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mensile - anno diciannove - numero tre - marzo 2015
FashionWeek
INTERVISTA Elena Sofia Ricci ARTE David Vance PEOPLE Nick Wooster Travel Tel Aviv
EDITORIALE
Vittime o carnefici?
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ossono essere di natura positiva o negativa, interagiscono con il nostro modo di agire, di relazionarci con gli altri e negli eventi: sono i pregiudizi. Ognuno di noi deve fare i conti con i propri. Come spesso accade si fa di tutta l’erba un fascio: i più “banali” si coniugano perfettamente con quelli di una certa importanza. La difficoltà che occorre nel separarsi da loro è direttamente proporzionale a quanto sono influenti per noi e nella nostra vita. Se è vero che l’unione fa la forza, gli uomini con le stesse preclusioni, purtroppo, non fanno di certo fatica ad unirsi fra loro. Proprio come accade per gli interessi comuni. Il dialogo tra le persone dovrebbe ampliare gli orizzonti, ma fino a quando ci circonderemo di gente che la pensa come noi non arriveremo a nessun dunque, anzi, non faremo altro che alimentare il giudizio prefissato. Nella società gli individui si circondano di amici, soci e partners, in base a preconcetti personali e spesso si comportano, più o meno inconsciamente, in maniera da indurre gli altri verso una determinata congettura: la loro. è scientificamente provato che quando s’incontra una persona con abilità ammirevoli e buone si è inclini a adottare e mettere in pratica le sue medesime caratteristiche. Normalmente questa si definisce influenza positiva, purtroppo ciò funziona nello stesso modo con l’influenza negativa. Fatevi quindi portatori di buone azioni, sarete d’ispirazione per altri. Il genere umano è altamente suscettibile, la storia moderna e passata dimostra che l’uomo è facilmente plagiato dal potere dell’influenza. In questo periodo ne sappiamo qualcosa. Il medesimo sistema scatta anche al contrario: noi vo-
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gliamo essere come i nostri amici e quindi adottiamo i loro stessi preconcetti. Qui subentra anche un fatto di accettazione: mi comporto e faccio determinate cose per essere accolto dal gruppo. Ammesso. Da qui il concatenarsi di azioni che alimentano i vari comportamenti che sfociano e prendono strade diverse. L’ignoranza spesso va a braccetto con i pregiudizi, questo perché di un determinato argomento ne conosciamo nulla o poco e allora diamo per buoni i commenti e le storie negative che ci arrivano dall’esterno. Come per le paure, anche il soggetto del pregiudizio va affrontato faccia a faccia, ma ciò richiede volontà e uno sforzo non indifferente. La scoperta di altre verità smuove le coscienze: trovarsi di fronte ad una realtà che in un certo qual modo ci mette a nudo non è facile. Scrollarsi di dosso un preconcetto è come ammettere a se stessi che fino ad oggi ciò che pensavamo o credevamo di pensare su una determinata persona, cosa, religione o schieramento è sbagliato o non del tutto corretto. Ma in quanti sono in gradi di fare ammenda? Sappiamo che il pregiudizio va a nozze con il non sapere e si circonda di terrore, ma l’effetto dominante è dato dall’aggettivo al quale viene associato. Il binomio che ne esce non lascia scampo. Sono temi importanti e per alcuni questo potrebbe anche non essere il mezzo giusto per parlarne, ma poi perché? Senza false ipocrisie siamo anche noi (tutti) vittime di pregiudizi, senza false ipocrisie anche noi abbiamo i nostri pregiudizi (su questo ci stiamo lavorando). Il fatto di essere “vittime” non ci esclude dall’essere “carnefici”. Salvatore Paglia
cover Photo by Andrea Benedetti Styling by Alessandra Macrì Model: Adrian Arhip T-shirt Gaetano Navarra Earring Manuel Buzzi editrice Sedit sc via Emile Chanoux, 22/24 10026 Pont Saint Martin (AO) gestione editoriale Gemeco Media Group direttore editoriale Calogero Urruso direttore responsabile Luciano Mantelli direttore Salvatore Paglia pubbliche relazioni Jean Paul Bianco biancoagency@gemeco.it pubblicità Tel. +39 329.8622268 info@gemeco.it impaginazione e grafica Michele Alberti redazione Fax 02 91390360 redazionelui@gemeco.it stampa Arti Grafiche Celori - Terni pubblicazione mensile Reg.Trib. di Milano N. 169 - 03/2000
hanno collaborato a questo numero: Alessandro Rizzo Alexia Mingarelli Andrea Vittorio Romagnoli Andriy Mishchenko Claudio Marchese Cristiano Fabris Riccardo di Salvo Lui Magazine è distribuita gratuitamente (0,10 euro) nei locali e nelle attività gay friendly di tutta Italia e Costa Azzurra
Abbonamenti
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il prossimo numero in distribuzione ad aprile 2015
SOMMARIO
Katie Eary
YOUNG DESIGNER 98
SPECIALE LONDON FASHION WEEK 06
FASHION Emi’s labors
20
MODA Sua maestà il nero
30
FASHION Fil rouge
38 FASHION 20
PEOPLE Nick Wooster + Lardini
48
FASHION Shadows
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SPECIALE LONDON FASHION WEEK Craig Green
66
NEW FACES Elite Model Look, ricomincia il sogno!
78 COVER 104
MODA 30 PEOPLE 48
FASHION Soc-Real
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YOUNG DESIGNERS Federico Barrazzo: The B.
98
COVER Antihero
104
ARTE David Vance
112
SOMMARIO
ARTE 112
FASHION Gilles
190
TRAVEL Tel Aviv! Chi l’avrebbe mai detto?
206
FASHION The museum
210
SPECIALE LONDON FASHION WEEK Universal Work Lazy sunday
120
FASHION Zombie queen
222 INTERVISTA 168
FASHION
130
ICONS Anita Ekberg e Francesco Rosi
144
SPECIALE LONDON FASHION WEEK Xander Zhou
146 FASHION 130
FASHION Freaky theatre
228
FASHION Adam
244
FASHION Nomad in Paris
254
SALUTE Integrare e reintegrare Nasir Mazhar
158
INTERVISTA Elena Sofia Ricci
168
FASHION It’s time to human circus
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MOTORI “Quando vedo un’Alfa, mi tolgo il cappello”
184
FASHION 190
SPECIALE LONDON FASHION WEEK
264
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MEN FashionWeek
Katie Eary Backstage and catwalk by Lara Ferri @NoceraFerri
EMY’S LABORS Photos and STYLING BY Stéphane Gagnard
Body suggest by Pain de Sucre Blazer Balmain
Trench Galliano
Body suggest by Pain de Sucre Blazer Balmain
TOP H&M Dungaree Dolce&Gabbana
TOP H&M Dungaree Dolce&GabbanA Photos, styling, mua & hair by StĂŠphane Gagnard Assistant: Fabrice Arfen Model: Emy Buffa
Jil Sander
MODA
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MODA
Sua maestĂ il
Passe-partout di ogni stile
NERO
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Bottega Veneta
Giorgio Armani
Dirk Bikkembergs
MODA
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nico, trasgressivo, raffinato e temerario, il nero è tra le tendenze del prossimo inverno. Dopo la predominanza del colore, il total black fa il suo gran ritorno in passerella calcando la scia con estrema classe ed esuberanza. Di certo l’intramontabile nero non ha mai perso il suo ruolo di leader del guardaroba e anche se le ultime collezioni hanno dato risalto ad altre tonalità, non ha smesso di essere parte integrante di ogni look. Il prossimo inverno il fashion gli riserva un ruolo da assoluto protagonista, lasciandolo esprimere nella sua magnificenza attraverso la forza estrema del total look. Attenzione, il territorio è parecchio minato. Sono in molti, infatti, a credere che è sufficiente mettere insieme una camicia, una giacca e un pantalone nero per avere un’immagine giusta, ma non è affatto così. Per essere vincente il black total look ha bisogno di “movimento”: materiali e contrasti cromatici, anche della stessa gamma, aiutano a dare vigore e gioco e allontanano definitivamente l’impatto “piatto”.
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Tom Rebl
Neil Barrett
John Varvatos
John Richmond
Emporio Armani
Jil Sander
MODA
Dolce&Gabbana
Prada
Costume National
Versace
D.gnak
Calvin Klein
MODA
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Dirk Bikkembergs
Neil Barrett
John Varvatos
Roberto Cavalli
Ermanno Scervino
Philipp Plein
Msgm
Msgm
Philipp Plein
Ermanno Scervino
Roberto Cavalli
Costume National
Calvin Klein
MODA
Jil Sander
Versace
Calvin Klein
Emporio Armani
D.gnak
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Philipp Plein
Ermanno Scervino
Roberto Cavalli
Costume National
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Tom Rebl
John Richmond
John Varvatos
MODA
Ogni tessuto, in base alle sue caratteristiche, ha il suo personalissimo modo di riflettere il nero, ragion per cui ciascun materiale è in grado di contaminare il vostro outfit in diversi modi. Prendiamo ad esempio il romanticismo di alcune sete, la forza della pelle o l’esuberanza del pvc, in ogni declinazione il nero assume una valenza diversa. Stessa cosa vale per le tonalità: un nero lucido abbinato ad un nero pieno danno origine ad un contrasto che esalta l’insieme. Da non sottovalutare nemmeno l’uso delle varie lunghezze dei capi, utili per esaltare i punti chiave della figura. Il concetto va assolutamente riportato anche nella scelta degli accessori, interpreti di punti luce o di zone che necessitano maggior penombra. Sembra non esserci più spazio per il verde, il blu e il viola, definiti nelle scorse stagioni “il nuovo nero”. Il colore della notte è tornato, il resto può attendere. S.P.
