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Fernanda Wittgens, la Walkiria che salvò il Cenacolo di Leonardo

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Fernanda Wittgens, la Walkiriache salvò il Cenacolo di Leonardo

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Giovan Giuseppe MENNELLA

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Non dette all’usciere quasi il tempo di annunciarla. E mi vidi davanti una donna diversa da tutte le altre. Un erudito avrebbe immaginato in lei Pallade-Athena: io pensai a una Walkiria. Il nome me lo ripeté lei allungandomi la mano: «Sono Fernanda Wittgens. Era irresistibile, le promisi che l’avrei aiutata». Con queste parole si espresse Antonio Greppi, primo sindaco della Milano appena liberata, quando, nell’estate del 1945, incontrò la donna che era diventata l’anima della Pinacoteca di Brera. Era appena uscita dal carcere di San Vittore, dove era stata rinchiusa dai fascisti per aver salvato e fatto fuggire molti ebrei e antifascisti. Un poco Pallade, un poco una Walkiria, un poco un’intellettuale, un poco una guerriera. Chi è stata Fernanda Wittgens? Si potrebbe dire in modo assai sintetico che è stata la prima donna italiana nominata Sovrintendente di un grande Museo e la donna che ha salvato il Cenacolo di Leonardo da Vinci. Ma sarebbe forse riduttivo, è stata molto di più. Fernanda Wittgens era nata a Milano il 3 aprile del 1903 in una famiglia della borghesia intellettuale milanese. Il padre Adolfo, di origine svizzera, era professore di lettere e filosofia nel prestigioso Liceo statale Parini e traduttore. Lui e la mamma Margherita Righini di domenica avevano l’abitudine di portare i sette figli a visitare i musei per instillare in loro l’amore per l’arte. Lei frequentò lo stesso liceo Parini e poi nel 1925 si laureò in lettere e filosofia all’Accademia scientifico-letteraria con il professor Paolo D’Ancona, che era stato a sua volta allievo di Adolfo Venturi e uno studioso illustre dell’antico miniaturismo fiorentino. Dopo la laurea iniziò a insegnare storia dell’arte ai licei statali Parini e Manzoni di Milano. Nel 1928 Mario Salmi, ispettore della Pinacoteca di Brera, la presentò a Ettore Modigliani, Direttore della Pinacoteca e Soprintendente alle Gallerie della Lombardia. Fu assunta immediatamente a Brera, all’inizio come “operaia avventi-29

zia” ma, ovviamente, svolse da subito funzioni tecniche e amministrative da ispettrice. Molto preparata, soprattutto attiva, instancabile, non c’erano orari, non c’erano limiti alla sua competente dedizione. Nel 1931 divenne assistente diretta di Modigliani e nel 1933 ufficialmente “ispettrice”. Si ricorda come mitico il viaggio che fece fino in Inghilterra su una nave piena dei più grandi capolavori dell’arte italiana, inviati in mostra al British Museum. La nave incappò in una gravissima tempesta e rischiò seriamente di affondare. Con essa sarebbero affondati i più grandi dipinti dell’arte italiana e anche la nostra protagonista. Nel 1935 Modigliani fu allontanato dall’amministrazione di Brera in quanto antifascista e nel 1938, con le leggi razziali, come ebreo, gli fu revocato ogni incarico, perseguitato e inviato al confino. In questo periodo Fernanda continuò la sua attività informando costantemente Modigliani, di cui poteva dirsi la vera alter ego. Gli fece anche da prestanome firmando un libro scritto in realtà dall’ex Sovrintendente. Il 16 agosto del 1940 vinse il concorso per direttrice della Pinacoteca di Brera, diventando così anche la prima donna italiana a essere posta a capo di un grande museo o galleria. Intanto, era scoppiata la seconda guerra mondiale e l’Italia vi era entrata il 10 giugno del 1940. Con grande preveggenza, Fernanda attuò una capillare opera di convincimento, di organizzazione, anche di raccolta di fondi, lavorando notte e giorno, per mettere in salvo con numerosi trasporti anche rischiosi le opere d’arte di Brera, del Museo Poldi Pezzoli e della Quadreria dell’Ospedale Maggiore. Ci riuscì, appena in tempo. I trasferimenti delle opere terminarono nel giugno del 1943 e, di lì a poco, il 7 agosto, Brera fu devastata e semidistrutta da un pesantissimo bombardamento aereo degli Alleati.

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Questa del salvataggio dell’immenso patrimonio d’arte italiano è una pagina poco conosciuta ma esaltante e meravigliosa che accomunò, in un’attività pericolosissima, instancabile e avventurosa, Fernanda e altri illuminati giovani ispettori ministeriali delle belle arti, come, tra gli altri, Pasquale Rotondi per l’Italia centrale, Mario Lavagnino e Palma Bucarelli per Roma. Molti di loro portarono via letteralmente da sotto il naso dei tedeschi dipinti e statue dei grandi maestri italiani. Pasquale Rotondi e la moglie dormirono per un certo tempo su un letto sotto il quale c’erano i più importanti dipinti di Leonardo, Raffaello, Caravaggio. Sotto la facciata ufficiale della beneficenza e dell’assistenza, contando sul suo prestigio personale e sulle numerose e importanti conoscenze, attraverso una straordinaria rete di solidarietà al femminile, Fernanda Wittgens mise in piedi una vera e propria organizzazione di appoggio ai perseguitati dei fascisti e di salvataggio di ebrei e antifascisti. In seguito a una soffiata di un infiltrato collaborazionista, un giovane ebreo tedesco, fu scoperta e il 14 luglio del 1944 arrestata con alcune amiche e collaboratrici. Nel tragitto che la portava al carcere di San Vittore chiese ai suoi carcerieri della scorta di poter entrare un’ultima volta nella bellissima chiesa milanese di Sant’Eustorgio, una delle sue più amate, per ammirare gli affreschi quattrocenteschi di Vincenzo Foppa, raffiguranti le storie di San Pietro martire, situati nella cappella Portinari di stile rinascimentale fiorentino. Fu condannata a quattro anni di prigione, ma scontò solo sette mesi perché la famiglia presentò un falso certificato di tubercolosi, anche se lei non avrebbe voluto, perché disse sempre che la prigione era un’altra tappa di perfezionamento nel percorso esistenziale di una cittadina e di un’intellettuale. Infatti, anche prima dell’arresto, durante l’impegno per aiutare i perseguitati antifascisti, a chi la invitava a essere più prudente disse: «Sarebbe troppo bello essere intellettuali in tempi

