Onstage Magazine ottobre

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65 ottobre 2013

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Il successo del primo tour teatrale (lo scorso inverno), il disco acustico primo in classifica e adesso un nuovo giro nei teatri. Pau, Drigo e Mac ci raccontano lo STRAORDINARIO ANNO dei

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L’unica digital radio che trasmette solo musica live ONSTAGE RADIO

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NICKELBACK

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PEARL JAM

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BRUNO MARS

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KINGS OF LEON






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Infatti, al costo di 10 Euro al mese, saranno disponibili chiamate ed SMS illimitati verso i numeri TIM, 100 minuti e 1000 SMS verso tutti, 1 GB di internet e già compreso l’abbonamento a Cubomusica (www.cubomusica.it). Con 2 Euro in più al mese, si avrà la possibilità di poter scegliere di avere ulteriori 200 minuti di chiamate verso tutti oppure usufruire di un ulteriore GB di internet. Portando i propri amici in TIM con il “passaparola”, TIM Young sarà gratuita per sei mesi.

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Ogni mese su www.timyoung.it si potrà partecipare alle anteprime dei più importanti film italiani e internazionali, incontrare personalmente gli attori protagonisti e vincere biglietti per eventi speciali, creati in esclusiva da TIM Young; oppure essere presente ai grandi appuntamenti della moda, con ingresso omaggio alle sfilate e al backstage.

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EDITO RIALE di Daniele Salomone @DanieleSalomone

Un altro David Bowie non esisterà più ed è colpa dei social network. È la tesi di Andrew VanWyngarden e Ben Goldwasser, genietti newyorkesi cui appartiene la ragione sociale MGMT – un nome che a molti di voi potrebbe non dire niente, ma che indica uno dei gruppi più interessanti e rispettati che l’America abbia partorito negli ultimi 10 anni. «La gente si aspetta che gli artisti condividano ogni momento della loro vita» ha dichiarato Goldwasser al sito statunitense Digital Spy. «Probabilmente non potranno più esistere artisti come David Bowie. Quando ha fatto nascere Ziggy Stardust, non sapevi mai se era veramente Bowie o il suo personaggio: questa possibilità con i social network è andata persa». Non è vero. È vero il contrario. Lady Gaga è l’esempio più evidente – ma ce ne sono molti altri - di come Facebook, Twitter, Instagram e compagni bella non impediscano agli artisti di giocare con la propria identità. Anzi, eliminare il filtro dei media nel rapporto con i fan e il pubblico consente loro di condurre le danze con ancora maggiore sicurezza, perchè possono controllare la comunicazione e quindi stabilire cosa dare in pasto alla Rete, come, quando e perché. I media giocano di sponda, perché spesso non gli resta altro che amplificare - anche quando non ce ne sarebbe bisogno - tutto quello che viene postato online direttamente dalla fonte. È vero, l’esposizione degli artisti è clamorosamente aumentata, ma questo non significa che i social gli impediscano di scegliere l’ambiguità, il mistero. Nell’era della comunicazione ultraveloce, poter stimolare il pubblico in modo rapido, ripetitivo ai limiti

dell’ossessione, è un’arma in più per costruirsi un’immagine, qualsiasi essa sia. L’impatto negativo dei social network sugli artisti è un altro. Ha messo in moto un meccanismo per cui sembra obbligatorio porre sullo stesso piano comunicazione e musica, come se fare un bel pezzo o disco o video non bastasse, come se non fossero le canzoni il modo migliore per comunicare con il pubblico, per dirgli qualcosa di se stessi. È passato il concetto che se non hai milioni di fan su Facebook o follower su Twitter sei uno sfigato senza futuro. Così qualcuno si compra un “seguito”, qualcun altro spende più tempo a studiare strategie di comunicazione che accordi e suoni. Capisco specialmente i più giovani se si sentono impotenti di fronte a questa nuova realtà, ma quello che hanno da dire è ancora molto importante, più di come lo dicono sui social. I media possono fare qualcosa per arginare lo straripante potere che Facebook&Co. hanno consegnato all’immagine. Sembra un paradosso, ma possiamo e dobbiamo cercare di rimettere al centro di tutto l’artista in quanto tale e non in quanto comunicatore. Per capire chi lo è davvero, artista, e chi finge di esserlo. Dobbiamo tirargli fuori dalle viscere quello che ha bisogno di più tempo per essere espresso e compreso, contrastando la supersonica velocità della comunicazione in Rete. Dobbiamo rimetterli al centro dello loro storie facendogli raccontare quello che hanno realmente da dire e non quello che pensano di dover dire. È importante, e dobbiamo essere bravi perché non è facile. onstage ottobre 09


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INDICE

OTTOBRE 2013 N°65

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MODà

Lorenzo Suraci, l’uomo che ha cambiato il destino di Kekko&Co., ci racconta cosa c’è dietro il loro successo.

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NEK

Uno dei più popolari cantanti italiani ci ha spiegato perchè ha deciso di tornare al suo primo amore: il rock.

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BRUNO MARS

40

Piacere ai più giovani non significa essere per forza un teen idol alla Justin Bieber. Bruno è diverso: è un artista.

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NEGRITA

Un tour teatrale, un disco acustico e una nuova tournèe per concludere in bellezza: i Docs ci raccontano tutto.

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NICKELBACK

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È possibile vendere milioni di album e sentirsi dare degli sfigati? Certo, ma niente drammi, dicono loro.

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Style

L’autunno ripropone quello che chiamiamo stile “militare”. Viene dalla strada, ma punta molto in alto.

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CAMOUFLAGE


Face to face

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www.facebook.com/onstageweb

FABIO DE LUIGI

@ONSTAGEmagazine

Il leader dei Radiohead accusa i siti di streaming musicale di speculare troppo sugli artisti. Ci siamo chiesti se sia vero o meno.

MA THOM YORKE HA RAGIONE?

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MORENO

Numbers

What’s New

Cosa c’è di nuovo e interessante, ogni mese, ve lo diciamo noi. Album, film e games in uscita, puntualmente recensiti.

Jukebox

Apriamo il magazine con uno sguardo attento e interessato su musica, libri, cinema, cultura, tendenze.

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PETER GABRIEL

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TI PORTO VIA CON ME

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MAX PEZZALI

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È NATA LA DIGITAL RADIO DI ONSTAGE! La prima digital radio che trasmette solo musica live, 24 ore su 24. Onstage Radio è disponibile sul sito e sulla pagina Facebook di Onstage, oppure come app gratuita da scaricare su tablet e smartphone. Anche a ottobre, programmazione speciale dedicata ai grandi artisti in tour. Tutte le info a pagina 72.

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musica

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cinema

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games

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ONSTAGE RADIO

Coming Soon

Il calendario concerti del prossimo mese e un focus sull’artista più importante tra quelli di cui ci occuperemo a novembre.

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BUGO ERRATA CORRIGE

Nello scorso numero, abbiamo accreditato a Chico De Luigi le foto di Ligabue in copertina e a pagina 33. Quegli scatti sono invece di Jarno Iotti, con cui ci scusiamo per l’errore. Inoltre, nel titolo del pezzo dedicato al 20esimo anniversario di In Utero dei Nirvana abbiamo scritto “74 anni fa” invece di “20 anni fa”. Ci scusiamo per il refuso con tutti i lettori di Onstage.

↘ Onstageweb.com Speciale Negrita: Teatri Tour 2013 È dall’inizio del 2013 che i nostri aretini preferiti percorrono tutto lo Stivale in lungo e in largo, portando nei teatri il loro repertorio classico riarrangiato in chiave acustica per l’occasione. Noi di Onstage abbiamo deciso di stargli vicino in questo viaggio, e non solo dedi-

candogli una delle copertine di questo numero: sul nostro sito troverete foto e video dei concerti, recensioni, interviste e approfondimenti. Insomma, sarà un po’ come se li incontraste di persona. Ah no, per quello c’è anche un meet’n’greet… Stay connected!

(foto di Alessio Pizzicannella)

onstage ottobre 11


OSPITI SETTEMBRE 2013

Kai Z. Feng

Paolo De Francesco

Julian Hargreaves

Johnny Buzzerio

È nato e cresciuto a Shanghai, dove ha studiato arte ma a 18 anni si è trasferito a Londra e ora è uno dei più apprezzati fotografi di moda cinesi. Potete vedere i suoi scatti di Bruno Mars in queste pagine.

Paolino per gli amici, si definisce un grafico che usa la fotografia per costruire delle idee e il ritocco per raggiungere meglio lo scopo. Sue le foto dei Negrita che trovate all’interno.

Nato a Varese (deve il suo nome al padre inglese), appassionato di viaggi e arte contemporanea, il 38enne fotografo si occupa di moda e ritratti, come quelli dei Modà che trovate nelle pagine di questo numero.

Dice di aver iniziato a fare il fotografo perché Ronnie Wood gli ha rubato il posto di seconda chitarra nei Rolling Stones e, a giudicare dalla sua bravura, meglio così. Giudicate voi dalle foto di Nek.

Charlie Rapino

Andrea Bariselli

Stefano Verderi

Virginia Varinelli

Emigrando in Inghilterra ha trovato l’America (ma pure in Italia partecipando ad Amici come coach). Produttore dance e pop, da due anni butta benzina sul fuoco per noi dalla sua roccaforte: Londra.

Ideatore di RicetteRock.com, musicista, produttore, manager, editore. Ci racconta le sue innumerevoli esperienze con artisti e band a cui dedica succulenti piatti pensati ad rock. Altro che MasterChef!

“The Wizard” è il chitarrista de Le Vibrazioni. Diplomato al Musicians Institute di Los Angeles, ha fondato la Basset Sound nel 2010 per produrre nuovi artisti. Ci parla di affascinanti suggestioni retrò.

Fashion blogger tra le più attive del world wide web, Didi ha cominciato a scrivere di moda nel 2011, quando ha fondato il blog The Ugly Truth Of V (.com). Da quest’anno, cura la nostra sezione Style.

74 anni fa

Registrazione al Tribunale di Milano n° 362 del 01/06/2007

Direttore editoriale Daniele Salomone d.salomone@onstageweb.com

Hanno collaborato Guido Amari, Ludovico Baggi, Blueglue, Antonio Bracco, Stefano Gilardino, Massimo Longoni, Claudio Morsenchio Gianni Olfeni, Marco Rigamonti, Gianna Zazza.

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Filiale di Roma Paola Marullo p.marullo@onstageweb.com

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JUKEBOX

DI NUOVO IN PRIMA

LINEA Dopo un periodo prolifico ma lontano dalle luci della ribalta, Peter Gabriel riporta dal vivo l’album SO (suo più grande successo) con il Back To The Front Tour, che approda a Milano il 7 ottobre. di Massimo Longoni

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a qualche anno a questa parte, per Peter Gabriel il passato è una grossa fonte di ispirazione. Se per un album di inediti bisogna infatti tornare fino al 2002, con Up, gli ultimi lavori del fu-frontman dei Genesis sono tutti improntati alla rielaborazione di opere proprie o altrui. Ecco quindi New Blood, con le versioni sinfoniche dei suoi classici, realizzato due anni fa, ma anche Scratch My Back (2010), nel quale ha reinterpretato brani di altri artisti, da lui considerati fondamentali. Ora, mentre arriva nei negozi I’ll Scratch Yours, nel quale gli stessi artisti gli rendono il favore interpretando alcune sue hit, Gabriel si ripresenta dal vivo con un ideale salto nel passato. Nel Back To Front Tour infatti non ci sono orchestre sinfoniche o riletture del proprio canzoniere, ma un riavvolgimento del nastro del tempo fino al dorato 1987. Con la medesima band di allora, infatti, proporrà per intero SO, l’album che 26 anni fa ha impresso una svolta decisiva alla sua carriera, trasformandolo di colpo da artista di culto, adorato dai seguaci ma non certo habituè delle posizioni alte delle classifiche, a campione di vendite. Merito di un album capace di coniugare in maniera raffinatissima pop e world music, impegno civile e intrattenimento. Quattro singoli uno più forte dell’altro, collaborazioni eccellenti (una su tutte quella con Kate Bush per il brano Don’t Give Up) e l’uomo in grado

di declinare il genio di Gabriel in qualcosa di alla fine. E perché tutto sia come allora, sul accessibile al grande pubblico senza svender- palco ci sarà la stessa band di superstar che lo lo: il produttore Daniel Lanois, lo stesso che accompagnò allora: Toni Levin al basso, Dal’anno successivo avrebbe trasformato in stelle vid Sancious alle tastiere, David Rhodes alla mondiali gli U2 producendo The Joshua Tree. chitarra e Manu Katché alla batteria. Sarà inIl classico lavoro in cui tutti gli elementi si teressante vedere come Gabriel svestirà i pancombinano magicamente per dare vita a un ni di pacato interprete degli ultimi anni per successo inaspettato, compreso il geniale ap- ricalarsi in quelli dell’istrione. Un confronto porto visuale fornito dal regista Stephen R. facilitato dalla recente pubblicazione in dvd Johnson per il video di Sledgehammer, senza del concerto di Atene che concluse la touril quale, probabilmente, oggi saremmo qui a raccontare una storia «Dopo i successi ottenuti, volevo solo ritirarmi diversa. «Credo che sapessimo già nell’ombra. Dopo l’uscita di SO, non avevo più allora che l’album fosse bello - ha quest’opzione» commentato sul suo sito Gabriel pensando a quei giorni. «Non ero un artista sconosciuto, avevo pubblicato sin- née originale: era quello un Gabriel all’apice goli come Shock The Monkey, Games Without della forma, anche fisica, capace di catturare Frontiers e Solsbury Hill; ma dopo ciascuno di il pubblico con un’esibizione che richiedeva questi successi avrei voluto ritirarmi nell’om- molte energie. «Appena abbiamo iniziato mi è bra. Uscito SO non avevo più l’opzione di sembrato strano e allo stesso tempo familiare» ha detto al Las Vegas Review. «È strano come tornare a nascondermi”. Partito nel settembre del 2012, il Back To le relazioni siano rimaste esattamente come Front Tour offre uno spettacolo diviso in tre erano; con la differenza che, forse, si è un po’ sezioni: una prima parte acustica, poi il set più saggi grazie al passare degli anni. Ma non “normale”, con hit più o meno recenti, e quin- ci scommetterei». Che sia quindi pronto a ridi SO eseguito nella sua interezza dall’inizio trovare anche un po’ della follia di un tempo?

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JUKEBOX

#LORENZONEGLISTADI E DENTRO UN LIBRO

Di Charlie Rapino

STREAMING SUCKS

Il 26 settembre è uscito Ti porto via con me, libro fotografico firmato da Michele Lugaresi che racconta il lungo tour negli stadi di Jovanotti. di Francesca Vuotto

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el BackUp Tour di Jovanotti sappiamo di tutto e di più: l’abbiamo immaginato leggendo le numerose interviste, visto live (per chi ha avuto questa fortuna) e rivissuto grazie allo speciale andato in onda in tv. Ma c’è chi ora ce lo racconta da un punto di vista diverso e privilegiato: è Michele “Maikid” Lugaresi, l’autore degli scatti raccolti nel libro fotografico Ti porto via con me. Lavora da anni per il sito di Lorenzo e quest’estate ha indossato i panni del fotografo per immortalare non solo il cantante e la band, ma anche il pubblico. Tra le pagine - accanto alle foto nel backstage o sul palco - ci sono loro, i fan, con le loro facce, di ogni tipo ed età: adolescenti, giovani, padri di famiglia con prole al seguito. Ci sono perfino la ragazza con la maglietta dei Kiss e la signora che vende lo zucchero filato. Sono tutti lì, stracontenti di essere parte dell’evento dell’estate 2013, trepidanti per l’inizio del live. «È la luce nei loro occhi e l’affetto che queste immagini emanano che hanno convinto Lorenzo a farne un libro» mi ha raccontato. «Alcune persone sono venute a vederlo in più città, ricordo due ragazzoni barbuti che hanno indossato ogni volta una T-shirt creata ad hoc e

18 onstage ottobre

una ragazza che a tutti i concerti ha lanciato sul palco una rosa». E seguire Lorenzo com’è stato? «Emozionante e faticoso! Per la prima volta mi sono trovato dentro allo spettacolo e ho macinato chilometri su chilometri per stargli dietro. Avrò perso 1-2 kg a data» scherza. E non lo ha fermato nemmeno la pioggia torrenziale di Padova: «Le due macchine che avevo con me hanno preso così tanta acqua che si sono rotte e sono andato avanti con l’iPhone». Così, a fine tour, Michele si è ritrovato con circa mille foto per tappa. È stato arduo selezionarle, ma se gli chiedete qual è la sua preferita non ha dubbi.

«È stato l’affetto che emanano le

immagini del pubblico a convincere Lorenzo a farne un libro»

«Quella della copertina. Ad un certo punto durante le prove io e lui abbiamo dovuto controllare i video da proiettare durante gli show. La band si è allontanata, siamo rimasti soli e lui ha alzato lo sguardo verso il videowall. E io ho scattato».