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FIL ROUGE Photos by ANDREA BENEDETTI STYLING BY ERIKA GUERRISI
T-shirt a strisce Alberto Zambelli
a sinistra: Tuta in neoprene James Goldstein - Turbante con cristalli Donia Allegue a destra: Pochette in pelle Borgenni - Pantaloni in pizzo James Goldstein - Collana Barbieri Bijoux
a sinistra: Abito con ricami e paillettes Augustin Teboul a destra: Abito e scarpe Philipp Plein
Giacca in pelle Absinthe
a sinistra: Abito in pelle Philipp Plein - Giacca Augustin Teboul - Turbante piumato Donia Allegue a destra: Pantalone Vicolo Northland - Scarpe Giuseppe Zanotti DesigN
Photos by Andrea Benedetti Styling by Erika Guerrisi Assistant photographer: Thomas CarlĂ Make-up: Alice Coloriti Hair: Davide Carlucci Model: Johanna @Wave
Wooster+Lardini
PEOPLE
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iuffo definito, capelli sale e pepe, barba e/o baffi curatissimi ed un corpo addobbato da una serie interminabili di tatuaggi. Lui è Nick Wooster, uno dei personaggi più stimati nel panorama della moda maschile. Nick vanta collaborazioni del calibro di Calvin Klein, Polo, Ralph Lauren e John Bartlett, ha cooperato per quasi 30 anni con i principali colossi del lusso americani ed è seguitissimo sui social, tanto da essere diventato un vero e proprio influencer di stile. Oggi firma per la Maison Lardini una strepitosa capsule collection. La linea in questione è un curato contrasto di generi che si amalgamano fra loro senza prevalere l’uno sull’altro. Il risultato, a tratti eclettico ma mai troppo sopra le righe, rispetta pienamente gli equilibri tra sartoriale/metropolitano e militare/couture.
PEOPLE
Non manca il colore: audace, dominante, ma mai eccessivo; mentre la fantasia patchwork è, in concreto, onnipresente. Minuziosi e particolari i dettagli: quelli che ci hanno particolarmente colpito riguardano le giacche e i pantaloni. Per le prime spiccano i revers a lancia, il bavero e le alette sulle tasche abbondanti e la spalla raglan, tipico taglio adottato nei capispalla femminili (che dona quel pizzico di sfrontata audacia femminile che non guasta mai). I secondi, invece, vantano un cavallo dalle diverse lunghezze (distinte per ogni modello di calzone) ed una gamba rilassata. Uno stile frizzante, a volte egocentrico, ma libero di essere contaminato. In fondo l’eleganza è intrinseca nei particolari. S.P.
SHADOWS Photos by Ivan Genasi STYLING BY Alessandra Leoni
a sinsitra: Maglia Brioni, foulard Ermanno Scervino a destra: Maglia e scarpe Dirk Bikkenbergs, giacca e pantalone Ermanno Scervino
a sinistra: Maglia PENCE, giacca Costume&Costume by Costume National, pantalone Black Believe a destra: Maglietta, giacca e pantalone FRANKIE MORELLO, scarpe ERMANNO SCERVINO Camicia e pantalone FRANKIE MORELLO, calze CALZEDONIA, scarpe BRIONI
Sinistra: Camicia e scarpe Dirk Bikkenbergs Giacca Ermanno Scervino Pantalone Brioni Centrale: Camicia Brioni Giacca Frankie Morello Pantaloni e scarpe Dirk Bikkenbergs Calze Calzedonia Destra: Maglia Dirk Bikkenbergs Giacca Costume&Costume by Costume National Pantalone Brioni Scarpe Ermanno Scervino
a sinistra: Giacca BRIONI, Pantalone COSTUME NATIONAL, scarpe DIRK BIKKEMBERGS a destra: Maglia/maglione Brioni
a sinistra: Giacca, camicia, foulard e scarpe Brioni Calze Calzedonia Pantaloni Pence centrale: Maglia, pantaloni e scarpe Brioni Foulard Ermanno Scervino Giacca Pomandere Calze Calzedonia a destra: Camicia e scarpe Ermanno Scervino Pantalone Costume&Costume by Costume National Calze Calzedonia
a sinistra: Maglia PENCE a destra: Maglia POMANDERE Giacca BRIONI Pantaloni DIRK BIKKEMBERGS Calze CALZEDONIA Scarpe DIRK BIKKEMBERGS Maglia BRIONI Giacca e scarpe ERMANNO SCERVINO Pantalone BRIONI Calze CALZEDONIA
Photos by Ivan Genasi - Styling by Alessandra Leoni Make-up: Jo Sanna @HM Battaglia - Hair: Rosario Gualtieri Set designer: Davide Giglio - Photo assistant: Matteo di Pippo - Post-production: Rafael Cavalli Models: Jacob Scheich, Mattew Moll and Stefan @FashionModelManagement Special thanks to: Errecistudios
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MEN FashionWeek
Craig Green Backstage and catwalk by Lara Ferri @NoceraFerri
James Richard Parker ritratto da Luc Braquet
NEW FACES
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NEW FACES
Elite Model Look, ricomincia il sogno!
Riprendono i casting di “Elite World”: il più vasto network di agenzie di model management al mondo www.elitemodellookitalia.it 79
NEW FACES
è
ripartito il 28 febbraio Elite Model Look Italia 2015, edizione nostrana del contest di model scouting dell’agenzia internazionale di model management Elite World. Il concorso permette ad aspiranti indossatori ed indossatrici di trasformare il sogno in una vera e propria professione. Per la prima volta in 30 anni, lo scorso anno, Elite Model Look ha aperto le porte della competizione anche ai modelli introducendo la categoria maschile. Da quest’esordio l’Italia ne esce vincente: è, infatti, abruzzese, ad essere precisi di Ortona a 80
NEW FACES
Mare (Chieti), il trionfatore della 31esima edizione di Elite Model Look World Final (divisione uomo). Lui si chiama James Richard Parker (suo padre è inglese), ha 18 anni, è alto 1 metro e 89 ed è uno studente al liceo scientifico Volta della bella cittadina adriatica. James ha un’espressività profonda, avvolgente e magnetica. Lo sguardo gelido ed impostato che la moda impone non ha scalfito l’armonia del suo volto e forse questo gli è valso il premio più ambito. A livello globale sono migliaia i ragazzi e le ragazze partecipanti alla competizione, 81
Greta Varlese per Givenchy
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Greta Varlese
NEW FACES
ognuno con la sua storia, il suo bagaglio, il suo percorso… La scrematura però non perdona: ogni Paese concorrente seleziona i suoi candidati tramite una serie di casting online, chi prosegue passa per via di una sequenza di live casting attraverso i quali una giuria composta dai model agent di Elite, affiancata dai media partner, decidono i 24 i finalisti (12 uomini e altrettante donne) del contest nazionale. I due vincitori, uno per categoria, concorreranno per “Elite World”. Per quindici giorni i 62 finalisti internazionali vengono formati dallo Staff di Elite World con l’unico scopo di prepararli alla World Final e alla loro carriera. Da qui in poi il percorso si fa ancora più duro. La crème de la crème delle bellezze internazionali si sfidano a colpi di sessioni di portamento, fitness, walking, shooting fotografici, fino ad un vero e proprio “relooking” curato da un team di specialisti nel settore. Lo scorso anno si è giunti alla selezione finale dopo lo svolgimento di casting in 800 città sparse in 43 nazioni. Ottimo piazzamento, e risultato più che soddisfacente, anche per Greta Varlese: studentessa di origini calabresi, ma locarnese d’adozione, che con i suoi 16 anni, 1 metro e 78 cm di altezza e un corpo plasmato per la moda, ha vinto il concorso di bellezza “Elite Model Look Italia” ed è arrivata tra le finaliste “TOP10” di Elite World Final. La sua è una bellezza intrigante, per un certo senso lontana dall’immagine della classica “bambolina”, e a soli due mesi dalla sua partecipazione ha già colpito alcune delle più grandi case di moda. Il suo esordio sulle passerelle è firmato Givenchy: Riccardo Tisci, direttore creativo della maison francese, ha infatti scelto Greta come new face sulla quale scommettere, inoltre la Haute Couture SS15 a Parigi l’ha voluta per la passerella di Dior e Valentino. Tutto per lei è cominciato con un click e il sogno continua.
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soc-REAL Photos by Michal Grzyb STYLING BY Cezary Glusniewski / MlodyStylista
Jacket Robert Kuta Top and skirt Picantti Jellowery Lewanowicz
Top Picantti Pants Bola Heels and belt Kazar
Jacket Robert Kuta Top and body Picantti Boots Kazar
Top Bola Shorts Picantti Shoes Kazar Jellowery Lewanowicz
Top Picantti Pants Bola Jellowery Lewanowicz
Top Bola Jellowery Lewanowicz
Top and skirt Picantti Jellowery Lewanowicz Boots Kaza
Jacket Bola Body and hat Picantti Shoes Kazar Bag Kazar
Dress Picantti Heels Kazar Jellowery Lewanowicz
Top and skirt Picantti Heels Kazar Jellowery LewanowicZ Photos by Michal Grzyb Styling by Cezary Glusniewski / MlodyStylista Stylist assistant: Wioleta Zochowska Make-up: Zuzanna Czaplinska Model: Olga K @SpectoModels
YOUNG DESIGNER
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n questo numero vi presentiamo Federico Barrazzo ed il suo giovane brand THE B. Federico nasce inizialmente come Fashion Stylist nel corso dei suoi studi decide di dare e sfogo e vita alla sua creatività creando il suo brand personale. Cercheremo di seguito di scoprirne ancora di più. Capo traino Qual è il suo capo preferito? Vediamo la risposta di Federico Barrazzo: “Sicuramente ci sono alcuni che prediligo di più perché possono più appartenere al mio gusto personale, ma non ne ho uno preferito. Non ho mai saputo scegliere un capo preferito tra le mie collezioni. Credo inoltre che questa collezione mi rispecchi molto, anche per questo avrei difficoltà nello scegliere”. La collezione è composta da diversi colori come il nero, il grigio, il beige, il marrone e l’oro. Le forme geometriche come già sottolineato in precedenza, presentano figure ampie e minimali. I materiali invece spaziano dal panno di lana, alla lana misto cashmere, al cotone fino ad arrivare al taffetà, all’ecopelle e al denim. Passato, presente e futuro Federico Barrazzo ha sede in Roma dove crea il suo brand THE B., un progetto personale che segue dal 2011. Lui stesso ci racconta: “è come se in un certo senso avvertissi la necessità di avere questa ambivalenza professionale, per la completa espressione della mia tendenza creativa”. Si laurea nel 2013 presso lo IED di Roma in Fashion and Styling, oggi prosegue la sua carriera di stylist ed il suo progetto con THE B.
