanno vivendo, visto che le riforme e le necessarie contromisure stanno colpendo duro. Serve coesione e la consapevolezza che questa è l’unica strada percorribile, cerchiamo di dare forza a tutto il popolo americano: sostanzialmente volevamo produrre un album che raccontasse quella che mi piace definire “la nuova coscienza sociale statunitense”. Uno spirito nuovo. A qualsiasi governo serve l’appoggio e la buona volontà da parte di tutta la popolazione. Volevamo quindi spronare la gente ad agire senza paura e con ottimismo
passato che tutti i fan vogliono sentire dal vivo. Jon stesso ha sempre riconosciuto al pubblico del Vecchio Continente (creando anche polemiche non da poco con la controparte statunitense più calorosa e affezionata) una passione incredibile. «La gente in Europa sa ogni parola delle nostre canzoni, non vuole solo il greatest hits o i nuovi pezzi ma anche le canzoni vecchie e le b-side che raramente suoniamo. Per noi è impegnativo ma anche stimolante non deludere le loro aspettative. Si crea un’interazione spontanea e fortissima, che riesce a trasmettere anche alla band sul palco un’energia indispensabile, vitale.” Perché sia un grande concerto dei Bon Jovi, basterà quindi evitare di proporre troppi brani dallo scialbo nuovo album e puntare forte su un repertorio eccezionale, che ha garantito lo status d’intoccabilità a una band che ha scritto negli anni Ottanta e Novanta pagine indelebili della storia del rock. l
30 ANNI. I Bon Jovi sono attivi dal 1983, ma il primo (eponimo) disco esce l’anno succesivo. What About Now è il 12esimo album in studio. 56 onstage giugno
THE KILLERS
Per come si erano messe le cose a un certo punto, dopo l’uscita di Day&Age, sembrava che i Killers dovessero diventare la band piÚ importante del mondo, affiancando i Coldplay (anche per questioni anagrafiche) nel dominio della scena pop-rock. In realtà le cose sono andate diversamente, anche se Brandon Flowers e compagni restano un gruppo con un grande seguito internazionale. In attesa dei concerti italiani, vediamo come stanno le cose. di Marco Rigamonti
NEL BENE e nel male
C
orreva l’anno 2008, e il mondo cantava di missionari, San Pietro, campane di Gerusalemme e cavalleria romana (cfr. il testo di Viva La Vida dei Coldplay). All’improvviso queste metafore storiche scritte in un inglese quasi arcaico venivano sostituite da una semplice (e sgrammaticata) domanda che verteva su un argomento molto più moderno, una sorta di slancio filosofico terra-terra: Are We Human / Or Are We Dancer? I Killers avevano fatto centro con un gioiello che - vada come vada - rimarrà incastonato nella storia della musica pop-rock. Perché rappresentava un’improbabile quanto stupefacente unione tra il songwriting di Springsteen e un’architettura alla New Order, come dicevano alcuni. Perché possedeva le potenzialità per dare nuova linfa al rock alternativo che si stava pericolosamente confondendo con il rock mainstream, dicevano altri. Ma soprattutto perché era - e rimane - una canzone universale: un pezzo che riesce a unire spirito rock ed estetica dance, che conta su una melodia di grande impatto e vanta un lavoro di produzione esemplare (grazie al tocco di Stuart Price in regia). In quel momento sembrava che la scalata della band di Las Vegas non potesse conoscere ostacoli: il destino di Brandon Flowers e soci era scritto e il futuro non poteva che apparire ancora più brillante.
MANCA QUALCOSA Il tour di Day & Age (2009-2010) registra date sold out in tutto il mondo, e i ragazzi suonano anche in posti che sembravano irraggiungibili, tipo l’Africa. Dopo anni estenuanti, la band annuncia una comprensibilissima pausa. E poi cos’è successo? Niente di strano, in realtà. I loro dischi continuano a vendere: Battle Born ha debuttato al numero 1 in Uk e in Irlanda (esattamente come i tre dischi precedenti) e al numero 3 nella Billboard Americana. I voti dei lettori
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di Rolling Stone hanno fatto sì che si piazzasse al secondo posto nella classifica dei migliori album del 2012 (alle spalle di un certo Adam Lambert, vincitore di American Idol). Day & Age nel 2008 aveva raggiunto la vetta, ma forse qualche anno fa i talent show non potevano fare affidamento sulla risonanza mediatica dei giorni nostri. La critica non ha cambiato atteggiamento nei confronti del quartetto: alti e bassi prima, stessa minestra oggi (su Metacritic.com tutti gli album dei Killers riportano una media tra i 60 e i 70 punti percentuali). Eppure, qualcosa non torna: dov’è il famigerato e definitivo balzo pronosticato da (quasi) tutti? Dove sono i pezzi che avrebbero dovuto confermare e alimentare la convinzione che la band di Las Vegas avrebbe potuto ambire al trono della scena pop-rock? Per quanto ci si possa soffermare sulla validità di un disco come Battle Born e sul fatto che sia in linea con il loro stile, non ci si può certo nasconde-
re dietro a un dito: la sensazione è che manchi qualcosa.
IN ITALIA LA PAGHI I singoli, soprattutto. Non che in precedenza siano state sfornate tonnellate di pezzi radiofriendly dagli album dei Killers, ma in questo caso siamo ai minimi storici. Dal debutto Hot Fuss sono state estratte due bombe come Mr. Brightside e Somebody Told Me (e la splendida Smile Like You Mean It). Da Sam’s Town sono usciti un inno come When You Were Young, l’epica For Reasons Unknown e l’agrodolce (a tratti commovente) Read My Mind. Da Day & Age è quasi superfluo menzionare Human (il loro pezzo per eccellenza), ma non dimentichiamoci di una hit come Spaceman e delle altrettanto indovinate A Dustland Fairytale e The World We Live In. Ed eccoci a Battle Born. Con Runaways, che è un brano onesto e ben composto. Con Miss Atomic Bomb che sembra
volere in qualche modo ricalcare l’andamento di Human, ma alla fine non colpisce con altrettanta forza e decisione. E con una ballad come Here With Me, tanto candida quanto - purtroppo - banale. Senza fare la parte dei maestrini rigidi, si può legittimamente decretare che gli ultimi singoli non abbiano soddisfatto le attese. E se altrove magari te la cavi comunque, grazie ad una maggiore attenzione del pubblico per gli album nel loro complesso - i Killers quest’anno suoneranno in posti enormi e mitici come lo stadio di Wembley e saranno headliner di festival tipo Loolapalooza e il Big Day Out australiano - in Italia se non azzecchi le canzoni in qualche modo la paghi. Lo scorso settembre all’ A Perfect Day festival di Verona c’erano 8.000 paganti, ma il Castello Scaligero ne avrebbe potuti ospitare più di 12.000. Non dimentichiamoci che nel marzo del 2009 la band si
SEMPRE LORO. I membri fondatori dei Killers sono ancora tutti dentro il gruppo. Da sinistra, il bassista Mark Stoermer, il cantante Brandon Flowers, il batterista Ronnie Vannucci e il chitarrista Dave Keuning. In tour, spesso la formazione prevede un membro aggiuntivo. 60 onstage giugno
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era esibita in un Mediolanum Forum di Assago (MI) completamente esaurito, mentre ad oggi i biglietti per i live in programma al City Sound di Milano e al Rock in Roma 2013 (i cui spazi hanno una capienza comunque inferiore a quella del Forum) sono ancora in vendita.
