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Religioni e psicanalisi
Cultura e Religione
Religioni e psicanalisi
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Giovan Giuseppe MENNELLA
Le religioni, specialmente quelle monoteiste, non sono state mai favorevoli alla psicanalisi. Specialmente la religione cristiana, massimamente nella sua espressione cattolica romana, perché la psicanalisi era considerata avversaria del sacramento della confessione, perché tendente al pansessualismo cioè a spiegare quasi tutti i moti psicologici con gli impulsi sessuali e perché diminuiva l’importanza del libero arbitrio nell’uomo. Però, da parte del cattolicesimo la condanna fu sempre velata, quasi mai esplicita. Nessuna pubblicazione di Sigmund Freud fu mai posta all’indice dei libri proibiti. Lo stesso Padre Agostino Gemelli, vero dominatore della cultura cattolica nei primi decenni del ‘900, fu favorevole o contrario alla psicanalisi secondo i personaggi
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che la esercitavano. In genere fu contrario agli psicanalisti più orientati a sinistra, specialmente quelli vicini all’ideologia comunista che fu sempre considerata dalla cultura conservatrice come strettamente legata alla psicanalisi. Padre Gemelli soleva dire che non era conveniente per la Chiesa cattolica creare, con l’avversione e- splicita alla psicanalisi, un nuovo caso Galileo Galilei. Comunque, vigeva in ambito canonico il divieto per i preti di esercitare la psicanalisi. Da questo punto di vista, fu interessante il caso di padre Gregoire Lemercier, sacerdote benedettino belga che, dopo alcune esperienze religiose in Europa, fondò il Monastero di Santa Maria della Resurrezione a Cuernavaca, in Messico, dove, insieme ad altri preti e anche a una donna, esercitò per un periodo di tempo la psicanalisi. La figura di Lemercier fu sempre molto originale e controversa, tanto che poi nel 1967 abbandonò la tonaca. In Italia le sue idee furono fatte conoscere da Don Giovanni Franzoni, altro religioso eterodosso, progressista e inviso al Vaticano. Un ordine delle alte gerarchie della Chiesa fece cessare l’esperienza di psicanalisi del convento messicano ma la presenza tra i terapeuti di una donna lo fece diventare molto famoso e provocò speculazioni e pettegolezzi pruriginosi su presunti aspetti sessuali della faccenda. Di problemi in cui fede religiosa e aspetti della psiche umana fossero particolarmente connessi, si occuparono spesso intellettuali e filosofi. Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, trattò in due riprese del Monoteismo, anche del Cristianesimo, partendo da riflessioni psicanalitiche sulla figura del Mosè biblico. Nel libro “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, tre brani scritti tra il 1934 e il 1938 ma riuniti in un unico libro pubblicato ad Amsterdam nel 1939, Freud trattò le origini del monoteismo esprimendo alcune idee sulle vere origini di Mosè e sul suo rapporto con il popolo ebraico. Sostenne che Mosè non fosse ebreo ma in real-
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tà egiziano di antica nobiltà che trasmise al popolo ebraico la religione monoteista del Faraone Amenofi IV, che cambiò il nome in Akhenaton. Ma gli ebrei lo assassinarono abbandonando la religione che aveva trasmesso loro e dimenticarono collettivamente il misfatto. Freud spiegò che, diverso tempo dopo l’uccisione di Mosè, i ribelli si rammaricarono della loro stessa azione formando così il concetto di Messia, come speranza per il ritorno di Mosè come “Salvatore” degli Israeliti. Ritenne che il senso di colpa per quell’omicidio fosse ereditato attraverso le successive generazioni. Fu poi questo senso di colpa che spinse gli ebrei alla creazione della religione monoteista, perché potesse farli sentire meglio, diminuendo il senso di colpa per quello che a- vevano commesso. Ne sarebbe risultato il dualismo di fondo della religione ebraica, caratterizzata dall’eterno ritorno del trauma dell’omicidio originario: un gesto dimenticato ma ineliminabile nel senso di colpa dei discendenti. L’avvento del cristianesimo sarebbe coinciso, secondo Freud, con il tentativo di Paolo di rielaborare quel rimorso all’interno di una nuova religione, anch’essa monoteista, espiando il peccato originale attraverso la morte del Cristo sulla croce. Ripropose l’omicidio di Cristo come omicidio del padre. Una sorta di capro espiatorio, se vogliamo mutuare l’espressione dal pensiero di Renè Girard (La violenza e il sacro). Non è inutile ricordare che lo stesso padre di Freud gli regalò una Bibbia, quando lui aveva trentacinque anni, per riportarlo sulla strada precedentemente abbandonata dell’ebraismo. Freud era nato in un’Europa in cui sembrava che gli ebrei fossero emancipati dalla religione e non ci fosse più l’antisemitismo. Come mai l’umanità risponde a dei bisogni profondi con la Religione? Per misurarsi con la figura del padre, come fece Freud e come avevano fatto gli ebrei antichi con Mosè. Anche la religione biblica rientra in un significato individuale del
