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Palati fini - Pastiera

Pastiera

Che c’entrano le sirene con la Pasqua? Fulgide influencer già spiaggiate ai Tropici? Autoambulanze che corrono da chi si è arrostito un dito durante una grigliata? Niente di tutto ciò, si parla - ancora - di dolci. Non è facile immaginare delle sirene all’opera in cucina, ma la storia narra di una sirena di nome Partenope, sulle cui spoglie sarebbe nata Napoli, alla quale gli abitanti di quello che, era all’epoca, un villaggio rendevano omaggio per il suo canto, donandole tutti i frutti della propria baia: il grano della Campania Felix, la ricotta dei pascoli, l’acqua e il miele dei fiori, gli agrumi della costiera, le uova simbolo di rinascita. Questi ingredienti vennero offerti dalla sirena al cospetto degli Dei che crearono la pastiera e che incaricarono la sirena di farne omaggio ai napoletani. In epoca greco-romana preparazioni simili all’odierna pastiera venivano portate in processione dalle Sacerdotesse della Dea Cerere, entità che ancora viene associata in astrologia al tema del nutrimento. Poi accadde che i riti dedicati alla Madre Terra venissero nei secoli estirpati dal Cattolicesimo alla ricerca di nuove relazioni che da materiche, profumate di fiori e di latte, diventavano inspiegabilmente relegate a leggende che risiedevano nell’alto dei cieli. Addirittura, c’entrano a quanto pare i culoni delle monache del convento di San Gregorio Armeno, che nel XVII secolo si dice covassero sulla sfoglia per farla riposare prima della stesura. Una ricetta che si gioca tra sacro e profano in campo femminile: da un lato le sirene, le cui urla facevano perdere la testa, dall’altro le monache, i cui sospiri erano fatti di sole preghiere, egualmente inarrivabili dal genere maschile, ma diametralmente opposte e unite nella celebrazione della rinascita.

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SPIRITO LIQUIDO

di Andrea Bertelli

Aperitivo rivoluzionario o rivoluzionato?

La pandemia ha aperto ed esasperato nuove frontiere dell’aperitivo. Rendendo sempre più difficile creare occasioni per brindare in ristretta compagnia, per salvarsi da un pernicioso alcolismo solitario. Ma a volte al peggio non c’è mai fine e a Firenze se si giunge al supermercato il venerdì dopo le 16:00, rimane solo la vista del reparto alcolici transennato. È l’ultima perniciosa minaccia, la variante astemia. I virologi sostengono provochi attacchi di cuore e scatti di rabbia stile Rambo, ci sono stati casi di momentanea follia, i pazienti gridavano: “Non ci avrete mai sobri”. Dopo il pub no, il cocktail bar, figuriamoci. Chi ricorda quella sensazione paradisiaca di avere i gomiti su un bancone? A questo punto cosa dobbiamo aspettarci, un nuovo proibizionismo? La formazione di nuovi gruppi clandestini, Brigate di Solidarietà Alcolica. Rinchiusi negli scantinati della città ad aspettare una partita di liquore distillato nel garage del prozio o nella vasca da bagno della nonna? Apertuta di speakeasy e distribuzione di fiaschette, tasche segrete nei cappotti. Ondate di giovani zombie deliranti all’assalto del reparto alcolici dalla pausa pranzo del venerdì fino alle 15.59, ricreando scenari da videogioco che Ken Shiro scansati. Ma la sete non ci avrà, gin tonic sul davanzale, negroni dal balcone, birre dalle finestre. In alto i calici, in videochiamata, a distanza nei parchi o in strada, (mi raccomando prima delle 16:00). Mutuo soccorso alcolico. Nel frattempo, dall’alto di Palazzo Vecchio, un violino suona in un’atmosfera spettrale ed echeggiano risate, su una Firenze che arde dalla sete. Benvenuti nella zona sobria. Prosit!

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