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LONDON CALLING

(VINYL IS COOL)

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MG RV8 è la protagonista delle serate londinesi in stile Michael Caine del vostro eroe preferito. S’inizia dal famigerato Groucho’s per poi andare da Morton’s e Annabell’s a vedere le biondine che annegano nel vodka seltz tra un disco e l’altro di Nile Rodgers. Dopo un lungo sonno di 90 minuti il V8 parcheggia su Berwick Street e il vostro eroe entra uno dopo l’altro in tre negozi di dischi (Sister Ray’s, Reckless, Sounds of Universe) a curiosare tra i vinili. Fino a poco fa, eravamo in pochi amici, casi disperati direi. Negli ultimi mesi, invece, i negozi hanno cominciato ad affollarsi di sbarbati in formato post-tossico e biondine di nero-giallo-rosso vestite modello caramella. Una sera ho chiesto ad uno di loro cosa ci facesse lì dentro e perchè non stesse smanettando su Spotify. Risposta: «Naaah, quella è merda che usano i miei genitori!». Suppongo che io sia diventato lo zio ultra cool. Qualche giorno più tardi, sul New York Times, leggo un articolo sulla crescita esponenziale del mercato del vinile. I Daft Punk, a 50 sterline a pezzo, sono al primo posto e tutti si stanno ricomprando il Thorens a prezzi paurosi. In preda all’entusiasmo ho distrutto un patrimonio per ricomprarmi la collezione di vinili che già avevo in passato e che ora probabilmente prende polvere in qualche cantina fetida della pianura padana, povere creature (Marinella Venegoni ha fatto di peggio donando tutti i suoi dischi a qualche bibliotecaccia). In una settimana mi sono rifatto tutto Marvin Gaye, tutti gli Earth Wind & Fire, tutti gli Stones e ho regalato un Public Enemy vintage ad una coppia di sbarbi che guardavano il mio sperpero da fetish (la biondina sbarba mi ha abbracciato…Arzillo lo Zietto!). Ho cancellato pure tutta la musica dall’ iPhone. E adesso so che regalo fare al prossimo figliol prodigo! Magari mi faccio anche un bel mangianastri sul V8. Chi ha detto che la musica non si vende? Non è vero! Altro che YouTube Festival! Streaming? Roba da democrazia, roba da repubblica.



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MUSICISTI RIVOLUZIONARI A Torino, fino al 3 novembre, sono in mostra gli scatti di artisti che hanno segnato indelebilmente la storia della musica

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cco una mostra non potevamo non segnalarvi. Torino ospita ad ottobre Transformers . Ritratti di musicisti rivoluzionari, 78 immagini di 26 cantanti e musicisti che il curatore Alberto Campo ha selezionato dagli archivi Getty Images (partner dell’esposizione) per rappresentare le mille strade che la musica contemporanea ha intrapreso da quando, negli Anni Cinquanta, Elvis “inventò” il rock. World music, pop, punk, grunge, hip hop, elettronica e chi più ne ha più ne metta: gli scatti raccontano la storia della popular music attraverso le sue facce più note, che gli hanno permesso di cambiare, evolversi, rigenerarsi. E un occhio di riguardo è riservato al live, momento che ha assunto sempre più valore negli ultimi anni a discapito della musica registrata - e

STORIA DI UN COWBOY (DI PAVIA) Esce il 10 ottobre la biografia di Max Pezzali, racconto dei suoi primi 46 anni di vita foto di Athanasios Alexo

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ella vita, si sa, c’è sempre un collegamento tra le cose: riesci a farne una solo perché ne hai fatta un’altra in passato». Così sentenzia Max Pezzali nella sua autobiografia. E lui deve averne azzeccata davvero più d’una di scelta, se continua ad essere, con l’ultimo disco Max20 e relativo tour, uno degli artisti più gettonati del nostro paese, con concerti sold out ovunque e tanti chilometri da macinare per accontentare ogni angolo d’Italia. In I cowboy non mollano mai. La mia storia l’ex 883 racconta proprio come è andata, dagli anni in cui in quel di Pavia sognava di conquistare Milano insieme al suo amico Mauro Repetto a quelli più recenti con i successi della carriera solista. Si confida mostrando ai lettori scorci della sua vita, non solo come cantante ma anche come uomo, lasciandoli entrare nel suo mondo.

20 onstage ottobre

Un mondo in cui continua a sopravvivere quella sensazione di inadeguatezza del Max di un tempo, che, però, “è utile per continuare a raccontare storie”. La sua la trovate in libreria dal 10 ottobre (ISBN Edizioni, € 16). F.V.

a noi di Onstage particolarmente caro. Elvis, Bob Dylan, i Doors, Madonna, i Radiohead e tanti altri si mettono in mostra nella loro dimensione pubblica e privata, dando vita ad un percorso che si snoda attraverso i decenni, raccontando uomini e miti. Fino al 3 novembre ai Cantieri OGR. F.V.

HOT LIST I 10 brani più ascoltati in redazione durante la lavorazione di questo numero Jack Johnson I Got You (I Got You, 2013) Sly & The Family Stone Shine It On (Back On The Right Track, 1979) Pearl Jam Sirens (Lightning Bolt, 2013) Steely Dan Black Friday (Katy Lied, 1975) Disclosure When A Fire Starts To Burn (Settle, 2013) Virginiana Miller Anni di piombo (Venga il regno, 2013) Tv On The Radio DLZ (Dear Science, 2008) 65daysofstatic Prisms (Wild Light, 2013) Lucio Dalla Quale allegria (Come è profondo il mare, 1977) Arctic Monkeys Why’d You Only Call Me When You’re High (AM, 2013)


di Stefano Verderi

RISCOPRIRE L’AMERICA Milano si tinge di stelle strisce. Da ottobre, Autunno Americano porta in città mostre, eventi e concerti dedicati al Novecento statunitense

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lzi la mano chi mi sa dire qualcosa Cats, e al Museo di Storia Naturale il 18 otsull’Autunno Americano. Tranquilli, tobre arriva direttamente da New York la monon affannatevi a scavare nei mean- stra scientifico-divulgativa Brain. Il cervello, dri della vostra memoria scolastica. Nonostan- istruzioni per l’uso. Non starà con le mani in te il nome faccia pensare a una corrente o un mano nemmeno chi ha voglia di un po’ di mumovimento di quelli che si trovano nei libri sica: l’11, 12 e 13 ottobre il quartiere di Brera di storia, Autunno Americano è il titolo della farà un salto indietro nel tempo con il festival stagione culturale promossa dal Comune di Swing‘n’Milan - che diffonderà per le vie corMilano per i prossimi mesi. «In occasione dell’Anno della Cultura «Vogliamo rendere omaggio alla tradizione di Italiana negli Stati Uniti abbiamo un popolo amico, la cui cultura nel Novecento voluto rendere omaggio alla tradiha contribuito fortemente alla costruzione zione di un popolo amico, la cui dell’immaginario moderno» cultura nel Novecento ha contribuito fortemente alla costruzione dell’immaginario moderno e alla formazione ner dedicati alla moda degli anni ’30 e ’40 al di molti di noi. Per questo abbiamo voluto ritmo di charleston e boogie woogie – mentre costruire un programma con un taglio mul- a novembre ci racconterà le sue storie dal sapotidisciplinare che costituisse un focus appro- re inequivocabilmente americano nientemeno fondito sull’arte e la cultura americane dagli che Bob Dylan. E poi reading, proiezioni, apanni Trenta fino a oggi» ha detto l’assessore alla profondimenti su architettura e design, laboratori culinari grazie ai quali brownies, muffins Cultura Filippo Del Corno. In città non si saprà da che parte girarsi e pancakes non avranno più segreti per voi - e tante sono le iniziative in programma fino ai tanto altro ancora (il programma completo sul primi mesi del 2014: Palazzo Reale ospita le sito www.autunnoamericano.it). Insomma, mostre Pollock e gli Irascibili e Andy Warhol, per dirla con le parole del Console Generale nei teatri cittadini andranno in scena alcuni degli USA Kyle Scott, «Milano quest’autunno capolavori a stelle e strisce, come il musical diventerà la città più americana di tutte». F.V.

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RETROMANIA

FAN 2.0

U

na volta, una ragazza straniera ci scrisse una lettera in un italiano molto approssimativo, esordendo così: «Ciao sono una dei vostri più grandi ventilatori». Aveva tradotto in modo letterale la parola “fan” dall’inglese (fan=ventilatore), ignorando la consuetudine italiana di adottare frasi e parole dalla lingua d’Albione. Traduzioni a parte, cos’è un fan? Teoricamente, è quella persona che compra tutti i dischi di un artista, che va ai suoi concerti, che conosce ogni singolo particolare della sua carriera (e nei casi estremi pure della vita privata) e che segue il proprio beniamino sia nei momenti migliori che in quelli mediocri, non solo se fa una hit che passa in radio. Certamente oggi è totalmente mutato il rapporto che i fan hanno con i propri idoli. Se non altro sono cambiati i mezzi a disposizione per avere un contatto diretto con loro. Un tempo non c’era altra scelta che spedire una lettera scritta a mano all’indirizzo della casa discografica o del management, sperando che l’artista si prendesse il tempo per leggerle tutte, compresa la tua. E poi c’erano i fan club, ufficializzati dall’artista stesso, che godevano di certi privilegi rispetto al grande pubblico. Farne parte comportava un impegno concreto, anche economico. In ogni caso, una volta era molto più difficile riuscire anche solo a salutare il proprio idolo, il rapporto era molto più distaccato. Ma non per questo meno affettuoso. Oggi per essere fan basta cercare la pagina Facebook di un artista, seguirlo su Twitter o su Instagram. La maggior parte dei fan club ruotano solo ed esclusivamente intorno ai social network; nello stesso momento in cui decidi di diventare fan (appunto) della pagina di un artista hai accesso a tutta la sua vita pubblica e privata in un istante, perchè è lui stesso ad avere tutto l’interesse a “condividere” persino la sua sfera privata: più è attivo da questo punto di vista, più follower avrà. E il pubblico può sapere tutto di lui, anche quando non ha ascoltato che una o due delle sue canzoni. Ma non è meglio conoscere l’artista per la sua musica (ascoltando interamente gli album) e solo in un secondo momento interessarsi sulla sua persona?

onstage ottobre 21


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JUKEBOX

RICETTE ROCK di Andrea Bariselli

COMUNQUE IO VOGLIO TE Una bella idea che attende il contributo dei fan per diventare realtà. Il regista Andrea Caccia ci racconta perché ha deciso di puntare su Ora respiro, un film concerto su Bugo

LA TARTE TATIN ALLA METALLICA

di Stefano Gilardino - foto di Simone Cargnoni

V

ogliamo chiamarlo artista di culto, in mancanza di definizioni migliori? Cristian Bugatti, in arte Bugo, è una mosca bianca della musica italiana, uno dei primi a riportare in auge, suo malgrado, la figura del cantautore qui in Italia, ma impossibile da incastrare in una casella precisa. La sua storia particolare è lo spunto per un documentario che è possibile sponsorizzare su Musicraiser, opera del regista Andrea Caccia, che ci spiega da dove nasce il progetto: «Io e Cristian siamo amici da molti anni, ci siamo conosciuti frequentando la stessa sala prove vicino a Novara. Poi, un giorno, ci ha fatto ascoltare in anteprima il suo debutto vero e proprio, La prima gratta, e mi sono innamorato delle sue canzoni. All’epoca avevo già scelto la mia strada, fare il regista, e così ho cominciato a seguirlo in tutti i concerti filmando qualunque cosa, prima di diventare anche l’autore dei suoi primi videoclip. Per 13 anni. Quando Bugo ha annunciato una lunga pausa - ora abita in India con la moglie

-, ho deciso di riprendere in mano le centinaia di cassette che occupano un armadio intero e dare un senso a tutti quegli anni di registrazioni. Vorrei fosse un documentario diverso, senza una voce narrante che racconta una storia, ma con la musica e le canzoni e le sue interviste a fungere da trama». Servono 20.000 euro, da raccogliere sulla piattaforma di crowdfunding Musicraiser (esistono diverse possibilità di finanziamento, ognuna delle quali offre in cambio dei “premi”), perchè Ora respiro diventi il giusto tributo a una figura unica della nuova musica italiana. «Bugo non ha termini di paragone, perché segue solamente le traiettorie della sua ispirazione. Sui suoi dischi ci puoi trovare il noise, l’elettronica, il pop, la canzone italiana, il rock, senza soluzione di continuità. Cristian è l’emblema perfetto di questi anni così particolari, in cui la contaminazione musicale ha raggiunto livelli altissimi». In attesa del suo comeback discografico, facciamo il tifo per questo documentario!

E

cco una ricetta rivista e corretta a mio gusto personale. Trattandosi di una torta che deve essere rigirata, non posso non raccontarvi di una gran “ribaltata” che mi ha visto protagonista. Correva l’anno 1993 e, se la memoria non mi inganna, era per l’esattezza il 23 giugno. Insieme a tre amici viaggiavo verso Torino per assistere al concerto dei Metallica, che in quell’occasione ospitava Suicidal Tendencies e Megadeth. Arrivati in città, mentre ci stavamo dirigendo verso lo stadio, una macchina ci tagliò la strada passando con il rosso. Non si sa per quale teoria matematico-fisica, visto che andavamo parecchio piano (tra i 40 e i 50 km/h, giuro!), ci ribaltammo ricadendo sul tetto della macchina. Malauguratamente fui l’unico a sbattere la faccia. Mi ruppi lo zigomo ma in un primo momento mi sembrava che nessuno, compreso il sottoscritto, si fosse fatto niente. E così, uscito dal finestrino della macchina, dissi le seguenti parole: «Beh dai, tutto sommato non ci siamo fatti niente, cerchiamo di rigirare la macchina che se no facciamo tardi e ci perdiamo il concerto!». In effetti non mi ero ancora reso conto delle condizioni in cui era il mio viso, ma dalle facce incredule dei miei compari capii che qualcosa non andava. Lo compresi quando mi guardai allo specchio e vidi che metà faccia era gonfia in puro stile Rocky Balboa dopo la cura Apollo Creed. A quel punto mi era chiaro che il concerto non lo avrei visto. Che
poi a me i Metallica manco piacevano! Quindi mangiamoci ‘sto dolce dedicato al ribaltone metallico fatto in quel di Torino con in sottofondo i Megadeth di Peace Sells... But Who’s Buying?. Così, per dispetto. INGREDIENTI: 6 grosse pere kaiser
125 gr. di farina
125 gr. zucchero
25 gr. cacao amaro
1 cucchiaio lievito per dolci
1 punta di cucchiaio di bicarbonato
160 gr. burro
vaniglia
2 uova Per la preparazione: www.ricetterock.com

22 onstage ottobre



FACE TO FACE

FABIO DE LUIGI Come dimostrano gli incassi dei film di cui è protagonista, De Luigi fa bene alla commedia. Adesso è il turno di Aspirante vedovo (dal 10 ottobre in sala) accanto a Luciana Littizzetto. di Antonio Bracco

I

l remake di un film di Alberto Sordi è un grande onore... O è più il terrore pensando a chi vorrà fare confronti a tutti i costi? Onore e terrore in questi casi vanno a braccetto e per l’occasione diventano sinonimi. Detto questo, preferisco pensare di aver partecipato al remake di una storia originale ed attualissima come Il vedovo che non ad un confronto con Sordi. Che, come tutti sanno, è un attore assolutamente inimitabile. Chi vorrà farlo a tutti i costi non potrà che verificare la totale lontananza tra il mio Alberto Nardi e l’originale. Aspirante vedovo è un titolo che suscita immediata ilarità. Se ripensi a cosa da giova-

ne aspiravi essere, qualcosa di quei ricordi ti fa sorridere ora? Le aspirazioni dei bambini, dei giovani, suscitano sempre tenerezza. I bambini sognano “sul serio” senza preoccuparsi della fattibilità delle ambizioni che si pongono, sono gli adulti che spesso, riempiendoli di paure, li portano al fallimento o - peggio - alla rinuncia. Woody Allen si ispirò al tema facendolo diventare una scena meravigliosa di un suo film. Per quanto mi riguarda sorrido ancora pensando che da bambino volevo fare addirittura l’attore. Certo, la storia de Il vedovo di Dino Risi è attualizzata, ma è un fatto che ci siano coppie (negli anni ‘50 come oggi) in cui è la moglie a portare i pantaloni. Cosa vuoi dire a quei mariti per dar loro un po’ di conforto? Coraggio. Siamo tutti sulla stessa barca. L’Alberto Nardi di Sordi si faceva chiamare Commendatore, un appellativo che ha perso il prestigio di un tempo. Oggi lo si riconosce ce ai Cavalieri, agli Onorevoli... il tuo Nardi dietro quale facciata di prestigio nasconde la sua cialtroneria? Il mio Nardi si nasconde dietro una maschera da imprenditore capace: si muove, parla e si veste da imprenditore capace. Distribuisce a piene mani la sicumera e l’arroganza tipiche dei mediocri. Sei stato uno dei tanti ammiratori di Alber-

to Sordi? Cosa ti affascinava di lui o cosa hai potuto rubargli per migliorare il tuo lavoro? Impossibile non ammirare Alberto Sordi! Grazie al suo lavoro è divenuto archetipo, il suo modo di recitare è diventato una firma indelebile, unica. Non poteva esserci scelta migliore della Littizzetto per interpretare una moglie ricca e “con le palle”. Anche fuori dal set, nelle pause, nelle attese, nelle confidenze tra attori è una “con le palle”? Luciana riesce - non è ancora dato sapere come - ad organizzare cento cose contemporaneamente. Oltre ovviamente a prendersi cura della famiglia, partecipa a riunioni scolastiche, condominiali - anche quelle di altri condomini diversi dal suo, se necessario - scrivendo mo«Ho una passione per tutta la produzione della Motown, ma adoro anche Talking Heads, Police, Jam e Style Council. Insomma, sono onnivoro» nologhi esilaranti durante la stesura di un libro proprio mentre sta girando un film. E le riesce tutto bene! È una donna che quelle cose che dici tu ce le ha belle grandi. E quadrate. Quale colonna sonora accompagna la storia di Aspirante vedovo? Non ho ancora visto il film e quindi so poco anche delle musiche. Credo però che la scelta musicale possa essere caduta su sonorità che in qualche modo riescano a restituire il sapore degli anni in cui il film è stato girato. La storia poi, aveva solo bisogno di essere attualizzata nei dialoghi e nello stile narrativo ed è lì che si è concentrato maggiormente il lavoro di sceneggiatori e regista. Allora mi rifaccio su di te. Quale colonna sonora accompagna la storia della tua vita? La musica è un elemento fondamentale per me. Ascolto tutto! Nello specifico ho avuto ed ho ancora una passione speciale per tutta la produzione della Tamla Motown quindi soul e R&B, ma adoro anche Talking Heads, Police - intorno ai 16 anni avevo una vera e propria venerazione per loro - Jam e Style Council. Per i contemporanei vado dai Chemical Brothers agli Oasis passando per i Guns N’ Roses. Onnivoro, appunto.


