3 minute read
Personaggi fiorentini - Il conte Razza (È) tutto nei termini
di Tommaso Ciuffoletti illustrazione di Marcho
Il Conte Razza
Advertisement
Qualche tempo fa è capitato che un signore che fa il professore, ha detto di una signora che fa la politica che lei è “una pesciaiola”. Nel dirlo ha marcato molto la p iniziale, sì da trasmettere un vago senso di sdegno nei confronti della signora e, evidentemente, del mestiere di pesciaiolo. Di fronte alle timide notazioni di coloro che stavano interloquendo col signor professore, il nostro ha provato ad addrizzare goffamente il tiro dicendo “io i pesciaioli li conosco andavo a prendere il pesce dal Conte Razza”. Ed ecco che la vicenda, fin qui degna di nient’altro che d’un pietoso oblio, ci permette di trattar del Conte Razza, che di sicuro fu personaggio notevole. Il suo vero nome era Renzo Propidi e fu pescivendolo di un mercato di San Lorenzo di tanti anni fa. Più donnaiolo che pesciaiolo. Un mito che conobbi quando era già vecchio e in malo arnese, ma capace di conservare il fascino di uno di cui si diceva avesse sedotto la Pampanini. Seduttore come tutti i grandi venditori. Uomo da mercato e da rione. Di lui mi raccontarono che in gioventù fu partigiano e che quando la Fiorentina vinse lo scudetto nel 1969, per tener fede a una scommessa, regalò di tasca sua 400kg di pesce, che distribuì con l’aiuto di Picchio De Sisti. Ché si può esser pesciaioli o professori, ma signori si nasce. E il Conte Razza lo nacque. In cuor mio ho solo un piccolo sogno: quello di un giovane professore universitario, che già degnamente ciuffato e azzimato, andava a prendere il pesce dal Conte Razza. E questi che gli rifilava le più sacrosante delle inculate. Amen.
(È) TUTTO NEI TERMINI
di Michele Baldini e Virginia Landi
Presenze e assenze, materialità e virtualità. Nell’epoca di opposti dualismi nascono anche le forme ibride, o per meglio dire, fluide. La lingua si adegua, perde il genere, il numero, la differenza tra ciò che rappresenta il sentimento e la percezione e ciò che rappresenta l’esperienza e la fruizione. E allora ecco qua, come al solito, due termini, con l’inglese di cui ci appropriamo e l’italiano che sconvolgiamo.
Ghost Game / goʊst geɪm / dall’inglese Ghost Game [loc. s.le m.]: gioco fantasma.
Nella nuova quotidianità omologata, sono molte le circostanze che ci accomunano con il resto del mondo: ad esempio l’assenza di qualsiasi tipo di evento che, come sappiamo, sia diverso da andare a fare la spesa o attività fisica all’aperto. In particolare il Ghost Game è una gara sportiva a porte chiuse, senza spettatori, come quelle che si sono disputate negli ultimi tempi per evitare assembramenti. La parola comparsa sul Wall Street Journal per descrivere le partite della Bundesliga è una traduzione dal tedesco Geisterspiel e una situazione inedita a cui molti non trovano giustificazione, tanto che il Borussia Mönchengladbach ha riempito gli spalti del Borussia Park con i ritratti fotografici in cartone dei suoi tifosi. E voi per quale evento vi piacerebbe poter essere legalmente sostituiti da un vostro carton… Ehm, quali sono le cose che più vi manca di fare in questo periodo?
Mi manchi come un concerto /mi manki kome un kontʃèrto/ [fig. ret.]
Livorno (per l’esattezza Rotonda dell’Ardenza), inizio febbraio 2021: la scritta in stampatello nero compare sullo spazio un tempo riservato ai manifesti pubblicitari. L’autore del testo si chiama Gabriele Milani, quello della foto “che ha fatto il giro del web” Francesco Luongo. Subito virale, è ormai diventata espressione comune, paradigma dell’assenza e della mancanza, e il mantra di tutti i lavoratori e del pubblico dello spettacolo bloccati dal Covid-19 e dai decreti. Mi assumo la responsabilità di associare alla lettura del pezzo l’ascolto della canzone “Promiscuità” de TheGiornalisti.