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Climate Change/Global Warming: un’ipotesi di lavoro laburista

Ambiente

Climate Change/Global Warming:un’ipotesi di lavoro laburista

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Renè BURRI

Nel 2014 l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) pubblicava l’Assessment Report 5; l’indagine, lavoro di analisi dati delle principali variabili ambientali e climatiche acquisite nel periodo di studio 2009 – 2014, rilevava una condizione di allarme conseguente ad un aumento preoccupante della temperatura

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media del pianeta di oltre 1 grado centigrado. Il “Global Warming”, così è stato definito dalla comunità scientifica, è apparso subito essere un’inquietante minaccia per l’habitat del pianeta. Lo stato di allarme è determinato dall’aumento della temperatura che è la variabile destrutturante dell’equilibrio dell’ecosistema. L’aumento della temperatura è la prima tessera di un domino composto di migliaia di variabili che in cascata progressivamente stanno demolendo un equilibrio costruitosi in 800 mila anni. Si deve risalire a tale periodo geologico, Paleozoico-Cambriano, per ritrovare le quantità di gas serra presenti in atmosfera attualmente. L’aumento della temperatura è calcolato in valore medio acquisendo le singole temperature di oltre un milione di punti di rilevamento distribuiti sull’intero planisfero. Il rapporto di correlazione che vi è fra l’aumento di temperatura e le emissioni di gas serra sono evidenti sin dai primi sintomi di febbre planetaria riscontrati a partire dal 1880, proprio in concomitanza dell’inizio dell’era industriale. Ciò accade perché la radiazione luminosa del Sole dopo aver attraversato la stratosfera incomincia a riscaldare le aree della superficie terrestre, oceani compresi; il calore generato però, non ha più l’energia necessaria per risalire le fasce della troposfera a causa della fitta barriera di moli di anidride carbonica e metano, l’effetto si ripropone ciclicamente in forma ridondante, ciò determina un sistema di riscaldamento continuo non lineare e difficile da disinnescare. Per acquisire la consapevolezza di quanto sta accadendo è necessario comprendere che il complesso delle attività biologiche, cioè tutte le forme viventi, si svolge in una sottile striscia del globo terrestre definita “biosfera”, solo in questa zona è possibile una condizione di sopravvivenza delle specie animali e vegetali. La biosfera è una sottilissima fascia alta circa 14 chilometri (da -5km a +9km) che rispetto al raggio terrestre di oltre 6000 la rende similare ad una sottilissima buccia di mela,

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ed è in questa tenue e labile pellicola di atmosfera che risiedono tutte le specie viventi ivi compresa la nostra. Questa basilare nozione ci rende consci di quanto il nostro ecosistema sia dipendente da questa labile realtà e ci rende maggiormente consapevoli che quando reclamiamo: “Save the Planet”, non stiamo cogliendo il senso del problema. Il pianeta non ha bisogno di essere salvato, tanto più da una specie parassitica come la nostra; ciò che ci preme è sostanzialmente la possibilità di caratterizzare la nostra sopravvivenza in una biosfera in grado di sostenere la specie umana nella migliore condizione possibile. In questi anni abbiamo assistito a una sistematica disinformazione rispetto al problema; sebbene i reports della IPCC ci aggiornassero periodicamente sugli aggravamenti degli scenari previsionali, si è preferito propinare la problematica dell’aumento della temperatura come un fenomeno climatico effetto di una bizzarra anomalia meteorologica. L’ipocrita interpretazione di un fenomeno sconquassante che non ha niente a che vedere con pantomimiche narratorie di meteorologi di turno, ci lascia basiti e ci pone sempre difronte all’antinomia fra incompetenza o correità editoriale, forse entrambe, considerato che è una questione che ci riguarda tutti indistintamente. Vi è motivo di presupporre che questa narrazione presentata come una stravaganza meteorologica, si collochi funzionalmente a una interpretazione in chiave ambientalistica, un problema ecologico, sociale, risanabile inducendo la popolazione a comportamenti più ecocompatibili. Sciaguratamente l’aumento della temperatura è originato esclusivamente da emissione di CO2 e metano e su questo vi è solo responsabilità di politiche industriali. La quota di emissione a uso “domestico” rappresenta circa il 9% del totale, il resto sono emissioni da centrali di energia elettrica (30%), da produzioni industriali compreso l’agricoltura, allevamenti e smalti-