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ICON BOOK LA STORIA DI QUESTO LIBRO COMINCIA 40 ANNI FA, CON LA NASCITA DELLO STIVALE CHE È DIVENTATO UN’ICONA Nel 1973, ventuno anni dopo l’apertura della Abington Shoe Company ad opera di Nathan Swartz, il figlio Sidney - che insieme a suo fratello Herman si occupava dell’azienda - lanciava uno dei primi modelli di stivali in pelle impermeabili. Voleva che fossero belli e utili. Li chiamò Timberland. Nasceva così il celebre “Yellow Boot”, che divenne subito un classico, simbolo della qualità e della funzionalità dell’artigianato yankee. Ancora oggi, gli standard di qualità del primo modello ispirano le nuove collezioni. La storia dei successivi quarant’anni è raccontata da un libro speciale, in edizione super limitata, che Timberland ha voluto per celebrare il traguardo raggiunto dalla sua creatura più celebre. Con il contributo di artisti del calibro di Pharrell Williams, che ha disegnato un modello in occasione dell’anniversario, Icon Book immortala l’impatto dello Yellow Boot nello stile e nelle tendenze che hanno attraversato gli ultimi quattro decenni. Un’elegante testimonianza del motivo per cui resta e resterà un’icona di stile.


FACE TO FACE

MORENO È stato il primo rapper a partecipare, e vincere, Amici. Ma il suo cammino parte da molto più lontano. Dopo il primo album, Stecca, è pronto per il Confusione Tour. di Tommaso Cazzorla

I

l 1° ottobre parte la tua prima vera tournée. Come ti senti? Inizio proprio dall’Alcatraz di Milano, ci sono già stato come spettatore e spero che sia pieno, perché è davvero un gran bel colpo d’occhio. La parte estiva nelle piazze è andata molto bene, ma anche se è bello suonare all’aperto o fare delle ospitate, potermi esibire per persone che pagano il biglietto per me mi esalta. Io, in

cambio, metto tutto me stesso sul palco. Che pubblico ti aspetti di trovare? Nella parte estiva il pubblico mi ricordava molto quello di Amici. È interessato non solo al rap ma anche ad altri generi. È un’ottima possibilità espandere la propria fanbase e la cosa non mi dispiace, perché sono persone meno aggressive. Invece il pubblico del rap underground è composto in gran parte da rapper, che ti giudicano da pari a pari, anche con un po’ di sana competizione. Io preferisco avere un’ audience diversa, perché anche io mi sono dimostrato diverso, come genere, come carattere, anche nel vestiario. Quali sono le reazioni alla tua partecipazione ad Amici che ti hanno più infastidito? Dicono che andare in Tv sia una scorciatoia. Ma non sanno che ci sono degli step prima di vincere un programma. Se pensavano che fosse facile potevano sfidarmi! A chi sostiene che Amici non è il contesto per l’hip hop rispondo che è televisione. MTV Spit (che ho fatto anche io) viene considerato più adatto per i rapper perché le sfide si basano sul freestyle, ma anche in quel contesto i giudici sono esterni al mondo rap, vedi Morgan e Max Pezzali. La televisione è solo un mezzo: sta nel coraggio della persona mettersi a nudo, perché a quel punto

non conta più solo Moreno il rapper, ma anche Moreno la persona. Farai ancora delle gare di freestyle? No. Non perché non mi piacciano, ma perché mi accusano di non avere il background, di non aver fatto gavetta, allora io mi impunto e non ci vado più. Ho fatto tutte le manifestazioni che contano: Battle Arena, Fuori per il Cash, 2thebeat, Tecniche Perfette. Basta guardare su Wikipedia per vedere che io, a 23 anni, sono l’artista più titolato da quando il Tecniche è iniziato, dieci anni fa. I miei step li ho fatti, «Dicono che andare in Tv sia una scorciatoia. Ma non sanno che ci sono degli step prima di vincere un programma. Se pensano che fosse facile potevano sfidarmi!»

devo solo essere maturo e non curarmi di quelli che lo negano. E comunque, ora è il momento di concentrarmi sui miei brani. Continuerai a riservare una parte del live al freestyle? È una cosa che non voglio abbandonare: in ogni città in cui mi esibisco faccio salire sul palco una persona del posto. Nonostante mi dicano che il mio non sia vero hip hop, sono uno dei pochi che mostra tutte e quattro le discipline. I ballerini fanno breaking, c’è il dj, noi facciamo freestyle, e ogni volta porto sul palco una tela fatta da un writer mio amico. Anche se non siamo in America, mi piace che nel mio live ci siano tutte queste sfaccettature. Cosa manca all’hip hop in Italia? Una visione più lucida. Bisogna rispettare chi ha fatto l’hip hop old school, come Kaos e i Colle Der Fomento, ma il rap degli ultimi anni non è meglio o peggio, si è semplicemente evoluto. Provare nuove cose non è peggiorare. Le critiche costruttive vanno bene, ma spesso sono dettate solo dall’invidia. Ci sono passati tutti, i Club Dogo, Fabri Fibra o J-Ax, tutti gli dicevano che erano meglio prima, che non sono più quelli di una volta. Magari tra un po’ lo diranno anche a me, e lo spero, significherebbe che sono cresciuto e mi sono evoluto. Nelle vita bisogna fare scelte coraggiose, e se ti metti in luce davanti a due milioni di Italiani è giusto che arrivi anche qualche critica.



NUMBERS

Ma Thom Yorke ha ragione? La frontiera streaming è certamente la strada da percorrere nella lotta alla pirateria musicale. Thom Yorke tuttavia si è ferocemente scagliato contro Spotify, servizio che a conti fatti renderebbe soltanto alle major e non certo a emergenti e artisti indipendenti. Ha ragione? Indaghiamo…

TAB.1

di Jacopo Casati

DEEZER VS SPOTIFY Dati attuali

SPOTIFY

deezer

25

s

CANZONI DISPONIBILI

MILIONI

30

s

NUMERO UTENTI

MILIONI

4

s

NUMERO ABBONATI

MILIONI

MILIONI

MILIONI

MILIONI

TAB.2

CANZONI DISPONIBILI

24

s

NUMERO UTENTI

6

s

NUMERO ABBONATI

Dati attuali

576,5

MILIONI DI $

ROYALTIES ALLE LABEL + 50% rispetto al 2011

350

MILIONI DI $

l 2013 verrà certamente ricordato come l’anno dell’esplosione mondiale degli streaming music service: il music business internazionale ha preso atto già da qualche tempo, specialmente nei mercati più importanti come UK e USA, della tendenza innescata dai prodotti provenienti da Svezia (Spotify) e Francia (Deezer). Musica legale, per tutti, a poco se non addirittura gratis con giusto qualche spot tra un brano e l’altro ogni tanto. Fin qui tutto regolare. Anche troppo a dire il vero. L’espansione continua e massiccia di questa tipologia di servizi in diverse nazioni e la diffusione

28 onstage ottobre

s

BILANCIO IN PERDITA SPOTIFY

ENTRATE

I

2O

PASSIVO COMPLESSIVO + 30% rispetto al 2011

77

MILIONI DI $

degli stessi tramite i social network, è stata recentemente portata nuovamente agli onori delle cronache dagli strepitii di Thom Yorke e Nigel Godrich (rispettivamente frontman e produttore dei Radiohead), che si sono scagliati senza mezzi termini contro Spotify e i servizi di musica in streaming. «Non aiutano le band emergenti e le etichette indipendenti» è stato in sintesi il pensiero delle due affermate star, che hanno tolto da Spotify i propri dischi solisti e l’esordio degli Atoms For Peace per lanciare un messaggio forte nei confronti di tutto il biz. In buona sostanza viene contestato il meto-


do di erogazione delle royalty che toccano agli artisti, specialmente quelli meno famosi, che rimangono bassissime a prescindere dalla quantità di riproduzioni dei singoli brani. A dire il vero nessun cantante o band ha ancora avuto il coraggio di pubblicare documenti ufficiali relativi ai compensi che riceve da questo tipo di attività, che, ricordiamolo per chi non lo sapesse, non prevede un contatto diretto tra lo streaming service e il singolo musicista: infatti Spotify e Deezer hanno accordi diretti con le etichette discografiche e con gli aggregatori altrimenti detti distributori digitali (come Believe Digital ad esempio): sono questi i soggetti a cui versano i diritti d’autore, che solo secondariamente arrivano ai primi attori, ovvero gli artisti; prima che uno di questi riesca a incassare i diritti, sono Spotify, etichetta e aggregatore a trattenersi la propria (abbondante) percentuale. Chiaramente tutto dipende dai singoli accordi che un artista ha con la propria discografica, ma non è difficile pensare che attualmente gli introiti siano davvero limitati. Se escludiamo l’indie rock band Grizzly Bear, che ha apertamente dichiarato di aver incassato la miseria di 10 dollari per 10.000 riproduzioni dei propri brani su Spotify, o ancora la cantante italiana di livello mondiale (rimasta anonima ma ritenuta attendibile e ripresa anche da testate come Wired) che ha detto di guadagnare ad ogni ascolto 0,0035 Euro e spicci (in sostanza 1 euro ogni 300 ascolti), l’argomento è ancora piuttosto fumoso e difficile da approfondire senza un’adeguata conoscenza delle cifre in ballo.

TAB.4

TAB.3

GUADAGNO ARTISTI DA SPOTIFY

Guadagno artista Spotify eroga 0,0035752493 euro (dati di fonte anonima, cantante italiana con distribuzione mondiale) Per semplificare,

1 euro circa ogni 300 ascolti

!

Dati USA prima metà 2013 rispetto al 2012 (Gennaio, Giugno. Fonte Nielsen e Billboard)

+ 38%

-

+ 6,2%

- 2.3%

SERVIZI STREAMING

ALBUM IN DIGITAL DOWNLOAD

+

SINGOLI IN DIGITAL DOWNLOAD

- 14.2% VENDITE CD

Ciò che è certo però è che questo nuovo modello di business sta in parte funzionando nell’abbassare sia il monopolio digitale di iTunes, sia nel combattere la pirateria. I dati Nielsen e Billboard relativi al mercato della musica digitale negli USA, mettono chiaramente in evidenza come lo streaming sia in aumento nella prima metà del 2013. Tuttavia un altro aspetto è da sottolineare. I capricci di Thom Yorke sottolineano come quello di Spotify e Deezer sia un servizio rivoluzionario, che ha sicuramente bisogno di tempo per crescere ulteriormente. Inglobato sin dall’inizio dalle major musicali (che hanno probabilmente imparato la lezione di iTunes, quando sottovalutarono terribilmente un’azienda che non solo cambiò per sempre la fruizione della musica ma che è ora il rivenditore numero uno al mondo con un fatturato di 23 miliardi di dollari l’anno), lo streaming fa ancora fatica a camminare con le proprie gambe. Lo dimostra il fatturato di Spotify del 2012, in costante perdita nonostante l’aumento continuo di iscritti, con previsioni ancora più fosche per l’anno in corso. Demonizzare una novità che, per la prima volta dopo anni, potrebbe davvero col tempo contrastare in qualche modo la pirateria musicale non è mossa intelligente, specialmente in un momento storico in cui le vendite degli album sono quasi del tutto un ricordo anche per band affermate. Bisognerebbe invece collaborare, al fine di trovare una soluzione condivisa, che possa avvicinare sempre più persone a una fruizione legale della musica, evitando crociate che, a differenza di quella più che legittima intrapresa dai Metallica nei confronti di Napster a inizio millennio, risultano oramai inattuali e pretestuose.

onstage ottobre 29



MODà

Elogio della

normalità


A ottobre riparte il Gioia Tour 2013, uno degli eventi live di maggiore successo dell’anno. Del resto, negli ultimi quattro anni i Modà non hanno sbagliato un colpo e oggi si godono i frutti di questa inarrestabile ascesa. Come hanno fatto? Con l’aiuto di Lorenzo Suraci, uomo chiave per il successo di Kekko e compagni, cerchiamo di rispondere alla domanda che molti si pongono ma a cui pochi sanno realmente rispondere.

L

di Tommaso Cazzorla - foto di Julian Hargreaves

a carriera dei Modà è cambiata il giorno in cui hanno incontrato Lorenzo Suraci. A chi non è dell’ambiente magari il nome non dice molto, ma Suraci, classe ’51, nato a Vibo Valentia ma bergamasco d’adozione, è quello che si dice “un pezzo grosso”. Patron di RTL 102.5 fonda nel 2010, insieme a Eduardo Montefusco di RDS e Mario Volanti di Radio Italia, la piccola etichetta discografica Ultrasuoni, con l’obbiettivo di dare spazio ad artisti snobbati dalle major. Tra i primi a firmare, proprio i Modà: «Quando ci siamo conosciuti erano sul punto di sciogliersi. Il loro talento non era compreso e anche se erano stati a Sanremo Giovani e avevano fatto tre album, la loro carriera aveva avuto più spine che rose». Non è un segreto, i Modà ne hanno fatta molta di gavetta e avevano già cambiato diverse case discografiche, pur senza grandi risultati, almeno fino a quella fatidica firma. Questo perché Ultrasuoni non è un’etichetta come le altre, ma può basare la sua strategia su un mezzo potentissimo, la radio. Che ha permesso alla band di Kekko di fare il grande salto, grazie al singolo Sono già solo: «Nessuno era preparato a quel successo, meno che mai io» ha raccontato il cantante. «O meglio, sapevo che l’effetto RTL 102.5 era devastante ma non pensavo che il pezzo potesse raggiungere certi risultati». È stato quel singolo la scintilla che ha fatto accendere la miccia, singolo che Suraci aveva subito individuato come potenziale hit. Kekko ha raccontato che quando gli ha fatto sentire i provini, Lorenzo è praticamente salito in piedi sulla sedia dall’entusiasmo. «Mi ha colpito subito per il testo e per la musica, molto “italiana”. È un genere che in radio ha sempre funzionato», ricorda lui. Inizialmente il brano doveva essere presentato a Sanremo 2010 ma

32 onstage ottobre

fu escluso - i 4 avevano già partecipato nella sezione Giovani qualche anno prima, e non erano ancora abbastanza famosi da rientrare tra i big - per cui tutta la strategia di promozione fu costruita esclusivamente sulla radiofonia, con RTL 102.5 in prima fila. Kekko non credeva neanche che La notte fosse adatto come singolo successivo ma lo staff gli consigliò di puntare su quel brano, dimostrando con i fatti di avere ragione. «Il nostro approccio non era come quello delle altre case discografiche - racconta Suraci - ma è servito a far capire loro che dovevano lavorare in modo che i prodotti fossero fruibili immediatamente dalle radio. Non esclusivamente per quelli che già li conoscevano o per target particolari, ma per la fascia più “popolare”. I ragazzi sono stati bravissimi a scrivere, insieme ai nostri collaboratori, il primo album che andava in questa direzione, Viva i romantici, che è poi una conseguenza naturale dei primi tre singoli».

