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Frastuoni
di Gabriele Giustini
DINOSAUR JR. “Sweep Into Space”
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Jagjagwar
Dopo i Teenage Fanclub, i protagonisti del secondo episodio della prestigiosa serie gruppi che fanno più o meno le solite cose da quarant’anni ma le fanno talmente bene quindi viva, sono i Dinosaur Jr. che, con questo nuovo “Sweep Into Space”, arrivano al loro dodicesimo album in carriera, ancora una volta su Jagjaguwar. E se il contributo di Kurt Vile, accreditato come co-produttore e presente con un po’ di chitarre qua e là, è quasi impercettibile, la penna compositiva di Mascis, Barlow e Murph, riesce stoicamente a essere ancora fresca e brillante. Perché riuscire a centrare dischi e canzoni con quei soliti due, tre ingredienti in croce, non è semplice. Ma se sei un mago nel dosarli, questi ingredienti, alla fine escono sempre piatti deliziosi che, nel nostro caso, sono canzoni. Nonostante quindi “Sweep Into Space” viva di qualità medio alta in tutta la sua interezza, ci sono alcuni episodi veramente notevoli che rimandano ai migliori Dinosaur Jr. Dopo un inizio piuttosto canonico con ‘I Ain’t’, il bello accade nel mezzo grazie all’ottima ‘I Ran Away’ – difatti primo singolo estratto – dal power pop contagioso oltre all’usuale voce scazzata e dagli assoli (di Vile) un po’ così, ed alla delicatissima ‘Garden’ con un Barlow in grande spolvero. Ottima anche ‘And Me’, è un attimo tornare con la mente alla rivisitazione, sempre del trio, di ‘Just Like Heaven’ dei Cure. Al prossimo disco annunciato faremo nuovamente gli snob: ancora un album dei Dinosaur Jr.? E poi ci piacerà.
XIU XIU “Oh No”
Polyvinyl
Sin dall’inizio, mi sono avvicinato alla musica di Jamie Stewart e dei suoi Xiu Xiu con un po’ di timore. Quelle copertine un po’ ambigue, alcune sue interviste all’epoca, me lo rendevano un po’ ostico. Poi ripulivo i miei pregiudizi ed amavo la sua musica. Superai definitivamente questa barriera in occasione di un live, ormai troppi anni fa. L’intimità e la purezza trasmesse mi conquistarono definitivamente. Rimaneva la musica, fra echi noise e suoni non comuni, per tanti, ma non per tutti. Felicissimo quindi di questa sua nuova uscita “Oh No”, indubbiamente la più pop della sua discografia e delle sue innumerevoli collaborazioni. “Oh No” è un album di duetti, con Stewart che condivide i riflettori con una serie di ospiti che hanno avuto un forte impatto su di lui, sia a livello personale che in ambito musicale: Sharon Van Etten apre le danze, seguita da artisti quali Haley Fohr (Circuit des Yeux), Liz Harris, Alice Bag, Chelsea Wolfe, Owen Pallet, George Lewis Jr. (Twin Shadow) e Fabrizio Modonese Palumbo (Larsen). Un disco che racconta un periodo di profonda angoscia, di isolamento e di una totale mancanza di fiducia verso altri esseri umani. I duetti – bellissimi quelli con Sharon Van Etten e Liz Harris – sono invece qui a ricordare a James quanto l’isolamento sia malsano e che forse il rapporto tra persone belle e brutte – ma lui usa un altro termine – non è più così sbilanciato sulle seconde. “Oh No” è un meraviglioso manifesto contro la solitudine, necessario di questi tempi.
MAXWELL FARRINGTON & LE SUPERHOMARD “Once”
Talitres
“Once” è la collaborazione tra Christophe Vaillant, in arte Le SuperHomard ed il cantante australiano Maxwell Farrington. Tutto è iniziato grazie ad una connessione istantanea che i due hanno sentito quando si sono incontrati durante un concerto a La Boule Noire, al MaMA Festival nel 2019. Durante il sound check per quell’evento, Farrington, stava cantando una versione a cappella di una canzone di Burt Bacharach. Da lì è nata una conversazione coinvolgente tra i due musicisti, che hanno discusso della loro passione comune per Sean O’Hagan, Lee Hazlewood e Scott Walker. L’eleganza dei nomi citati è finita tutte nelle 12 canzoni che compongono “Once”, tra pop orchestrale, arrangiamenti raffinati e la voce baritonale di Farrington. Ne è un esempio lampante l’apertura sixties di ‘We, Us the Pharaohs’, viaggio onirico in territori cari a Burt Bacharach ed Elvis Costello. “Once” è una collaborazione a quattro mani dove trovano magicamente equilibrio le peculiarità dei due anche se, forse, Vaillant avrebbe potuto tirare appena per la giacchetta Farrington per avventurarsi, qualche metro più in qua, nei suoi territori. Ma sono sottigliezze. Quello che è certo è che “Once” è un album che scorre via che è un piacere, ricco di brani eleganti e mai banali. Quando il pop è fatto bene, che lo si chiami chamber-pop, crooner-pop – sì, in alcuni punti sembra di sentire Frank Sinatra, giuro - o art-pop, il risultato sarà sempre eccellente.
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