LASSù Non è un caso che corrano voci che i Killers siano già al lavoro su un nuovo album; anche se non sono passati neanche 9 mesi dall’uscita di Battle Born, il batterista Ronnie Vanucci ha confessato che da quando la band si è riunita dopo il famigerato “hiatus” non ha fatto altro che scrivere a ruota libera. Già, lo hiatus. Quanta importanza ha avuto la decisione di fermarsi proprio nel momento clou? Flowers ha dichiarato che quando si sono ritrovati in sala di registrazione durante i primi giorni si respirava un po’ di tensione: «Abbiamo passato una settimana intera a fissarci l’un l’altro negli occhi in una stanza». Per ingranare ci vuole tempo; consideriamo anche che nel
corso della pausa praticamente ogni membro del gruppo si è impegnato in lavori solisti peraltro con risultati decisamente trascurabili. C’è un altro particolare che salta all’occhio: per la produzione di Battle Born sono stati coinvolti cinque produttori (Lillywhite, O’Brien, Taylor, Lanois e il già menzionato Price), mentre nei dischi precedenti il lavoro era stato affidato ad un massimo di due teste. Inizialmente c’era la volontà di collaborare con uno solo dei cinque personaggi in questione, ma per “problemi di calendario” non era stato possibile: inevitabile quindi che il risultato finale suoni un po’ come un puzzle forzato. Ascoltando l’ultimo album appare chiara l’intenzione di scrivere e arrangiare pezzi “da stadio”, nella consapevolezza che i palazzetti e le arene più piccole fossero già un lontano ricordo: che sia subentrata un po’ di confusione o un eccessivo ragionamento che ha finito per annacquare la vena compositiva di Flowers e soci? Che sia stato fatto un passo più lungo della gamba? Se è vero che è difficile arrivare al top, non bisogna sottovalutare il fatto che rimanerci è una sfida molto
più impegnativa. Le scelte sbagliate che si fanno prima di arrivare lassù contano infinitamente meno dei piccoli errori quando ci si ritrova proprio lassù. Attenzione: nessuno qui dà i Killers per dispersi. I passi falsi li hanno fatti tutti, e spesso con il passare del tempo si è finito per dargli un altro nome: esitazioni. Ci sono grandi artisti che nel corso della carriera hanno deciso di svoltare, scontentando i fan di vecchia data e conquistando le orecchie e il cuore di nuove persone. Ce ne sono altri che hanno continuato imperterriti a sfornare lo stesso disco per anni, stancando chi li conosceva già e catturando l’attenzione di chi non li aveva considerati prima. Altri ancora hanno voluto a tutti i costi fare innamorare la critica, ma così facendo si sono giocati buona parte del pubblico. Le possibilità sono infinite, e un album poco convincente non può portare a nessun tipo di conclusione definitiva. Soprattutto se la tua band si chiama Killers, hai poco più di trent’anni, una lunga carriera davanti a te, e i tuoi fan continuano a seguirti e ad amare la tua musica, nel bene e nel male. l
AL MEGLIO DEI TRE. Sono tre le occasioni per vedere i Killers in Italia quest’estate. Si comincia con la data di Roma (11 giugno, Ippodromo Capannelle), poi Milano (12 giugno, Ippodromo del Galoppo) e infine Lucca (17 luglio, Piazza Napoleone)
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STYLE
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Peace
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e ci fosse la possibilità di viaggiare indietro nel tempo, quale sarebbe il periodo storico che scegliereste? Cosa vorreste rivivere? Io, senza dubbio, imposterei la DeLorean (ricordate la macchina di Ritorno al futuro?) sulla fine degli anni Sessanta, quando gli ideali guidavano la coscienza dei giovani e le donne acquisivano consapevolezza della loro identità e forza femminile. Le persone sembravano più unite e coese. Erano gli anni in cui prima negli Stati Uniti e poi in tutto il resto del mondo si diffondeva la cultura hippie, un nuovo modo di pensare, di vivere, e anche di vestire. Al grido di slogan come “Fate l’amore, non fate la guerra”, e guidati da un’iconografia riassumibile con la celebre immagine delle margherite dentro le canne dei fucili, le comunità hippie influenzavano la musica, la letteratura, l’arte, i media. Insomma la cultura. Basta prendere la copertina di un qualunque album uscito in quegli anni per avere chiara la percezione dell’immaginario estetico di quel movimento. Gli hippie cercavano di liberarsi dalle restrizioni della società, scegliendo la propria strada e trovando un nuovo senso della vita. Il loro modo di vestire era l’espressione più evidente della ricerca dell’indipendenza dai modelli conservatori: un hippie potevi riconoscerlo in mezzo a milioni
THE UGLY TRUTH OF V Il blog di Virginia Varinelli nasce nel settembre 2011, diventando subito un riferimento per gli appasionati di moda e gli addetti ai lavori. Quotidianamente il blog registra accessi da ogni luogo del mondo. Virginia è di Milano. Si è laureata in Economia nel 2009 e ha subito cominciato a lavorare. Da uno stage a Parigi presso Diane von Furstenberg è sbocciata la sua grande passione per la moda. Ha recentemente lanciato il suo brand Viridì, che in pochi mesi di vita ha già raccolto numerosi ammiratori. www.uglytruthofv.com
La cultura hippie nasce nella seconda metà degli anni Sessanta, ma non ha smesso di esistere e di influenzare le generazioni nate dopo quello straordinario momento storico. Anche nel campo della moda. A cura di Virginia Varinelli
di persone. Con il look sottolineavano il rispetto del diritto d’espressione e la volontà di mettere in discussione l’autorità: pensiamo al pantalone a zampa, alle camice larghe - come del resto al mitico furgoncino Volkswagen - immediatamente la nostra mente ci rimanda a un mondo fatto di ideali e fratellanza. Il movimento hippie è stato un fenomeno di massa collocabile in un determinato contesto storico ma non ha mai smesso di influenzare la cultura occidentale. Oggi possiamo coglierne l’eredità in fenomeni di coscienza collettiva come l’ecosostenibilità, la cultura del biologico e tutto quanto richiami un atteggiamento critico nei confronti dei consumi. Per quanto riguarda la moda, certi capi come i pantaloni a zampa d’elefante, le camicette leggere (quasi trasparenti), le collane lunghe e l’immancabile fascetta sui capelli, sono entrati nel nostro armadio oltre che nel nostro immaginario. Non è un caso se la serata Flower Power del Pacha di Ibiza è diventata un vero e proprio brand conosciuto in tutta Europa, e non solo. Il mondo degli hippie e la musica di quegli anni continuano ad affascinarci. Come del resto continuano a stregare generazioni di stilisti, che propongono sempre nuove interpretazioni di questo stile, che nel tempo è diventato anche un trend sulle passerelle più importanti.