UNA ROBA TEORICA Ma non è stato tutto facile da subito. Anzi, il rapporto tra i Modà, in particolar modo Kekko, e Lorenzo Suraci è stato tempestoso. Nella biografia della band, il cui capitolo 28 non a caso si intitola Lorenzo, Kekko lo descrive come «una persona difficile da affrontare. Un imprenditore con 44 paia di coglioni sotto […] aggressivo e diretto nelle trattative, sapeva di essere il più forte e soprattutto non aveva un cazzo da perdere». E di fatti i due si affrontano di petto e litigano spesso, ma è il presidente ad avere inevitabilmente il coltello dalla parte del manico. Esempio lampante il primo singolo, Timida, che in origine si intitolava Estate e il cui testo viene modificato sotto suggerimento di Lorenzo per essere reso più accessibile. Non c’è artista al mondo che sia contento se gli si impone di cambiare qualcosa delle proprie opere. Quando chiedo a Suraci lui sorride e minimizza con un gesto della mano, ribadendo la propria posizione. «La conflittualità è una roba teorica. Io avevo i miei affari da portare avanti e non volevo certo perdere tempo. Come si dice: o così o pomì. Il prodotto doveva sposare il target della radio e io sono sempre

«Gli abbiamo fatto capire che dovevano lavorare in modo che i prodotti fossero fruibili dalle radio. Non per quelli che già li conoscevano o per target particolari, ma per la fascia più “popolare”»

stato determinato a farglielo capire. I risultati sono stati solo positivi». Poi entra del merito della strofa modificata: «Inizialmente lui cantava una metafora tra una donna e un’ ape, ma io ho suggerito di rendere il testo più facile. “L’ape” non è una cosa che capiscono tutti».

PERSONE MOLTO NORMALI È qui la chiave dell’alleanza trionfale tra i Modà e la radiofonia. Il mezzo più genuinamente popolare incontra una band che fa della normalità la propria bandiera e, con molta fiducia reciproca e dopo qualche aggiustamento, porta entrambi alla vittoria. Senza la radio a fare da megafono, le canzoni dei Modà, così dirette e immediate, non riescono a trovare il giusto rapporto con il pubblico e con la discografia, e la


burrascosa prima parte della loro carriera lo dimostra ampiamente. Loro stessi parlano di «sofferenza in un momento in cui non riuscivamo a far arrivare la nostra musica a tutti». Suraci riconosce questa forza e decide di supportarla con tutta la sua esperienza, dandole la legittimità di cui necessita. «La normalità è sempre stato un valore per noi, non a caso il nostro slogan è “Very Normal People”, ed è stato facile trasmetterlo a loro perché erano persone normali. La scommessa era far sì che venisse fuori dalle canzoni e dal palco, e ha funzionato, lo abbiamo visto a Sanremo e lo vediamo ogni volta dal rapporto che hanno con il loro pubblico». Insomma fare della normalità - i detrattori parlerebbero di mediocrità - la propria forza. Ma ciò non vuole dire che chiunque potrebbe fare quello che fanno loro e Lorenzo questo lo sa bene. Per salire su un palco, mettersi al centro dell’attenzione e dare il meglio di sé bisogna avere qualcosa in più. «Già la prima volta che li ho conosciuti mi sono fatto subito un’idea dei loro pregi e difetti - Lorenzo si riferisce al temperamento caldo del frontman - ma d’altronde se non ci fossero stati quei difetti non farebbero questo mestiere. Bisogna essere diversi, avere più audacia, essere uomini normali ma al contempo avere la forza di salire su un palco». In questi casi il rischio è che il successo dia alla testa, e che la normalità di cui i Modà sono portavoce si disperda con l’arrivo dei soldi e della fama. Ma ancora una volta il presidente di Ultrasuoni non ha dubbi: «Ho molta esperienza nel settore e ho avuto a che fare con

moltissimi artisti. Vedere come questi ragazzi sono rimasti con i piedi per terra è una cosa pazzesca. Si danno un sacco da fare, anche in questo

«La normalità è sempre stato un valore per noi, non a caso lo slogan di RTL 102.5 è “Very Normal People”. È stato facile trasmetterlo ai Modà perché erano e sono persone normali»

periodo sono impegnati tra video e duetti, con molta umiltà. Ad agosto, invece di girovagare tra un’ospitata e l’altra, hanno preferito andare in vacanza per ricaricarsi e affrontare al meglio la seconda parte del tour».

CENTOMILA SONO POCHE Ma è stato soltanto questo l’apporto di Suraci e Ultrasuoni? «Ho avuto qualche piccolo merito anche nel live, ma solo agli inizi. Loro hanno sempre suonato bene e molte persone li andavano a vedere. Li seguii in

onstage ottobre 33


una tournée in Calabria e notai un grande trasporto verso il pubblico, ma uno spettacolo indirizzato più verso locali piccoli e pub. Io già mi aspettavo il successo e i grandi numeri per cui abbiamo lavorato a livello di strutture, per dargli una dimensione maggiore. Non mi voglio prendere meriti che non ho, a suonare sono loro e i posti al chiuso li hanno sempre riempiti - puntualizza subito Suraci - ma io li ho aiutati a capire che bisogna avere il coraggio di suonare per sempre più persone. Mille sono poche, diecimila sono poche, centomila sono ancora po-

«Li ho aiutati a capire che bisogna avere il coraggio di suonare per sempre più persone. Mille sono poche, diecimila sono poche, centomila sono ancora poche. San Siro? Ci speriamo»

Pronti per ripartire:

che». Sentendo parlare di queste cifre la domanda seguente viene spontanea. Del resto già da un po’ si vocifera dei Modà a San Siro: «Vedremo se il 2014 può essere l’anno giusto per gli stadi». Lorenzo non riesce a trattenere un sorriso soddisfatto, poi continua: «Io onestamente li avrei già voluti fare l’anno scorso, anche solo uno per vedere come sarebbe andata. Ma non è così facile avere questi spazi disponibili, e infatti i cinque Forum di Assago, tutti sold out, ad inizio estate sono stati in un certo senso l’alternativa ad uno stadio importante. Ma sono cose da valutare con calma, ora stiamo considerando con il promoter FeP Group di fare qualche data all’estero, perché le richieste ci sono. Per San Siro c’è speranza». Dal futuro prossimo, torniamo a quell’aprile galeotto del 2009 che unì le loro strade, per chiudere con la domanda fatidica: senza l’aiuto della radio i Modà sarebbero esplosi lo stesso? Lorenzo Suraci ci pensa un po’, poi decide di mettere da parte le riserve: «Vedi, loro avevano già appeso le scarpette al chiodo. Nella vita ci vuole fortuna e la loro fortuna è stata il nostro incontro, altrimenti credo che sarebbe finita lì. E sarebbe stato un vero peccato, perché come scrive Kekko e come suonano loro insieme è una roba che in questo Paese non c’è». l

Dopo la pausa estiva il Gioia Tour entra subito nel vivo con il sold out al PalaOlimpico di Torino il 5 ottobre, poi Villorba (TV) il 7 e le due attesissime date all’Arena di Verona il 9 e il 10. Gli altri cinque concerti porteranno i Modà sempre più a sud per concludere il 21 all’Arena Magna Grecia di Catanzaro.

34 onstage ottobre





I love ROCK’N’ROLL

NEK 38 onstage settembre


Molti conoscono i suoi riferimenti musicali. Ma tanti s’immaginano Filippo Neviani come un cantante pop che col rock non ha nulla a che fare, nonostante le tracce delle sue radici musicali siano sparse in tutti i dischi fin qui prodotti. L’ultimo album scopre le carte, dichiarando l’amore dell’artista emiliano per il r’n’r. Alla vigilia di un tour importante, Nek ci ha parlato della sua grande passione, di come l’abbia coltivata e, finalmente, liberata. di Francesca Vuotto - foto di Johnny Buzzerio

P

artiamo dalla “fine”. Dopo qualche data estiva, il 16 ottobre il tour entra nella fase calda: cosa dobbiamo aspettarci? I concerti saranno molto dinamici, si svilupperanno come un percorso attraverso il passato e il presente, con una forte matrice rock. I pezzi nuovi hanno già quest’impronta, mentre quelli vecchi sono stati tutti riarrangiati per averla. Chi verrà a sentirmi avrà rock’n’roll per le sue orecchie. Ecco il punto: l’ultimo disco, Filippo Neviani, è una vera e propria svolta rock. Il r’n’r è sempre stato il mio punto di riferimento e non ho mai smesso di ascoltarlo, nonostante abbia cominciato facendo country e poi abbia seguito una direzione pop. Ci sono voluti 20 anni per sentirmi pronto per un disco finalmente così, e se sia riuscito a fare un bel lavoro possono dirlo solo il tempo e le persone. Quel che è certo è che mi sono sentito bene e veramente me stesso nel farlo, con molti meno filtri. Non escludo di continuare su questa strada anche in futuro. Quando hai capito che era arrivato il momento di fare il salto? Quattro anni fa ho creato insieme ad altri musicisti il Quartet Experience, un gruppo con cui ho riletto in chiave rock tutti i miei successi. Mi sono reso conto che in questo modo era tutto più essenziale e mi sono convinto della necessità di andare in questa direzione con i nuovi pezzi. Hai parlato della tua anima rock nascosta e di filtri. Quindi ora sei più libero? In passato ci sono state delle presenze che hanno segnato in modo massiccio la mia musica. Ma non è stato un problema, anzi, mi sono servite per crescere. Ho aperto le orecchie e guardato silenziosamente quello che facevano gli altri, in particolare i produttori. Tutto ciò, più o meno consapevolmente, mi ha dato la possibilità di ampliare le conoscenze e migliorarmi. E così, quando ho consegnato al mio team i provini dei nuovi pezzi, ho detto loro che potevano evitare di pensare alla band, perché la band ero io. Ed eccoci alla seconda svolta. In questo album hai suonato tutto tu, chitarra, basso e batteria. Ho coronato un sogno. La prima volta che sono entrato in uno studio, ho subito pensato “Magari riuscissi a suonarmi un disco da solo”. Mi ci sono voluti 20 anni. Mi ha sempre affascinato l’idea di riuscire a fare tutto da me, e non per presunzione, ma per il piacere di seguire una cosa fin dal principio. Come quando ti occupi di una pianta a partire dalla semina: prima prepari la terra, poi pianti il seme, la fai crescere, la difendi dalle intemperie. Sentivo questa esigenza soprattutto per la parte musicale. Finora avevo sempre dovuto spiegare ai musicisti che lavoravano con me quello che avevo eseguito nei provini, la mia emozione doveva incontrarsi con la loro e in questo passaggio si perdevano aspetti

unici, magici dell’esecuzione. Non perché io sia chissà chi, ma perché sono peculiarità mie, le mie imprecisioni e la mia tecnica. Qual è stato il beneficio più grande di questo nuovo approccio? Mi ha dato la possibilità di misurare dei punti oscuri, mettere a fuoco tante idee e sensazioni e fare un po’ il punto di quelle che erano le mie conoscenze. Ho imparato molto soprattutto riguardo agli strumenti, mi sono reso conto che sapere come si suona ad esempio una batteria, fa veramente la differenza in fase compositiva. Restando al drumming, ho imparato a renderla essenziale, perché in certi casi non serve essere Stewart Copeland (batterista dei Police, ndr) per avere un buon risultato.

«Il rock è sempre stato il mio punto di riferimento, nonostante abbia cominciato con il country e abbia proseguito con il pop. Ci ho messo 20 anni per sentirmi pronto per ritrovarlo» Rinunciare a rullate o virtuosismi e creare una batteria che si “limiti” - ma non è un limite - a tenere il tempo, pur avendo carattere, significa avere fatto il 50% del pezzo. Nessuna delle parti deve esagerare e ogni strumento deve essere di supporto agli altri. L’essenzialità deve venire prima di tutto. Se poi la si riesce a far collimare con le cose più elaborate , meglio, ma è un passo in più. Non tutti hanno il coraggio di lanciarsi in progetti così impegnativi e, per certi versi, rischiosi. Soprattutto con un carriera consolidata come la tua. Il rischio è una componente fondamentale di questo mestiere, non rischiare significa restare indietro. La novità è sempre dietro l’angolo e bisogna saperla cogliere, come occasione di crescita e maturazione. Ovviamente sempre con la consapevolezza e l’obiettivo di lavorare al meglio e offrire al pubblico un buon prodotto. A giudicare dalle vendite e dai primi concerti estivi, il pubblico sta premiando il tuo coraggio. Il pubblico ripaga di tutte le fatiche e i rischi. In studio ci sono stati momenti difficili, in cui non riuscivo a capire come concludere una canzone o facevo fatica a star dietro a tutte le dinamiche. E’ un equilibrio molto sottile, in cui devi far quadrare tutto, restando concentrato per non andare fuori tema o sforare le scadenze. E’ stato decisamente impegnativo, ma anche straordinario e lo rifarei domani se potessi. Sono felice che la gente abbia risposto così bene, ma sono ipercritico nei miei confronti e se mi chiedessi se avrei potuto fare di meglio, ti risponderei “100.000 volte meglio!”. l

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>>>>>>>>>>>>>> BRUNO MARS


TEEN IDOL A CHI? Il 26 ottobre è un giorno che 12.000 persone stanno aspettando da mesi. È la data dell’unico concerto italiano di Bruno Mars, evento che tutta quella gente si è assicurata con mesi di anticipo. Un sold out che non può essere liquidato constatando quanto i “prodotti” musicali per teenager funzionino bene: semplicemente perché lui, Bruno, non è un prodotto per teenager. di Ludovico Baggi - foto di Kai Z. Feng

Ormai anche i più incalliti detrattori del “teenager pop” ne hanno sentito parlare. E se non è successo forse sono vissuti in un luogo sperduto senza radio o internet, dove le sue note non sono risuonate. Anche se, in fondo, non è del tutto impossibile non sapere chi sia Bruno Mars. Perché, a differenza di molti altri artisti amati dai giovanissimi, il cantante hawaiano ha avuto successo solo grazie alla sua musica. Senza che gli fosse cucito addosso un particolare personaggio da una casa discografica ansiosa di vendere. Senza che un qualche scandalo ne sbattesse il nome sulle pagine di tutti i giornali. E certo sarebbe un tantino inquietante immaginarlo mentre balla il twerk o sta appeso nudo a una palla da demolizione.

>>>> LA MUSICA NEL SANGUE

Bisogna insomma mettersi il cuore in pace: se Bruno Mars piace è perché piacciono le canzoni di Peter Gene Hernandez (questo il suo vero nome). Dietro a quel giovane che sprigiona energia dal palco con un cappello da crooner anni Cinquanta calcato in testa non c’è un lavoro di costruzione a tavolino da parte di avidi produttori. O meglio, magari c’è, ma c’è anche tanta sostanza. Figlio di quel crogiolo di razze e culture che sono gli Stati Uniti d’America (padre mezzo portoricano e mezzo ebreo dell’est Europa, madre filippina), il ragazzo nato a Honolulu l’8 ottobre di 28 anni fa la musica ce l’ha nel sangue. E anche il talento. Se ne è andato dalle isole del Pacifico appena finite le superiori per cercare fortuna a Los Angeles e lì si è dato da fare (perché qualunque dote naturale non è sufficiente senza impegno). Prima un

contratto finito nel nulla con la mitica Motown Records, poi la conoscenza con Steve Lindsey, già collaboratore di artisti del calibro di Leonard Cohen e Celine Dion. Nel 2005, a soli 20 anni, Hernandez, che nel frattempo ha già preso lo pseudonimo di Bruno Mars, inizia a comporre canzoni che finiscono nelle mani di altri (Adam Levine dei Maroon 5, Sugababes e Flo Rida). Hit da top ten nelle classifiche di vendita. Continua così fino a quando, dopo qualche anno di gavetta anche nel ruolo di produttore, arriva il suo momento. E non si può dire che non l’abbia saputo sfruttare.

>>>> SUCCESSO

Il suo primo disco Doo-Wops & Hooligans (del 2010) vende oltre 6 milioni di copie in tutto il mondo e gli frutta anche il premio più prestigioso dell’industria musicale internazionale, un Grammy Award per la miglior performance vocale maschile su sette nomination totali, tra le quali quella per miglior album. Così esplode il fenomeno Bruno Mars. E anche la critica, pur senza gridare al capolavoro, apprezza. Il successo si ripete due anni dopo con Unorthodox Jukebox, che piazza il primo singolo Locked Out of Heaven in testa alla classifica di Billboard per ben sei settimane e vende più di 4 milioni di copie. Numeri che fotografano un successo simile a quello di altri idoli della popolazione under 20, ma non bastano a spiegare chi sia l’artista hawaiano. Tutti in Italia hanno sentito almeno una volta una sua canzone alla radio o in una pubblicità, e magari senza neppure saperlo è rimasta nelle orecchie la melodia, ma quasi solo i teenager lo apprez-

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zano (un termine decisamente pacato a fronte delle smodate espressioni di affetto di cui i giovanissimi sono capaci nei confronti del proprio cantante preferito).

