aprile 2012
guida all’ investimento produzioni a valore aggiunto Agricoltura civica
Non è vero che tutto va peggio
Gestione a valore aggiunto
Così recita il titolo di un libro che sembra descrivere bene quello che succede in queste realtà.
Si sta delineando una nuova tendenza per l’agricoltura italiana: giovane, locale e in stretta relazione con il territorio.
Fonte: www.contadiniperpassione.it
J
ohann Swinnen è un agro-economo della famosa università di Lovanio in Belgio. In una conferenza tenuta a metà febbraio a Vienna ha provato a tracciare quelli che saranno i connotati dell’agricoltura europea di domani. Egli sostiene che avrà fondamentalmente due volti che dovranno convivere perché entrambi di grande rilevanza: il volto tradizionale delle produzioni su grande scala e quello più recente di un’agricoltura più piccola, di nicchia e su scala locale. Non si intende qui solo l’agricoltura che produce prodotti biologici o eco-solidali, non solo le fattorie che fanno didattica, ma anche quella che Swinnen più in generale definisce agricoltura “di esperienza”, ovvero un’agricoltura dove la distanza tra produttore e consumatore si restringe, dove si instaura un dialogo fitto tra i due estremi della catena e si chiude un cerchio che per troppo tempo è rimasto aperto.
Un modo diverso di fare impresa
Questa definizione di “agricoltura di esperienza” sembra calzare a pennello per una serie di aziende agricole italiane che hanno scelto un modo diverso di gestione aziendale. Si tratta di un sottobosco veramente vitale e brulicante di esperienze che spesso non trovano voce e spazio nei mezzi di comunicazione, perché fondamentalmente sono pionieri di un nuovo modo di fare agricoltura, perché non rientrano in nessuno schema di definizione possibile e soprattutto perché producono e gestiscono a valore aggiunto e questo valore aggiunto, che è la loro carta vincente, non viene rilevato da nessuna statistica. Ma di che stiamo parlando esattamente? Stiamo parlando di quella che potremmo identificare come “agricoltura civica” ovvero un’agricoltura che ha avviato un dialogo stretto con la comunità di riferimento, con i suoi bisogni materiali e immateriali e assicura dunque non solo l’approvvigionamento di cibo di qualità ma anche una serie
di servizi quali percorsi di formazione, inserimento o re-inserimento nel mondo del lavoro, prospettive per stili di vita diversi, legame col territorio. Abbiamo chiesto a Francesca Durastanti – presidente di AiCARE, Agenzia italiana per la Campagna e l’Agricoltura Responsabile ed Etica - che in un viaggio dal Friuli alla Sicilia con alcuni colleghi ha toccato con mano alcune di queste realtà, di descriverci quale sia il minimo comune denominatore di tutte queste esperienze: “Si tratta in tutti i casi di realtà imprenditoriali. Queste aziende sono e stanno sul mercato con i propri mezzi e le proprie capacità e non sono dipendenti da sovvenzioni esterne. Questo fatto è fondamentale perché spesso si rischia di pensare all’agricoltura civica come ad una realtà “di cartone”, mentre si tratta di una vera e propria fetta della economia che produce. Tutte queste aziende sono realtà nate sulla base di progetti e di una forte professionalità oltre che di un forte legame con il proprio territorio. Ed è proprio questo elemento che ha permesso loro di ampliare o gestire la propria attività dandole un valore aggiunto: il valore del dialogo con il proprio consumatore, il valore di un’interpretazione dei bisogni locali”.
Due esempi
I prodotti che queste aziende vendono non sono l’unico elemento che esse hanno da offrire, anzi spesso esso è solo un canale. Si pensi, per chiarificare questo concetto, all’azienda agricola “Madrenatura” a Poggiomarino (NA), 3 ettari coltivati con 15 varietà di verdure diverse, due persone che lavorano e un piccolo punto vendita nel quartiere Santa Chiara a Napoli. Qui non si vende solo verdura, ma si instaura un dialogo sul valore della stagionalità, dell’alimentazione, della produzione locale tramite incontri con professionisti dell’agricoltura e dell’alimentazione. O si pensi alla azienda agricola “Contadini per passione” di Ribera (AG), dove
il rimanere sul territorio è diventato mezzo per ridare dignità ad un’attività forse un poco denigrata e per investire sulla tradizione e reinventarla in chiave moderna. La maggior parte di queste aziende non solo dunque produce, ma crea posti di lavoro ed occasione di inserimento nel tessuto sociale, restituisce dignità a luoghi abbandonati, aiuta ad integrare socialmente chi ha difficoltà psicofisiche. Eccola, la caratteristica di questo modo di fare azienda: si rimane agricoltori, si rimane imprenditori, ma si allarga lo sguardo sul sociale, sul civico, sul collettivo, sul coinvolgimento di chi usufruisce dei prodotti, sull’incontro con il consumatore e la realtà locale. “Queste esperienze sono tutte ripetibili, replicabili altrove, ma non esportabili - spiega Francesca Durastanti -. Il modello può essere replicato ovunque ma ciascuna di queste realtà è fortemente radicata ed adattata al suo ambiente”. O per dirla con le parole di uno dei protagonisti di questa agricoltura civica: “… lo spirito che oggi deve accomunare chi davvero intende spendersi per fare agricoltura sempre più di qualità deve essere quello di produrre e proporre prodotti eccellenti. In quest’ottica, però, bisogna aver cura e fare tesoro delle tradizioni peculiari legate al territorio di appartenenza, sintesi questa che si trova nell’essenza stessa dell’essere contadino!...”