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Photos by: Luca Latrofa Models: Ana Maria, Claudio N’Imparato, Nena Sardilli Make up & Hair styling: Manola Spaziani Assistant: Victoria Louise Vinueza 101
YOUNG DESIGNER
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Perché l’abbiamo scelto THE B. by Federico Barrazzo presenta la sua collezione intitolata Channeled Collection, racconta una storia composta da due esseri, l’uomo e la donna uniti nello stile e nel loro abbigliamento. La collezione infatti parte dal concetto di capi unisex in cui le forme geometriche rendono questo connubio tra il genere maschile e femminile molto più semplice ed armonico. Oltre a questo le forme dei capi ci riportano a terre lontane, pregne di saggezza e consapevolezza dell’essere, più precisamente in oriente. Abbiamo chiesto direttamente a Federico Barrazzo da dove provenisse l’ispirazione della collezione: “Per quanto riguarda shape e proporzioni, oltre a provenire da culture orientali alcuni, generalmente si tratta di un connubio dell’abbigliamento maschile e femminile. I due si influenzano dando così vita a capi unisex. Nello specifico, inoltre, il tessuto denim stampa oro si ispira a “Birds of Feather” di Claire Rosen”. Claire Rosen, per chi non la conoscesse, è una bravissima fotografa, che realizza progetti personali e di moda molto elaborati e studiati in ogni piccolo dettaglio. I tagli puliti e lineari restano il suo marchio di fabbrica, il nero è sempre presente e passa attraverso ogni capo dalla camicia senza maniche fino ad arrivare agli ampi cappotti. Nelle immagini che vedete vi presentiamo principalmente i capi indossati dall’uomo, ma come vi abbiamo sottolineato in precedenza la collezione è unisex. Per questo motivo osservando i capi si comprende come mano a mano si sviluppino attraverso le proprie forme e lunghezze, definendo un unico linguaggio estetico e visivo. I crop top si scontrano con le stampe oro e gli accessori completano il total look esaltando il prezioso minimalismo che emerge dalla collezione. Abbiamo scelto THE B. proprio per la sua semplicità complessa, fatta di idee prima che di abiti. Sicuramente il suo percorso di stylist che ancora prosegue parallelamente insieme al suo brand ha influenzato fortemente ogni decisione e soprattutto la sua formula creativa, unica ed essenziale. Alexia Mingarelli
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AntiHero Photos by ANDREA BENEDETTI STYLING BY Alessandra Macrì
K-way BOSIDENG Earring and ring MANUEL BUZZI
T-shirt LEIT MOTIV Jacket and pochette GEAN LUC PARIS Shorts MYTHS Bag DSQUARED2 Earring MANUEL BUZZI
Jacket, jeans and belt DIESEL Pullover MASSIMO DUTTI Earring MANUEL BUZZI
Sweatshirt ZARA Scarf MASSIMO DUTTI Accessories MANUEL BUZZI Jeans DSQUARED2
Jacket MORESCHI T-shirt STILL ILL Trousers and shoes ERMANNO SCERVINO Earring MANUEL BUZZI
Jersey JULIAN ZIGERLI Jeans DSQUARED2 Accessories MANUEL BUZZI
T-shirt NHIVURU Jacket MASSIMO DUTTI Trousers MYTHS Shoes DSQUARED2 Earring MANUEL BUZZI
Total look DSQUARED2 Belt MORESCHI Accessories MANUEL BUZZI Photos by Andrea Benedetti Styling by Alessandra Macrì Grooming: Oriana Corti Assistant photographer: Thomas Carlà Model: Adrian Arhip @JoyModelsManagement
ARTE
David Vance
Dal pubblicitario all’artistico: i vari volti della fotografia di inno al fisico come espressione di bellezza umana
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ARTE
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a fotografia entra gradualmente nella scena artistica qualche decennio dopo la sua invenzione. La pittura manteneva una propria supremazia, anche se, in molti casi, la ricerca iniziava già a proporsi in quei tempi: oggi con la tecnica possiamo avere fotografie di un’autonomia estetica compositiva tale da donare a questa arte un’autorevolezza indipendente. David Vance conosce bene, ne è consapevole, le potenzialità della fotografia, utilizzandole appropriatamente e con avvedutezza, tanto da avergli offerto uno spettro di produzione artistica molto ampio, passando dal genere più glamour e pubblicitario a uno più elaborato dal punto di vista estetico e compositivo. David Vance collabora con diverse e note agenzie, dalla Sony a Time-Life, da Coca-Cola a Lions Gate; mentre vedremo diversi suoi servizi essere pubblicati su importanti magazine e riviste, da Cosmpolitan a Men’s Health, da Interview a Entertainment Weekly. In questo contesto apprezziamo un’autonomia compositiva di un Vance più pubblicitario come fotografo: la teatralità delle situazioni, l’attenzione per le scenografie, la costruzione di ambientazioni ci portano, comunque, a una narrazione delle immagini, una sequenza quasi filmica di fotogrammi che compongono un servizio che va oltre al semplice glamour. Vance ha un’attenzione particolare verso 114
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il soggetto nella sua interezza, rendendolo centrale nella fotografia complessiva, rilevandolo, come se sobbalzasse dall’opera, attraverso un’esposizione dell’obiettivo diversa, una descrizione più accentuata delle luci e dei giochi di ombre, tali da descrivere le linee anatomiche e le forme del fisico che si stagliano sulla superficie, donando a esse una certa dinamica. Si aprono, così, spazi vuoti nel contrasto, voluto, ma allo stesso tempo armonico, tra la centralità della figura rappresentata e il contorno dell’ambiente in cui essa si inserisce: il vuoto si congiunge al “pieno” descrittivo, tanto da formare un equilibrio interessante e tale da dare ancora maggiore risalto alla figura inserita nel contesto. David può permettersi di giocare sulla saturazione, a volte più completa, a volte meno, e sulle luci, che ci rendono pittorici i soggetti ritratti, donando a essi un grado di sensualità: i modelli in posa diventano sinonimo di una ponderazione e di una lettura attenta, avvenuta nella fase precedente la produzione. David attende di scattare la fotografia: vuole che la posizione del modello assuma una valenza sensuale, mobile e leggera, lavorando molto sullo sguardo del soggetto, che esprime sensazioni ed emozioni, sicurezza e persuasiva fierezza, spesso rievocando figure mitologiche, e sui fasci muscolari che si delineano sotto la sapienza descrittiva delle 117
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impostazioni chiaroscurali e della variazione di apertura del diaframma della macchina fotografica. In complesso l’opera di David Vance ci suggerisce nitidezza delle immagini: si evidenzia ciò che la post produzione dovrebbe essere, non deformazione delle figure immortalate, ma rivisitazione quasi pittorica delle intensità luminose e cromatiche, pulendole da ogni superflua ombra o elemento che non garantisca un’immediatezza della lettura estetica dell’opera. La bellezza diventa concetto universale e umano: leggiamo una leggerezza con cui David va a descrivere i contorni dei ritratti femminili e una delicatezza con cui va a descrivere la fisicità dei soggetti maschili, connubio tra eleganza e potenza corporea, e delle loro azioni eseguite, esibendo quelle forme monumentali del corpo che donano una certa imponenza. Epici e neoclassici, quasi, per l’ambientazione e le idee che evocano nella rappresentazione risultano essere gli scatti della serie “nudi”: la nudità diventa estatica visione e contemplazione quasi allegorica di fisici dai contorni delicati e, allo stesso tempo, lievi, sobri, limpidi e luminosi. David trova sempre una certa capacità di sperimentazione, che rende la sua produzione viva e rinnovata, non prevedibile seppure chiara nel suo stile e nella sua poetica, come fosse sempre realizzata “il primo giorno” della sua trentennale carriera, il cui tratto e la cui composizione non appaiono mai stanche e sterili ripetizioni: in questo si inserisce fortemente quel concetto di fresca e giovane bellezza imperitura.