>>>> NIENTE PARAGONI

Eppure, a fronte di un pubblico che non arriva agli universitari, oltre ad essere un musicista e non una marionetta governata da altri, Bruno Mars meriterebbe una considerazione più vasta. Ha dimostrato di saper scrivere e produrre hit di successo per sé e per altri. E anche di saper cantare. La sua estensione e la poliedricità vocale l’hanno fatto accostare da molti a Michael Jackson, anche se il paragone, per quanto illustre, rischia di essere al contempo troppo e poco. È eccessivo perché prima di parlare di un nuovo re del pop bisognerebbe aspettare (almeno) un disco capolavoro come fu Thriller (quanto alle vendite, erano anni diversi, senza internet e il digitale). E però è anche limitante, perché si vorrebbe inquadrare il giovane delfino in una figura che non gli calza del tutto in quanto a eccentricità. Sicuramente, e per fortuna, con la nuova chioma scompigliata ricorda più il Michael appena uscito dai Jackson Five che lo slavato cinquantenne ombra del sé stesso che fu. Ma nel voler etichettare l’hawaiano come erede dell’autore di Billie Jean si rischia di limitarne anche le prospettive di crescita in un settore, come quello dello show business, spesso troppo ancorato all’immagine. E così, come fossimo in un mondo in bianco e nero, senza sfumature di grigio e ancor meno di colori brillanti, altri hanno voluto avvicinarlo a Prince, il grande rivale di MJ.

>>>> MATURITA’ ARTISTICA

La verità è molto semplice: un artista di oggi non può ignorare quanto fatto dai due mostri sacri della musica pop anni Ottanta. In Bruno Mars ci sono certo molte sonorità che derivano direttamente da quella decade, ma altre risalgono a dieci e vent’anni prima e altre ancora a tempi molto più recenti. Dal pop al reggae, dal soul al blues, passando da rap, hip hop e r’n’b. Nelle hit di Mars si può rintracciare di tutto. Anche perché le sue collaborazioni negli anni si

sono ampliate da Damian Marley (figlio del grande Bob) fino a Sting, con il quale si è esibito dal vivo alla serata dei Grammy 2013 sulle note di un medley che includeva Locked Out of Heaven (di Bruno Mars), Walking On The Moon (di Sting) e Could You Be Loved (di Bob Marley). Un ben diverso livello di consapevolezza e maturità artistica rispetto a un altro feticcio delle giovanissime come Justin Bieber. Eppure il nostro è da molti considerato alla stregua di tutti i teen idol: canzoni orecchiabili cantate bene, ma di nessun rilievo musicale. E così finisce in un grande calderone dal quale molti si rifiutano persino di andare a pescare. Perché questa assoluta mancanza di curiosità? Perché questa rinuncia a prescindere?

>>>> IL POP NON È UNA MALEDIZIONE

Il pianeta è troppo grande per provare ad analizzarne ogni angolo più disperso. Restando in Italia, probabilmente alla base c’è un perenne e supponente senso di superiorità di certa cultura musicale che vede solo nel circuito dell’indie la musica che salverà il mondo (della musica). Non è importante che sia bella o innovativa, quello che conta è che sia indie, in ogni sua declinazione. Al limite alternative o postqualcosa. Come se il pop di per sé fosse una maledizione. Di qui a considerare qualunque nuovo cantante di successo come commerciale il passo è breve. Quasi che vendere dischi fosse un motivo d’onta. E i Beatles? E i Beach Boys? E gli U2? Non che i numeri siano tutto, ma significheranno pure qualcosa. Soprattutto se non sono limitati a un mercato piccolo come quello italiano, dove le case discografiche hanno molto più peso nell’influenzare le vendite con il rischio di drogarlo. Ma è pur vero che non tutto quello che propinano le radio agli ascoltatori sia direttamente da annotare sotto la voce «pezzo inutile» se non addirittura «brutto», come molti amanti dell’indie vorrebbero fare. Sono solo canzonette cantava in tutt’altro contesto Edoardo Bennato. Eppure solo dopo tanti anni ha ottenuto il visto di cantautore in questo Paese troppo spesso affetto da snobismo. Quello che in fondo cantava Francesco Guccini

gente non sa quanto difficile sia scrivere una bella canzo» La ne. È durissima. Anche perché io non mi accontento di un pezzo "carino", le mie canzoni devono essere molto di più che carine

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mia canzone preferita è Bohemian Rhapsody dei Queen. Più che » La un pezzo è un evento, come Smells Like Teen Spirit dei Nirvana: Kurt Cobain ci ha messo dentro tutto quello che aveva!

ne L’avvelenata. È la stessa Italia che ha restituito dignità artistica a un autore del livello di Rino Gaetano, a lungo dimenticato, in tempi piuttosto recenti. Bruno Mars non è in alcun modo accostabile ai tre cantanti nostrani (nonostante i capelli non siano poi dissimili da quelli dell’autore di Gianna), ma a volte il rischio è essere compresi in ritardo dal pubblico. Non che un’audience di adolescenti non meriti di per sé rispetto, ma è pur vero che una solida cultura musicale può (e in alcuni casi, si spera, deve) cambiare i gusti. L’impressione però è che nel caso dell’hawaiano ci sia molto pregiudizio. Dovuto, almeno in parte, al pubblico di fan che si è venuto a creare. Ma anche alla produzione e al marketing che stanno alle spalle di un artista internazionale di questo livello. Perché se è vero che Bruno Mars è un prodotto sufficientemente autentico, non si può ignorare che dietro di lui, con grande intelligenza, si muovono manager competenti. E così non è un caso che il suo sito internet (www.brunomars.

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com) reindirizzi in automatico alla home del proprio Paese e contenga pagine in 14 lingue diverse e persino dei forum dedicati, un modo per creare una vera e propria community di affezionati. Nulla di troppo lontano dal mondo indie, dove il passaparola tra fan è d’obbligo. Solo che al posto di una piccola (e non sempre poi così piccola) casa di produzione, c’è una major che fa tutto in forma esponenziale. Insomma, l’ignoranza di una grande fetta di pubblico è aiutata da un certo disprezzo “a prescindere” nei confronti di qualunque cosa sia mainstream, indipendentemente dalla sua qualità. Eppure il sold out con quattro mesi di anticipo al Forum di Assago (unica data italiana il 26 ottobre) meriterebbe maggiore rispetto. E se può sembrare una tortura vedere genitori cinquantenni che accompagnano le figlie al concerto dei One Direction o di Selena Gomez, almeno Bruno Mars può essere musica anche per le loro orecchie. l


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Ancora un po’ di ordinaria magia Il nuovo album della band aretina, Déjà Vu, è una conseguenza diretta del grande successo dello scorso tour teatrale: brani in versione semi-acustica, ma con lo stesso piglio rock di sempre. Ce ne parlano i diretti interessati, Pau, Drigo e Mac, in attesa di ripartire con un nuovo giro d’Italia a suon di musica.

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di Stefano Gilardino foto di Paolo De Francesco

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D opo aver goduto di un incredibile successo durante gli anni ‘90, anche grazie al celebre format di MTV America, il concerto unplugged, ovvero senza spine, acustico, ha comunque conservato un fascino unico per qualunque rock band che si rispetti. Prima o poi, tutti i musicisti hanno provato a spogliare le proprie canzoni, riportandole forse alla forma primigenia, quasi un ritorno alle radici, per vedere l’effetto che fa, su di loro in primis e sul pubblico poi. Per molti l’esperienza è un modo per ritrovare stimoli e voglia di suonare nuovamente brani che, in qualche modo, hanno perso freschezza dopo anni di versioni live sempre uguali, per altri è un’esperienza inedita in cui ci si confronta con i fan in ambiti differenti, come piccoli teatri o sale da concerti più intime. Dopo anni passati a macinare rock’n’roll, prima nei club e ora nei palazzetti, i Negrita hanno tentato l’esperimento, finendo per riscuotere ottime vibrazioni durante il tour teatrale. La prova sta nel nuovo disco semi-acustico e in una nuova tranche di date che li terrà impegnati per due mesi interi. Immagino che il disco sia una diretta conseguenza dello scorso tour. In fondo i pezzi erano già pronti per essere incisi nuovamente, no? Pau: In linea di massima è proprio così, abbiamo fatto 35 date dal vivo in versione naked o unplugged, con grandissima affluenza di pubblico e ottime critiche. A quel punto ci siamo detti: «Perché non fissiamo su disco queste versioni in maniera definitiva?». Era quasi obbligatorio, per evitare di buttare via mesi di prove e vanificare un momento importante della nostra carriera. Non volevamo fare un disco dal vivo, l’anno scorso abbiamo pubblicato sia un cd che un dvd che ci immortalavano su un palco e quindi la soluzione è stata quella di andare in studio, alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani a Milano, e suonare live con il registratore acceso che coglie l’attimo. Abbiamo lavorato parecchio anche sul prodotto finito, quindi possiamo dire che Déjà Vu è un prodotto ibrido, che incorpora il meglio delle due cose: l’immediatezza della performance e la precisione della tecnologia. Anche il titolo credo si adatti alla perfezione a questo strano greatest hits. Un titolo che rende omaggio a un album storico, quello di Crosby, Stills, Nash &Young. P: Un disco meraviglioso, tra l’altro… Drigo: Il nostro Déjà Vu è un live particolare, nel senso che abbiamo prestato la massima attenzione ai particolari. Microfonare una chitarra acustica è quasi sempre un problema, si devono cercare dei piccoli compromessi che non sono un buon punto di partenza per un disco. Perciò abbiamo voluto suonare in presa diretta, ma con la consapevolezza di poter migliorare il prodotto grezzo per trasformarlo in qual-

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cosa di perfetto. Che effetto fa ritornare a lavorare su brani che hanno una connotazione, una struttura e una storia ben precise? D: È un vero spasso perché ci siamo approcciati alle canzoni con molta tranquillità e senza pressioni. Quando devi comporre un disco da zero, oltre all’aspetto musicale che, per fortuna, ci riesce abbastanza facile, c’è anche quello lirico che, invece, richiede maggiore concentrazione e tempo. I testi sono molto importanti e difficilmente vengono fuori in un attimo, richiedono attenzioni particolari e quindi possono rallentare o bloccare l’intero flusso creativo o di lavorazione. In questo caso si trattava di prendere materiale già pronto e finito, di plasmarlo in modo differente, di capire che tipo di vibrazioni potesse regalare se trattato in maniera inedita. Quindi ci siamo presi il tempo necessario e abbiamo provato vari arrangiamenti, scegliendo alla fine i più convincenti. P: Quando affronti la tua storia personale devi essere lucido, avere rispetto per il passato e per la funzione intrinseca dei pezzi. Le fondamenta di un brano devono rimanere le stesse, si tratta quindi di cambiare il resto, sempre che sia possibile. Ci siamo divertiti a provare vestiti differenti e, in alcuni casi, ha funzionato bene, vedi Il libro in una mano, la bomba nell’altra o Mama Maè. Altre volte abbiamo semplicemente spogliato la canzone mantenendo però lo stesso stile dell’originale, scegliendo dunque di puntare solo sulla forza del pezzo. Mac: Per farla breve, abbiamo mantenuto intatti testo e melodia, provando a cambiare il resto, a volte persino l’armonia. Credo sia venuto fuori un ottimo lavoro, perfetto da suonare dal vivo. Com’ è avvenuta la scelta dei pezzi? P: La prima scrematura l’abbiamo fatta di cuore, scegliendo quelli che ci piacevano e fidandoci dell’istinto. Per ottenere la scaletta vera, infine, abbiamo messo mano agli strumenti provandoli uno per uno e

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«Dopo il tour invernale nei teatri, incidere un disco come Déjà Vu era quasi obbligatorio, per non buttare via mesi di prove e vanificare un momento importante della nostra carriera»

Pau vedendo che tipo di sensazioni ci regalavano. La lista si è praticamente composta da sola perché alcune canzoni davano immediatamente segnali positivi, altre faticavano ad adattarsi a una veste inedita. M: Non ci interessava neppure stravolgere l’intero repertorio e stare sei mesi in sala prove a provare duecento varianti, volevamo che fosse comunque una cosa spontanea. I due inediti che avete inserito si adattano bene all’atmosfera dell’album. P: Ci interessava soprattutto regalare due pezzi nuovi ai nostri fan. La tua canzone ha due versioni, di cui una elettrica per la radio che speriamo riesca a calamitare l’attenzione anche di chi ci conosce meno. Viviamo in un mondo costantemente distratto da problemi enormi e una canzone passata in radio troppo spesso si confonde con il panorama e si perde nell’etere. Anima lieve, il secondo inedito, è un pezzo blues/


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BUONA LA SECONDA. Il secondo tour

teatrale dei Negrita nel 2013 comincia il 17 ottobre dal Teatro Flavio Vespasiano di Rieti. Oltre 25 date per gli aretini, che suoneranno in tutte o quasi le città italiane (con due show a Milano). Il concerto conclusivo è fissato per il 3 dicembre al Teatro Storchi di Modena.

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folk, molto sincero e semplice, nato in modo spontaneo, in cinque minuti. Spesso le cose migliori arrivano dal nulla… Prima parlavi di un mondo distratto. Che tipo di ascoltatore è il fan dei Negrita? P: L’opposto, addirittura troppo pignolo a volte (risate, nda). Non voglio dire che conosce il nostro repertorio meglio di noi, ma quasi, si concentra su tutti i particolari per impararli e sviscerarli. Deve avere un sacco di tempo libero, a pensarci bene (ride ancora, nda). M: È il pubblico italiano in generale che mi pare molto disattento, le nuove generazioni non riescono a comprendere che tipo di fun-

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«Non ci si abitua mai alla gente che riempie i teatri o i palazzetti, noi ci sorprendiamo ogni volta. Sembra la solita frase fatta, ma è davvero così: immagini che vada tutto bene, ma mai così tanto»

Drigo zione sociale abbia avuto la musica nella sua storia. Forse si dovrebbe provare a spegnere radio, stereo e televisioni per qualche giorno per capire quanto ci possa mancare. Mancano cultura ed educazione all’ascolto, a dire la verità, la voglia di scindere le cose buone da quelle dozzinali da supermercato. D: Bisognerebbe fare una Scinder’ s List! (risate, nda) P: Non voglio fare il nostalgico, non m’interessa davvero, ma per noi da ragazzini la musica era un grande oggetto di dialogo e ispirazione. Non si ascoltava solamente per passare il tempo, gli si dava un valore ben preciso, procurarsi i dischi era un vero lavoro, bisognava

fare chilometri solo per trovare le riviste specializzate che uscivano in Italia. Noi la musica l’abbiamo voluta fortemente nella nostra vita e credo si senta nei Negrita. Il successo incredibile del tour nei teatri era un rischio calcolato, se vogliamo chiamarlo così, oppure siete rimasti sorpresi dal risultato finale? D: Venivamo da una lunga serie di concerti elettrici che avevano riscosso ottimi frutti, per cui diciamo che riponevamo molta speranza anche per la versione acustica. Però, bisogna ammetterlo, non ci si abitua mai alla gente che riempie i teatri o i palazzetti, noi ci sorprendiamo ogni volta. Sembra la solita frase fatta, ma è davvero così: immagini che vada tutto bene, ma mai così tanto. M: Quello che mi ha meravigliato è stato il tipo di energia che si trasmette durante uno show acustico in un teatro. È pazzesco vedere gente che, a un certo punto, si alza sulle poltrone e comincia a ballare e a saltare, mentre tu sei seduto a suonare. È il potere della musica, puro e semplice, perché tu non stai incitando con le mani i ragazzi ad alzarsi, lo fanno le parole o le melodie al posto tuo. P: A Cremona, nel teatro in cui Muti suona abitualmente, la gente si è alzata a metà concerto tra lo sgomento di chi lo gestisce, che sperava che non si rovinasse nulla. È bello, ogni tanto, portare il rock in ambienti in cui c’entra poco e scoprire che invece funziona benissimo. Anche a livello acustico? D: In alcuni casi, meno bene che nei palazzetti o nei club dove si è soliti usufruirne. Ci sono sale da concerto che sono state pensate appositamente per la musica classica e per certi strumenti e quindi funzionano bene solo a certe condizioni. L’Auditorium di Roma, per esempio, progettato da Renzo Piano, è costruito apposta per un suono totalmente acustico e qualunque tipo di amplificazione non rende al meglio. Tutta Italia, però, è piena di meravigliosi teatri dove il suono è perfetto anche per una band come la nostra e siamo felici, tra poco, di tornare dove siamo già stati in precedenza ma pure di saggiare nuove sensazioni a Sassari, Cagliari, Lecce, Ravenna, Pisa, Venezia e molte altre. Sarà nuovamente un giro d’Italia appassionante. l

BEST UNPLUGGED EVER Da MTV Unplugged sono passate decine di artisti: da Jay-Z ai Kiss, dai Pearl Jam a Springsteen, da Page & Plant a Neil Young. Erano gli anni Novanta e da quegli show sono stati tirati fuori album di grande successo. Ecco i cinque imprescindibili, per noi.

1992 Eric Clapton Registrato in Inghilterra, riscosse all’epoca un successo clamoroso: dieci milioni di dischi venduti e ben sei Grammy per il lavoro più intimo di Slowhand.

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1994 Nirvana Pubblicato dopo la morte di Kurt, racchiude l’anima di una band molto lontana dall’assoluta popolarità che l’aveva travolta. Emozionalmente devastante.

1995 Bob Dylan Dopo qualche anno piuttosto avaro di soddisfazioni, la partecipazione al programma di MTV riportò il Menestrello di Duluth nelle top chart di UK e USA.

