TRADIZIONI FIORENTINE di Riccardo Morandi
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Il mondo del food tra piatti etnici, pizze e “fermini” di Raffaella Galamini foto Da Zero
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irenze prova a tornare alla normalità nonostante l’emergenza Covid sia tutt’altro che superata. Le nuove aperture non mancano in città a dimostrazione che c’è la voglia di gettarsi alle spalle questo momento di difficoltà economica. Ecco quindi che in piazza Ferrucci è sbarcata la pizzeria cilentana Da Zero. L’apertura del locale era prevista in primavera ma il lockdown ha costretto a rivedere i piani. Si tratta di un format nato a Vallo della Lucania: gli ideatori Paolo De Simone, Giuseppe Boccia e Carmine Mainenti sono ambasciatori del loro territorio e hanno già sette pizzerie su e giù per lo Stivale con Milano a fare la parte del leone. Il locale in Lungarno Francesco Ferrucci 9/r è solo una tappa fondamentale di un’espansione che porta la tradizione culinaria del Cilento in giro per l’Italia. In Oltrarno Gurdulù riapre dopo il lockdown nella solita sede in via delle Caldaie 12/r ma in una veste totalmente rinnovata: non
più un elegante bistrot con bar annesso ma una gastronomia di alta qualità con una bella selezione di vini. Protagonisti i prodotti a km 0 o quasi visto che molti provengono direttamente dalla fattoria di uno dei titolari, le Sodera all’Impruneta. Tante le prelibatezze che escono dalla cucina per un menu a tutti gli effetti “alla giornata”. In Borgo Santa Croce 31/r ha aperto Fermino. Lo dice il nome stesso: è un ristorante dove mettere un “fermo” a una fame da lupo. Grandi classici della cucina toscana e piccole idee sfiziose da accompagnare con un buon bicchiere di vino. Buone notizie infine per gli amanti della cucina etnica. In via del Ponte alle Mosse 166/r è sbarcato Micky Sehgal volto noto della cucina indiana nella capitale con il suo Maharajah. Il ristorante propone ricette senza trucchi e senza inganni visto che la preparazione avviene al centro della sala, sotto gli occhi della clientela. Nuova sede anche per Tijuana che porta la cucina messicana al primo piano del centro commerciale di San Donato, a Novoli.
Le novità da Santa Croce all’Oltrarno, da Ponte alle Mosse a San Donato
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L’olio
irenze nel mese di novembre diventa una delle più grandi piazze di spaccio dell’occidente. Un fenomeno inquietante, fatto di passaparola, sussurri e mezzi discorsi. Attenzione, parliamo di spaccio di sostanza legale e non di situazioni che richiamino immaginari drammatici per la salute (ma non per le tasche) del consumatore. La sostanza si chiama olio d’oliva. I fiorentini si passano pizzini, conoscenze, giudizi, prezzi e assaggi durante il mese del mercato. L’accaparrarsi a un prezzo buono e con un’ottima conoscenza 5 o 10 litri di succo d’oliva equivale a scalare una strana scala sociale la cui risultanza viene fuori durante cene (con al massimo, ovviamente 6 commensali) dove si assaggia e si giudica. Tutti conoscono Firenze per la bistecca, ma il fiorentino è un tossico dell’olio d’oliva. I prezzi seguono ovviamente le logiche delle sostanze stupefacenti. Se un anno le produzioni sono basse il prezzo schizza alle stelle, visto che il bene scarseggia: l’anno dopo, nonostante le abbondanti produzioni il costo dello stesso prodotto non torna indietro. Ma poco conta, in questo contesto che si mescola fra Wall Street, una scena di Scarface e un servizio di report a Secondigliano. Poi ci sono gli apocrifi, pazzi e miscredenti, ovvero quelli che non partecipano. Generalmente sono coloro che comprano l’olio al supermercato (cosa che un fiorentino fa solo in tempi di crisi, tipo guerra mondiale), o coloro che lo importano (#ilpaccodacasa) da altre regioni del Sud, sostenendo casualmente la supremazia del prodotto su quello toscano. Poveri loro, tutti e due. Il fiorentino non si perde nel giudizio, sorride e tace. Nel caso della necessità spesso spreca ai normali parole come “dillo a me, magari vedo se ti trovo qualcosa”. E non dite poi che il fiorentino è antipatico. Lo fa per voi.