Alessandro Rizzo
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lazy sunday Photos by Laurent Nivalle STYLING BY Romuald Premier
All clothes Ruby Feathers Photos by Laurent Nivalle Styling by Romuald Premier Mua & hair: Sylvie Mainville Model: Deila @UpModels
ZOMBIE QUEEN Photos by Eric Ouaknine STYLING BY JNSN
Pullovers AVANT TOI at L’ECLAIREUR T-shirt L’ECLAIREUR
Top and skirt KAROLINE LANG Scarf DEUX A Head jewels ROSANTICA at L’Eclaireur Shoes TONY YACCOUB
Him: Pullover AVANT TOI at L’Eclaireur Her: Embroidered bra Tulle Lace and silk chiffon skirt AUGUSTIN TEBOUL Embroidered jacket HÔTEL PARTICULIER Shoes JORGE BISCHOFF
Her: silk chiffon dress LN FAMILY Necklace ROSANTICA at L’Eclaireur Sunglasses mask THIERRY MUGLER Vintage Boys: Tuxedos, shirts, bow tie SMALTO
Boys: Tuxedos, shirts, bow tie: SMALTO Her: Leather jacket with wood balls ARMA CUTIS at the Hobo Society Embroidered body with ostrich feathers ETIENNE JEANSON Leather Skirt JITROIS Boots IRIS VAN HERPEN Necklace ROSANTICA at L’Eclaireur Sunglasses CARLOTTI
Him: Pullover HÔTEL PARTICULIER Sculpture JORGE AYALA Leather Leash POMPET Paris Her: leather shoulders PRITCH Pleated top FATIMA LOPES Leather Skirt LN FAMILY
Her: leather and silk dress JITROIS Hat DONIA ALLEGUE Boys: Jacket & t-shirt L’ECLAIREUR Shirt L’Eclaireur by RAJESH PRATAP SINGH Latex Sculptures JORGE AYALA
Photos by Eric Ouaknine (www.ericouaknine.com) Styling by JNSN (www.jnsn.fr) Production: EOP Paris Mua & Hair: Lucie Stauff Editing: HOLstudios retouching Models: Maya Coline @Marilyn Agency Oumar Thiongane and Gabano @VipModels Clément Becq @MajorMilano
ICONS
I giorni dell’addio di Anita Ekberg e di Francesco Rosi L’icona della “Dolce vita”
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za della notte romana passata con un fotoreporter che la insegue. La scena in bianco e nero presenta chiaroscuri barocchi in perfetta sintonia con lo sfondo della celebre fontana di Roma. La bocca di Anita pronta al bacio grida in estasi “Marcello, come here” (Marcello vieni qui). L’attore s’immerge nelle acque della fontana dove l’oggetto del desiderio appare nella sua sfolgorante seduzione esibita con prorompente carnalità e innocente sensualità. E’ bastata questa interpretazione nel film di Fellini per fare di un’attrice semisconosciuta un mito evergreen. Succede di rado alle attrici che spesso hanno bisogno di un lungo apprendistato, per diventare star internazionali. Ma Anita Ekberg ebbe la fortuna di lasciarsi plasmare dall’immaginifico Fellini che, diversamente da altri pigmalioni un po’ volubili, non l’abbandonò sugli allori del trionfo. L’amò profondamente, e il loro amore diede altri frutti, dopo “La dolce vita”. Per esempio l’episodio “Le tentazioni del dottor Antonio”, nel film “Boccaccio ’70”, (1962), in cui Anita Ekberg si confronta con la diva dell’episodio “La riffa” di De Sica: Sophia Loren nella parte della proprietaria di un tiro a segni che dentro un luna – park seduce i suoi clienti che si giocano la fortuna. Nelle sequenze “Le tentazioni del dottor Antonio”, vediamo Peppino De Filippo nella parte di un caparbio difensore della morale pubblica, ancora bigotta e perbenista nonostante il progresso del boom economico, che combatte in modo patetico contro una réclame
vevamo perso il conto degli anni con lei. Anita Ekberg, icona per eccellenza del film di Fellini “La dolce vita” che nel 1960 fece dell’attrice svedese non solo un sex – symbol ma una vera e propria musa ispiratrice. Come già aveva fatto Vadim con la nascente stella Brigitte Bardot ( vedi “LUI”, novembre 2014). Il nostro orologio della memoria si è fermato su Anita nella storica data del film felliniano: 1960. Come se tutta la sua carriera fosse iniziata e finita nelle sequenze memorabili del film che l’ha resa famosa in tutto il mondo. Quella in cui l’attrice, nella parte della star americana, scende all’aeroporto di Fiumicino e viene assalita dai “paparazzi”, neologismo inventato per indicare una categoria di fotografi che imperversava a Roma tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta, a caccia di personaggi celebri dello spettacolo. Era l’epoca del boom economico e Roma diventò la meta preferita degli attori stranieri che venivano in Italia a consolidare il proprio successo mondano, passando le notti tra fiumi di champagne nei locali di via Veneto. Ma la scena che è entrata per sempre nella leggenda del Cinema e nella storia del costume è quella del bagno notturno nella Fontana di Trevi. Il corpo della diva si eleva a simbolo dell’eterno femminino. Novella ninfa dai fluenti capelli biondi e occhi azzurri, appare quasi nuda nonostante il lungo abito nero di raso che prolunga la sua immagine come una sirena, si lascia spruzzare l’esuberante décolleté, in preda all’ebbrez144
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esposta di fronte alla sua abitazione. Secondo questo moralista il veicolo pubblicitario usato per promuovere la vendita del latte è osceno, perché raffigura la giunonica Anita Ekberg, estremamente scollata ed esposta al pubblico come conturbante oggetto del desiderio. In queste scene l’attrice svedese non dimostra capacità drammatiche ma si diverte a fare la parodia di se stessa, tanto che i critici dell’epoca scrissero che Anita non poteva esistere senza Fellini, come altre famose attrici costruite dal geniale riminese. La storia della sua carriera prosegue con altri film felliniani come “I clown” (1970) e “L’intervista” (1987). L’ultima sua apparizione risale al 2002 nella fiction televisiva “Il bello delle donne 2” dove si rivelano già i segni del suo decadimento fisico. Quello che ci rattrista di più di Anita Ekberg è il dramma di una donna rimasta sola, nonostante amori celebri e ricchezze accumulate in breve tempo. Su di lei calò il sipario e solo al momento della morte avvenuta l’11 gennaio 2015, si seppe che era ricoverata in una clinica e che aveva 83 anni. Doloroso, quasi assurdo il finale di una stella che aveva incarnato il sogno non solo della dolce vita romana degli anni Sessanta ma dell’eterna illusione della donna ninfa che seduce e sparisce in un attimo. La morte della Ekberg è stata preceduta di un giorno da quella di un maestro del Cinema dell’impegno civile. Francesco Rosi nato nel 1922 a Napoli. Avvocato mancato e anonima comparsa per il cinema, rimase senza lavoro come disegnatore. Trovò la fortuna grazie a Luchino Visconti che lo chiamò sul set del film “La terra trema” (1948), ispirato al romanzo di Verga “I Malavoglia”. Un lungo apprendistato con maestri come Antonioni e Monicelli, poi un glorioso esordio con un film drammatico “La sfida” (1958), in cui avviene il lancio divistico della giovane Rosanna Schiaffino. La pellicola rielabora, in un intreccio di neorealismo e cinema spettacolare americano, un fatto di cronaca: l’ascesa e la caduta di un trafficante di sigarette nei mercati di Napoli. L’anno dopo il genere si ripete nel film “I magliari” (1959), storia della lotta tra un vecchio boss e un italiano arrivato in Germania e inserito in una banda di truffatori. Ma è con “Salvatore Giuliano” (1961) che Francesco
Rosi supera gli stereotipi del neorealismo e racconta le gesta del bandito siciliano misteriosamente scomparso, attraverso lunghi flashback. In questo film il documentario di stampo realistico si fonde mirabilmente con la fiction spettacolare. La storia del bandito Giuliano (il cui cadavere fu ritrovato il 5 luglio del 1950 a Castelvetrano), fa parte di quella della mafia siciliana avvolta dall’alone della leggenda. Mette in evidenza la collusione tra istituzioni statali e malavita organizzata. Tra politici e mafiosi. Ma nel film il personaggio del malvivente viene rielaborato come un moderno eroe che sfida la legge per difendere il proprio onore. La messa in scena è rigorosa come in tutti i film successivi, da “Le mani sulla città”, vincitore del “Leone d’oro” a Venezia nel 1963 al film favolistico “C’era una volta…” (1967) con Sophia Loren e Omar Sharif a “Lucky Luciano” (1973), ispirato alla storia del boss mafioso. Disse di lui Giorgio Napolitano (ex presidente della Repubblica italiana) “Amico di una vita, rappresentò la realtà italiana con vigore”. Infatti la sua capacità eccelleva nello scavare il reale sia della storia che della cronaca, senza rimanere dentro gli schemi del documentario. I suoi ultimi film come “Cronaca di una morte annunciata” (1987), ispirato al romanzo di García Márquez e interpretato da Irene Papas e Ornella Muti, “Dimenticare Palermo” (1990), “La tregua” (1997) non rivelano più la forza espressiva dei suoi capolavori ma restano opere di grande livello, in grado di “rappresentare la vita e i personaggi in un contesto sociale e politico”, come disse lo stesso regista. Pochi l’hanno saputo fare come lui e noi rivediamo volentieri i suoi film che ci insegnano a capire il mistero del nostro Paese attraverso lo schermo cinematografico. Diciamo che le tematiche di Francesco Rosi sono ancora attuali in una società come quella italiana malata di demagogia, in cui il potere copre con tutti i veli dell’ipocrisia la propria corruzione per mantenere se stesso, nonostante il cambiamento del costume che fa parte di un Paese moderno. Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese 145
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Xander Zhou Backstage and catwalk by Lara Ferri @NoceraFerri
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Nasir Mazhar Backstage and catwalk by Lara Ferri @NoceraFerri
INTERVISTA
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Elena Sofia Ricci
lena Sofia Ricci è una delle attrici più amate dal pubblico italiano. Nasce a Firenze per poi trasferirsi a Roma all’età di sette anni. Debutta a teatro ma presto prende parte al film di Pupi Avati “Impiegati” grazie al quale vince il “Globo d’oro” ed inizia la sua lunga carriera. Numerose sono le fiction di successo a cui partecipa: “Orgoglio”, “I Cesaroni”, “Che Dio Ci Aiuti”, “Romeo e Giulietta”. La sua zia Luciana di “Mine vaganti” è ormai diventata un mito. Attrice versatile, piena di entusiasmo, si butta in progetti di vario genere, senza aver paura di sbagliare. Spontaneità, simpatia ed intelligenza sono le qualità giuste per descrivere al meglio la sua persona. Il 26 marzo 2015 è in uscita nelle sale italiane il film “Ho ucciso Napoleone” di Giorgia Farina, in cui vedremo attrice interpretare un ruolo sorprendente. La incontriamo nella sua casa romana intervistandola in esclusiva per Lui Magazine. farò mai più, ma quel momento me lo sono goduto con allegria.