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mento rifiuti (30%), e dal sistema dei trasporti compreso marina e aeromobili (30%), solo l’1% sono emissioni derivanti da eruzioni di vulcani ed incendi boschivi. L’aumento della temperatura è unica responsabilità del modello di sistema di sviluppo produttivo, non riguarda costumi e modelli di società, ciò non esclude che un comportamento coerente ed ecocompatibile ci restituisca un’ambiente più salubre, ma purtroppo non incide ragionevolmente sulle emissioni dei gas serra. Il “global warming” è la variabile principale che determina a cascata come un effetto domino altre consequenziali negativi fenomeni sulla biosfera, che possiamo elencare in una scala di criticità (critical impact): scioglimento dei ghiacciai � riduzione acqua (50% in meno odierna disponibilità al 2050) contrazione delle risorse di acqua impatto su agricoltura ed allevamenti; aumento dei livelli mare � trasmigrazione popolazioni costiere verso l’interno (da 1 a 2 metri entro il 2100) Il caso “penisola Italica” è studiato come uno dei più significativi a livello internazionale; modificazioni climatiche e fenomeni meteo estremi � ciò non è funzione solo delle temperature dei continenti ma soprattutto delle temperature e dell’acidificazione degli Oceani. Questo è quanto sta accadendo, il quadro è ancora più allarmante se consideriamo che la persistenza in atmosfera dei gas serra permane per 20/30 anni. Senza alcuna variazione la temperatura aumenterà nei prossimi anni irreversibilmente sino a causare condizioni di estrema sopravvivenza, a meno di azzerare o ridurre considerevolmente i famigerati gas serra nel più breve tempo possibile. Il processo non riporterebbe in equilibrio l’ecosistema , ormai destabilizzato, ma renderebbe l’impatto meno rapido per consentirci di individuare delle soluzioni di adattabilità14

e limitare i conflitti nella popolazione e fra Paesi. Il quadro di sintesi ci indica che le emissioni sono per il 90% originate dalle politiche di produzione nazionali/industriali e che poco hanno a che fare con possibili azioni virtuose ambientaliste. L’anidride carbonica si genera tutte le volte che diamo origine a una qualsivoglia combustione, mentre il metano è un potente gas serra per natura (20 volte più persistente della CO2), inoltre la sua combustione genera anidride carbonica per circa tre volte il suo peso. Il metano rappresenta di fatto la principale minaccia alla biosfera. Questo ci porta a dedurre che non vi siano altre possibilità di generare energia sufficiente per uno sviluppo industriale e che, quindi, la condanna sia definitiva. Eppure tutto ciò ha un’eccezione: madre natura ci ha fornito la soluzione e si chiama: idrogeno. L’idrogeno è l’unica forma di combustione che non genera null’altro che vapore d’acqua, può produrre calore, combustibile ed energia elettrica in un'unica trasformazione. Ma questo è un capitolo di un’altra storia. ref. L’IPCC è una istituzione fondata nel 1988 dall’ONU e dal “World Meteorological Organization” per coordinare e centralizzare gli studi realizzati dalle Università ed enti di ricerca dei 196 Paesi di cui la stessa è costituita. Il ruolo della IPCC è anche di rendere oggettivi, attraverso una strategia partecipata ed aperta a tutti gli enti di ricerca, gli studi e le condizioni dell’habitat del pianeta. Questo consente a chiunque di acquisire dati certi e condivisi non condizionati da politiche o interessi particolari e nazionali. L’analisi e lo studio dei dati sono alla base delle politiche che i paesi sono invitati a intraprendere per adoperarsi per tutelare l’ecosistema del territorio e le conseguenze ricadute sulle attività produttive. Tutto ciò è ben descritto e relazionato nelle analisi dei reports pubblicati, ivi comprese le indicazioni

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(policy e best practice). Per accedere a tutti i dati è sufficiente effettuare un download sul sito web della IPCC.

(Renè Burri è Expert review in IPCC, ricercatore e direttore dell’International No Profit Research Laboratories Associates (ietclab.org) (CH) – r.burri@ietclab.org)

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