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Cosa fanno le Banche e la politica per il Mezzogiorno

Economia e Finanza

Che cosa fanno le Banche e la politica per il Mezzogiorno

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Raffaele FLAMINIO

Il 16 e 17 ottobre si è svolto a Bari il meeting dal titolo “ RUOLO DEL SISTEMA FINANZIARIO NEL MEZZOGIORNO” organizzato dalla Fisac CGIL con la partecipazione di Maurizio Landini, segretario generale della CGIL che ha concluso i lavori.

All’ assise hanno partecipato i segretari regionali della confederazione di corso Italia e i segretari regionali di categoria dei bancari, assicurativi, esattoriali. Il segretario generale del sindacato del credito e assicurazioni, Giuliano Calcagni, ha dibattuto con i rappresentanti dei maggiori gruppi bancari e assicurativi del paese, Intesa San Paolo, Unicredit, Gruppo assicurativo Generali, gruppo Unipol. Erano pre-22

viste le presenze del presidente della giunta regionale della Puglia, Michele Emiliano, padrone di casa, e del sottosegretario al M.E.F. Paolo Baretta, che sono poi risultati assenti per impegni sopraggiunti.

Decine di delegati di base intervenuti all’incontro hanno affollato la platea.

La relazione di apertura illustrata da Susy Esposito, della segreteria nazionale della Fisac Cgil, ha tracciato con estrema chiarezza le desolanti condizioni in cui versa il Sud del Paese. Il deterioramento del tessuto economico territoriale sta riducendo pericolosamente i diritti dei cittadini e dei giovani che abitano e faticosamente vivono nel Mezzogiorno.

I cittadini del mezzogiorno nascono con un cromosoma in meno. Quello del diritto.

La ribalta mediatica il Sud se la guadagna solo per gli sbarchi di disgraziati, anch’essi meridionali del mondo, per le chiusure dei siti aziendali o cronache di presunta mala sanità.

Qualcuno si è spinto ad affermare che l’attuale è il governo più meridionale che sia mai esistito. Qualcuno sa bene che rimestare l’acqua nel mortaio non giova al Paese intero. Tra le due aree del Paese, Nord e Sud, esiste una forte connessione e interdipendenza giocata sullo sviluppo e sull’equità. La boutade dell’autonomia differenziata regionale regala ancora una volta una perla di saggezza politica che riassume quale sia il pensiero imperante e la resistenza di un parte del Paese al cambiamento e all’unificazione. Uno dei temi discussi è stato quello della migrazione del Sud Italia verso il Nord Italia e Nord Europa.

I numeri di questi ultimi quindici anni sono da catastrofe demografica, oltre un milione cinquecentomila, tra laureati e diplomati, ha lasciato il Mezzogiorno. La scarsezza dei mezzi di sussistenza sta fiaccando irrimediabilmente il Sud.

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La mancanza di un indirizzo politico nazionale a favore dello sviluppo generale del Paese, tenendo conto anche delle aree depresse del Nord, non giova alla comunità nazionale, che ha bisogno di un impegno complessivo che abbia ben presente le peculiarità e le caratteristiche territoriali di ciascuno. Occorrono politiche di integrazione fiscale, industriali e lavorative che valorizzino tutte quelle peculiarità e vocazioni territoriali che fanno dell’Italia la nazione che si caratterizza per la piccola e media impresa e del lavoro subordinato.

Questo è un elemento socio economico e d’indirizzo che anche il sistema del credito e delle assicurazioni deve tenere ben presente nelle scelte industriali.

I dati statistici esposti dall’Ires Cgil, dimostrano come la contrazione del credito nel Sud abbia ridotto enormemente la capacità produttiva delle imprese meridionali, che spinte a riorganizzarsi dalle multinazionali presenti hanno convertito le produzioni in una unica direzione, proposta dai colossi mondiali, per poi vedersi a fronte proporre le delocalizzazioni, disfacendo professionalità e progettualità di intere comunità umane. Il rapporto impieghi - Pil è completamente sbilanciato a favore del Nord. Pur in questo nefasto quadro, la ricerca chiarisce che la propensione al risparmio delle aree meridionali è superiore al resto del Paese. Il risparmio generato al Sud e non remunerato, viene trasferito al Nord dove trova impiego a costi più sostenibili che sono accompagnati da politiche di sviluppo, se pur ancora deboli ma meglio assistite dallo sviluppo infrastrutturale.

