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Cinecittà e il cinema durante il fascismo

Cultura e Storia

Cinecittà e il cinema durante il fascismo

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Per parlare del cinema italiano durante il fascismo non si può prescindere da tre personaggi che furono importanti per l’evoluzione dell’arte cinematografica italiana in quel periodo. Di questi, ben due furono parenti del Duce. Stiamo parlando di Galeazzo Ciano, Vittorio Mussolini e Luigi Freddi.

Galeazzo Ciano si laureò in legge, intraprese la carriera diplomatica e la svolta dellasua vita avvenne il 24 aprile del 1930 quando sposò Edda, la figlia primogenita

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del Duce. Ben presto fu cooptato in incarichi importanti di governo e quello che ci interessa in questa storia fu proprio il primo, cioè capo ufficio stampa di Mussolini e Sottosegretario alla stampa, cultura e propaganda dall’agosto del 1933. Vittorio Mussolini, primo figlio maschio del Duce, fin dall’inizio della sua vita fu appassionato di cinema, tanto che a soli sedici anni sceneggiò, diresse e interpretò nel giardino di Villa Torlonia la pellicola “Lo sceriffo Tremendone”, con l’aiuto del fratello Bruno e di compagni di liceo, fra cui doveva rivelarsi Ruggero Zangrandi, autore nel dopoguerra dell’importante libro di memorie “Il lungo viaggio attraverso il Fascismo”, prezioso documento sull’evoluzione in senso democratico di un giovane che aveva frequentato assai presto la famiglia Mussolini. Avrebbe poi diretto la rivista “Cinema”, cui collaborarono e si formarono molti futuri grandi registi del dopoguerra a cominciare da Luchino Visconti. Più tardi, si recò anche a Hollywood per prendere accordi commerciali con l’industria cinematografica americana, non venendo neanche ricevuto per ragioni politiche dai dirigenti degli studi californiani.

Luigi Freddi partecipò già da giovanissimo al Futurismo con articoli culturali, fu legionario fiumano, giornalista e intellettuale, redattore del “Popolo d’Italia” e squadrista. Nel 1920 fu tra i fondatori dell’Avanguardia studentesca tra i Fasci di combattimento e direttore della rivista “Giovinezza”. Nel 1923-24 fu capo ufficio stampa del Partito Nazionale Fascista, nel 1927 vicesegretario dei Fasci italiani all’estero e vicedirettore della Mostra della Rivoluzione fascista. Nel 1933 seguì come inviato del “Popolo d’Italia” la trasvolata atlantica di Italo Balbo e degli atlantici in Nord America. Poi, invece di tornare in Italia, si fermò due mesi a Hollywood per studiare a fondo i meccanismi produttivi e artistici dell’industria cinematografica americana, conoscendo anche il grande regista David Ward Griffith.

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Al ritorno in Italia presentò a Galeazzo Ciano, intanto diventato come si è visto Sottosegretario alla Stampa e Propaganda, una corposa relazione su come pensava si dovesse riorganizzare il cinema italiano, a cominciare dall’istituzione di una Scuola nazionale di cinematografia. Ciano la trasmise immediatamente a Mussolini ed entrambi restarono in attesa delle decisioni del Duce che in un primo momento tardarono a venire. Ma qui conviene fare un passo indietro per raccontare qual era la situazione generale del cinema italiano durante il fascismo. La vicenda si può dividere in tre fasi. Una prima, lungo quasi tutti gli anni venti, in cui le pellicole avevano raccontato soprattutto un’Italia rurale, quella delle campagne del Centronord, degli abitanti dei piccoli borghi da strapaese, delle battaglie del regime per l’incremento della produzione agricola, andando ben presto in crisi di fronte all’offensiva del cinema di intrattenimento hollywoodiano, tanto che nel 1931 Mussolini fece varare una legge che impediva l’importazione di pellicole dall’estero. Una seconda, in cui si diede importanza alla scenografia, con film rivolti ad un ceto piccolo-borghese, che imitavano le commedie brillanti americane, ma senza le situazioni più scabrose come tradimenti, divorzi, adulteri, con vicende che si svolgevano preferibilmente all’estero, in paesi improbabili, in genere in Ungheria. Infine una terza, verso la seconda metà degli anni trenta, dove prevalse l’eroismo patriottico e avventuroso di eroi senza macchia e senza paura, come Luciano Serra interpretato da Amedeo Nazzari. Finalmente, Mussolini, che aveva letto e apprezzato la relazione di Luigi Freddi, affidò incarico a Ciano e allo stesso Freddi di riorganizzare tutto il cinema italiano, da un punto di vista artistico e produttivo, senza tralasciare anche le esigenze della propaganda. L’anno successivo, il 1934, Freddi fu nominato capo della Direzione generale della