È appena tornata dal Festival di Sanremo. Com’è andata? È stata una delle emozioni più forti che ho provato nella mia carriera . Quel palcoscenico fa tremare le gambe, il Festival è guardato da tredici milioni di telespettatori. Non ho dormito due notti per quella piccola cosa che ho fatto ma poi mi sono detta «vado e cercherò di essere me stessa, come se fossi a cantare con amici a cena». Ho fatto una cosa che non
Quando ha iniziato a recitare? Ho iniziato a fare danni nel mondo dello spettacolo già quando ero bambina: a casa con i miei cugini e le mie amiche facevamo delle recite, molta danza, poi suonavo la chitarra, cantavo. All’inizio a Firenze e poi dai sette anni a Roma. Ma ogni estate, fino a 168
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quattordici anni, andavo a Firenze; poi la mia nonna è mancata, era lei che faceva la regista di questi spettacoli di “teatro-danza”, qualcosa che assomigliasse all’esibizione teatrale attraverso i gesti del corpo. Quando ero all’ultimo anno di liceo, mi offrirono un film – che io andai a fare – e mi cambiarono il nome, mi doppiarono e ne fecero di tutti i colori: però io capii che era quello il mestiere che volevo fare. Com’era la vita di una giovanissima attrice a Roma negli anni in cui ha iniziato? Erano anni in qui c’era molto lavoro. Erano i primissimi anni 80 e nel cinema si facevano film comici in cui le donne avevano sopratutto il ruolo di bella e “sensualona”. Io non ero una brutta ragazza, però non ero neanche “una bomba sexy”. La mia parte sensuale si è rivelata dopo e quindi non interessavo ai registi di quel genere cinematografico; ma fortunatamente, perché non ero molto entusiasta di quel tipo di cinema. Quindi, io e tutte le mie colleghe di quella generazione, inizialmente abbiamo faticato un po’ prima di affermarci.
iscrisse ad un corso di danza quando ero piccola; e sempre lei mi regalò una chitarra a undici anni. E poi tutta la mia famiglia: mio nonno architetto che era un esteta, mia madre che è stata una grandissima scenografa e Pino Passalacqua, il suo secondo marito, che mi ha cresciuto e mi ha fatto praticamente da padre. Lui è stato una figura fondamentale, mi ha insegnato tutto, a stare fra la gente, a stare a tavola, a stare sul palcoscenico, davanti alla macchina da presa: penso di dovergli un buon 50% di quello che sono oggi. E poi tutti i miei maestri Pupi Avati, Mario Scaccia, Alberto Sordi, Luigi Magni e Carlo Verdone... Ferzan Ozpetek. Com’è stato il vostro incontro? Io lo amo! Lo conoscevo già quando era ancora aiuto regista, un ragazzo di grandissima personalità. Ho amato molto i suoi film, gli scrissi una lettera quando fece “Le fate ignoranti”. Margherita Buy interpretò benissimo il ruolo di Antonia, però quella era anche un po’ la mia storia, le “invidiai” molto quel personaggio, con molto affetto e stima, ovviamente. Quando ho saputo che Ferzan mi aveva pensato per “Mine vaganti”, ancora non conoscendo la sceneggiatura, ho trovato il coraggio e gli ho telefonato dicendogli «Ferzan, io so che tu pensi a me, non so per cosa mi stia pensando o cosa tu abbia in mente, ma di qualsiasi cosa si tratti, anche portarti il caffè sul set, io vengo!». E credo che lui sia stato molto contento perché tutti noi che facciamo spettacolo abbiamo bisogno di essere un po’ stimati, adorati, perché siamo fragili e ci fa piacere quando un attore o regista dice “io voglio lavorare con te”;
Quanto tempo ci è voluto per avere il vero successo? Sono stata fortunata perché ho avuto successo abbastanza velocemente. Debuttando in teatro sono stata subito notata e ho fatto un paio di spettacoli importanti, uno dietro l’altro. Poi mi ha voluta Pupi Avati e, con il suo film “Impiegati” del 1985, ho vinto il “Globo d’oro” come miglior attrice rivelazione. Dopo mi hanno chiamata in America proponendomi un contratto in esclusiva per cinque anni con Columbia Pictures; ma non potevo più fare cinema in Italia e non potevo scegliere i film, così ho rifiutato, ho preferito essere libera. Chi o cosa ha influito di più nella sua vita? Sicuramente mia nonna Angela, alla quale ho dedicato il nome del personaggio della suora in “Che Dio ci aiuti”. Lei ha sempre saputo che avevo qualcosa da dire e mi 169
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aggiunta dopo e quando il film è stato presentato al Festival di Berlino, durante quella scena il pubblico ha applaudito ed io ero felicissima. Com’è stato girare “Allacciate le cinture”? È stato difficilissimo interpretare un’altra zia diversa, con forti disturbi di personalità, che fosse tante donne ma tutte sempre con la stessa fragilità di fondo. Però mi sono buttata con la mia pazzia, mi piace mettermi in gioco e poi, certo, uno può sbagliare ma “i bicchieri li rompe solo chi li lava” ed io preferisco lavare i bicchieri. Posso dire che la cosa più bella di Ferzan è quando sta sul set, perché ti coinvolge, ti fa sentire parte del progetto anche se è il suo. Il film di Giorgia Farina “Ho ucciso Napoleone” è in uscita per il 26 marzo. Ci può raccontare com’è stato girarlo? Questa giovanissima ragazza di trent’anni è davvero forte! Avevo visto il suo film “Amiche da morire” e mi è piaciuto molto, l’ho trovato diverso, grottesco, surreale. Quando Giorgia mi ha chiamata per fare il suo nuovo film ho subito accettato, mi piace molto lavorare con i giovani artisti. È un ruolo che non ho mai fatto prima, non so come mi è venuto, forse mi fischieranno, non so; ho fatto una coatta, romanaccia, un po’ tossica, forse proprio il personaggio più lontano da me che abbia mai interpretato. Vorrei ringraziare mia madre per avermi fatto frequentare le scuole di borgata, perché ho capito quanto ero fortunata, ho imparato dal popolo il cuore della gente semplice è stata una lezione di vita importantissima.
è come dirti “mi piaci”, “ti voglio bene”, “ti stimo”. Allora mi ha mandato la sceneggiatura, dove c’era la zia Luciana che non faceva niente, beveva soltanto e diceva “al ladro, al ladro”. Io sono impazzita per questo personaggio, perché secondo me era geniale anche se non avesse avuto nessuna battuta. L’ho chiamato e gli ho detto «è fortissimo, lo faccio!». Lui mi disse «Ma non dice niente!» e io «quel personaggio è molto forte anche se non dice molto, può essere una presenza esilarante, folle». Poi, quando ci siamo incontrati, siccome non ci vedo bene, appena arrivata da lui ho cominciato a cercare gli occhiali nella borsa, - «aspetta, tu mi parli ma io non ti vedo» e lui «come non mi vedi?» - ho cambiato occhiali, ho tolto quelli da sole e ho messo quelli da vista. A lui è piaciuto molto e nella stesura successiva zia Luciana era anche “cecata” e senza gli occhiali non vedeva nulla. Poi abbiamo iniziato a ridere e a scherzare, e il mio personaggio, da che non aveva quasi niente nella sceneggiatura, è cresciuto aggiungendo pagine mentre lavoravamo. Ferzan scriveva le scene e mi arrivavano sul set anche la scena memorabile con le bambine è stata
Che qualità sono essenziali, a suo parere, in un regista? Penso che per qualsiasi artista, attore, regista, cantante etc., la cosa di cui più si ha bisogno è il cuore, cioè la capacità di mettere in gioco i propri sentimenti. Se non ci lascia coinvolgere dal punto emotivo, non si ha nulla da dire. E poi un regista, chiaramente, deve avere personalità, deve conoscere il mezzo tecnico con il quale lavora, avvalersi di un gruppo di persone forti, saperle scegliere. Per fare un bel film, è necessario che ci sia una bella sceneggiatura. E poi essere un po’ psicologi, perché un regista deve tirare il meglio di ciascun collaboratore che ha con sé, deve capire come fare uscire la parte migliore da quel carattere e quella personalità precisa, ogni persona è diversa. Non la vediamo molto nel cinema indipendente e sperimentale. Per esempio, in Francia, Catherine Deneuve si cimenta in progetti di giovani con poco budget. 170
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Ci parli dell’amicizia con Renato Zero La nostra amicizia è nata da un parrucchiere, non avrei mai pensato di incontrarlo un giorno, come non avrei mai pensato di incontrare e lavorare con Gianni Morandi e Massimo Ranieri, erano miei idoli quando ero una bambina, quindi è stata una grande emozione. Ma il modo in cui l’ho conosciuto era talmente buffo, seduti dallo stesso parrucchiere, con tutti gli arnesi in testa, lui a tagliarsi i capelli ed io a farmi i colpi di sole. Una situazione di quotidianità bellissima. Ho avuto la fortuna di fare due dei suoi video. E poi averlo avuto qui, a casa mia, con le sue nipoti che giocavano con le mie figlie, tutte le bambine in tutù. Insomma, una persona quasi di famiglia che poi, in realtà, è il mitico Renato Zero.
