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Gravidanze a rischio

Donne

Gravidanze a rischio

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Antonella BUCCINI

Al celebre convegno di Verona si discuteva dell’aborto, con relativi gadget di fetiin plastica. Più voci imputarono a quella pratica il calo demografico nel nostro paese.Ecco le politiche sulla famiglia approdarono a quell’acuto confronto.

In verità se ne parla tanto. Se ne parla con quel linguaggio mistificante oggi sempre più pervasivo. Non si comunica né la verità né la menzogna ma quella via di mezzo che non esprime concetti o volontà ma produce molto rumore. Ovviamente chi ne fa le spese in termini diretti, sulla propria pelle, prima ancora che il nucleo famigliare, sono ancora le donne. Le prevalenti titolari della prosecuzione e della cura della specie, esaltate in tutta la narrazione sul tema, sono puntualmente ingannate nella pratica. E lo sono non solo per l’assoluta assenza di un sistema sociale

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che possa garantire una forma di sostegno concreto alla natalità ma anche per lareiterata, impunita e connessa emarginazione patita.

E’ di questi giorni l’ennesima notizia di una giovane donna, che nell’azienda dove lavora da 15 anni, viene “invitata” a dimettersi, il motivo: aspetta il suo secondo figlio. L’invito non ha mezzi termini: “ti conviene accettare l’offerta. Se rientri al lavoro ti faranno morire”. Lei non cede. Al termine della gravidanza ritorna al lavoro e iniziano le vessazioni, pesanti, fino alla denuncia al sindacato.

Ecco, questa è la realtà vissuta da tante lavoratrici, per le quali non sono sembrate sufficienti le differenze salariali, gli ostacoli nei percorsi di carriera, il pregiudizio applicato in molteplici occasioni, sarebbe ancora troppo comodo! Del resto la donna appartiene al sesso debole e bisogna pur garantirne le premesse!

A tale contesto si aggiungono le politiche sul lavoro. Il fantomatico contratto a tempo indeterminato, di fatto, non esiste più sostituito dal contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che consente alle aziende di licenziare per motivi disciplinari o economici. Una sedicente riorganizzazione aziendale e via si tagliano un po’ di esuberi. In ogni caso l’imprenditore dovrà al massimo risarcire il lavoratore con un’indennità pari agli anni di anzianità nell’azienda, appunto “a tutele crescenti”.

Nel nostro caso certo la gravidanza non può rappresentare mai un motivo legittimo di licenziamento e per questo scatta “il consiglio” e magari l’intimidazione a presentare “spontaneamente” le dimissioni inducendo la decisione con mezzi, come dire, convincenti. E poi ci si chiede perché il nostro è un paese di vecchi e per vec-

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chi!

Resta la sofferenza di questa ragazza e di tutte le donne come lei condannate ad u- na sorta di sopravvivenza quotidiana dove il desiderio di un figlio va a discapito di ogni ambizione o necessità come un segno meno nel curriculum. La politica si limita a declinare la questione femminile nella istituzione di qualche assessorato alle pari opportunità o peggio ministero a favore del politico di turno di mediocre potere che pure va accontentato.

Intanto si festeggia il taglio dei parlamentari avendo a cuore di rispondere esclusivamenteall’ottuso risentimento sociale che fa consenso e quindi garantisce poltrone,tutte quelle rimaste.

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