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IL PADRE DI TUTTI I FESTIVAL Non tutti sanno che il festival più famoso della storia si tiene a Bethel, stato di New York, a qualche chilometro di distanza dalla “città” che gli ha prestato Il nome. L’evento si deve svolgere proprio a Wo-
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odstock, ma la protesta degli abitanti – tutti quei capelloni! – costringe gli organizzatori a cambiare sede. Fortuna loro, incontrano poi un un certo Elliot Tiber, amministratore locale di Bethel che possiede una licenza per un festival musicale - e un albergo. Bingo! Invece delle 50.000 sperate, arrivano mezzo milione di persone (o forse più) e il
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Woodstock Music and Art Fair diventa l’evento del secolo. Sul palco odstock si continua ancora oggi ad argomentare. Ha dato consapevotezenis: lezza e coscienza ai giovani, ma anche al music business? Sicuramente si alternano quasi tutti i più grandi del momento. Dagli Who ai Jefa righehamodello 50’ inauguratoanni la lunga stagione dei grandi raduni musicali, che da ferson Airplane, da Joan Baez ai Grateful Dead, finoAbito a Jimi Hendrix, queleuro momento diventano una sorta di cartina tornasole del costume con la compagnia dell’incessante e celebre pioggia (avete presente19,90 le foto del pubblico immerso nel fango?). Sull’importanza di Wo- e della cultura giovanili.
onstage giugno 67
STYLE
ALL YUO NEED IS LOVE (MA NON SI VIVE DI SOLI IDEALI) 10 PRODOTTI PER ESSERE HIPPIE NEL 2013 Alla fine degli anni sessanta, gli hippie condividevano grandi ideali. È pAssato molto tempo, quegli ideali sono ancora vivi, ma esiste pure un’estetica che li richiama. ecco una lista di oggetti e prodotti per chi non sa resistere al fascino della cultura di quell’epoca.
68 onstage giugno
ESPADRILLES - SOLUDOS La loro storia inizia intorno al XIV secolo tra i Paesi Baschi e la Catalogna dove erano utilizzate prevalentemente dai contadini. Nel corso del tempo hanno acquisito sempre più popolarità tanto da essere diventate un must estivo a cui non rinunciare. Disponibili in un’infinità di fantasie e colorazioni. 28 Euro
FENDER STRATOCASTER Simbolo di un’intera epoca, la Fender Stratocaster entrò di diritto nella leggenda della musica grazie al suo maggiore estimatore, Jimi Hendrix. Rinnovata nella grafica ma sempre fedele allo stile originale, la versione 2013 è tra le chitarre più vendute al mondo. 1.250 Euro (versione basic)
LAVA LAMP - MATHMOS Ideata nel 1963, la Lava Lamp è diventata oggetto simbolo dei Fabolous Sixties. Il meccanismo è semplice: il calore provocato dall’accensione della lampada innesca lo scioglimento della cera al suo interno dando vita a giochi di forme e colori sorprendenti. Psichedelica! 90 Euro
BRIONVEGA - RADIO CUBO ts522 Da quando è stata lanciata sul mercato nel 1963 nessuno ha potuto fare a meno di notarla. Il progetto, firmato da Marco Zanuso e Richard Sapper, ha talmente rivoluzionato il desing da essere esposto al MoMA di New York. Oggi disponibile in diversi modelli, alcuni anche super tecnologici! 249 Euro
POLAROID- instant digital Il gusto di scattarsi una Polaroid e vedersi qualche manciata di secondi dopo è da sempre qualcosa di estremamente affascinante. Oggi la storica casa produttrice statunitense torna con una gamma rinnovata di instant digital, dal look accattivante e quel tocco retrò che piace sempre. Da 138 Euro
A.HOFMANN LSD, Il mio bambino difficile Albert è il signore che nel 1943 sintetizzò la dietilamide dell’acido lisergico, meglio conosciuta come LSD. Diciamo che ha qualche responsabilità sull’ampio numero di hippie che si sono bruciati il cervello. Ma lo scopo, in realtà, era decisamente diverso. 12 Euro
MAGGIOLINO CABRIOLET 2013 Di anni ne sono passati molti da quando Herbie il maggiolino tutto matto andava a caccia di trofei in giro per il mondo, ma la nuova versione del marchio Volkswagen riesce a non farci rimpiangere i vecchi tempi. Da 23.800 Euro
ARTEMIDE - ECLISSE Con questo progetto Vico Magistretti si è aggiudicato non solo il Compasso D’Oro nel 1967, ma anche un posto nell’olimpo dei prodotti di design che hanno fatto la storia. L’estetica semplice e ordinata abbinata a una tecnologia essenziale la rendono, ancora oggi, intramontabile! 25 Euro
VW CAMPER VAN TENT Una buona notizia per chi nel XXI secolo si sente ancora hippie dentro: è arrivata la tenda da campeggio che riprende fedelmente l’aspetto dello storico pulmino Volkswagen Type 2. Capace di ospitare fino a quattro persone e ricca di comfort inaspettati. Disponibile su Firebox.com. 270 Euro
jefferson airplane Surrealistic Pillow Alla fine degli anni ’60, musica rock, cultura hippie e psichedelia sono un tutt’uno. Tra gli album pubblicati in quel periodo, il secondo dei Jefferson Airplane è uno degli imprescindibili. La sola Somebody To Love basterebbe, ma è tutto il disco ad essere straordinario. 7,90 Euro
onstage giugno 69
WHAT’S NEW
BUONA
LA SECONDA Dopo un esordio fiacco, i Beady Eye di Liam Gallagher tornano con un album solido, ben scritto e ottimamente prodotto. di Stefano Gilardino
C
