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Firenze – Iran interferenze

di Martina Vincenzoni foto di Alireza Rad

Durante un viaggio in Iran si imparano due cose: 1) Lo zafferano sta bene dappertutto, anche nel tè! 2) Non è necessario condividere un sistema linguistico per comprendere il prossimo. La prima la si apprende fermandosi in affollati bazar e ascoltando le generose spiegazioni sulle tecniche per assemblare un tappeto o i concerti di sitar allestiti in quattro e quattr'otto per te: una tazza non manca mai. La seconda l'ho imparata accompagnando Zoya Shokoohi e Francesca Sandroni, artiste attive a Firenze, per documentare la loro performance prevista in due città, Isfahan e Shiraz. Zoya è nata e cresciuta in Iran, dove si è laureata in ingegneria chimica. Qualche mese di lavoro in raffineria le è sufficiente per decidere di mollare tutto: racimola il denaro necessario come credenziale per il governo italiano, supera l'esame di lingua e si iscrive alla Accademia delle Belle Arti di Firenze. Ha la necessità di esprimere se stessa e le contraddizioni culturali di cui si sente parte. Esponendo in vari contesti toscani incontra Francesca, graphic e sound designer che lavora d'ibridazione: suoni elettronici si intrecciano a sinuose melodie popolari e a voci di film cult, i video di reportage si animano con schizzi digitali. Tutto ciò è alla base del lavoro This sculpture has no base, proposto alla Safavi House di Isfahan: due artiste donne in una galleria gestita da una donna. La performance prevede la diffusione di una traccia di musica ambientale e noise creata dalla sovrapposizione di voci di persone di diversa provenienza che raccontano piccole storie private. Nello spazio della galleria è allestito un microfono, invito ai partecipanti a sovrascrivere la propria storia a quelle in sottofondo, nella propria lingua, e a creare un'unica grande narrazione missata in diretta da Francesca. Nello spazio della galleria è anche presente una torre di Babele di sedie che il pubblico è invitato a smontare per sedersi o semplicemente per cambiarne la conformazione. La prima performance si svolge nonostante diverse difficoltà. L'arte contemporanea e la musica non tradizionale sono sorvegliate speciali: si devono svolgere a volumi bassi e nascondendo le casse alla vista; le donne devono mantenere un contegno e Francesca è costretta a missare da seduta e limitando i movimenti. Ma a prevalere è il bisogno di esprimersi e diverse persone prendono coraggio e intervengono; altre promettono di spedire la propria storia alle artiste per contribuire al prodotto finale. L'atmosfera è commossa. Nasce una rete di comunicazione empatica in un'esperienza che Zoya definisce una “micro-utopia temporanea”: ci si capisce da estranei, da stranieri, nello spazio condiviso dell'arte.

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Il giorno seguente, in attesa della seconda performance in una galleria di Shiraz, passeggiamo al sole tra le rovine di Persepoli. Arriva una telefonata: è morto Soleimani, è lutto nazionale. L'arte deve tacere. Un velo di tristezza non lascerà le artiste fino alla fine del viaggio: io mi auguro che sia il punto di partenza per progettare, stavolta, una maxi-utopia permanente. Non è necessario condividere un sistema linguistico per comprendere il prossimo

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