1996 Alice In Chains Nonostante Layne Staley qui non sia esattamente al top, è considerato uno dei top unplugged di sempre, testamento artistico di una band eccezionale.

1999 Alanis Morrissette Alanis dimostra di essere cantante completa e tremendamente versatile, abile a reinventarsi in acustico e a rendere uniche anche le hit più conosciute.



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FELICI

di essere

ODIATI Ritorna in Italia, il 29 ottobre al forum di assago, una delle rock band più odiate d’America. La stessa che, dati alla mano, è secondo Billboard la rock band di maggior successo dell’ultimo decennio. La giusta dose di zucchero di fianco a set live con polvere da sparo, fuochi d’artificio e distorsioni devastanti: benvenuti nel mondo dei

Nickelback di Jacopo Casati

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on oltre cinquanta milioni di dischi venduti puoi anche passare sopra a stereotipi, gruppi compatti di hater, petizioni online per non farti suonare e a tutta una serie di pregiudizi che da dieci anni a questa parte hanno accompagnato la scalata al successo dei Nickelback. Il gruppo canadese è, oltretutto, secondo nella classifica di artisti stranieri di maggior successo negli Stati Uniti, dietro solo ai Beatles per numero di copie piazzate sul mercato. Partiti come cover band hard & heavy e modesto gruppo dedito al post-grunge derivativo, Chad Kroeger e compagni esplodono con la mega hit How You Remind Me nell’estate del 2001 e azzeccano da quel momento in poi cinque dischi che finiscono puntualmente ai primi posti delle charts US e UK. Il singolone già citato nel giro di un anno viene trasmesso oltre un miliardo di volte: è proprio questa sovraesposizione mediatica che accende la scintilla con cui si alimenta l’odio nei confronti di un

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tormentone che chiunque, ma davvero chiunque, ha sentito almeno una volta nella vita.

SOLO CHI VENDE UN SACCO DI DISCHI Power chord elementari, sempre le stesse melodie, strutture immutabili, pezzi lenti e poco aggressivi, temi ridondanti, cura dell’immagine eccessiva, fenomeno costruito a tavolino cavalcando l’onda dell’alternative-metal che imperversava a inizio 2000. Questo in sostanza il motivo dell’astio alimentato dai tanti fenomeni della tastiera (del computer) che ha stabilmente seguito i Nickelback, rendendoli (insieme ai Creed, altro mega gruppo dal successo esagerato negli States di fine anni Novanta/inizio Duemila, per non parlare dei paladini del cross-over di fine millennio Limp Bizkit) tra i nomi più odiati da ascoltatori occasionali e superficiali d’Oltreoceano, poco interessati ad analizzare in profondità un intero full length o ancora un concerto dal vivo dei canadesi. «È piuttosto normale che l’odio aumenti con l’espansione del se-

«E’ piuttosto normale: più vendi e più stai antipatico. E’ stato così anche per i Metallica dopo il Black Album, che ebbe un successo clamoroso» Mike Kroeger guito, del successo e delle vendite complessive dei dischi. E’ stato così anche per i Metallica, dopo aver registrato il Black Album, che ebbe un successo mainstream clamoroso: un’ondata di haters li travolse, ma loro erano sempre quelli che avevano scritto Master Of Puppets qualche

anno prima!». Questo in sintesi il pensiero di Mike Kroeger, bassista della band, in una recente intervista rilasciata ai magazine sudamericani durante la leg del tour che ha visto i Nickelback presenziare al prestigioso Rock In Rio. Anche il fratello Chad (leader del gruppo), durante l’ultimo passaggio italiano di quasi due anni fa, aveva più o meno detto la stessa cosa: «Facciamo musica per i nostri fan, per le persone che vogliono divertirsi. Ogni gruppo abbastanza affermato ha una schiera più o meno corposa di hater perché magari ha successo, come i Coldplay per esempio. Siamo felici di fare parte di questa categoria di artisti, poiché chi vi appartiene solitamente vende anche un sacco di dischi!»

FINO A QUANDO NON CI VEDI DAL VIVO I Nickelback sono una rock band. Con evidenti inflessioni pop, con altrettanto palesi concessioni alle necessità del mercato. Ma anche con brani diretti ed estremamente duri interni ai loro dischi, con un live set dall’impatto mostruosamente frontale, con tanto di coreografie, effetti di scena e palchi esagerati. Sempre Chad spiega con dovizia di particolari: «Ci dà fastidio non essere considerati una rock band ma una pop band? Sì certo che sì. La scelta dei singoli è responsabilità della discografica, noi facciamo musica e loro la devono promuovere. Per essere onesti al 100% viene da sempre scelta la strada più facile per i singoli, perché il rock è difficile da proporre e da vendere in giro. Noi passiamo come una pop band proprio perché sono stati sempre usati i nostri pezzi maggiormente melodici; è impossibile capire che i Nickelback sono una rock band fino a quando non ci vedi dal vivo. Sul palco abbiamo grande energia, scenografie imponenti, esplosioni artificiali e soprattutto pestiamo di brutto. Poi ovviamente suoniamo anche i singoli più melodici che la gente vuole cantare». Vendere tanto quanto i Nickelback all’interno del decennio che ha

Settebello Sette album per più di cinquanta milioni di dischi venduti. Ecco la discografia completa dei Nickelback, le cui gemme sono senza dubbio Silver Side Up e All The Right

2003 THE LONG ROAD La distorsione diventa più pesante e la produzione meno laccata, vende milioni ma meno del precedente.

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1996 CURB Il debutto che quasi nessuno si fila. Post grunge acerbo e derivativo con grumi di Nirvana e Pearl Jam.

2000 THE STATE Roadrunner mette sotto contratto la band e il salto di qualità è evidente. I quattro pensano già in grande.

2001 SILVER SIDE UP L’eco di How You Remind Me è ancora forte dodici anni dopo. Disco simbolo del gruppo e di un’era intera.

2005 ALL THE RIGHT REASONS L’heavy di Animals e Side Of A Bullet, il pop di Far Away e Rockstar. Anime opposte e multiplatino.

2008 Dark Horse L’ispirazione complessiva cala ma non le vendite. Il tour di supporto li riporta al top anche in Europa.

2011 HERE AND NOW Qualche suono nuovo, più libertà e varietà compositiva per maggiore freschezza e rinnovata energia.


sancito l’irreversibile crisi del business discografico tradizionale non è roba da tutti. Silver Side Up (2001) con dieci milioni e All The Right Reasons (2005) con oltre undici milioni di copie vendute sono stati successi clamorosi per il gruppo di Chad Kroeger, abile a calarsi nei panni di una pop rock band, capace sia di comporre suadenti ballate strappa mutande, sia di detonare hard rock a ritmi elevati all’interno di un medesimo disco. Denominatori comuni le melodie e i semplici riff di chitarra, oltre alle strutture lineari dei pezzi e una sapiente amalgama vocale, dove le armonie create dal fido Ryan Peake si uniscono alla perfezione con la ruvidità del neo marito di Avril Lavigne, in un trademark oramai consolidato e apprezzato a ogni latitudine.

e Chad, le linee di basso di Mike e la batteria heavy di Daniel Adair con tanto di doppio pedale inserito ad appesantire ulteriormente il sound vi faranno capire entro una decina di minuti che dei canadesi

Se le power ballad alla Someday e il pop-country ruffianissimo di Rockstar non fanno per voi, non preoccupatevi: a un concerto dei Nickelback il 70% del tempo viene occupato da brani incalzanti, diretti e dall’impatto decisamente potente. La distorsione delle chitarre di Ryan

parlano in molti, ma li ascoltano seriamente in pochi. Se a ciò aggiungiamo una produzione con luci, fuochi d’artificio ed effetti di scena da paura siamo di fronte a uno degli spettacoli globali più rock a cui possiate assistere nel 2013. Uomo avvisato… l

«È impossibile capire che i Nickelback sono una rock band fino a quando non ci vedi dal vivo. Sul palco abbiamo grande energia e pestiamo di brutto» Chad Kroeger

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STYLE

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La moda del Camouflage, pi첫 volgarmente chiamata militare, fin dagli anni Ottanta ha avuto la sua corrente di fan e il suo mercato di nicchia. Solo negli ultimi anni anche i grandi stilisti hanno riproposto la fantasia mimetica nelle loro collezioni. Del resto lo street style comincia a contaminare e a influenzare in modo massiccio an-

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s THE UGLY TRUTH OF V

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Il blog di Virginia Varinelli nasce nel settembre 2011, diventando subito un riferimento per gli appasionati di moda e gli addetti ai lavori. Quotidianamente il blog registra accessi da ogni luogo del mondo. Virginia è di Milano. Si è laureata in Economia nel 2009 e ha subito cominciato a lavorare. Da uno stage a Parigi presso Diane von Furstenberg è sbocciata la sua grande passione per la moda. Ha recentemente lanciato il suo brand Viridì, che in pochi mesi di vita ha già raccolto numerosi ammiratori. www.uglytruthofv.com

che i brand più prestigiosi. Lo stesso Valentino ha proposto una linea in edizione limitata utilizzando la fantasia camouflage profilata in rosso, colore a cui il grande stilista non può certo rinunciare. Ecco una serie di proposte e suggerimenti in stile mimetico utili per arricchire il vostro look autunnale.

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STYLE / ABBIGLIAMENTO

VALENTINO Sneakers in tessuto mimetico con profilautre rosse che rimandano all’iconico Red Valentino. 450 Euro

DOROTHY PERKINS Leggeri e comodi leggins aderenti declinati nei toni del beige e del verde militare.19,90 Euro

H&M Parka in tessuto con fodera trapuntato e tasche portatutto. Ideale per i primi freddi d’autunno. 39,90 Euro

ASOS Pencil Skirt cerniere laterali in tessuto tecnico. Adorabile il contrasto con i colori più tenui del giallo e del rosa. 30 Euro

EASTPAK Modello Big Backpack pratico e versatile con finiture di pregio ed inserti in pelle. 250 Euro

SWATCH TOUCH Veste il polso in modo trendy, ispirato ai ritmi urbani e dedicato a chi vuole vivere la vita al massimo. 60 Euro

V73 Comoda e pratica borsa in canvas con stampa militare disponibile in differenti taglie. 225 Euro

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Rayban Il classico ed intramontabile modello Wayfarer rivisitato con fantasia camouflage a contrasto. 145 Euro

TIMBERLAND Modello Earthkeepers Newmarket nella nuova colorazione camouflage con stringhe rosse a contrasto. 150 Euro


NIKE Il mitico modello Silver viene oggi riproposto in variante mimetica sui toni del beige e del verde salvia. 198 Euro

KI Felpa con cappuccio e cerniera. Dal taglio pratico è ideale sia per lo sport sia per un abbigliamento casual. 19 Euro

Christian Dior Modello di camicia mimetica con annodatura in vita e forte richiamo al mondo militare. 450 Euro

CHANEL Smalto color kaki: texture delicata ideale per esaltare i tipici colori autunnali. 21,50 Euro

ASOS Pantalone ispirato ai vecchi modelli da aviatore dotati di multitasche ed elastici sulle caviglie. 26,90 Euro

Napapjiri Borsa weekend in tessuto mimetico disponibile anche nelle tonalità del beige. Modello unisex. 75 Euro

SPRING All star camouflage in edizione limitata. Sono disponibili anche nella variante bassa. 75 Euro

SPRING Modello di punta di Nine2Twelve. Comoda, capiente e alla moda. Chi già ce l’ha, non ne può più fare a meno.140 Euro

CARRERA Il nuovo modello 6000 riproduce fedelmente l’originale risalente agli archivi storici del brand degli anni ‘90. 100 Euro

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STYLE / PRODOTTI

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SKATE - DIAMOND SUPPLY & CO Una tavola da skateboard di grande stile, merito di un appeal estetico unico. Dopo esservi librati nell’aria, il deck in polipropilene e fibra di vetro vi assicurerà il giusto rinforzo sotto i piedi. 88 Euro

ESSENT’IAL Dopo la presentazione al Macef 2012, questa serie di ecopoltrone hanno avuto un gran successo. Quest’anno si aggiunge il nuovo modello con fantasia camouflage realizzata in tessuto accoppiato a carta raffia. 248 Euro

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COOLPIX AW110 - NIKON Resistente praticamente a tutto dato che non teme acqua, urti, polvere e gelo. Ma non è finita qui: volete condividere le vostre foto? Nulla di più semplice dato che potete contare su wi-fi incorporato e GPS.TAAAC! 257 Euro

CAMOUFLAGE - SUITE 106 Lo stile mimetico va a braccetto anche con il mondo dell’interior design. Queste lampade dallo stile contemporaneo ne sono l’esempio: il paralume clindrico è in tessuto di cotone camouflage! Last but not least: tutto made in Italy. 960 Euro

FIX YOUR BIKE - TAGMI La vostra “Graziella” non è più quella di un tempo? Nessun problema: Fix your bike è un sistema comodissimo che vi permetterà di personalizzare da soli la vostra bici con una pellicola adesiva waterproof e anti UV. 49 Euro


camouflage car La prima volta che abbiamo visto un auto con la carrozzeria militare è stato per merito di Lapo Elkann, che venne fotografato mentre si allontanava dalla sua Ferrari 458 Italia mimetica lasciata in doppia fila. Quegli scatti hanno fatto il giro del mondo diffondendo una vera e propria mania camouflage. Oggi sono molte le aziende che offrono questa possibilità. I metodi sono essenzialmente due: potete richiedere una verniciatura speciale oppure applicare pellicole autoadesive. Prezzi variabili

25to go design studioS Se siete sulle tracce di qualcuno questo ombrello è l’ideale. Non solo è mimetico ma presenta una mascherina trasparente dalla quale potete sbirciare cosa succede rimanendo nascosti. L’importante è che ci sia la pioggia! 65 Euro

DR DRE BEATS SPECIAL EDITION Nella musica ognuno ha i suoi gusti, ma una regola vale per tutti: le cuffie di qualità fanno la differenza. Questo modello della collezione che sta arricchendo Dr Dre risalta al massimo la definizione della musica digitale. 499 Euro

camo bowl set - miya La testa di questo adorabile omino baffuto altro non è che un’incastro di due scodelle: la prima in ceramica (quella con il viso disegnato) è per contenere il riso, la seconda (il cappello) per la miso soup. Che stile! 19,20 Euro

onstage ottobre 61


62 onstage settembre


WHAT’S NEW

ALZATE IL

VOLUME! Nonostante non siano più dei ragazzini, Vedder e soci hanno tirato fuori tutta l’energia di cui sono capaci: il decimo e attesissimo album dei Pearl Jam è una bomba. di Jacopo Casati - foto di Danny Clinch

S

e non avessero rallentato negli ultimi tre pezzi, avrei avuto serie difficoltà a non premiare ulteriormente il ritorno discografico dei Pearl Jam. Lightning Bolt è un buonissimo disco, con ogni probabilità il migliore pubblicato da Eddie Vedder e compagni nel nuovo millennio. A quattro anni di distanza da Backspacer e dopo le legittime celebrazioni per il ventennale della pietra miliare Ten, ecco una delle rock band più amate di sempre alle prese con la decima prova in studio, ennesimo traguardo importante per un gruppo che non ha davvero più nulla da dimostrare. L’impatto frontale della sferragliante produzione colpisce subito in pieno volto con l’opener Getaway: viene voglia di alzare il volume e godersi un brano sempre più incalzante col passare dei minuti. Mind Your Manners è stata da molti paragonata alla storica Spin The Black Circle, colonna di Vitalogy: inutile negare le similitudini, ma a chi storce la bocca dicendo che questo pezzo sappia troppo di già sentito, rispondo felicemente “‘sti cazzi” mentre pogo

Lightning Bolt Universal

felice sul tiratissimo up-tempo. My Father’s Son invece inizia a farmi seriamente pensare di essere tornato indietro di vent’anni, grazie a un basso iper pulsante che apre un’altra bella scossa elettrica. A riportarmi sulla Terra ci pensa Sirens, che abbassa i tempi e regala il momento ballad che piacerà soprattutto agli ascoltatori occasionali dei PJ. Intendiamoci, è una bella canzone, oltretutto la più lunga, e battute a parte è uno dei migliori momenti di Eddie Vedder nell’intero Lightning Bolt. Con la titletrack si torna a viaggiare veloce, rock a bestia e senza compromessi con accelerazione letale. Le sorprese proseguono con Infallible: arrangiamento curatissimo, suono iper vintage, keys in evidenza in una partitura che a tratti sfocia anche nel funk. Pendulum è sicuramente tra gli highlight dell’intero disco, con un mood assolutamente mutuato da Into The Wild e una teatralità che difficilmente mi sarei aspettato dopo gli schiaffoni iniziali. Con Swallowed Whole si parte in

acustico per poi attaccare gli amplificatori, senza però farsi troppo male - magari con un minutaggio superiore l’avrei apprezzata ancora di più. Let The Records Play sa di blues e di Neil Young, anche in questo caso avrei gradito una jam session più lunga, ma la traccia rimane fighissima. Ed eccoci a quanto dicevo inizialmente, il rallentamento cercato, voluto al termine dell’album. Che, per fare quello che non si accontenta mai, mi lascia un po’ di amaro in bocca dopo tanto ben di dio. Sleeping By Myself è stata ripresa dall’ultimo solista di Eddie, riarrangiata e resa un po’ più corposa rispetto a Ukulele Songs, ma non è certo indispensabile. Per le due (!) ballad conclusive i Pearl Jam scelgono Yellow Moon (tanto mestiere che difficilmente potrà non piacere ai fan di sempre) e Future Days, con pianoforte e violino ad accompagnare le emozioni conclusive di un lavoro vario, potente e carismatico che in pochi si sarebbero aspettati di ascoltare.