on il vantaggio di poter osservare tutto con calma, è più facile valutare il percorso di una band amata/odiata come gli Oasis, semplici operai della musica trasformati in superstar per alcuni, geni assoluti per altri. Giudizi estremi, come si confà a due personaggi della caratura dei fratelli Gallagher, ovvero coloro che hanno prima messo in piedi e, infine, terminato la parabola della band inglese, tra recriminazioni, insulti, colpi di testa e, ogni tanto, qualche grande pezzo per davvero. Dallo scioglimento di uno dei gruppi più famosi e imitati degli anni Novanta e Duemila, abbiamo ereditato due ovvi percorsi: quello più psichedelico, autorale e ambizioso di Noel, e i Beady Eye, creatura classicamente rock’n’roll di Liam (e di altri ex Oasis), dritta al punto, senza fronzoli, ma pure, finora, senza nessuna impennata di genio. Il debutto di quest’ultimi, Different Gear, Still Speeding, non aveva destato grande impressione, con canzoni che parevano delle brutte b-side del vecchio gruppo e un’attività live che stentava a dare un senso al tutto. Lo stesso Liam ha
BE
Sony Music Italy
di mettere a fuoco le idee e rendere il tutto ammesso che il processo che aveva portato alla compatto, lasciando spazio all’inconfondibile nascita dei Beady Eye era stato essenzialmenvoce nasale di Liam e alle chitarre di Archer e te una reazione allo scioglimento improvviso Bell. La qualità si avverte fin dai singoli, Flick della band madre e, quindi, poco meditato. Of The Finger (pezzo e titolo ispirati a Street Aggiustata la formazione con l’ingresso del Fighting Years di Tariq Ali) e Second Bite Of bassista Jay Mehler, proveniente dai Kasabian, The Apple, entrambe graziate da una splendii cinque (oltre a Liam ci sono Andy Bell, Gem da sezione fiati che ne impreziosisce le meloArcher e Chris Sharrock) hanno deciso per die, ma è proprio tutto BE a brillare di quelle una mossa a sorpresa, scegliendo un produttore come Dave Sitek, membro dei newyorchesi TV On The Radio - quanto di più BE è ciò che i fan dello scontroso Liam aspettavano, lontano possiate immaginare ovvero un disco di ottime canzoni in linea con quel rock’n’roll marcatamente Sixties che ha fatto la dai Beady Eye, già all’opera fortuna dei Gallagher. con Yeah Yeah Yeahs -, con cui si sono chiusi in studio intuizioni che mancavano al suo predecessore: di registrazione per confezionare un prodotDon’t Brother Me è una ballata dedicata - con to che fosse finalmente all’altezza della progrande affetto e franchezza - al fratello Noel, pria fama. Intitolato semplicemente BE, ma Face The Crowd è perfetta per infiammare la Liam voleva fosse Universal Gleam, l’album platea dal vivo, Iz Rite è il brano che gli Oasis è ciò che i fan dello scontroso cantante stanon scrivevano da anni, con un ritornello da vano aspettando da tempo, ovvero un disco cantare in coro, Shine A Light è un raga psidi ottime canzoni in linea con quel rock’n’roll chedelico con classiche influenze beatlesiane. marcatamente Sixties che aveva fatto la forChiude Start A New, titolo programmatico, tuna dei due fratelli e del fenomeno brit pop che prelude al vero decollo dei Beady Eye. in generale. Benvenuti a bordo! Il lavoro di Sitek è stato, dunque, quello
onstage giugno 71
MUSICA
S
iamo tutti d’accordo: nessuno sostituirà mai Layne Staley. Né dietro il microfono, né sul palco, né tanto meno nel cuore di milioni di fan. Detto questo è innegabile che la seconda incarnazione degli Alice In Chains con William DuVall alla voce attivatasi sul finire del 2005 sia una delle reunion meglio riuscite di ogni tempo, in cui oltre a celebrare degnamente il glorioso passato, viene prodotto anche nuovo materiale di qualità elevata. Un disco grandioso, e in parte inaspettato, quattro anni fa (Black Gives Way To Blue) e ora il quinto capitolo di una carriera decisamente inimitabile: The Devil Put Dinosaurs Here inizia con un trittico clamoroso, dove Pretty Done si inserisce perfettamente in mezzo alle già note Hollow e Stone, quest’ultima sostenuta da un basso sferragliante di Mike Inez oltre che dalla ritmica marziale e infallibile di Sean Kinney. Proseguendo nell’ascolto difficilmente si trovano momenti superflui.
Alice In Chains
The Devil Put Dinosaurs Here (Virgin/EMI)
D’accordo, la doppietta Lab Monkey - Low Ceiling un po’ annoia alla lunga, ma è solo un caso. Voices ci riporta negli anni d’oro in un istante, grazie sia a un chorus che definire affascinante è poco, sia a un incedere che ricorda realmente l’epoca delle camicie di flanella; Breath On A Window viaggia decisa senza sosta, per poi lasciare spazio alla chitarra acustica che apre Scalpel, altro highlight assoluto del lavoro; il sinistro andamento della titletrack invece esalta pienamente le armonie vocali del duo Cantrell/DuVall. Già, Jerry Cantrell, uno che non è mai stato capace di scrivere un riff banale dai Novanta a oggi (sentitevi la bellissima Phantom Limb qualora servissero ulteriori riprove a riguardo), è pure un singer di tutto rispetto; è lui in sostanza il vincitore, nonché leader
di Jacopo Casati
di un gruppo che, nonostante non abbia più la portata e la celebrità mainstream che possedeva vent’anni fa, resta una delle migliori band di alternative rock e di hard & heavy sulla piazza mondiale, tanto in studio quanto dal vivo. Chapeau.
