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Dalla Cina a Campi Bisenzio

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Oroscopo

Oroscopo

di Giacomo Alberto Vieri foto di Giulio Garosi

“S iamo a Firenze o a Pechino?” si domandava nelle scorse settimane uno spot elettorale che non vi sarà sfuggito. E mentre aspettavo di parlare con Angelo Hu, titolare di una pasticceria in zona Peretola, giovanissimo cittadino italiano, laureatosi “a casa nostra”, con un curriculum di esperienze professionali di tutto rispetto, me lo domandavo anche io. In fondo mica lo nego eh, che mentre componevo il numero al cellulare, con una lista di domande scritte alla rinfusa – sulla bagarre social nata in seguito alle provocazioni, o il perché di una così alta densità del cognome Hu nella piana fiorentina, – pure io mi dicevo nemmeno troppo inconsciamente: “Vai a capirlo ora, al telefono, questo qui: mangiale, pallare, involtini plimavela”. Dopotutto sono figlio nemmeno troppo adottivo di una salda cultura di stereotipi e prese per il culo da ricreazione, mica lo nego eh. E poi, al terzo squillo, sbabam. Dialettica impeccabile, una conoscenza storica e culturale che non fa acqua nemmeno a bucarla con spilli finissimi, un ragazzo garbato, conciliante, che mi racconta dei genitori arrivati in Italia alla fine degli anni ‘80, indebitati per il lungo viaggio, che lavoreranno sodo, nel tempo a venire, per mandare avanti i figli. Mi racconta degli 8 anni da consigliere comunale a Campi Bisenzio, di quando è tornato a vivere in Oriente curioso di (ri)conoscere le proprie radici, e a proposito di questo ci tiene a spiegarmi l’uso/tradizione cinese di assumere lo stesso cognome a seconda del luogo d’origine. Poi, ridendo pacatamente, si appresta a dettagliare nomi e date di una legge turca del 1934, “fino ad allora, lì, le persone non avevano un cognome”, e i criteri di assegnazione dello stesso – secondo la tradizione vichinga – che vigono in Islanda. E dunque le mie domande accartocciate, sulla diffusione di Hu a Campi Bisenzio (a ben guardare, comunque, questione nemmeno troppo di moda visto il precedente pratese del 2017 “Chen batte Gori” e quello del 2016, a Milano, proprio dello stesso cognome Hu) o sul confine fra battuta e offesa, cadono sotto al peso della gentilezza e di qualcuno che avrebbe potuto essere il mio compagno di banco alle Un po’ di parole elementari. E allora sicuramente io lo avrei preso per il culo “pallare, mangiale, involtini plimavela”. Oggi quel mio compagno di con Angelo Hu banco immaginario dà lavoro a 10 dipendenti italiani, si sveglia alle 5, dice cose come “Ho scelto il nostro paese”, lascia agli slogan il tempo di un battito d’ali e poi, in fondo ad una frase, in volata, accenna un pensiero molto civico: “La politica si fa nel quotidiano”. Preparando il caffè all’alba ai campigiani che vanno a lavorare al mercato ortofrutticolo, agli albanesi o ai rumeni che stanno nei cantieri, a chi passa dalla strada e in quel momento, di quella strada, fa casa sua. “Siamo a Firenze o a Pechino”? Me lo son chiesto per giorni, dopo quella telefonata. E ancora non saprei rispondere. Di certo, all’elementari, era meglio se facevo meno il grosso.

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