ff di
Maria Luisa Doldi
Le 40 aziende visitate hanno tutte progetti per il futuro: “È gente in cammino, con uno sguardo sul domani” dice Francesca Durastanti e questo sorprende in un periodo dove l’economia è ferma e tutti i settori, ma soprattutto l’agricoltura, sono in crisi. In queste realtà però non si sente l’altalena del mercato globale, non si spera che altrove la stagione vada male. Qui la fidelizzazione del consumatore e il creare un plus valore che va oltre il prodotto permette di allontanare lo spettro del mercato globale che invece per altri significa dover vendere a sottocosto o non vendere proprio. E ancora ci torna in mente l’azienda “Madrenatura”, che nel giro di poco tempo ha raddoppiato il fatturato, impiegando non più solo un operaio stagionale ma due o tre e sta pensando di assumerne uno a tempo indeterminato. O la “Fattoria Bió”, in provincia di Cosenza, che tramite l’iniziativa “Fattorie aperte in Sila” ha registrato tra le 7000 e le 8000 presenze in tre mesi. Controcorrente dunque, in tutti i sensi perché laddove l’agricoltura italiana ed europea in generale deve fare i conti con un processo di invecchiamento, per cui la percentuale di persone al di sotto dei 35 anni impiegate in agricoltura raggiunge livelli bassissimi, qui la tendenza è esattamente il contrario. Durastanti afferma: “Le persone che abbiamo incontrato e che conducono queste aziende sono quasi esclusivamente al di sotto dei 40 anni!”.
Agricoltura: lavori in corso Le aziende di cui ci racconta Francesca Durastanti rappresentano un universo composito, variegato, ma ancora sommerso. Eppure tutte queste aziende sono parte concreta della nostra economia. Sono realtà imprenditoriali il cui successo anche economico nella comunità in cui si trovano indica che l’agricoltura italiana si è arricchita di una nuova sfumatura, di una nuova formula che può essere portata avanti con successo non solo per l’azienda stessa ma anche per il tessuto sociale che la circonda. Si tratta dunque di realtà pionieristica, a tal punto che è ancora difficile tracciarne un identikit preciso e farne un censimento, ma di cui è necessario parlare, non solo perché comunque si tratta di realtà imprenditoriali, non solo perché sono parte di una economia che produce, ma anche perché - come dice uno degli attori di questa nuova economia – “è un passaggio fondamentale andare a vedere chi è più avanti di te, chieder come ha fatto, quali sono le difficoltà e conoscere gli strumenti”, per chi vuole iniziare questo tipo di cammino e per chi è ancora all’inizio.
Oltre l’agricoltura Ma che attività svolgono queste aziende oltre o parallelamente alla loro attività agricola, che le mette in così forte relazione con il tessuto sociale e contesto ambientale in cui esse si trovano? Andando a vedere le loro attività si notano soprattutto: • Recupero della tradizione attraverso una rivalutazione di varietà, razze animali e prodotti locali e quindi valorizzazione del territorio; • Creazione di agriasili o agrinidi ovvero asili e nidi integrati nell’ambiente fattoria che rispondono alla necessità di offrire un servizio in ambiente rurale; • Comunicazione diretta con i consumatori tramite manifestazioni, apertura delle aziende, creazioni di luoghi di dialogo sui valori dell’alimentazione, del cibo, della tradizione, della produzione locale; creazione di un circuito virtuoso tra chi produce e chi consuma; • Inserimento lavorativo di disoccupati e integrazione sociale di disabili; • Costruzione di relazioni con altri professionisti del territorio e sfruttamento delle sinergie che il territorio può offrire.
Fonte: www.ibuonifrutti.it
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