Micro-reviews RIVA STARR Hand In Hand (Self Distribuzione)
Il miglior disco che Fatboy Slim non ha mai prodotto. Stefano Miele mostra il suo eclettismo in un lavoro dalle mille sfumature, cuore folk e contemporaneo. #italiansdoitbetter
72 onstage giugno
TRICKY False Idols (False Idols)
Adrian Thaws si tuffa nel suo passato trip hop e ne emerge con un album meno rude ma ispirato, dimostrando che quando agisce d’impulso i risultati sono encomiabili. #backin90
COCOROSIE Tales Of A Grass Widow (SubPop)
Le due sorelle dell’indie americano navigano a vista e senza direzione, riempiendo il disco di suoni ridondanti in eccesso ma senza avere in definitiva nulla da dire #horrorsilentii
COEZ Non erano fiori (Carosello Records)
Non è hip hop, non è pop. Il rapper romano scrive efficaci melodie e le cala in un contesto urban, affrontando tutte le fasi della fine di una storia d’amore #brokenheart
J
ared Leto ha parlato di questo nuovo disco come di un nuovo inizio, un album in cui tutto viene rimesso i discussione. È un’esagerazione, la sostanza dei Thirty Seconds To Mars non cambia, ma è anche vero che in questo nuovo Love, Lust, Faith + Dreams, i tre di Los Angeles si sono permessi di alternare al loro rassicurante rock da stadio qualche divagazione più inusuale. Il disco è diviso in quattro parti, tante quante le parole del titolo, scandite di volta in volta da una voce femminile. La prima, “Love”, è composta dai soli primi due brani; Birth introduce all’ascolto con il suo epico incedere cinematografico, mentre Conquistator ci ricorda subito qual è lo stile del gruppo. Anche la sezione seguente, “Lust”, smentisce le dichiarazioni del frontman, infilando in rapida sucessione tre canzoni che distano esattamente 30 secondi da Marte. Nel primo singolo Up In The Air, una leg-
E QUEENS OF THE STONE AGE …Like Clockwork (Matador Records)
di Jacopo Casati
M
gera intenzione elettronica e cori furbetti reggono il ritornello che mostra tutta la potenza vocale di Leto, seguono City Of Angels, e The Race, che si distingue per il bell’arrangiamento di violini e la grande potenza di fuoco. Con End Of All Days arriva la prima sorpresa: il pezzo cresce bene su suoni e ritmiche elettronici, si sviluppa senza urgenza ma con emozione e termina al suo apice prima di diventare banale. La ripetizione del refrain «all we need is faith» anticipa virtualmente la parte chiamata appunto “Faith”, non prima di un breve outro elettronico. Anche qui troviamo pezzi più epici (Do Or Die) e un intermezzo strumentale, non ispiratissimo ma che aiuta comunque a mantenere viva l’attenzione, fino alla quarta e ultima parte “Dreams” e a Northern Light, forse l’apice emotivo dell’album, che si sviluppa intensamente tra violini cinematografici e batteria marziale.
ra lecito aspettarsi di più da …Like Clockwork, considerando anche la lista di ospiti presenti nel nuovo disco dei Queens Of The Stone Age: Trent Reznor e Dave Grohl intanto, per passare a Elton John (che dà comunque un’idea decisa di quanto siano oramai diventati importanti i Nostri anche nel panorama mainstream), poi ad Alex Turner, Nick Oliveri, Mark Lanegan e molti altri. Il disco non è affatto brutto intendiamoci, ma è un lavoro di mestiere, con ben pochi spunti degni di nota. A sei anni di distanza da Era Vulgaris si poteva pretendere ben altro. Le chitarre non fanno troppo male, il sound ruvido e grezzo di una volta è ora trattato con massima attenzione in fase di produzione; non è un bene questo, specialmente per chi sa quanto pesti dal vivo la band e quanta importanza abbia avuto nel panorama alternative rock la doppietta di inizio 2000 Rated R e Songs For The Deaf.
usica X si potrebbe riassumere così: Mescal riabbraccia i Perturbazione, e loro sfornano un disco che sarebbe stato un boom grandioso ai tempi dell’esperienza-Emi. Ma se allora i magnifici sei di Rivoli scelsero di non abdicare alla propria identità, stavolta scelgono di stravolgerla, nel tentativo di riscriverla. Scelta coraggiosa, onesta, in linea con la storia di questa grande band: è quindi un dolore dover parlare di un lavoro dei Perturbazione senza poterne tessere le lodi che vorremmo sempre riservare ai piccoli grandi eroi che li riteniamo essere. Ci sono ovviamente punti a favore: nonostante non fosse facile immaginare Max Casacci produttore di un certo tipo di canzoni, il subsonico è garante sonoro del funzionamento pop. I cameo di Erica Mou in Ossexione e Luca Carboni nella delicata I baci vietati sono perline da ricordare, mentre quello de I Cani
THIRTY seconds to mars Love, Lust, Faith + Dreams (Universal Music)
di Tommaso Cazzorla
Le atmosfere più soffuse e dilatate ci sono ancora, vero, specialmente I Sat By The Ocean ne regala possenti dosi, ma la pseudo-psichedelia rilassata della successiva The Vampyre Of Time And Memory alla lunga annoia. If I Had A Tail sembra una b-side dei Them Crooked Vultures, mentre il buon singolo di lancio My God Is The Sun ha un riff abbastanza riciclato dai tempi d’oro. Kalopsia, nonostante il discorso sui featuring di cui sopra, rimane uno degli episodi migliori del lotto, delude invece il meeting di star in Fairweather Friends. Nel finale Smooth Sailing e I Appear Missing mordono finalmente come dovrebbero, ma è un peccato aver dovuto aspettare così tanto. L’album è comunque sufficiente, permetterà ai Queens Of The Stone Age di tornare in tour e di riconfermarsi nella scena rock internazionale. Tuttavia non aggiunge una virgola a una discografia che ha già detto tutto oramai da un decennio.
scorre fortunatamente innocuo. E c’è la solita amabile facilità nel confezionare ritornelli empatici. Ma il trip di elettronica dotta e glitterata di queste canzoni sembra lì a celare l’inusuale carenza dell’incantevole cura per i dettagli che è il trademark dei piemontesi. I brani scorrono come e meglio del solito, ma raramente riescono a parlarti davvero: le note del taccuino di Tommaso, gentili come sempre, suonano generiche e rivolte a tutti, e di conseguenza a nessuno. La distanza degli archi accoglienti di Elena e della chitarra confidenziale di Gigi vien di rado ripagata da qualcosa di meno episodico di guizzi come Diversi dal resto o la soave Mia figlia infinita, non a caso tra i momenti più autenticamente personali. I Perturbazione non sanno scrivere cose meno che decorose, ma se si cercava un’evoluzione di suono e contenuti la si è ottenuta solo a metà. Li si ama: ergo, ci si attende di più.