Io amo lavorare con i giovani! C’è da dire che la Francia vive un momento cinematografico decisamente migliore del nostro e il cinema indipendente li è molto valorizzato. Da noi cominciamo a “riveder le stelle”, come dice Dante, ma molto più lentamente e infatti io ho cominciato a lavorare sui miei progetti. Che progetti sono? Io sono un’appassionata di psichiatria e ho letto tantissimo a riguardo per esempio, dieci anni fa, una biografia molto particolare di una ragazza che era sfuggita da una madre affetta dalla Sindrome di Münchhausen per procura, una psicopatologia terribile. E quindi ho scritto un piccolo soggetto su questo argomento, del quale ho parlato un po’, ma erano gli anni della commedia, film del genere non interessavano. L’estate scorsa ho sentito un caso di cronaca di una persona affetta dalla Sindrome di Münchhausen, sono saltata dalla sedia pensando “questa è la storia che ho scritto io”. Pochissimi conoscono questa malattia, i suoi sintomi, e quindi ho deciso di riprendere quel soggetto e svilupparlo. Ora è diventato quasi un trattamento ed è nelle mani di un produttore. Sto cominciando a propormi però non mi sento di fare la regista in questo progetto, vorrei interpretarlo. Credo che l’argomento sia straordinario, con due grandi protagoniste femminili, madre e figlia ventenne. L’altro progetto del quale mi sto occupando è un film sul testo di Luigi Pirandello, “Come tu mi vuoi”; credo che ora sia il tempo giusto per questo tipo di cinema, il tema della ricerca di identità lo trovo sempre attuale nonostante il testo originale sia ambientato nel 1929 a Berlino.
Nella fiction di grande successo “Che Dio ci aiuti” la vediamo nei panni di una suora, che importanza ha la religione nella sua vita? Ho sempre sperato nella fede, la porta è stata sempre aperta verso il bisogno di mettermi in contatto con la mia parte spirituale; e grazie a questa fiction ho conosciuto una persona particolare, una suora molto speciale, che ha spalancato la “porta” ed io ho ritrovato la mia dimensione spirituale attraverso la preghiera, il cristianesimo e sono diventata anche praticante. Lei è un attrice molto amata dal pubblico. Secondo lei perché? Questa è una domanda da rivolgere al pubblico ma io, sostanzialmente, penso che il motivo è che cerco di darmi per come sono, di mostrare – con molta semplicità e spontaneità – la donna che sono diventata; credo che questo sia apprezzato dagli spettatori. E poi, forse, perché mi metto in gioco e cerco di cambiare: non mi sono mai costruita un personaggio e mi piace interpretare i ruoli diversi. Devo ringraziare tutti i registi che mi chiamano per fare cose diverse, le cose che non avevo mai fatto.
Capiterà di rivederla a teatro? Ci sto pensando con il mio regista teatrale Armando Pugliese, con il quale ho fatto “Come tu mi vuoi” di Luigi Pirandello e “Estate e fumo” di Tennessee Williams. Abbiamo in mente di tornare al teatro, il problema è che in Italia si fanno lunghe tournée teatrali ed io, invece, nella mia vita ho deciso di mettere la famiglia al primo posto, pur rimanendo una donna piena di interessi e passioni, creativa e con tanta voglia di fare. Sto cercando il momento in cui potrò ritagliarmi un mese per preparare uno spettacolo, magari più piccolo, ma solo a Roma con più date o anche in città più grandi che non preveda tournée; anche perché lavoro tanto e, fortunatamente, non ho molto tempo. Ma devo ammettere che mi manca il teatro!
Cosa ne pensa dei matrimoni gay? Credo che tutte le unioni tra persone che si vogliono bene, dal punto di vista legale, siano giuste. Deve essere tutelata la coppia alla quale si dedica una vita intera. Ho una coppia di amici gay dove, ad un certo punto, la morte di uno dei due li ha separati, hanno trascorso insieme vent’anni di vita. Ora, tutto ciò che hanno costruito insieme, deve essere tutelato da chi è rimasto; oltre al dolore della perdita del compagno di una vita non deve ritrovarsi nella condizione di lottare contro i parenti che, magari, non li hanno mai considerati. Per questo le unioni civili sono importanti. 172
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Anche il Papa comincia ad essere attento circa questo argomento: non si può chiedere il sacramento religioso, ma la regolarizzazione si. Sono molto favorevole. Le è mai capitato di innamorarsi di un’altra donna? Purtroppo no. Però mi è capitato di innamorarmi di un gay, per il quale sono stata l’unica donna: dopo di me ha deciso che è meglio amare gli uomini, sarò stata un disastro! La sensibilità di un gay è importante per una donna; io ho sposato un artista, un musicista che è terribilmente etero, però ha una sensibilità anche molto femminile, infatti le sue più care amiche sono donne. Cos’è la solitudine? Le capita mai di sentirsi sola? La solitudine è un sentimento di cui ho avuto molta paura quand’ero ragazza. Sono stata molto sola anche perché mi procuravo storie impossibili - a parte quella con il ragazzo gay - oppure storie con uomini lontani, geograficamente o emotivamente. Ho sempre avuto molti amici, ma mi sentivo tanto sola dal punto di vista sentimentale. Quando ero bambina non volevo diventare una attrice di successo, ma sognavo di costruirmi una famiglia. All’inizio della mia carriera tutti mi dicevano “devi essere più ambiziosa”, però la mia più grande ambizione era avere una famiglia unita, che io non avevo avuto: sono inciampata più volte nella mia vita sentimentale per cercare di costruirla, ma alla fine ci sono riuscita, in qualche modo; un po’ allargata, un po’ sgangherata, però siamo uniti. Ce l’ho fatta, ma a quarant’anni. Invece, per vent’anni almeno, da quando ho iniziato a vivere da sola, ho sofferto tantissimo la solitudine, piangevo sempre perché non avevo accanto l’uomo della mia vita: questo è l’unico rimpianto, che non sono stata capace di godermi tutto quello che di positivo c’è nello stare soli, i privilegi e le possibilità che, chiaramente, adesso non ho più e mi mancano. Alcuni momenti di solitudine per leggere un libro, per guardare la televisione, per vedere qualche amica in più, perché forse, adesso, ho meno tempo per l’amicizia e per le cose che riguardano solo me.
bellezza”. Cioè la felicità è fatta di attimi che, quando passano, fanno spazio alla serenità. Posso dire che sono a tratti felice, a tratti infelice, ma oggi sono una persona serena. Com’è nella vita quotidiana, quando non lavora? La donna più semplice del mondo, anche troppo. Alle volte potrei essere più attenta nella cura di me stessa, invece esco struccata, il minimo sindacale proprio per non deludere chi mi incontra! Chi è Elena Sofia Ricci ? Sono una donna, una moglie, una madre, un’appassionata di arte e, soprattutto, dell’animo umano. Credo proprio che questo mi definisca al meglio!
È felice? Qual è il segreto della sua felicità? In questo momento della mia vita sono una donna molto felice - per tutto quello che ho avuto - fortunata e consapevole. Ho fatto un lungo percorso di analisi che mi ha profondamente cambiata, ho capito quali sono i miei limiti ed ho imparato ad amarli, ad accettarli, ad essere chi sono veramente. Mi ritrovo molto nella frase di Giorgio Gaber che diceva: “La felicità è una farfalla che ti si posa un attimo sulla testa e ti rende tanto più ridicolo quanto maggiore è la sua
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IT’S TIME TO HUMAN CIRCUS Photos by Azzurra Piccardi STYLING BY Camilla Bresci
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“Quando vedo un’ , mi tolgo il cappello”
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he sia stata veramente pronunciata dal fondatore della Ford o che sia solo leggenda, siamo certi che davanti alla 4C saranno molto a togliersi il cappello. Con la 4C l’Alfa torna finalmente alla trazione posteriore con una sportiva da sogno e ad un prezzo di 54.300 euro chiavi in mano. Esteriormente colpisce per la sua linea, la sua fiancata e il tetto in alluminio (stesso materiale di cui sono fatti i telaietti anteriore e posteriore delle sospensioni. La carrozzeria è in composito di vetroresina e i parafanghi e paraurti in poliuretano: il tutto votato a raggiungere il minor peso possibile. Così, ad esempio, i vetri sono più sottili del solito e l’abitacolo è in fibra di carbonio . Ovvio che il peso sia ridottissimo e quindi il telaio pesa solo 65 kg. Seduti al posto guida sembra davvero di stare su una vettura da corsa. Il piccolo display centrale raccoglie tutta la strumentazione davanti al pilota, basta un colpo d’occhio e non ci sono praticamente comandi secondari che possano togliere concentrazione a chi guida o distrarre dalla strada. Un altro dettaglio da piloti è il pedale del freno, incernierato in basso come sulle monoposto. Il climatizzatore è piuttosto semplice, ma il vero punto forse è nel guidare tale vettura. A renderla una sportiva non è solo la trazione posteriore, ma soprattutto la leggerezza che regala un comportamento da sogno: pesa solo 895 kg a secco, per un tempo di 4,5 secondi nello 0-100 km/h e una
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decelerazione in frenata di 1,25 g. Un cambio manuale esalterebbe al massimo l’esperienza di guida, ma la scelta di offrire solo il doppia-frizione a 6 marce TCT, più leggero, è quella più in linea con una macchina progettata con l’obiettivo appunto della massima leggerezza. Alla guida spingere il selettore di guida “Alfa DNA” nella posizione più sportiva, chiamata Race e la macchina è completamente nelle nostre mani, con tutti i controlli disattivati, se non il differenziale elettronico Q2. Da dietro, il motore ruggisce in modo impressionante: un quattro cilindri 1.750 di cilindrata, turbo, tutto in alluminio con 240 CV e 350 Nm. Con rapporto peso potenza da brivido (ogni CV del motore deve spingere meno di 4 kg peso) unito alle sospensioni a triangoli sovrapposti davanti, McPherson dietro, baricentro basso e uno sterzo impeccabile, viene da dire che è il riferimento per ogni sua concorrente sul mercato. Il meglio in fatto di piacere di guida. Non è una macchina estrema, da guidare solo in pista, al limite, ma anche su strada è gran bel guidare, disegnando una traiettoria dietro l’altra. L’importante è non farsi prendere la mano, tant’è la confidenza che la 4C infonde e la facilità con cui la velocità sale. Va approcciata con uno stile di guida omogeneo, mai nervoso. Chi invece ama guidare sporco, di traverso, sappia che ci vuole un po’ per entrare in confidenza con questa nuova icona Alfa Romeo. Cristiano Gianmaria Fabris
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Tel Aviv!