In questo contesto, il sistema finanziario deve necessariamente preoccuparsi della qualità del credito e del sistema tariffario proponendo una leva finanziaria efficace allo sviluppo del Sud. L’Ires dimostra con i numeri che nel Mezzogiorno il rapporto tra impieghi e depositi è il più basso del Paese. Per ogni euro di raccolta il sistema eroga, al Sud, solo 76 centesimi euro di credito rispetto ad una media naziona-

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le di 95 centesimi.

La restante quota d’investimento, riveniente dalla raccolta diretta meridionale, è veicolata in acquisto di quote di strumenti azionari e obbligazionari destinato alle imprese quotate negli indici di borsa FTSE-MIB residenti al Nord. Appare evidente che senza uno strumento legislativo che riconosca anche l’origine territoriale della raccolta e il suo impiego nei territori di germinazione non si potrà ottenere una risposta improntata allo sviluppo meridionale.

La delocalizzazione dei centri direzionali e dei poli ad alto contenuto tecnologico delle imprese finanziarie, depaupera il lavoro professionale a favore di quello povero e poco professionalizzato.

L’allargamento di questo dualismo territoriale necessità di un intervento pubblico, di tipo keynesiano, che riduca le differenze e gli squilibri.

La riconversione ambientale, auspicata, è un tema che investe tutte le aree del Paese ma in particolare il Sud che può fungere da piattaforma logistica in tutta l’area del mediterraneo in coerenza e non in concorrenza con il Nord.

Gli interventi dei segretari regionali confederali CGIL, impegnati in una tavola rotonda, hanno posto l’accento anche sulle differenze regionali all’interno dello stesso Mezzogiorno. Il Sud non è tutto uguale. Ogni regione propone diversità. Punti di forza e di debolezza che devono essere contemplati nei piani di sviluppo territoriale e nazionale, fornendo indicazioni specifiche di sviluppo interconnesso alle necessità di quest’area del Paese. Particolare rilievo è stato dato alla necessità di saper utilizzare al meglio i fondi europei di sviluppo. Il corretto utilizzo avviene migliorando e attrezzando efficacemente la burocrazia degli enti locali che oggi è ridotta ad una generazione di funzionari e dirigenti in soprannumero che hanno

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l’intento di resistere e sopravvivere al cambiamento cannibalizzando le generazioni successive in grado di esprimere un potenziale positivo ed al servizio delle comunità di riferimento.

Gli interventi dei responsabili dei grandi gruppi bancari e assicurativi, sono stati all’insegna di una monotona declinazione dei meriti che si attribuiscono, senza mai entrare nel vivo delle questioni e senza mai mostrare interesse, se non di facciata, ai reali problemi che il settore scarica sul Paese e sul meridione in particolare.

Giuliano Calcagni, nella sua veste di segretario generale della Fisac- Cgil, non ha mancato di sottolineare che i lavoratori del comparto hanno già abbondantemente sofferto per assicurare alle banche e alle assicurazioni la sopravvivenza, sopportando piani industriali che hanno fatto versare ai lavoratori lacrime e sangue. Nei momenti peggiori delle crisi bancarie, hanno subito ogni sorta di umiliazione e delegittimazione da parte dei clienti e dell’opinione pubblica ignara delle pessime condizioni di lavoro in cui versano gli addetti.

Cinquantamila addetti del settore sono stati accompagnati agli esodi senza lasciare neanche un lavoratore senza sostegno al reddito. Questo è stato possibile solo attraverso la costruzione di accordi voluti e pretesi fortemente dalle organizzazioni sindacali. Le banche, ora, facciano la loro parte per le assunzioni, la formazione, la salute e la sicurezza, senz’altro tergiversare e fare melina per il rinnovo del CCNL del settore.