PERTURBAZIONE Musica X (Mescal)
di Francesco Chini onstage giugno 73
MUSICA
E
siste musica che possa andare bene in ogni occasione? No, ma Trouble Will Find Me dei The National si avvicina a questa ambizione, pur restando un disco che lascia una sensazione di profonda umiltà. Il sesto album del gruppo newyorkese ha molti pregi e difetti soggettivi, legati alla sensibilità di ciascuno. I toni sono cupi e metropolitani, senza però perdere un tocco di sincera intimità, per nulla costruita. Una caratteristica che segna la differenza tra sentimento e finzione artistica. Se c’è una cosa che rimane di Trouble Will Find Me è l’impressione di genuinità. Da non confondere con la noncuranza. L’attenzione ai dettagli, e in particolare ai testi e alle armonie, crea una perfetta alchimia ed è ciò che rende i National uno dei gruppi di più alto livello sulla scena internazionale. Il disco è molto uniforme e omogeneo. Non ci sono pezzi che svetti-
C BLACK SABBATH 13 (Vertigo/Universal)
di Jacopo Casati
M
i sono voluti trentacinque anni per riascoltare un album da studio in cui la voce di Ozzy Osbourne sovrastasse i riff e le linee di basso di due mostri sacri dell’hard & heavy come Tony Iommi e Geezer Butler. La reunion dei Black Sabbath in formazione originale annunciata a fine 2011, lasciando perdere la stucchevole bagarre con l’ex drummer Bill Ward sostituito da Brad Wilk (Rage Against The Machine), non è stata senza imprevisti: prima la malattia di Iommi, quindi la spirale alcol/droga che ha nuovamente avvolto Ozzy fino a pochi mesi fa. Ora con l’uscita di 13, il peggio sembra essere passato. Ed è quindi tempo di rivolgere lo sguardo verso quei capolavori che a inizio anni Settanta furono essenziali per la nascita dell’heavy metal: la prima metà del cd è infatti ricca di rimandi a brani come N.I.B., Planet Caravan e Black Sabbath, proposti e riletti rispettivamente in Lo-
ischiare il cantautorato italiano alle sonorità alternative internazionali. Queste le intenzioni declamate di Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo, con Disordine al suo esordio solista. I riferimenti si sprecano: Battisti e Battiato da una parte, dall’altra Animal Collective, Grimes e Gold Panda. Un gioco affascinante che lo colloca, con le dovute differenze, a metà tra Lo Stato Sociale e Andrea Nardinocchi. Funziona in parte; questo precario equilibrio rende il meglio nei brani più ispirati come il singolo Ho visto un dio, nei synth stratificati di Continente o della titletrack, o nel ritornello di Numeri e parole, ma spesso si rompe sbilanciandosi verso la seconda faccia della sua anima. Cosmo è bravissimo nel giocare con i loop elettronici, a destreggiarsi tra i campionamenti e ad indovinare i giusti appoggi di synth, ma è anche vero che non sempre i testi sono all’altezza. Episodi come Il digiuno e La felicità mostra-
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no sugli altri e non perché il livello sia basso. Al contrario l’altissima qualità di ogni traccia rende l’album camaleontico: a ogni ascolto, in base all’umore del momento, sarà una canzone diversa a catturare l’attenzione. Per chi non fosse già un fan o un amante del gruppo, questo ultimo lavoro fa venire voglia di ascoltare anche la produzione precedente. Ma la vera forza di Trouble Will Find Me è una sorta di magnetismo che induce al repeat. Ogni volta che si fa ripartire il disco dalla prima traccia si ha l’impressione di percepire qualcosa di nuovo che prima era sfuggito. E non è qualità da poco. Resta una domanda: dopo alcuni dischi di altissimo livello, in un momento di calo per il rock, i National riusciranno a lasciare un’impronta definita e definitiva nella musica di inizio terzo millennio? Solo il tempo potrà dirlo, ma la speranza c’è ed è ben riposta.
THE NATIONAL Trouble Will Find Me (4AD)
di Alvise Losi
ner, Zeitgeist e End Of The Beginning. La produzione di Rick Rubin evidenzia il tocco unico di Butler al basso, mentre i riff e i solo di Tony sono marchio di fabbrica affidabile. Ozzy se la cava bene, crescendo traccia dopo traccia, mentre il drumming di Wilk è essenziale e al servizio del pezzo. Nell’epico crescendo di Age Of Reason, nell’irresistibile jam blues Damaged Soul e nella conclusiva sinistra Dear Father c’è il meglio che 13 possa offrire a chi non cerca soltanto rievocazioni di un passato inimitabile. Un ritorno di tutto rispetto, confezionato da tre leggende assolute della musica pesante ancora capaci di scaldare i cuori di milioni di fan e, probabilmente, di chiudere il cerchio di una storia irripetibile iniziata col lavoro omonimo del 1970: negli ultimi secondi del brano di chiusura del platter, la campana a morto e la pioggia che aprivano l’esordio riecheggiano nuovamente per pochi secondi... Forse per l’ultima volta...
no evidenti limiti di scrittura, risultando sotto lo standard. Come è vero che non è la chitarra acustica a fare un cantautore, è anche vero che è necessario avere la capacità di raccontare storie, anche con poche semplici parole. Cosmo non sempre ci riesce. In compenso la produzione del disco e le intuizioni musicali sono notevoli, dimostrando che la musica italiana sta vivendo una fase di rinnovamento a tutti i livelli, dalla nicchia al mainstream. Non ci stupisce. Marco faceva ottime cose già con il suo primo progetto, il trio piemontese Drink To Me, dalle sonorità simili ma con un approccio più rock e testi in inglese. Anche lui come altri suoi colleghi - Colapesce dagli Albanopower o Una dagli Jolaurlo - è stato costretto a reinventarsi cantautore per farsi notare in un mercato discografico avaro di spazi. E che è costretto ad inventarsi etichette che stanno strette per un prodotto che le fugge, dimostrando comunque alta qualità.
COSMO Disordine (42 Records)
di Tommaso Cazzorla
5 LUGLIO - PIAZZOLA SUL BRENTA (PD) ANfITEATRO CAmERINI 26 LUGLIO - mILANO IPPODROmO DEL GALOPPO 27 LUGLIO - ROmA fORO ITALICO
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SABATO 23 NOVEMBRE 2013
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CINEMA
he ci crediate o no, il primo Superman cinematografico risale al 1978 e vederlo è stata (e continua a essere) una rispettabilissima esperienza. Era la prima di quattro volte in cui l’ormai leggendario e inimitabile Christopher Reeve indossava il costume blu con la S sul petto. Prima e dopo di lui sono state realizzate diverse versioni del fumetto di Jerry Siegel e Joe Shuster. Quelle d’animazione, in solitaria o insieme ai colleghi supereroi della Justice League, non si contano, mentre alcune serie TV hanno lasciato il segno come la prima degli anni ‘50 con George Reeves (sulla cui travagliata vita Ben Affleck ha fatto il film Hollywoodland), Lois & Clark degli anni ‘90 e naturalmente Smallville. Era invece il 2006 quando al cinema arrivava Superman Returns. I produttori erano convinti che per riprovarci i tempi fossero maturi, il pubblico no. Il film si è dimostrato un ibrido, un’insoddisfacente via di mezzo tra il fumetto e un incerto ritratto dark. Il fascino di Brandon Routh con le lenti a contatto azzurre non era neanche lontanamente parente di Christopher Reeve, ai cui film, peraltro, il regista Bryan Singer ha reso espliciti omaggi. Insomma, “perché non ripartire da zero affidando la supervisione a qualcuno che ha
a cura di Antonio Bracco
L’uomo d’acciaio dimostrato di saperci vedere lungo?”, hanno pensato alla Warner Bros e alla DC Comics. Quel qualcuno è Christopher Nolan, regista e autore della spettacolare trilogia di Batman. Primo segno del passaggio di Nolan, il titolo: se Batman è Il cavaliere oscuro, Superman non può essere altri che L’uomo d’acciaio. Con la visionarietà registica di Zack Snyder, dimostrata in Watchmen e 300, e un Clark Kent con il volto dell’attore britannico Henry Cavill, ottime basi sono state gettate. Con la speranza che il pubblico non lanci frutta e kryptonite.
critica pubblico USA, 2013, 148 min.