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cinematografia, nell’ambito del Ministero della Cultura popolare (il famigerato MINCULPOP) che era affidato a Ciano, diventando di fatto il personaggio più importante del cinema italiano fino alla fine del regime. L’anno successivo Freddi fondò il Centro Sperimentale di Cinematografia, affidandone la direzione a Luigi Chiarini, eminente studioso di teatro e di cinema, organico al fascismo ma sufficientemente indipendente nelle scelte. Chiarini si circondò di collaboratori di grande livello, come Umberto Barbaro, seguace dell’immaginismo, una sorta di corrente “di sinistra” del Futurismo, diffusa anche in Unione Sovietica con Majakowsky, fondatore con Chiarini della rivista di cinematografia “Bianco e Nero”. Altri studenti e poi collaboratori della Scuola furono Michelangelo Antonioni, Marino Mida Puccini, che fu tra gli sceneggiatori di “Paisà”, un giovanissimo Pietro Ingrao e tanti altri. L’opera degli insegnanti e degli allievi del Centro Sperimentale fu di grande levatura culturale e di grande apertura mentale, pur con le cautele imposte dalla dittatura, tanto che, a cominciare da Barbaro, realizzarono caute aperture culturali in qualche modo non rispettose dell’ordine costituito. Interessante a questo riguardo la testimonianza di Massimo Mida Puccini che raccontò di aver guardato di nascosto, insieme ad altri insegnanti e allievi, il film di Eisenstein “La corazzata Potemkin”.

Altre iniziative culturali che favorirono una certa fronda intellettuale contro il Regime nell’ambito dell’arte cinematografica furono la Rivista “Cinema”, diretta come detto da Vittorio Mussolini, la rivista culturale di Giuseppe Bottai “Primato” che accolse anche scritti di non fascisti e i Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Questi ambiti realizzarono una certa apertura verso una generazione di giovani che contestavano l’opacità morale e l’imborghesimento del Regime.

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Gli obiettivi di queste iniziative intellettuali e didattiche nell’ambito della cinematografia erano l’affermazione del cinema come arte principale della modernità, la scopetta delle culture nuove ed eterodosse che si celavano dietro le varie cinematografie straniere e anche una certa contestazione intellettuale del provincialismo culturale del fascismo. Si realizzarono così i primi impulsi verso il neorealismo e verso la modifica dall’interno del fascismo, per una linea dell’arte cinematografica più realista, più vicina alle esigenze dell’uomo comune. In effetti, vi fecero le prove alcuni tra i più grandi registi del dopoguerra italiano, come Lizzani, Antonioni, Puccini, Comencini e altri, non esclusi tra gli sceneggiatori, magari occulti, anche grandi scrittori come Alberto Moravia.

Molti di questi personaggi innovativi erano segretamente simpatizzanti al Partito Comunista, mentre nel mondo del cinema dell’ultimo fascismo erano assenti gli intellettuali cattolici. Anche se Pio XII, in due encicliche, affermò l’importanza dell’arte cinematografica, auspicando una maggiore presenza dei cattolici, anche per tutelare la moralità delle pellicole. La storia sarebbe cambiata nel dopoguerra, con l’avvento di molti artisti di ispirazione cattolica, la casa cinematografica LUX molto vicina al Vaticano e la censura moralistica cattolica. Alcuni altri personaggi furono abbastanza compromessi con il Regime, come Rossellini che aveva diretto una trilogia cosiddetta fascista, tra cui “L'uomo della croce”, o Aldo Fabrizi, che non si era certo distinto per antifascismo o indipendenza di giudizio. Ma si riscattarono con “Roma città aperta” in cui Fabrizi interpretò il ruolo del sacerdote fucilato dai nazisti, ispirato alla figura storica di Don Morosini, cosa che, oltre a farlo passare negli annali dell’arte cinematografica, costituì un validissimo passaporto di prestigio nella nuova Italia democristiana del dopoguerra. Proprio dal fervore innovativo favorito dal Centro e dalla rivista “Cinema” prese

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l’impulso il superamento del cinema piccolo-borghese dei “telefoni bianchi” con la realizzazione di alcuni film che rappresentarono un ponte di passaggio verso il neorealismo, cioè “I bambini ci guardano” di De Sica, “Quattro passi tra le nuvole” di Alessandro Blasetti e, soprattutto, “Ossessione” di Luchino Visconti ma con molti altri intellettuali che collaborarono alla sceneggiatura.