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pacifici e diventare codardi, o anche semplicemente neutri, quando c’è un pericolo». Comunque, il 25 aprile del 1945 con la liberazione di Milano e di tutta l’Italia settentrionale, Fernanda si vide annullare la condanna e reintegrare come prodirettore e commissario di Brera. Il 12 febbraio del 1946 fu reintegrato anche Modigliani e lei lo affiancò. Entrambi non limitarono sforzi e impegno quotidiano per procedere alla ricostruzione della pinacoteca, affidandone il progetto al grande architetto milanese Piero Portaluppi. La “Grande Brera” fu ingrandita negli spazi e si cercò di coinvolgere tutta la cittadinanza per dare nuova linfa al museo, con visite guidate per categorie specifiche di cittadini, sfilate di moda notturne, apertura alle diverse forme d’arte, in modo da incrementarne la fruizione in modo esponenziale. Nel 1947, il 22 giugno, dopo la morte di Modigliani, fu affidata a lei anche la soprintendenza di tutto il museo di Brera nel suo complesso, non più della sola pinacoteca. Infine, il 9 giugno del 1950, ci fu la solenne inaugurazione di Brera ricostruita, con un discorso pronunciato da lei davanti a tutte le maggiori autorità statali e comunali, in cui parlò del miracolo che era stato compiuto per ridonare vita in così poco tempo a uno dei più importanti musei del mondo. Ma la Walkiria, sempre instancabile, non si fermò qui. Affidò a Portaluppi il progetto per una Grande Brera, con un Piano Regolatore che previde il collegamento tra Pinacoteca, Accademia di Belle Arti, Biblioteca, Osservatorio Astronomico e Istituto lombardo di Scienze e Lettere. Nello stesso anno, intanto, era stata nominata anche Soprintendente alle Gallerie della Lombardia. In questo periodo convinse il Comune di Milano ad acquistare la Pietà Rondanini di Michelangelo, promuovendo una vera e propria mobilitazione

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cittadina, anche con raccolte di fondi tra la popolazione. E ci riuscì. La statua fu acquista per 130 milioni di lire nel novembre del 1952. Nel 1955 fu premiata con una medaglia commemorativa dall’Unione delle Comunità israelitiche per l’opera di soccorso prestata a favore degli ebrei perseguitati e l’anno successivo rifiutò una proposta di Ferruccio Parri per candidarla alle elezioni amministrative con la Lista del Fronte laico, perché non se la sentì di rinunciare alla libertà assoluta di persona e di funzionaria entrando nel mondo della politica e dei partiti. Ma dove il suo impegno rifulse per l’ultima volta e in modo più efficace, fu nel salvataggio del Cenacolo di Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie a Milano. Infatti, affrontò tremende responsabilità, critiche e difficoltà nell’opporsi alla maggior parte degli storici dell’arte, con in testa il grande critico Cesare Brandi, che consideravano ormai irreparabilmente deteriorato e perduto l’affresco di Leonardo. Secondo questi studiosi, le operazioni di restauro avrebbero cancellato anche gli ultimi lacerti di dipintura che rimanevano. Fernanda Wittgens non si arrese, con la solita forza delle idee e dell’azione, convinta che si dovesse tentare il tutto per tutto e andare a vedere se sotto le ridipinture successive era rimasto il colore di Leonardo, decise per il restauro e lo affidò al gruppo di lavoro di Mauro Pellicioli. Ancora una volta ebbe ragione. Il 30 maggio 1954, al termine delle celebrazioni per il quinto centenario della nascita di Leonardo da Vinci, il Cenacolo felicemente restaurato e la sala del Refettorio di Santa Maria delle Grazie furono riaperti al pubblico. Fu questo l’ultimo lascito importantissimo di quella donna straordinaria anche se poco conosciuta. Infatti, morì prematuramente, per un tumore, il 12 luglio del 1957. Fernanda Wittgens fu una delle tante donne eccezionali che hanno dato la loro ca-

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pacità e il loro impegno a questo Paese e meritava di essere conosciuta meglio. Infatti, di recente è stato pubblicato un bel libro sulla sua vita, a cura della storica dell’arte Giovanna Ginex. Il libro non poteva che intitolarsi con le parole “Sono Fernanda Wittgens” con cui si presentò in quel lontano 1945 al primo sindaco di Milano liberata, per convincerlo, quasi costringerlo, a lavorare insieme per la ricostruzione dei monumenti e dei musei danneggiati dalla guerra.

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