Il cast: Henry Cavill, Michael Shannon, Amy Adams, Kevin Costner, Diane Lane, Julia Ormond, Laurence Fishburne, Russell Crowe Di Zack Snyder
Micro-reviews WORLD WAR Z di Marc Forster (USA, 2013) Gerry Lane, impiegato dell’ONU interpretato da Brad Pitt, gira il mondo in una corsa contro il tempo per fermare un’#epidemia che rovescia eserciti e governi e che minaccia di decimare la popolazione mondiale.
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VOICES
di Jason Moore (USA, 2012) Beca arriva in un nuovo college ma, non trovando alcuna comitiva a cui unirsi, si scopre molto in sintonia con alcune ragazze che hanno in comune la bravura per il canto. Il #musical è dietro l’angolo.
NIENTE PUÒ FERMARCI di Luigi Cecinelli (Italia, 2013) A Villa Angelika si incontrano i destini di quattro giovani affetti da varie patologie psicofisiche. Rubano l’auto del direttore per cercare svago ad Ibiza cominciando così il loro viaggio #ontheroad.
THE BAY
di Barry Levinson (USA, 2012) Due biologi ricercatori francesi rilevano un livello di #tossicità sconcertante nell’acqua, ma il sindaco non vuole ascoltare, rifiutandosi di generare panico. Una negligenza con conseguenze terrificanti.
INTO DARKNESS - STAR TREK di J.J. Abrams, USA, 2013
L’Enterprise è in fase di rientro sulla Terra quando l’equipaggio scopre una terrificante e inarrestabile forza all’interno della propria organizzazione che sta mettendo il nostro pianeta in uno stato di crisi. Spinto da un conflitto personale, il Capitano Kirk si ostina a voler inseguire l’uomo più pericoloso della galassia, innescando una caccia per catturare una vera e propria arma umana di distruzione di massa. Mentre l’equipaggio dell’Enterprise viene spinto in un’epica partita a scacchi tra la vita e la morte, l’amore è messo alla prova, le amicizie rischiano di lacerarsi. Per l’umanità, ma soprattutto per i membri del suo equipaggio, Kirk è pronto a tutto, anche al sacrificio. Il film ha fatto registrare un ottimo esordio al Box Office Usa incassando oltre 70 milioni di dollari. Cast: Chris Pine, Zachary Quinto, Zoe Saldana, Benedict Cumberbatch, Simon Pegg, Karl Urban
critica pubblico
QUANDO MENO TE LO ASPETTI di Agnès Jaoui, Francia, 2013
A ventiquattro anni Laura aspetta ancora il suo principe azzurro. Ad una festa appare Sandro che corrisponde esattamente all’uomo dei suoi sogni. Poi incontra Maxime e inizia a chiedersi se non ci siano principi migliori di altri. Dal canto suo anche Sandro ha non pochi grattacapi. Suo padre Pierre si è appena imbattuto in Madame Irma che gli ha fatto ricordato come lei stessa, alcuni anni prima, gli avesse predetto la data della sua dipartita. Ora Pierre non riesce più a fare progetti, né con la nuova compagna Eleonore, né con Sandro. Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri, compagni di vita dal 1987 al 2012, nonostante la loro separazione continuano amichevolmente a collaborare ed è un bene, considerato che sono gli autori delle migliori commedie francesi dell’ultimo quindicennio. Due titoli su tutti: Il gusto degli altri e Così fan tutti. Il Cast: Jean-Pierre Bacri, Agathe Bonitzer, Agnès Jaoui, Arthur Dupont, Benjamin Biolay, Beatrice Rosen, Didier Sandre
critica pubblico
AFTER EARTH
di M. Night Shyamalan, USA, 2013
Mille anni dopo che eventi catastrofici hanno costretto l’umanità ad abbandonare la Terra, Nova Prime è diventata la nuova casa del genere umano. Il leggendario generale Cypher Raige fa ritorno a casa dopo un lunghissimo turno di servizio, pronto a dedicarsi integralmente al ruolo di padre nei confronti del figlio tredicenne Kitai. Quando una tempesta di asteroidi danneggia la navicella di Cypher e Kitai, i due sono costretti a un atterraggio di emergenza sull’ormai inospitale e pericolosa Terra. Cypher nell’impatto rimane gravemente ferito e Kitai deve attraversare territori ostili nel tentativo di raggiungere il faro che, attivato, gli permetterà di richiamare i soccorsi. È la seconda volta che Will e Jaden Smith recitano i ruoli di padre e figlio, così come sono nella vita vera. Il primo film era La ricerca della felicità di Gabriele Muccino. Il Cast: Will Smith, Jaden Smith, Isabelle Fuhrman, David Denman, Kristofer Hivju, Zoe Kravitz, Glenn Morshower
critica pubblico onstage giugno 77
GAMES
a cura di Blueglue
Micro-reviews RESIDENT EVIL: REVELATION HD (Xbox 360/ PS3/WII U/PC) Ci voleva una conversione per creare il giusto equilibrio tra l’(esagerata) azione del sesto episodio e la (rimpianta) tensione che si respirava agli albori della saga. #backinthedays #bentornatatremarella
Metro: Last Light
REMEMBER ME REMIXARE I RICORDI
(Xbox 360/PS3/PC) Come se le mutazioni genetiche che gironzolano nei sotterranei di Mosca non bastassero, dovrete anche fare i conti con gli squilibrati di un fronte ultra-nazionalista; auguri. #marasmapostapocalittico
cosa accadrebbe se improvvisamente potessimo eliminare le brutte esperienze passate? Call Of Juarez:
Produttore: Capcom Genere: Azione/Avventura Disponibile per: Xbox 360 / PS3 /PC
Q
uando ci si cimenta con le utopie bisogna fare attenzione; basta una falla o un piccolo imprevisto per tramutare il più invitante dei sogni in un incubo perfetto. E’ quello che succede nel 2084 a Neo-Parigi; la mega-corporazione Memorize inventa il Sensen, un impianto cerebrale in grado di manipolare i ricordi, consentendo alle persone di eliminare le brutte esperienze passate e di condividere i momenti felici con gli altri - una sorta di evoluzione definitiva del nostro Facebook. Naturalmente in un attimo si crea il caos; l’abuso trasforma alcuni esseri umani in aberranti mutazioni (Leapers), e la cupidigia umana genera una sorta di mercato nero legato ai dispositivi neurali, dove a pagarne le conseguenze sono - come sempre - le classi meno abbienti. Nasce quindi un movimento sovversivo (gli Erroristi) composto da esperti cacciatori di ricordi, del quale fa parte anche la nostra eroina; Niln, all’inizio del gioco si ritrova catturata, senza ricordi e in procinto di essere disinnescata una volta per tutte, ma grazie
78 onstage giugno
all’aiuto del leader degli Erroristi (Edge) riesce a fuggire. Qui comincia la sua avventura: se l’obiettivo principale è colpire al cuore la Memorize, a un livello più personale la ragazza è anche alla disperata ricerca del suo passato. Il titolo Capcom segue binari precisi e ben rodati (vedi arrampicate in stile Lara Croft) e affianca fasi di esplorazione a combattimenti che si basano su classiche combinazioni di tasti a tempo; l’elemento innovativo si concretizza nel modo in cui Niln si specializza nel proseguo dell’avventura, dando al giocatore la possibilità di personalizzare il proprio stile di combattimento attraverso singole mosse (chiamate Pressen) posizionabili a piacimento nel laboratorio delle combo. Una trama interessante e molto ben congegnata e un’espressiva atmosfera futurista/decadente fanno dimenticare immediatamente il difetto della progressione lineare, e rendono Remember Me una produzione da ricordare - esattamente come da titolo.