Il caso di “Ossessione” fu emblematico. Era tratto da “Il postino suona sempre due volte” dramma statunitense incentrato su una storia di adulterio e di delitto passionale. Pietro Ingrao, uno dei collaboratori alla sceneggiatura, tra cui vi erano pure Mario Alicata, Gianni Puccini, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis e anche occultamente Alberto Moravia, disse che “Ossessione” era stato il primo film antifascista. Il film naturalmente, oltre a essere girato in sordina e quasi clandestinamente, uscì solo dopo la caduta del Fascismo, ma anche prima dell’omonimo film americano, grazie a Visconti che ne aveva salvata fortunosamente una copia durante la Resistenza.

Intanto, Luigi Freddi, come Direttore Generale del Cinema, si accinse a mettere a segno il colpo più importante del periodo, vale a dire la costruzione di Cinecittà. Nel 1935 un vasto incendio distrusse gli studi cinematografici della Società Cines, situati vicino alla Basilica di S. Giovanni in Laterano. Nello stesso anno, con i proventi pagati dalle assicurazioni, su impulso di Freddi, l’imprenditore Carlo Roncoroni costituì la Società SAISC, con il compito di realizzare una vera e propria cittadella autonoma del cinema. Su 600.000 metri quadrati acquistati lungo la via Tuscolana, al Quadraro, furono costruiti i nuovi studi, un complesso di 73 edifici, di cui 21 teatri di posa, con uffici e magazzini. Cinecittà fu inaugurata in pompa magna da Mussolini e dallo stesso Freddi il 28 aprile del 1937.

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Non mancarono polemiche perché si disse che l’incendio agli stabilimenti Cines era stato appiccato dolosamente per ottenere i premi delle assicurazioni. Lo stesso regista Alessandro Blasetti confermò che Cinecittà era stata costruita con i soldi ottenuti con l’incendio della Cines. Comunque Cinecittà costituì un’eccellenza in campo cinematografico, anche per le sue maestranze qualificate. Dopo alterne vicende, anche drammatiche, sopravvisse alla guerra costituendo il cardine del cinema italiano anche nel periodo successivo, tanto che negli anni ’50 e ’60 vi furono girati molti film di produzione americana, tanto che si parlò di Rome e Cinecittà come la Hollywood sul Tevere.

Può essere interessante un ultimo accenno al fenomeno dello spionaggio fascista all’interno del mondo del cinema, messo in atto proprio perché trapelavano nelle alte sfere le opinioni e le azioni non ortodosse di molti esponenti di quell’arte. L’OVRA, la polizia segreta fascista, utilizzò come informatori proprio alcuni protagonisti di quel mondo, produttori, attori, sceneggiatori.

Sergio Leone ha ricordato che il padre, regista a Cinecittà con il nome d’arte di Roberto Roberti, fu emarginato perché il produttore di uno dei suoi film era una spia fascista e lo aveva segnalato come potenziale oppositore. Mario Camerini raccontò che non avrebbe potuto dirigere un film se non avesse esibito sulla giacca il distintivo fascista e allora lo indossò ma poi nascondendolo con il soprabito.

Dall’apertura dei fascicoli dell’OVRA nel dopoguerra risultò che l’importante produttore Francesco Salvi era stato un informatore, che l’attore Manlio Calindri, fratello di Ernesto, aveva avuto l’incarico di spiare i fratelli De Filippo e, anzi, aveva cercato di provocare comportamenti antifascisti in Eduardo che però non aveva ab-

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boccato. Divertente il fatto che anche il litigio definitivo tra Peppino e Eduardo avvenne nel nome di Mussolini, perché Peppino, durante alcune prove al Teatro Diana a Napoli, salì sulla sedia e prese in giro il fratello gridandogli che era come il Duce.

Si può affermare quindi che molta parte dell’arte e della professionalità del grande cinema italiano del dopoguerra aveva avuto la sue radici nello stimolante retroterra culturale germogliato anche per merito di quelli che avevano operato durante il fascismo, a cominciare da Luigi Freddi, il vero ispiratore del Centro Sperimentale di Cinematografia e fondatore di Cinecittà.

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