onstage ottobre 63


MUSICA

D

ieci anni fa la famiglia Followill debuttava con un disco crudo e dall’anima quasi punk, basato principalmente su ritmi sostenuti e sfuriate convinte. In Inghilterra – dove si sa che sono sempre più avanti – molti si erano già accorti di loro, ma la consacrazione definitiva a livello mondiale arriva solo con Only By The Night, che - Sex On Fire a parte - puntava tutto su mezzi tempi intrisi di un certo romanticismo. Il successivo Come Around Sundown confermava la tendenza più “matura” della band, ricalcando le intenzioni del predecessore senza sconvolgere più di tanto critica e pubblico. Un mini-hiatus fa da preambolo al sesto lavoro in studio dei Kings Of Leon, che rimescola le carte fin dai primi singoli estratti: Supersoaker pesta senza rimorsi – ma anche senza arrivare ai picchi di rumore raggiunti in gioventù - mentre Wait For Me si assesta su un ritmo decisamente più calmo e puntella la dolcezza della melodia con arpeggi sognanti. Questo

KINGS OF LEON Mechanical Bull (Sony Music)

alternarsi è una costante dell’album: da una parte Don’t Matter gioca con un riff praticamente Sex Pistols, dall’altra Beautiful War rallenta e ammorbidisce. Coming Back viaggia dritta e spedita, On The Chin dimezza il tempo e raddoppia la delicatezza. Gran parte di quello che resta è standard KOL, con pezzi ben suonati e interpretati (Temple, Comeback Story, Tonight) e un paio di brani che non lasciano grandi segni (le conclusive Work On Me e Last Mile Home). Spicca - nel bene o nel male decidetelo voi - un episodio che si avventura in ambiti meno prevedibili: Family Tree mischia una linea di basso funky con propositi blues e una piccola dose di gospel, assicurandosi il premio come oggetto meno identificabile del disco. Chi (come il sottoscritto) si è innamorato dei

di Marco Rigamonti

Kings grazie a Only By The Night incontrerà delle difficoltà a digerire i brani più tirati, specialmente quando manca quasi del tutto la profondità (il già citato Don’t Matter), ma tutto sommato Mechanical Bull si rivela un ascolto scorrevole, vario e d’immediata fruizione.

Micro-reviews Skunk Anansie An Acoustic Skunk Anansie (Carosello Records)

Cd+Dvd per immortalare il live insolitamente acustico che la band ha tenuto a Londra per la gioia dei fan. Nessuna rivoluzione sui pezzi, ma la voce di Skin svetta potente #JustForFan

64 onstage ottobre

Motorhead Aftershock (Udr Music)

Ventunesimo disco in studio per la leggenda hard & heavy forgiata da Lemmy Kilmister. Velocità sferragliante, grezza ma impareggiabile attitudine. Certezze inarrivabili #lungavita

Fratellis We Need Medicine (BMG)

I tre (finti) fratelli del pub-rock inglese giungono alla terza prova ma non convincono, confermando che i tempi di Chelsea Dagger sono lontani ormai. Li ricorderemo come #meteore

Big Fish Niente di personale (Doner Music)

Il Dj frulla 14 artisti diversissimi tra loro su grasse basi tecno-dubstep per abbattere i confini di genere. Delle volte funziona e stupisce, altre è da dimenticare #discodifeaturing


A

volte ci si chiede come star del calibro di Sting siano in grado di durare professionalmente così a lungo. Una delle ricette più comuni è quella di reinventarsi sempre, spiazzare il pubblico, dedicarsi all’esplorazione di mondi inesplorati e tuffarsi in progetti ambiziosi che stimolino creatività ed ingegno. A circa dieci anni dal precedente album di inediti, dopo aver riassaporato negli anni l’amato rock, la musica rinascimentale e quella medioevale, Sting torna alle origini raccontando introspettivamente la sua infanzia nei sobborghi intorno a Newcastle ed il rapporto con il padre, fra cantieri navali in triste decadimento e lo smanioso desiderio di fuga. Il racconto è un viaggio intimista, rurale, edulcorato, che tocca vertigini musicali soffuse, fra chitarre acustiche pizzicate, archi e pianoforti malinconici. L’album è la base di partenza per un musical in programmazione a Broadway

T Paul McCartney New (Universal)

di Guido Amari

I

nel corso del prossimo anno, ispirato musicalmente al folk più sussurrato, alla musica da teatro, alla narrazione, all’ambientazione orchestrale. L’approccio ovviamente potrebbe essere arduo per gli ascoltatori distratti o smaniosi di pop rock di facile ascolto ma, una volta chiaro il progetto del fuoriclasse inglese, risulta più semplice ascoltare con attenzione nobili atmosfere (August Wind), un cantato romanzato (Ballad Of The Great Eastern) o l’esecuzione perfetta di forme di canzoni mutuate dai classici del traditional irlandese (What Have You Got). Introdotto dal singolo And Yet, di gran lunga la più commerciale delle composizioni di questo impervio nuovo lavoro, l’album è l’ennesimo nuovo ed entusiasmante elisir di lunga vita per l’ex-Police; un’avventura spigolosa, fragile ed altera, ma allo stesso tempo piena di sincere intenzioni dal gusto sopraffino, da maneggiare con cura e stimabile rispetto.

ra ristampe del suo vecchio catalogo solista e coi Wings -, una nuova uscita targata Beatles prevista a brevissimo (in tempo per un bel regalo di Natale), e le sue collaborazioni più recenti, non possiamo certo dire che McCartney si stia godendo un pur meritato riposo, anzi. Bisogna ammettere che i recenti impegni che l’hanno visto al fianco di Dave Grohl nel documentario Sound City per la deludente Cut Me Some Slack e il duetto con l’altro baronetto Sir Bob Cornelius Rifo nel disco dei Bloody Beetroots non avevano certo fatto saltare dalla gioia i fan, però avevano ribadito una curiosità musicale fuori dal comune. La stessa che pervade, almeno in parte, la sua prima prova inedita da Memory Almost Full del 2007, in cui ha riunito dodici nuovi brani che ondeggiano tra la costante celebrazione di un passato gigantesco e la voglia di stupire ancora il suo pubblico. E così New si presenta con un singolo che più

o sto con Moby. Apprezzo i suoi modi pacati e genuini e il suo amore per gli animali. Lo stimo per la sua sensibilità e sobrietà, e anche per la sua dedizione assoluta alla musica che lo spinge ogni giorno a svegliarsi, farsi un caffè e fiondarsi in studio senza passare dal via. In questi tempi dove qualsiasi comportamento leggermente deviato fa notizia, lui ostenta pulizia e trasparenza, arrivando perfino ad auto-infliggersi epiteti come “piccolo idiota”. Richard M. Hall non è perfetto. Gli è capitato di scrivere pezzi trascurabili o sottotono, e ha attraversato un momento pop fine a se stesso che si dimentica volentieri. Quando però è in forma diventa maestro nell’arte di comporre melodie a un primo impatto innocue, ma che dopo qualche ascolto ti toccano nel profondo. Il suo undicesimo disco è un concentrato di tutto quello che ti aspetti dal Moby di Play, 18 e dei più recenti Wait For Me e Destroyed: ritmi lenti e garbati, pad si-

STING The Last Ship (Universal)

di Claudio Morsenchio

beatlesiano non si può, la title track per l’appunto, e gli affianca altre belle divagazioni tra rock e pop come solo lui sa fare – la ballata On My Way To Work, la nostalgica ma convincente Early Days (con quel titolo poi…), la cattiveria dell’opener Save Us o, ancora, la psichedelia morbida e appena accennata di Queenie Eye. In pratica, tutta la prima parte del disco, tradizionale quanto basta per catturare definitivamente l’ascoltatore e convincerlo a prestare attenzione anche al resto del programma, altrettanto interessante, se non di più. Appreciate è tutta elettronica e voce filtrata, la conclusiva Road si snoda in maniera soffusa, guidata dal pianoforte, Hosanna è al tempo stesso esotica e dolente (sitar e chitarre registrate al contrario!), mentre I Can Bet è uno stomping rock con un gran ritornello. Seguirà un tour? Probabile, ma per quello sono già pronti gli immancabili evergreen di sempre…

nuosi, appoggi di piano elementari (ma efficaci) e voci languide. Già, le voci; vale la pena soffermarsi sull’argomento, perché in Innocents gli ospiti sono di livello e azzeccati. Cold Specks è impeccabile quando canta A Case For Shame e Tell Me. Il falsetto di Damien Jurado in Almost Home e i sussurri di Skylar Grey in The Last Day cullano e incantano. Il timbro di Inyang Bassey si rivela perfetto per i propositi soul di Don’t Love Me. Il cameo del sommo Mark Lanegan in The Lonely Night è da applausi. Infine, quella sagoma di Wayne Coyne ci mette del sano mestiere nel singolo The Perfect Life. Esattamente come i titoli che dà alle sue composizioni, la musica di Moby non vuole cambiare le regole, ma si accontenta di fare il proprio dovere con semplicità; e riproporre formule vincenti non è peccato, a condizione che non venga mai meno l’ingrediente fondamentale della passione - che qui non manca di certo.

MOBY Innocents (Mute Records / Edel)

di Marco Rigamonti onstage ottobre 65


MUSICA

S

e cominciano ad accostare il tuo nome a quello di P.J. Harvey è possibile che subentri un pizzico d’ansia da prestazione, specialmente quando giunge il momento della delicata “prova del secondo disco” - test che spesso si è rivelato fatale per molti artisti. Ma a quanto pare Anna Calvi ha mantenuto la calma, oppure non ha riflettuto abbastanza sull’illustre paragone citato perfino da Wikipedia. A due anni dal meraviglioso esordio, la cantautrice britannica concede il bis. Prima ancora di decantarne le doti vocali, il talento compositivo e la maestria interpretativa, bisogna esaltare il particolare che rende Anna Calvi unica: la personalità. E’ proprio grazie al suo temperamento che trova il coraggio di osare con le distorsioni in Love Of My Life, oppure di scrivere un pezzo come la title-track - che si sviluppa su tre minuti in crescendo e poi conclude con due minuti di coda strumentale per

E‘ Dream Theater Dream Theater (Roadrunner/Warner)

di Jacopo Casati

sempre difficile recensire un disco dei Dream Theater. Sia perché i colossi indiscussi del progressive metal di ogni tempo il meglio lo hanno già scritto tra il 1992 (Images & Words) e il 1999 (Scenes From A Memory), Awake (1994) e A Change Of Season (1995) inclusi, sia perché le uscite degli anni Duemila hanno avuto in comune il successo che ogni album portava con sé, ma dal punto di vista evolutivo, strumentale e creativo i sussulti sono stati pochi. Comprovata oramai da tempo l’abilità esecutiva e la capacità nell’oscillare tra tributi al prog rock anni Settanta e attenzione alle tendenze moderne dell’hard & heavy, i Nostri arrivano con l’omonimo album al dodicesimo (!) sigillo in studio. E quest’ultimo è, con ogni probabilità, il lavoro più completo dei DT da undici anni a questa parte, ovvero dalla pubblicazione del doppio Six Degrees Of Inner Turbulence (2002). In Dream Theater c’è l’aggressività e la predilezione per

Sono passati vent’anni da quel primo, rudimentale, Stanze; vent’anni in cui i Massimo Volume hanno continuato il loro viaggio tra letteratura e noise, aggiungendo sempre più capitoli alla loro discografia, sciogliendosi nel 2002 e riformandosi nel 2008. Sono passati vent’anni ma non si direbbe, almeno a sentire il nuovo lavoro Aspettando i barbari, pervaso da un’inquietudine e da un senso di urgenza che non ti aspetti da una band ormai scafata come la loro. E invece i dieci episodi che si susseguono alternano momenti cupi e ansiosi a vere e proprie esplosioni di grida. È il caso di Dymaxion song, così rabbiosa e disperata che è impossibile restarne indifferenti, o come le azioni e reazioni di Il nemico avanza, cronaca di una guerra che si combatte prima di tutto nella trincea della psicologia. Stesso discorso per Compound e Dio delle zecche. L’abilità di Clementi nel tratteggiare personaggi emerge in Silvia Camagni – il brano che

66 onstage ottobre

soli archi. E poi c’è quella scheggia impazzita di Cry, che parte con grazia e improvvisamente esplode in un impeto di violenza, richiudendosi così in fretta da lasciare l’orgasmo sonoro a metà. Oppure l’enorme Carry Me Over, un viaggio armonicamente sublime. I (supposti) confini sembrano crollare davanti alla prepotenza di un estro deciso e risoluto; e così i brani citati sanciscono la superiorità di un’artista che pur rimanendo coerente con il suo credo (radici blues e anima rock) riesce a sorprendere con prodigiose variazioni sul tema. Le conferme più dirette sono altrove: ad esempio nel maestoso singolo Eliza, nella poetica Cry e nella solenne Bleed Into Me - più omologate ma non per questo meno penetranti. Indipendentemente dal punto di vista dal quale lo si voglia osservare e analizzare (evoluzione o riprova), One Breath merita assoluta attenzione e unanime consenso. Inchini per Anna.

ANNA CALVI One breath (Domino Records)

di Marco Rigamonti

certi riff mutuati dal thrash e dall’heavy metal (cfr. The Enemy Inside), tanto quanto la tendenza all’orecchiabilità e alla facilità d’assimilazione (The Looking Glass e Along For The Ride). Non mancano la ballad The Bigger Picture (con tanto di finale epico in crescendo anni Ottanta style), la strumentale Enigma Machine e le buonissime Behind The Veil e Surrender To Reason, che lasciano fluire la componente più strettamente progressive di Petrucci e compagni, grazie ad ampie dilatazioni strumentali che sanno tanto di jam session settantiana. Aprono e chiudono il platter due momenti teatrali se non addirittura cinematografici: suite - una brevissima, l’altra molto più ampia (oltre venti minuti) - che completano un affresco decisamente ambizioso ma non per questo ostico o troppo esasperato. Un buonissimo ritorno, nonostante continui l’assenza dietro al drum kit dello storico drummer Mike Portnoy.

più ricorda il precedente album Cattive abitudini, lontanissimo come intenzione –, e ne La notte, che dipinge mirabilmente vari protagonisti con frasi sempre più semplici, fino ad arrivare, tra le rasoiate delle chitarre di Sommacal e Pilia, alla fatidica domanda: e io? Gli strumenti, ma soprattutto la produzione, portano tutto all’estremo, una lieve elettronica si unisce a dissonanze e distorsioni sempre sull’orlo del Larsen (vedi ancora Il nemico avanza e Vic Chesnutt) e alla ritmica della batterista Vittoria Burattini, cupa e ossessiva come non mai. Persino la voce, che generalmente era lasciata su un piano diverso dagli strumenti, viene trattata con effetti, deelay e compressioni, e si amalgama con la musica per dare un risultato ancora più compatto e straniante. Una piccola menzione a parte merita la splendida copertina, un dipinto di Ryan Mendoza che esprime in maniera eccellente l’inquietudine che attraversa tutto il disco.