Gunslinger (PSN/ Xbox Live Marketp./PC) Techland rispolvera i fasti del selvaggio west con un frenetico fps arcade, tra deliranti sparatorie in bullet time e duelli a singolar tenzone con banditi mitici. #sergioleone #grillettofacile
Way Of The Dogg
(PSN/Xbox Live Marketp.) America Jones si vendica dell’omicidio della sua ragazza a ritmo di arti marziali che seguono le hit del maestro Snoop Dogg in un bizzarro rhythm-game/ picchiaduro. #beat’emup
HI-TECH
Benvenuta! ONSTAGE RADIO di Gianni Olfeni
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! PRIMA E UNICA
Avete mai ascoltato una digital radio che trasmette solo musica live? Anticipiamo la vostra risposta: no! Onstage Radio è il primo progetto radiofonico digitale interamente costruito intorno alla musica live. Cliccando play accederete al nostro mondo: i concerti. La selezione musicale, curata da Daniele Tognacca (Radio Deejay, Virgin Radio e altre nel suo curriculum), vi farà rivivere le emozioni dei grandi live di artisti italiani e internazionali 24 ore su 24. 80 onstage giugno
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NEGRAMARO 10 anni di storia semplice di Tommaso Cazzorla
A
i Negramaro piace bruciare le tappe. Quando nel 2008 decisero di suonare per la prima volta allo stadio San Siro, in molti dissero che era troppo presto, che era meglio aspettare, che non erano pronti. Ed effettivamente era un azzardo, erano trascorsi solo tre anni dal boom di Mentre tutto scorre, e il suo seppur fortunato seguito La finestra era stato pubblicato appena l’anno prima. Ma i sei salentini, dicevamo, avevano una fretta indiavolata, espugnarono lo stadio di Milano davanti a 40.000 persone e, non contenti, ne ricavarono un Cd + Dvd, San Siro Live, disco di platino. Ma non si sono fermati lì. Nel 2010 arriva Casa 69, che con oltre 200.000 copie vendute certifica il successo del gruppo, e una doppia tournée che li porta a suonare
ovunque in Italia. E finalmente arriviamo al 2013 in cui la band festeggia dieci anni di attività. Dieci anni da quel primo disco omonimo, simbolo della (sana) gavetta che Giuliano Sangiorgi e gli altri hanno dovuto fare prima del successo. Dieci anni da celebrare con il best of Una storia semplice, che contiene 24 successi e 6 inediti, neanche a dirlo, anche lui disco di platino. Dieci anni in cui i Negramaro si sono creati un pubblico fedelissimo, che continua ad allargarsi ad ogni nuova iniziativa. Dieci anni in cui hanno rafforzato e affinato il proprio stile, non rinunciando alle zampate rock ma anche assecondando la loro naturale vocazione al ritornello catchy. Per celebrare la loro personalissima “storia semplice” tornano negli stadi e pongono un ulteriore sigillo a questa esperienza decennale. Non solo San Siro, ma anche l’Olimpico di Roma, perché comunque la voglia di andare sempre un po’ oltre i propri limiti è nel DNA del gruppo. Ma questa volta non c’è nessuno a dire che è troppo presto. Questa volta i Negramaro non bruciano le tappe ma raccolgono il frutto di dieci anni di impegno e passione.
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CALENDARIO CONCERTI Rock In Roma 04/07 Iggy & The Stooges 05/07 Max Gazzé 10/07 Arctic Monkeys, The Vaccines 11/07 Bruce Springsteen 14/07 Smashing Pumpkins 16/07 Atoms For Peace 22/07 Deep Purple 24/07 Zucchero 26/07 Neil Young 28/07 Sigur Ros 29/07 Blur
City Sound Milano 01/07 The National 06/07 S. Molinari 09/07 John Legend 11/07 Iggy & The Stooges 15/07 Skunk Anansie 17/07 Atoms For Peace 21/07 Deep Purple 26/07 Santana 28/07 Blur Carroponte Milano 04/07 Perturbazione 06/07 Glen Hansard 07/07 Cat Power 12/07 Fedez 25/07 Patti Smith Hydrogen Padova 05/07 Santana 06/07 M. Mengoni 11/07 Max Gazzè 14/07 Thirty Seconds To Mars 18/07 Mario Biondi 19/07 Fabri Fibra 20/07 Crosby, Stills & Nash
82 onstage giugno
Lucca Summer Festival 08/07 Litfiba 09/07 L. Cohen 10/07 Brian Adams 11/07 Nick Cave & The Bad Seeds 13/07 Thirty Seconds To Mars 17/07 The Killers 25/07 Neil Young 27/07 Sigur Ros 30/07 Pino Daniele Dieci Giorni Suonati Milano 03/07 Van Der Graaf Generator 03/07 Black Crowes 17/07 Brian May 21/07 Deep Purple Negramaro 13/07 Milano 16/07 Roma Robbie Williams 31/06 Milano Depeche Mode 18/07 Milano 20/07 Roma Cesare Cremonini 18/07 Roma 20/07 Cattolica (RN) 22/07 Verona 29/07 Taormina (ME) Muse 06/07 Roma Sigur Ros 23/07 Tarvisio (UD) 26/07 Ferrara Sting 09/07 Roma
negramaro una storia semplice TOUR 2013
già disponibile nei negozi e negli store digitali
una storia semplice
2 CD 6 INEDITI 22 GREATEST HITS
13 LUGLIO 2013 • MILANO STADIO SAN SIRO
16 LUGLIO 2013 • ROMA STADIO OLIMPICO
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