e il suggestivo Mar Morto. Tanta storia e religiosità, in una terra in cui si parlano tre lingue ufficiali (ebraico, arabo e inglese) e si professano tre religioni monoteistiche. Se a Gerusalemme tutto sa di sacro e inviolabile, non altrettanto si può dire di Tel Aviv dove si respira aria di divertimento, modernità, di apertura internazionale: una realtà che non ha proprio nulla da invidiare alle principali città europee, compresi locali notturni. Città multietnica, zeppa di turisti, tantissimi americani che sono collegati ad Israele con voli diretti, tanti locali alla moda e che espongono la bandiera arcobaleno. Nulla a che vedere con il Santo Sepolcro, il Cenacolo, il giardino del Getzemani, il Muro del Pianto, la città antica e il quartiere ebreo di Gerusalemme: luoghi, tanto per citarne alcuni, che emozionano. Così come emoziona, lasciando il nodo in gola, sempre a Gerusalemme, il Museo della Memoria, e il giardino dei “giusti”, dove vengono ricordati i milioni di Ebrei uccisi dalla bestialità umana e quanti, appunto “i giusti”, hanno strappato vite umane alla follia nazista. Israele non finisce mai di stupire.
Chi l’avrebbe mai detto?
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ì, chi l’avrebbe mai detto che nella capitale economica di Israele, in piena Terra Santa, statistiche alla mano, una persona su tre di chi risiede nel centro della città è gay? Dati, che unitamente al numero di locali di tendenza che offre la città, stupiscono ed aprono certamente nuovi scenari per chi è in cerca di nuovi viaggi, nuove avventure e Paesi da scoprire. Questo l’ha capito prima di tanti altri il tour operator Twizz, specializzato in mete turistiche lgbt, che a fine gennaio ha organizzato un viaggio esplorativo a cui abbiamo partecipato anche noi della redazione di Lui magazine. Perché da Tel Aviv, modernissima città fondata sul mare all’inizio del secolo scorso, si parte alla scoperta di tutto Israele: la religiosa città di Gerusalemme, l’altopiano di Masada 206
Divertimento, religiosità, ma anche storia e cure termali. Una destinazione da mettere in programma è un’escursione all’altopiano di Masada e al Mar Morto. Dopo un paio di ore di pulman da Tel Aviv, attraversando il deserto, e scendendo sotto il livello del mare si arriva alla fortezza di Masada, arroccata su un altopiano. è un’oasi di reperti archeologici in mezzo al nulla, testimonianza dell’ultimo tentativo da parte degli Ebrei di ribellarsi alla conquista romana nel primo secolo dopo Cristo: fatta costruire su basi architettoniche romane da re Erode come uno dei suoi rifugi personali (era ossessionato dai tradimenti e dalla congiure di palazzo!) ha permesso ai rivoltosi fuggiti dalla distruzione di Gerusalemme del 70 dc ad opera delle legioni romane di tenere in scacco intere guarnigioni di soldati grazie anche alle riserve di acqua e cibo oltre che alla posizione strategica. Ci si arriva per mezzo di una funivia. A pochi chilometri di distanza c’è la zona balneare del Mar Morto: turismo termale innanzitutto in quanto le acque salatissime del Mar Morto sono indicate per il trattamento
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di numerose malattie della pelle, tra cui la psoriasi. Qui nuotare è quasi impossibile: si galleggia e sullo sfondo si raccoglie il sale che è presente al 35% nella composizione del mare, l’ideale per chi teme di andare a fondo!! Di cose da vedere, e noi ne abbiamo viste tante grazie al viaggio perfettamente organizzato dal tour operator Twizz di Milano, ad Israele ce ne sono veramente tante. Un mondo da scoprire, ma anche da gustare a tavola. Come l’hummus, una purea di ceci squisitissima, che accompagna il pane e la carne di pollo, cotta alla brace, servita assieme alla salsa barbecue e che ha un gusto veramente unico. E come la spremuta di melograno!!! Buona e naturale, fatta sul momento. E gustata tra le piccole viuzze zeppe di artigiani e negozi di anticaglie e souvenirs, sia a Gerusalemme che a Jaffa, una delle più antiche città del mondo e antico porto di Israele dove pare che ci sia ancora la casa appartenuta alla famiglia di Noè! Più antico di così! Prenotate gente, prenotate!!! Tel Aviv e il fascino di Israele vi attendono.
C.U.
The Museum Photos by Francesca Errichiello STYLING BY Simona Mottola
da sinistra: Top e gonna Miryaki Camicia Miryaki Gonna Giovanna Della Corte Collana Zara Giacca, gilet: e pantaloni Cristina Schepisi Collana Miryaki Camicia e gonna Cristina Schepisi Cintura Miryaki
Felpa Miryaki Anelli H&M, Breil Camicia Cristina Schepisi
a sinistra: Abito Francesca Cottone a destra: Camicia e giacca Cristina Schepisi - Gonna e giacca Miryaki
a sinistra: Top e gonna Miryaki a destra: Collana Zara - Camicia Miryaki
Abito Francesca Cottone
a sinistra: Camicia e giacca Cristina Schepisi - Anelli H&M, Breil Photos by Francesca Errichiello - Styling by Simona Mottola - Stylist assistant: Stefano Perchiazzi Make-up: Laura Portomeo - Make-up assistant: Martina Rivoli - Hair: Naomi Liccardo, Anastasia Silvia Coppola Models: Corinna Cassani, Natalia Kalinowska, Dario Ciccarelli, Anna Iadicicco, Gianni Vessella
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LONDON
MEN FashionWeek
Universal Work Backstage and catwalk by Lara Ferri @NoceraFerri
Freaky Theatre ART DIRECTOR Massimiliano Bruschi PHOtos by Daniela Costi STYLING BY Duilio Bonatti
Giacca Emanuel Ungaro Pantaloni Dsquared
Pantalone Tonello
Smoking Tonello
Maglia Jean Paul Gaultier
Maglia Jean Paul Gaultier Bustino Eros Veneziani Jeans Dsquared
Giacca Tonello Pantalone Dsquared
Photos by Daniela Costi Styling by Duilio Bonatti Art Direction and make-up: Massimiliano Bruschi Assistant and retouch: Fabio Lupparelli Hair: Paolo Coletti Models: Fabio e Federico @ZoeModels Roma, Leonardo B.
TEATRO
Quante risate a teatro!