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rapporto col padre. In effetti, riflettendo sulla posizione di Freud in questo scritto, potrebbe venire spontaneo di tracciare un parallelo tra Mosè che aveva introdotto il monoteismo tra gli ebrei e lo stesso Freud che aveva introdotto la psicanalisi tra i suoi seguaci. Peccato che Freud non vedesse giusto sui presupposti storici della sua analisi. A- khenaton, il nome che assunse come riformatore il Faraone Amenofi IV, non introdusse il monoteismo, ma una monolatria, cioè non un solo e unico Dio, ma un Dio preferito tra tanti altri dei. Non ci fu un monoteismo egizio, ma anche la morte di Mosè non fu un assassinio. In realtà, Freud non cercò una verità storica, ma piuttosto quello che rimaneva nell’inconscio dell’ebreo di antichi accadimenti che affondavano nella leggenda o negli albori della storia. In uno scritto molto più antico, Il Mosè di Michelangelo, uscito anonimo nel 1914 nella rivista Imago, Freud analizzò la famosa statua dal punto di vista psicanalitico: partì dalla torsione della testa e dal nodo della barba nella mano sinistra, dettagli potenzialmente illuminanti come dimostrato nella pratica psicanalitica, per dedurre che il profeta non compiva un gesto di ira per l’idolatria degli ebrei, ma era colto nell’atto della rinuncia alla rabbia. Il patriarca, già pronto a scattare, si controllava e restando seduto, rinunciava all’azione violenta. Non distrugge le tavole, ma le trattiene e le salva in extremis. Freud non si limitò allo scritto ma realizzò dei disegni in cui ipotizzò anche quelle che potevano essere state le precedenti posture, dettate dall’ira, da cui Mosè si era trattenuto. La cosa stupefacente è che da studi recenti, eseguiti in occasione del restauro della statua, è risultato che lo stesso Michelangelo aveva cambiato la postura e l’espressione del patriarca, secondo alcuni per fargli distogliere lo sguardo dall’altare in segno di disapprovazione per la Chiesa non riformata, secondo altri, più plausibilmente, perché vi fu costretto dall’emergere di un grosso difetto nel
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marmo. Freud aveva immaginato nella sua interpretazione, dandole risvolti psicanalitici, la modifica e la torsione che, come scoperto solo di recente, Michelangelo aveva dato veramente all’opera. Il saggio fu scritto nello stesso periodo del dissidio con Gustav Jung e si può immaginare l’identificazione dell’autore con quel Mosè deluso, scandalizzato dall’infedeltà dei suoi seguaci. Il popolo della psicanalisi, ingrato come il popolo ebraico, stava deviando dalla retta via, rinunciando alla giusta dottrina per rivolgersi ad altri miti. Ma il fondatore, responsabilmente, non si lasciava trascinare dall’ira ma pensava a come salvare la sua dottrina. Molti altri scrittori, filosofi, artisti, spesso ebrei, si sono occupati della figura di Mosè e degli aspetti della sua vicenda nelle questioni che afferiscono all’inconscio umano e alle religioni. Thomas Mann, nello scritto “La Legge”, trattando del rapporto di Mosè con il popolo ebraico e con le prescrizioni religiose, sembrò accusare in modo obliquo Hitler di voler essere un nuovo patologico Mosè che introduceva nuove perverse tavole della legge. Arnold Schonberg, nell’opera “Moses und Aron”, interpretò la vicenda di Mosè come la tragedia di un uomo in contraddizione tra sé e l’adorazione del vitello d’oro. La pittrice Frida Khalo lesse i testi di Freud su Mosè e in un dipinto del 1945 rappresentò il Patriarca in una grande allegoria della vita, come la nascita dell’eroe. La pittrice messicana era anche amica di un altro grande ebreo, quel Lev Trotzky il cui vero nome era Bronstein. Va ricordato quanto disse il rabbino di Kiev a proposito della grande presenza di ebrei tra i bolscevichi, cioè che i Trotzky scatenavano le rivoluzioni ma i Bronstein ne pagavano le amare conseguenze. Infine, un altro artista ebreo, Marc Chagall, il cui vero nome era Moshe, nel 1950 raffigurò Mosè nell’atto di ricevere le tavole della legge e disse che lo aveva dipin-
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to come in un sogno. In conclusione, si potrebbe dire che la religione e la psicanalisi, molto raramente in sintonia tra loro, oggi sono paradossalmente accomunate nella stagnazione e nella decadenza che stanno vivendo entrambe nelle menti e nei cuori dell’umanità. Ciò è dovuto al fatto che si sono instaurate ed evolute, soprattutto la religione, in epoche e società fortemente gerarchizzate, caratterizzate da grandi divieti e tabù, con alcuni gruppi sociali che dominavano su altri: i maschi sulle femmine, i padri sui figli, i nobili sulle plebi, i padroni sui servi. Società in cui i problemi e i malesseri da lenire rappresentavano il desiderio inconscio e rimosso di valicare i limiti, trasgredire i divieti, con conseguenti sensi di colpa e blocchi psicologici, massimamente nelle donne, nei giovani, nei sottoposti. In quella società, religione e psicanalisi erano utili e centrali. Oggi invece, almeno nella maggior parte del mondo, salvo regioni marginali, è cambiato tutto, è accaduta una rivoluzione copernicana. Tutto, dall’industria dei consumi, alla pubblicità, ai mezzi di comunicazione di massa, alla società dello spettacolo e del divertimento invita, quasi obbliga, gli individui a superare le barriere, a trasgredire, a valicare i limiti, nel lavoro come nel divertimento. Perciò i malesseri insorgono semmai dal timore di non fare abbastanza, di non trasgredire abbastanza. E qui religione e psicanalisi possono aiutare poco, e sono loro stesse in crisi. Per sdrammatizzare, potremmo dire, con Woody Allen, che Dio è morto, Marx pure e neanche io mi sento troppo bene.
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