MASSIMO VOLUME Aspettando i Barbari (La Tempesta Dischi)

di Tommaso Cazzorla


S C H I E N A

T O U R

NOVEMBRE 13 16 17 19 20 22 26 27 29

novembre

16 MILANO MEDIOLANUM FORUM 17 BOLOGNA UNIPOL ARENA 19 PESARO ADRIATIC ARENA 20 PADOVA PALAFABRIS 22 MONTICHIARI ALAGEORGE

DICEMBRE

1 MORBEGNO Polo Fieristico (data zero) 3 RIMINI 105 Stadium 5 ANCONA Palarossini 7 MANTOVA Palabam ut 8 MILANO Mediolanum Forum sold o 10 PADOVA Gran Teatro Geox BO BOLOGNA Paladozza FIRENZE Mandela Forum ut ROMA Palalottomatica sold o

23 MANTOVA PALABAM 26 FIRENZE MANDELA FORUM 28 TORINO PALAOLIMPICO 30 ROMA PALALOTTOMATICA

infoline 02 53006501 • www.livenation.it

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ACIREALE NAPOLI PESCARA TORINO CUNEO MONTICHIARI

dicembre

Palasport Palapartenope Palasport Palaolimpico Palasport Palageorge

3 EBOLI PALASELE 5 CASERTA PALAMAGGIÒ 7 ACIREALE PALASPORT


D

CINEMA

Ph: Frank Connor ©DreamWorks II Distribution Co.

el cosiddetto “quarto potere” - quello dei mass media con la loro influenza sull’opinione pubblica (ispirato dal principio fondamentale della separazione dei poteri di uno stato di diritto, legislativo, esecutivo e giudiziario) - si teorizzava un’evoluzione già nel 1976, quando il regista Sidney Lumet realizzò Quinto potere (in originale Network) puntando il dito contro la prepotenza e il forte condizionamento che la televisione esercita sulle masse. Questo titolo ritorna adesso nell’era di internet per raccontare la vera storia dietro WikiLeaks, spiegando come è stato possibile per i suoi fondatori Julian Assange e Daniel Domscheit-Berg mettere in luce gli inganni e le corruzioni dei potenti, tanto da rendere un sito internet l’organizzazione più discussa del ventunesimo secolo. È evidente che i governi operino non sempre alla luce del sole e non necessariamente per il bene dei cittadini. Nel 2007 Assange e Domscheit-Berg creano il famigerato sito per consentire a chiunque abbia informazioni utili su segreti governativi e crimini aziendali di condividerle in forma anonima, il tutto inneggiando alla trasparenza. In breve tempo WikiLeaks riesce a svelare censure e loschi intrighi di tale importanza e segretezza da far tremare non poche poltrone, riducendo a notiziari per bambini i tradizionali organi di informazione. Quando le mani dei due

a cura di Antonio Bracco

Il quinto potere

attivisti però cadono sulla maggiore raccolta di documenti riservati nella storia degli Stati Uniti, i loro ideali si scontrano con una domanda che li lascia impietriti: qual è il costo di mantenere riservati i segreti in una società democratica e quale il prezzo da pagare quando si decide di rivelarli? Su Julian Assange pendono accuse di spionaggio da parte del governo USA e un processo per reati sessuali in Svezia. L’uomo è attualmente un rifugiato politico presso l’ambasciata ecuadoriana di Londra. La storia del film è basata sui libri WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War On Secrecy e

critica pubblico USA, 2013, 129 min.

Il cast: Benedict Cumberbatch, Daniel Brühl, Anthony Mackie, David Thewlis, Alicia Vikander, Peter Capaldi, Carice van Houten, Dan Stevens, Stanley Tucci, Laura Linney Di Bill Condon

Inside WikiLeaks: My Time With Julian Assange At The World’s Most Dangerous Website, quest’ultimo scrtitto proprio dal socio Domscheit-Berg.

Micro-reviews GRAVITY di Alfonso Cuarón (USA, 2013) George Clooney e Sandra Bullock sono due astronauti in missione nello spazio che tentano un #disperatoritorno verso la Terra dopo che il loro team è rimasto vittima dell’impatto con un meteorite.

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COSE NOSTRE - MALAVITA

di Luc Besson (FRANCIA, USA, 2013) I Manzoni vivono sotto la protezione dell’FBI, ma non riescono a liberarsi delle proprie abitudini mafiose per gestire la quotidianità. Robert De Niro fa la #caricatura di se stesso (consapevolmente).

DARK SKIES - OSCURE PRESENZE di Scott Stewart (USA, 2013) La vita della famiglia Barrett diventa un incubo da quando una terrificante presenza entra ogni notte in casa per rapire i loro figli. Terrore casalingo di #originealiena per questo horror low budget.

UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE

di Rocco Papaleo (ITALIA, 2013) Un faro dismesso diventa un #refugiumpeccatorum quando al suo interno vengono confinati un prete spretato, suo cognato cornuto e una ex prostituta, ben presto raggiunti da una ditta di ristrutturazioni.


CATTIVISSIMO ME 2

di Pierre Coffin, Chris Renaud, USA, 2013

critica pubblico

Gru “l’imprenditore” si è lasciato alle spalle una vita fatta di crimini per crescere Margo, Edith e Agnes. Ora ha molto tempo libero a disposizione da passare insieme al dottor Nefario ed ai Minions, ma proprio mentre comincia ad adattarsi al suo nuovo ruolo di buon padre di famiglia di periferia, una fantomatica organizzazione, la Lega Anti-Cattivi impegnata su scala mondiale, bussa alla porta. Gru torna in azione e insieme alla sua nuova partner Lucy Wilde deve scoprire il responsabile di un crimine spettacolare per consegnarlo alla giustizia. Dopo tutto, solo il più grande ex-cattivo del mondo può fermare l’unico malvagio in grado di prendere il suo posto. La società di animazione dietro al film, la Illumination Entertainment, ha prodotto anche Hop e Lorax, oltre naturalmente al primo Cattivissimo me, di cui ha in cantiere uno spin-off sui piccoli e gialli Minions. Con le voci di: Max Giusti, Arisa, Neri Marcorè

DIANA - LA STORIA SEGRETA DI LADY D di Oliver Hirschbiegel, USA, 2013

Il film racconta il rito di passaggio che ha segnato il cambiamento della Principessa del Galles, da ragazza sola, insicura e un po’ depressa a donna capace di realizzarsi sia affettivamente sia professionalmente. L’idea è nata anni fa negli uffici della Ecosse Films: i produttori volevano raccontare la storia d’amore tra Diana Spencer e il cardiochirurgo pachistano Hasnat Khan e concentrarsi su questa relazione sembrava loro la chiave per capire gli ultimi anni della vita di Lady D. Nel corso della lunga inchiesta sulla morte della Principessa, avvenuta com’è noto in un incidente stradale a Parigi il 31 agosto del 1997, Khan ha confermato di aver avuto una relazione con lei. Le vicende che hanno ispirato il film sono piuttosto recenti da un punto di vista storico e il ricordo di Diana è ancora molto vivo tra la gente, soprattutto in Gran Bretagna. Il Cast: Naomi Watts, Naveen Andrews, Douglas Hodge, Geraldine James, Juliet Stevenson, Charles Edwards, Cas Anvar, Laurence Belcher

critica pubblico

ESCAPE PLAN - FUGA DALL’INFERNO di Mikael Håfström, USA, 2013

critica pubblico

Ray Breslin, esperto progettista e collaudatore di penitenziari di massima sicurezza, viene incarcerato ingiustamente in una prigione high tech a prova di evasione, della quale lui stesso è l’artefice. All’interno di questa struttura deve confrontarsi con i vari detenuti, tra i quali un certo Rottmayer, solidale compagno di prigionia dal passato oscuro e con sfaccettature psicologiche complesse, che cerca di salvaguardare l’integrità degli altri detenuti. Breslin fa ricorso alle proprie competenze e all’esperienza per tentare l’evasione e scoprire chi lo ha voluto incastrare. Non è la prima volta che Sylvester Stallone viene incarcerato al cinema (ricordate Sorvegliato speciale del 1989?), è la prima volta però che lui e Arnold Schwarzenegger sono insieme gli assoluti protagonisti di un film (quella de I mercenari è una collaborazione collettiva). Il Cast: Cast: Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, James Caviezel, Vincent D’Onofrio, Sam Neill, Vinnie Jones, 50 Cent, Amy Ryan

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GAMES

a cura di Blueglue

Micro-reviews PES 2014

(Tutte le piattaforme) La simulazione calcistica di Konami sfoggia il nuovo motore grafico, perde qualche licenza e le condizioni climatiche (trauma), ma migliora notevolmente manovre, contrasti e gameplay in generale. #pestime

FIFA 14

Grand Theft Auto V Il gioco totale

(Tutte le piattaforme) Il Precision Movement influisce in maniera decisiva sul gameplay, rendendo il gioco più realistico senza nulla togliere al divertimento; quest’anno EA oltre a confermarsi si rinnova non poco. #fifatime

Un ritorno a San Andreas in grande stile NBA 2K14

Produttore: Rockstar Games Genere: Free Roaming Disponibile per: Xbox 360 / PS3

I

numeri possiedono innate capacità di sintesi. Invece di dilungarsi in giri di parole, aggettivi e ghirigori, le cifre – con la loro assoluta imparzialità e imponenza – riescono a spiegare alcuni concetti in modo rapido e preciso. E facciamoli parlare questi numeri. 256 sono i milioni di dollari investiti in GTA V; per fare un paragone, il budget stanziato per il blockbuster hollywoodiano più caro di tutti i tempi (Pirati Dei Caraibi – Ai confini del Mondo) fu di 300 milioni di dollari. A 24 ore dalla messa in vendita il colosso Rockstar ha guadagnato 800 milioni, che sono diventati più di un miliardo nell’arco dei primi 3 giorni di distribuzione. Ovviamente tale cifra è destinata a crescere (le copie vendute per ora sono “solo” una quindicina di milioni) – mentre l’incasso ufficiale dei Pirati si è fermato intorno al miliardo (parola di Disney). Siamo quindi di fronte a un vero miracolo videoludico, che stupisce anche se il suo successo era stato ampiamente previsto. Rockstar prende come riferimento Los

70 onstage ottobre

Angeles e crea un dettagliato territorio giocabile di circa 200 km quadrati, dove realtà e finzione si fondono in una mastodontica opera d’arte; tra cazzeggio e denuncia sociale, GTA V riesce nell’impresa di dipingere una metropoli che ritrae alla perfezione la moderna società occidentale con tutti i suoi pregi (pochi?) e difetti (moltissimi). Articolato su 70 missioni principali (una percentuale minima del gioco se consideriamo il numero infinito di attività secondarie sparse per la città), il titolo raggiunge vette d’eccellenza per quanto concerne la varietà e la rigiocabilità: ciascun piccolo accorgimento può cambiare il percorso e ogni azione può modificare lo svolgersi degli eventi, nel segno di una libertà pressoché totale. E poi questa volta non controlleremo un personaggio solo, ma ben tre. Più esperienza che videogioco, GTA V è semplicemente il miglior canto del cigno che la settima era videoludica poteva regalarci in termini di divertimento, tecnica e contenuti.

(Xbox 360 - Xbox One PS3 – PS4) Il nuovo NBA 2K include anche Emporio Armani Milano e Montepaschi Siena (insieme ad altre 11 squadre europee); per il resto smussa qua e là, convincendo come d’abitudine. #licenzefiba #nba2k14time

The Legend Of Zelda – Wind Waker HD

(Wii-U) Brillante conversione di uno degli episodi meno celebrati della mitica serie, che illumina con pura classe la line-up deficitaria della console di casa Nintendo. #linkvelista #ritornoallisol aabbandonata#teamwork


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www.seasicksteve.com

MAR 05/11 > MILANO | MAGAZZINI GENERALI

+ THE SIMPLE PLEASURE & JHEREK BISCHOFF SAB 09/11 > MILANO | FACTORY

www.amandapalmer.net

www.tomodell.com

LUN 11/11 > MILANO | MAGAZZINI GENERALI

inizio concerto tassativo ore 20.30

TOM ODELL MAR 19/11 > MILANO | FACTORY

www.officialblue.com

GIO 21/11 > MILANO | ALCATRAZ VEN 22/11 > ROMA | ATLANTICO LIVE SAB 23/11 > S.BIAGIO DI CALLALTA (TV) | SUPERSONIC ARENA

www.britfloyd.com

www.emilianatorrini.com

LUN 25/11 > ASSAGO (MI) | TEATRO DELLA LUNA MAR 26/11 > ROMA | ATLANTICO LIVE MER 27/11 > FIRENZE | OBIHALL

www.imaginedragonsmusic.com

MER 04/12 > PADOVA | GRAN TEATRO GEOX

www.johnnewman.co.uk

JOHN NEWMAN

MER 20/11 > MILANO | SALUMERIA DELLA MUSICA

www.gemellidiversi.it

www.glasvegas.net

www.hanson.net

SAB 23/11 > ROMA | ATLANTICO LIVE LUN 02/12 > MILANO | ALCATRAZ

VEN 29/11 > RONCADE (TV) | NEW AGE SAB 30/11 > MILANO | MAGAZZINI GENERALI

LUN 16/12 > ROMA | ALTANTICO LIVE MAR 17/12 > MILANO | MAGAZZINI GENERALI

INFO: 02.6884084 - BARLEYARTS.COM - FACEBOOK.COM/BARLEYARTSPROMOTION


HI-TECH

Benvenuta! ONSTAGE RADIO di Gianni Olfeni

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! PRIMA E UNICA

Avete mai ascoltato una digital radio che trasmette solo musica live? Anticipiamo la vostra risposta: no! Onstage Radio è il primo progetto radiofonico digitale interamente costruito intorno alla musica live. Cliccando play accederete al nostro mondo: i concerti. La selezione musicale, curata da Daniele Tognacca (Radio Deejay, Virgin Radio e altre nel suo curriculum), vi farà rivivere le emozioni dei grandi live di artisti italiani e internazionali 24 ore su 24. 72 onstage ottobre

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Il player di Onstage Radio sarà naturalmente posizionato all’interno del sito di Onstage. Ma non solo: lo troverete anche in un ampio numero di siti partner (l’elenco completo nella sezione Radio del nostro sito). Insomma, lo troverete in Rete e potrete accedervi da qualunque dispositivo, fisso o mobile. Se invece volete ascoltare la nostra digital radio senza entrare in Internet, potete addirittura scaricare il Desktop Player sul vostro pc. Sarà ancora più semplice e immediato.

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COMING SOON

ARCTIC MONKEYS

il predestinato di Tommaso Cazzorla

L

e scimmie sono cresciute. Per carità, è successo già molto tempo fa, quando dopo il secondo album Favorite Worst Nightmare (del 2007), si sono presi una bella pausa e hanno deciso che non volevano accontentarsi di essere solo la prossima “next big thing” inglese ad essere spazzata via al primo cambio di tendenza. Come fare? Per cominciare, bisognava smettere di essere così inglesi. Che non è una cosa da poco per quattro adolescenti cresciuti a Sheffield, intrisi di Union Jack fino alla punta dei calzini. Si chiudono nel Rancho de la Luna, studio di registrazione in mezzo al deserto della California, in compagnia di Josh Homme, deus ex machina dei Queens Of The Stone Age, uno abituato a cenare con i coyote. È lì che sono maturati gli Arctic Monkeys. Quando hanno deciso che non volevano suonare solo quello che la gente si aspettava da loro ma esplorare fino a dove potevano spingersi. E infatti sono arrivati Humbug (2009) e Suck It And See (2011), dove non è più così facile trovare i punti di

riferimento che ti aspetti da una band inglese, si sperimenta ma senza mettere da parte la consapevolezza che «hey, siamo qui per le canzoni, non per cazzeggiare». Nell’anno domini 2013, con l’uscita di AM, tutti sono stati costretti ad accorgersi di quanto sia maturata la band. Alex Turner, ciuffo impomatato e vestito elegante, guida i suoi con la sicurezza di un veterano, e miscela riff hard rock, ballate mid-tempo, batterie elettroniche e tutto quello che gli viene in mente, sempre per il bene delle sue canzoni. Inoltre lo fa mantenendo ben visibile il marchio di fabbrica degli Arctic Monkeys, che dagli esordi rende ogni loro composizione immediatamente riconoscibile. Poco prima della pubblicazione di questo ennesimo gran bel disco, oggi osannato da tutti i media, Alex e soci hanno definitivamente consacrato il proprio status suonando da headliner sul Pyramid Stage di Glastonbury (cioè sul palco principale del più importante festival del mondo). Evento che ha lanciato il tour estivo - in Italia sono passati da Roma e Ferrara - che con l’autunno si trasferisce al chiuso. Arrivano a Milano il 13 novembre le Scimmie, ed è il loro primo Forum di Assago. Se continuano a crescere con questo ritmo, la prossima volta potrebbe essere in uno spazio ancora più grande. Poi non dite che non vi avevamo avvertito.

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CALENDARIO CONCERTI novembre

Alter Bridge 11/11 Roma 12/11 Milano Bastille 23/11 Milano

Bob Dylan 02/11 Milano 03/11 Milano 04/11 Milano 06/11 Roma 07/11 Roma 08/11 Padova Fabri Fibra 09/11 Roma 12/11 Milano 16/11 Napoli Glasvegas 29/11 Roncade (TV) 30/11 Milano Max Pezzali 07/11 Morbegno (SO) 09/11 Mantova 10/11 Torino 12/11 Genova 14/11 Montichiari (BS) 16/11 Padova 18/11 Milano 19/11 Milano 23/11 Rimini 26/11 Roma 27/11 Roma 28/11 Bologna 30/11 Firenze

© Zackery Michael

Pixies 04/11 Milano

74 onstage ottobre

Negramaro 16/11 Milano 17/11 Bologna 19/11 Pesaro 20/11 Padova 22/11 Brescia

23/11 Mantova 26/11 Firenze 28/11 Torino 30/11 Roma Negrita 02/11 Lecce 04/11 Roma 05/11 Pisa 07/11 Avellino 08/11 Civitanova Marche (MC) 09/11 Pescara 14/11 Aprilia (LT) 15/11 Parma 16/11 Venezia 21/11 Bologna 22/11 Schio (VI) 23/11 Conegliano (TV) 25/11 Perugia 26/11 Ravenna 28/11 Mantova 29/11 Fontaneto (NO) 30/11 Legnano (MI) Placebo 23/11 Bologna Primal Scream 20/11 Milano Queens Of The Stone Age 03/11 Milano Suede 14/11 Bologna The Bloody Beetroots 11/11 Milano Thirty Seconds To Mars 02/11 Milano White Lies 16/11 Milano




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