Teresa Mannino, Max Cavalalri, Marco Columbro, Gaia De Laurentis, Massimo Dapporto... Sono nata il ventitrè: Teresa Mannino al Teatro Nuovo Teresa Mannino è pronta a far ridere Milano con la sua comicità diretta, pungente e vera. La poliedrica attrice palermitana è al Teatro Nuovo dal 3 al 15 marzo con lo spettacolo, dal titolo “Sono nata di Ventitré”, scritto con Giovanna Donini. Nel suo one woman show l’artista attraversa strade e temi diversi ed istintivi: l’amore, la vita, il tradimento, gli uomini e le donne, la passione per la conoscenza e per la propria terra come solo lei sa fare. Con la stessa passione racconterà i tormenti di Penelope e quelli della vicina di casa. Si rifarà alle donne dei classici, eroine e non, per dare consigli e consolare, soprattutto, le amiche con problemi di cuore. Il punto di forza di Teresa è che amalgama sapientemente la sua raffinata tecnica attoriale con una capacità d’improvvisazione assolutamente spontanea e originale. Difficile non ritrovare nelle sue battute momenti di vita quotidiana. Il bello o il guaio, dipende dai punti di vista, è che pensa sempre a quello che dice e dice sempre quello che pensa, non a caso dichiara: “Sono una persona diretta, nel bene e nel male. Questo è il mio pregio ed il maggior difetto. Quando m’interpellano per sapere come la penso, rischio sempre di ferire e di essere ferita. Sembra un paradosso, ma la sincerità può essere male interpretata”. Poi parlando del suo spettacolo enuncia “Ho voglia di raccontarmi. Voglio raccontare al mio pubblico la mia vita, com’ero, come sono cresciuta e com’è cambiato il mondo intorno a me”. Ciò che vi aspetta è un viaggio nella sua infanzia, tra i piccoli e grandi traumi di allora che magari poi si sono rivelati formativi. “Sono diventata quella che sono - ammette l’attrice - passando attraverso momenti difficili che mi hanno fatto crescere. Ecco, voglio raccontarvi i miei traumi; ad esempio? Ad esempio che ero la terza figlia e quando toccava a me fare il bagno, l’acqua non c’era più. Un classico. E poi voglio parlare dei calciatori di ieri e di oggi e del rapporto genitori figli”. Sono nata il ventitré è lo specchio dei suoi pensieri; e siccome non ha peli sulla lingua, siamo certi che travolgerà il pubblico con la sua innata e travolgente simpatia. Dal 3 al 15 marzo 2015 @Teatro Nuovo Milano - Piazza San Babila, 3 - Milano Tel. 02.794026 - E-mail: info@teatronuovo.it - www.teatronuovo.it
Ladro di razza: una storia d’ingenuità e fame, d’illusioni e inganni, di risate e lacrime, quando le parole onore, compassione e orgoglio avevano ancora un significato Roma 1943. Tito è un uomo che ha fatto della cella la sua seconda casa. Abituato ad inventarsi la vita, non ha nessuno scrupolo ad imbrogliare il prossimo. Scontata la sua ennesima pena teme per la sua incolumità, in quanto sulle sue tracce c’è un usuraio, noto per la sua crudeltà. Con la complicità del suo storico amico Oreste trova un rifugio momentaneo nella sua catapecchia. Tito sa che se vuole salvare la pelle deve presto trovare un modo per saldare il suo debito. L’incontro fortuito con Rachele, zitella ebrea che vive da sola in un appartamento lussuoso del ghetto, lo porta a dare alla luce un terribile piano. È lei la soluzione ai suoi guai. Ignara dei cattivi propositi, la donna si trova al centro di un corteggiamento “spietato”. Le continue lusinghe fanno breccia nel suo cuore e in breve tempo Tito entra nelle sue grazie. Nella mente dell’uomo il piano comincia a dare i frutti sperati: ormai è di casa e tutto è pronto per il furto. Ma il suo è anche un appuntamento con la storia: è l’alba del 16 ottobre 1943, il momento del rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma da parte dei nazisti. Tito, opportunista e vigliacco, catapultato di colpo in un episodio storico dirompente, scoprirà in possedere un inaspettato coraggio che gli consentirà un gran riscatto. Momenti di trascinante comicità si alternano a parentesi di riflessione e commozione, regalando allo spettatore tre personaggi da ricordare. Scritto da Gianni Clementi, regia di Marco Mattolini, con Massimo Dapporto, Susanna Marcomeni e Blas Roca Rey. Dal 20 al 29 marzo 2015 @Teatro San Babila - Corso Venezia, 2/A - Milano Biglietteria: 02.798010 info@teatrosanbabilamilano.it - www.teatrosanbabilamilano.it 242
TEATRO
Diva: porta in scena l’amore per gli esseri umani così come sono… Diversi, unici, con un’individuale creatività e la propria sessualità “Diva” è una commedia musicale che accarezza e unisce con gran sensibilità tutte le sfaccettature del sentimento più nobile al mondo: l’amore. Durante lo spettacolo si rileva in modo piuttosto deciso la volontà e il desiderio di andare oltre le singole apparenze. La rappresentazione è un inno alla rottura degli schemi tradizionali e dei ruoli prefissati. L’ala protettrice sotto la quale si rifugiano i protagonisti è il Diva, ambiente nel quale il calore, l’amore, il desiderio di riscossa e la tenacia, raccoglie i diversissimi personaggi della storia. Non a caso il locale più famoso della capitale, punto di riferimento del divertimento e della tendenza, diventa per i personaggi una sorta di “casa”: la sensazione di famiglia che unisce senza giudicare, ama senza togliere e aggrega senza ghettizzare, permette a madri, padri, figli, uomini, donne, transgender, omosessuali ed eterosessuali di esprimersi senza paura di inciampare in alcun pregiudizio. L’anima del Diva è Annabel (Lorenza Mario), bellissima quarantenne dal passato burrascoso. La donna, oltre ad essere la madre di Alice, cura personalmente il cast del Diva. Etnie, orientamenti sessuali e curriculum per lei non contano, ciò che vale è il talento e la serietà. Ad aiutarla nella gestione c’è l’amico gay di una vita: René (Max Cavallari dei Fichi d’India), la spalla che da sempre la sostiene con ironia e affetto. Alessio (Francesco Capodacqua, ex di Amici di Maria De Filippi), è un giovane colpito dalla vita che cerca il suo equilibrio. Il suo ingresso al Diva cambierà le sorti del locale. Inattese rivelazioni, tradimenti e simpatie più o meno condivise, si mescolano al ritmo coinvolgente della musica firmata da Vincenzo Incenso. I testi delle canzoni sono romantici e popolari ma si aprono anche alla denuncia, toccando temi delicati come l’adozione, la genitorialità e l’identità di genere. Con una formazione musicale e teatrale e una regia cinematografica al suo attivo, Renato Giordano, autore, regista e produttore dello spettacolo, debutta con successo con la commedia musicale portando in scena uno spettacolo che non toglie la risata al pensiero. Regia di Renato Giordano, con Lorenza Mario, Max Cavallari e Francesco Capodacqua, canzoni originali di Vincenzo Incenzo. Dal 26 febbraio all’ 8 marzo @Teatro della Luna - Via G. di Vittorio, 6 Assago (MI) Tel. 02.88577516 E-mail: teatro@forumnet.it - www.teatrodellaluna.com Dal 17 al 22 marzo @Teatro Alfieri - P.zza Solferino, 4 - Torino - Tel. 011.5623800 - www.teatroalfieri.it
Alla stessa ora il prossimo anno
La vita è fatta di appuntamenti. Quelli che riserva il destino entrano nelle vite delle persone in modo piuttosto inaspettato e dirompente. Ecco che George, fuori casa per lavoro, si trova a consumare la sua cena in un posto apparentemente qualunque. Qualche tavolo più in là c’è Doris, anche lei fuori casa, ma per un ritiro spirituale. Lui la nota e le manda una bistecca. Si, certo, alle signore si mandano fiori ma quel ristorante è rinomato per le bistecche non per i boccioli. Tra i due scatta qualcosa, anzi qualcosa in più, e inevitabilmente poco dopo si ritrovano in una camera di un motel. Al di fuori di quelle mura si lasciano tutto: le loro vite, i loro matrimoni, i figli, i pregiudizi… Al risveglio però i sensi di colpa sono attanaglianti, ma non tanto da spingerli a rinunciare a loro. Di comune accordo decidono di rivedersi il prossimo anno, lo stesso giorno, la stessa ora, stesso motel, stessa camera. E poi l’anno dopo, e poi quello dopo ancora. Anno dopo anno. Passano diverse, forse troppe, primavere quando ad un certo punto lei gli dice: “Ci conosciamo da così tanto tempo che comincia a sembrarmi un incesto”. Le risponde Lui: “Tanto tempo? A un giorno l’anno ci conosciamo da una ventina di giorni, abbiamo si e no rotto il ghiaccio”. Come finirà? Non finirà... Andrà avanti... “Alla stessa ora il prossimo anno” di Bernard Slade, regia di Giovanni De Feudis, con Gaia De Laurentiis, Marco Columbro. Dal 12 al 15 marzo 2015 @Teatro San Babila - Corso Venezia, 2/A - Milano Biglietteria: 02.798010 - info@teatrosanbabilamilano.it - www.teatrosanbabilamilano.it
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ADAM Photos by Nale Michela STYLING BY Caminito Gasparro & Maurizio Gentile
Using Matteo Molinari Collection Photos by Nale Michela Styling by Caminito Gasparro & Maurizio Gentile Stylist assistant: Maria Giulia Battaglini Make-up Julia: Wilson using Kiehl’s Model: Adam @FirstModels - London
NOMAD IN PARIS Photos by KATHERINE CHULKOVA
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Jeans SURFACE TO AIR T-shirt Worland Shoes devred
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SALUTE
Integrare e reintegrare (superare gli integralismi alimentari)
SALUTE
La libertà è una vertigo insopportabile. Quale sia lo scopo dell’esistenza è una domanda alla quale fortunatamente non sappiamo ancora rispondere, certo è che un organismo per sopravvivere deve muoversi all’interno di uno spazio, attraverso un processo dinamico che richiede energia. Quando vi sedete a tavola, o lettori sportivi vicini al fanatismo o semplici amanti del movimento, guardate al cibo innnazitutto come ad una forma di energia che si misura in calorie. Impariamo a distinguere ciò che è necessario da ciò che è desiderabile. Le calorie sono necessarie e, per forza di cose, contengono nutrienti; una ripartizione di nutrienti ottimale e funzionale alla vostra attività è desiderabile. Se vogliamo sopravvivere cinque giorni nel deserto è fondamentale avere 10 litri d’acqua e tre cucchiai di sale, anche se sarebbe desiderabile avere frutta fresca di stagione, pesce fresco, e del gelato. Se vogliamo vivere in salute fino a 80 anni è fondamentale avere dei buoni geni, e desiderabile una dieta ragionevolmente bilanciata in calorie e nutrienti. Ricordatevi: il metabolismo è l’insieme delle reazioni chimiche che avvengono all’interno di un organismo. Parlare di metabolismo lento o veloce è un colloquialismo che non deve appartenere a lettori eleganti come sicuramente voi siete. Ora passiamo alle dolenti note. Questi benedetti (si fa per dire) integratori. Il discorso è molto chiaro: se dovete farla, fatela sporca. Se fate un’attività sportiva normale e la vostra dieta è adeguata non ne avete bisogno e potrebbero anche essere dannosi, oltre che una spesa inutile. Se la vostra dieta è inadeguata fate uno sforzo per renderla adeguata. Se invece siete dei kamikaze tipo maratoneti, triathleti e via delirando, usate dosi congrue di nutrienti che agiscano in maniera farmacologica; il fatto che un prodotto non sia sintetico non significa che non sia attivo, ma fatelo sotto la supervisione di un medico sportivo. Mangiate tutto, mangiate poco, ma in quel poco non vi negate niente. Tanto per fare un esempio, l’alimentazione di Usain Bolt è da 41bis tanto è piena di spazzatura. Allenatevi! Andrea Vittorio Romagnoli
Thank ANDREA BENEDETTI Erika Guerrisi Alice Coloriti Davide Carlucci Thomas Carlà Johanna Wave
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