Il segretario della Fisac Cgil ha dichiarato la disponibilità a utilizzare le enormi risorse finanziarie dei lavoratori, detenuti nei fondi pensione, a patto che queste siano impiegate a supporto delle necessarie infrastrutture del Sud e del Paese e siano adeguatamente remunerate con garanzie fiduciarie e vincolanti dallo Stato a favore

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dei legittimi proprietari, i lavoratori. Anche le polizze sanitarie devono essere indirizzate a sottoscrivere convenzioni con il SSN universale riducendo l’impatto sociale negativo.

Maurizio Landini, Segretario Generale del CGIl, ha chiuso il convegno. Landini, nel suo intervento ha mostrato piglio e lucidità politica. Sorretto

dalla profonda conoscenza delle difficoltà del Paese e dei suoi cittadini, ha richiamato con forza lo spirito costituzionale per spiegare le ragioni delle proposte della CGIL a beneficio dell’ unità e solidarietà del Paese.

Il filo conduttore è il lavoro. Il lavoro come diritto e non privilegio. Il lavoro come incarnazione fisica della Costituzione. Non c’è speranza se chi lavora non vive. Non c’è speranza se il lavoro non dona dignità. Il lavoro, qualunque esso sia, se non è accompagnato dai diritti, non genera libertà.

La lunga congiuntura che attraversa il Paese ha costretto a passi indietro nel campo dei diritti, sono nati nuovi lavori all’insegna della sopravvivenza.

L’accordo sulla rappresentanza sottoscritto con Confindustria deve essere esteso nelle altre categorie, affinché si pervenga all’eliminazione dei contratti pirata che fanno leva solo sulla riduzione dei salari e dei diritti, la certificazione dell’ effettiva rappresentatività sindacale deve dare validità erga omnes ai contratti collettivi di categoria.

Landini ha espresso soddisfazione per l’approccio del nuovo governo nei confronti dei sindacati e lo sforzo che si sta compiendo nell’appostare risorse per undici miliardi a favore di misure indirizzate allo sviluppo del Sud. Ha specificato, altresì, che la soddisfazione sarà misurata solo con la realizzazione delle misure promesse

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e che, per adesso è limitata alla disponibilità al dialogo. La riduzione del cuneo fiscale sul lavoro è un’altra misura che apporterebbe ossigeno a quelle fasce di lavoratori maggiormente penalizzati da salari minimi. Queste misure costituiscono un primo passo verso il cambiamento necessario per invertire la rotta delle politiche sul lavoro. Il compito del sindacato e dalla Cgil sarà quello d’incalzare il governo e il Parlamento.

Dare risposte al lavoro e trarre risorse dall’evasione fiscale per indirizzarle verso gli investimenti produttivi sarà la sfida che la Cgil è pronta a sostenere fino alla mobilitazione generale di tutte le categorie lavorative. Rispetto al “capitolo banche”, Landini ha affermato che devono “inventarsi” un sistema d’investimento del risparmio giacente sui conti correnti dei clienti del Sud (circa 74 miliardi) per impegnarli sui territori da cui traggono risorse e profitti.

E’ necessario che l’impegno del pubblico e del privato si trasformino in una proposta concreta per il rilancio complessivo del Paese e delle aree più arretrate e sofferenti.

Nel suo intervento conclusivo, Landini, ha affrontato anche il tema delle mafie infiltrate nel tessuto connettivo ed economico della Nazione. La riscrittura del codice degli appalti rappresenterebbe un elemento di novità positiva rispetto al passato.

Una cabina di regia tra l’Autorità anticorruzione, le associazioni datoriali e i sindacati farebbe da argine alla dilagante infiltrazione malavitosa: la patente a punti per le imprese rappresenterebbe la possibilità di escludere le imprese meno “virtuose”.

La Cgil nella sua interezza si sta proponendo come interlocutore affidabile e propositivo, capace di elaborare proposte concrete e utili misurabili con i numeri, nel rispetto della sua autonomia dalla politica.

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Speriamo che i tatticismi della politica non pregiudichino questo difficile cammino appena intrapreso. Le tante crisi industriali e l’ingiustizia sociale ed economica che vedono coinvolti tanti cittadini meritano che si dia risposta a queste imprescindibili esigenze.

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